Il Paradigma del dono

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L’economia del dono. La reciprocità e il “paradosso” della gratuità in economia Prof. Roberto Burlando Dipar&mento di Economia S. Cogne4 Torino Le due radici dell’economia (A. Sen) Filosofico – morale In Occidente almeno da Aristotele, che dis&ngue ne>amente tra -­‐ oikos–nomia e -­‐ crema&s&ca IngegnerisDca Essenzialmente dal 1800 con funzioni importan& ma ancillari; diventa predominante solo dopo il 1945. Elemen& cruciali per l’affermazione e l’estensione del paradigma “ingegneris&co” sono sta& due aspe4 ancora oggi largamente presen& nella “visione” di mol& scienzia& e certo nella rappresentazione sociale: -­‐  una visione della scienza meccanicista e riduzionista, an&sistemica, fondata sull’individualismo metodologico (da neoposi&vismo logico etc.) -­‐  un approccio di filosofia morale anch’esso riduzionista (individualismo e&co): l’u&litarismo prima e la teoria della scelta razionale (preferenze) poi. [P. Singer] Aristotele considera l’economia -­‐ in par&colare nell’ E&ca Nicomachea -­‐ inquadrandola nel contesto generale della ricerca -­‐  del fine ul&mo delle azioni umane, individuato nella felicità (l’eudaimonia, libro 1°), -­‐  delle virtù che portano al suo raggiungimento -­‐  della scienza che ne deve fare il proprio ogge>o, la poli&ca La concezione del bene1 implica una concezione dell’ uomo, dei suoi bisogni e delle sue mete principali (antropologia). L’eudaimonia aristotelica è una “felicità aspira&va”, un processo evoluDvo che tende alla realizzazione personale di ciascuno a>raverso lo sviluppo delle capacità, che a sua volte consente le concrete realizzazioni2 (come ci ricordano A. Sen e M. Nussbaum) 1. Aristotele afferma che il bene è “ciò cui tu>o tende”, all’inizio della EN (I, 1094a 1-­‐3) 2. La realizzazione “richiede che il sogge>o formi i propri tra4 del cara>ere facendo in modo che ques& diven&no, a>raverso l’esercizio e l’impegno, delle disposizioni stabili e buone, ovvero delle virtù” (EN, 1102a 5-­‐1103a 10). Sia in Aristotele che in Gandhi si trova il ne>o rifiuto di ogni forma di ridu4vismo, che emerge da: a)  un’indagine profonda sul senso della vita, sugli obie4vi e valori che la rendono viva, vera e “degna di essere vissuta” e b)  il riconoscimento della complessità e non linearità della vita sia sul piano biologico che su quello sociale Oltre alla dimensione e&ca sono quindi coinvolte anche quelle antropologica ed epistemologica, e proprio in essa sta un grande elemento di rilevanza per la nostra a>ualità (di “post-­‐modernità”) di queste concezioni. Il filosofo contemporaneo Peter Singer (che pur si considera u&litarista) afferma in How are we to live?, 1993 (pagg. vi e vii): “.. most people have only the vaguest idea of what it might be to lead an ethical life. They understand ethics as a system of rules forbidding us to do things. They do not grasp it as a basis to for thinking about how we are to live. “ They see nothing to live for except the pursuit of their own material self-­‐interest. [..] They live largely self-­‐interested lives not because they are born selfish, but because the alternaCves seem awkward, embarrassing, or just plain pointless.” “The convenConal pursuit of self-­‐interests is [ ..] individually and collecCvely self-­‐defeaCng.” I dilemmi sociali Sono così chiamate situazioni (assai frequen& nella realtà) nelle quali vi è una tensione tra il perseguimento dell’interesse individuale immediato e quello del gruppo di appartenenza, che a sua volta influenza l’interesse o il benessere individuale se non subito almeno nel medio e lungo periodo. Sono sta& ampiamente studia& negli ul&mi 40 anni, spesso in forme “s&lizzate”, che riproducono la tensione in forme arche&piche (semplificate). Le due versioni più note sono: -­‐  Ul&matum game -­‐  Dilemma del prigioniero / contribuzione volontaria Meccanismo di contribuzione volontaria Evidenza della persistenza della cooperazione in giochi ripetu&, ma anche di decadenza del grado di cooperazione con l’andar del tempo. Ampi diba4& sulla natura umana: egois& o cooperatori ? Evidenze sperimentali dell’esistenza di “&pologie” diverse di giocatori: egois&, cooperatori, reciprocatori, confusi. Chi ha più successo? Individualmente e complessivamente? Cosa determina la &pologia di ciascuno? Si tra>a di disposizioni fisse o passibili di evoluzione? Ipotesi anni ‘80: l’evoluzione della cooperazione in una società di egois&. Ipotesi a>uale: l’evoluzione della cooperazione in una società a prevalenza di reciprocatori, ma dove gli egois& spesso sono sovra-­‐
rappresenta& Il paradigma del dono in antropologia, filosofia, sociologia ed economia. Tra il sociale e l’individuale non vi è roHura ma graduazione e traduzione reciproca (Caillè p. 28) Diverse strade, tradizioni e visioni portano a quella che è definita come l’economia del dono o ai suoi dintorni. Le principali nel diba4to a>uale sono: •  Paradigma del dono (Mauss, Caillè) o 3° paradigma •  Economia civile e relazionale (Zamagni, Bruni, Sacco) •  A mio avviso anche l’approccio delle capacità (A. Sen, M. Nussbaum) Il Paradigma del dono (M. Mauss, A. Caillè) o 3° paradigma Studiando diverse società arcaiche Marcel Mauss (saggio sul dono, 1923-­‐24) giunse alla constatazione che in tu>e il legame sociale era fondato sul triplice obbligo faHo agli uomini di donare, ricevere e ricambiare. I suoi epigoni (membri del francese Movimento An&U&litarista nelle Scienze Sociali) evidenziano come anche nelle società contemporanee il dono non è un semplice elemento residuale (come spesso si ri&ene) bensì il cuore della 3° rete di circolazione di beni e servizi (oltre al mercato ed all’economia pubblica)
quella della socialità, nella quale contribuiscono alla creazione e consolidamento del legame sociale. Il Paradigma del dono Senza la socialità però anche il mercato e l’economia pubblica si riducono, fino a dissolversi. I beni e servizi u&lizza& nella rete della socialità hanno un valore di legame, che è un valore essenzialmente simbolico ma poten&ssimo, sia in senso posi&vo che nega&vo (eg. nel Potlac). Dunque “nell’azione sociale entrano il calcolo e l’interesse, materiale o immateriale, ma [..] ci sono anche l’obbligo, la spontaneità, l’amicizia e la solidarietà, in breve c’è il dono” (Caillè, 1993, p.9) Nessuna società umana può edificarsi nel solo registro del contra>o e dell’u&litario [..] la solidarietà indispensabile a qualunque ordine sociale può emergere soltanto dalla subordinazione degli interessi materiali a una regola simbolica che li trascende.. (p. 33). Il Paradigma del dono Sul piano metodologico, dunque, ”la totalità sociale non preesiste agli individui (e viceversa), per la semplice ragione che gli uni e gli altri [..] si generano incessantemente a>raverso l’insieme delle interrelazioni e delle interdipendenze che li legano” (11). ”Uno dei dife4 principali delle do>rine individualis&co – u&litariste [..] è di poggiare su una base puramente specula&va.” (10). “individualismo e olismo dunque sono intelligibili soltanto considera& come forme specializzate e autonomizzate di una realtà più vasta e inglobante.. (14). L’ Economia civile (Bruni e Zamagni, Economia civile, Mulino, 2004) “L’economia civile è principalmente una prospeJva culturale dalla quale interpretare l’intera economia, e dalla quale ge>are le basi per una diversa teoria economia”. L’elemento chiave della diversità sta nel “rifiuto della celebre tesi, di ascendenza neoposi&vista, della avalutaDvità, secondo cui il sapere prodo>o dall’economia deve essere libero da funzioni pra&co-­‐orienta&ve”. (p.15) Secondo tale tesi “l’economista, qua scienziato, non può comprome>ersi con i giudizi di valore o con un qualche punto di vista. Mo&vazioni e fini dell’azione sarebbero insondabili dalla ragione scien&fica, la quale nulla avrebbe da dire su essi.” “Noi [..] siamo persuasi che che la ragione scien&fica possa svolgere una funzione nella fondazione dei valori e che valori e conoscenza scienDfica non necessariamente hanno da opporsi tra loro..(p.16) L’ Economia civile (Bruni e Zamagni, Economia civile, Mulino, 2004) “Sia il principio dello scambio di equivalen&, che è il principio regola&vo del funzionamento dell’is&tuzione mercato, sia il principio di redistribuzione, che iden&fica in modo specifico l’azione dello Stato, non cos&tuiscono categorie primi&ve e dunque non sono in grado di reggersi da sole. Entrambe derivano, in ul&ma istanza, dalla categoria di reciprocità”. (p.10) “Una società, dunque, che espunge dal proprio orizzonte culturale il principio di reciprocità [..] è una società verosimilmente poco capace di futuro, e certamente non in grado di soddisfare la domanda di felicità dei suoi membri” (p.10-­‐11) Del paradigma ridu4vista e ultraliberista fa anche parte una concezione ridu4va di libertà (esplicitata ad esempio da Milton nel suo “Free to choose”). In questo paradigma la libertà è vista essenzialmente come libertà di scegliere tra ciò che il mercato offre. La filosofa statunitense E. Anderson commenta al riguardo: “the most important ideal that the modern market aHempts to embody is a parCcular concept of freedom...[that] consists in having a large menu of choices in the marketplace and in exclusive power to use and dispose of things and services in the private sphere without having to ask permission from anyone else” (Anderson 1990, pag. 180-­‐181). Questo implica una concezione par&colare di libertà, essenzialmente rido>a alla libertà dalle obbligazioni nei confronC di altri. La Anderson evidenzia sia i gravi imi& di questa concezione sia come la sfera personale e quella della poli&ca democra&ca offrano un diverso ideale di libertà, ed in par&colare: “..we are not free to pursue the goods of deepest significance to human life under these condiCons.” (pag. 202-­‐203). “DemocraCc freedom [..] is freedom to parCcipate in collecCve decisions. It is a freedom to be included , rather than to exclude others.” Anche Amartya Sen propugna una concezione di libertà più ampia (rispe>o a quella solo nega&va e ridu4va proposta da Friedman) e la pone quale obie4vo centrale degli sforzi umani. In un breve saggio, La libertà personale come impegno sociale, afferma: “La libertà come tale non cosCtuisce un valore nel calcolo uClitarisCco. In alcuni casi, le prescrizioni uClitariste si sono invece trovate a scontrarsi con le richieste di libertà individuale.” “QuesC confliZ emergono per [..] la componente di paternalismo che è implicita nella pretesa di organizzare una società in modo da condurre le persone all’uCle massimo invece di lasciar loro maggior libertà.” “La libertà in senso negaCvo (libertà da) si concentra sull’assenza di una serie di limitazioni che una persona può imporre ad un’altra (o che lo stato o altre isCtuzioni possono imporre agli individui). La libertà intesa in senso posiCvo (libertà di) riguarda ciò che, tenuto conto di tuHo, una persona può o meno conseguire.” (Sen, 1993, p. 8 e 9) “Un’ adeguata concezione della libertà dovrebbe essere sia posiCva sia negaCva.” (p.10) Un esempio estremo di mancanza di libertà posiDva …. Produzione (GDP) versus Benessere (GPI) ? Spero non sia lontano il giorno in cui l’economia occuperà quel posto di ulCma fila che le speHa, mentre nell’arena dei senCmenC e delle idee saranno protagonisC i nostri problemi reali: i problemi della vita, dei rapporC umani, del comportamento, della religione. J.M. Keynes “La civiltà consiste non nel molCplicare i nostri desideri e i mezzi per soddisfarli, ma nell’affinamento della loro qualità ... una nazione che fa del suo fine la produzione di oggeZ anziché la vita delle persone merita di scomparire” . A. K. Coomaraswamy 
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