TEATRO METASTASIO STABILE DELLA TOSCANA
STAGIONE 2013/2014
26/27 ottobre - Metastasio
LA CANTATRICE CALVA
di Eugène Ionesco
traduzione Gian Renzo Morteo
regia MASSIMO CASTRI
in collaborazione con MARCO PLINI
scene e costumi Claudia Calvaresi
progetti luci Roberto Innocenti
musiche Arturo Annecchino
assistente alla regia Thea Dellavalle
personaggi e interpreti:
signor Smith Mauro Malinverno
signora Smith Valentina Banci
signor Martin Fabio Mascagni
signora Martin Elisa Cecilia Langone
Mary, la cameriera Sara Zanobbio
il capitano dei pompieri Francesco Borchi
produzione TEATRO METASTASIO STABILE DELLA TOSCANA - RIPRESA
Eugène Ionesco è, con Samuel Beckett, il rappresentante più famoso di quella corrente teatrale
contemporanea definita 'teatro dell’assurdo' che porta in scena i nodi esistenziali dell’uomo
moderno: incomunicabilità, falsità di rapporti, routine, difficoltà a dare un senso all’esistenza.
Nel 1950 mette in scena La cantatrice calva, una commedia in cui Ionesco si presenta come autore
d’avanguardia, deciso a voltare le spalle al teatro canonico e sfuggire al realismo e alla psicologia.
I protagonisti sono due anonime coppie inglesi - gli Smith e i Martin - rappresentati come gli
archetipi della borghesia; parlano ma non comunicano, limitandosi a uno scambio di frasi banali e
convenzionali, non pensano perché hanno perso la capacità di pensare, non esprimono emozioni e
passioni, né le comunicano agli spettatori. Sono prigionieri del conformismo, simili ad automi
viventi, senza alcuna sostanza psicologica. Il risultato è una situazione paradossale, comicogrottesca in cui i protagonisti dialogano sul nulla.
È interessante seguire la genesi di questo lavoro. Ionesco aveva deciso di imparare l’inglese;
leggendo un manuale di conversazione rimase colpito dall’involontaria comicità dei dialoghi,
rendendosi conto di avere davanti un testo quasi pronto, facilmente adattabile in chiave umoristica.
La bizzarria del titolo suggerisce chissà quali significati simbolici; niente di tutto questo, fu solo il
risultato del lapsus di un attore durante le prove.
L’enigmatica cantatrice calva che ha dato il titolo all’opera, disperatamente assente, costituisce una
manifestazione supplementare dell’incoerenza; non facendo mai apparire la cantatrice calva,
Ionesco parodia una tecnica destinata a creare il mistero attorno ad un personaggio che svolge
tuttavia un ruolo importante nell’azione, anche se non svolge alcun ruolo.
6/10 novembre - Metastasio
IL RITORNO A CASA
di Harold Pinter
traduzione Alessandra Serra
regia PETER STEIN
scenografia Ferdinand Woegerbauer
costumi Anna Maria Heinreich
luci Roberto Innocenti
assistente alla regia Carlo Bellamio
Personaggi e interpreti:
Max Paolo Graziosi
Lenny Alessandro Averone
Sam Elia Schilton
Joey Rosario Lisma
Teddy Andrea Nicolini
Ruth Arianna Scommegna
nuova produzione TEATRO METASTASIO STABILE DELLA TOSCANA / SPOLETO56
FESTIVAL DEI 2 MONDI
Sin da quando ho visto la prima londinese, quasi 50 anni fa, ho desiderato mettere in scena Il
ritorno a casa. È forse il lavoro più cupo di Pinter, che tratta dei profondi pericoli insiti nelle
relazioni umane e soprattutto nel rapporto precario tra i sessi. La giungla nella quale si combatte è,
naturalmente, la famiglia. I comportamenti formali, più o meno stabili, si tramutano in aggressività
fatale e violenza sessuale quando uno dei fratelli con la sua nuova moglie ritorna dall'America.
Tutte le ossessioni sessuali maschili in questa famiglia di serpenti si proiettano sull’unica donna
presente. Nelle fantasie degli uomini, e nel loro comportamento, viene trasformata in puttana e non
le rimane che la possibilità della vendetta, assumendo quel ruolo e soddisfacendo la loro bramosia
più del previsto.
Come sempre nei finali di Pinter tutto rimane aperto. L'immagine finale mostra la donna imponente,
con gli uomini frignanti e anelanti ai suoi piedi e nessuno sulla scena e nell’uditorio saprà quello
che può accadere.
È un lavoro esclusivamente per attori. L’iniziativa di questo allestimento è partita dai membri del
cast de I Demoni che era abituato ad un lavoro di stretta interazione. Speriamo, quindi, con il nostro
lavoro di poter essere all’altezza dell’opera.
Peter Stein
15/24 novembre - Fabbricone
GIOCHI DI FAMIGLIA
di Biljana Srbljanovic
traduzione Paolo Magelli
drammaturgia Željka Udovičić
scene Lorenzo Banci
progetto luci Roberto Innocenti
costumi Leo Kulaš
musiche Arturo Annecchino
assistente alla regia Giulia Barni
assistente alle scene Federico Biancalani
con la Compagnia Stabile del Teatro Metastasio:
Milena Valentina Banci,
Vojin Mauro Malinverno,
Andrija Francesco Borchi,
Nadezda Elisa Cecilia Langone
un operaio Fabio Mascagni
regia PAOLO MAGELLI
produzione TEATRO METASTASIO STABILE DELLA TOSCANA - RIPRESA
La voglia di scappare e di allontanarsi dai luoghi in cui si è nati e cresciuti, per sfuggire ad
un’identità che non si è scelta e con la quale si è comunque costretti a confrontarsi.
Questo è uno dei temi preferiti dalla giovane scrittrice serba Biljana Srbljanovic messo in scena al
Teatro Fabbricone nel 2011 dal regista Paolo Magelli con la compagnia stabile del teatro
Metastasio.
Giochi di Famiglia ha luogo nella periferia degradata di una qualsiasi città europea e racconta di
quattro bambini soli che giocano a fare gli adulti, ed è proprio aderendo alla cattiveria del mondo
che ci circonda che questi bambini ci offriranno la possibilità di guardarci dentro l’anima oltrechè
d’incontrarci con la brutalità che ognuno di noi nasconde dentro di sè.
Il testo della Srbljanovic rappresenta l’occasione per parlare della famiglia in una civiltà come la
nostra che ha il culto della famiglia e di parlarne in modo spietato. Questi bambini parlano di
genitori che in realtà non ci sono mai. Siamo noi grandi i grandi assenti. Questa famiglia che non
c’è crea un modello non solo criticabile ma anche attaccabile. E il bambino alla fine di ogni scena
uccide sempre i genitori e sempre in modo diverso. C’è della creatività disarmante, dispettosa ma
soprattutto disperata e disperante. È un testo pieno di interrogativi: quali sono i discorsi che
dovrebbero essere eliminati dalla nostra società? perché creiamo un esercito di ragazzi preparati ad
abbassare la testa di fronte alle difficoltà invece di allevarli a una fierezza platonica? perché il
mondo non cambia?
Un testo che crea discussione, disagio e un dolore sorridente, che ti lascia un punto di domanda
nella mente e nello stomaco. Ma è anche un testo difficile e complesso da ‘rendere e restituire’ sulla
scena. Perché i bambini mettono tutto dentro la loro memoria e a tratti invecchiano o
ringiovaniscono e occasionalmente cambiano anche sesso. E c’è un lavoro sugli attori che vuole
essere la differenza e che proprio con la creazione della compagnia stabile vogliamo sviluppare nel
tempo come un impegno non solo estetico.
Paolo Magelli
28 novembre/1° dicembre - Metastasio
ADRIANA ASTI in
LA VOCE UMANA / IL BELL’INDIFFERENTE
di Jean Cocteau
traduzione René de Ceccatty
con Mauro Conte
regia BENOÎT JACQUOT
scene Roberto Plate
costumi Nicoletta Ercole e Christian Gasc
luci Jacques Rouveyrollis
nuova produzione TEATRO METASTASIO STABILE DELLA TOSCANA / FESTIVAL DEI
2MONDI DI SPOLETO 2013
La voce umana
Una donna al telefono, nella sua camera da letto, aggrappata alla flebile voce dell’uomo che l’ha
lasciata per un’altra. Il celebre atto unico - un intenso monologo della protagonista - ripercorre
drammaticamente la parabola dell’amore finito.
Il bell’indifferente
Scritto per Edith Piaf, un altro celebre monologo femminile sulla fine di un amore. Alla presenza di
una muta e indifferente figura maschile.
Le due pièce si susseguono, prima La voce umana, poi Il bell’indifferente. Nessun intervallo,
appena il tempo di modificare a vista la scena. L’attrice scenderà dal palcoscenico, assisterà al
cambio degli arredi da una poltrona della prima fila, risalirà non appena pronta la scena.
Ne La voce umana un pavimento inclinato mostra l’angolo di una camera. I muri del teatro con le
loro porte, scale, estintori restano visibili nell’oscurità. L’attrice, a piedi nudi, non potrà che salire o
scendere sulla pendenza del pavimento. Un letto, una lampada con abat-jour, una poltroncina, un
altro lume con abat-jour, un telefono a filo.
Cocteau: "… una camera, un personaggio, l’amore, e l’accessorio banale delle camere moderne, il
telefono… (l’autore) vorrebbe che l’attrice desse l’impressione di sanguinare, di perdere il suo
sangue come una bestia azzoppata, per terminare l’atto in una camera piena di sangue."
Ne Il bell’indifferente si dispongono in altro modo gli stessi arredi, sullo stesso pavimento inclinato,
collocando alcuni elementi di scena, porte, finestre e mantenendo visibili i muri del teatro. Si passa
da un giorno che finisce a una notte rischiarata dai neon dell’esterno urbano.
Le due pièce, presentate di seguito, compongono la prova di una sola attrice ed esprimono la stessa
denuncia di una donna sola.
Voilà.
Benoit Jacquot
6/8 dicembre - Fabbricone
LA STANZA
di Harold Pinter
traduzione Alessandra Serra
scene e maschere Cikuska
interpretato e diretto da Teatrino Giullare
produzione TEATRINO GIULLARE / CSS-TEATRO STABILE DI INNOVAZIONE DEL
FRIULI VENEZIA GIULIA
Spettacolo Finalista Premio Ubu per la Scenografia
All'interno della finestra di un palazzo di periferia, macchiato dall'ombra di una presenza misteriosa,
si svolgono vicende umane di solitudine, insicurezza, pericolo incombente dai risvolti comici ed
inquietanti.
Un testo prototipo di molti dei temi che dominano l'opera migliore di Pinter: una donna chiusa in un
appartamento di un oscuro caseggiato e il suo silenzioso marito sentono la loro casa
misteriosamente minacciata da presenze enigmatiche, da sospetti e preoccupanti personaggi in stato
di guerra psicologico. L'aria della stanza si addensa, si carica di incertezza, di ansia, di violenza.
In bilico tra realtà e finzione, tra falso e vero, 2 attori danno vita a 6 personaggi dando modo ai
protagonisti di manifestare la propria ambiguità attraverso maschere iperrealistiche in grado di
deformarsi e sorprendere, in un vortice di apparizioni che amplifica l'enigma e l'attualità del testo.
13/15 dicembre - Metastasio
Monografie di protagonisti
CLÔTURE DE L’AMOUR
uno spettacolo di PASCAL RAMBERT
traduzione Bruna Filippi
con Luca Lazzareschi, Tamara Balducci
assistente alla regia Thea Dellavalle
scene Daniel Jeanneteau
direttore tecnico Robert John Resteghini
produzione EMILIA ROMAGNA TEATRO FONDAZIONE
con il sostegno dell’Institut français nel quadro del progetto "Théâtre export"
In una grande stanza bianca, una donna e un uomo si parlano attraverso due lunghi monologhi - che
non arriveranno mai a farsi dialogo - interrogandosi sulle ragioni della fine della loro storia
d’amore. Il flusso ininterrotto di parole, le domande-risposte che si scatenano e la respirazione
bloccata creano una sorta di maratona tra paura e liberazione: è proprio lì, nel mezzo del momento
doloroso, che Pascal Rambert ci porta, senza temere di disturbare, di creare dubbio, di immergerci
nei meandri di una storia che porta inesorabilmente alla rottura. Due sguardi, due parole, due corpi e
due silenzi per raccontare la violenza di un amore che muore, cercando di far emergere il più
possibile l’universalità di questa circostanza, come afferma lo stesso regista e autore: "Il mio lavoro
è ispirato da elementi della realtà perché sono un grande 'ascoltatore'. Il mio appartamento è al
primo piano di un palazzo e molto spesso ascolto quello che dicono i passanti. In quel momento
divento un registratore umano: tra tutto quello che ho ascoltato ci sono spesso momenti di
separazione, momenti che ho dovuto affrontare personalmente tre o quattro volte. Tuttavia, per
questo testo, non mi sento coinvolto dal punto di vista autobiografico. (…) Il testo è sulla realtà, ma
non su una storia personale vera. Quello che volevo descrivere era l’idea della separazione, non una
delle mie separazioni. (…) Quello che importa è la lingua che scappa, che fugge, che si ripete, la
lingua che racconta la violenza della separazione, che la maggior parte di noi un giorno o l’altro si
trova ad affrontare."
Alla domanda "chi amiamo quando amiamo?" Pascal Rambert non dà nessuna risposta, ma si aggira
semplicemente nelle possibilità, senza rifiutare quei luoghi comuni che usano almeno una volta due
persone che si separano, che cercano assieme le ragioni del proprio disamore.
L’autore e regista Pascal Rambert è un protagonista di spicco della scena francese dagli anni ’80.
Con la pièce Clôture de l’amour, che ha debuttato al Festival di Avignone nel 2011, ha vinto in
Francia il premio della critica 2012 per la "Miglior creazione di un testo teatrale in lingua francese"
e il Gran premio della drammaturgia 2012. Lo spettacolo è stato tradotto e rappresentato in tutto il
mondo. Ert ne produce la versione italiana.
9/12 gennaio - Metastasio
FRANCO BRANCIAROLI in
IL TEATRANTE
di Thomas Bernhard
traduzione Umberto Gandini
regia FRANCO BRANCIAROLI
scene e costumi Margherita Palli
luci Gigi Saccomandi
con (in ordine alfabetico) Tommaso Cardarelli, Valentina Cardinali, Melania Giglio,
Daniele Griggio, Cecilia Vecchio, Valentina Violo
produzione CTB TEATRO STABILE DI BRESCIA / TEATRO DE GLI INCAMMINATI
Con la messinscena de Il teatrante, testo graffiante scritto nel 1985 dal grande romanziere e
drammaturgo austriaco Thomas Bernhard, Franco Branciaroli continua la lunga riflessione sul
Teatro e sul suo rapporto con la società attraverso la Memoria che ne è l’elemento fondamentale.
Mentre in Servo di scena la Memoria è il presupposto stesso dell’azione scenica (da un lato la
necessità di tener desta la memoria del popolo inglese durante la guerra, dall’altro gli sbandamenti
della memoria di chi dovrebbe assumersi questo compito), ne Il teatrante, questa, viene messa
direttamente a tema.
Raramente rappresentato in Italia, il testo fu messo in scena per la prima volta nel 1985, al
Salzburger Festspiel dal regista Claus Peymann, e da lui stesso riallestito, nella stessa veste e con gli
stessi attori, allo Schauspielhaus di Bochun e al Burgtheater di Vienna, nel 1986.
In un oscuro teatro di provincia, un attore-autore di origine italiana frustrato e megalomane si trova
alle prese con uno spettacolo impossibile, stretto tra la propria ambizione - che gli fa scrivere testi
deliranti e respingenti - e la necessità della compagnia, composta dalla sua stessa famiglia, più
impegnata a sbarcare il lunario che a dare dignità al proprio lavoro. Tra invettive e paradossi sulla
vita e sulla morte, sulla società e sulla felicità, il vecchio attore vedrà ancora una volta frustrato il
tentativo di portare in scena La ruota della storia, testo pretenzioso e non compreso da nessuno.
Nessuna arte come il Teatro ha come compito - si può dire fin dalla sua fondazione mitica - di fare
da collante tra i due elementi. Come l’uomo è corpo e anima (psychè), così la società ha bisogno di
senso pratico ma anche di sogni. Il teatro in questo senso è la più completa delle arti. Ma i tempi
cattivi sembrano condurre questo millenario sodalizio tra sogno e realtà verso il definitivo divorzio.
Pessimista come nessun altro, Bernhard non dà possibilità di riscatto né al teatro né all’uomo.
Eppure, proprio nel recitare il proprio fallimento fino all’ultima goccia di sangue, il teatro compie
ancora una volta il proprio (forse inutile ma non meno sorprendente) miracolo. Se la visione di
Bernhard è tra le più pessimiste della letteratura europea, la vitalità con cui rappresenta la propria
negatività contraddice le premesse filosofiche: grottesco, comico fino alle lacrime, tutto pervaso da
una ruvida tenerezza che è come il fantasma dell’ormai impossibile pietà.
16/19 gennaio - Fabbricone
AMLETÒ
(gravi incomprensioni all’Hotel du Nord)
con Daniele Biagini, Manuel D'Amario, Elena Fazio, David Gallarello, Pia Lanciotti, Gianluca
Merolli, Selene Jovy Rosiello, Federica Stefanelli
scene e costumi Carlo De Marino
musiche a cura di Harmonia Team e Davide Mastrogiovanni
regia GIANCARLO SEPE
produzione TEATRO LA COMUNITÀ
Si poteva immaginare la tragedia del principino danese, angustiato e depresso, narrata nella Francia
del 1939? La famiglia di Elsinore, in viaggio, che approda a Parigi e prende posto nell’hotel sul
canale di Saint-Martin, così piena d’umido che non faceva rimpiangere i freddi della gelida
Danimarca? Dubbia reputazione avevano gli avventori di quell’albergo alla buona che ospitava
ebrei in fuga dalla Germania nazista, esiliati politici, prostitute e protettori, poeti e adolescenti col
complesso edipico. La storia di Amleto come narrata da "I Parenti Terribili", piena di tradimenti e
gelosie, rimpianti e vendette, morti violente e valzer musette, amori inconfessabili e strane
apparizioni… Laerte dice alla sorella Ofelia di non innamorarsi di un ipocondriaco visionario,
Amleto che sogna la morte del padre a cui aveva 'concesso' di amare la madre Gertrude, suo unico
amore: ma che Ofelia e Ofelia… egli amava la madre e basta! La spiava mentre indossava le sue
calze di seta, ricordava i balli sulla terrazza di notte, appena schiariti da un filare di lampadine
colorate, guardava le foto del suo bellissimo battesimo tutto di voile bianco, e la partenza del padre
per la guerra, vero eroe, ripagato ,ahimè, con il tradimento e la morte infertagli dal fratello appena
rimesso piede sul suolo natìo. A quella morte Amleto reagì malissimo, girava per le stanze e le
strade della città con l’ingrandimento della foto del padre, come fosse un novello San Luigi. Hotel
du nord: gente che va e gente che sparisce, improvvisi duelli mortali tra contendenti amorosi, sicari
maldestri, morti accidentali, e sogni tanti sogni. Letti d’amore e di morte che vagolano nella sera
d’estate al chiaro di luna al suono delle voci di Arletty, Josephine Baker e di Marguerite Boule’ch
più nota come Fréhel. Canzoni d’amore e di disperazione, che Amleto soffre e vive sullo sfondo di
una società impazzita, che corre e balla, e che sta per svanire sotto i colpi di una guerra sanguinaria.
Ama la madre che ama il fratello del marito ucciso… Claudio! Piccolo despota, ignorante e
donnaiolo, che canticchia: "Où sont mes amants", e che tradisce Gertrude, senza pietà. Essere o non
essere… l’uomo del destino, colui che vendicherà non solo il padre ucciso a tradimento, ma
soprattutto il suo amore per Gertrude, incauta madre, incauta moglie e forse, inconsapevole
assassina. Tutto troverà la sua risposta nella festa mascherata organizzata nell’ Hotel du Nord…
forse! La guerra che scoppia alla fine dello spettacolo svuoterà di colpo l’albergo, mentre Amleto,
solo, si aggirerà tra valigie e maschere abbandonate in terra, alla rinfusa, come dei corpi senza più
vita.
Giancarlo Sepe
23/26 gennaio - Metastasio
LA BISBETICA DOMATA
di William Shakespeare
regia ANDREJ KONCHALOVSKIJ
scene Andrej Konchalovskij
con la collaborazione di Marta Crisolini Malatesta
costumi Zaira de Vincentiis
luci Sandro Sussi
coreografia Ramuné Chodorkaite
con Mascia Musy, Federico Vanni, Roberto Alinghieri, Peppe Bisogno, Adriano Braidotti,
Vittorio Ciorcalo, Carlo Di Maio, Flavio Furno, Selene Gandini, Antonio Gargiulo,
Francesco Migliaccio, Giuseppe Rispoli,
Roberto Serpi, Cecilia Vecchio
coproduzione FONDAZIONE CAMPANIA DEI FESTIVAL-NAPOLI TEATRO FESTIVAL
ITALIA / TEATRO STABILE DI GENOVA / TEATRO METASTASIO STABILE DELLA
TOSCANA / TEATRO STABILE DI NAPOLI
È stato sceneggiatore di due capolavori di Andrej Tarkovskij come L’infanzia di Ivan e Andrej
Rublëv; a Hollywood ha girato film interpretati da Kurt Russel, Isabella Rossellini, Sylvester
Stallone, Nastassja Kinski; a teatro ha diretto Juliette Binoche ne Il gabbiano.
È Andrej Konchalovskij, invitato dal Napoli Teatro Festival Italia a portare in città per la sesta
edizione un nuovo spettacolo. La scelta è caduta su La bisbetica domata: «Potrei fare tutto
Shakespeare perché è la vita stessa, una combinazione fantastica di terra e cielo, volgarità e poesia.
I suoi personaggi sono più grandi della vita e hanno quel tocco di follia e assurdità che li rende più
interessanti. Ho scelto La bisbetica perché, per la mia prima regia italiana, volevo un’opera italiana.
Questa commedia rappresenta il vostro paese molto più di Romeo e Giulietta. È ambientata a
Padova, i personaggi sono tutti italiani, e c’è anche la commedia dell’arte, pur se scritta da
Shakespeare». Nei mesi di gennaio e febbraio Konchalovskij è stato a Napoli e a Genova per
selezionare gli attori che prenderanno parte allo spettacolo. «Cerco attori birichini e un po' naif,
dall’energia contagiosa, capaci di guardare il mondo con gli occhi di un bambino. Devo trovarne
una quindicina, e tutti sono importanti. I ruoli minori ancor di più: per essere notati hanno bisogno
di colori forti e, dunque, devono essere dei buoni caratteristi». Protagonisti della commedia saranno
Mascia Musy e Federico Vanni e l’ambientazione evocherà l’Italia degli anni Venti, con una
scenografia più proiettata che costruita, le cui atmosfere strizzeranno l’occhio a Fellini. «La
bisbetica – conclude il regista – sarà frutto di improvvisazione e coraggio, le doti che occorrono per
reagire alla vita e al destino. Ogni spettacolo è un viaggio nell’oscurità che con la lingua, le scene,
la personalità del regista e degli attori diventa luce».
30 gennaio/2 febbraio - Metastasio
IL SERVITORE DI DUE PADRONI
da Carlo Goldoni
regia ANTONIO LATELLA
drammaturgia Ken Ponzio
personaggi e interpreti:
Pantalone de' Bisognosi Giovanni Franzoni
Clarice sua figliola Elisabetta Valgoi
Il dottore Lombardi Annibale Pavone
Silvio di lui figliolo Rosario Tedesco
Beatrice in abito da uomo sotto nome di Federigo Rasponi Federica Fracassi
Florindo Aretusi di lei amante Marco Cacciola
Brighella locandiere Massimiliano Speziani
Smeraldina cameriera di Clarice Lucia Peraza Rios
Arlecchino/Truffaldino Roberto Latini
scene e costumi Annelisa Zaccheria
suono Franco Visioli
luci Robert John Resteghini
foto di scena e assistente alla regia Brunella Giolivo
produzione EMILIA ROMAGNA TEATRO FONDAZIONE / TEATRO STABILE DEL
VENETO / TEATRO METASTASIO STABILE DELLA TOSCANA
La menzogna è il tema che appartiene totalmente a questa commedia.
Dietro la figura di Arlecchino (Truffaldino) la commedia si nasconde a se stessa, mente. Dietro agli
inganni, ai salti, alle capriole del servitore più famoso del mondo la commedia mente agli spettatori:
il personaggio che tanto li fa ridere è insieme tutte le menzogne e i colori degli altri personaggi. È
uno specchietto per le allodole e sposta il punto di ascolto dell'intera commedia. Non c'è una figura
onesta, tutto è falso, è baratto, commercializzazione di anime e sentimenti.
Nessuno piange il morto eppure quel morto era fratello e futuro sposo. Nessuno chiama le cose per
quello che sono. Non c'è un luogo che accoglie, ma tutto resta di passaggio e la storia scopre le
magagne del servitore in una taverna, i padroni tornano a vivere e i servi a vivere servendo.
Cosa resta? Il vuoto, graffiato dal sorriso beffardo delle maschere. Se togliamo i salti, gli ornamenti,
la recitazione meccanica fatta di suono ma mai di testo e sottotesto, se togliamo le maschere, cosa
resta?
Il vuoto, forse l'orrore della nostra contemporaneità. L'orrore dell'uomo che davanti al peso del
denaro perde peso, diventa anoressico: non è corpo in un costume che tutto permette ma scheletro in
un corpo che tutto limita.
Antonio Latella
7/9 febbraio - Fabbricone
IL PADIGLIONE DELLE MERAVIGLIE
di Ettore Petrolini
con Manuela Kustermann, Massimo Verdastro,
Gloria Liberati, Chiara Lucisano, Luigi Pisani, Giuseppe Sangiorgi, Emanuele Carucci
Viterbi
scene e costumi Stefania Battaglia
luci Valerio Geroldi
sound design Mauro Lupone
collaborazione ai movimenti di scena Charlotte Delaporte
regia MASSIMO VERDASTRO
produzione TSI LA FABBRICA DELL'ATTORE / TEATRO VASCELLO
Il padiglione delle meraviglie, scritto da Ettore Petrolini nel 1924, è una delle opere teatrali più
amare e crudeli del grande attore e drammaturgo romano. In un atto unico in due quadri, l'autore fa
rivivere l'ambiente che l'ha visto nascere all'arte: quella piazza Guglielmo Pepe di Roma, piena di
baracconi e variegata umanità - guitti, ciarlatani, lottatori, donne magnetiche, selvaggi - dove il
grande comico, poco più che adolescente, si esibiva come 'donna sirena'.
La trama
Lalli gestisce, assieme alla moglie Zenaide, 'il padiglione delle meraviglie', nel quale egli presenta
le sue attrazioni: Amalù il selvaggio, Elvira la sirena e i lottatori Tigre e Calligola. Tiberio è
l'imbonitore del carrozzone, ma sta passando un periodo buio perché lasciato da Elvira, la quale ha
una relazione con il Tigre. Inizia lo spettacolo ed ognuno presenta il suo numero. Giunto il
momento del Tigre, Lalli esorta il pubblico a sfidarlo in un incontro di lotta. Come sfidante si
propone però Tiberio, disposto a tutto pur di riconquistare Elvira. Inizia la lotta, che si capisce
immediatamente non essere una finzione... L'epilogo assume le tinte del dramma.
13/16 febbraio - Metastasio
Omaggio a Edoardo De Filippo
LE VOCI DI DENTRO
di Eduardo De Filippo
regia TONI SERVILLO
scene Lino Fiorito
costumi Ortensia De Francesco
luci Cesare Accetta
suono Daghi Rondanini
assistente alla regia Costanza Boccardi
con (in ordine di apparizione) Betti Pedrazzi, Chiara Baffi, Marcello Romolo, Lucia
Mandarini, Gigio Morra, Peppe Servillo, Toni Servillo, Antonello Cossia, Vincenzo Nemolato,
Marianna Robustelli, Daghi Rondanini, Rocco Giordano, Maria Angela Robustelli, Francesco
Paglino
produzione TEATRI UNITI / PICCOLO TEATRO DI MILANO - TEATRO D'EUROPA /
TEATRO DI ROMA
Dopo la lunga tournée internazionale della Trilogia della villeggiatura di Goldoni, Toni Servilo
torna al lavoro sulla drammaturgia napoletana e in particolare all’amato Eduardo, a dieci anni di
distanza dal successo di Sabato domenica e lunedì.
"Eduardo De Filippo è il più straordinario e forse l’ultimo rappresentante di una drammaturgia
contemporanea popolare, dopo di lui il prevalere dell’aspetto formale ha allontanato sempre più il
teatro da una dimensione autenticamente popolare. È inoltre l’autore italiano che con maggior
efficacia, all’interno del suo meccanismo drammaturgico, favorisce l’incontro e non la separazione
tra testo e messa in scena. Affrontare le sue opere significa insinuarsi in quell’equilibrio instabile tra
scrittura e oralità che rende ambiguo e sempre sorprendente il suo teatro. Seguendo il suo
insegnamento cerco nel mio lavoro di non far mai prevalere il testo sull’interpretazione,
l’interpretazione sul testo, la regia sul testo e sull’interpretazione. Il profondo spazio silenzioso che
c’è fra il testo, gli interpreti ed il pubblico va riempito di senso sera per sera sul palcoscenico,
replica dopo replica."
"Le voci di dentro - continua Toni Servillo - è la commedia dove Eduardo, pur mantenendo
un’atmosfera sospesa fra realtà e illusione, rimesta con più decisione e approfondimento nella
cattiva coscienza dei suoi personaggi, e quindi dello stesso pubblico. L’assassinio di un amico,
sognato dal protagonista Alberto Saporito, che poi lo crede realmente commesso dalla famiglia dei
suoi vicini di casa, mette in moto oscuri meccanismi di sospetti e delazioni. Si arriva ad una vera e
propria 'atomizzazione della coscienza sporca', di cui Alberto Saporito si sente testimone al tempo
stesso tragicamente complice, nell’impossibilità di far nulla per redimersi. Eduardo scrive questa
commedia sulle macerie della seconda guerra mondiale, ritraendo con acutezza una caduta di valori
che avrebbe contraddistinto la società, non solo italiana, per i decenni a venire. E ancora oggi
sembra che Alberto Saporito, personaggio-uomo, scenda dal palcoscenico per avvicinarsi allo
spettatore dicendogli che la vicenda che si sta narrando lo riguarda, perché siamo tutti vittime,
travolte dall’indifferenza, di un altro dopoguerra morale."
Una folta compagnia di attori napoletani di diverse generazioni affiancherà in scena Toni Servillo, a
partire dal fratello Peppe, nel ruolo di Carlo Saporito, il fratello del protagonista.
18/23 febbraio - Metastasio
I RAGAZZI IRRESISTIBILI
di Neil Simon
versione italiana Giuliana Manganelli
con Eros Pagni, Tullio Solenghi
Mariangela Torres, Massimo Cagnina, Marco Avogadro, Pier Luigi Pasino
regia MARCO SCIACCALUGA
produzione TEATRO STABILE DI GENOVA
Sono trascorsi molti anni da quando Ennio Flaiano poteva ironizzare («ridere con il consenso di uno
Stabile tranquillizza»), facendo leva sul pregiudizio di un teatro paludato e musone, quale lo Stabile
di Genova non ha mai voluto essere. E non lo è stato soprattutto in questo ultimo decennio con la
direzione di Carlo Repetti, nel corso del quale è andato sempre in cerca (nella produzione come
nell’ospitalità) di un 'teatro d’arte', che non fa alcuna distinzione di 'genere', proponendo in
cartellone quelle opere (siano esse tragiche, drammatiche o comiche) che meglio sembrano essere in
grado di raccontare l’uomo nella sua contemporaneità: attraverso il quotidiano dialogo, sul
palcoscenico, tra il testo, la sua messa in scena e la percezione culturale ed emotiva dello spettatore.
È in questo senso, pertanto, che va interpretata la scelta di allestire I ragazzi irresistibili di Neil
Simon: un classico della risata per due attori, Eros Pagni e Tullio Solenghi, dalla forte vena comica;
ma anche un’occasione per riflettere sui rapporti tra il passato e il futuro, tra la memoria di ciò che è
stato e le laceranti passioni che i due protagonisti della commedia portano conflittualmente in scena.
I ragazzi irresistibili è un omaggio alla vecchiaia di due grandi comici e insieme un’affettuosa
testimonianza della gloriosa tradizione del vaudeville americano. È una commedia attraversata
insieme da una comicità calorosa e da una poetica nostalgia; fonte per uno spettacolo, in cui un
dialogo scintillante coniuga perfettamente realtà e finzione, attraverso il contributo recitativo di
attori dalla forte personalità comunicativa.
Scritto negli anni della piena maturità di Neil Simon (classe 1927), I ragazzi irresistibili andò in
scena con grande successo nel dicembre 1973, trovando ben presto anche la via dello schermo: sia
cinematografico (1975, con Walter Matthau e George Burns), sia televisivo (1995, con Peter Falk e
Woody Allen). La commedia appartiene a quel periodo in cui la critica statunitense iniziava a
vedere in Simon non solo il 're della risata' (com’era stato definito ai tempi di La strana coppia), ma
anche un vero autore teatrale, alla ricerca di un nuovo tipo di 'pièce' capace di essere
contemporaneamente commedia e dramma, valorizzando sempre più l’attenzione per la complessità
umana dei suoi personaggi. E così è stato, pur nel mantenimento di ciò che soprattutto lo aveva reso
famoso: la brillantezza del dialogo. Tanto che oggi su Neil Simon (il commediografo
contemporaneo più rappresentato a Broadway e nel mondo) è in corso una crescente opera di
rivalutazione critica che ha preso il via proprio all’inizio degli anni Settanta, quando Simon tirò
fuori dal cassetto dei suoi progetti non ancora realizzati questa storia di due ex comici di vaudeville
che, dopo aver trascorso insieme più di quarant’anni della loro vita, si erano separati, ponendo così
fine a una coppia di successo. Mentre Al Lewis (Tullio Solenghi) è andato in pensione e vive
tranquillamente la propria vecchiaia, Willie Clark (Eros Pagni) non ha mai perdonato al socio di
averlo privato del lavoro, mettendo la sua vita e la sua carriera sotto naftalina molto prima di quanto
lui avesse voluto. Ora, per iniziativa del nipote e agente di Willie, la coppia ha l’occasione di
ricomporsi per proporre davanti all’occhio della telecamera lo sketch che l’aveva resa celebre; ma
molti ancora sono gli ostacoli da superare, inaspriti dal trascorrere degli anni e dagli acciacchi
dell’età.
Annota il regista Marco Sciaccaluga a proposito dei due protagonisti: «Il loro ritrovarsi dopo anni, il
tentare una difficile ripartenza nel loro mare che è il teatro, ci racconta di una sete, di una 'joie de
vivre' che è esplicitamente contenuta nella metafora del vaudeville di cui sono magnifici, anche se
un po’ arrugginiti specialisti. C’è tanto di Cechov in questo capolavoro di Neil Simon: il suo
sguardo ironico sull’uomo, la sua nostalgia, il suo scanzonato 'refrain' del tempo cha passa… Due
vecchi, due attori: in realtà nient’altro che due ragazzi, 'irresistibili', perché irresistibile è l’eterna
tentazione che è la vita».
27 febbraio/2 marzo -Fabbricone
Progetto speciale
ANTIGONE
Una storia africana
dall’opera di Jean Anohuil
riduzione drammaturgica e regia MASSIMO LUCONI
scena Moussà Traorè
musiche originali Maly Dialy Cissoko, Mirio Cosottini
con giovani attori senegalesi
un progetto Centro culturale francese di St Louis (Senegal), Teatro Metastasio Stabile della
Toscana
Antigone ribelle, Antigone eroica, Antigone figlia, ma soprattutto sorella, che si oppone alle leggi
dello stato in nome dei diritti sacri della famiglia e del sangue. Dovunque vi siano discriminazioni
razziali, conflitti, intolleranze religiose, dovunque una minoranza levi la sua voce a reclamare
giustizia, Antigone torna ad assumere il ruolo dell’eroina che sfida i regimi totalitari in nome della
pietas universale che si estende a tutti gli uomini sentiti come fratelli, superando ogni limite o
divisione tribale e nazionalistica.
Attraverso la storia di Antigone rivive uno dei miti che da più di due millenni attraversa la nostra
civiltà e che è di forte e tragica attualità nella storia dell'Africa contemporanea.
Nel lavorare a una messinscena di un testo così emblematico e nello stesso tempo semplice, come
Antigone, ho pensato a un dramma a tesi, asciutto e compatto, impostato con la linearità della
parabola e del teatro didascalico, unendo esperienze e influssi del teatro europeo d'avanguardia e
modalità del teatro tradizionale africano.
È la struttura stessa del testo a imporre l'uso di uno spazio che si protende verso il pubblico e il
riferimento è chiaramente quello della piazza del villaggio, dove la popolazione si raccoglie ad
ascoltare il griot.
Certe atmosfere di ambiguità e di spiazzamento che mi porto dietro dopo molti anni di
frequentazione della cultura africana sono rimaste dentro, e sono confluite in questo progetto carico
di riferimenti culturali e di radici ben solide nella cultura africana anche recente. Ho sottolineato la
struttura del teatro come forma terapeutica, mantenendo uno sviluppo narrativo impostato sulla
gestualità e sul continuo passaggio tra 'rievocato' e 'agito', dal dramma al racconto orale.
Ho cercato inoltre di capire e valorizzare le caratteristiche dei giovani interpreti che vantano
esperienze nel teatro di cultura francese e europea ma sono profondamente radicati nella cultura
gestuale e musicale della tradizione africana.
Alla struttura linguistica della versione di Anohuil in lingua originale francese, studiata, in Senegal
nei licei, aggiungeremo brani e linee narrative anche in wolof, la lingua parlata da tutti, mischiando
il francese colto alla comunicazione diretta e popolare, rispecchiando così quello che è uno degli
aspetti culturalmente più interessanti del Senegal di oggi, l’osmosi alchemica, fra tradizione
popolare e raffinata cultura europea.
Inoltre questa edizione di Antigone, pur rimanendo fedele al testo originario, è stata modificata in
alcune parti e elaborata durante le prove del laboratorio, seguendo alcune indicazioni dei
partecipanti e rispondendo alla loro sensibilità di giovani africani di oggi.
Massimo Luconi
7/9 marzo - Fabbricone
ANDERSEN 2014
Fiabe che non sono favole
ideazione e regia Emanuela Ponzano
testi tratti dalle fiabe di Hans Christian Andersen
di Serena Grandicelli, Matteo Festa
linea drammaturgica Emanuela Ponzano
con Riccardo Serventi Longhi, Alioscia Viccaro, Ismaila Mbaye, Emanuela Ponzano e cast in
definizione
musiche Teho Teardo
scene Paki Meduri
costumi Marco Calandra
disegno luci Cesare Lavezzoli
marionetta Antonia D’amore
produzione KAOS
con la collaborazione del Teatro Metastasio Stabile della Toscana
C'erano una volta le fiabe.
Piccoli e poetici specchi della società che allietavano i lettori e gli ascoltatori. Oggi basta sfogliare
la realtà per scoprire che le fiabe sono ovunque. Tra violenza, crudeltà e poesia "Quali sono le
nostre fiabe oggi?"
Leggende Metropolitane, fiabe crudeli, filastrocche e ninnananne. Le fiabe rimangono oggi il nostro
patrimonio comunicativo più antico e non sono solo favole… Usiamole come metafora del presente,
lasciamo loro il compito di parafrasare la realtà.
Il "brutto anatroccolo", "Le scarpette rosse", "La piccola fiammiferaia", "I vestiti nuovi
dell’Imperatore","Il soldatino di Stagno", "La sirenetta", "Il Burattinaio", "L’ombra"... Tramandate
di generazione in generazione, le fiabe di Hans Christian Andersen sono storie vere e inventate di
uomini, cose e animali, che hanno un'impronta indefinibile di ironia e ingenua finezza popolana. Un
mondo spesso spietato, a volte generoso che esprime le paure, le speranze, le difficoltà della vita.
Cosa ci lasciano queste fiabe e perché non riusciamo a scordarle?
Tra critica e fascinazione, tra politica e fantasia, ANDERSEN 2014 ruota intorno al racconto
d’infanzia e l’impatto duro e crudo dell’era contemporanea, della realtà italiana che offusca la
creatività e l’immaginazione. ANDERSEN 2014 è prima di tutto un viaggio all'interno di un mondo,
il nostro, quello dei sempre più poveri e dei sempre più ricchi, quello del materialismo e della
televisione che annienta gli ideali, la conoscenza e il libero pensiero.
La scelta della Compagnia KAOS cade su Andersen, poeta danese che ci ha donato un tipo di fiaba
utile alla formazione della mente, di una mente aperta in tutte le direzioni: una leva fondamentale
per l'educazione dell’uomo, che non è solo un esecutore ordinato e limitato, un consumatore
facilmente plasmabile, un subalterno.
Le fiabe di Andersen sono storie inventate, basate sulla fantasia dell’autore e soprattutto basate sulla
realtà sociale del suo tempo. Eppure queste storie non son cambiate. Chi è oggi il piccolo
anatroccolo o la piccola fiammiferaia?
Mescolando linguaggi diversi, suoni, suggestioni e silenzi, con la musica originale di Teho Teardo, i
temi fondamentali della fiaba emergono - la vita, la morte, la rinascita, la diversità, l’apparenza e il
potere - e i personaggi come ombre escono dal libro per calarsi nella realtà contraddittoria di oggi,
come dei fantasmi persi e in cerca di verità. Dal mito al consumismo, dagli eroi alla perdita
d’identità.
Emanuela Ponzano
13/16 marzo - Metastasio
QUARTETT / LE RELAZIONI PERICOLOSE
di Heiner Müller
da Le relazioni pericolose
di Pierre Choderlos de Laclos
con Laura Marinoni e Valter Malosti
regia VALTER MALOSTI
produzione FONDAZIONE DEL TEATRO STABILE DI TORINO
«Mi trovavo in una villa a Roma, all'ultimo piano. Avevo già cominciato a scrivere tempo prima,
ma l'ultimo terzo, o la seconda metà di Quartett la scrissi lì, per la prima volta con una macchina da
scrivere elettrica. Il che ebbe alcune ripercussioni sul testo. Funziona come un ingranaggio più di
altri testi precedenti. Al piano di sotto abitava mia moglie con un altro uomo, follemente
innamorato di lei. Di sicuro scaturiva da lì una certa energia. Avevo con me una radiolina e sul terzo
canale trasmettevano in quel periodo una serie di puntate dedicate a Schubert. E mi ricordo di un
brano, particolarmente suggestivo di notte, tratto da La bella mugnaia, in cui il ruscello invita il
fanciullo a suicidarsi: "E le stelle lassù, tanto sono remote"».
Quartett (1982) di Heiner Müller (1929-95), artista ribelle e contraddittorio vissuto, per scelta, nella
Germania orientale, e probabilmente il maggiore drammaturgo di lingua tedesca del Novecento
insieme a Bertolt Brecht, prende ispirazione dal conturbante romanzo epistolare di Choderlos de
Laclos Le relazioni pericolose, scritto esattamente due secoli prima (1782), e tornato in auge grazie
a due recenti e fortunate trasposizioni cinematografiche di Miloš Forman (la sceneggiatura era di
Cristopher Hampton), e di Stephen Frears (da ricordare anche il film del 1959 di Roger Vadim con
Gérard Philippe e Jeanne Moreau).
Il romanzo narra le avventure di due nobili e crudeli libertini, il visconte Valmont e la marchesa di
Merteuil, ed è considerato uno dei capolavori della letteratura francese, anche se Heiner Müller
precisa - non sappiamo quanto snobisticamente - che non ha mai letto il romanzo dall'inizio alla
fine. La sua fonte primaria, afferma, è stata la prefazione di Heinrich Mann alla propria traduzione
del testo di Laclos in lingua tedesca.
La versione di Müller è sicuramente più brutale, atrocemente spudorata e piena di humor nero,
scritta in prosa ma con una lingua dall’andamento fortemente poetico e di magmatica fisicità.
Dice l’autore a proposito del suo testo: "L'arte affonda le sue radici nel sangue, e necessita di queste
radici. L'adesione all'orrore, al terrore, fa parte della descrizione dell'orrore e del terrore. È il caso
de Le relazioni pericolose. Laclos si è sempre dichiarato un moralista intento a descrivere gli abissi
dell'immoralità al fine di mettere l'umanità in guardia. L'atteggiamento moralistico è solo la posa di
un autore fortemente interessato alle tenebre dell'anima...
Il problema principale nella riscrittura di Quartett era come ideare una drammaturgia a partire da un
romanzo epistolare. Alla fine la soluzione è venuta recitando: due personaggi ne interpretano
quattro...".
I protagonisti infatti, le due belve Valmont e Merteuil, all’interno della loro lotta mortale, si
scambiano i ruoli e impersonano a turno le loro vittime.
Immagino un grande lavoro musicale che non precluda ma anzi amplifichi la percezione sensuale
del testo, trovando radici nella sua dimensione pre-verbale, nel suono oltre che, naturalmente, nel
mistero dei corpi.
Valter Malosti
20/23 marzo - Metastasio
Omaggio a Edoardo De Filippo
NATALE IN CASA CUPIELLO
di Eduardo De Filippo
regia e adattamento FAUSTO RUSSO ALESI
scene Marco Rossi
luci Claudio De Pace
musiche Giovanni Vitaletti
con Fausto Russo Alesi
aiuto regia Giorgio Sangati
produzione PICCOLO TEATRO DI MILANO - TEATRO D'EUROPA
È con gioia, paura, emozionata curiosità ed una buona dose di follia, che mi avventuro alla scoperta
del teatro di Eduardo De Filippo.
È da molto tempo che coltivo il desiderio di accostarmi a questo grande attore-autore-regista e al
suo patrimonio drammaturgico e Natale in casa Cupiello, in questa versione solitaria, mi è sembrato
un modo possibile, una chiave d’accesso per incontrare la sua arte e il suo linguaggio. È difficile
definire Natale in casa Cupiello, perché è un testo semplice e complesso allo stesso tempo.
Semplice perché popolare, familiare e complesso perché umano, realistico sì, ma soprattutto
metaforico. Quando leggo Natale in casa Cupiello, ho la sensazione di trovarmi davanti ad un
meraviglioso spartito musicale, un vibrante veicolo di comunicazione, profondità e poesia.
È incredibile, a soli 31 anni Eduardo recitava la parte del vecchio padre di famiglia, antieroebambino, Luca Cupiello, personaggio che avrebbe interpretato credo quasi fino agli ottant’anni. È
come se con questo personaggio lui ci avesse raccontato una parabola sulla vita. Questa è oltre tutto
un’opera di scambio tra generazioni a confronto. E fu Eduardo stesso che arrivò a affermare che il
punto di arrivo dell’uomo è la nascita, mentre il punto di partenza dal mondo e punto di partenza
per le nuove generazioni è la morte.
Ed è da qui che io voglio partire: dalla malinconia di un’assenza. In casa Cupiello scorre appunto la
vita: la vita di una famiglia, la vita del teatro, le fatiche, la ricerca di una felicità e di una bellezza
fuori della quotidianità. Anche se la cifra è quella della leggerezza e dell’ironia, dal testo emerge
una vena piuttosto amara e desolante. Ci viene presentata una casa misera, distrutta, inguaiata, sotto
sopra, gelata, quasi terremotata; ed è Luca che definisce sua moglie Concetta, la regina della casa,
come: "Vecchia, aspra e nemica". È una famiglia la cui identità è alquanto precaria, non si dialoga
più veramente ma si monologa, ed è per questo che credo nella sfida di attraversare questa storia in
solitudine. E vorrei che questo effetto straniante di vedere un unico attore posseduto da tutte queste
voci aiutasse il pubblico a vivisezionare le tematiche bellissime della tragicommedia.
I personaggi si amano, si giudicano, sbagliano, sono ambigui, gelosi, trasgrediscono; incapaci di
parlarsi apertamente si nutrono di finzione, pronti a negare la realtà e a non accettare la verità,
vivono di proiezioni, non detti, coperture di chi sa, ignoranza di chi non sa e omertosa solidarietà e
quella che dovrebbe essere la casa delle relazioni tra gli uomini, finisce per diventare il primo luogo
della mancanza di reale comunicazione.
Ho scelto di utilizzare il mio corpo come unico strumento per suonare questo dramma dell’io e della
solitudine, immaginando uno spettacolo d’evocazione tra il sonno e la veglia, tra la vita e la morte,
tra lucidità e delirio, tra memoria e presente, tra il palcoscenico e la platea, ossessionato dalle
domande: "Te piace o Presebbio?", "Addo’ sta’ o Presepio?".
Fausto Russo Alesi
28/30 marzo - Fabbricone
ORCHIDEE
uno spettacolo di PIPPO DELBONO
con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Bobò, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano,
Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Julia Morawietz, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Grazia
Spinella
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Nuova Scena-Arena del Sole-Teatro Stabile
di Bologna, Teatro di Roma, Théâtre du Rond Point-Parigi, Maison de la Culture d’AmiensCentre de Création et de Production
si ringrazia Cinémathèque suisse Lausanne
Orchidee - sebbene possa apparire insolito se confrontato con i titoli del suo repertorio - rappresenta
un fiore esotico e delicato, elegante e suggestivo che sovente abbellisce i salotti delle case borghesi
in esemplari artificiali e questo fiore riassume il senso del viaggio che Delbono ha intrapreso
insieme alla sua compagnia di sempre: omogenea nella sua disomogeneità.
In Orchidee Pippo Delbono viaggia nelle diverse dimensioni dello spazio teatrale, trascina nella sua
danza imprevedibile i fantasmi del cinema, guida i suoi attori attraverso gli specchi. Omaggi alle
immagini. Nel suo nuovo spettacolo, Delbono mette in scena il falso di fronte al vero, oppone i
codici della finzione cinematografica all'arte dello spettacolo dal vivo, alla verità dell’azione
teatrale in scena. A Pippo Delbono piace rompere le barriere. Vuole invitare, come un 'terrorista
della cultura' a una festa che infiamma, rendere omaggio ai vivi e alla verità delle cose, alla bellezza
luminosa degli esseri sempre in preda alla luce oscura della luna.
Inventore di immagini forti, spazi, ritmi, Delbono compone e dirige la sua compagnia, la sua
famiglia per ricostruire il mondo. Nei suoi spettacoli, scandali, folgori, visioni. Colori, voci, scoppi.
Il mondo come rappresentazione, le sue meraviglie, le violenze, i corsi e ricorsi della storia. Enfant
terrible, spirito libero della scena internazionale, Delbono crea dei mondi fantasmagorici. Si
impossessa della scena con la sua compagnia, le sue creature, la sua banda di illuminati. Cantori,
danzatori, attori di altri mondi che insieme inventano una celebrazione delle forze della vita per un
teatro necessario.
Uno spettacolo che evoca episodi di vita vissuta diventandone una sorta di sintesi, aprendo le porte
agli spettatori che Delbono sa scioccare ed emozionare.
5 e 6 aprile - Fabbricone
UBU ROI
di Alfred Jarry
regia ROBERTO LATINI
musiche e suoni Gianluca Misiti
scena Luca Baldini
costumi Marion D’Amburgo
luci Max Mugnai
con Roberto Latini
e con
Savino Paparella, padre Ubu
Ciro Masella, madre Ubu
Sebastian Barbalan, regina Rosmunda / zar Alessio
Marco Jackson Vergani, capitano Bordure / Orso
Lorenzo Berti, re Venceslao / Spettro / Nobili
Fabiana Gabanini, palotini / Orsa / Messaggero
Simone Perinelli, principe Bugrelao
produzione FORTEBRACCIO TEATRO
un progetto realizzato con la collaborazione del Teatro Metastasio Stabile della Toscana
Io credo nel Teatro. Ovvero, nell’occasione del Teatro.
Nei classici e nel contemporaneo, come 'declinazione'.
Jarry ci restituisce all’occasione teatro superando addirittura la natura stessa del suo testo.
Non sono le parole, la struttura, la trama addirittura, addirittura la drammaturgia, ma lo spirito di
libertà che accompagna ogni scena. È come se l’autore avesse voluto darci questa libertà creativa,
proporre Teatro e non letteratura.
Scrivo Jarry e penso si possa leggere Shakespeare.
Abbiamo lavorato tenendo questo continuo riferimento, tutti i parallelismi possibili.
Li abbiamo distillati, scelti, evocati, da Macbeth ad Amleto, passando per Romeo e Giulietta o
Giulio Cesare o La tempesta.
Abbiamo integrato Jarry col suo proprio modello e Shakespeare con l’inventore della patafisica, li
abbiamo entrambi ricondotti al nostro tempo teatrale, al nostro sentire, al nostro modo di stare al
Teatro.
Come quando improvvisamente si nota un particolare prima trascurato, come quando ci si volta con
la sensazione di essere seguiti, abbandonati all’incanto cosciente del déjà vu, abbiamo voluto
credere che in un angolo del palco, con la catena al collo di Carmelo Bene ci fosse Pinocchio.
Abbiamo assecondato questa sensazione e ci siamo goduti l’incontro di questi personaggi fuori dal
tempo e da ogni spazio possibile.
Gli Ubu sono un’alterazione e una capacità insieme. Dalla loro comparsa sulla scena si può stabilire
un punto di non ritorno. E quindi anche di appartenenza, o partenza nuova.
Mentre ci si affannava ad accompagnare il Teatro alla vita e ricomporre tutte le sfumature dei
velluti del Teatro intanto borghese, Jarry è riuscito a ricondurci al Teatro, a riconvocarci,
proponendo delle figure e una modalità di relazione tra testo e scena assolutamente contemporanei.
Jarry propone una nuova convenzione, più che moderna, dentro l’assolutezza che soltanto i classici
riescono a determinare.
Ubu apre la strada al Teatro del Novecento. Per quel che ci accompagna, da Artaud a Leo de
Berardinis.
Mi sono nel tempo convinto che quanto proposto dalla scena difficilmente riesca a stare al passo
con i cambiamenti che avvengono in platea. Voglio dire che la velocità di trasformazione, di
evoluzione, del pubblico, i gradi, come conquista, della comunicazione e ogni altra relazione che si
stabilisce tra lo spettacolo e il pubblico, sono più in avanti di quanto generalmente lo spettacolo
riesca a proporre.
Jarry, insieme a pochi, pochissimi altri, è riuscito invece a darci un appuntamento dentro il futuro
prossimo, spostando il luogo dell’incontro dalla convenzione stabilita alla relazione possibile.
La patafisica, o scienza delle soluzioni immaginarie, è una parola che da sola può essere sinonimo
di Teatro.
Anche il cosiddetto Teatro di Ricerca ha ormai la sua 'tradizione'.
È piuttosto desolante, ma è così. È preoccupante, ma è così. Ed è un peccato che sia così.
C’è una sorta di conformismo che viene a mio parere da una serie di malintesi e che porta sulla
scena una modalità che è più forma che sostanza. Mi prendo la responsabilità di quanto scrivo.
Il primo malinteso è la distinzione, tutta italiana, tra sperimentazione e tradizione, quando invece il
problema è lo spettacolo senza teatro che mortifica il coraggio delle proposte e delle idee.
Il sipario dovrebbe aprirsi mostrando l’altezza di una condivisione, un’aspirazione, ed è invece
troppo spesso la cornice alla proiezione sterile della rappresentazione, a sua volta impoverita dalla
ricchezza pataccara di consolazioni da palcoscenico presunto.
Lo stile e il compromesso sono due categorie senza appuntamento.
E la responsabilità è ormai di tutti, nessuno escluso. Mi prendo almeno una responsabilità.
Dentro questi pensieri presento la mia proposta, che m’invita a condividere più che posso invece
che a rappresentare.
Il teatro è una responsabilità.
Roberto Latini
11/12 aprile - Fabbrichino
Ad un passo dal cielo (W LA MAFIA)
di e con Aldo Rapè
regia Nicola Vero
produzione PrimaQuinta Teatro
"nella poesia di un lucido idiota
ascoltiamo la voce del silenzio"
(Roma, 2005)
*Segnalazione speciale ‘Vittorio Giavelli’ - Premio Ernesto Calindri VI ed., Milano 2006
*Premio miglior attore e premio speciale della giuria ‘Schegge d'autore 2005’, Roma 2005
*Premio miglior spettacolo, miglior testo, miglior attore, miglior regia, menzione speciale premio
scuola, ‘La corte della formica 2005’, Napoli 2005
*Primo Premio Sez. Teatrale ‘Premio letterario osservatorio 2005’, Bari 2005
Uno spettacolo intimo e poetico.
Un inno alla vita ed un grido disperato contro tutte le mafie e le sue più aberranti manifestazioni.
Lo spettacolo, pluripremiato, ha debuttato nel 2004 ottenendo grandi consensi di pubblico e critica.
Dal lontano 2004 sino ad oggi quasi 500 repliche. È stato messo in scena nei teatri, nelle scuole, alla
presenza di parenti di vittime di mafia, nelle chiese, nei palazzi divelti dalle bombe, nei quartieri a
rischio.
Una storia che fa vibrare l'anima, che regala emozioni forti, che pone dei dubbi, che impone una
riflessione profonda a ciascuno di noi, sulla nostra vita, sulle nostre scelte.
Primaquinta Teatro è lieta di presentare queste performance che, per l’immediatezza della messa in
scena e la delicatezza del tema trattato, si distingue da numerose pièce teatrali in materia di
contrasto alla criminalità.
Per non dimenticare…
“Il silenzio che molto spesso diventa la musica del dopo strage, il silenzio che si abbatte sulle
famiglie delle vittime, il silenzio delle istituzioni… Questo silenzio può e deve avere una voce, un
grido… poesia che nasce dai cuori degli uomini”
(Aldo Rapè)
Sinossi
La storia di un ragazzo, Calogero, rimasto bambino, dopo aver assistito all'omicidio dei suoi
genitori. La favola di un bimbo siciliano e del suo fido compagno Gino, un burattino. Il suo urlo
disperato ad un passo dal cielo "W LA MAFIA"
Note d’autore…
Il testo nasce da una piccola frase pronunciata da una buffa signora, incontrata a mare a Catania
all’età di sedici anni: "Le esperienze che viviamo da bambini ci segnano per tutta la vita".
La frase mi colpì in modo particolare sia per l’effetto del contenuto, ma anche per il modo e la
giornata in cui fu pronunciata. Era il 19 Luglio del 1992. Il giudice Paolo Borsellino insieme ad altri
innocenti veniva barbaramente ucciso in via d’Amelio a Palermo.
Un attimo dopo mi voltai e la buffa signora non c’era più.
Ogni tanto ricordo di averne parlato con i miei genitori e puntualmente se ne uscivano sempre con
la stessa favola, quella dei buoni e dei cattivi.
Ripensando alla frase, un interrogativo immediato: chissà come si sentono adesso i figli ed i parenti
delle vittime? Quali sono i loro sentimenti? Odio? Tristezza?... E se accadesse a me una cosa
simile? Sono trascorsi tanti anni e solo adesso provo a scrivere la storia di uno di loro…
per non dimenticare…
Alle vittime della mafia
ed ai loro parenti…
13 aprile - Fabbrichino
MUTU
di Aldo Rapè
con Aldo Rapè e Marco Carlino
regia Lauro Versari
produzione PrimaQuinta Teatro
Una storia che è una bomba ad orologeria.
Saro e Salvuccio. Il prete e il mafioso. Una storia di due fratelli. Due vocazioni a confronto. Due
uomini sotto lo sguardo dello stesso Dio. Insieme dopo tanti anni. Muti, tutti muti per anni, muti per
fame e per necessità. Ma un giorno la coscienza ed il sangue cominciano ad urlare
16 e 17 aprile - Metastasio
Monografie di protagonisti
PASSIONE
dal romanzo Passio Laetitiae et Felicitatis
di Giovanni Testori
un progetto di Daniela Nicosia
con Maddalena Crippa e Giovanni Crippa
scene Gaetano Ricci
costumi Silvia Bisconti
disegno luci Stefano Mazzanti, Paolo Pellicciari
drammaturgia e regia DANIELA NICOSIA
produzione TIB TEATRO / I TEATRI DEL SACRO / FONDAZIONE TEATRI DELLE
DOLOMITI
"In qualunque rapporto d’amore c’è una tristezza sconfinata, tuttavia, se questa tristezza viene
accettata e accolta con carità, in primis come parte della coscienza di sé, allora diventa dramma, e
può offrire qualcosa agli altri"
Giovanni Testori
L’inferno della solitudine e il paradiso della Duità, tra questi due poli si dispiega la storia di
Felicita, la "disaccentuata", e della sua disperata ricerca d’amore. Un’esistenza intessuta di dolore,
sconvolta dalla morte improvvisa, a soli diciotto anni, del fratello, amato così tanto da sfiorare
l’incesto, dalla violenza sessuale subita, dall’innamoramento per il Cristo, col conseguente prendere
i veli, e infine dall’amore per la giovane Letizia, grazie al quale Felicita conosce la felicità, solo per
un attimo destinato a tradursi in tragedia.
Dolore, fatica e violenza compongono la via crucis della vita, in una vicenda blasfema e
carnalmente mistica, in cui il rapporto religioso può apparire dissacrato, mentre racchiude, insieme
all’invettiva, tutto lo strazio e l’umiltà della preghiera, in un costante dialogo con Cristo.
Sullo sfondo il paesaggio umano di una Brianza di struggimenti e di miseria.
Note di regia
In Passio Laetitiae et Felicitatis - titolo che parafrasa un testo della martirologia cristiana romanzo, teatro e poesia, come scrisse Giovanni Raboni, "si fondono al calore di un 'plurilinguismo
totale', che non coinvolge soltanto il lessico ma anche i generi, approdando ad una sorta di WortTon-Drama", che nell’idioletto di Felicita, misto di latino, francesismi, lombardo e lingua del
seicento, unisce il colto al popolare, dando vita ad un prorompente impasto linguistico, che dona
corpo, spessore e straordinaria forza comunicativa alla parola. Parola che è essa stessa corpo, con le
lacerazioni e il sangue ad esso connesso.
Parola-corpo - che contiene l’urgenza di essere pronunciata, che già sulla pagina è grido – che, oltre
ai profondi interrogativi testoriani sul senso ultimo dell’esistenza presenti nel romanzo, ha fatto
nascere in me, come negli interpreti, la necessità di metterla in scena, di declinarla col linguaggio
del teatro, che è voce e corpo insieme. Una parola che comprende e abbraccia il dolore, una parola
che è passio, passione nel suo significato originario di travaglio, pena, sofferenza, sia nell’atto
dell’essere scritta che in quello dell’essere proferita.
Questo rapporto tra colui che scrive e colei che è scritta, mi ha guidata nella scelta di due interpreti,
che, a prescindere dai generi, incarnino quella parola, dandole voce. Maddalena e Giovanni Crippa,
fratelli nella vita, entrambi uniti dall’unicità di quella lingua, che è sia di Felicita che del narratore,
ci raccontano così - in una scena scarnificata, sezionata dai tagli di luce, su cui sola riverbera il
segno di una croce - questa storia di fraterne intimità, di languori, di amori irregolari e visionari,
generando un singolare corto circuito tra teatro e vita.
Daniela Nicosia
DATA DA DEFINIRE - Metastasio
Monografie di protagonisti
FUORI ABBONAMENTO
PIERA DEGLI ESPOSTI / Gabriele D’Annunzio
in collaborazione con Assessorato alla Cultura Comune di Prato