5 Periodico di aggiornamento professionale per il Ginecologo Radiologia interventistica Approccio non chirurgico al trattamento dei fibromi uterini Ginecologia Dallo screening del primo trimestre al feto a rischio di IUGR Neurologia Malattie neuromuscolari croniche in gravidanza Oncologia Terapia ormonale sostitutiva in pazienti con pregresso ca della mammella N O G S 5 Periodico di aggiornamento professionale per il Ginecologo Radiologia interventistica ommario Periodico di aggiornamento professionale per il Ginecologo n. 5 Registrazione N. 125 del 28 febbraio 2007 presso il Tribunale di Milano Editore Ginecologia Approccio non chirurgico al trattamento dei fibromi uterini Dallo screening del primo trimestre al feto a rischio di IUGR Neurologia Malattie neuromuscolari croniche in gravidanza Oncologia Terapia ormonale sostitutiva in pazienti con pregresso ca della mammella Clinica Radiologia interventistica Hippocrates Edizioni Medico Scientifiche srl via Vittor Pisani 22 - 20124 Milano telefono 02.67100800 fax 02.6704311 e-mail: [email protected] sito: www.hippocrates.it Direttore editoriale Manlio Neri Direttore responsabile Susan Redwood Redazione scientifica Lella Cusin, Simona Regondi, Andrea Ridolfi, Rossella Traldi Progettazione e impaginazione grafica Giovanni Carella, Daniela De Martin, Vittorio Resmi Segreteria di redazione Isabella Monza Coordinamento scientifico Giovanni Scambia Hanno collaborato a questo numero Sonia Amoroso, Pierluigi Benedetti Panici, Nicoletta Biglia, Lorenzo Bonomo, Valentina Bounous, Valentina D’Ambrosio, Carmine Di Stasi, Antonella Giancotti, Renato La Torre, Marina Mischinelli, Giulia Moggio, Brunella Muto, Arianna Pagano, Gaia Pasquali, Elisa Peano, Giovanni Scambia, Manuela Scatà, Paola Sgandurra, Piero Sismondi, Antonella Spagnuolo, Tullia Todros, Giovanna Tropeano Pubblicità e marketing Silvia Cavalca Stampa Pirovano Srl - San Giuliano Milanese (MI) Approccio non chirurgico al trattamento dei fibromi uterini 4 di Giovanna Tropeano, Sonia Amoroso, Giovanni Scambia, Carmine Di Stasi, Lorenzo Bonomo Ginecologia Dallo screening del primo trimestre al feto a rischio di IUGR 12 di Antonella Giancotti, Brunella Muto, Antonella Spagnuolo, Valentina D’Ambrosio, Gaia Pasquali, Renato La Torre, Pierluigi Benedetti Panici Neurologia Malattie neuromuscolari croniche in gravidanza 19 di Arianna Pagano, Manuela Scatà, Marina Mischinelli, Tullia Todros Chiuso in tipografia 17 maggio 2010 Referenze fotografiche in copertina, iStockphoto.com pagine interne (immagini astratte), Fotolia.com, iStockphoto.com I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale con qualsiasi mezzo, compresi i microfilm e le copie fotostatiche, sono riservati per tutti i Paesi. 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Oncologia Terapia ormonale sostitutiva in pazienti con pregresso carcinoma della mammella 28 di Nicoletta Biglia, Paola Sgandurra, Giulia Moggio, Elisa Peano, Valentina Bounous, Piero Sismondi 3 RADIOLOGIA INTERVENTISTICA A N O G pproccio non chirurgico al trattamento dei fibromi uterini Embolizzazione transcatetere delle arterie uterine e termoablazione mediante ultrasuoni focalizzati ad alta intensità a confronto: vantaggi, limiti e complicanze di due metodiche alternative alla chirurgia convenzionale. di Giovanna Tropeano, Sonia Amoroso, Giovanni Scambia Dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente, Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma Carmine Di Stasi, Lorenzo Bonomo Dipartimento di Bioimmagini e Scienze Radiologiche, Università Cattolica del Sacro Cuore - Roma I 4 I fibromi uterini sono i più comuni tumori dell’apparato genitale femminile, con un’incidenza cumulativa stimata pari al 70-80% delle donne sotto i 50 anni1. Si tratta di neoplasie quasi invariabilmente benigne (rischio di degenerazione sarcomatosa <0,2%) che originano da una singola cellula miometriale e si sviluppano nel contesto del miometrio (intramurali), verso la sierosa dell’utero (sottosierosi) o la cavità endometriale (sottomucosi), raggiungendo dimensioni variabili da pochi millimetri a decine di centimetri. Spesso silenti, nel 30% circa dei casi causano sintomi (menometrorragie, dolore addominopelvico, disturbi da compressione di organi vicini, infertilità) che compromettono la qualità di vita e hanno un impatto socio-economico rilevante (astensione forza- ta dal lavoro, costi sanitari diretti e indiretti). Il trattamento convenzionale dei fibromi sintomatici è la chirurgia conservativa (miomectomia) o demolitiva (isterectomia) effettuata per via laparotomica o, limitatamente a casi selezionati, con approccio endoscopico o transvaginale. Il trattamento chirurgico è efficace nel controllo dei sintomi (successo nel 70% circa dei casi per la miomectomia e nel 95-98% dei casi per l’isterectomia) ma, qualunque sia l’approccio utilizzato, è gravato da importanti svantaggi: necessità di anestesia generale, rischio non trascurabile di complicanze immediate (emorragie, lesioni viscerali, infezioni, tromboembolie) e tardive (aderenze, frequente recidiva dei fibromi in caso di miomectomia e perdita della fertilità, incontinen- za e/o prolasso urinario e sequele psico-sessuali in caso di isterectomia), una degenza ospedaliera mai inferiore ai 2 giorni e un tempo medio di convalescenza di 68 settimane per l’isterectomia e di 2-6 settimane per la miomectomia2,3. A partire dalla metà degli anni Novanta l’offerta terapeutica per i fibromi si è ampliata in modo sostanziale con l’avvento di un’alternativa non chirurgica: l’embolizzazione delle arterie uterine. I vantaggi offerti da questa strategia innovativa in termini di miglioramento della qualità di vita e di riduzione dei costi ne hanno determinato il rapido successo e la crescente diffusione e hanno dato impulso allo sviluppo di altre tecniche mininvasive attualmente in fase avanzata di sperimentazione clinica (termoablazione RADIOLOGIA INTERVENTISTICA con ultrasuoni ad alta intensità, laser o radiofrequenze). Embolizzazione delle arterie uterine (EAU) L’EAU è una tecnica percutanea di radiologia interventistica utilizzata con successo a partire dai primi anni Ottanta per il trattamento delle emorragie ostetriche e ginecologiche4. La sua applicazione nel campo dei fibromi - descritta per la prima volta in Francia nel 19955 - rappresenta attualmente una riconosciuta alternativa all’isterectomia e alla miomectomia. Questa procedura induce un’ischemia tissutale acuta irreversibile per i fibromi, che vanno incontro a infarcimento, necrosi coagulativa e sclerosi ialina, e transitoria per il miometrio normale che viene rapidamente riperfuso dal circolo collaterale pelvico e mantiene la sua integrità anatomo-funzionale. Attraverso questo meccanismo l’EAU è in grado di determinare una progressiva riduzione dimensionale dei fibromi e un rapido miglioramento dei sintomi a essi associati6. La procedura L’EAU viene eseguita in anestesia locale utilizzando come accesso percutaneo l’arteria femorale comune a livello della piega ingui- nale (figura 1). Sotto guida fluoroscopica entrambe le arterie uterine vengono cateterizzate selettivamente fino al tratto distale (ascendente) dal quale originano i rami arcuati intramiometriali. Si esegue quindi l’iniezione transcatetere di agenti embolizzanti (di solito particelle di alcol polivinile o microsfere trisacriliche) fino al blocco completo del flusso ematico al/i fibroma/i. L’intera procedura, che viene eseguita con paziente cosciente ma sedata (fentanyl e midazolam per via endovenosa), ha una durata media di 60 minuti. Una buona esperienza dell’operatore e una tecnica appropriata permettono di contenere la radioesposizione ovarica (in media 9-10 mSv) a livelli simili a quelli registrati nelle metodiche radiodiagnostiche di routine6. Dopo la procedura è consigliabi- le l’osservazione della paziente in ospedale per 12-24 ore. Il decorso postembolizzazione, infatti, è caratterizzato dalla comparsa pressoché costante di un dolore pelvico crampiforme di natura ischemica, spesso intenso nelle prime 6-8 ore, che richiede un’analgesia per via endovenosa (oppiacei e antinfiammatori non steroidei). Successivamente, il dolore diminuisce rapidamente di intensità, stemperandosi in leggeri crampi N O G L’EAU è una procedura minimamente invasiva eseguita in anestesia locale. addominali ben controllabili con un’analgesia orale. Nelle prime ore successive alla procedura è frequente (50% circa dei casi) anche la comparsa di nausea e/o vo- Figura 1 Rappresentazione schematica della procedura di EAU 5 RADIOLOGIA INTERVENTISTICA N O G Tabella 1 EAU: indicazioni e controindicazioni Indicazioni • • • • • Fibromi singoli o multipli Sintomatologia (mestruale, algica e/o da massa) invalidante Desiderio di conservare l’utero e/o di evitare l’intervento chirurgico Insuccesso di precedenti terapie mediche e/o chirurgiche Condizioni di aumentato rischio anestesiologico/chirurgico Controindicazioni • • • • • • • Sospetto di neoplasia maligna PID, endometrite, infezioni uro-genitali Patologie annessiali Controindicazioni all’arteriografia Fibromi peduncolati sottosierosi Adenomiosi diffusa Endometriosi severa mito, in gran parte imputabili all’impiego di oppiacei e controllabili con farmaci sintomatici. Alla dimissione dall’ospedale, che di regola avviene entro 24 ore dalla procedura, viene prescritto un ciclo di 5-7 giorni di terapia analgesica orale. Nella settimana successiva all’EAU è possibile la comparsa di altri effetti collaterali (febbre, spotting vaginale) di lieve entità e breve durata. La maggioranza delle pazienti è in grado di riprendere le usuali attività entro 7-10 giorni. 6 Selezione delle pazienti Sono candidate all’EAU (tabella 1) le pazienti con fibromi sintomatici che desiderano evitare l’intervento chirurgico e/o conservare l’utero sono affette da condizioni che comportano un rischio chirurgico elevato. Non esistono restrizioni riguardo alle dimensioni massime dell’utero e dei fibromi e il numero massimo di fibromi trattabili, mentre la presenza di neoplasie sottosie- rose peduncolate controindica questo tipo di approccio per il potenziale rischio di infarcimento del peduncolo e distacco del fibroma dal- l’utero. Un’accurata valutazione ginecologica integrata da un’appropriata diagnostica strumentale (ecografia transvaginale e transaddominale con flussimetria colorDoppler e/o, in casi particolarmente complessi, RM della pelvi; isteroscopia con eventuale biopsia endometriale) è essenziale, non solo per l’esatta definizione del numero, della sede e delle dimensioni dei fibromi ma anche per la diagnosi differenziale nei confronti di altre patologie pelviche e per l’individuazione di condizioni concomitanti che potrebbero aumentare il rischio di complicanze (per esempio, un’endometrite in atto o recente) o di insuccesso clinico dell’EAU (per esempio, un’adenomiosi associata). Risultati clinici Le principali casistiche della letteratura riportano un tasso di successo clinico a breve e medio ter- Figura 2 Immagini di risonanza magnetica che dimostrano la graduale riduzione fino alla pressoché completa scomparsa del fibroma fundico laterale dx (diametro massimo di 5 cm) visibile prima dell’EAU RADIOLOGIA INTERVENTISTICA N O G Tabella 2 EAU: risultati clinici a breve, medio e lungo termine Autore, anno N. di pazienti Intervalli di follow-up Miglioramento dei sintomi (% pazienti) Re-interventi* (%) Spies, 2005 200 1 anno 3 anni 5 anni 87 83 73 7 14 20 Katsumori, 2006 96 1 anno 3 anni 5 anni 97 89 89 2 3 4 Walker, 2006 400 1 anno 5-7 anni 94 80 1 11 Goodwin, 2008 1.278 1 anno 3 anni 94 85 9 14 *Miomectomia, isterectomia o re-embolizzazione mine (<2 anni) dell’85-95%, con una riduzione media del volume dei fibromi del 60-70% (figura 2) e un alto grado di soddisfazione espresso dalle pazienti rispetto al trattamento (87-97%)6. I risultati di studi prospettici con un follow-up di almeno 3 anni (tabella 2) indicano che, nonostante un graduale declino nel tempo delle percentuali di successo clinico, l’efficacia dell’EAU rimane elevata (73-89%) anche nel lungo termine6. Gli studi comparativi riportati in letteratura (tabella 3) dimostrano che l’EAU ha una sicurezza e un’efficacia clinica comparabili a Tabella 3 EAU vs miomectomia e isterectomia: studi comparativi di sicurezza ed efficacia Autore, anno Procedura (N. pazienti) Durata follow-up Successo clinico (% pazienti) Complicanze maggiori (%) Broder, 2002 EAU (59) M (58) 46 mesi 49 mesi 92 90 NR NR Razavi, 2003 EAU (67) M (44) 14 mesi 15 mesi 92 64* NR NR Goodwin, 2006 EAU (149) M (60) 6 mesi 6 mesi 81 75 4 2 Spies, 2004 EAU (102) I (50) 12 mesi 12 mesi 90 NR 4 12 Dutton, 2007 EAU (972) I (762) 4,6 anni 8,6 anni 85 99* 4 11* Volkers, 2007 EAU (88) I (89) 24 mesi 24 mesi 76,5 NR 5 3 Edwards, 2007 EAU (106) I (51) 12 mesi 12 mesi punteggi QOL ns differenti 15 20 M=Miomectomia; I=Isterectomia; QOL=Questionario sulla qualità di vita; ns=Non significativamente; *Differenza statisticamente significativa (p<0,05) 7 RADIOLOGIA INTERVENTISTICA N O G Tabella 4 EAU vs miomectomia e isterectomia: durata media di degenza ospedaliera e convalescenza Autore, anno Procedura (N. pazienti) Degenza (giorni) Convalescenza (giorni) Razavi, 2003 EAU (67) vs M (44) 0 vs 2,9* 8 vs 36* Goodwin, 2006 EAU (149) vs M (60) <1 vs 2,5* 14,6 vs 44,4* Spies, 2004 EAU (102) vs I (50) 0,8 vs 2,3* 10,7 vs 32,5* Pinto, 2003 EAU (38) vs I (19) 1,7 vs 5,8* 9,5 vs 36,2* Hehenkamp, 2005 EAU (88) vs I (89) 2 vs 5,1* 28 vs 63* Edwards, 2007 EAU (106) vs I (51) 1 vs 5* 20 vs 62* M=Miomectomia; I=Isterectomia; *Differenza statisticamente significativa (p<0,05) quelle dell’isterectomia e della miomectomia, ma offre sostanziali vantaggi in termini di riduzione della durata della degenza ospedaliera e della convalescen- tuale di complicanze maggiori del 4,1%11. Una rara complicanza (<1% dei casi) è l’infezione uterina secondaria che, se non diagnosticata e trattata tempestivamente, può esitare in infezione pelvica e rendere necessaria un’isterectomia d’urgenza6. Non sono stati identificati specifici fattori di rischio ma l’esperienza clinica e i dati della letteratura suggeriscono che alcune condizioni preesistenti (per esempio, una storia di infezioni genitourinarie ricorrenti o la concomitanza di patologie annessiali) aumentano il rischio d’infezione post-procedura ed enfatizzano l’importanza di un’appropriata selezione delle pazienti da sottoporre al trattamento. La complicanza più frequente dell’EAU (5-10% dei casi) è l’espulsione transvaginale, completa o parziale, di fibromi sottomucosi embolizzati6. Nella maggior parte dei casi essa avviene spontaneamente e senza particolari problemi ma in alcuni casi di espulsione incompleta può essere ne- L’EAU è sicura, efficace e meno costosa della chirurgia tradizionale. za (tabella 4). Studi economici comparativi hanno inoltre documentato minori costi ospedalieri e un rapporto costo/efficacia più favorevole per l’EAU rispetto alla chirurgia convenzionale7-10. 8 Complicanze L’EAU ha un basso tasso di complicanze6. Il più ampio studio prospettico finora pubblicato (3.401 pazienti trattate) riporta una morbilità immediata (durante la degenza) pari al 2,7%, con un tasso di complicanze maggiori dello 0,6% e una morbilità a un mese pari al 26%, con una percen- cessaria la rimozione chirurgica del fibroma residuo per prevenire il rischio di un’endometrite secondaria6. Outcome riproduttivo Gli effetti dell’EAU sulla fertilità futura non sono stati completamente chiariti. La maggior parte delle donne sottoposte al trattamento mantiene normali cicli mestruali e sono numerose le casistiche di gravidanze iniziate spontaneamente e decorse normalmente dopo la procedura (tabella 5). Tuttavia, le principali serie della letteratura riportano l’insorgenza di amenorrea nel 35% delle pazienti trattate6. La quasi totalità di questi casi è stata descritta in donne in età perimenopausale ma sono stati riportati sporadici casi anche in donne <40 anni6. Alla luce di queste osservazioni si è ipotiz- RADIOLOGIA INTERVENTISTICA N O G Tabella 5 Gravidanze dopo EAU Autore, anno N. di pazienti N. di gravidanze N. di aborti N. di parti Note Ravina, 2000 9 12 5 (42%) 3 vaginali, 4 TC (3 pretermine) Età media 36 anni McLucas, 2001 14 17 5 (29%) 3 vaginali, 7 TC (1 pretermine) Età <40 anni 2 gravidanze in corso Pron, 2005 21 24 4 (17%) 9 vaginali, 9 TC (4 pretermine) Età media 36 anni Walker, 2006 33 56 17 (30%) 9 vaginali, 24 TC (6 pretermine) Età media 37 anni 3 IVG, 1 GE, 2 nati morti Holub, 2007 20 28 14 (50%) 2 vaginali, 8 TC (2 pretermine) Età media 32 anni 2 IVG, 1 GE, 1 grav. in corso Pabon, 2008 10 11 3 (27%) 4 vaginali, 4 TC (1 pretermine) Età media 35 anni TC=Taglio cesareo; IVG=Interruzione volontaria di gravidanza; GE=Gravidanza ectopica zato che l’EAU possa interferire con la vascolarizzazione ovarica inducendo un danno ischemico con deplezione di follicoli ovarici6. In contrasto con quest’ipotesi un recente studio prospettico di donne in età fertile ha dimostrato l’assenza di effetti avversi sui marker endocrini (FSH ed estradiolo basali) e morfologici (conta dei follicoli antrali, volume ovarico) della riserva ovarica fino a 5 anni dalla procedura12. Restano insufficienti, tuttavia, i dati circa gli effetti dell’EAU sulla capacità gestazionale. Per tale motivo, allo stato attuale, l’EAU non è consigliata alle donne che vogliono preservare, o potenziare, la propria capacità riproduttiva a meno che la loro unica alternativa terapeutica sia un’isterectomia o una miomectomia ad alto rischio. Conclusioni L’EAU è una terapia sicura, efficace ed economicamente vantaggio- sa rispetto alla chirurgia tradizionale. È raccomandabile per tutte le pazienti che desiderano conservare l’utero ed è proponibile, come alternativa alla chirurgia, a tutte le donne che abbiano già realizzato il loro desiderio di gravidanza. Termoablazione con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (HIFU) Questa terapia non invasiva utilizza l’energia degli ultrasuoni ad alta intensità che, concentrati su un punto preciso (focus) di una lesione profonda, ne aumentano la temperatura fino al punto di “ablazione termica”, ossia fino alla distruzione tissutale per necrosi coagulativa. Le prime esperienze d’impiego terapeutico degli HIFU risalgono ai primi anni Quaranta, ma solo nell’ultimo decennio, grazie all’uso dell’imaging mediante risonanza magnetica (RM), sono emerse importanti applicazioni di questa tecnologia nel trattamento dei fibromi uterini e di diverse neoplasie (mammaria, epatica, prostatica, ossea). La procedura Il sistema utilizzato per il trattamento (Exablate® 2000 Insightec) (figura 3) consiste di un dispositivo HIFU integrato con un’apparecchiatura di RM, che fornisce le informazioni anatomiche in 3D del fibroma-bersaglio e delle strutture anatomiche adiacenti. Queste informazioni vengono usate per posizionare la paziente e determinare il percorso in sicurezza del fascio di ultrasuoni verso il fibroma da trattare. La sorgente di ultrasuoni (un trasduttore che converte l’energia elettrica in energia ultrasonora) è nel lettino porta-paziente che si collega allo scanner RM. Il fascio di ultrasuoni concentrati, emessi dal trasduttore, attraversa la cu- 9 RADIOLOGIA INTERVENTISTICA N O G Figura 3 Rappresentazione schematica del sistema di trattamento con ultrasuoni focalizzati (HIFU) cosciente ma sedata (fentanyl e midazolam per via endovenosa), è di 3 ore circa. La procedura può essere eseguita in regime ambulatoriale o di day hospital, con dimissione a 1-2 ore dalla fine del trattamento. La durata media della convalescenza è di 1-2 giorni. Effetti collaterali e complicanze te addominale, il sottocute e gli altri tessuti molli e si concentra in un “punto focale” del fibromabersaglio. In questa regione, a forma di sigaro allungato nella dire- (approssimativamente delle dimensioni di un fagiolo), dopo una pausa per il raffreddamento del tessuto, il trattamento viene ripetuto in una regione adiacente e così via, fino alla distruzione dell’intera lesione da trattare. Mentre viene eseguito il trattamento, il sistema di mappatura termica RM visualizza le variazioni di temperatura dei tessuti come sovrapposizione all’immagine anatomica, creando una mappa che cambia nel tempo man mano che il tessuto viene riscaldato e quindi si raffredda. Alla fine della procedura, l’acquisizione di immagini RM con mezzo di contrasto consente di verificare l’esito ablativo tramite la misurazione del “volume non perfuso”, corrispondente alla necrosi coagulativa indotta dagli HIFU13. La durata media del trattamento, che viene eseguito con paziente L’EAU è una terapia ambulatoriale che permette un rapido recupero funzionale. 10 zione dell’asse del fascio (8-10 mm) e di sezione molto minore (1-3 mm), la temperatura sale fino a 65-85 °C ed è mantenuta a questo livello per diverse decine di secondi, fino a che il tessuto in essa contenuto è completamente distrutto. La precisa focalizzazione degli ultrasuoni limita l’effetto ablativo al punto focale, minimizzando il riscaldamento dei tessuti adiacenti13. Ottenuto questo effetto in un piccolo volume Durante la procedura è frequente l’insorgenza di un dolore pelvico lieve-moderato e al termine del trattamento è possibile la comparsa di nausea e febbre; questi effetti sono perlopiù di lieve entità e di breve durata. Una complicanza relativamente frequente (6% dei casi) sono le ustioni cutanee (generalmente minori) nel punto di applicazione dei fasci di ultrasuoni. Selezione delle pazienti I criteri di inclusione (tabella 6) sono simili a quelli dell’EAU ma, rispetto a questa procedura, la terapia HIFU ha un numero maggiore di controindicazioni. Risultati clinici A oggi, con più di 8.000 procedure effettuate in tutto il mondo, il tasso di successo clinico a breve e medio termine è stimato pari al 75% circa14,15. Sono state riportate gravidanze decorse nor- RADIOLOGIA INTERVENTISTICA Tabella 6 HIFU: indicazioni e controindicazioni alla termo ablazione dei fibromi Indicazioni • • • • Sintomatologia (mestruale, algica e/o da massa) invalidante Desiderio di conservare l’utero e/o di evitare l’intervento chirurgico Insuccesso di precedenti terapie mediche e/o chirurgiche Condizioni di aumentato rischio anestesiologico/chirurgico Controindicazioni • • • • • • • • • • • Desiderio di futura gravidanza Numero di fibromi >6 e/o volume uterino >24 settimane di gestazione Fibromi peduncolati sottosierosi o sottomucosi Fibromi situati a >12 cm dalla cute addominale Fibromi vicini a strutture sensibili (vescica, retto, osso sacro) Fibromi ipervascolarizzati, colliquati o calcifici Interposizione di vescica o anse intestinali tra fibroma da trattare e fascio HIFU Cicatrici della cute addominale Infezione pelvica o sistemica in atto o recente Patologie annessiali Controindicazioni a RM malmente in donne trattate con HIFU, ma gli effetti di questa procedura sulla struttura e sull’integrità del miometrio sono ancora indefiniti. Per tale motivo, allo stato attuale, questo trattamento è sconsigliato alle donne desiderose di future gravidanze. N O G Conclusioni La terapia con HIFU ha un basso tasso di complicanze e consente un rapido ritorno alle usuali attività quotidiane. Rispetto all’EAU questa metodica offre alcuni vantaggi (non impiego di radiazioni ionizzanti, minore frequenza e intensità di dolore post-procedurale, più rapido recupero funzionale), ma presenta anche importanti svantaggi (maggior numero di controindicazioni, minore efficacia in termini di miglioramento dei sintomi e di riduzione volumetrica dei fibromi trattati, costi più alti). Bibliografia 1. American College of Obstetrics and Gynecology patient education pamphlet AP074: uterine fibroids. Disponibile all’indirizzo web: www.acog.org/publications/patient_education/bp074.cfm 2. Fauconnier A, Chapron C, Babaki-Fard K et al. Recurrence of leiomyomata after myomectomy. Hum Reprod Update 2000; 6: 595-602. 3. McPherson K, Metcalfe MA, Herbert A et al. Severe complications of hysterectomy: the VALUE study. BJOG 2004; 111: 68894. 4. Badawy SZ, Etman A, Singh M et al. Uterine artery embolization: the role in obstetrics and gynecology. Clin Imaging 2001; 25: 288-295. 5. Ravina JH, Herbreteau D, Ciraru-Vigneron N et al. Arterial embolisation to treat uterine myomata. Lancet 1995, 346: 671-2. 6. Tropeano G, Amoroso S, Scambia G. Non-surgical management of uterine fibroids. Hum Reprod Update 2008; 14: 259-74. 7. Baker CM, Winkel CA, Subramanian S et al. Estimated costs for uterine artery embolization and abdominal myomectomy for uterine leiomyomata: a comparative study at a single institution. J Vasc Inter Radiol 2002; 13: 1207-10. 8. Pourrat XJ, Fourquet F, Guerif F et al. Medico-economic approach to the management of uterine myomas: a 6-month costeffectiveness study of pelvic embolization versus vaginal hyste- rectomy. Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol 2003; 111: 59-64. 9. 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Obstet Gynecol 2007; 110: 279-84. 11 GINECOLOGIA D N O G allo screening del primo trimestre al feto a rischio di IUGR Il ricorso combinato alla velocimetria Doppler e al monitoraggio di alcuni specifici marker plasmatici rappresenta un valido supporto all’identificazione precoce delle gravidanze a rischio nonché un punto di partenza essenziale per studiare il reale impatto della profilassi farmacologica effettuata già a partire dal primo trimestre. di Antonella Giancotti, Brunella Muto, Antonella Spagnuolo, Valentina D’Ambrosio, Gaia Pasquali, Renato La Torre, Pierluigi Benedetti Panici Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia, Policlinico Umberto I, Università degli studi “Sapienza”- Roma I l termine “ritardo di crescita intrauterino” si riferisce a tutti i feti che non riescono a raggiungere determinati valori soglia in termini biometrici o di peso stimato per una certa epoca gestazionale. Questa definizione è una delle più controverse in letteratura poiché, a seconda degli autori, si parla di ritardo di crescita se il peso fetale stimato e i valori biometrici si collocano al di sotto del 10° o del 5° percentile per la settimana di gestazione oppure al di sotto di 2 deviazioni standard (DS) rispetto al valore medio per l’epoca gestazionale o, ancora, se il peso di un neonato a termine (età gestazionale ≥37 settimane) è inferiore a 2.500 grammi (tabella 1). 12 Bisogna inoltre fare una distinzione tra le seguenti condizioni: Tabella 1 In letteratura: definizione di ritardo di crescita intrauterino • • • • Valori biometrici < al 10° centile per l’epoca gestazionale Valori biometrici < al 5° centile per l’epoca gestazionale Valori biometrici < alla 2DS dal valore medio per l’epoca gestazionale Peso neonatale < 2500 grammi nei nati a termine (> 37ª settimana) • IUGR (intrauterine growth restriction), termine riferito a feti che non raggiungono il loro potenziale di crescita a causa di uno o più fattori patologici (materni, placentari o fetali); • SGA (small for gestational age), termine riferito a feti di basso peso per l’epoca gestazionale, non necessariamente correlato alla presenza di una patologia (razza, parità, costituzione fisica dei genitori). La restrizione della crescita fetale complica a tutt’oggi il 5-10% delle gravidanze e costituisce uno dei contesti più “caldi” dell’ostetricia e della neonatologia. È noto, infatti, che nei feti con ritardo di crescita la morbilità e la mortalità aumentano quanto più il peso alla nascita si allontana dalla media per l’epoca gestazionale1. I nati IUGR presentano spesso un indice di Apgar basso e una maggiore incidenza di complicanze neonatali (sindrome da distress respiratorio, sindrome da aspirazio- GINECOLOGIA Ecografia del primo trimestre: quale ruolo? ne di meconio, asfissia, crisi ipoglicemiche). Inoltre, non sono rari gli esiti tardivi, come difficoltà di apprendimento e problemi comportamentali in età scolare (tabella 2). Un’accurata datazione della gravidanza nel corso del primo trimestre è essenziale al fine di ridurre gli errori sulla valutazione della crescita fetale in epoche successive. Datare la gravidanza vuol dire calcolare, in base alle misure embrionali, l'esatta durata in settimane dell’epoca gestazionale. Il riscontro ottenuto può concordare o meno con il periodo di assen- za delle mestruazioni; pertanto, è importante effettuare una corretta misurazione della distanza vertice-sacro dell’embrione o CRL (crown-rump length) nel corso dell’indagine ecografica del primo trimestre. Quando la misura del CRL non coincide con l’epoca gestazionale è fondamentale raccogliere un’accurata anamnesi della paziente. In particolare, l’epoca gestazionale potrebbe non essere esatta nelle seguenti circostanze: • se la gravidanza è insorta in seguito a fecondazione in vitro (in N O G Tabella 2 Cause di ritardo di crescita intrauterino Materne Trombofilia •Congenita: fattore V di Leiden, protrombina anomala, MTHFR •Acquisita: sindrome da anticorpi antifosfolipidi Patologie vascolari •Ipertensione •Preeclampsia •Collagenopatie Patologie renali •Glomerulonefrite •Nefrite lupica •Trapianto renale Problemi nutrizionali •Ridotto aumento di peso in gravidanza •Patologie gastrointestinali Altre patologie •Diabete mellito tipo I e II •Diabete gestazionale •Cardiopatie •Anemia mediterranea Placentari Fetali Infarti multipli Anomalie cromosomiche • Trisomia 13,18,21 • Monosomia X Anomalie del cordone ombelicale Malformazioni congenite • Cardiopatie congenite • Anencefalia • Onfalocele, gastroschisi • Agenesia/displasia renale Gravidanza multipla • Gravidanze monocoriali • Trasfusione feto-fetale Inserzione anomala del cordone Placenta previa Infezioni • CMV • TOXO • RUBEO 13 GINECOLOGIA N O G 14 tal caso occorre informarsi sulla data dell’embryo transfer per calcolare l’epoca gestazionale effettiva); • se la paziente non ricorda con certezza la data dell’ultima mestruazione; • se la paziente ha i cicli mestruali irregolari; • se sono trascorsi meno di 3 cicli mestruali dalla precedente gravidanza, dalla fine dell’allattamento o dall’interruzione di una terapia estroprogestinica. In tutti questi casi sarà opportuno ridatare ecograficamente la gravidanza. Quando la data dell’ultima mestruazione è certa e l’epoca gestazionale è in disaccordo con la misura del CRL, prima di ridatare la gravidanza è utile ricontrollare la velocità di crescita fetale a distanza di 2 settimane. Se la crescita è concorde con il precedente esame ecografico, si può procedere alla ridatazione in base ai dati biometrici rilevati, ma se la velocità di crescita è rallentata è necessario valutare la possibilità che si sia instaurato uno IUGR precoce (early IUGR). Gravidanze gemellari L’ecografia del primo trimestre è di notevole importanza per stabilire la corionicità e l’amnionicità nelle gravidanze gemellari: in queste valutazioni essa raggiunge oggi un’affidabilità di circa il 95%. Il metodo migliore per determinare la corionicità mediante l’ecografia del primo trimestre, in particolare tra l’11a e la 13a+6gg settimana, consiste nell’esaminare il punto d’impianto della membrana che separa i due feti sulla placenta: a questo livello, nelle gravidanze gemellari bicoriali è possibile apprezzare la presenza di una proiezione triangolare di tes- suto placentare (segno lambda) (figura 1), non visibile nelle gravidanze monocoriali (segno T). Poiché con l’avanzare della gravidanza il segno lambda diventa progressivamente più difficile da identificare, nelle epoche successive al primo trimestre la definizione della corionicità risulta più complicata. La diagnosi di corionicità e di amnioticità è particolarmente importante ai fini gestionali poiché le gravidanze monocoriali sono maggiormente esposte al rischio di complicanze, come l’aborto spontaneo, la mortalità perinatale, il ritardo di crescita, il parto pretermine e i difetti strutturali. Nelle gravidanze gemellari il rischio di sviluppare un ritardo di crescita è più elevato (incidenza ~20% nelle bicoriali e 30% nelle monocoriali) rispetto a quanto osservabile in quelle singole (incidenza 5%). Tra i fattori in causa vanno ricordate, in particolare, la sindrome da trasfusione feto-fetale (TTTS) e lo IUGR selettivo. • TTTS: è una delle cause di ritardo della crescita nelle gravidanze monocoriali biamniotiche e dipende dal flusso unidirezionale che si viene a creare tra le anastomosi artero-venose placentari che favorisce il passaggio di sangue da un gemello (donatore) verso l’altro (ricevente). Nella TTTS classica il gemello donatore diventa progressivamente anemico, ipoteso, ipovolemico e sviluppa oligoidramnios e ritardo di crescita. Contemporaneamente, il gemello ricevente diventa policitemico, iperteso e ipervolemico con polidramnios severo. Nel corso dell’ecografia del primo trimestre è possibile individuare alcuni marker considerati segni precoci di TTTS, come una discrepanza nella misura del CRL e della translucenza nucale (NT) tra i due feti. Il rischio di sviluppare una TTTS è superiore al 30% in presenza di una differenza in NT ≥20% e si riduce a meno del 10% nei casi in cui la differen- Figura 1 Gravidanza gemellare bicoriale: segno lambda GINECOLOGIA za in NT è <20%. Altri segni precoci sono costituiti da un’anomalia dell’onda velocimetrica del dotto venoso del gemello ricevente e da un ripiegamento della membrana che separa i sacchi gestazionali, indice di precoce discrepanza del volume di liquido amniotico tra i due feti. • IUGR selettivo: è osservabile in circa il 10% delle gravidanze gemellari; i casi di IUGR selettivo sono più frequenti nelle gravidanze bicoriali e sembrano essere dovuti a una placentazione anomala. Nelle gravidanze monocoriali è spesso difficile operare una distinzione tra TTTS e IUGR selettivo. In questo caso, come per le gravidanze singole, potrebbe essere importante l’analisi dei marker biochimici nel corso del primo trimestre. Uno studio recente sottolinea come i valori della proteina s-FLIT risultino aumentati sia nelle gravidanze singole che in quelle multiple a rischio di IUGR2. Lo screening per le cromosomopatie dell’11a-13a+6gg L’ecografia settimana risulta fondamentale non solo per la corretta datazione della gravidanza, ma anche per la possibilità di effettuare lo screening per le cromosomopatie, ossia il Bi-test o Duo-test. Il Bi-test è un esame statistico che utilizza una tecnica combinata: • la rilevazione della translucenza nucale (reperto ecografico corrispondente alla raccolta di fluido presente dietro al collo fetale); • il dosaggio di due proteine placentari presenti nel circolo materno, ossia la free beta-HCG (frazione libera della gonadotropina corionica) e la PAPP-A (Proteina A plasmatica associata alla gravidanza). Queste variabili vengono elaborate da un apposito software statistico che calcola il rischio “personalizzato” di avere un feto affetto da un’anomalia cromosomica. Il test ha una sensibilità del 90%, ma oggi, grazie all’inclusione di nuovi marker ecografici come l’osso nasale, il dotto venoso, la flussimetria della tricuspide e l’angolo facciale, si raggiunge un valore di circa il 95%. Nuovi marker biochimici Negli ultimi anni, numerosi studi hanno posto la loro attenzione sui marker biochimici del primo trimestre e sul loro valore predittivo non solo per la diagnosi di feti a rischio di cromosomopatie, ma anche per lo screening di gravidanze a rischio per altre patologie ostetriche come la preeclampsia (PE) e il ritardo di crescita intrauterino (IUGR/SGA). PAPP-A e beta HCG Un trial multicentrico condotto nel 2008 da Spencer et al3 su 46.262 gravidanze ha analizzato il rapporto tra i livelli di PAPP-A e beta-HCG rilevati nel primo trimestre e lo sviluppo di SGA: i valori dei due marker, espressi in MoM (multiples of the expected normal mediana), sono stati correlati all’epoca gestazionale, al peso materno, all’etnia e all’abitudine al fumo di sigaretta. Lo studio ha evidenziato i seguenti aspetti: • l’incidenza di SGA è maggiore in donne di origine afro-caraibica e indiana rispetto a quelle di origine caucasica; • la percentuale di feti SGA è au- mentata nelle fumatrici; • la frequenza di SGA è inversamente proporzionale al peso materno; • esiste un rapporto inversamente proporzionale tra i valori di PAPP-A nel primo trimestre e il rischio di sviluppare un ritardo di crescita, mentre non esiste alcuna correlazione statisticamente significativa con i valori di beta-HCG. La PAPP-A è una glicoproteina che presenta una notevole somiglianza con la IGFBP-4-proteasi (proteasi dell’insulin-like growth factorbinding protein 4), prodotta dai fibroblasti e dotata di un effetto inibitorio sulla proteina IGFBP-4 che, a sua volta, blocca l’azione del fattore di crescita IGF-4 inibendo così la proliferazione cellulare. Bassi livelli di PAPP-A determinano una riduzione dei livelli di IGF e un aumento dei livelli di IGFBP44. L’IGF influenza la crescita fetale tramite il controllo del metabolismo degli aminoacidi e del glucosio e anche l’invasione del trofoblasto mediante un meccanismo autocrino e paracrino5. Numerosi studi hanno ricercato l’esistenza di un’associazione tra PAPP-A e peso fetale e molti hanno riportato che bassi livelli di PAPP-A nel sangue materno nel corso del primo trimestre possono essere utilizzati per selezionare gravidanze a rischio di IUGR6. PlGF (placental growth factor) Il PlGF è un membro della famiglia dei fattori di crescita vascolari endoteliali (VEGF - vascular endothelial growth factor) che svolge un ruolo chiave nei processi angiogenetici del periodo embrionale. Come la PAPP-A, esso presenta valori plasmatici ridotti tra l’11a e la 13a+6gg setti- N O G 15 GINECOLOGIA N O G mana nelle gravidanze che sviluppano successivamente un ritardo di crescita. Inoltre, nelle gravidanze normali esiste un’associazione statisticamente significativa tra le concentrazioni di PAPP-A e di PlGF e il peso alla nascita7. Utilizzando il dosaggio della PAPP-A e del PlGF in uno screening combinato del primo trimestre allo scopo di selezionare feti a rischio di IUGR/SGA si ottiene una sensibilità del 27%, con una percentuale di falsi positivi del 5%. Questi dati mostrano che il peso alla nascita è determinato dallo sviluppo placentare nelle fasi precoci della gravidanza e che nelle pazienti con feti a rischio di IUGR le proteine implicate nei processi di placentazione risultano alterate già nel corso del primo trimestre. ADAM 12 (A disintegrin and metalloprotease 12) L’ADAM 12 è una proteina di origine placentare coinvolta nello sviluppo e nella crescita feto-placentare e dotata di attività proteasica nei confronti delle IGFBP 3-5 che regolano la biodisponibilità dell’IGF. Essa viene attualmente considerata un nuovo marker sierologico per la sindrome di Down e la trisomia 18 nel corso del primo8 e del secondo trimestre9; inoltre, studi recenti hanno correlato i valori di questa proteina al ritardo di crescita e alla PE10. Utilizzo combinato dei marker: quali risultati? Uno studio condotto da Pihl et al1 nel 2008 ha valutato la possibilità di allestire un test di screening per i feti a rischio di SGA attraverso l’analisi dei livelli di PAPP-A, beta-HCG e ADAM 12 nel primo trimestre evidenziando i seguenti aspetti: • nelle gravidanze che sviluppano SGA i livelli plasmatici dei tre marker considerati sono ridotti rispetto ai controlli; • la beta-HGC non è direttamente correlata ai feti SGA, ma probabilmente si riduce a causa dell’insufficienza placentare; • combinando i valori di PAPP-A e beta-HCG si ottiene una sensibilità di circa il 26% per i feti SGA, con una percentuale di falsi positivi del 5%; • aggiungendo al test anche la determinazione dei livelli di ADAM 12, si raggiunge una sensibilità di circa il 39% con il 10% di falsi positivi (tabella 3). È importante sottolineare che i valori plasmatici di tutte queste proteine placentari sono influenzati da numerosi fattori e possono variare anche in presenza di altre complicanze della gravidanza (PE, parto pretermine, aborto spontaneo). Quindi, per elaborare un test di screening che abbia una buona specificità è necessario utilizzare più marker sierici, correlarli con i dati anamnestici delle pazienti e con marcatori ecografici. Questi test potrebbero essere utilizzati al fine di individuare precocemente le pazienti che necessitano di un intenso monitoraggio e di eventuali interventi terapeutici preventivi. La velocimetria doppler delle arterie uterine Dal punto di vista ecografico, lo studio della velocimetria Doppler delle arterie uterine già a partire dal primo trimestre sembra avere un ruolo importante nel selezionare gravidanze a rischio di PE e IUGR. Studi istologici effettuati su tessuti placentari ottenuti da materiale abortivo hanno dimostrato che l’indice di pulsatilità (PI) delle arterie uterine è inversamente Tabella 3 Marker biochimici per lo screening precoce del ritardo di crescita intrauterino 16 Autori Marker Risultati Ong, 2000 Krantz, 2004 Spencer, 2008 PAPP-A PIGF Pihl, 2008 ADAM 12 Spencer, 2008 Beta HCG Bassi livelli di PAPP-A nel sangue materno nel corso del primo trimestre possono essere utilizzati per selezionare gravidanze a rischio di IUGR. Tra l’11a e la 13a+6gg settimana i livelli plasmatici di PlGF sono ridotti nelle gravidanze che svilupperanno un ritardo di crescita fetale. I valori ematici dell’ADAM 12 sono ridotti nelle gravidanze che svilupperanno un ritardo di crescita fetale. La beta-HGC non è direttamente correlata allo SGA, ma probabilmente si riduce a causa dell’insufficienza placentare. GINECOLOGIA proporzionale alla percentuale di È stato dimostrato che il Doppler >al 95° centile; tuttavia, combivasi che hanno subito l’invasiodelle arterie uterine nel primo trinando questo valore con la stone trofoblastica11. mestre ha una modesta utilità ria clinica della paziente e alcuni Queste osservazioni sembrano nell’identificare gravidanze a rimarker biochimici si raggiunge supportare la tesi che indica la schio di PE e IUGR: la sua sensiuna sensibilità del 75-90%, con possibilità di dimostrare la relabilità, infatti, è pari a circa il 25% una percentuale di falsi positivi zione tra invasione trofoblastica se si utilizza come cut-off un PI del 10%15. e alterazioni flussimetriche già nei primi mesi di Figura 2 Velocimetria Doppler delle arterie uterine gravidanza. Di conseA. Primo trimestre B. Secondo trimestre guenza, l’analisi precoce della velocimetria DopA pler delle arterie uterine può essere utile per predire future complicanze della gravidanza, come lo sviluppo di uno IUGR e l’insorgenza di PE. In passato, numerosi studi hanno dimostrato l’associazione tra l’aumento delle resistenze nelle arterie uterine nel secondo trimestre e il successivo sviluppo di IUGR e PE12. Tuttavia, selezionare le pazienti a rischio nel secondo trimestre potrebbe risultare inutile ai fini preventivi perché troppo tardivo; infatti, riB scontri pubblicati in letteratura hanno dimostrato l’inefficacia del trattamento con basse dosi di ASA iniziato nel secondo trimestre13. Per questo, negli ultimi anni numerosi studi si sono proposti di valutare l’utilità della velocimetria Doppler delle arterie uterine già a partire dal primo trimestre, in modo da selezionare anzitempo le gravidanze ad alto rischio che necessitano di un monitoraggio e di un trattamento precoce 14 (figura 2). N O G 17 GINECOLOGIA N O G In definitiva, alla luce di questi riscontri, si ritiene che lo screening per le aneuploidie eseguito tra l’11a e la 14a settimana di gestazione potrebbe essere ampliato, offrendo alla paziente anche una valutazione del rischio di PE e IUGR attraverso lo studio combinato della velocimetria Doppler delle arterie uterine e il dosaggio plasmatico di alcune proteine placentari. L’identificazione precoce di queste pazienti può migliorare l’esito della gravidanza, dal momento che un monitoraggio intensivo materno-fetale può consentire la diagnosi precoce dei segni clinici della malattia e dei disturbi della crescita fetale, evitando l’insorgenza di gravi com- plicanze. Questo traguardo rappresenta, inoltre, la base di futuri studi indirizzati ad approfondire il ruolo dei trattamenti farmacologici, i quali, se instaurati già nel primo trimestre, possono avere un impatto positivo sul processo di placentazione e, conseguentemente, sulla prevalenza della malattia. Bibliografia 18 1. Pihl K, Larsen T, Krebs L et al. First trimester maternal serum PAPP-A, β-hCG and ADAM12 in prediction of small-for-gestational-age fetuses. Prenat Diagn 2008; 28: 1131-35. 2. Nevo O, Many A, Xu J et al. Placental expression of soluble fmslike tyrosine kinase 1 is increased in singletons and twin pregnancies with intrauterine growth restriction. J Clin Endocrinol Metab 2008; 93, 1: 285-92. 3. Spencer K, Cowans NJ, Avgidou et al. First-trimester biochemical markers of aneuploidy and the prediction of small-for-gestational age fetuses. Ultrasound Obstet Gynecol 2008; 31: 15-9. 4. Lawrence JB, Oxvig C, Overgaard MT et al. The insulin-like growth factor (IGF)-dependent IGF binding protein-4 protease secreted by human fibroblasts is pregnancy-associated plasma protein-A. Proc Natl Acad Sci 1999; 96: 3149-53. 5. Smith GCS, Stenhouse EJ, Crossley JA et al. Early pregnancy levels of pregnancy-associated plasma protein A and the risk of intrauterine growth restriction, premature birth, preeclampsia, and stillbirth. J Clin Endocrinol Metabol 2002; 87: 1762-7. 6. Ong CYT, Liao AW, Spencer K et al. First trimester maternal serum free β human chorionic gonadotropin and pregnancy associated plasma protein A as predictors of pregnancy complications. BJOG 2000; 107: 1265-70. 7. Poon LC, Zaragoza E, Akolekar R et al. Maternal serum placental growth factor (PlGF) in small for gestational age pregnancy at 11 (+0) to 13 (+6) weeks of gestation. Prenat Diagn 2008; 28: 1110-5. 8. Laigaard J, Sorensen T, Frohlich C et al. ADAM12: a novel firsttrimester maternal serum marker for Down syndrome. Prenat Diagn 2003; 23: 1086-91. 9. Christiansen M, Spencer K, Laigaard J et al. ADAM 12 as a second-trimester maternal serum marker in screening for Down syndrome. Prenat Diagn 2007; 27: 611-5. 10. Spencer K, Cowans NJ. ADAM12 as a marker of trisomy 18 in the first and second trimester of pregnancy. J Matern Fetal Neonatal Med 2007; 20: 645-50. 11. Prefumo F, Sebire NJ, Thilaganathan B. Decreased endovascular trophoblast invasion in first trimester pregnancies with highresistance uterine artery Doppler indices. Human Reprod 2004; 19: 206-9. 12. Bower S, Schuchter K, Campbell S. Doppler ultrasound screening as part of routine antenatal scanning: prediction of preeclampsia and intrauterine growth retardation. Br J Obstet Gynaecol 1993; 100, 11: 989-94. 13. Yu CK, Papageorghiou AT, Parra M et al. Fetal Medicine Foundation Second Trimester Screening Group. Randomized controlled trial using low-dose aspirin in the prevention of pre-eclampsia in women with abnormal uterine artery Doppler at 23 weeks’ gestation. Ultrasound Obstet Gynecol 2003; 22, 3: 233-9. 14. Parra M, Rodrigo R, Barja P et al. 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OIRM-Sant’Anna - Torino I l termine “malattie neuromuscolari” comprende un ampio spettro di patologie che interessano l’unità motoria e che si manifestano con disturbi della postura e del movimento di tipo e grado variabili. A seconda della componente dell’unità motoria primariamente colpita si distinguono malattie ereditarie o acquisite che interessano il motoneurone spinale, il nervo periferico o la fibra muscolare (figura 1). I costanti progressi raggiunti in campo medico, chirurgico e farmacologico hanno consentito di ottenere sostanziali miglioramenti in termini di qualità di vita e, pertanto, non è inconsueto che queste pazienti esprimano il desiderio di affrontare una gravidanza: in tal caso è essenziale dedicare una particolare attenzione all’influenza reciproca che viene a stabilirsi tra status gravidico e malattia di base. Patologie ereditarie La maggior parte delle informazioni riguardanti le correlazioni tra malattie neuromuscolari croniche e gravidanza si basa su lavori retrospettivi poiché solo di rado sono stati effettuati studi che rispondono ai criteri della medicina evidence-based. Abbiamo, comunque, cercato di raccogliere tutti i dati al momento disponibili, evidenziando i contesti in cui la letteratura non fornisce i ragguagli richiesti e che richiedono, pertanto, ulteriori ricerche (tabella 1). Neuropatie motorie e sensoriali ereditarie Le neuropatie motorie e sensoriali ereditarie (Malattia di CharcotMarie-Tooth o CMTD) sono i più comuni disordini neuromuscolari ereditari, con una prevalenza di 36 su 100.000 soggetti. Effetti sulla fertilità… Non sono stati effettuati studi specifici sulla fertilità nelle donne affette da CMTD. … sulla gravidanza… La probabilità che una donna affetta da CMTD porti a termine la gravidanza non differisce significativamente da quella osservabile nella popolazione sana: i tassi di aborto precoce e di parto pretermine non risultano incrementati, soprattutto nella forma demielinizzante della malattia (CMTD-1), anche nei casi sintomatici già prima della gravidanza1. Allo stesso modo, nei nati da donne con CMTD la mortalità perinatale e il tasso di anomalie fetali non appaiono aumentati2. Durante la gravidanza, non è stata rilevata alcuna accentuazione di eventuali complicanze ostetriche, mentre è stata riscontrata una mag- 19 NEUROLOGIA N O G Figura 1 Classificazione delle patologie neuromuscolari croniche in gravidanza Patologie neuromuscolari croniche in gravidanza Patologie del motoneurone spinale • SMA III (malattia di Kugelberg-Welander) Patologie del nervo periferico Patologie della fibra muscolare Forme ereditarie • CMTD (malattia di Charcot-Marie-Tooth) F Forme acquisite i it • GBS (sindrome di Guillain-Barrè) • CIDP (polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica) Miastenie • MG ((miastenia g grave)) Distrofie muscolari • FSHD (distrofia facio-scapolo-omerale) • LGMD (distrofia del cingolo pelvico)) p Distrofie miotoniche • DM1 • DM2 Miopatie congenite Miopatie infiammatorie idiopatiche • DM (dermatomiosite) • PM (polimiosite) giore frequenza di presentazioni anomale e, conseguentemente, di parti operativi (ventosa o forcipe) e di tagli cesarei; infine, risulta aumentato il rischio di emorragia postpartum da atonia uterina2. In caso di anestesia generale deve essere evitato l’uso della succinilcolina, poiché può indurre iperkaliemia e aggravare lo status neurologico3, mentre il ricorso all’analgesia epidurale non è controindicato4. 20 … e della gravidanza Uno studio effettuato su donne gravide affette da CMTD-1 ha evidenziato un’esacerbazione dei sin- tomi legati alla patologia nel 38% dei casi; tale aggravamento è stato solo temporaneo nel 35% delle donne, mentre nel 65% è risultato progressivo1. L’esacerbazione della sintomatologia è più frequente nelle donne divenute sintomatiche nell’adolescenza rispetto alle donne divenute sintomatiche ad età più avanzate; l’esacerbazione dei sintomi in una gravidanza aumenta inoltre il rischio di esacerbazioni nelle gravidanze successive. I meccanismi proposti per spiegare la tendenza all’aggravamento della sintomatologia in gravidanza sono l’aumento dei livelli di pro- gesterone5, l’edema endoneurale e gli effetti esercitati dalla pressione dell’utero gravido4. Distrofie miotoniche Le distrofie miotoniche sono malattie multisistemiche che colpiscono prevalentemente il muscolo scheletrico e, in varia misura, altri tessuti. Ne sono state identificate due forme, entrambe a trasmissione autosomica dominante e caratterizzate dall’espansione abnorme di una sequenza di nucleotidi: la DM1 o distrofia di Steinert ha un’incidenza di 1/10.000 nati vivi ed è la distrofia muscolare più frequentemente osservabile nelle NEUROLOGIA N O G Tabella 1 Caratteristiche delle principali patologie neuromuscolari ereditarie in gravidanza Ridotta fertilità nelle donne Aumentato rischio di aborto Aumentato rischio di parto pretermine Aumentato rischio di parto operativo Aumentato rischio di morte perinatale/altri rischi per il feto Esacerbazione dei sintomi in gravidanza CMTD nd - - + + + DM1 +/- - + + + + DM2 nd - + nd - + FSHD nd - - + nd + Miopatie congenite nd nd +/- nd nd + LGMD nd nd nd nd nd + SMA nd nd + nd nd + CMTD=Malattia di Charcot-Marie-Tooth; DM1=Distrofia miotonica tipo 1 o distrofia di Steinert; DM2=Distrofia miotonica tipo 2 o proximal myotonic myopathy (PROMM); FSHD=Distrofia facio-scapolo-omerale; LGMD=Distrofia del cingolo pelvico; nd=Dati non disponibili; SMA=Atrofia muscolare spinale. donne gravide; include forme congenite gravissime, forme infantili gravi e forme adolescenziali e adulte, più comuni. La DM2, anche detta proximal myotonic myopathy (PROMM) è più rara e non presenta forme congenite. Effetti sulla fertilità… L’atrofia delle gonadi e la conseguente infertilità sono comuni negli uomini affetti da DM, mentre il tema della fertilità femminile è ancora controverso. Alcuni studi hanno rilevato una ridotta fertilità associata a disordini del ciclo mestruale6 o correlata a disfunzione gonadica7, mentre in uno studio caso-controllo effettuato in un’area geografica contrassegnata da una prevalenza eccezionalmente alta di DM1 non è stata riscontrata alcuna correlazione tra questa malattia e la fertilità femminile8. … sulla gravidanza... Il tasso di abortività precoce in donne gravide affette da DM non è aumentato in modo significativo rispetto a quello della popolazione di donne gravide sane (11% nella DM19, 13% nella DM210), mentre è aumentato significativamente il tasso di aborti spontanei tardivi in donne affette da DM1 già clinicamente sintomatiche al momento della gravidanza (4%). Nella DM1 si osserva anche un maggior rischio di gravidanze ectopiche (4% di tutte le gravidanze) che può essere correlato alla ridotta motilità tubarica dovuta al coinvolgimento della muscolatura liscia che caratterizza questa miopatia rispetto alle altre9. In entrambe le forme di DM risulta invece fortemente aumentato il tasso di parti pretermine, che raggiunge il 50% nelle donne già clinicamente sintomatiche durante la gravidanza: nella DM1, in particolare, il 20% delle gravidanze termina prima delle 34 settimane di età gestazionale e il 30% fra le 35 e le 38 settimane9. I motivi di questa predisposizione restano in larga parte ignoti: nella DM1 sembrerebbe essere in causa un “contributo fetale”, dal momento che il rischio di parto pretermine è particolarmente elevato nelle gravidanze in cui il feto è portatore del difetto genetico11; d’altra parte, poiché la frequenza di parto pretermine appare decisamente incrementata nelle donne sintomatiche, il coinvolgimento dei muscoli della parete addominale e del pavimento pelvico potrebbe svolgere un ruolo determinante. Nella DM1 è stato osservato un elevato tasso di mortalità perinatale (fino al 15%) che sembra però riferibile, in larga parte, ai feti affetti da DM congenita e dunque imputabile al rischio genetico9. Questa conclusione è supportata dall’osservazione di 79 gravidanze di donne affette da DM2, nessuna delle quali è risultata associata a morte perinatale10. Nella DM1 sono stati inoltre riscontrati un lieve aumento del rischio di preeclampsia9,12, un elevato tas- 21 NEUROLOGIA N O G so di polidramnios nelle gravidanze con feti affetti dalla patologia (dovuto alla ridotta deglutizione del liquido amniotico) 11, un rischio di placenta previa aumentato di 10 volte rispetto alle gravidanze in donne sane9 (probabilmente dovuto a una disfunzione della muscolatura uterina) e una maggior frequenza di infezioni delle vie urinarie (13%) 9, forse correlabile alla debolezza della muscolatura del pavimento pelvico. Sempre nella DM1 - a differenza di quanto evidenziabile nella DM210 - si osserva un incremento del tasso di parti operati- fette da DM1 ha riportato un aggravamento della sintomatologia durante la gravidanza; tuttavia, in alcuni casi, il peggioramento era transitorio e correlato all’incremento ponderale; gli autori hanno pertanto concluso che l’esacerbazione della debolezza muscolare in gravidanza è rilevante solo in una piccola frazione di pazienti. Alcune donne con sintomatologia rimasta stabile durante la gravidanza hanno invece notato un aggravamento della debolezza nel puerperio. Ciononostante si può complessivamente affermare che la gravidanza non aggrava il decorso globale della malattia. Al contrario, lo stato gravidico tende a peggiorare i sintomi della DM2 (anche se spesso i disturbi si risolvono nel puerperio) e sono stati riportati numerosi casi di donne in cui la malattia è esordita proprio nel corso della gravidanza10,14. È frequente l’esacerbazione della sintomatologia durante la gravidanza. vi e di tagli cesarei, indipendentemente dal fatto che il feto sia o meno affetto dalla patologia9,11, e del rischio di emorragia postpartum legata ad atonia uterina9. Nella DM dovrebbero essere evitati i farmaci miorilassanti depolarizzanti, che possono determinare severi spasmi muscolari generalizzati. Devono inoltre essere utilizzati con cautela i barbiturici e gli oppiacei, verso i quali i soggetti con DM sono ipersensibili e dunque a rischio di depressione respiratoria. Il trattamento tocolitico con agonisti beta-adrenergici come la ritodrina può causare un peggioramento della miotonia e rabdomiolisi13. 22 … e della gravidanza In uno studio retrospettivo condotto da Rudnik-Schöneborn et al11 circa il 30% delle donne af- Distrofia facio-scapoloomerale, distrofia del cingolo pelvico e miopatie congenite • Distrofia muscolare facio-scapolo-omerale (FSHD); è una patologia ereditaria a trasmissione autosomica dominante; con una prevalenza di 1 su 20.000 è la seconda distrofia muscolare più comune nell’età adulta. È caratterizzata dalla progressiva riduzione e indebolimento della muscolatura facciale e del cingolo scapolare; l’evoluzione è lenta e solo il 20% dei pazienti necessita della sedia a rotelle nel corso della vita15. • Distrofia muscolare del cingolo pelvico (LGMD, limb-girdle di- strophy): è una rara miopatia ereditaria a trasmissione variabile caratterizzata dal progressivo indebolimento della muscolatura del cingolo pelvico. • Miopatie congenite: sono un gruppo eterogeneo di disordini rari contrassegnati da ereditarietà e progressione della malattia variabili. Effetti sulla fertilità… Non sono stati effettuati studi specifici sulla fertilità nelle donne affette da FSHD, LGMD e miopatie congenite. … sulla gravidanza… Il tasso di aborto spontaneo e quello di parto pretermine16,17 non sono risultati aumentati nelle donne affette da FSHD. I nati da madri con tale patologia hanno un’aumentata incidenza di basso peso (<2500 g) alla nascita, ma la mortalità perinatale è invariata rispetto alla popolazione generale. Nella FSHD è stato inoltre riscontrato un aumento del tasso di parti operativi e di tagli cesarei17, probabilmente imputabile alla debolezza della muscolatura addominale caratteristica di questa patologia, che influisce negativamente sulla seconda fase del travaglio. Anche nella LGMD il ricorso al taglio cesareo appare più frequente rispetto alla popolazione sana, ma in modo non statisticamente significativo16; la causa di tale incremento potrebbe essere l’atrofia muscolare generalizzata che caratterizza questa patologia. Non sono stati condotti studi specifici sugli effetti avversi dei farmaci utilizzati durante la gravidanza o il travaglio nelle donne affette da FSHD o da LGMD. NEUROLOGIA … e della gravidanza Un’esacerbazione della debolezza muscolare, seguita da una rapida remissione nel puerperio è osservabile nel 24-35% delle gravide affette da FSHD, in quasi tutte le pazienti colpite da LGMD (in questo caso meno del 50% va incontro a una remissione in puerperio) e nel 40% circa delle donne con miopatie congenite16,17. I dati riguardanti la LGMD e le miopatie congenite si basano però su un numero di gravidanze molto ridotto, pertanto le conclusioni qui riportate non possono essere considerate definitive. In gravidanza e nel postpartum possono inoltre aumentare le complicanze respiratorie, soprattutto in presenza di cifoscoliosi18. condotto su 12 pazienti ha dimostrato un’aumentata incidenza di parto prematuro, un prolungamento dei tempi di ricovero nel 50% della casistica e un’esacerbazione della debolezza muscolare in 8 casi, 3 dei quali sono andati incontro a remissione postpartum21. La contrattilità uterina appare conservata, ma in alcune donne è stato necessario espletare il parto mediante taglio cesareo19,20,22. L’anestesia epidurale e spinale non sono controindicate (a meno che non vi siano importanti deformità scheletriche vertebrali), mentre in caso di anestesia generale vanno evitati i miorilassanti depolarizzanti19,22. Anche il magnesio solfato deve essere somministrato con cautela. Disordini del motoneurone: atrofia muscolare spinale L’atrofia muscolare spinale (SMA) è una patologia ereditaria a trasmissione autosomica recessiva che comporta una degenerazione dei motoneuroni spinali. Ne esistono varie forme cliniche: la SMA di tipo I e II (o malattia di WerdnigHoffman) portano generalmente a morte entro il decimo anno di vita, mentre la SMA di tipo III (o malattia di Kugelberg-Welander) ha un decorso lentamente invalidante con modesta riduzione della spettanza di vita e può quindi interessare donne in età riproduttiva. Questa forma si manifesta con deficit della forza, atrofia della muscolatura dei cingoli, andatura anserina e lieve aumento della CK sierica. In letteratura sono riportati alcuni casi di gravidanza portata a termine con successo in donne affette da SMA di tipo III, talora anche in presenza di una marcata disfunzione respiratoria19,20. Uno studio Patologie acquisite I disordini autoimmuni, tra cui quelli neuromuscolari, hanno un’incidenza elevata nelle donne in età fertile. La gravidanza può influenzarne il decorso, determinando spesso una remissione delle condizioni autoimmuni cellulomediate (come la sclerosi multipla), ma altrettanto spesso aggravando le patologie mediate da anticorpi23. Inoltre, in gravidanza si pone il problema dell’effetto della terapia sul feto, che può rendere necessaria la riduzione o la sospensione dei farmaci proprio nel momento in cui la malattia tende ad aggravarsi. Polineuropatie demielinizzanti infiammatorie acute e croniche L’incidenza della polineuropatia demielinizzante infiammatoria acuta (sindrome di Guillain-Barré, GBS) in gravidanza è simile a quella ri- portata nella popolazione generale (0,75-2/100.000/anno), anche se sembra lievemente incrementata nei primi 30 giorni di puerperio24-26. Le infezioni che precedono la GBS nella popolazione generale e nelle donne in gravidanza sono simili: il patogeno più comune è Campylobacter jejuni, seguito dal Citomegalovirus. La gravidanza non sembra influire sul decorso e la gravità della patologia neurologica che non risultano infatti alterati dall’interruzione precoce della medesima27. Il tasso di parto pretermine nelle donne affette da GBS è del 35%24. La mortalità perinatale non appare incrementata ed è stata osservata una normale attività fetale anche quando la madre è completamente paralizzata: questo dato suggerisce che gli anticorpi responsabili della GBS non passano attraverso la placenta28; è tuttavia riportato un caso di GBS neonatale divenuta sintomatica nel dodicesimo giorno di vita e risoltasi completamente in seguito all’infusione di immunoglobuline per via venosa (IVIg)29. Il parto per via vaginale è possibile, dal momento che la contrattilità uterina non è compromessa: pertanto, è raccomandabile espletare il parto mediante taglio cesareo solo su indicazione ostetrica. L’anestesia epidurale è generalmente sicura30, anche se è stato riportato un caso di aggravamento neurologico in seguito ad anestesia epidurale in una donna che aveva sviluppato una GBS nella sesta settimana di gravidanza31. In caso di anestesia generale, devono essere evitati gli agenti depolarizzanti in quanto possono provocare iperkaliemia30,32. La plasmaferesi e le IVIg sono ugualmente efficaci nel trattamen- N O G 23 NEUROLOGIA N O G to della GBS33 e possono essere utilizzate con sicurezza in gravidanza24,25,27,34,35; la plasmaferesi può però alterare il volume ematico e causare ipotensione (condizione potenzialmente pericolosa per la madre e per il feto)36, mentre i principali rischi delle IVIg in gravidanza sono il tromboembolismo e la nefropatia da IgA. In questa patologia, inoltre, è di fondamentale importanza la terapia di supporto, che include uno stretto monitoraggio della funzionalità respiratoria e cardiaca (fino all’intubazione elettiva, qualora necessaria) e la profilassi della trombosi venosa profonda con eparina a basso peso molecolare. La polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica (CIDP) è una condizione rara nelle donne in età riproduttiva. A differenza di quanto avviene nella GBS, la gravidanza può aggravare la sintomatologia e il decorso della patologia neurologica: in uno studio retrospettivo condotto su 15 gravidanze in 9 donne affette da CIDP, 4 pazienti hanno manifestato per la prima volta i sintomi della malattia nel corso della gravidanza, mentre nelle altre 5 si è riscontrato un aggravamento della sintomatologia37. Le esacerbazioni, il cui rischio è massimo nel terzo trimestre e nell’immediato postpartum, possono essere trattate con plasmaferesi e/o IVIg; per il trattamento a breve termine della CIDP possono essere utilizzati anche i cortisonici per via orale o endovenosa38,39, mentre l’azatioprina è controindicata in gravidanza (ca- Tabella 2 Categorie Food and Drug Administration di rischio correlato all’uso dei farmaci in gravidanza Categoria A B C D X 24 Caratteristiche Studi controllati su donne gravide non hanno dimostrato rischi per il feto nel primo trimestre e non vi sono evidenze di rischi nei trimestri successivi. Studi su animali non hanno mostrato rischi per il feto, ma non vi sono studi controllati su donne gravide oppure gli studi su animali hanno mostrato effetti avversi non confermati in studi controllati su donne gravide nel primo trimestre e non vi sono evidenze di rischi nei trimestri successivi”. Studi su animali hanno dimostrato un effetto avverso sul feto, ma non vi sono studi controllati nelle donne oppure non sono disponibili studi su donne e animali. Il farmaco deve essere usato in gravidanza solo se il rischio potenziale per il feto è giustificato dal beneficio clinico ottenibile. Vi sono evidenze di rischi fetali umani, ma il beneficio derivante dall’uso nelle donne gravide può essere accettabile nonostante il rischio. Studi su animali e sull’uomo hanno dimostrato l’insorgere di anomalie fetali oppure vi sono evidenze di rischio fetale sulla base dell’esperienza e il rischio chiaramente supera il possibile beneficio. Il farmaco è controindicato in gravidanza e nelle donne in età fertile. tegoria D della Food and Drug Administration, tabella 2). Nonostante la scarsità di dati, la CIDP non sembra comportate effetti avversi sul feto e sul decorso della gravidanza. Miastenia grave La miastenia grave (MG) è un disordine cronico autoimmune caratterizzato da debolezza muscolare e affaticabilità di grado variabile, causato dallo sviluppo di autoanticorpi diretti contro i recettori nicotinici dell’acetilcolina presenti nella porzione postsinaptica delle giunzioni neuromuscolari. Nelle donne gravide la malattia ha un’incidenza di 1/20.00040. La maggior parte delle donne affette da MG porta a termine la gravidanza con successo e partorisce un neonato sano; nel corso della gravidanza possono tuttavia insorgere alcune complicanze rare, ma significative. Effetti sulla gravidanza… L’incidenza di parto pretermine in pazienti con MG è variabile: in uno studio effettuato per valutare gli outcome della gravidanza in pazienti miasteniche, il 36,5% dei casi è esitato in un parto pretermine, definito come parto avvenuto prima delle 37 settimane di età gestazionale o con peso neonatale inferiore a 2500 g41. Altri studi, invece, non hanno riscontrato un incremento dell’incidenza di parto pretermine42. Il rischio globale di seri difetti fetali non è risultato aumentato rispetto a quanto osservabile nella popolazione generale. Esistono, però, due possibili complicanze caratteristiche della MG, entrambe dovute al passaggio transplacentare degli anticorpi materni diretti contro i recettori dell’acetilcoli- NEUROLOGIA na dei muscoli scheletrici, ossia l’artrogriposi multipla congenita e la miastenia grave neonatale. • Artrogriposi multipla congenita: è una condizione rara che tuttavia arriva a manifestarsi nel 2,2% delle gravidanze di donne affette da MG43. Il feto sviluppa contratture articolari multiple dovute alla carenza di movimenti nel corso della gravidanza, alle quali possono associarsi un aspetto dismorfico e anomalie del sistema nervoso centrale; talora si verifica morte neonatale dovuta a ipoplasia polmonare. • Miastenia grave neonatale: si manifesta nel 4-12% dei nati da madri affette da MG42,45,46 a partire dalle 12-48 ore successive al parto. Clinicamente si presenta con ipotonia generalizzata e/o difficoltà nella suzione e nella deglutizione; nei casi più severi anche la respirazione può essere compromessa. Quando si manifesta in assenza di anomalie fetali i sintomi sono sempre transitori e si risolvono con la scomparsa degli anticorpi materni (dopo circa un mese, in alcuni casi fino a 4 mesi). In genere il neonato necessita solo di cure di supporto; occasionalmente, si sono dimostrati utili il trattamento con inibitori dell’acetilcolinesterasi o plasmaferesi43. Il rischio di sviluppare ciascuna di queste due entità patologiche è indipendente dalla severità della malattia materna, ma in entrambi i casi vi è un elevato rischio di ricorrenza nelle gravidanze successive44,45. In una casistica di 276 nati vivi il tasso di mortalità perinatale è risultato pari a a 68/1.00041. Nei nati da madri miasteniche, la morta- lità correlata alla presenza di anomalie fetali è significativamente superiore (18/1.000) a quella osservabile nella popolazione generale (2,2/1.000)42. Uno studio epidemiologico relativamente esteso ha evidenziato, nelle donne affette da MG, una maggiore incidenza totale di complicanze gravidiche rispetto alla popolazione generale e, in particolare, una frequenza significativamente aumentata di PROM (rottura pretermine delle membrane amniotiche)46; nel medesimo studio è stato anche riscontrato un tasso di tagli cesarei raddoppiato rispetto ai controlli. La MG non interessa la muscolatura liscia uterina, ma i muscoli striati coinvolti nel travaglio di parto possono mostrare affaticabilità nel periodo espulsivo e rendere quindi necessario un parto operativo con forcipe o ventosa47. In travaglio devono essere evitati i farmaci miorilassanti non depolarizzanti e il magnesio solfato poiché possono causare una profonda debolezza muscolare. Per il trattamento sintomatico in gravidanza è possibile utilizzare i farmaci anticolinesterasici, classificati nella categoria C dalla FDA, ma considerati ragionevolmente sicuri in base all’esperienza clinica e ai vari report pubblicati in letteratura. In questi casi potrebbe essere necessario un adeguamento posologico dovuto alle modificazioni dell’assorbimento intestinale e della clearance renale correlate allo status gravidico43; all’occorrenza, è inoltre possibile utilizzare la somministrazione per via endovenosa o intramuscolare. An- che il prednisone e il prednisolone sono classificati nella categoria C, ma possono essere impiegati con una certa sicurezza in gravidanza48. L’azatioprina (categoria D) e la ciclosporina (categoria C) sono invece da evitare, in quanto rischiose per il feto49. Le esacerbazioni severe della MG in gravidanza possono essere trattate con la plasmaferesi e le IVIg (categoria C)47. N O G … e della gravidanza La gravidanza ha un effetto variabile sul decorso della malattia, ma Il parto per via vaginale è possibile, dal momento che la contrattilità uterina non è compromessa. non sembra peggiorarne l’outcome a lungo termine42. Non è del tutto chiaro se la stabilità o meno della MG prima del concepimento influisca sulla probabilità di andare incontro a un’esacerbazione durante la gravidanza; i principali fattori di rischio per un aggravamento dei sintomi in gravidanza o in puerperio sono un ridotto lasso di tempo tra la diagnosi della patologia e la gravidanza e lo sviluppo di infezioni nel postpartum50. Miopatie infiammatorie idiopatiche Le miopatie infiammatorie idiopatiche, rappresentate principalmente dalla polimiosite (PM) e dalla dermatomiosite (DM), hanno un’incidenza nella popolazione generale di 5-10/100.000 individui. 25 NEUROLOGIA N O G Le donne sono maggiormente interessate rispetto agli uomini e le due fasce di età più colpiti sono quelle tra i 4 e i 15 anni e tra i 40 e i 70 anni; di conseguenza, queste patologie disimmuni che necessitano di un trattamento a lungo termine con agenti immunomodulanti, non sono frequentemente riscontrabili nelle donne in età riproduttiva. In ogni caso, l’outcome della gravidanza in donne affette da tali patologie è strettamente correlato al grado di attività di queste ultime: • le pazienti che durante la gravidanza si trovano in una fase di remissione clinica non sembrano avere un rischio di complicanze materne o fetali incrementato rispetto alla popolazione generale51; • nelle pazienti in fase attiva, il tasso di mortalità fetale è del 43% e quello di restrizione di crescita fetale del 33%; • quando la malattia esordisce nel primo trimestre di gravidanza è stato riscontrato, seppure in una casistica limitata, un tasso di mortalità fetale del 100%52. La PM e la DM non si trasmettono al feto, ma possono causare un incremento del livello di CK neonatale per alcuni mesi53. L’outcome materno è generalmente buono, anche se è stato riportato un caso di decesso dopo un’esacerbazione nel postpartum54. Nelle pazienti in remissione, inoltre, la gravidanza non sembra comportare un aumento del grado di attività della malattia. Le donne affette da miopatie infiammatorie possono partorire per via vaginale, dal momento che la contrattilità uterina non risulta alterata; può però rendersi necessario, in caso di estrema debolezza della muscolatura striata, un parto operativo55 e, se la malattia è in fase attiva, alcuni studi raccomandano il ricorso al taglio cesareo per evitare un eccessivo affaticamento materno e ridurre il rischio di rabdomiolisi e mioglobinuria56. Queste pazienti possono inoltre essere trattate in gravidanza con corticosteroidi e, in caso di resistenza alla terapia, con IVIg52,55. Gli immunosoppressori (azatioprina, metotrexate, ciclofo- sfamide) devono invece essere evitati per la loro potenziale teratogenicità. Conclusioni Alla luce di quanto esposto, appare chiara la difficoltà di trarre conclusioni univoche, dal momento che ciascuna malattia neuromuscolare presenta aspetti peculiari. Quello che tuttavia è certo è che le gravidanze in donne affette da queste patologie devono essere considerate “a rischio” e quindi seguite in un centro di riferimento da un’èquipe multidisciplinare, composta oltre che dal ginecologo-ostetrico anche da un neurologo, un internista, un anestesista e un neonatologo forniti di un’esperienza specifica in quest’ambito, in modo da stabilire l’approccio diagnostico-terapeutico più adatto a ogni singolo caso. È inoltre auspicabile la prosecuzione della ricerca per poter fornire alle donne affette dalle patologie neuromuscolari risposte sempre più soddisfacenti. Bibliografia 26 1. Rudnik-Schoeneborn S, Roehrig D, Nicholson G et al. Pregnancy and delivery in Charcot-Marie-Tooth disease type 1. Neurology 1993; 43: 2011-6. 2. Hoff JM, Gilhus NE, Daltveit AK. Pregnancies and deliveries in patients with Charcot-Marie-Tooth disease. Neurology 2005; 64: 459-62. 3. Brian JE Jr, Boyles GD, Quirk JG Jr et al. 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N O G 27 ONCOLOGIA N O G T erapia ormonale sostitutiva in pazienti con pregresso carcinoma della mammella I timori e le incertezze circa la sicurezza della TOS in questo particolare contesto clinico e la necessità di dare, comunque, una risposta alle pazienti operate per carcinoma mammario che soffrono di sintomi post-menopausali, continua a stimolare la ricerca di trattamenti non ormonali in grado di alleviare la sintomatologia senza interferire sulla prognosi. di Nicoletta Biglia, Paola Sgandurra, Giulia Moggio, Elisa Peano, Valentina Bounous, Piero Sismondi Dipartimento di Ginecologia Oncologica dell’Università degli Studi di Torino, Ospedale Mauriziano “Umberto I” - Torino I 28 l carcinoma della mammella rappresenta il 32% di tutte le neoplasie maligne femminili, ma oggi, grazie ai progressi conseguiti in campo diagnostico e terapeutico, molte donne guariscono o, comunque, hanno un lungo periodo di sopravvivenza dopo l’intervento chirurgico. Poiché circa un quarto di questi tumori colpisce donne di età inferiore ai 50 anni, bisogna tener conto del fatto che se da un lato il significativo miglioramento della prognosi di questa malattia è stato ottenuto anche grazie all’impiego delle terapie adiuvanti, ormonali e/o chemioterapiche, dall’altro esse spesso comportano l’insorgenza di una menopausa precoce. Si calcola che circa il 65% delle donne con pregresso carcinoma mammario soffra di vampate di calore che condizionano in modo anche importante la qualità di vita; altri sintomi frequentemente lamentati sono i di- sturbi del sonno, del tono dell’umore e della sfera sessuale. Anche fra le pazienti già in menopausa al momento della diagnosi l’uso del tamoxifene e degli inibitori dell’aromatasi comporta spesso un peggioramento o una ricomparsa dei sintomi vasomotori, della secchezza vaginale e dell’osteoporosi. Si pone, quindi, il problema di gestire questi disturbi con l’ausilio di un trattamento efficace e al tempo stesso sicuro. La terapia ormonale sostitutiva (TOS) con estrogeni e progestinici sarebbe l’unico trattamento capace di contrastare contemporaneamente tutti i sintomi e i problemi legati alla carenza estrogenica; tuttavia, il suo impiego è considerato controindicato nelle donne con carcinoma mammario per il timore di attivare o accelerare la crescita di micrometastasi occulte o di favorire lo sviluppo di un secondo tumore1. In letteratura: quale sicurezza per la TOS? Il noto studio randomizzato Women Health Initiative Trial (WHI) ha mostrato, nella popolazione generale, un significativo, seppur modesto, aumento del rischio di sviluppare un tumore della mammella nelle donne trattate con estrogeni e progestinici (RR 1,26), mentre la terapia con soli estrogeni non determinerebbe alcun effetto sfavorevole. Gli studi clinici disponibili sull’impiego della TOS in donne con pregresso tumore della mammella, ovviamente molto più limitati, hanno dato risultati discordanti. Nel corso degli anni, infatti, sono stati pubblicati numerosi trial che, sebbene di piccole dimensioni, in genere retrospettivi e senza gruppo di controllo, non hanno dimostrato un aumento del tasso di recidive o di morte in relazione al- ONCOLOGIA l’uso della TOS dopo l’intervento (tabella 1). Una metanalisi di 11 di questi studi, 4 dei quali con gruppo di controllo, per un totale di 214 donne che hanno iniziato la TOS dopo un intervallo di circa 52 mesi dal trattamento chirurgico, ha documentato un tasso annuo di recidive del 4,2% nel gruppo di pazienti che hanno ricevuto estrogeni e del 5,4% in quelle non trattate, con una differenza non statisticamente significativa2. Al contrario, i dati derivanti da studi prospettici randomizzati e controllati con placebo su donne con pregresso tumore mammario sono limitati, ma sfavorevoli, tant’è vero che i trial condotti in questo contesto sono stati prematuramente sospesi. Lo studio americano di Vassilopoulou-Sellin, che prevedeva la somministrazione di soli estrogeni dopo un intervallo di almeno 2 anni dall’intervento in caso di positività recettoriale, ha reclutato 296 pazienti, di cui solo 56 nel braccio estrogeni e 243 nel braccio di controllo, con un tasso di recidive rispettivamente del 3,6% e del 13,5% dopo 5 anni di osservazione3. HABITS e Stockolm: analisi di un’antinomia Nel dicembre 2003 sono stati sospesi i due studi controllati euro- pei HABITS4 e Stockolm5, entrambi condotti in Svezia con un disegno simile. Il reclutamento del trial HABITS era iniziato nel maggio 1997 con l’obiettivo principale di valutare la sicurezza di un trattamento ormonale sostitutivo di due anni in pazienti con pregresso tumore mammario (venivano incluse donne con diagnosi di carcinoma in situ fino a donne con diagnosi di carcinoma mammario al II stadio). La scelta del regime di trattamento ormonale era perlopiù legata alla pratica clinica locale e così sono state usate differenti combinazioni estro-progestiniche con la sola eccezione del tibolone. A causa delle difficoltà di reclutamento, nel 2002 era stato avviato a Stoccolma un secondo trial, analogo al precedente. A settembre 2003 erano state incluse nel trial HABITS 434 donne N O G Tabella 1 TOS in donne con pregresso carcinoma mammario: studi clinici Autore Stoll, 1989 Powles, 1993 Wile, 1993 Di Saia, 1996 VassilopoulouSellin, 1997 Dew, 1998 N pazienti Tipo di TOS (mesi) 67 EC 0,6 mg + P 35 EC 0,6 mg 25 EC 0,6 mg + P 41 TOS EC 0,6 mg 82 CTR + MPA 2,5 mg 49 EC orali 152 106 Guidozzi, 1999 20 Natrajan, 1999 50 TOS 8 CTR Ursic-Vrscaj, 21 TOS 1999 42 CTR E+P Solo P EC 0,6 mg +MPA E + MA 20-40 + androgeni EC + P Durata TOS Tempo fra diagnosi e inizio TOS (mesi) 6 14 31 35 36 84 19 12 36 8-91 28 62 mesi Prognosi (mesi) 0 recidive 2 recidive 3 recidive 6/41 recidive 7/82 recidive 1 recidiva Follow-up 24 43 30 12 DFS: RR 0,99 ns DFS: RR 0,99 ns 0 recidive 24-48 3/50 recidive 84 1/8 recidive 4/21 recidive 5/42 recidive RR per TOS <2 aa =0,65 (0,02-7,85) aa=Anni; CTR=Gruppo di controllo; DFS=Disease-free survival; E=Estrogeni; EC=Estrogeni coniugati; MA=Megestrolo acetato; MPA=Medrossiprogesterone acetato; ns=Non significativo; P=Progestinici. 29 ONCOLOGIA N O G e 345 di queste avevano già completato un anno di follow-up. L’analisi cumulativa dei dati aveva mostrato un aumento globale delle recidive nel gruppo di pazienti trattate con TOS rispetto al gruppo placebo (RR 1,8; IC 95% 1,03-3,10). Tuttavia, i risultati dei due studi, analizzati separatamente, sono contrastanti. Infatti, mentre nell’HABITS il RR di recidiva era di 3,3 (IC 95% 1,5-7,4), nello Stockholm non vi era alcun effetto sfavorevole sulla prognosi di tumore (RR 0,82; IC 95% 0,35-1,9). Diversi fattori potrebbero aver causato queste differenze: il tipo di TOS utilizzata e il fatto che nel trial HABITS erano state incluse un numero inferiore di donne trattate con tamoxifene, ma un maggior numero di pazienti con tumore a recettori estrogenici positivi e con un coinvolgimento linfonodale più elevato. Studi recenti hanno evidenziato come la terapia combinata estroprogestinica comporti un rischio maggiore per lo sviluppo di carcinoma mammario rispetto all’impiego dei soli estrogeni. A questo proposito, il minor tasso di recidive riscontrato nello studio Stockholm, a differenza dello studio HABITS nel quale si utilizzava un regime tradizionale di TOS, potrebbe essere riconducibile al fatto che il 73% delle donne utilizzava la te- rapia con solo estradiolo o lo schema spacing out (che prevedeva l’associazione di un progestinico per 14 giorni ogni 3 mesi). Nel 2008 è stato pubblicato un aggiornamento dei risultati ottenuti da 442 pazienti con un follow-up medio di 4 anni che ha confermato un aumento del rischio di ripresa di malattia fra le donne in terapia ormonale sostitutiva: 39 delle 221 pazienti in trattamento con TOS hanno sviluppato un nuovo tumore mammario contro le 17 delle 221 pazienti del gruppo di controllo (RR 2,4, IC 95% 1,3- 4,2); l’incidenza cumulativa a 5 anni si è attestata sul 22,2% nel braccio trattato con terapia ormonale e sull’8% nel braccio di controllo6. Al termine del periodo di followup, nel braccio di trattamento sono state osservate 6 morti per carcinoma mammario e 6 casi di pazienti vive con metastasi a distanza, mentre nel gruppo di controllo sono stati evidenziati 5 decessi correlati al tumore mammario e 4 casi di donne vive con metastasi a distanza (tabella 2). Risultati deludenti dal LIBERATE Persistendo la controindicazione all’utilizzo di estrogeni nelle donne con carcinoma mammario, dopo la pubblicazione di alcuni pro- Tabella 2 Recidive e decessi per carcinoma mammario nello studio HABITS Nuove diagnosi di carcinoma mammario (N) Incidenza cumulativa a 5 anni (%) Decessi per carcinoma mammario (N) Metastasi a distanza (N) 30 Gruppo TOS (N=221) Controlli N= 221) 39 22,2% 6 6 17 8% 5 4 Holmberg L et al, J Natl Cancer Inst 2008 mettenti studi pilota erano state riposte molte speranze sul tibolone, uno steroide di sintesi con attività estrogenica, progestinica e androgenica, capace di contrastare efficacemente i sintomi menopausali. Nel 2002 era iniziato il reclutamento del LIBERATE, un grosso studio multicentrico prospettico randomizzato che ha arruolato 3.148 pazienti con pregresso carcinoma mammario e sintomi vasomotori randomizzate in 245 centri distribuiti in 31 Paesi. L’obiettivo primario dello studio era quello di valutare la sicurezza del tibolone in termini di tasso di recidiva di malattia; gli obiettivi secondari riguardavano, invece, la sopravvivenza globale e l’efficacia del trattamento nei confronti della sintomatologia vasomotoria, della massa minerale ossea, della qualità di vita e dello stato di salute in generale. Anche questo studio è stato sospeso prematuramente, ossia 6 mesi prima del termine prefissato. Dai risultati è infatti emerso che il tibolone è sì più efficace del placebo nel controllare i sintomi menopausali e nel mantenere la densità minerale ossea, ma, dopo 3 anni di follow-up, determina anche un aumento del rischio di recidiva rispetto ai controlli (RR 1,40; IC 95% 1,14-1,70; p=0,001) (tabella 3), soprattutto per le pazienti con tumori che esprimono recettori per gli estrogeni7. Charlotteville: indicazioni ancora attuali Considerato quanto esposto, a tutt’oggi sono ancora valide le indicazioni fornite nel lontano 1997 dalla Conferenza di Consenso di Charlotteville che suggeriva di ricorrere, nelle pazienti con pregresso tumore mammario, a terapie ONCOLOGIA N O G Tabella 3 Studio LIBERATE: incidenza di recidiva di carcinoma mammario Recidive Gruppo tibolone (1.556 pazienti) N (%) Controlli (1.542 pazienti) N (%) Hazard ratio (IC 95%) p Globale 237 (15,2) 165 (10,7) 1,397 (1,144-1,704) 0,001 Sede - locale - controlaterale - a distanza 48 (3,1) 25 (1,6) 171 (11) 33 (2,1) 17 (1,1) 121 (7,8) 1,419 (0,911-2,211) 1,387 (0,742-2,594) 1,378 (1,092-1,740) 0,122 0,305 0,007 Kenemans P et al, Lancet Oncol 2009 alternative agli steroidi sessuali e di riservare i trattamenti ormonali a quelle donne che non avessero risposto ad altri tipi di approccio o che ne facessero specifica richiesta, ma, comunque, solo per brevi periodi, utilizzando bassi dosaggi e preferibilmente all’interno di studi clinici controllati8. Terapie alternative: sicurezza ed efficacia sui sintomi vasomotori… Nel corso degli anni sono stati utilizzati numerosi preparati alternativi agli estrogeni nel tentativo di alleviare, in particolare, le vampate di calore, ossia il principale sintomo che spinge la paziente con carcinoma mammario a richiedere un trattamento. Molti di essi non hanno però mostrato alcuna efficacia quando confrontati con il placebo, che è in grado di assicurare una buona risposta nel 25-35% circa delle donne con carcinoma mammario. • Clonidina: ha un’efficacia modesta, ma il suo utilizzo è limitato dalla scarsa maneggevolezza e dai possibili effetti collaterali. • Fitoestrogeni: non hanno fornito risultati superiori al placebo negli studi controllati e, inoltre, non vi sono dati sulla loro sicurezza in queste pazienti, in quanto non si può escludere che agiscano come estrogeni deboli sul tessuto mammario. • Progestinici: questi farmaci, e in particolare il megestrolo acetato a basse dosi, hanno fornito ottimi tassi di risposta; tuttavia, non sono disponibili informazioni sulla loro sicurezza a lungo termine. • Antidepressivi: fra le alternative terapeutiche disponibili, i preparati che si sono dimostrati più efficaci per alleviare i sintomi vasomotori, in studi randomizzati e controllati con placebo, sono gli SSRI (Selective Serotonine Reuptake Inhibitors) come la paroxetina e la fluoexetina, o un altro principio attivo, la venlafaxina, appartenente alla classe degli SNRI (Serotonine and Norepinephrine Reuptake Inhibitor); questi composti garantiscono un buon controllo delle vampate, con effetti collaterali limitati e nessuna attività sulla proliferazione tumorale. Il preparato più studiato è la venla- faxina, disponibile a dosaggi variabili da 37,5 a 150 mg/die; la sua efficacia è dose-dipendente e il dosaggio che offre il migliore bilanciamento fra beneficio e reazioni indesiderate varia fra 37,5 e 75 mg/die. L’effetto è molto rapido poiché si manifesta, in genere, entro 2 settimane dall’inizio della terapia; va tuttavia ricordato che le dosi più basse possono richiedere un periodo più lungo di trattamento per arrivare a dare buoni risultati. La venlafaxina, come gli altri farmaci appartenenti a questa categoria, è in genere ben tollerata; gli effetti collaterali più frequenti sono limitati a nausea nei primi giorni di assunzione, stipsi e secchezza delle fauci9. • Gabapentin: farmaco normalmente impiegato per la terapia dell’epilessia e degli attacchi di panico, ha mostrato la sua efficacia anche in questo contesto grazie a un ampio studio randomizzato; un altro recente studio ha documentato la sua superiorità nell’alleviare i sintomi vasomotori rispetto al trattamento con vitamina E, assimilabile per efficacia a un placebo10. 31 ONCOLOGIA N O G … e sulla secchezza vaginale Il secondo problema in ordine di frequenza lamentato da queste pazienti è la secchezza vaginale, anche per gli effetti sfavorevoli che essa determina sulla vita sessuale e di coppia. Per questi sintomi sono disponibili diversi lubrificanti o reidratanti vaginali che forniscono, però, un modesto beneficio se confrontati al placebo. In questo contesto, la terapia lo- cale con estrogeni, molto efficace sui sintomi distrofici vaginali, può trovare un’indicazione: in linea di massima, si ritiene che questi preparati possano essere utilizzati in caso di necessità, pur in assenza di dati che ne dimostrino la completa innocuità. In particolare, sono in corso studi per valutare la sicurezza della somministrazione di dosi molto basse di estrogeni per via vaginale che, secondo dati preliminari, determinerebbero livelli circolanti estremamente ridotti di estrogeni, pur mantenendo una buona efficacia terapeutica11. Occorre, comunque, ricordare che alcuni autori ritengono controindicato l’uso di estrogeni vaginali anche a basse dosi nelle donne in trattamento con inibitori dell’aromatasi il cui meccanismo d’azione si basa sulla completa deplezione estrogenica; in queste pazienti, infatti, anche un minimo aumento dei livelli circolanti di estradiolo potrebbe teoricamente risultare dannoso. Bibliografia 32 1. North American Menopause Society. Treatment of menopauseassociated vasomotor symptoms: position statement of the North American Menopause Society. Menopause 2004; 11: 11-33. 2. Col NF, Hirota LK, Orr RK et al. Hormone replacement therapy after breast cancer: a systematic review and quantitative assessment of risk. J Clin Oncol 2001; 19,8: 2357-63. 3. Vassilopoulou-Sellin R, Cohen DS, Hortobagyi GN et al. Estrogen replacement therapy for menopausal women with a history of breast carcinoma. Cancer 2002; 95: 1817-26. 4. Holmberg L, Anderson H. HABITS (hormonal replacement therapy after breast cancer-is it safe?), a randomised comparison: trial stopped. Lancet 2004; 363: 453-5. 5. Von Schoultz E, Rutqvist LE, on behalf of the Stockholm Breast Cancer Study Group: menopausal hormone replacement therapy after breast cancer: the Stockholm randomised trial. J Natl Cancer Inst 2005; 97: 533-5. 6. Holmberg L, Iversen OE, Rudenstam CM et al. Increased risk of recurrence after hormone replacement therapy in breast can- cer survivors. J Natl Cancer Inst 2008; 100: 475-82. 7. Kenemans P, Bundred NJ, Foidart JM et al. Safety and efficacy of tibolone in breast-cancer patients with vasomotor symptoms: a double-blind, randomised, non-inferiority trial. Lancet Oncol 2009; 10: 135-46. 8. Consensus Statement on Treatment of estrogen deficiency symptoms in women surviving breast cancer. J Clin Endocrinol Metab 1998; 83: 1993-2000. 9. Loprinzi CL, Wolf SL, Barton DL et al. Symptom management in premenopausal patients with breast cancer. Lancet Oncol 2008; 9: 993-1001. 10. Biglia N, Sgandurra P, Peano E et al. Non-hormonal treatment of hot flushes in breast cancer survivors: gabapentin vs. vitamin E. Climacteric 2009; 12, 4: 310-8. 11. Biglia N, Peano E, Sgandurra P et al. Low-dose vaginal estrogens or vaginal moisturizer in breast cancer survivors with urogenital atrophy: a preliminary study. Gynecol Endocrinol 2010; 26, 6: 402-12. GESTODIOL 20/30 RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 1. DENOMINAZIONE DELLA SPECIALITÀ MEDICINALE. GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Principi attivi: GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite: ogni compressa contiene 20 microgrammi di Etinilestradiolo e 75 microgrammi di Gestodene. GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite: ogni compressa contiene 30 microgrammi di Etinilestradiolo e 75 microgrammi di Gestodene. Eccipienti: GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite contiene 38 mg di lattosio monoidrato e 20 mg di saccarosio. GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite contiene 38 mg di lattosio monoidrato e 20 mg di saccarosio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Compressa rivestita: compresse rivestite di zucchero, di colore bianco, arrotondate, biconvesse senza impressioni su entrambi i lati. 4. INFORMAZIONI CLINICHE. 4.1. Indicazioni terapeutiche. Contraccezione orale. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. Come assumere GESTODIOL. Le compresse devono essere assunte nell’ordine indicato sulla confezione ogni giorno approssimativamente alla stessa ora. Una compressa al giorno per 21 giorni. Ogni confezione successiva deve essere iniziata dopo un intervallo di 7 giorni in cui non verrà assunta alcuna compressa: durante questo lasso di tempo si verificherà un’emorragia da sospensione. Quest’emorragia inizia solitamente il secondo o terzo giorno dopo aver assunto l’ultima compressa e potrebbe continuare anche dopo l’inizio della confezione successiva. Come cominciare ad assumere GESTODIOL. Nel caso in cui non ci sia stato alcun trattamento contraccettivo ormonale nel mese precedente. È necessario assumere la prima compressa il primo giorno del ciclo naturale della donna (vale a dire il primo giorno del suo ciclo mestruale). È possibile cominciare ad assumere le pillole dal secondo al quinto giorno ma in questi casi si raccomanda di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni d’assunzione delle compresse durante il primo ciclo. In caso di passaggio da un’altra pillola contraccettiva orale di tipo combinato. La donna deve cominciare ad assumere GESTODIOL il giorno dopo l’ultima compressa attiva del suo precedente contraccettivo - ma non più tardi del giorno successivo al completamento dell’usuale periodo in cui non assume alcuna pillola oppure assume placebo come previsto dal farmaco contraccettivo precedente. Quando si passa da un contraccettivo solo progestinico (pillola solo al progesterone (mini-pillola, iniezione, impianto) oppure da un sistema intrauterino a rilascio di ormone progestinico (IUS). La donna può effettuare il passaggio dalla pillola solo al progesterone (POP) in qualsiasi momento del ciclo. La prima compressa deve essere assunta il giorno dopo aver assunto una qualsiasi delle compresse nella confezione di POP. Nel caso di un impianto o di una IUS l’assunzione di GESTODIOL deve cominciare lo stesso giorno nel quale l’impianto viene rimosso. Nel caso di un iniettabile, GESTODIOL deve essere iniziato nel giorno in cui dovrebbe essere praticata la successiva iniezione. In tutti questi casi si raccomanda alla donna di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni di assunzione delle pillole. Dopo un aborto al primo trimestre. La donna può iniziare immediatamente a prendere le pillole. Se si attiene a queste istruzioni non sono necessarie ulteriori misure contraccettive. Dopo un parto o un aborto al secondo trimestre. Per l’uso in donne che allattano si veda il paragrafo 4.6. Si raccomanda alla donna di iniziare a prendere le compresse al 21°-28° giorno dopo il parto, se non allatta al seno, o dopo un aborto al secondo trimestre. Se inizia più tardi, la donna deve essere avvertita di usare anche un metodo contraccettivo di barriera per i primi sette giorni di assunzione delle pillole. Se nel frattempo si fossero avuti rapporti sessuali, prima di iniziare effettivamente l’assunzione delle pillole si deve escludere una gravidanza oppure la donna deve attendere la comparsa della sua prima mestruazione. Mancata assunzione di compresse. La mancata assunzione di una compressa entro 12 ore dall’ora consueta non pregiudica la protezione contraccettiva. La donna deve prendere la compressa appena se ne ricorda e continuare ad assumere il resto delle compresse come al solito. La man- cata assunzione di una compressa per più di 12 ore dall’ora consueta può diminuire la protezione contraccettiva. Le due regole seguenti possono essere utili nella gestione della mancata assunzione di compresse. 1. L’assunzione delle compresse non deve mai essere sospesa per periodi superiori ai 7 giorni. 2. Servono 7 giorni di ingestione ininterrotta di compresse per ottenere una sufficiente soppressione dell’asse ipotalamo-pituitario-gonadale. Pertanto il consiglio che segue può essere dato nella pratica giornaliera: Settimana 1. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata non appena se ne ricorda, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Contemporaneamente deve usare un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Se nei 7 giorni precedenti si sono avuti rapporti sessuali la donna deve tenere in considerazione la possibilità di poter essere incinta. Tante più compresse sono state dimenticate e tanto più ciò è avvenuto in prossimità del periodo del mese in cui le compresse non vengono assunte, tanto maggiore è il rischio che si instauri una gravidanza. Settimana 2. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata non appena se ne ricorda, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Se le compresse sono state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza non è necessario prendere ulteriori precauzioni contraccettive. In caso contrario o se sono state dimenticate più compresse la donna deve comunque usare un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i successivi 7 giorni. Settimana 3. Dato l’avvicinarsi del periodo di sospensione il rischio di una ridotta protezione anticoncezionale è maggiore. È comunque possibile prevenire la riduzione della protezione anticoncezionale regolando l’assunzione delle compresse. Attenendosi a una qualunque delle due opzioni seguenti non è pertanto necessario prendere alcuna precauzione contraccettiva supplementare, fatto salvo che le compresse siano state assunte correttamente per 7 giorni prima della dimenticanza. In caso contrario è opportuno consigliare alla donna di seguire la prima delle due opzioni e di usare allo stesso tempo un metodo di barriera, ad es. un preservativo, per i 7 giorni successivi. 1. La donna deve prendere l’ultima compressa dimenticata al più presto, anche se questo significa che deve assumere 2 compresse contemporaneamente. Dopodiché deve continuare ad assumere le compresse alla solita ora. Incomincerà la nuova confezione immediatamente dopo aver assunto l’ultima compressa della confezione in uso; in questo caso non vi sarà il periodo di sospensione tra le confezioni. È improbabile che si verifichino le mestruazioni fino al termine della seconda confezione di compresse, tuttavia si potrebbe notare emorragia intermestruale o metrorragia durante l’assunzione delle compresse. 2. È possibile che alla donna venga suggerito di sospendere l’assunzione delle compresse dalla confezione in uso. In qual caso si avrà un periodo di sospensione della durata massima di 7 giorni, inclusi i giorni in cui la compressa è stata dimenticata, dopodiché la donna inizierà una nuova confezione. Se, dopo che la donna ha dimenticato di assumere delle compresse, non si presentano le mestruazioni nel primo usuale intervallo libero da pillola, si deve considerare la possibilità che la donna sia incinta. Cosa fare in caso di vomito/diarrea. Se si manifesta vomito entro 3-4 ore dall’assunzione di una compressa, quest’ultima potrebbe non venire completamente assorbita. In questo caso ci si attenga alle istruzioni sopra indicate inerenti le compresse dimenticate. A meno che la diarrea non sia estremamente grave, essa non influisce sull’assorbimento dei contraccettivi orali combinati, per cui non è necessario ricorrere a metodi contraccettivi supplementari. Se la diarrea grave perdura per 2 o più giorni ci si attenga alle procedure previste per le pillole dimenticate. Se la donna non desidera variare la consueta assunzione di compresse, deve prendere una compressa (o compresse) extra da un’altra confezione. Come spostare o ritardare il mestruo. Per ritardare il mestruo, la donna dovrà continuare l’assunzione di GESTODIOL passando da una confezione blister ad un’altra, senza periodo di sospensione. Il mestruo può essere ritardato per quanto si desidera ma non oltre la fine della seconda confezione. Quando si ritarda il mestruo è possibile che si verifichino episodi di sanguinamento da sospensione o emorragia intermestruale. L’assunzione di GESTODIOL dovrà essere ripresa regolarmente al termine del consueto intervallo in cui non viene assunta alcuna compressa. Per spostare il mestruo ad un giorno nella settimana diverso rispetto a quello previsto con le attuali compresse, si può consigliare alla donna di abbreviare il successivo intervallo libero da pillola di quanti giorni lei desidera. Più breve è questo intervallo e maggiore sarà il rischio di non avere sanguinamento mestruale ma metrorragia e emorragia intermestruale durante l’assunzione delle compresse della confezione successiva (questo si verifica anche quando si ritarda il mestruo). 4.3. Controindicazioni. I contraccettivi orali combinati (COC) non devono essere usati se una delle condizioni sotto indicate è presente. Se una tale condizione si dovesse manifestare per la prima volta durante l’impiego dei COC il loro uso deve essere immediatamente sospeso. • Patologia tromboembolica venosa in fase attiva o in anamnesi (trombosi venosa profonda, embolia polmonare). • Tromboembolia arteriosa in fase attiva o in anamnesi (infarto del miocardio, patologie cerebrovascolari) oppure sintomi prodromici (angina pectoris e attacco ischemico transitorio) (vedi paragrafo 4.4). • Predisposizione ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa come carenza di antitrombina, carenza di proteina C, carenza di proteina S, resistenza alla proteina C attivata (APC), anticorpi antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante), iperomocisteinemia. • Fattori di rischio multipli o considerevoli per la trombosi arteriosa (vedi paragrafo 4.4). • Grave ipertensione. • Diabete complicato da micro- o macroangiopatia. • Grave dislipoproteinemia. • Noti o sospetti tumori maligni ormono-dipendenti (ad es. a carico degli organi genitali o della mammella). • Grave patologia epatica concomitante o in anamnesi fintanto che i valori di funzionalità epatica non sono rientrati nella normalità. • Tumori epatici benigni o maligni concomitanti o in anamnesi. • Sanguinamento vaginale di natura non accertata. • Emicrania con sintomatologia neurologica focale. • Ipersensibilità ai principi attivi o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. Valutazione ed esame prima di iniziare l’assunzione dei contraccettivi orali combinati. Prima dell’inizio o della ripresa del trattamento con contraccettivi orali combinati è necessario che il medico analizzi l’anamnesi personale e familiare della paziente e che venga esclusa una gravidanza. Sulla base delle controindicazioni (vedi paragrafo 4.3) e delle avvertenze (vedi “Avvertenze” in questa sezione) è necessario misurare la pressione sanguigna e sottoporre la paziente ad un esame fisico, se clinicamente indicato. Alla donna viene richiesto di leggere attentamente il foglio illustrativo e di attenersi alle istruzioni fornite. La frequenza e la natura di ulteriori controlli periodici devono basarsi su linee guida di pratica stabilita ed essere adattate alla singola donna. Avvertenze. In generale. Informare le donne che i contraccettivi ormonali non proteggono dall’HIV (AIDS) o da altre infezioni sessualmente trasmissibili. Se uno qualunque dei fattori di rischio sotto menzionati è presente, valutare caso per caso i benefici connessi all’uso del COC con i possibili rischi per ogni singola donna e discuterne con la donna prima di cominciare l’assunzione del contraccettivo orale combinato. In caso di aggravamento, esacerbazione o insorgenza di una qualsiasi di queste condizioni o fattori di rischio è opportuno che la donna prenda contatto con il suo medico. Il medico deciderà se interrompere l’assunzione del COC. 1. Disturbi della circolazione. L’uso di qualsiasi COC aumenta il rischio di tromboembolia venosa (TEV) rispetto al non uso. L’eccesso di rischio di TEV è massimo durante il primo anno in cui una donna fa uso di un COC per la prima volta. L’aumento di rischio è inferiore rispetto al rischio di TEV associato alla gravidanza, che è stimato in 60 casi ogni 100.000 gravidanze. La TEV risulta fatale nell’1-2% dei casi. In diversi studi epidemiologici è stato riscontrato che nelle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti etinilestradiolo, per lo più alla dose di 30 μg, e un progestinico come gestodene il rischio di TEV è aumentato rispetto alle donne che usano contraccettivi orali combinati contenenti meno di 50 μg di etinilestradiolo ed il progestinico levonorgestrel. Relativamente ai contraccettivi orali combinati contenenti 30 μg di etinilestradiolo in combinazione con desogestrel o gestodene in confronto a quelli contenenti meno di 50 μg di etinilestradiolo e levonorgestrel, è stato stimato che il rischio relativo complessivo di TEV è compreso tra 1,5 e 2,0. Nel caso di contraccettivi orali combinati contenenti levonorgestrel con meno di 50 μg di etinilestradiolo l’incidenza di TEV è di circa 20 casi su ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. Per quanto riguarda GESTODIOL l’incidenza varia da 30 a 40 casi per 100.000 anni-donna di utilizzo, vale a dire 1020 casi aggiuntivi ogni 100.000 anni-donna di utilizzo. L’impatto del rischio relativo sul numero di casi addizionali sarebbe massimo in donne durante il primo anno di utilizzo del contraccettivo orale combinato quando il rischio di TEV con tutti i contraccettivi orali combinati è massimo. Molto raramente è stata segnalata trombosi in altri vasi sanguigni, vale a dire di tipo epatico, mesenterico, renale oppure a carico delle vene e delle arterie della retina in utilizzatrici di contraccettivi orali. Non vi è consenso circa la possibilità che l’insorgenza di questi casi sia correlata all’uso di COC. Il rischio che si sviluppi tromboembolia venosa aumenta: • con l’avanzamento dell’età; • in caso di anamnesi familiare positiva (ad es. tromboembolia venosa che ha riguardato un parente o un consanguineo più soggetti di età relativamente giovane). In caso di sospetta predisposizione ereditaria, la donna deve essere indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo orale; • in caso di obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m2); • immobilizzazione prolungata, chirurgia maggiore, intervento chirurgico alle gambe o trauma maggiore. In questi casi è raccomandata la sospensione del trattamento con i contraccettivi orali (nel caso di un’operazione chirurgica programmata almeno 4 settimane prima) e non deve essere assunto fino a 2 settimane dopo la completa deambulazione; • non vi è consenso sul possibile ruolo di vene varicose e tromboflebiti superficiali nella tromboembolia venosa. In generale l’uso di COC è stato associato ad un aumento del rischio di infarto acuto del miocardio (AMI) o di ictus, rischio questo fortemente influenzato dalla presenza di altri fattori di rischio (ad es. fumo, pressione sanguigna alta ed età) (vedi anche sotto). Questi eventi si verificano raramente. Il rischio di eventi tromboembolici aumenta con: • l’avanzamento dell’età; • fumo (con forti fumatrici e con l’avanzare dell’età il rischio aumenta ulteriormente, soprattutto se si tratta di donne con più di 35 anni di età); • dislipoproteinemia; • obesità (indice di massa corporea superiore a 30 Kg/m2); • ipertensione; • valvulopatia cardiaca; • fibrillazione atriale; • anamnesi familiare positiva (ad es. trombosi arteriosa che ha riguardato un parente o un consanguineo di età relativamente giovane). Se si sospetta una predisposizione ereditaria la donna deve essere indirizzata da uno specialista prima che le sia prescritto un contraccettivo orale. Sintomi di trombosi venosa ed arteriosa possono includere: • dolore e/o gonfiore unilaterale ad una gamba; • improvviso grave dolore toracico, che può o meno estendersi al braccio sinistro; • fiato corto improvviso; • tosse improvvisa; • cefalea insolita, grave, prolungata; • improvvisa perdita parziale o completa della vista; • diplopia; • difficoltà nel parlare o afasia; • vertigini; • collasso accompagnato o meno da crisi epilettiche focali; • debolezza o improvviso intorpidimento molto marcato di un lato o una parte del corpo; • disturbi motori; • addome “acuto”. Si deve tenere in considerazione l’aumento del rischio di tromboembolia venosa durante il puerperio. Altre condizioni mediche correlate ai disturbi vascolari sono: diabete mellito, lupus eritematoso sistemico, sindrome emolitico-uremica, malattia infiammatoria cronica intestinale (morbo di Crohn oppure colite ulcerosa) e anemia a cellule falciformi. Un aumento della frequenza e della gravità dell’emicrania (che può essere prodromica in caso di malattia cerebrovascolare) durante l’impiego di contraccettivi orali deve far prendere in considerazione l’immediata sospensione dei contraccettivi orali. Fra i parametri biochimici indicativi della predisposizione ereditaria o acquisita alla trombosi venosa o arteriosa vi sono: resistenza alla proteina C attivata (APC), mutazione del fattore V di Leiden, iperomocisteinemia, carenza di antitrombina-III, carenza di proteina C, carenza di proteina S, anticorpi antifosfolipidi (anticorpi anticardiolipina, lupus anticoagulante). Mentre valuta il rapporto rischio/beneficio il medico deve tenere presente che il trattamento adeguato di una condizione può ridurre il rischio associato di trombosi e che il rischio associato alla gravidanza è maggiore rispetto a quello connesso all’uso di COC. 2. Tumori: Cancro della cervice. In alcuni studi epidemiologici si è riferito un rischio maggiore di cancro cervicale nelle utilizzatrici a lungo termine dei COC ma non è ancora chiaro fino a che punto questo rilievo possa essere influenzato dagli effetti aggravanti del comportamento sessuale e di altri fattori quali il papilloma virus umano (HPV). Carcinoma della mammella. Una meta-analisi di 54 studi epidemiologici ha riferito un rischio relativo leggermente superiore (RR=1,24) di diagnosi di cancro della mammella fra le donne che attualmente usano COC. L’eccedenza di rischio scompare gradualmente nel corso dei 10 anni seguenti all’interruzione dell’uso dei COC. Poiché il cancro della mammella è raro nelle donne di meno di 40 anni, il numero superiore di diagnosi di tumore alla mammella fra le utilizzatrici attuali e recenti di COC è limitato in rapporto al rischio globale di cancro della mammella. Questi studi non forniscono evidenza di causalità. L’andamento superiore del rischio osservato potrebbe essere dovuto ad una diagnosi precoce del cancro della mammella nelle utilizzatrici di COC, agli effetti biologici dei COC o a una combinazione di entrambi i fattori. Il cancro alla mammella diagnosticato nelle donne che hanno usato COC tende ad essere meno avanzato dal punto di vista clinico rispetto alle forme tumorali riscontrate fra le donne che non hanno mai assunto COC. Tumori epatici. Tra le utilizzatrici di COC si sono riferiti tumori epatici benigni e maligni. In casi isolati questi tumori hanno portato ad emorragie intra-addominali ad esito potenzialmente fatale. Pertanto, considerare la possibilità di tumore epatico nella diagnosi differenziale, quando un’utilizzatrice di COC presenti severo dolore all’addome superiore, ingrossamento del fegato (epatomegalia) oppure segni di emorragia intra-addominale. 3. Altre condizioni. Le donne affette da ipertrigliceridemia, o anamnesi familiare della stessa, possono essere a rischio maggiore di pancreatite mentre usano COC. In caso di disturbi acuti o cronici della funzionalità epatica potrà essere necessaria l’interruzione di GESTODIOL, fino al ripristino ai valori normali dei marker della funzionalità epatica. Gli ormoni steroidei potrebbero essere scarsamente metabolizzati in pazienti con funzionalità epatica compromessa. Malgrado si siano riferiti piccoli innalzamenti della pressione arteriosa in molte donne che assumono contraccettivi orali combinati, gli innalzamenti clinicamente significativi sono rari. Se, durante l’assunzione di un contraccettivo ormonale combinato si sviluppa un’ipertensione clinica persistente bisogna sospendere l’assunzione del contraccettivo ormonale combinato e trattare l’ipertensione. L’assunzione del contraccettivo orale combinato potrà riprendere se risulta possibile ottenere valori normotensivi mediante la terapia. Se il medico lo ritiene opportuno, l’uso della pillola può essere ripreso quando i valori della pressione rientreranno nella norma in seguito a terapia antiipertensiva. Sia con la gravidanza che con l’uso di COC possono comparire o peggiorare delle condizioni qui di seguito riportate. Tuttavia, le prove di un’associazione con l’uso dei COC non sono decisive: ittero e/o prurito associato a colestasi; sviluppo di calcoli biliari; porfiria; lupus eritematoso sistemico; sindrome emoliticouremica; corea di Sydenham; herpes gestationis; perdita di udito dovuta a otosclerosi. I contraccettivi orali combinati possono avere un effetto sulla resistenza periferica all’insulina e sulla tolleranza al glucosio. È pertanto necessario che le pazienti diabetiche vengano attentamente monitorate durante l’impiego dei COC. GESTODIOL contiene lattosio e saccarosio. Le pazienti con rari problemi ereditari di intolleranza al galattosio, deficit di Lapp-lattasi o malassorbimento di glucosio-galattosio oppure con rari problemi di intolleranza al fruttosio non devono assumere questo medicinale. Durante l’uso dei COC si è riferito l’aggravamento della depressione endogena, dell’epilessia (vedi paragrafo 4.5 Interazioni), del morbo di Crohn e della colite ulcerosa. È possibile che si manifesti cloasma, specialmente nelle utilizzatrici con anamnesi di cloasma gravidarum. Le donne con tendenza al cloasma devono evitare l’esposizione al sole o alla radiazione ultravioletta mentre assumono i COC. Le preparazioni erboristiche contenenti Iperico o erba di San Giovanni (Hypericum perforatum) non devono essere assunte contemporaneamente a GESTODIOL a causa del rischio di diminuzione delle concentrazioni plasmatiche e degli effetti clinici di GESTODIOL (vedi paragrafo 4.5). Efficacia ridotta. L’efficacia dei contraccettivi orali può essere ridotta nel caso in cui ci si dimentichi di assumere delle compresse, in presenza di diarrea grave o vomito (vedi paragrafo 4.2) oppure in caso di uso concomitante di altri medicinali (vedi paragrafo 4.5). Ciclo irregolare. Come con tutti i contraccettivi ormonali combinati, potrà verificarsi la perdita irregolare di sangue (emorragia intermestruale o metrorragia), particolarmente nei primi mesi di assunzione. Per questo motivo, un’opinione medica circa la perdita irregolare di sangue avrà utilità solo dopo un periodo di adattamento di tre cicli circa. Se la metrorragia persiste sarà necessario considerare la possibilità di usare COC con un contenuto ormonale più alto. Se la metrorragia si verifica dopo precedenti cicli regolari occorre considerare cause non di natura ormonale e prendere adeguate misure diagnostiche per escludere la presenza di una patologia maligna o di una gravidanza. Occasionalmente potrebbe non esservi alcuna emorragia da sospensione nell’intervallo in cui non vengono assunte le compresse. Se le compresse sono state assunte secondo le istruzioni di cui al paragrafo 4.2, è improbabile che la donna sia incinta. Tuttavia, se le compresse non sono state assunte in base a dette istruzioni precedentemente alla prima emorragia da sospensione saltata, oppure se la donna salta consecutivamente due emorragie da sospensione, è necessario escludere la gravidanza prima di proseguire l’assunzione del COC. 4.5. Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione. Le interazioni con medicinali in grado di portare ad una elevata clearance degli ormoni sessuali possono comportare metrorragia ed insuccesso della contraccezione orale. Questo effetto è stato stabilito nel caso di idantoine, barbiturici, primidone, carbamazepina e rifampicina, ed è risultato sospetto nel caso di oxcarbazepina, topiramato, griseofulvina, felbamato e ritonavir. Il meccanismo di queste interazioni sembra essere basato sulle proprietà di induzione degli enzimi epatici di questi medicinali. In generale la massima induzione enzimatica non si ha nelle prime 2-3 settimane dopo l’inizio del trattamento, ma l’effetto può essere sostenuto per almeno 4 settimane dopo l’interruzione della terapia. Si sono riferiti anche casi di insuccesso della contraccezione con antibiotici quali ampicillina e tetracicline. Il meccanismo di questo effetto non è stato chiarito. Le donne in trattamento a breClassificazione sistemica organica Comune (da=1/100 a <1/10) Patologie del sistema nervoso Cefalea Nervosismo Irritazione oculare quando si portano lenti a contatto Disturbi della vista Patologie dell’occhio Patologie dell’orecchio e del labirinto Patologie gastrointestinali Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Disordini del metabolismo e della nutrizione Patologie vascolari Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Disturbi del sistema immunitario Patologie dell’apparato riproduttivo e della mammella Disturbi psichiatrici Nausea Acne Emicrania ve termine con uno qualsiasi dei gruppi di farmaci sopra citati o con singoli medicinali, devono usare temporaneamente un metodo di barriera oltre alla pillola anticoncezionale, ciò deve avvenire per tutto il tempo in cui questo medicinale viene assunto contemporaneamente alla pillola come pure nei sette giorni successivi alla sua sospensione. Le donne in trattamento con rifampicina devono usare un metodo di barriera contemporaneamente al contraccettivo orale durante tutto il periodo in cui assumono la rifampicina come pure nei 28 giorni successivi alla sua sospensione. Se la somministrazione concomitante del medicinale continua oltre il numero di compresse anticoncezionali nella confezione, la donna deve iniziare la confezione successiva, senza osservare il consueto intervallo di sospensione. Per le donne in terapia a lungo termine con induttori degli enzimi epatici, è necessario considerare un altro metodo contraccettivo. Le pazienti che assumono GESTODIOL non devono usare contemporaneamente preparazioni/prodotti medicinali alternativi contenenti Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni) poiché essi potrebbero causare una perdita dell’effetto contraccettivo. Si sono riferite metrorragia e gravidanze indesiderate. L’Hypericum perforatum (Iperico o erba di San Giovanni) aumenta, mediante induzione enzimatica, la quantità di enzimi che metabolizzano i prodotti medicinali. L’effetto di induzione enzimatica potrebbe persistere per almeno 1-2 settimane dalla cessazione del trattamento con Hypericum. Effetti dei contraccettivi orali combinati su altri farmaci: i contraccettivi orali possono interferire con il metabolismo di altri farmaci. Ne può conseguire un aumento (ad es. ciclosporina) o una diminuzione (lamotrigina) delle concentrazioni plasmatiche e tissutali. Test di laboratorio. L’impiego di steroidi contraccettivi può influenzare i risultati di alcuni esami di laboratorio tra cui i parametri biochimici della funzionalità epatica, tiroidea, corticosurrenalica e renale, i livelli plasmatici delle proteine (di trasporto), per esempio della globulina legante i corticosteroidi e delle frazioni lipido/lipoproteiche, i parametri del metabolismo dei carboidrati ed i parametri della coagulazione e della fibrinolisi. Le variazioni rientrano, in genere, nei limiti dei valori normali di laboratorio. 4.6. Gravidanza ed allattamento. GESTODIOL è controindicato durante la gravidanza. In caso di gravidanza durante l’assunzione di GESTODIOL sospendere immediatamente il trattamento. Estesi studi epidemiologici non hanno evidenziato né un aumento del rischio di difetti congeniti in bambini nati da donne che hanno assunto contraccettivi orali combinati prima della gravidanza, né effetti teratogeni a seguito di involontaria assunzione di contraccettivi orali combinati durante la gravidanza. L’allattamento può essere influenzato dagli steroidi contraccettivi in quanto essi possono ridurre il volume ed alterare la composizione del latte materno. Piccole quantità di steroidi contraccettivi e/o di loro metaboliti possono essere escreti nel latte materno. Pertanto, l’uso di steroidi contraccettivi non è in genere raccomandato in madri che allattano fino al termine del completo svezzamento. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. GESTODIOL non ha effetti, se non minimi, sulla capacità di guidare veicoli e di usare macchinari. 4.8. Effetti indesiderati. Gli eventi avversi riferiti con maggior frequenza (>1/10) sono sanguinamento irregolare, nausea, aumento ponderale, tensione mammaria e cefalea. Essi si manifestano solitamente all’inizio della tera- Non comune (da=1/1000 a <1/100) Raro (da=1/10000 a <1000) Corea Vomito Iperlipidemia Ipertensione Otosclerosi Colelitiasi Cloasma Tromboembolia venosa Eventi tromboembolici arteriosi Aumento ponderale Ritenzione idrica Sanguinamento irregolare Amenorrea Ipomenorrea Tensione mammaria Alterazioni della libido Depressione Irritabilità Molto raro (<1/10000) Lupus eritematoso Alterata secrezione vaginale Pancreatite pia e sono transitori. I seguenti gravi effetti indesiderati sono stati riportati in donne che assumono COC, vedi paragrafi 4.3 e 4.4. • Tromboembolia venosa, vale a dire trombosi venosa profonda in una gamba o alle pelvi ed embolia polmonare. • Eventi tromboembolici arteriosi. • Tumori epatici. • Patologia della cute e del tessuto sottocutaneo: cloasma. La frequenza di diagnosi di cancro della mammella fra le donne che assumono COC è leggermente maggiore. Poiché il cancro della mammella è raro nelle donne con meno di 40 anni, il numero superiore è limitato in rapporto al rischio globale di cancro alla mammella. Non è noto il rapporto di causalità con i COC. Per ulteriori informazioni vedere i paragrafi 4.3 e 4.4. 4.9. Sovradosaggio. Non sono stati riferiti effetti indesiderati seri in seguito a sovradosaggio. I sintomi che possono manifestarsi in seguito ad un sovradosaggio sono: nausea, vomito e sanguinamento vaginale. Non c’è antidoto, e il trattamento deve essere sintomatico. 5. PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà farmacodinamiche. Categoria farmacoterapeutica: Contraccettivi ormonali per uso sistemico. Codice ATC: G03AA10. L’effetto contraccettivo delle pillole anticoncezionali si basa sull’interazione di vari fattori, i più importanti dei quali sono l’inibizione dell’ovulazione e le modifiche dell’endometrio. Oltre a prevenire il concepimento i COC possiedono diverse caratteristiche positive che, accanto alle proprietà negative (illustrate al paragrafo 4.8 Avvertenze, Effetti indesiderati), possono aiutare nella scelta del metodo da adottare per il controllo delle nascite. Il ciclo mestruale è più regolare e le mestruazioni stesse sono spesso meno dolorose ed il sanguinamento più leggero. Quest’ultimo aspetto può determinare una diminuzione dei casi di carenza di ferro. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Gestodene. Assorbimento. Dopo somministrazione orale il gestodene viene rapidamente e completamente assorbito. Dopo somministrazione di una dose singola la massima concentrazione sierica di 4 ng/ml viene raggiunta dopo circa un’ora. La biodisponibilità è intorno al 99%. Distribuzione. Gestodene è legato all’albumina sierica ed alle globuline leganti gli ormoni sessuali (SHBG). Solo l’1-2% del gestodene totale in siero viene ritrovato come steroide libero, mentre il 5070% è specificamente legato alle SHBG. L’aumento delle SHBG indotto dall’etinilestradiolo influenza la distribuzione delle proteine sieriche con conseguente aumento della frazione legata alle SHBG e diminuzione della frazione legata all’albumina. Il volume di distribuzione apparente del gestodene è di 0,7 l/kg. Metabolismo. Il gestodene viene completamente metabolizzato tramite i noti canali del metabolismo degli steroidi. L’entità della clearance metabolica dal siero è pari a 0,8 ml/min/kg. Non si manifestano interazioni quando il gestodene viene assunto insieme all’etinilestradiolo. Eliminazione. I livelli sierici del gestodene diminuiscono in modo bifasico. La fase di eliminazione terminale è caratterizzata da un’emivita di 12-15 ore. Il gestodene non viene escreto immodificato. I suoi metaboliti vengono escreti nelle urine e nella bile in un rapporto di 6:4. L’emivita di escrezione dei metaboliti è pari a circa 1 giorno. Steadystate. La farmacocinetica del gestodene è influenzata dai livelli sierici di SHBG che aumentano di tre volte con l’etinilestradiolo. In seguito all’assunzione giornaliera i livelli sierici di gestodene aumentano di circa quattro volte il valore della dose singola e raggiungono lo steady-state entro la seconda metà del ciclo di trattamento. Etinilestradiolo. Assorbimento. Dopo somministrazione orale l’etinilestradiolo viene rapidamente e completamente assorbito. Il picco dei livelli plasmatici, pari a circa 80 pg/ml, viene raggiunto in 1-2 ore. La biodisponibilità assoluta, dopo coniugazione presistemica e metabolismo di primo passaggio, è all’incirca del 60%. Distribuzione. Durante l’allattamento lo 0,02% della dose giornaliera della madre passa nel latte. L’etinilestradiolo è largamen- te, ma non specificamente, legato all’albumina (approssimativamente per il 98,5%) e induce un aumento nelle concentrazioni sieriche dell’SHBG. È stato determinato un volume di distribuzione apparente di circa 5 l/kg. Metabolismo. L’etinilestradiolo è soggetto a coniugazione presistemica a livello sia della mucosa dell’intestino tenue sia del fegato. La principale via metabolica dell’etinilestradiolo è l’idrossilazione aromatica ma si forma anche una ampia varietà di metaboliti idrossilati e metilati, presenti come metaboliti liberi e coniugati con glucuronidi e solfati. L’entità della clearance metabolica è pari a circa 5 ml/min/kg. Eliminazione. I livelli sierici dell’etinilestradiolo diminuiscono in modo bifasico, con una fase di eliminazione terminale con un’emivita di circa 24 ore. L’etinilestradiolo immodificato non viene escreto, ma i suoi metaboliti sono escreti in un rapporto urina:bile pari a 4:6. L’emivita dell’escrezione dei metaboliti è di circa 1 giorno. Steady-state. Le concentrazioni allo steady-state vengono raggiunte dopo 3-4 giorni ed i livelli sierici dell’etinilestradiolo sono più elevati del 30-40% rispetto alla singola assunzione. 5.3. Dati preclinici di sicurezza. Etinilestradiolo e gestodene non sono genotossici. Gli studi di carcinogenicità con etinilestradiolo da solo o in associazione con vari progestinici non mostrano alcun pericolo carcinogenico in donne che usano il farmaco come contraccettivo come indicato. È tuttavia necessario tenere presente che gli ormoni sessuali possono promuovere la crescita di alcuni tessuti e tumori ormono-dipendenti. Studi di tossicità riproduttiva su fertilità, sviluppo fetale o performance riproduttiva condotti con etinilestradiolo da solo o in associazione con progestinici non hanno fornito indicazioni di un rischio di effetti avversi nell’uomo conseguenti all’impiego del preparato secondo quanto raccomandato. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE. 6.1. Elenco degli eccipienti. Nucleo della compressa: Magnesio stearato, Povidone K-25, Amido di mais, Lattosio monoidrato. Rivestimento della compressa: Povidone K-90, Macrogol 6000, Talco, Calcio carbonato, Saccarosio, Cera di lignite. 6.2. Incompatibilità. Non pertinente. 6.3. Periodo di validità. Tre anni. 6.4. Speciali precauzioni per la conservazione. Non conservare a temperatura superiore a 30 °C. 6.5. Natura e contenuto del contenitore. Blister: PVC/Alluminio. Confezioni: 1 X 21 compresse; 3 X 21 compresse; 6 X 21 compresse. È possibile che non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione. Nessuna istruzione particolare. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE PER L’IMMISSIONE IN COMMERCIO. EG SpA via D. Scarlatti, 31 - 20124 Milano. 8. NUMERI DELLE AUTORIZZAZIONI ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 1X21 cpr A.I.C. n. 037684014/M GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 3X21 cpr A.I.C. n. 037684026/M GESTODIOL 20 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 6X21 cpr A.I.C. n. 037684038/M GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 1X21 cpr A.I.C. n. 037684040/M GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 3X21 cpr A.I.C. n. 037684053/M GESTODIOL 30 microgrammi/75 microgrammi compresse rivestite, 6X21 cpr A.I.C. n. 037684065/M 9. DATA DI PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE. 2 ottobre 2007 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Settembre 2007 POLIMAG integratore alimentare di magnesio e melissa Azione distensiva e rilassante per essere donna s e t n e m a n e er