Capitolo Primo Nozione e fonti del diritto del

 Capitolo Primo 
Nozione e fonti del diritto del lavoro
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1. Il diritto del lavoro
A)Nozione, oggetto e finalità
Il diritto del lavoro è il complesso di norme che disciplinano il rapporto di lavoro e
che tutelano oltre che l’interesse economico, anche la libertà, la dignità e la personalità del
lavoratore (DE LUCA TAMAJO).
L’oggetto scientifico della materia è la disciplina dei rapporti di lavoro e della relazione
giuridica tra il datore di lavoro ed il lavoratore che è caratterizzata da una peculiarità rispetto alla generalità dei rapporti giuridici: se, infatti, dal punto di vista giuridico, le parti
operano formalmente sullo stesso piano di parità (entrambe, cioè, sono soggetti liberi
ed eguali), dal punto di vista economico, il prestatore di lavoro viene a trovarsi in una
posizione di inferiorità che fa di esso il contraente più debole (SANTORO-PASSARELLI,
MAZZONI, SCOGNAMIGLIO).
La posizione di debolezza del lavoratore discende sia dalla condizione di strutturale disoccupazione che
caratterizza il mercato del lavoro (dipendenza economica), sia dal fatto di essere subordinato al potere direttivo
e organizzativo del datore di lavoro (subordinazione tecnica).
Le norme del diritto del lavoro hanno, pertanto, la finalità di tutelare il lavoratore,
attenuando gli effetti più deleteri della subordinazione e assicurando, nei rapporti con
il datore di lavoro, il rispetto e la promozione delle condizioni economiche e della sua
libertà e personalità (Mazziotti).
B)L’evoluzione del diritto del lavoro
Si è soliti assumere come punto di partenza il passaggio dalla scarna disciplina del
codice civile del 1865 (che non prevedeva una disciplina del rapporto di lavoro, ma
solo, agli artt. 1570 e ss., quella della locazione delle opere e dei servizi) alla regolamentazione del rapporto di lavoro in tutti i suoi aspetti.
In un primo momento il legislatore è intervenuto limitatamente agli aspetti del rapporto di lavoro più
gravosi per i lavoratori (tutela del riposo settimanale e festivo e delle cd. mezze-forze: donne e minori), dando
luogo ad «un insieme di norme speciali ed eccezionali rispetto al diritto privato comune», aventi una chiara
finalità protettiva, e che ha caratterizzato la cd. fase della prima legislazione sociale (GHERA).
Negli anni del fascismo il contratto collettivo corporativo concorre allo sviluppo della materia lavoristica
in quanto dotato di generale ed inderogabile (dall’autonomia individuale) efficacia.
Con l’entrata in vigore del codice civile del 1942 si ha una sistemazione organica
della materia del lavoro, cui è dedicata una disciplina ben distinta da quella concernente
i contratti in genere.
La disciplina del lavoro è ricompresa unitamente a quella dell’impresa e delle società,
nel Libro V (in particolare, i primi quattro titoli: artt. 2060-2246).
Ma il momento più importante coincide con la Costituzione repubblicana, approvata il 22-12-1947 ed entrata in vigore il 1°-1-1948, che alla visione corporativistica dello
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Libro I: Diritto del lavoro
stato fascista (cui è ispirato il codice civile del 1942) sostituisce quella democratica e
sociale, fondando la Repubblica sul lavoro (art. 1 Cost.).
Inizia così, una nuova stagione del diritto del lavoro interpretato e orientato alla luce
dei principi costituzionali che segnano i limiti e le direttive entro cui il conflitto tra gli
opposti interessi della produzione e dei lavoratori devono trovare soluzione.
2. Le fonti del diritto del lavoro
A)Le fonti di diritto internazionale e sovranazionali
Sono molteplici, aggregabili in tre partizioni:
a) trattati internazionali;
b) convenzioni dell’O.I.L. (l’Organizzazione Internazionale del Lavoro) nata nel 1917
per assicurare standard di tutela dei lavoratori subordinati;
c) norme dell’Unione Europea (UE).
Le prime due sono fonti indirette in quanto devono essere ratificate con leggi dello
Stato per entrare a far parte dell’ordinamento giuridico italiano ed essere quindi efficaci e vincolanti.
Rispetto al diritto internazionale, maggiormente evidente è l’influenza esercitata in campo lavoristico dal
diritto comunitario che ricomprende sia il Trattato istitutivo della Comunità Economia Europea (CEE), ora
Unione Europea (UE), sia gli accordi della Comunità con Stati terzi (cd. diritto comunitario originario), sia
gli atti che promanano dalle istituzioni comunitarie (cd. diritto comunitario derivato).
Il 1°-12-2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, che modifica, senza sostituirli, il Trattato istitutivo della Comunità Europea (25-3-1957), che assume la nuova
denominazione di «Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea» (TFUE), e il
Trattato sull’Unione Europea (7-2-1992).
Particolare attenzione meritano le fonti del diritto comunitario derivato (TUE).
Il regolamento è un provvedimento normativo di portata generale (si rivolge a Stati membri, persone
fisiche e giuridiche), obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile senza che sia necessario un atto interno di ricezione o adattamento.
La direttiva rappresenta un indirizzo comunitario vincolante per gli Stati membri, i quali, però, sono
liberi di scegliere il concreto modo di attuazione.
Le direttive devono essere recepite con un atto interno (legge, decreto legislativo, decreto legge, atto
amministrativo).
La decisione è un atto obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile per i destinatari da
essa designati.
B)La Costituzione
La Costituzione dedica alla materia del lavoro sia i principi generali (artt. 1, 3, 4)
che l’intero Titolo III della Parte I (rapporti economici).
In particolare:
— l’art. 35: riguarda la tutela del lavoro, la formazione e l’elevazione professionale
dei lavoratori, con particolare riferimento alle condizioni del mercato del lavoro,
interno ed internazionale;
— l’art. 36: definisce i criteri di determinazione della retribuzione. Lo stesso articolo
contiene una disposizione programmatica sulla durata della giornata lavorativa
(riserva alla legge la fissazione della sua durata massima) e stabilisce l’inderogabilità
del riposo settimanale e delle ferie annuali;
Capitolo I: Nozione e fonti del diritto del lavoro
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— l’art. 37: garantisce alla donna lavoratrice gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le
stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Il principio della «parità» è esteso,
nell’ultimo comma, anche al lavoro dei minori;
— l’art. 38: sancendo il diritto del lavoratore ad adeguate forme di previdenza ed
assistenza sociale ha inteso garantire il lavoratore (e, in una visione più ampia,
l’individuo in genere) da quei rischi che possono incidere sulla sua capacità lavorativa
e sui suoi bisogni;
— gli artt. 39-40: tutelano l’attività sindacale e riconoscono il diritto di sciopero.
Numerose sono, poi, le disposizioni costituzionali che si riferiscono, indirettamente, al rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni. A tale
riguardo si osserva, infatti, che non vi è alcuna norma di rango costituzionale che si
occupi specificatamente del rapporto di pubblico impiego, anche se vi sono principi
di carattere generale nonché riferimenti a figure specifiche, quali funzionari (artt. 28 e
29), impiegati (art. 98) e dipendenti pubblici (art. 28).
Tra le prescrizioni che assumono rilevanza per il pubblico impiego ricordiamo:
— la riserva di legge in materia di organizzazione. L’art. 97 Cost. precisa che i pubblici
uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge e che nell’ordinamento di questi
sono fissati le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei
funzionari;
— i principi di imparzialità e di buon andamento. Il principio d’imparzialità, sancito
dagli artt. 97 e 3 Cost., afferma l’obbligo della P.A. di svolgere la propria attività nel
rispetto di esigenze generali di giustizia, assumendo una posizione di equa terzietà,
non ponendo in essere atti di discriminazione e comportandosi correttamente nei
rapporti diretti con chiunque.
Il principio di buon andamento indica l’obbligo per i funzionari amministrativi e per
tutti gli agenti dell’amministrazione di svolgere la propria attività secondo modalità idonee e opportune al fine di garantire l’efficacia, l’efficienza, la speditezza e l’economicità
dell’azione amministrativa con il minor sacrificio degli interessi particolari dei singoli;
— i principi relativi all’accesso ai pubblici impieghi. L’art. 97, co. 3 Cost. prevede che
agli impieghi pubblici si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.
Vi è, ancora, una serie di norme relative allo svolgimento del rapporto di pubblico impiego:
a) in base all’art. 98, co. 1 Cost., i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione;
b) per alcune categorie di dipendenti pubblici (magistrati, militari di carriera in servizio attivo, i funzionari e
agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero) la legge può anche stabilire limitazioni
al diritto d’iscriversi ai partiti politici (art. 98, co. 3 Cost.);
c) i cittadini che ricoprono funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge (art. 54, co. 2 Cost.);
d) i funzionari e i dipendenti pubblici assumono anche una responsabilità diretta, civile, penale e amministrativa, per gli atti compiuti in violazione di diritti (art. 28 Cost.);
e) chi ricopre cariche elettive (art. 51, co. 3 Cost.) o adempie il servizio militare (art. 52, co. 2 Cost.) o il
sostitutivo civile ha diritto di conservare il proprio posto e, nel primo caso, di disporre del tempo necessario per adempiere il mandato.
C)Le altre fonti di diritto statuale
Vi rientrano il codice civile, che contiene la nozione di lavoratore subordinato (art.
2094 c.c.) e dedica al lavoro il Libro V, e la legislazione ordinaria nella materia specifica, comprendente le leggi e gli altri atti aventi forza di legge, nonché i regolamenti di
attuazione e di esecuzione dei suddetti atti.
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Libro I: Diritto del lavoro
D)Le fonti regionali
La competenza legislativa delle Regioni ad autonomia ordinaria è stata per molto
tempo limitata nell’ambito del lavoro, riguardando l’istruzione professionale e l’assistenza
sanitaria e ospedaliera.
Solo a seguito del D.Lgs. 23-12-1997, n. 469, le competenze regionali hanno abbracciato appieno la materia del collocamento e delle politiche del lavoro.
Con la modifica integrale del titolo V della parte seconda della Costituzione, dedicato
appunto a Regioni, Province e Comuni, ad opera della L. cost. 3/2001, si è provveduto
ad una nuova suddivisione della potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni (art.
117 Cost.).
La norma individua settori in cui lo Stato legifera in modo esclusivo, riservando a sé ben 17 materie, settori in cui le Regioni hanno potestà legislativa concorrente con lo Stato (sono tenute a legiferare nel rispetto
dei principi fondamentali della Repubblica) e settori in cui esiste una potestà legislativa esclusiva delle Regioni,
senza interferenze da parte delle autorità statali.
Con specifico riferimento alle competenze in materia di lavoro e previdenza sociale,
attengono:
— alla competenza esclusiva dello Stato, la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto
il territorio nazionale, la previdenza sociale e l’ordinamento civile;
— alla competenza concorrente delle Regioni, la tutela e sicurezza del lavoro, la tutela
della salute e la previdenza complementare e integrativa;
— alla competenza esclusiva delle Regioni, le materie non riservate alla legge statale e
alla legislazione regionale concorrente, compreso il potere di dare attuazione ed
esecuzione agli atti dell’Unione Europea.
La disciplina del rapporto di lavoro non rientra nell’ambito della «tutela e sicurezza del lavoro» di competenza regionale ai sensi dell’art. 117, co. 3, Cost., ma attiene all’ordinamento civile di esclusiva competenza
statale (Corte cost. sent. 28-1-2005, n. 50).
Il campo della tutela del lavoro, definito con una espressione di ampia interpretazione, deve ritenersi non
comprensivo di tutta la disciplina del lavoro, bensì limitato alla disciplina degli aspetti gestionali del mercato
del lavoro, quali la mediazione tra domanda e offerta di lavoro e gli interventi per favorire l’occupazione e il
reimpiego dei lavoratori (Corte cost. sent. 14-10-2005, n. 385).
E)Le fonti sindacali (o contrattuali collettive)
I contratti stipulati tra le associazioni rappresentanti i lavoratori e quelle dei datori
di lavoro (a volte singoli datori di lavoro) disciplinano il trattamento economico e
normativo del personale dipendente di una determinata categoria professionale (es.
metalmeccanici, industria etc.). La funzione ausiliaria della legge (art. 2099 c.c.), svolta
sia in ambito privato che pubblico dalla contrattazione collettiva, è più ampiamente
esaminata nel succ. Cap. 3 cui si rinvia.
F)La consuetudine
Consiste nella ripetizione costante e uniforme di una determinata condotta, con la
convinzione della sua giuridica necessità (cd. uso normativo), nel diritto privato comune opera solo in assenza di regola legislativa (praeter legem) o su suo espresso rinvio
(secundum legem).
Nel diritto del lavoro, la consuetudine è regolata dall’art. 2078 c.c., che, da un lato,
prevede l’applicabilità dell’uso solo in assenza di disposizioni di legge o contrattuali
Capitolo I: Nozione e fonti del diritto del lavoro
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(collettive), dall’altro, stabilisce che gli usi più favorevoli al prestatore di lavoro prevalgono sulle norme dispositive di legge (ma mai sui contratti individuali di lavoro).
G)Le regole interpretative
Il favore per il lavoratore subordinato (principio del favor prestatoris) è un principio
che informa l’intero ordinamento giuridico: con tale locuzione si indica la particolare
tutela, che nel contratto individuale di lavoro, viene accordata al contraente più debole,
e cioè al prestatore, come conseguenza della necessità di riequilibrare il diverso peso
contrattuale delle parti.
Il principio è affermato in tutta una serie di disposizioni: basti pensare al principio della invalidità delle
rinunce e transazioni stipulate durante il rapporto di lavoro (art. 2113 c.c.) e alla possibilità di derogare le
norme imperative di legge con altre che risultino più favorevoli al prestatore di lavoro.
L’equità, criterio interpretativo e metodo di giudizio della giustizia del caso concreto,
è richiamata dagli artt. 2109 c.c. (ferie annuali), 2110 c.c. (retribuzione e indennità per
infortunio, malattia, gravidanza e puerperio), 2118 c.c. (preavviso).
3. La disciplina del pubblico impiego
Il rapporto di impiego pubblico può essere delineato come quel rapporto di lavoro per
cui una persona fisica pone, volontariamente e dietro corrispettivo, la propria attività,
in via continuativa, alle dipendenze di una P.A.
La disciplina del pubblico impiego è stata assoggettata, negli anni, ad un complesso
ed articolato iter di riforme, che, a loro volta, devono essere collocate nel più vasto
disegno di innovazione dell’apparato pubblico nel suo complesso.
A partire dalla fine degli anni Ottanta, infatti, la P.A. italiana è stata teatro di importanti cambiamenti, nell’ottica del superamento delle problematiche di lentezza
ed inefficienza burocratica che erano venute a crearsi parallelamente a situazioni di
insoddisfazione dei cittadini; innovazioni, queste, finalizzate ad una progressiva crescita degli standard qualitativi delle prestazioni lavorative nonché ad un miglioramento
del funzionamento della P.A., sulla base dei criteri di ­­modernizzazione, efficienza e
trasparenza.
Dalla costituzione dello Stato unitario, il rapporto di pubblico impiego è stato oggetto di una disciplina rigorosamente unilaterale, scandita da atti di natura legislativa
o regolamentare, in seno alla quale non è mai stato riconosciuto rilievo alcuno alla
fonte contrattuale.
In particolare, la disciplina del rapporto di impiego era contenuta nel R.D. 11 novembre 1923, n. 2395
(ordinamento gerarchico) e nel R.D. 30 ottobre 1923, n. 2960 (stato giuridico).
Un primo passo verso la parificazione è stato rappresentato dal Testo Unico impiegati civili dello Stato, contenuto nel D.P.R. n. 3 del 1957, nel quale era regolamentata
la distinzione delle carriere lavorative (direttiva, di concetto, esecutiva e ausiliaria) e la
disciplina delle funzioni inerenti le qualifiche medesime. Tale Testo Unico, insieme al
D.P.R. 748 del 1972 istitutivo della dirigenza pubblica, rimase la disciplina di riferimento fino alla emanazione della legge quadro sul pubblico impiego, n. 93 del 1983.
Tuttavia, nonostante l’enunciazione della volontà di colmare le distanze tra lavoro
pubblico e lavoro privato, la normativa relativa all’impiego pubblico rimaneva profondamente differenziata rispetto a quella del lavoro privato; soprattutto a seguito della
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Libro I: Diritto del lavoro
emanazione dello Statuto dei Lavoratori emersero i vuoti di tutela che presentava la
condizione giuridica ed economica del pubblico dipendente rispetto al lavoratore privato.
È in tale prospettiva che si colloca il D.Lgs. n. 29 del 3 febbraio 1993, con cui viene
suggellato il faticoso percorso di riavvicinamento tra lavoro pubblico e privato e sancita
la privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.: la disciplina
dei pubblici impiegati viene assoggettata, salvo poche eccezioni soggettive ed oggettive,
alla disciplina del lavoro privato, e, di conseguenza, alla contrattazione collettiva, e
la relativa tutela viene spostata dinanzi al giudice ordinario.
In questa fase viene delineandosi la distinzione tra organizzazione amministrativa e regolazione e gestione del rapporto di lavoro: mentre la prima continua ad essere disciplinata in regime di diritto pubblico, la
seconda, cioè la gestione dei rapporti di lavoro in quanto tali, viene rimessa alla regolamentazione di diritto
comune, alle norme del codice civile e ai contratti collettivi negoziati con le organizzazioni sindacali, al pari
di quanto accade nelle imprese private.
Il processo di riforma ha subito una importante accelerazione sia attraverso l’emanazione dei primi contratti collettivi quadriennali, destinati a rappresentare il momento
del definitivo passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina del lavoro pubblico, negli
anni 1994 e 1995, sia grazie al D.Lgs. 80 del 1998, con cui viene meglio delineata la
separazione delle fonti pubblicistiche e privatistiche di disciplina delle macro-aree
del pubblico impiego, marcata la devoluzione del relativo contenzioso al giudice ordinario (G.O.) ed estesa la privatizzazione anche ai dirigenti generali di categoria, che
in una prima fase ne erano stati esclusi. Si tratta della cd. seconda privatizzazione
del pubblico impiego. L’area riservata al diritto comune viene, infatti, ampliata e il
contratto collettivo diventa la fonte privilegiata della disciplina del rapporto di lavoro,
capace di disapplicare le stesse disposizioni di legge e di regolamento o statuto.
L’emanazione di numerosi interventi normativi in materia ha fatto poi sorgere l’esigenza del coordinamento tra le stesse; a questo fine è stato emanato il D.Lgs. 165/2001
(cd. Testo Unico del pubblico impiego) che domina l’attuale panorama normativo,
recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni.
Tale decreto contiene la disciplina dell’organizzazione degli uffici e dei rapporti di lavoro
pubblico, del procedimento di contrattazione collettiva, della mobilità, dell’utilizzo delle
forme di lavoro flessibile alle dipendenze della P.A., nonché norme in tema di giurisdizione.
4. Il sistema delle fonti del pubblico impiego: legge e contratto
In virtù del secondo comma dell’art. 2 del D.Lgs. 165/2001 — i rapporti di lavoro dei
dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I,
titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato
nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel decreto — il pubblico impiego è assoggettato, tendenzialmente, alla medesima regolamentazione privatistica.
Per effetto del D.Lgs. 150/2009 (cd. Riforma Brunetta) le disposizioni del D.Lgs.
165/2001, che modellano i tratti specifici del rapporto dei pubblici dipendenti, rappresentano «disposizioni a carattere imperativo».
Nell’ipotesi di nullità delle disposizioni contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati alla contrattazione collettiva, si applicano gli artt. 1339 e 1419,
comma 2, c.c., determinando la sostituzione automatica delle clausole difformi con la
norma di legge violata.
Capitolo I: Nozione e fonti del diritto del lavoro
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L’art. 1 della L. 15/2009 era precedentemente intervenuto a modificare il rapporto
tra norme speciali, destinate ai pubblici dipendenti, e contratto collettivo, disponendo che «eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano
discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle
amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non sono ulteriormente
applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge». Il previgente
dettato, invece, consentiva ai contratti collettivi successivi di derogare alla speciale
normativa intervenuta, azzerandola, a meno che la legge stessa non la autodefinisse
insuscettibile di modifica da parte del contratto collettivo. La forza di deroga affidata
al contratto collettivo era finalizzata ad evitare che la legge (e le altre fonti unilaterali) si riappropriasse stabilmente di ambiti riservati alla contrattazione medesima.
Oggi è, viceversa, l’inderogabilità della legge ad essere presunta, senza alcuna
necessità di una sua menzione espressa, mentre la derogabilità da parte del successivo contratto collettivo deve essere dichiarata. Ciò consente più facilmente la
rilegificazione di intere materie e/o ambiti.
Rimane, peraltro, salvo il valore «rafforzato» del contratto collettivo rispetto alle disposizioni di legge,
regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti dai contratti stessi. La
modificazione prevista dalla L.15/2009 riguarda, infatti, solo i trattamenti normativi, non incidendo sulla
disapplicazione «automatica» delle disposizioni speciali in materia retributiva, ex comma 3 dell’art. 2 del
D.Lgs. 165/2001. Queste ultime «cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo
contrattuale», mentre «i trattamenti economici più favorevoli in godimento sono riassorbiti con le modalità
e nelle misure previste dai contratti collettivi».
 Capitolo Secondo 
Il lavoro subordinato e autonomo.
Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.
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1. Il lavoro subordinato
Nel Libro V del codice civile, dedicato al «lavoro», non è contenuta una nozione di
lavoro subordinato.
Esiste però una definizione di prestatore di lavoro subordinato, individuato
dall’art. 2094 c.c. in colui che «si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione
dell’imprenditore».
Gli elementi più qualificanti della nozione offerta dal codice civile sono comunemente
individuati nella parte conclusiva della norma, dalla quale trae origine la tradizionale
identificazione della subordinazione con l’eterodirezione della prestazione lavorativa.
L’eterodirezione o subordinazione tecnico-funzionale consiste nella sottoposizione
dei prestatori di lavoro alle direttive del datore di lavoro cui spetta di determinare le modalità di esplicazione dell’attività lavorativa, entro i limiti fissati dalla legge e dal contratto
collettivo a tutela della personalità e della dignità del lavoratore (artt. 35, 41 Cost.).
Il lavoratore subordinato esegue la prestazione dedotta in contratto secondo ordini,
direttive ed impostazioni impartite dal datore di lavoro, o dai suoi collaboratori (art.
2086 c.c.).
Tradizionalmente, oltre al criterio della subordinazione tecnico-funzionale, si fa riferimento anche alla
subordinazione socio-economica. La dipendenza o inferiorità economica, che ha caratterizzato storicamente il
lavoro salariato ed ha giustificato la formazione di un apparato di tutele giuridiche ed economiche in favore
del lavoratore.
2. Il lavoro autonomo
In base all’art. 2222 c.c., è lavoratore autonomo colui che «si obbliga a compiere
verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza
vincolo di subordinazione nei confronti del committente».
Il lavoro autonomo comprende, oltre alle prestazioni d’opera di cui all’art. 2222 c.c., anche le prestazioni
professionali e intellettuali (art. 2229 c.c.), i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e il lavoro a
progetto (art. 409, n. 3, c.p.c.) (per questi ultimi, v. Cap. 12, par. 11).
L’assenza di subordinazione si riflette nelle modalità di estrinsecazione della
attività lavorativa: il lavoratore autonomo infatti agisce in piena discrezionalità e autodirezione (MAZZIOTTI).
Inoltre, nel lavoro autonomo la materiale esecuzione dell’attività può essere affidata a sostituti o assistenti,
anche se il lavoratore rimane sempre l’unico e personale responsabile nei confronti del committente (art.
2226 c.c.); l’attività prestata nel lavoro autonomo è considerata, poi, nella sua unitarietà, mentre nel lavoro
subordinato prevale il carattere continuativo della prestazione che è temporalmente suddivisibile (mazziotti).
Capitolo II: Il lavoro subordinato e autonomo. Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.
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Talvolta nella realtà non è facile distinguere un rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo.
La giurisprudenza ritiene che l’elemento fondamentale è costituito dall’assoggettamento del lavoratore
al potere di direzione e di controllo del datore di lavoro, assoggettamento che non si riscontra tra lavoratore
autonomo e committente.
Se non è possibile rinvenire tale elemento, è possibile riferirsi ai seguenti indici che, se riscontrati nello
svolgimento del rapporto di lavoro, ne rivelano la natura subordinata:
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l’osservanza di un orario di lavoro predeterminato;
la collaborazione;
l’assenza del rischio in capo al lavoratore;
la natura della prestazione;
la continuità della prestazione;
il versamento, a cadenze fisse, di una retribuzione prestabilita;
l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione produttiva;
il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo dato all’impresa dal datore di lavoro.
In generale, poi, per determinare la natura (autonoma o subordinata) del rapporto di lavoro, è, di per
sé, irrilevante la denominazione giuridica attribuita dalle parti al contratto (cd. nomen iuris), in ossequio al
principio in base al quale si deve privilegiare il comportamento che esse hanno avuto durante lo svolgimento
del rapporto stesso rispetto alla volontà che avevano manifestato al momento della stipulazione del contratto.
Il nomen iuris è quindi soltanto uno degli elementi da valutare al fine di individuare l’esatta volontà delle
parti.
3. I soggetti del rapporto di lavoro subordinato
A)Datore di lavoro
È datore di lavoro chi fa eseguire ad altri un lavoro alle proprie dipendenze e sotto le
proprie direttive, in cambio di una retribuzione.
Ai fini dell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, è ininfluente che il
datore sia o meno un imprenditore. Sebbene, infatti, tale disciplina debba intendersi
dettata, ex art. 2094 c.c. e ss., per il lavoro alle dipendenze di un imprenditore, lo stesso
codice civile stabilisce espressamente che essa si applica, in quanto compatibile, anche
ai «rapporti di lavoro subordinato che non sono inerenti all’esercizio di un’impresa» (art. 2239 c.c.).
Il datore di lavoro può avere natura privata (singolo individuo, società etc.) o natura
pubblica. Il rapporto di lavoro con cui il datore di lavoro pubblico (Stato, ente locale etc.) è connotato da rilevanti elementi di specialità ed è oggetto di una particolare
regolamentazione (v. succ. par. 4).
B)Prestatore di lavoro subordinato
Ai sensi dell’art. 2094 c.c. è lavoratore subordinato colui che «si obbliga mediante
retribuzione a collaborare nell’impresa prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore».
C)La capacità giuridica e d’agire del datore di lavoro e del lavoratore
Il datore di lavoro e il lavoratore devono soddisfare il requisito della capacità di
essere parte del contratto di lavoro.
Per il datore di lavoro valgono gli ordinari criteri stabiliti dal diritto privato.
Egli acquista la capacità giuridica (attitudine giuridicamente riconosciuta ad essere titolare di diritti ed
obblighi) con la nascita (se persona fisica) o con il riconoscimento della personalità giuridica; la capacità
d’agire (attitudine a compiere manifestazioni di volontà idonee a modificare la propria situazione giuridica) al
compimento del diciottesimo anno di età (maggiore età).
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Libro I: Diritto del lavoro
Per il lavoratore valgono, invece, regole particolari.
La specifica capacità giuridica a prestare il lavoro si acquista al compimento dell’età legale
per l’accesso al lavoro (art. 2, co. 2 c.c.) (si parla di capacità giuridica speciale). La mancanza dell’età minima di ammissione al lavoro determina la nullità del contratto di lavoro.
D)Requisiti di età e di istruzione per l’accesso al lavoro
L’art. 3 L. 977/67 fissa l’età minima per l’ammissione al lavoro al momento in cui
il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria, stabilendo che essa, comunque, non può essere inferiore ai 15 anni compiuti. Successivamente la L. 296/2006
(art. 1, co. 622) ha però stabilito che l’istruzione è obbligatoria per almeno 10 anni e,
conseguentemente, ha elevato l’età per l’accesso al lavoro a 16 anni.
La L. 4-11-2010, n. 183 (cd. collegato lavoro) stabilisce che il periodo di istruzione obbligatoria può
essere assolto anche nei percorsi di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione
(art. 48, co. 8). Poiché tale tipo di apprendistato permette l’assunzione a partire dal quindicesimo anno di età,
risulta che è possibile iniziare a lavorare a 15 anni purché, però, si tratti della suddetta tipologia contrattuale.
L’art. 4 L. 977/1967, prevede inoltre il divieto (art. 4 L. 977/1967) di adibire al lavoro
i bambini salvo che in casi eccezionali (attività di carattere culturale, artistico, sportivo
o pubblicitario e nel settore dello spettacolo.
In tal caso l’esercizio dell’attività lavorativa da parte del minore è subordinata all’autorizzazione della
Direzione provinciale del lavoro e all’assenso scritto dei titolari della potestà genitoriale (sono richiesti anche
nel caso in cui tali attività siano svolte dagli adolescenti).
E)La capacità psico-fisica e l’idoneità tecnica del lavoratore
L’attitudine psico-fisica ad una determinata occupazione è considerata una qualità rilevante se la mansione richiede per il suo esercizio determinati requisiti fisici (ad
es. la vista per i conducenti di autoveicoli destinati al trasporto pubblico) oppure può
risultare potenzialmente pregiudizievole per la salute del lavoratore (in tal caso non vi
devono essere controindicazioni relative al singolo lavoratore).
L’idoneità tecnica attiene alla capacità professionale a svolgere una certa attività,
nel caso in cui essa debba risultare da diplomi, patenti, licenze, iscrizioni in albi etc. (ad
es. l’apposito patentino per chi debba essere assunto come addetto alla manutenzione
di ascensori).
4. Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.
A)Caratteri generali
Come già evidenziato, il rapporto di impiego pubblico è quello che si svolge alle
dipendenze di una P.A.
Per effetto della instaurazione del rapporto de quo, il dipendente risulta stabilmente
inserito nell’organizzazione istituzionale della P.A. datrice di lavoro, assumendo uno
specifico status con particolari diritti e doveri.
Il rapporto di pubblico impiego dunque si configura come:
— volontario, in quanto sia per la costituzione che per la continuazione del rapporto
è richiesta la volontà della P.A. e quella del dipendente;
— strettamente personale, in quanto la specifica capacità intellettiva e tecnica richiesta
e la fiducia che l’ente deve avere nella persona cui affida la cura dei propri interessi
comportano che il rapporto sia costituito intuitu personae;
Capitolo II: Il lavoro subordinato e autonomo. Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.
17
— sinallagmatico, in quanto la prestazione lavorativa e la corresponsione della retribuzione sono collegate fra loro da un nesso di corrispettività, trovando l’una la propria
causa nell’altra;
— di subordinazione, in quanto la prestazione lavorativa è svolta alle dipendenze della
P.A. da un soggetto in rapporto di istituzionale subordinazione con la stessa.
Alla struttura del rapporto di pubblico impiego così come tratteggiata non possono
essere ricondotti:
— il rapporto di servizio onorario che si instaura con soggetti deputati a svolgere funzioni pubbliche di particolare rappresentatività (es. ministri, sindaci, componenti
di commissione di concorso), di durata limitata e con un compenso comprendente
il ristoro per l’espletamento dei compiti e il rimborso delle spese sostenute;
— il rapporto d’incarico professionale, il quale trova la sua base in un contratto con cui un
soggetto pone in essere determinati compiti o un’opera (locatio operis) senza vincolo
di subordinazione gerarchica nonché obblighi di orari (es. medici convenzionati);
— il rapporto obbligatorio o di servizio coattivo, che nasce sulla scorta di una legge che
impone coattivamente ad un soggetto di svolgere determinate funzioni pubbliche.
Un esempio di tale rapporto è costituito dal servizio militare, che oggi si instaura
mediante il solo arruolamento a base volontaria. Pur avendo tale origine, però, una
volta sorto, esso diventa forzoso, non essendo consentite le dimissioni volontarie.
B)Natura giuridica. In particolare, la «specificità» del lavoro pubblico rispetto
a quello privato
L’individuazione della natura giuridica del pubblico impiego è divenuta oggetto di
intenso studio, in dottrina e in giurisprudenza, solo a partire dagli anni Novanta. Prima
di allora, infatti, la natura pubblica del rapporto non era mai stata messa in discussione, sia per la specificità delle fonti normative del rapporto, sia per la natura del potere,
sostanzialmente autoritativo, della P.A., in ambito organizzativo e gestionale.
Tuttavia, la natura del rapporto di impiego pubblico è stata riconsiderata, a seguito
della emanazione del D.Lgs. 29/1993 (ora abrogato e in buona sostanza recepito dal
D.Lgs. 165/2001), che ha dato inizio a quello che è stato etichettato come il processo
di privatizzazione del pubblico impiego, che ha coinvolto la gran parte dei rapporti di
lavoro alle dipendenze della P.A.
Il rapporto di pubblico impiego è stato, infatti, ricondotto alla disciplina del diritto
privato, ma l’intrecciarsi di profili organizzativi di rilevante interesse pubblico gli ha
comunque conferito un certo carattere di specialità, evidenziato dalle diverse disposizioni contenute nello stesso decreto di privatizzazione.
Nonostante la progressiva assimilazione tra lavoro pubblico e lavoro privato, infatti, come messo in luce dalla stessa Corte costituzionale, sussistono ancora differenze
sostanziali che rendono le due situazioni non omogenee. Per tale motivo è da ritenere
ammissibile una disciplina differenziata del rapporto di lavoro pubblico rispetto a quello
privato, in quanto il processo di omogeneizzazione incontra il limite della specialità del
rapporto e delle esigenze del perseguimento degli interessi generali.
La Pubblica Amministrazione, infatti, conserva pur sempre — anche in presenza di
un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato — una connotazione peculiare, essendo
tenuta al rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento
cui è estranea ogni logica speculativa (Corte cost., 16-5-2008, n. 146).
18
Libro I: Diritto del lavoro
L’art. 2, co. 2 (ante riforma del 2009), del D.Lgs. 165/2001 stabiliva testualmente che «I rapporti di lavoro
dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del
libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse
disposizioni contenute nel presente decreto. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni
pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte
derogata, non sono ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario».
L’assetto dei rapporti di pubblico impiego, come risultanti a seguito della cd. privatizzazione è, quindi, incentrato sul valore dell’autonomia contrattuale (individuale e
collettiva).
In questo contesto, occorre fare una preliminare distinzione tra atti di macro e atti
di micro-organizzazione. In particolare, gli atti di macro-organizzazione sono veri e
propri provvedimenti amministrativi (aventi pertanto rilevanza pubblicistica) attraverso i quali le amministrazioni pubbliche datrici di lavoro conservano la prerogativa di
disciplinare con atti autoritativi la propria organizzazione, nel rispetto dei principi
di cui all’art. 2, co. 1, D.Lgs. 165/2001 (CARINGELLA).
Tra gli atti di macro-organizzazione rientrano: l’articolazione strutturale dell’amministrazione in direzioni
generali e subordinate e la creazione di uffici peculiari; la determinazione degli organici complessivi; la ripartizione delle risorse umane e finanziarie tra uffici di reclutamento o dei criteri generali di organizzazione
delle funzioni.
Tutti i profili di micro-organizzazione (e cioè le particolari determinazioni per
l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro)
rientrano, invece, nella sfera in cui gli organi preposti alla gestione (i dirigenti) agiscono con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.
Un regime di diritto pubblico permane, peraltro, per il rapporto di lavoro di alcune
categorie di personale indicate dallo stesso decreto di riforma (v. infra par. 5 lett. B).
Alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni italiane convivono, dunque,
categorie non contrattualizzate (circa il 15% dei dipendenti) e pubblici impiegati già
«privatizzati» ex D.Lgs. 29/1993.
A conclusione di quanto fino ad ora esposto, pertanto, è possibile riportare l’opinione di autorevole
dottrina, che ha ben posto in evidenza che «nonostante il mutamento della natura giuridica del rapporto di
lavoro delle Pubbliche Amministrazioni (…) non può sostenersi l’esistenza di un modello unico di rapporto
di lavoro subordinato, valido sia per il settore privato che per quello pubblico» (GAROFOLI-FERRARI).
5. Il pubblico impiego privatizzato: il D.Lgs. 165/2001 e la nozione
di amministrazione pubblica
A)L’ambito di applicazione delle norme sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze della P.A.
I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati
dal codice civile e dalla legislazione sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa,
fatto salvo quanto diversamente previsto nel D.Lgs. 165/2001, le cui disposizioni assumono carattere imperativo.
Il legislatore, premesso che la disciplina privatistica e contrattuale si applica a tutte
le Pubbliche Amministrazioni, con alcune eccezioni, ha precisato che per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato (comprese le scuole
e le amministrazioni ad ordinamento autonomo), le Regioni, le Province, i Comuni, le
Comunità montane e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti
Capitolo II: Il lavoro subordinato e autonomo. Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A.
19
autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato, ed agricoltura
e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, e
le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
Restano, quindi, esclusi dalla sfera di afferenza della normativa di riforma i settori
— già in precedenza sottratti alla disciplina del pubblico impiego — degli enti pubblici
economici e delle aziende municipalizzate (trasformate, a partire dagli anni Novanta, in
enti strumentali di Province e Comuni, provvisti di autonomia imprenditoriale).
Inoltre, si ricordi che, fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni del
D.Lgs.165/2001 si applicano anche al CONI (previsione introdotta dal D.L. 225/2010, conv. in L. 10/2011,
cd. Milleproroghe).
B)Le categorie di lavoratori escluse dalla contrattualizzazione
Vi sono, poi, delle categorie di dipendenti esentate dall’applicazione della normativa
di diritto comune e dal processo di contrattualizzazione del pubblico impiego. Si tratta
di eccezioni che trovano la propria ratio nelle caratteristiche di specialità dei rapporti di
cui si tratta (art. 3 D.Lgs. 165/2001).
Rimangono assoggettate, infatti, alla previgente disciplina i rapporti concernenti:
a) magistrati ordinari, amministrativi e contabili;
b) avvocati e procuratori dello Stato;
c) personale militare e delle Forze di Polizia di Stato;
d) personale delle carriere diplomatica e prefettizia, quest’ultima a partire dalla qualifica
di vice-consigliere di prefettura;
e) dipendenti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’art. 1 del D.Lgs.
C.p.S. 691/1947 (risparmio, funzione creditizia e valutaria), e dalle leggi 281/1985
(tutela del risparmio, valori mobiliari) e 287/1990 (tutela della concorrenza e del
mercato).
Il comma 1bis dell’art. 3 cit., introdotto con L. 252/2004, esclude dalla privatizzazione il personale (salvo
quello volontario) del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, disciplinato da autonome disposizioni.
Il rapporto di impiego dei professori e ricercatori universitari resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in attesa della specifica disciplina che lo regoli in modo organico ed in conformità ai principi
dell’autonomia universitaria, di cui all’art. 33 della Costituzione.
Invece, il personale dipendente dell’Università è retto dal relativo CCNL.
Dalla esclusione dalla privatizzazione discendono due importanti conseguenze:
a) le categorie di dipendenti elencate nell’art. 3 del D.Lgs. 165/2001 restano disciplinate
dai rispettivi ordinamenti, i quali, tranne poche eccezioni, presentano un assetto
pubblicistico dominato dalle fonti legislative e da atti normativi ed amministrativi;
b) le relative controversie di lavoro, comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali
nascenti dal rapporto di impiego, non ricadono nell’ambito di cognizione del giudice ordinario, bensì restano assoggettate alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo.
 Questionario 

1) Le Regioni hanno competenza in materia di diritto del lavoro?
❏❏ A)Sì, relativamente alla «Tutela e sicurezza del lavoro».
❏❏ B)Sì, ma solo quelle a Statuto speciale.
❏❏ C)Sì, per funzioni di consulenza e di controllo.
2) Che valore assume la consuetudine nel diritto del lavoro?
❏❏ A)Vale solo se espressamente richiamata dalla legge.
❏❏ B) Prevale sui contratti individuali di lavoro.
❏❏ C)Se più favorevole, prevale anche sulle norme di legge.
3) La fonte del rapporto di lavoro subordinato è:
❏❏ A) Il contratto collettivo di lavoro stipulato dalle associazioni di categoria dei
datori e dei prestatori.
❏❏ B) Esclusivamente il contratto individuale, sebbene la volontà negoziale possa essere espressa tacitamente.
❏❏ C) La legge.
4) Il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dall’art. 61 D.Lgs. 276/2003, è
riferibile:
❏❏ A) Al rapporto di lavoro subordinato.
❏❏ B) Ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente
personale e senza vincolo di subordinazione.
❏❏ C) Agli agenti e rappresentanti di commercio.
5) Quale tra le seguenti affermazioni rientra nella disciplina del lavoro accessorio?
❏❏ A) Le prestazioni accessorie non possono avere una durata complessiva superiore a 30 giorni nell’anno solare.
❏❏ B) Le prestazioni accessorie non possono essere svolte a favore di più committenti.
❏❏ C) Nella generalità dei casi, i compensi percepiti complessivamente nell’anno
solare non devono essere, riferiti al medesimo committente, superiori a
5.000 euro.
6) Cosa si intende per collaborazione occasionale?
❏❏ A) Il lavoro svolto per non più di 30 giorni nell’arco dell’anno solare, con due soli
committenti e che abbia determinato un reddito non superiore a 5.000 euro.
❏❏ B) Il lavoro svolto per non più di 30 giorni nell’arco dell’anno solare, con lo
stesso committente e che abbia determinato un reddito non superiore a
5.000 euro.
224
Libro I: Diritto del lavoro
❏❏ C) Il lavoro svolto per non più di 60 giorni nell’arco dell’anno solare, con lo
stesso committente e che abbia determinato un reddito non superiore a
5.000 euro.
7) La disciplina relativa al cd. patto di prova prevede che esso abbia:
❏❏ A) Forma e durata liberamente scelta dalle parti contraenti.
❏❏ B) Forma scritta e durata liberamente scelta tra le parti contraenti.
❏❏ C) Forma scritta e durata massima non superiore a 6 mesi, non prorogabile.
8) I contratti di lavoro tra l’azienda e i propri dipendenti debbono essere stipulati:
❏❏ A) In carta bollata.
❏❏ B) Per iscritto.
❏❏ C) Non è prevista alcuna forma particolare eccetto i casi stabiliti specificamente dalla legge.
9) Il prestatore di lavoro subordinato è:
❏❏ A) Colui che esercita esclusivamente lavoro manuale.
❏❏ B) Colui che esercita esclusivamente lavoro intellettuale.
❏❏ C) Colui che svolge attività manuale o intellettuale alle dipendenze e sotto la
direzione del datore di lavoro.
10) Alla procedura di certificazione si può ricorrere per qualsivoglia contratto di
lavoro?
❏❏ A) Sì.
❏❏ B) Sì, ma solo se a tempo determinato.
❏❏ C) Sì, ma solo se a tempo indeterminato.
11) Il lavoratore che ha effettuato la prestazione di lavoro in virtù di un contratto invalido:
❏❏ A) Non ha diritto ad alcuna retribuzione.
❏❏ B) Ha diritto al risarcimento dei danni.
❏❏ C) Ha diritto alla retribuzione per l’attività lavorativa effettivamente prestata.
12) Le agenzie per il lavoro per svolgere i servizi per il lavoro:
❏❏ A) Devono essere autorizzate dal Ministero del lavoro.
❏❏ B) Devono essere autorizzate dai centri per l’impiego.
❏❏ C) Devono essere autorizzate con decreto del Presidente della Repubblica.
13) Tra gli operatori abilitati ad operare nel campo della mediazione tra domanda e offerta di lavoro, la L. 183/2010, cd. Collegato lavoro, ha previsto:
❏❏ A) I fondi pensione negoziali.
❏❏ B) I gestori di siti internet.
❏❏ C) L’Ordine dei commercialisti.
Questionario
225
14) La procedura di assunzione diretta è valida:
❏❏ A) Per l’assunzione di tutti i lavoratori, salvo limitate eccezioni.
❏❏ B) Per l’assunzione dei disabili.
❏❏ C) Per l’assunzione di lavoratori extracomunitari.
15) Il datore di lavoro deve comunicare l’assunzione del lavoratore agli uffici competenti:
❏❏ A) Entro 5 giorni dall’instaurazione del rapporto di lavoro.
❏❏ B) Entro il giorno antecedente l’instaurazione del rapporto di lavoro.
❏❏ C) Entro 30 giorni dall’instaurazione del rapporto di lavoro.
16) Con il termine collocamento mirato intendiamo:
❏❏ A) Una serie di strumenti che permettono di valutare le capacità dei lavoratori in base alle loro esperienze lavorative.
❏❏ B) I colloqui attraverso i quali si individuano i posti di lavoro adatti ai disabili.
❏❏ C) Una serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità, nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto di lavoro adatto.
17) La quota di riserva per l’assunzione di disabili a carico dei datori di lavoro
che occupano più di 35 e fino a 50 dipendenti:
❏❏ A) È pari a 2 lavoratori.
❏❏ B) È pari al 10% dei lavoratori occupati.
❏❏ C) È pari al 2% dei lavoratori occupati.
18) La somministrazione di lavoro può avvenire:
❏❏ A) Solo a tempo determinato.
❏❏ B) Solo a tempo indeterminato.
❏❏ C) Sia a tempo determinato che a tempo indeterminato.
19) Cosa comporta la mancanza della forma scritta del contratto di somministrazione?
❏❏ A) Il contratto è nullo e i lavoratori vengono considerati alle dipendenze dell’utilizzatore.
❏❏ B) La forma scritta è richiesta ad probationem, la sua mancanza determina
quindi solo una limitazione dei mezzi probatori.
❏❏ C) Il contratto è annullabile.
20) Se l’agenzia di somministrazione assume il lavoratore a tempo determinato
quale disciplina si applica al rapporto di lavoro?
❏❏ A) Si applica la disciplina generale dei rapporti di lavoro contenuta nel codice civile.
❏❏ B) La disciplina del rapporto di lavoro è rimessa alla contrattazione collettiva.
❏❏ C) Si applica la disciplina contenuta nel D.Lgs. 368/2001, per quanto compatibile, con esclusione di alcune disposizioni (art. 5 commi 3 e ss.).
226
Libro I: Diritto del lavoro
21) Su chi grava l’onere dei contributi previdenziali per i lavoratori oggetto di
somministrazione?
❏❏ A) Sul somministratore.
❏❏ B) Sullo Stato, attraverso l’attribuzione di contributi figurativi.
❏❏ C) Sull’utilizzatore.
22) Un datore con più di 20 dipendenti è obbligato ad attivare una determinata
procedura preventiva per poter effettuare il trasferimento della sua azienda?
❏❏ A) Sì, sempre.
❏❏ B) No, mai.
❏❏ C) Solo, se il trasferimento riguarda più di un ramo aziendale.
23) In via generale e salvo l’obbligo scolastico, qual è l’età minima di ammissione al lavoro?
❏❏ A) 14 anni.
❏❏ B) 15 anni.
❏❏ C) 16 anni.
24) Nel nostro ordinamento, in materia di inquadramento professionale dei lavoratori:
❏❏ A) Non vi sono norme legislative, essendo la materia oggetto soltanto di disciplina contrattuale.
❏❏ B) La legge stabilisce la suddivisione dei lavoratori in tre categorie.
❏❏ C) La legge stabilisce la suddivisione dei lavoratori in quattro categorie.
25) Può il lavoratore essere adibito a mansioni inferiori a quelle per le quali è
stato assunto?
❏❏ A) Sì, in ossequio al potere organizzativo-direttivo del datore di lavoro.
❏❏ B) Sì, purché non comporti una decurtazione della retribuzione.
❏❏ C) Sì, ma solo in casi eccezionali stabiliti dalla legge.
26) L’obbligo di riservatezza incombente sul prestatore di lavoro:
❏❏ A) Permane durante tutta la durata del rapporto di lavoro.
❏❏ B) Viene meno con la cessazione del rapporto.
❏❏ C) Permane anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
27) Le perquisizioni sul lavoratore fatte eseguire in azienda dal datore di lavoro:
❏❏ A) Sono sempre vietate.
❏❏ B) Sono vietate salvo il caso in cui risultino indispensabili per la tutela del patrimonio aziendale.
❏❏ C) Sono ammesse previa autorizzazione delle rappresentanze sindacali aziendali.
Questionario
227
28) In base all’art. 2105 c.c., il divieto di concorrenza consiste:
❏❏ A) Nel divieto per il lavoratore di trattare affari per conto proprio in concorrenza con l’imprenditore.
❏❏ B) Nel divieto per i lavoratori di comportarsi slealmente nei confronti del datore di lavoro successivamente alla cessazione del rapporto.
❏❏ C) Nel divieto per il lavoratore di trattare affari per conto proprio o di terzi in
concorrenza con l’imprenditore.
29) La retrocessione ad una qualifica inferiore può costituire una sanzione disciplinare?
❏❏ A) Sì, ma solo se prevista dai contratti collettivi.
❏❏ B) Sì, ma solo ­previo nulla-osta della Direzione provinciale del lavoro.
❏❏ C) No.
30) Quali tra questi è un requisito procedimentale per l’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro?
❏❏ A) Sussistenza ed imputabilità del fatto.
❏❏ B) Adeguatezza della sanzione.
❏❏ C) Preventiva e specifica contestazione dell’addebito.
31) In quale dei seguenti modi non può esplicarsi la tutela del lavoratore nei confronti del provvedimento disciplinare?
❏❏ A) Attraverso il ricorso al Tribunale in funzione di giudice del lavoro.
❏❏ B) Attraverso la procedura arbitrale presso la Direzione provinciale del lavoro.
❏❏ C) Attraverso il ricorso al giudice di pace.
32) L’art. 2099 c.c. codifica varie forme retributive, stabilendo che la retribuzione può essere determinata:
❏❏ A) A tempo, a cottimo, con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione e in natura.
❏❏ B) A tempo o a cottimo.
❏❏ C) A tempo, con partecipazione agli utili e al capitale.
33) Il datore di lavoro è obbligato a retribuire in modo uguale i lavoratori che
svolgono la stessa mansione?
❏❏ A) Sì, se hanno la stessa anzianità di servizio.
❏❏ B) No, perché non esiste nel nostro ordinamento un principio generale di parità retributiva.
❏❏ C) Sì, sempre per evitare discriminazioni.
34) In uno di questi casi la retribuzione a cottimo è vietata:
❏❏ A) Per i lavoratori a domicilio.
❏❏ B) Nei casi in cui il lavoratore sia obbligato al mantenimento di un determinato livello di rendimento.
❏❏ C) Per i lavoratori assunti con contratto di apprendistato.
228
Libro I: Diritto del lavoro
35) Quali sono gli obblighi del datore di lavoro in materia di igiene e sicurezza
del lavoro?
❏❏ A) Garantire l’integrità fisica e psichica dei propri dipendenti.
❏❏ B) Garantire esclusivamente l’integrità fisica.
❏❏ C) Provvedere esclusivamente all’installazione di presidi antinfortunistici.
36) Quali sono i soggetti responsabili dell’igiene e della sicurezza del lavoro?
❏❏ A)Il datore di lavoro, nonché i dirigenti e i preposti nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze.
❏❏ B)Unico responsabile è il datore di lavoro.
❏❏ C)Il datore di lavoro ed i dirigenti muniti di specifica delega.
37) Il lavoratore che, in caso di pericolo grave e immediato, smette di svolgere la
propria mansione e si allontana dal posto di lavoro:
❏❏ A) È passibile di sanzione disciplinare.
❏❏ B) Può essere licenziato per giusta causa.
❏❏ C) Non subisce pregiudizio alcuno e deve essere protetto da ogni conseguenza dannosa.
38) L’orario normale di lavoro è fissato su base settimanale in:
❏❏ A) 36 ore.
❏❏ B) 60 ore.
❏❏ C) 40 ore.
39) Per lavoro notturno si intende:
❏❏ A) L’attività svolta dalle ore 22 alle ore 5 del mattino.
❏❏ B) L’attività svolta per almeno 7 ore consecutive comprendenti l’intervallo fra
le ore 23 e le ore 4 del mattino.
❏❏ C) L’attività svolta nel corso di un periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti l’intervallo fra le ore 24 e le ore 5 del mattino.
40) Si può ricorrere al lavoro straordinario:
❏❏ A) Ogni qualvolta il datore di lavoro lo ritiene opportuno.
❏❏ B) Senza limiti.
❏❏ C) Solo entro i limiti stabiliti dai contratti collettivi o, in mancanza, dalla legge.
41) Il limite di durata media settimanale del lavoro è fissato in misura:
❏❏ A) Non superiore alle 48 ore compreso l’eventuale lavoro straordinario.
❏❏ B) Non superiore alle 48 ore escluso l’eventuale lavoro straordinario.
❏❏ C) Non superiore alle 40 ore compreso l’eventuale lavoro straordinario.
42) La determinazione del periodo delle ferie annuali spetta prevalentemente:
❏❏ A) Al datore di lavoro.
❏❏ B) Al lavoratore stesso.
❏❏ C) Ai contratti collettivi.