DIVINITA’ IN SCENA TESI DI DIPLOMA Anno 2014 Candidata Rinella Nebbia Relatore 1 Luigi Dotti INDICE: Premessa pag. 3 Introduzione pag. 4 1. Breve introduzione al Playback Theatre pag. 6 2. Divinità in scena pag. 7 3. Il ruolo del conduttore pag.12 4. Il processo creativo pag.14 5. Conclusioni pag.16 Bibliografia pag.19 2 PREMESSA Il Playback Theatre mi ha raggiunta in un periodo molto difficile per me, periodo in cui stavo accompagnando mia mamma verso la fine della sua vita e avvertivo il bisogno di uno spazio solo mio, dove potermi ricaricare. A tre anni di distanza, posso dire che avevo bisogno di un ponte per attraversare la landa desolata della perdita. All’inizio è stato davvero difficile, per ciò che stavo vivendo, ma anche perché la formazione come psicodrammatista mi aveva dato una struttura, che mal si accordava con la nuova formazione. Nei gruppi di Psicodramma venivo spesso scelta per ruoli molto difficili, sia rispetto all’impatto emotivo, sia per il loro carattere astruso (mai scorderò il ruolo della porta scardinata), ma conoscere le battute da recitare mi dava la possibilità di concentrarmi sul vissuto emotivo. Nel PT questa possibilità viene meno, non si dispone di un copione, le battute nascono dal vissuto emotivo del ruolo assunto e da ciò che succede sulla scena. Insomma, per poter entrare nel vivo del PT ho dovuto destrutturarmi – lasciare un riferimento certo - e lasciarmi andare. Una bella sfida! Nel frattempo, un’altra bella sfida è giunta nella mia vita, ossia la costituzione dell’Associazione Intrecciastorie, compagnia di PT, sogno-progetto di otto donne innamoratesi di questa forma teatrale, di cui parlerò nell’introduzione. 3 INTRODUZIONE Questa tesina verte su un tema a me molto caro: la mitologia. Mi interessa fare una riflessione su come questa prende forma sulla scena del PT, concentrando l’attenzione su Dioniso, Hermes, Apollo e la Grande Dea. La tesina si presenta suddivisa in tre tematiche, ossia la presenza e il ruolo delle suddette divinità del pantheon greco sulla scena del PT, il ruolo del conduttore e il processo creativo. La conclusione comprende due umili omaggi, uno a P.P. Pasolini e l’altro a Dioniso. Associazione Intrecciastorie L’Associazione Intrecciastorie è nata dal desiderio di stare insieme condividendo un progetto. Otto donne non sono uno scherzo, otto donne molto diverse tra loro per caratteristiche, età, esperienze. Otto donne che hanno lavorato, per un intero anno, soprattutto attorno al tavolo di una cucina, mangiando, bevendo, raccontandosi, condividendo davvero tutto, dai desideri alle difficoltà personali. Otto donne che hanno sognato insieme lo stesso sogno e, passo dopo passo, l’hanno portato nella realtà. All’attivo di Intrecciastorie ci sono 15 performance, due giornate di formazione per l’ASLTO1, laboratori e un seminario residenziale di autoformazione in collaborazione con altre compagnie teatrali. Di questo evento siamo particolarmente orgogliose e stiamo già organizzando la seconda edizione. Le otto donne sono Filena Marangi, Alice Orsolani, Annalisa Rolfo, Cristina Garino, Erika De Stefano, Marta Oggero, Sara Leone ed io. Il nostro musicista, giunto in itinere, è Walter Binello. A loro dedico questo elaborato. 4 Pantheon greco Ho scelto di concentrare l’attenzione sul ruolo di queste divinità, perché amo la mitologia e ho sempre sentito l'effetto della sua presenza nella mia vita. Dioniso, in particolare, mi ha lanciato sfide, che non sempre sono stata capace di cogliere. C. G. Jung soleva dire che dal momento in cui l’uomo non aveva più reso omaggio agli dei, questi erano tornati sotto forma di sintomi. Credo che rendere omaggio agli dei significhi poter disporre di un codice interpretativo rispetto alle nostre istanze psichiche, una chiave di lettura immaginale. Non solo, credo che omaggiare gli dei costituisca anche un antidoto contro l’inflazione dell’Io, ovvero il pericolo di riferire soltanto a se stessi l’onore dei successi e l’onere dei fallimenti. Non si tratta, certo, di lavarsene le mani, quanto di tenere sempre presenti le nostre istanze psichiche, non necessariamente in accordo con le esigenze dell’Io. In fondo, il complesso dell’Io abita nella psiche insieme ad altri complessi, altrettanto importanti. Chiamarli divinità può essere un modo per renderli più accessibili, per sdrammatizzarli almeno un po’. 5 BREVE INTRODUZIONE AL PLAYBACK THEATRE Il Playback Theatre è una forma originale di improvvisazione teatrale, resa possibile da una speciale collaborazione tra artisti e pubblico. La compagnia di Playback Theatre si presenta con un conduttore, alcuni attori e un musicista; insieme, realizzano un rituale che permette al pubblico di narrare episodi della sua vita per poi guardarli, immediatamente ricreati sul palco, offerti in forma e coerenza artistica. Non solo, poiché, attraverso l’ascolto empatico e la rappresentazione scenica, gli attori scendono nella profondità dell’esperienza narrata, così da restituirla arricchita di significati nuovi. Ogni esperienza della vita può essere raccontata e messa in scena, poiché l’obiettivo è proprio onorare le storie, in linea con la tradizione orale, alla base del nostro patrimonio culturale. Ogni persona può riconoscersi o differenziarsi rispetto alla storia di un’altra e ciò fa sì che si attivi quel particolare processo, proprio del teatro greco, in cui il pubblico diviene una comunità narrante, che riflette su se stessa. 6 DIVINITA’ IN SCENA In realtà, i culti dionisiaci utilizzavano la musica e il rituale come mezzi per integrare la violenza e il desiderio nella pienezza della persona. A proposito di Orfeo, la forma umanamente incarnata di Dioniso, la leggenda dice che egli era in grado di ammansirle belve feroci e persino le furie per mezzo della sua musica. Allo stesso modo, si può ipotizzare che le cerimonie religiose e i rituali dei culti dionisiaci potessero avere lo scopo di ammansire e di integrare in modo armonico le furie e le belve affamate e mosse da bisogno presenti nell’uomo. ( E. C. Whitmont, Il sorriso della leonessa, pagg. 25 e 26, Edizioni Piemme, Casale Monferrato – Al – 1999) Il teatro è un’arte dionisiaca, poiché ha la forza di attrarre, di portare verso, come dice il suo stesso nome (dal greco theatron). Come tale, prevede un rituale, che tutti sono tenuti ad osservare, attori e pubblico. Nel PT, il rituale è particolarmente importante, poiché il pubblico non è passivo fruitore di uno spettacolo, ma è parte attiva del processo. Processo molto complesso, poiché composto dal processo narrativo e da quello performativo, che si nutrono vicendevolmente. Come già scritto, il rituale è molto importante, perché realizza una cornice, teorica ed operativa. La cornice teorica si rifà al concetto di contenimento, necessario affinché la comunità presente, in uno spazio-tempo determinato, possa co-costruire un contenuto. La cornice operativa è data dalle diverse fasi della performance e dal ritmo ripetitivo con cui il conduttore le scandisce. Questa cornice permette alla comunità di entrare in una dimensione liminoide, di semi-realtà, in cui il pubblico racconta e i performer ascoltano, non solo con le orecchie, ma con tutti i sensi allerta, in modo empatico. Al termine di ogni figura o storia, la parola torna al pubblico, o meglio, in prima istanza al narratore, che è invitato ad esprimere ciò che la messa in scena gli ha comunicato; successivamente, il conduttore si rivolge al pubblico invitandolo ad esprimere altre emozioni o a raccontare altre storie, che emergono come libere associazioni. 7 Dioniso Dioniso è chiamato in causa perché è grazie alla sua presenza se tutto questo prende forma. Siamo abituati a pensare alla forma come ad un requisito del pensiero razionale, caro ad Apollo, ma nel nostro caso la forma è data dalla capacità del conduttore di attivare il rituale. Il rituale d’apertura comprende anche una prima fase di riscaldamento e prevede di: 1. accogliere il pubblico dandogli il benvenuto; 2. introdurre il tema scelto per la performance; 3. promuovere la conoscenza utilizzando la sociometria, ossia un metodo d’azione ideato da Jacob Levi Moreno per misurare le relazioni in un gruppo. Il conduttore pone domande alle quali il pubblico risponde non tanto con il registro verbale, quanto con il movimento. Muoversi promuove l’attivazione delle percezioni cinestetiche, che a loro volta permettono di andare oltre la dimensione del pensiero razionale e di predisporsi a quella affettiva. 4. la musica, che non è solo un complemento, ma un soggetto attivo del PT, a tutti gli effetti un altro performer. Parlo del conduttore, ma in realtà è tutta la compagnia ad essere impegnata nel rituale di apertura. I performer sono sul palco, seduti, in posizione neutra, ma attenta, il musicista accoglie il pubblico con la sua musica. Il rituale procede con la proposta della prima attivazione, che si configura come una seconda fase di riscaldamento. L’obiettivo dell’attivazione è di condurre il pubblico sul piano delle emozioni, quindi si propone di fare un’attività, a coppie o in piccoli gruppi. Al termine di questa, il conduttore chiede al pubblico quali emozioni siano state attivate fino a quel momento e si avvicina alla prima persona che si esprime. Chiede il nome e fa una brevissima intervista, che ha un duplice obiettivo: aiutare la persona a definire meglio ciò che prova e scegliere la forma espressiva più indicata. Conclude richiamando l’attenzione del pubblico con una frase rituale, che ha in sé non solo il nome della persona e quello della forma espressiva, ma soprattutto, l’invito a guardare. 8 Ogni forma espressiva inizia dopo il suono dato dal musicista, equivalente al “ciak si gira” del regista; l’attenzione del pubblico si concentra sulla scena e la sintonia tra musicista e performer permette un dialogo capace di rendere artistica la forma espressiva scelta dal conduttore. Il carattere artistico è dato non solo dalla dimensione estetica, pur importante, ma anche da quella simbolica, perché vengono veicolati significati nuovi, espressi con il codice analogico. Il rituale crea la fiducia necessaria, impegna le persone presenti nel progetto comune della performance, fa da contenitore ad un contenuto in divenire. Ad una forma espressiva ne segue un’altra, il ritmo con cui la compagnia di PT procede è costante e ciò crea alleanza con il pubblico. Si costruisce insieme e tutti sono partecipanti attivi, perché ascoltano e guardano anche quelli che non parlano. Il rituale si svolge lungo tutto il processo e ne fa parte. Dopo alcune forme espressive, il conduttore introduce la seconda attivazione, che porta alle narrazioni. Si chiede al pubblico di pescare dalla memoria e condividere a coppie il ricordo; dopo il tempo accordato, il conduttore chiede chi vuole essere il primo narratore, che viene invitato ad accomodarsi su una sedia, posta lateralmente al palco, vicino al conduttore. Segue la narrazione, una breve intervista per avere qualche informazione aggiuntiva sul narratore, per individuare meglio i personaggi della storia, la scelta del performer che farà la parte del protagonista e, nuovamente, guardiamo. La circolarità del processo prevede che, alla fine, quando i performer riassumono la posizione neutra e si rivolgono al narratore, la parola torni a questi affinché possa dire quanto si è riconosciuto, o differenziato, cosa gli è arrivato di quanto ha visto sulla scena. E’ esperienza comune che il narratore manifesti stupore, dicendo “Ho visto molto più di ciò che ho detto”, “Non avevo mai pensato a quell’aspetto particolare della mia vicenda”. Spesso, il narratore aggiunge “Ma come fanno?”, con un’espressione di meraviglia e incredulità. Restituire al narratore molto più di ciò che ha detto, giungere alla dimensione simbolica, è un risultato dell’opera di Dioniso, che permette ai performer di ascoltare empaticamente il racconto, di entrare nel flusso immaginativo, di relazionarsi con ciò che accade sulla scena, anche 9 quando vuol dire ascoltare emozioni forti, come la rabbia, l’invidia o la commozione. Potrebbe sembrare azzardato proporre un paragone tra i culti dionisiaci – propriamente detti – ed una performance di PT. Lo propongo ugualmente, poiché Dioniso è il dio che muore smembrato ad opera dei Titani, ma puntualmente rinasce, rinnovato nel suo significato progettuale, di speranza e di vita. Allo stesso modo, quando i performer ascoltano empaticamente le emozioni del pubblico e se ne lasciano attraversare, contattando allo stesso tempo le proprie emozioni connesse a quelle storie, entrano in un processo di smembramento, che ne permette non solo l’ascolto, ma anche la condivisione e la trasformazione. E’ un processo che passa, naturalmente, attraverso il corpo, poiché esso è il veicolo privilegiato delle emozioni. E’ un processo doloroso e stancante, ma che reca con sé anche un senso di leggerezza. Apollo Un’altra divinità presente, nostro malgrado, è Apollo, dio del pensiero razionale. Apollo, in sé e per sé, è di grande aiuto nella vita quotidiana, ma sulla scena combina disastri. Disastri dati dalla rigidità di ruolo, dal non riuscire a far parlare il corpo, dall’usare troppe parole, dall’esigenza di spiegare ciò che invece andrebbe illustrato. Siamo culturalmente determinati a far uso dell’emisfero sinistro, lasciarlo in favore di quello destro ci fa sentire tutta la nostra insicurezza. Eppure, è proprio con essa che possiamo entrare nel vivo della scena e addentrarci nel labirinto del racconto, dove al centro risiede il cuore della storia. Credo non si tema solo l’insicurezza, ma anche la potenza di Dioniso, la sua capacità di farci diventare davvero, anche se per poco tempo, un’altra persona, quasi un processo di depersonalizzazione. Mi viene in mente una persona in particolare, che quando si lascia andare al potere dionisiaco riesce davvero ad entrare nelle maglie di un’altra personalità. Quando ne parla, con timore reverenziale, dice che, semplicemente, non è più lei e ciò la spaventa. Effettivamente, come darle torto visto che si tratta quasi di “possessione”! 10 La paura, che a volte non permette di ascoltare, che blocca l’azione scenica di un performer o la rende poco efficace. L’ansia da prestazione, che porta a restare sulla scena anche se il ruolo si è esaurito. La sensazione di non riuscire ad esprimersi perché tutto corre molto velocemente. Ci sarebbero molte cose da menzionare, ma si rischia l’effetto dell’elenco telefonico! Tutti questi stati d’animo, però, possono avere un senso, un significato importante se solo si riesce a viverli sulla scena fino in fondo, perché è così che si possono trasformare in qualcosa di utile. Essere pienamente presenti può significare stare in contatto con la propria pochezza, col vissuto di non essere visti, di essere travolti dagli eventi, con la propria rabbia. Riuscire in questa operazione significa portare le emozioni “negative” dentro la scena, dentro il tessuto della storia. Bisogna fidarsi di ciò che si avverte dentro di sé, permettergli di crescere, di esprimersi e di costituire un nuovo punto di partenza, un nuovo spunto narrativo a cui gli altri performer potranno connettersi. Hermes Il processo performativo è un processo alchemico, richiede l’intervento di diverse divinità e come non citare Hermes, colui che riporta sulla superficie terrestre Kore trasformata in Persefone, capace di comunicazioni veloci ed efficaci, di viaggiare tra mondi diversi, di capovolgere le situazioni. La sua azione è fondamentale per la comunicazione tra performer e tra questi e il pubblico, ma diventa davvero incisiva quando si incarna in un performer che entra in scena assumendo un ruolo totalmente imprevisto. In questo caso, ad es., la sua azione può stravolgere una messa in scena fino a quel punto troppo descrittiva (dominata da Apollo); cambiare le carte in tavola costringe i performer ad uscire dalla dimensione della descrizione ed entrare in quella dell’hic et nunc, di ciò che succede sulla scena, di ciò che questo provoca dentro ciascuno e di come si risponde. La palla torna a Dioniso! 11 IL RUOLO DEL CONDUTTORE Il ruolo del conduttore non si esaurisce nel proporre le attivazioni e fare le interviste. Il conduttore è responsabile di tutta la performance, vale a dire sia della compagnia, sia del pubblico. Il pubblico è il protagonista, di cui la compagnia è al servizio. Solo alla fine il conduttore potrà portare l’attenzione sulla compagnia, intesa anche come persone, non solo performer, presenti sul palco, quando le presenterà per l’applauso finale. E’ un bel momento, liberatorio e anche un po’ auto-celebrativo, perché negarlo, ma anche alla fine si deve ringraziare il pubblico per aver accettato di condividere le sue storie e averle ascoltate: senza un pubblico narrante non c’è Playback. Al pari dei performer, anche il conduttore deve fidarsi, di se stesso, della compagnia e del pubblico. Rispetto al pubblico, il conduttore deve fare quasi un atto di fede, perché spesso, almeno nella mia esperienza, il pubblico che si incontra è totalmente a digiuno di PT, davvero non si aspetta la richiesta di raccontare e ciò può creare ansia, disagio o improvviso “analfabetismo emotivo”. Il conduttore deve prendersi cura del pubblico, rassicurarlo e aiutarlo ad esprimersi, sollecitarlo con gentilezza, ma anche con la fermezza necessaria. Deve trasmettere al pubblico che ha padronanza di ciò che fa, solo così si può creare un vincolo di fiducia. Durante la prima fase della performance, il conduttore deve dare la possibilità ai performer di mettere in scena diverse forme espressive, non solo a vantaggio del pubblico, ma anche per aiutare i performer a scaldarsi in vista delle storie. Per farlo, il conduttore deve far emergere nelle interviste, ad es., contrasti, passaggi da uno stato d’animo a un altro, aspetti diversi etc, in modo da poter lanciare le coppie o un coro o i corridoi. Naturalmente, non si tratta di forzare, ma di intuire la possibilità e farla crescere. Durante la seconda fase della performance, quando intervista il narratore, il conduttore deve continuare a porsi come anello di congiunzione, tra pubblico e palco, rivolgendo sempre lo sguardo anche al pubblico. 12 Hermes la fa da padrone, capace di fluttuare tra spazi diversi (pubblico, narratore, performer) di fare le domande giuste, magari anche un po’ spiazzanti. Così come è capace di giocare anche brutti scherzi, da quel briccone che è, facendo dimenticare al conduttore di chiedere quale performer possa interpretare il ruolo del protagonista o raccogliere poche informazioni. Tutto per la felicità dei performer!!! Le divinità si possono mostrare collaborative o capricciose, certamente non sono ai nostri ordini ed è soprattutto in questi momenti che l’armonia di base della compagnia, la fiducia tra tutti i suoi componenti giocano un ruolo importante nello svolgimento del lavoro. La Grande Dea La Grande Dea, la dimensione del Femminile, non ancora menzionata, sovraintende tutto il processo, aiutando a superare gli ostacoli, favorendo il gioco dialettico del “dai-sì-dai”, infondendo la fiducia nell’approdo anche quando non si vede terra in vista. Quando Lei è presente, tutto scorre e sulla scena compare il coraggio. Il coraggio di fare scelte azzardate, ma sentite profondamente, o di compiere omissioni che salvaguardano il benessere del narratore. Può capitare di intuire che nel cuore di una storia ci sia qualcosa di francamente patologico, ma non è compito nostro lasciar emergere queste cose. Il palco non è un setting di psicoterapia, occorre cercare un punto di equilibrio tra l’osare e il trattenere. La presenza della Dea aiuta a cogliere il bisogno autentico del narratore in quel momento preciso. In questo caso, ciò che arriva al narratore è un dono speciale, come una carezza sul cuore. 13 IL PROCESSO CREATIVO Creatività, una parola spesso usata, quasi come un mantra. Si parla di creatività come se fosse un attributo dell’agire umano da spendere in qualsiasi occasione, a comando. Usate creatività! L’atteggiamento titanico, che contraddistingue l’agire umano da secoli, se non millenni, fa sentire la sua voce, cercando di assoggettare qualcosa che non può essere comandato, ma solo invocato. L’invocazione è vista come fumo negli occhi dal titano di turno, perché occorre chiedere, o meglio, predisporre l’anima a lasciarsi attraversare dal flusso creativo, che al pari di un’entità autonoma, deciderà se presentarsi o meno. Già, perché la creatività fa parte di quella potenzialità umana non soggetta al controllo razionale. Non è un’attività codificabile e prevedibile. Nella nostra esperienza di Intrecciastorie, la creatività ha bisogno di tempo per presentarsi, quasi volesse ogni volta osservarci prima di comparire. E’ come un’anima errante in cerca di corporeità, che risponde al richiamo, ma solo se lo trova di suo gusto. E’ un’anima dionisiaca, anarchica! L’invocazione ha i suoi rituali. Il nostro è fatto di stare insieme, cominciando dal pranzo, in cucina, sedute a una splendida tavola imbandita di cibo semplice e vino vero, chiacchiere, allegria, quotidianità, amore, sesso, struggimenti, nostalgie, guai veri o presunti, dubbi, domande, tutto ciò che in quel momento circola. In quella cucina ritroviamo la dimensione di gruppo, di quel gruppo specifico che si è dato forma con un obiettivo, quello di portare il Playback-Theatre nel mondo! All’inizio, condizionate dal titano che vuole prima il dovere e poi il piacere (e solo se meritato), ci impegnavamo a “produrre” prima di pranzare, ma è durata poco, ben presto ci siamo arrese di fronte…alla poca resa e, senza esplicitarlo, abbiamo cambiato il paradigma, dando la precedenza al pranzo comunitario. 14 Pranzare insieme significa nutrirci degli stessi elementi, riunite allo stesso altare, per invocare la stessa divinità. Nessuno si scandalizzi per l’uso di termini religiosi, perché di religione si tratta, nell’antica accezione del termine. Religere significa riunire e il processo creativo ha bisogno di riunificazione, materiale e spirituale. Non solo, ha bisogno che i due elementi diventino uno. E’ solo dopo aver adempito al rito che la nostra anima errante, nume tutelare, comincia a manifestarsi, facendo circolare idee per la performance, che per quanto bislacche onoriamo sempre, scandagliandole a fondo nelle loro forme e significati, per poi modificarle e ancora, ancora, fino a quando emerge quella giusta, giusta per noi e per il contesto in cui andremo ad operare. Anche in questa fase del lavoro si continua a ridere e a scherzare, perché facciamo tutto molto seriamente, ma senza prenderci sul serio! Volendo usare la terminologia della Psicologia Analitica Individuale, fino a questo punto è la dimensione del Femminile a dirigere il processo creativo; la dimensione del Maschile si presentifica nel momento organizzativo, quando si riassume e si distribuiscono i compiti. Maschile amico, godereccio, che aspetta pazientemente il suo momento divertendosi con noi. 15 CONCLUSIONI Omaggio a Pier Paolo Pasolini La Grecia, madre del teatro. Teatro che aveva una grande funzione sociale, politica e di comunità. Per usare le parole di P.P. Pasolini, il teatro greco aveva la funzione di essere un rito culturale, poiché attori e pubblico si trovavano insieme per riflettere, per produrre cultura. L’identificazione del pubblico con i personaggi e con i temi portati sulla scena, permettevano l’avvio del processo catartico, che garantiva l’assimilazione dei contenuti ed un canale socialmente accettabile per l’espressione dell’aggressività. Pasolini era in forte contrasto sia con il teatro borghese, definito della chiacchiera, sia con il teatro anti-borghese definito del gesto o dell’urlo. Non riconosceva a questi alcuna funzione sociale e auspicava il ritorno a un teatro della parola, affinché il teatro potesse tornare ad essere un rito culturale. Credo che a Pasolini sarebbe piaciuto il PT per via della sua funzione sociale, che si declina nello sviluppo di comunità. Sviluppo di comunità significa, essenzialmente, due cose, l’una consequenziale all’altra: utilizzare il rituale per far sì che un insieme di persone, presenti in uno spazio-tempo definito, possa assumere le caratteristiche di una comunità; condurre la comunità a riflettere su se stessa e sulle sue tematiche tramite la narrazione e la messa in scena. La cultura di una comunità è costituita dai suoi valori, dalla modalità con cui assume in se stessa la molteplicità dell’esperienza, dalle caratteristiche del periodo storico, economico, politico. In ultima analisi, il PT ha l’obiettivo di onorare le storie della comunità, in linea con la tradizione orale, alla base del nostro patrimonio culturale. Il fatto 16 che ogni persona possa riconoscersi o differenziarsi rispetto ad una narrazione e che possa innescarsi un processo di riflessione sulle tematiche emerse, fa sì che il PT si configuri come un rito culturale. A Dioniso A te che sei padre e madre delle idee, delle emozioni, dell’Essere presenti nel corpo nell’anima chiedo di essermi vicino nel momento in cui devo lasciare il posto dentro di me a ciò che arriva da fuori bello brutto sublime ripugnante e che prenda ciò che in me sento 17 bello brutto sublime ripugnante e mi porti con sé prendendomi le membra scuotendole perché là fuori possano Essere essere di servizio di verità di gioia di dolore di Bellezza come vorrà mostrarsi che non è compito mio giudicare. Ringrazio tutti i formatori della Scuola Italiana di Playback Theatre, che mi hanno condotta in questa avventura, così come i formatori stranieri. Porto con me, tra gli altri, gli insegnamenti di Veronica Needa e di Aviva Rosenthal. Un ringraziamento particolare a mio figlio Luca e al suo amico Davide, autore delle nostre locandine. 18 BIBLIOGRAFIA Edward C. Whitmont, Il sorriso della leonessa-alle sorgenti del Femminile, Piemme Edizioni, Casale Monferrato (Al), 1999 Raphael Lopez- Pedraza, Dioniso in esilio – La repressione delle emozioni, Moretti & Vitali Editori, Bergamo, 2000 P.P. Paolini, Manifesto per un nuovo teatro, Nuovi Argomenti, n°9, gennaiomarzo, 1968 19