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DIVINITA’ IN SCENA
TESI DI DIPLOMA
Anno 2014
Candidata Rinella Nebbia
Relatore
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Luigi Dotti
INDICE:
Premessa
pag. 3
Introduzione
pag. 4
1. Breve introduzione al Playback Theatre
pag. 6
2. Divinità in scena
pag. 7
3. Il ruolo del conduttore
pag.12
4. Il processo creativo
pag.14
5. Conclusioni
pag.16
Bibliografia
pag.19
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PREMESSA
Il Playback Theatre mi ha raggiunta in un periodo molto difficile per me,
periodo in cui stavo accompagnando mia mamma verso la fine della sua vita e
avvertivo il bisogno di uno spazio solo mio, dove potermi ricaricare. A tre anni
di distanza, posso dire che avevo bisogno di un ponte per attraversare la landa
desolata della perdita.
All’inizio è stato davvero difficile, per ciò che stavo vivendo, ma anche
perché la formazione come psicodrammatista mi aveva dato una struttura, che
mal si accordava con la nuova formazione.
Nei gruppi di Psicodramma venivo spesso scelta per ruoli molto difficili,
sia rispetto all’impatto emotivo, sia per il loro carattere astruso (mai scorderò il
ruolo della porta scardinata), ma conoscere le battute da recitare mi dava la
possibilità di concentrarmi sul vissuto emotivo.
Nel PT questa possibilità viene meno, non si dispone di un copione, le
battute nascono dal vissuto emotivo del ruolo assunto e da ciò che succede
sulla scena. Insomma, per poter entrare nel vivo del PT ho dovuto
destrutturarmi – lasciare un riferimento certo - e lasciarmi andare. Una bella
sfida!
Nel frattempo, un’altra bella sfida è giunta nella mia vita, ossia la
costituzione dell’Associazione Intrecciastorie, compagnia di PT, sogno-progetto
di otto donne innamoratesi di questa forma teatrale, di cui parlerò
nell’introduzione.
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INTRODUZIONE
Questa tesina verte su un tema a me molto caro: la mitologia. Mi
interessa fare una riflessione su come questa prende forma sulla scena del PT,
concentrando l’attenzione su Dioniso, Hermes, Apollo e la Grande Dea.
La tesina si presenta suddivisa in tre tematiche, ossia la presenza e il
ruolo delle suddette divinità del pantheon greco sulla scena del PT, il ruolo del
conduttore e il processo creativo. La conclusione comprende due umili omaggi,
uno a P.P. Pasolini e l’altro a Dioniso.
Associazione Intrecciastorie
L’Associazione Intrecciastorie è nata dal desiderio di stare insieme
condividendo un progetto. Otto donne non sono uno scherzo, otto donne
molto diverse tra loro per caratteristiche, età, esperienze. Otto donne che
hanno lavorato, per un intero anno, soprattutto attorno al tavolo di una cucina,
mangiando, bevendo, raccontandosi, condividendo davvero tutto, dai desideri
alle difficoltà personali. Otto donne che hanno sognato insieme lo stesso sogno
e, passo dopo passo, l’hanno portato nella realtà.
All’attivo di Intrecciastorie ci sono 15 performance, due giornate di
formazione per l’ASLTO1, laboratori e un seminario residenziale di autoformazione in collaborazione con altre compagnie teatrali. Di questo evento
siamo particolarmente orgogliose e stiamo già organizzando la seconda
edizione.
Le otto donne sono Filena Marangi, Alice Orsolani, Annalisa Rolfo,
Cristina Garino, Erika De Stefano, Marta Oggero, Sara Leone ed io. Il nostro
musicista, giunto in itinere, è Walter Binello.
A loro dedico questo elaborato.
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Pantheon greco
Ho scelto di concentrare l’attenzione sul ruolo di queste divinità, perché
amo la mitologia e ho sempre sentito l'effetto della sua presenza nella mia vita.
Dioniso, in particolare, mi ha lanciato sfide, che non sempre sono stata capace
di cogliere.
C. G. Jung soleva dire che dal momento in cui l’uomo non aveva più reso
omaggio agli dei, questi erano tornati sotto forma di sintomi. Credo che
rendere omaggio agli dei significhi poter disporre di un codice interpretativo
rispetto alle nostre istanze psichiche, una chiave di lettura immaginale. Non
solo, credo che omaggiare gli dei costituisca anche un antidoto contro
l’inflazione dell’Io, ovvero il pericolo di riferire soltanto a se stessi l’onore dei
successi e l’onere dei fallimenti. Non si tratta, certo, di lavarsene le mani,
quanto di tenere sempre presenti le nostre istanze psichiche, non
necessariamente in accordo con le esigenze dell’Io.
In fondo, il complesso dell’Io abita nella psiche insieme ad altri complessi,
altrettanto importanti. Chiamarli divinità può essere un modo per renderli più
accessibili, per sdrammatizzarli almeno un po’.
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BREVE INTRODUZIONE AL PLAYBACK THEATRE
Il Playback Theatre è una forma originale di improvvisazione teatrale,
resa possibile da una speciale collaborazione tra artisti e pubblico. La
compagnia di Playback Theatre si presenta con un conduttore, alcuni attori e
un musicista; insieme, realizzano un rituale che permette al pubblico di narrare
episodi della sua vita per poi guardarli, immediatamente ricreati sul palco,
offerti in forma e coerenza artistica.
Non solo, poiché, attraverso l’ascolto empatico e la rappresentazione
scenica, gli attori scendono nella profondità dell’esperienza narrata, così da
restituirla arricchita di significati nuovi.
Ogni esperienza della vita può essere raccontata e messa in scena,
poiché l’obiettivo è proprio onorare le storie, in linea con la tradizione orale,
alla base del nostro patrimonio culturale. Ogni persona può riconoscersi o
differenziarsi rispetto alla storia di un’altra e ciò fa sì che si attivi quel
particolare processo, proprio del teatro greco, in cui il pubblico diviene una
comunità narrante, che riflette su se stessa.
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DIVINITA’ IN SCENA
In realtà, i culti dionisiaci utilizzavano la musica e il rituale come mezzi per integrare la violenza e
il desiderio nella pienezza della persona. A proposito di Orfeo, la forma umanamente incarnata
di Dioniso, la leggenda dice che egli era in grado di ammansirle belve feroci e persino le furie per mezzo
della sua musica. Allo stesso modo, si può ipotizzare che le cerimonie religiose e i rituali dei culti
dionisiaci potessero avere lo scopo di ammansire e di integrare in modo armonico le furie e le belve
affamate e mosse da bisogno presenti nell’uomo.
( E. C. Whitmont, Il sorriso della leonessa, pagg. 25 e 26, Edizioni Piemme, Casale Monferrato – Al –
1999)
Il teatro è un’arte dionisiaca, poiché ha la forza di attrarre, di portare
verso, come dice il suo stesso nome (dal greco theatron). Come tale, prevede
un rituale, che tutti sono tenuti ad osservare, attori e pubblico.
Nel PT, il rituale è particolarmente importante, poiché il pubblico non è
passivo fruitore di uno spettacolo, ma è parte attiva del processo. Processo
molto complesso, poiché composto dal processo narrativo e da quello
performativo, che si nutrono vicendevolmente.
Come già scritto, il rituale è molto importante, perché realizza una
cornice, teorica ed operativa. La cornice teorica si rifà al concetto di
contenimento, necessario affinché la comunità presente, in uno spazio-tempo
determinato, possa co-costruire un contenuto.
La cornice operativa è data dalle diverse fasi della performance e dal
ritmo ripetitivo con cui il conduttore le scandisce.
Questa cornice permette alla comunità di entrare in una dimensione
liminoide, di semi-realtà, in cui il pubblico racconta e i performer ascoltano,
non solo con le orecchie, ma con tutti i sensi allerta, in modo empatico.
Al termine di ogni figura o storia, la parola torna al pubblico, o meglio, in
prima istanza al narratore, che è invitato ad esprimere ciò che la messa in scena
gli ha comunicato; successivamente, il conduttore si rivolge al pubblico
invitandolo ad esprimere altre emozioni o a raccontare altre storie, che
emergono come libere associazioni.
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Dioniso
Dioniso è chiamato in causa perché è grazie alla sua presenza se tutto
questo prende forma. Siamo abituati a pensare alla forma come ad un requisito
del pensiero razionale, caro ad Apollo, ma nel nostro caso la forma è data dalla
capacità del conduttore di attivare il rituale.
Il rituale d’apertura comprende anche una prima fase di riscaldamento e
prevede di:
1. accogliere il pubblico dandogli il benvenuto;
2. introdurre il tema scelto per la performance;
3. promuovere la conoscenza utilizzando la sociometria, ossia un
metodo d’azione ideato da Jacob Levi Moreno per misurare le
relazioni in un gruppo. Il conduttore pone domande alle quali il
pubblico risponde non tanto con il registro verbale, quanto con il
movimento. Muoversi promuove l’attivazione delle percezioni
cinestetiche, che a loro volta permettono di andare oltre la
dimensione del pensiero razionale e di predisporsi a quella affettiva.
4. la musica, che non è solo un complemento, ma un soggetto attivo del
PT, a tutti gli effetti un altro performer.
Parlo del conduttore, ma in realtà è tutta la compagnia ad essere
impegnata nel rituale di apertura. I performer sono sul palco, seduti, in
posizione neutra, ma attenta, il musicista accoglie il pubblico con la sua musica.
Il rituale procede con la proposta della prima attivazione, che si configura
come una seconda fase di riscaldamento. L’obiettivo dell’attivazione è di
condurre il pubblico sul piano delle emozioni, quindi si propone di fare
un’attività, a coppie o in piccoli gruppi.
Al termine di questa, il conduttore chiede al pubblico quali emozioni
siano state attivate fino a quel momento e si avvicina alla prima persona che si
esprime. Chiede il nome e fa una brevissima intervista, che ha un duplice
obiettivo: aiutare la persona a definire meglio ciò che prova e scegliere la forma
espressiva più indicata. Conclude richiamando l’attenzione del pubblico con
una frase rituale, che ha in sé non solo il nome della persona e quello della
forma espressiva, ma soprattutto, l’invito a guardare.
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Ogni forma espressiva inizia dopo il suono dato dal musicista,
equivalente al “ciak si gira” del regista; l’attenzione del pubblico si concentra
sulla scena e la sintonia tra musicista e performer permette un dialogo capace
di rendere artistica la forma espressiva scelta dal conduttore.
Il carattere artistico è dato non solo dalla dimensione estetica, pur
importante, ma anche da quella simbolica, perché vengono veicolati significati
nuovi, espressi con il codice analogico.
Il rituale crea la fiducia necessaria, impegna le persone presenti nel
progetto comune della performance, fa da contenitore ad un contenuto in
divenire. Ad una forma espressiva ne segue un’altra, il ritmo con cui la
compagnia di PT procede è costante e ciò crea alleanza con il pubblico. Si
costruisce insieme e tutti sono partecipanti attivi, perché ascoltano e guardano
anche quelli che non parlano.
Il rituale si svolge lungo tutto il processo e ne fa parte. Dopo alcune
forme espressive, il conduttore introduce la seconda attivazione, che porta alle
narrazioni. Si chiede al pubblico di pescare dalla memoria e condividere a
coppie il ricordo; dopo il tempo accordato, il conduttore chiede chi vuole
essere il primo narratore, che viene invitato ad accomodarsi su una sedia, posta
lateralmente al palco, vicino al conduttore. Segue la narrazione, una breve
intervista per avere qualche informazione aggiuntiva sul narratore, per
individuare meglio i personaggi della storia, la scelta del performer che farà la
parte del protagonista e, nuovamente, guardiamo.
La circolarità del processo prevede che, alla fine, quando i performer
riassumono la posizione neutra e si rivolgono al narratore, la parola torni a
questi affinché possa dire quanto si è riconosciuto, o differenziato, cosa gli è
arrivato di quanto ha visto sulla scena.
E’ esperienza comune che il narratore manifesti stupore, dicendo “Ho
visto molto più di ciò che ho detto”, “Non avevo mai pensato a quell’aspetto
particolare della mia vicenda”.
Spesso, il narratore aggiunge “Ma come fanno?”, con un’espressione di
meraviglia e incredulità. Restituire al narratore molto più di ciò che ha detto,
giungere alla dimensione simbolica, è un risultato dell’opera di Dioniso, che
permette ai performer di ascoltare empaticamente il racconto, di entrare nel
flusso immaginativo, di relazionarsi con ciò che accade sulla scena, anche
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quando vuol dire ascoltare emozioni forti, come la rabbia, l’invidia o la
commozione.
Potrebbe sembrare azzardato proporre un paragone tra i culti dionisiaci –
propriamente detti – ed una performance di PT. Lo propongo ugualmente,
poiché Dioniso è il dio che muore smembrato ad opera dei Titani, ma
puntualmente rinasce, rinnovato nel suo significato progettuale, di speranza e
di vita.
Allo stesso modo, quando i performer ascoltano empaticamente le
emozioni del pubblico e se ne lasciano attraversare, contattando allo stesso
tempo le proprie emozioni connesse a quelle storie, entrano in un processo di
smembramento, che ne permette non solo l’ascolto, ma anche la condivisione
e la trasformazione. E’ un processo che passa, naturalmente, attraverso il
corpo, poiché esso è il veicolo privilegiato delle emozioni. E’ un processo
doloroso e stancante, ma che reca con sé anche un senso di leggerezza.
Apollo
Un’altra divinità presente, nostro malgrado, è Apollo, dio del pensiero
razionale. Apollo, in sé e per sé, è di grande aiuto nella vita quotidiana, ma sulla
scena combina disastri. Disastri dati dalla rigidità di ruolo, dal non riuscire a far
parlare il corpo, dall’usare troppe parole, dall’esigenza di spiegare ciò che
invece andrebbe illustrato. Siamo culturalmente determinati a far uso
dell’emisfero sinistro, lasciarlo in favore di quello destro ci fa sentire tutta la
nostra insicurezza. Eppure, è proprio con essa che possiamo entrare nel vivo
della scena e addentrarci nel labirinto del racconto, dove al centro risiede il
cuore della storia.
Credo non si tema solo l’insicurezza, ma anche la potenza di Dioniso, la
sua capacità di farci diventare davvero, anche se per poco tempo, un’altra
persona, quasi un processo di depersonalizzazione. Mi viene in mente una
persona in particolare, che quando si lascia andare al potere dionisiaco riesce
davvero ad entrare nelle maglie di un’altra personalità. Quando ne parla, con
timore reverenziale, dice che, semplicemente, non è più lei e ciò la spaventa.
Effettivamente, come darle torto visto che si tratta quasi di “possessione”!
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La paura, che a volte non permette di ascoltare, che blocca l’azione
scenica di un performer o la rende poco efficace.
L’ansia da prestazione, che porta a restare sulla scena anche se il ruolo si
è esaurito.
La sensazione di non riuscire ad esprimersi perché tutto corre molto
velocemente.
Ci sarebbero molte cose da menzionare, ma si rischia l’effetto dell’elenco
telefonico! Tutti questi stati d’animo, però, possono avere un senso, un
significato importante se solo si riesce a viverli sulla scena fino in fondo, perché
è così che si possono trasformare in qualcosa di utile.
Essere pienamente presenti può significare stare in contatto con la
propria pochezza, col vissuto di non essere visti, di essere travolti dagli eventi,
con la propria rabbia. Riuscire in questa operazione significa portare le
emozioni “negative” dentro la scena, dentro il tessuto della storia.
Bisogna fidarsi di ciò che si avverte dentro di sé, permettergli di crescere,
di esprimersi e di costituire un nuovo punto di partenza, un nuovo spunto
narrativo a cui gli altri performer potranno connettersi.
Hermes
Il processo performativo è un processo alchemico, richiede l’intervento
di diverse divinità e come non citare Hermes, colui che riporta sulla superficie
terrestre Kore trasformata in Persefone, capace di comunicazioni veloci ed
efficaci, di viaggiare tra mondi diversi, di capovolgere le situazioni.
La sua azione è fondamentale per la comunicazione tra performer e tra
questi e il pubblico, ma diventa davvero incisiva quando si incarna in un
performer che entra in scena assumendo un ruolo totalmente imprevisto.
In questo caso, ad es., la sua azione può stravolgere una messa in scena
fino a quel punto troppo descrittiva (dominata da Apollo); cambiare le carte in
tavola costringe i performer ad uscire dalla dimensione della descrizione ed
entrare in quella dell’hic et nunc, di ciò che succede sulla scena, di ciò che
questo provoca dentro ciascuno e di come si risponde. La palla torna a Dioniso!
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IL RUOLO DEL CONDUTTORE
Il ruolo del conduttore non si esaurisce nel proporre le attivazioni e fare
le interviste. Il conduttore è responsabile di tutta la performance, vale a dire sia
della compagnia, sia del pubblico. Il pubblico è il protagonista, di cui la
compagnia è al servizio.
Solo alla fine il conduttore potrà portare l’attenzione sulla compagnia,
intesa anche come persone, non solo performer, presenti sul palco, quando le
presenterà per l’applauso finale. E’ un bel momento, liberatorio e anche un po’
auto-celebrativo, perché negarlo, ma anche alla fine si deve ringraziare il
pubblico per aver accettato di condividere le sue storie e averle ascoltate:
senza un pubblico narrante non c’è Playback.
Al pari dei performer, anche il conduttore deve fidarsi, di se stesso, della
compagnia e del pubblico.
Rispetto al pubblico, il conduttore deve fare quasi un atto di fede, perché
spesso, almeno nella mia esperienza, il pubblico che si incontra è totalmente a
digiuno di PT, davvero non si aspetta la richiesta di raccontare e ciò può creare
ansia, disagio o improvviso “analfabetismo emotivo”.
Il conduttore deve prendersi cura del pubblico, rassicurarlo e aiutarlo ad
esprimersi, sollecitarlo con gentilezza, ma anche con la fermezza necessaria.
Deve trasmettere al pubblico che ha padronanza di ciò che fa, solo così si può
creare un vincolo di fiducia.
Durante la prima fase della performance, il conduttore deve dare la
possibilità ai performer di mettere in scena diverse forme espressive, non solo
a vantaggio del pubblico, ma anche per aiutare i performer a scaldarsi in vista
delle storie. Per farlo, il conduttore deve far emergere nelle interviste, ad es.,
contrasti, passaggi da uno stato d’animo a un altro, aspetti diversi etc, in modo
da poter lanciare le coppie o un coro o i corridoi. Naturalmente, non si tratta di
forzare, ma di intuire la possibilità e farla crescere.
Durante la seconda fase della performance, quando intervista il
narratore, il conduttore deve continuare a porsi come anello di congiunzione,
tra pubblico e palco, rivolgendo sempre lo sguardo anche al pubblico.
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Hermes la fa da padrone, capace di fluttuare tra spazi diversi (pubblico,
narratore, performer) di fare le domande giuste, magari anche un po’
spiazzanti. Così come è capace di giocare anche brutti scherzi, da quel briccone
che è, facendo dimenticare al conduttore di chiedere quale performer possa
interpretare il ruolo del protagonista o raccogliere poche informazioni. Tutto
per la felicità dei performer!!!
Le divinità si possono mostrare collaborative o capricciose, certamente
non sono ai nostri ordini ed è soprattutto in questi momenti che l’armonia di
base della compagnia, la fiducia tra tutti i suoi componenti giocano un ruolo
importante nello svolgimento del lavoro.
La Grande Dea
La Grande Dea, la dimensione del Femminile, non ancora menzionata,
sovraintende tutto il processo, aiutando a superare gli ostacoli, favorendo il
gioco dialettico del “dai-sì-dai”, infondendo la fiducia nell’approdo anche
quando non si vede terra in vista.
Quando Lei è presente, tutto scorre e sulla scena compare il coraggio. Il
coraggio di fare scelte azzardate, ma sentite profondamente, o di compiere
omissioni che salvaguardano il benessere del narratore. Può capitare di intuire
che nel cuore di una storia ci sia qualcosa di francamente patologico, ma non è
compito nostro lasciar emergere queste cose. Il palco non è un setting di
psicoterapia, occorre cercare un punto di equilibrio tra l’osare e il trattenere.
La presenza della Dea aiuta a cogliere il bisogno autentico del narratore
in quel momento preciso. In questo caso, ciò che arriva al narratore è un dono
speciale, come una carezza sul cuore.
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IL PROCESSO CREATIVO
Creatività, una parola spesso usata, quasi come un mantra. Si parla di
creatività come se fosse un attributo dell’agire umano da spendere in qualsiasi
occasione, a comando.
Usate creatività! L’atteggiamento titanico, che contraddistingue l’agire
umano da secoli, se non millenni, fa sentire la sua voce, cercando di
assoggettare qualcosa che non può essere comandato, ma solo invocato.
L’invocazione è vista come fumo negli occhi dal titano di turno, perché occorre
chiedere, o meglio, predisporre l’anima a lasciarsi attraversare dal flusso
creativo, che al pari di un’entità autonoma, deciderà se presentarsi o meno.
Già, perché la creatività fa parte di quella potenzialità umana non
soggetta al controllo razionale. Non è un’attività codificabile e prevedibile.
Nella nostra esperienza di Intrecciastorie, la creatività ha bisogno di
tempo per presentarsi, quasi volesse ogni volta osservarci prima di comparire.
E’ come un’anima errante in cerca di corporeità, che risponde al richiamo, ma
solo se lo trova di suo gusto. E’ un’anima dionisiaca, anarchica!
L’invocazione ha i suoi rituali. Il nostro è fatto di stare insieme,
cominciando dal pranzo, in cucina, sedute a una splendida tavola imbandita di
cibo semplice e vino vero, chiacchiere, allegria, quotidianità, amore, sesso,
struggimenti, nostalgie, guai veri o presunti, dubbi, domande, tutto ciò che in
quel momento circola. In quella cucina ritroviamo la dimensione di gruppo, di
quel gruppo specifico che si è dato forma con un obiettivo, quello di portare il
Playback-Theatre nel mondo!
All’inizio, condizionate dal titano che vuole prima il dovere e poi il
piacere (e solo se meritato), ci impegnavamo a “produrre” prima di pranzare,
ma è durata poco, ben presto ci siamo arrese di fronte…alla poca resa e, senza
esplicitarlo, abbiamo cambiato il paradigma, dando la precedenza al pranzo
comunitario.
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Pranzare insieme significa nutrirci degli stessi elementi, riunite allo stesso
altare, per invocare la stessa divinità. Nessuno si scandalizzi per l’uso di termini
religiosi, perché di religione si tratta, nell’antica accezione del termine. Religere
significa riunire e il processo creativo ha bisogno di riunificazione, materiale e
spirituale. Non solo, ha bisogno che i due elementi diventino uno.
E’ solo dopo aver adempito al rito che la nostra anima errante, nume
tutelare, comincia a manifestarsi, facendo circolare idee per la performance,
che per quanto bislacche onoriamo sempre, scandagliandole a fondo nelle loro
forme e significati, per poi modificarle e ancora, ancora, fino a quando emerge
quella giusta, giusta per noi e per il contesto in cui andremo ad operare.
Anche in questa fase del lavoro si continua a ridere e a scherzare, perché
facciamo tutto molto seriamente, ma senza prenderci sul serio!
Volendo usare la terminologia della Psicologia Analitica Individuale, fino a
questo punto è la dimensione del Femminile a dirigere il processo creativo; la
dimensione del Maschile si presentifica nel momento organizzativo, quando si
riassume e si distribuiscono i compiti.
Maschile amico, godereccio, che aspetta pazientemente il suo momento
divertendosi con noi.
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CONCLUSIONI
Omaggio a Pier Paolo Pasolini
La Grecia, madre del teatro. Teatro che aveva una grande funzione
sociale, politica e di comunità. Per usare le parole di P.P. Pasolini, il teatro greco
aveva la funzione di essere un rito culturale, poiché attori e pubblico si
trovavano insieme per riflettere, per produrre cultura.
L’identificazione del pubblico con i personaggi e con i temi portati sulla
scena, permettevano l’avvio del processo catartico, che garantiva
l’assimilazione dei contenuti ed un canale socialmente accettabile per
l’espressione dell’aggressività.
Pasolini era in forte contrasto sia con il teatro borghese, definito della
chiacchiera, sia con il teatro anti-borghese definito del gesto o dell’urlo. Non
riconosceva a questi alcuna funzione sociale e auspicava il ritorno a un teatro
della parola, affinché il teatro potesse tornare ad essere un rito culturale.
Credo che a Pasolini sarebbe piaciuto il PT per via della sua funzione
sociale, che si declina nello sviluppo di comunità. Sviluppo di comunità significa,
essenzialmente, due cose, l’una consequenziale all’altra:
 utilizzare il rituale per far sì che un insieme di persone, presenti in
uno spazio-tempo definito, possa assumere le caratteristiche di
una comunità;
 condurre la comunità a riflettere su se stessa e sulle sue tematiche
tramite la narrazione e la messa in scena.
La cultura di una comunità è costituita dai suoi valori, dalla modalità con cui
assume in se stessa la molteplicità dell’esperienza, dalle caratteristiche del
periodo storico, economico, politico.
In ultima analisi, il PT ha l’obiettivo di onorare le storie della comunità, in
linea con la tradizione orale, alla base del nostro patrimonio culturale. Il fatto
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che ogni persona possa riconoscersi o differenziarsi rispetto ad una narrazione
e che possa innescarsi un processo di riflessione sulle tematiche emerse, fa sì
che il PT si configuri come un rito culturale.
A Dioniso
A te che sei padre e madre delle idee,
delle emozioni,
dell’Essere presenti
nel corpo
nell’anima
chiedo di
essermi vicino
nel momento in cui devo lasciare il posto
dentro di me
a ciò che arriva
da fuori
bello
brutto
sublime
ripugnante
e che prenda ciò che in me
sento
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bello
brutto
sublime
ripugnante
e mi porti con sé
prendendomi le membra
scuotendole
perché là fuori
possano Essere
essere di servizio
di verità
di gioia
di dolore
di Bellezza
come vorrà mostrarsi
che non è compito mio giudicare.
Ringrazio tutti i formatori della Scuola Italiana di Playback Theatre, che mi
hanno condotta in questa avventura, così come i formatori stranieri. Porto con
me, tra gli altri, gli insegnamenti di Veronica Needa e di Aviva Rosenthal.
Un ringraziamento particolare a mio figlio Luca e al suo amico Davide, autore
delle nostre locandine.
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BIBLIOGRAFIA
Edward C. Whitmont, Il sorriso della leonessa-alle sorgenti del Femminile,
Piemme Edizioni, Casale Monferrato (Al), 1999
Raphael Lopez- Pedraza, Dioniso in esilio – La repressione delle emozioni,
Moretti & Vitali Editori, Bergamo, 2000
P.P. Paolini, Manifesto per un nuovo teatro, Nuovi Argomenti, n°9, gennaiomarzo, 1968
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