CAPITOLO VIII FILIAZIONE E FAMIGLIA NON CONIUGALE SEZIONE I FILIAZIONE E FAMIGLIA DI FATTO ALLA LUCE DELLA LEGGE N. 219/2012 E DEL D. LGS. N. 154/2013. di Santi Mastroianni SOMMARIO. 1. Brevi cenni sulla legislazione precedente alla novella del 2012. – 2. La parentela. – 3. Lo stato giuridico di figlio. – 4. Il riconoscimento. Profili di diritto sostanziale e di diritto processuale. - 5. Ultimi privilegi normativi in favore dei figli nati in costanza di matrimonio rimossi dal legislatore con il D.Lgs. n. 154/2013. Ulteriori prospettive di riforma. 1. Brevi cenni sulla legislazione precedente alla novella del 2012. Nell’ambito delle relazioni affettive non matrimoniali grande interesse e rilievo giuridico, oltre che sociale, riveste la questione relativa ai rapporti con la prole. Nel corso dei decenni, sono state notevoli le difficoltà incontrate dal nostro legislatore nello scegliere, tra le opzioni possibili, quella più adeguata alla tutela giuridica dei figli nati al di fuori della famiglia coniugale. La questione è estremamente delicata poiché sono riscontrabili fattispecie in cui la mancanza di stabili relazioni familiari possono incidere negativamente sul figlio1. In altri termini, si è dovuto scegliere tra la tutela del figlio, in quanto tale o in quanto appartenente a un nucleo familiare, definito (rapporto 1 Si pensi, fra le tante, all’ipotesi del figlio nato dalla relazione di un genitore “naturale” con una donna sposata e alle conseguenti difficoltà, per il genitore e il figlio, di instaurare un rapporto parentale di fatto accanto a quello formalmente costituito con la madre e il marito ovvero all’altra dei figli di diversi genitori che hanno dato vita a una famiglia ricomposta. matrimoniale), indefinito (famiglia more uxorio) o difficilmente definibile (rapporto prettamente occasionale), ossia se mantenere un atteggiamento di tipo paternalistico, fondato sulla regola generale dell’incapacità del minore, o normativo in favore del minore, riconoscendo allo stesso una particolare capacità legale, svincolata dalla potestà parentale e dettata da esigenze di maggiore protezione in ambito familiare, per come già avvenuto nella legislazione speciale2. Come meglio vedremo, man mano è emersa la tendenza a porre, come nucleo centrale, la concezione personalistica degli interessi, dei diritti e dell’agire del minore, considerando l’incapacità di agire di quest’ultimo come fenomeno giuridico ben diverso e distinto dalle altre figure di incapacità, quale quella dell’interdetto giudiziale o legale3. Conseguentemente, si è posta la necessità di rivedere, tanto in termini sostanziali che formali, la posizione giuridica di soggezione del minore alla potestà dei genitori, nel senso di riconoscere almeno a quest’ultimo il diritto di adottare delle scelte autonome e libere, attraverso la manifestazione del consenso ovvero dell’assenso in relazione alle attività poste in essere dai genitori stessi. 2 Cfr. MOSCATI, La tutela dei minori nel diritto privato, tra esigenze di protezione e interesse sostanziale del minore, in Scritti in memoria di Giovanni Cattaneo, III, Milano, 2002, p. 1519 ss., secondo cui, nel tempo, “dalla concezione del minore come individuo soggetto di tutela si è passati sempre più spesso a parlare di interesse del minore, giustificando in base a questa formula gli interventi, inizialmente timidi e poi man mano più risoluti, a favore del minore”. Sulla normativa speciale, si pensi all’art. 1, l. 18 luglio 1986, n. 286, che riconosce al minore, studente di scuola secondaria superiore, la capacità di scegliere autonomamente in merito all’insegnamento della religione. Si veda anche l’art. 108, l. 22 aprile 1941, n. 633, sulla capacità del minore ultra sedicenne di compiere tutti gli atti giuridici nel settore della protezione dei diritti d’autore, relativamente alle opere di sua creazione. 3 Cfr. PALMERI, Diritti senza poteri. La condizione giuridica dei minori, Napoli, 1994, p. 104. Del resto, è bene precisare che la minore età va circoscritta al solo negozio giuridico con contenuto patrimoniale e che, peraltro, il negozio concluso dal minore non è nullo, ma solo annullabile, esclusa l’ipotesi di cui all’art. 1426 c.c., allorché non risponda ai requisiti della necessità o dell’utilità evidente per quest’ultimo soggetto (si parla di efficacia non definitiva dell’atto rimuovibile nell’ipotesi di non rispondenza agli interessi del minore). In definitiva, è prevalso l’orientamento espansivo volto a riconoscere delle situazioni soggettive direttamente ed esclusivamente esercitabili da parte del minore e, come tali, non delegabili ad altri. Della predetta opzione si è recentemente fatto carico il nostro legislatore che ha modificato l’istituto giuridico della filiazione introducendo la l. 17 dicembre 2012, n. 219, concernente disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali4. Con la predetta legge, infatti, si è scelto di tutelare il figlio, in quanto tale, procedendo all’eliminazione della dicotomia esistente tra figli legittimi e naturali5. 4 L. 17 dicembre 2012, in G.U., 17 dicembre 2012, n. 293, con decorrenza parziale dal 1 gennaio 2013. Si esamini anche il testo della Circ. Min. Int. 24 dicembre 2012, n. 33, con la quale sono state dettate regole comportamentali agli Ufficiali dello Stato Civile anche in relazione all’attribuzione del cognome ex art. 262 c.c. secondo cui “la ratio della riforma in esame si rinviene nella volontà del Legislatore di addivenire al superamento, nell'ordinamento nazionale, di ogni ineguaglianza normativa tra figli legittimi e figli naturali, in virtù del principio della unicità dello status di figlio, con conseguenti, significativi riflessi giuridici nella materia dello stato civile”. 5 Cfr. C. M. BIANCA, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, p. 2 ss., secondo cui, con detta legge, è stato introdotto “un nuovo diritto della filiazione rispondente all’esigenza di un più giusto diritto di famiglia”, attraverso l’abolizione dell’antica distinzione tra figli legittimi e figli non legittimi. L’autore fa espresso richiamo, in merito, alle valutazioni di Henrich sulla riforma del diritto tedesco (v. HENRICH, La riforma di filiazione in Germania, in Ann. diritto tedesco a cura di Patti, 1998, p. 33). Tra i contributi più recenti sulla l. n. 219/2012 v. C.M. BIANCA, La riforma del diritto della filiazione, note introduttive, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 437 ss.; VELLETTI, La nuova nozione di parentela, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 441 ss.; S. TROIANO, Le innovazioni alla disciplina del riconoscimento del figlio naturale, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 451 ss.; T. AULETTA, Riconoscimento dei figli incestuosi, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 475 ss.; FREZZA, Gli effetti del riconoscimento, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 493 ss.; BALESTRA, La legittimazione passiva nei procedimenti per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 499 ss.; M. BIANCA, Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 507 ss.; COSTANZA, I diritti dei figli: mantenimento, educazione, istruzione e assistenza morale, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 526 ss.; BALLARINI e SIRENA, Il diritto dei figli di crescere in famiglia e di mantenere rapporti con i parenti nel quadro del superiore interesse del minore, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 534 Tale evoluzione normativa, infine, è stata completata con l’emanazione del d.lgs. 28.12.2013, n. 154, adottato in attuazione dell’art. 2 di tale novella del 20126. I suddetti interventi legislativi, quindi, devono considerarsi punto d’arrivo di un lungo processo di cambiamento finalizzato a perseguire l’unicità di stato tra figli, appunto nell’intento di considerare questi ultimi come soggetti che devono considerarsi parte di una famiglia o, meglio, di più famiglie anche in assenza di un rapporto coniugale che lega, tra loro, i genitori7. ss.; C.M. BIANCA, Il diritto del minore all’ascolto, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 546 ss.; BELLELLI, I doveri del figlio, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 550 ss.; PARADISO, Decadenza della potestà, alimenti e diseredazione nella riforma della filiazione, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 557 ss.; PARADISO, L’abrogazione delle disposizioni in materia di legittimazione dei figli naturali, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 586 ss.; PARADISO, Unicità dello stato di filiazione e unificazione delle denominazioni, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 589 ss.; FERRANDO, La nuova legge sulla filiazione. Profili Sostanziali, in Corr. Giur., 2013, p. 525 ss.; FERRANDO, La nuova legge sulla filiazione. Profili Sostanziali, in Corr. Giur., 2013, p. 525 ss. e B. DE FILIPPIS, La separazione nella famiglia di fatto, Padova, 2014, p. 110 e ss.. In controtendenza, cfr. LENTI, La sedicente riforma della filiazione, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, p. 201 ss., per il quale, in buona sostanza, il legislatore ha perso un’occasione per una vera riforma della filiazione. L’autore, infatti, si spinge nel considerare la legge del 2012 come una “sedicente riforma”, apostrofandola come “riformicchia”, auspicando che, con il d.lgs., di attuazione, “si giunga a constatare l’inadeguatezza della legge n. 219 e, per conseguenza, a stravolgere in radice l’impianto della delega contenuta nell’art. 2, oltre a dare un adeguato riassetto tecnico a molte delle norme degli artt. 1 e 3”. 6 Cfr. d.lgs., 154/2013 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’art. 2, l., 10.12.2012, n. 219, pubblicato nella G.U., 8.1.2014, n. 5, entrato in vigore il 7.2.2014). Il 12 luglio 2013 il Consiglio dei Ministri aveva già approvato, su proposta del Presidente del Consiglio, del Vicepresidente e Ministro dell’Interno e dei Ministri della Giustizia, del Lavoro e delle Politiche Sociali, dell'Integrazione, e del Viceministro con delega alle Pari Opportunità, tale d.lgs. di revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione. Si tratta sostanzialmente del testo predisposto dalla Commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e presieduta dal prof. Cesare Massimo Bianca. 7 In questa direzione v. le riflessioni di RESCIGNO, La tutela dei figli nati fuori dal matrimonio, in Matrimonio e famiglia. Cinquant’anni del diritto italiano, Torino, Tale mutamento di rotta, per la verità, aveva trovato un primo punto d’ancoraggio con l’introduzione della legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, con cui si è cercato di perseguire la parificazione tra figli legittimi e naturali. Adesso, con la novella del 2012, per come arricchita dal d.lgs. n. 154/2013, si è pervenuti a una visione unitaria e sistematica nell’ambito della filiazione. A tale processo, per molto tempo, è sembrato essere di ostacolo l’interpretazione restrittiva dell’art. 29 Cost., secondo cui la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio e, per converso, non riconosce le convivenze di fatto, appunto perché non fondate sul matrimonio8. 2000, p. 277. Cfr. anche DOSI, Figli naturali: con l'unificazione dello stato giuridico una nuova rivoluzione bussa alle porte della famiglia, in Guida al dir., 2012, n. 24, p. 10 ss. 8 Interpretazione restrittiva volta, per di più, a frenare anche il riconoscimento delle convivenze tra persone dello stesso sesso, quantunque con la risoluzione del 16 marzo 2000, il Parlamento Europeo, invece, aveva invitato gli Stati membri dell’Unione Europea a garantire “alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali”. Il predetto invito del Parlamento Europeo veniva raccolto solo da alcuni Stati, tra i quali non vi era l’Italia. Chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale del citato art. 29 Cost., la Corte Costituzionale, con la nota sentenza 166 del 1998, respingeva tale eccezione, statuendo quanto segue: “la convivenza more uxorio rappresenta l’espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza del matrimonio; da ciò deriva che l’estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti”. La Corte Costituzionale precisava, altresì, che “la convivenza è un rapporto di fatto per definizione rifuggente da qualificazioni giuridiche di diritti ed obblighi reciproci”. In altri termini, la Corte considerava giuridicamente inammissibile procedere all’automatica estensione, in favore delle famiglie di fatto, delle norme che disciplinano le coppie sposate, specie in considerazione della “non omogeneità di situazioni” tra i due tipi di unione in questione. Pur trattandosi ovviamente di principi più che opinabili, sta di fatto che un vero e proprio riconoscimento della convivenza, tampoco una parificazione della stessa al matrimonio, non vi è ancora, e ciò quantunque si possano segnalare alcune sentenze su casi singoli (cfr. Cass. 16 settembre 2008, n. 23725, in Mass. Giur. it., Per superare questo presunto o, meglio, apparente ostacolo, in quanto dettato più da spinte di stampo ideologico e religioso, sembra che, con la riforma del 2012, il legislatore abbia scelto di dare assoluto rilievo a un’altra norma di pari rango, ossia all’art. 30 Cost., il quale garantisce il diritto e il dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio, assicurando, al comma 3°, ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. Conseguentemente, con l’introduzione della novella del 2012, si è ritenuto di separare la “questione” figli da quella delle coppie, reputando, che, quantunque la Costituzione, all’art. 30, sembri non volere legittimare l’unione di fatto tra due soggetti, di certo riconosce l’esistenza di una famiglia di tipo legale, avuto riguardo ai rapporti che sorgono tra ciascun genitore e i figli. Il legislatore ha, così, optato per apprestare ogni forma di tutela “giuridica e sociale” a favore di questi ultimi, anche se nati fuori dal matrimonio, e ciò, appunto, a prescindere dall’inciso, contenuto al comma 3° della suddetta norma, sulla compatibilità di tale tutela con i diritti dei membri della famiglia legittima9. 2008, per la quale “il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito concretatosi in un evento mortale va riconosciuto - con riguardo sia al danno morale, sia a quello patrimoniale, che presuppone, peraltro, la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato - anche al convivente "more uxorio" del defunto stesso, quando risulti dimostrata tale relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale”) oppure isolati interventi legislativi, tra i quali è opportuno annoverare la l. 5 aprile 2001, n. 154, con la quale risulta estesa al convivente la tutela dagli abusi familiari, prevedendo, nel disporre l’allontanamento dalla casa familiare del responsabile, che quest’ultimo possa essere condannato al pagamento di un assegno a favore del convivente, allorché, dopo l’allontanamento, rimanga privo di mezzi adeguati. 9 Al riguardo, sorregge tale assunto l’enunciazione contenuta nella l. 25 ottobre 1977, n. 881 (di ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966), laddove, all’art. 24, si sancisce che: “ogni fanciullo, senza discriminazione alcuna fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l’origine nazionale o sociale, la condizione economica o la nascita, ha diritto a quelle Passando all’esame del nuovo testo legislativo, infatti, si nota immediatamente la scomparsa dell’aggettivo “naturale”, precedentemente adottato dalla legge di riforma del diritto di famiglia, per configurare lo stato del figlio nato fuori dal matrimonio e, quindi, per differenziarlo dal figlio legittimo, nato in costanza di matrimonio, forse che quest’ultimo non fosse anch’esso naturale. In realtà, l’uso dell’aggettivo “naturale”, nella sua accezione giuridica, era stato già una grande conquista, ove solo si consideri che la citata definizione si sostituiva alla precedente “etichetta” di figlio illegittimo e con ciò senza trascurare altre accezioni utilizzate, persino di natura infamante, come quella di figlio adulterino e incestuoso. La modifica linguistica, dunque, è stata una grande conquista, essendo sufficiente precisare, al riguardo, la portata concettuale ben diversa che assumeva l’utilizzo di due aggettivi antitetici (legittimo e illegittimo). I figli naturali acquisivano, pertanto, una sorta di status pressoché neutro, rispetto a quello sostanzialmente discriminatorio che si era voluto attribuire in precedenza. La suddetta contrapposizione, peraltro, non era solo terminologica, giacché vi erano notevoli differenze di natura sostanziale. Tanto nel codice civile del 1865 quanto in quello del 1942, nella sua formulazione ante riforma del 1975, lo status di figlio legittimo non poteva minimamente essere accostato, tampoco paragonarsi, a quello di figlio illegittimo. Quantunque il codice civile del 1942 contenesse molte novità e innovazioni avuto riguardo allo status del figlio naturale, rispetto a quanto fosse previsto nel precedente codice civile del 1865, la sola filiazione legittima godeva di ampia tutela, tanto formale quanto sostanziale, nei confronti sia dei genitori, obbligati al mantenimento, all'educazione ed all'istruzione, sia degli ascendenti, anch'essi tenuti al mantenimento e persino da parte dei parenti, i quali erano assoggettati, in alcune ipotesi, all'obbligo alimentare. 10. misure protettive che richiede il suo stato minorile, da parte della sua famiglia, della società e dello Stato”. 10 Cfr. artt. 147, 148 e 433 c.c. nella loro formulazione originaria. È, peraltro, utile precisare che, avuto riguardo ai figli naturali, il legislatore si limitava a un semplice richiamo attraverso l’art. 261 c.c. I figli naturali riconosciuti potevano godere d'identica tutela, ma solo nei riguardi del genitore che aveva effettuato il riconoscimento; invece, ai figli non riconosciuti o non riconoscibili era attribuita una Pertanto, nei suddetti codici, adottati sulla falsariga di quello napoleonico, la filiazione legittima era nettamente contrapposta a quella illegittima. La famiglia fondata sul matrimonio, dunque, era considerata l’unico modello giuridicamente e legalmente possibile in cui la filiazione poteva trovare piena dignità e ampia protezione. In buona sostanza, il legislatore reputava legittima e lecita la filiazione solo se originata da genitori uniti in matrimonio, che, d’altronde, all'epoca, era indissolubile. Per converso, i nati da unioni di fatto o da rapporti occasionali, specie se in conflitto col vincolo protezione limitata, potendo essi ricevere dal genitore solo un sussidio di natura alimentare (cfr. art. 279 c.c., nel testo ante d.lgs. n. 154/2013). Si aggiungano le significative differenze in materia successoria. Il figlio naturale aveva diritto a una porzione della quota riservata di patrimonio del defunto genitore, pari alla metà di quella attribuita al figlio legittimo e con il limite di un terzo del patrimonio da garantire comunque a quest’ultimo (cfr. art. 574 c.c. nel testo ante riforma). Si vedano anche gli artt. 575 e 576 c.c., norme queste tutte abrogate dall’art. 187, l. 19 maggio 1975, n. 151.E, in dettaglio, ai figli non riconosciuti e non riconoscibili, dunque ai figli incestuosi e adulterini, salvi i casi previsti rispettivamente dagli artt. 251 e 252 c.c., nel testo previgente, era invece attribuito unicamente un assegno vitalizio di natura alimentare, il cui ammontare era determinato avuto riguardo alle sostanze ereditarie e al numero e alla qualità degli eredi (cfr. il testo del previgente art. 580 c.c.). Si noti, infatti, che, allora, i figli adulterini - ossia quelli concepiti da un genitore mentre era legato da rapporto coniugale con persona diversa dall’altro genitore – non potevano addirittura essere riconosciuti dal primo, a eccezione dell’ipotesi scioglimento del matrimonio per la morte dell’altro coniuge. Si esaminino anche gli artt. 592, 599 e 738 c.c. in tema di collazione ereditaria. Si pensi poi alla successione per rappresentazione, condizionata dalla legittimità di filiazione e limitata dall’art. 468 c.c. ai soli discendenti dei figli naturali (cfr. il testo ante riforma). Si consideri, inoltre, che i figli naturali, in ipotesi di filiazione giudizialmente dichiarata e riconosciuta, non potevano ricevere, per testamento, più di quanto avrebbero potuto conseguire qualora la successione fosse stata devoluta secondo legge: cfr. art. 592, comma 1°, c.c. (con ovvia e conseguente limitazione dell’autonomia testamentaria il de cuius, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto agevolare i propri figli naturali, facendo conseguire agli stessi una maggiore quota di eredità). Per non trascurare la posizione più gravosa per i figli solo riconoscibili, di cui al comma 2° dell’art. 592 c.c., e di quelli non riconoscibili ai sensi dell’art. 593 c.c. Sulle modifiche apportate alle suddette norme dalla novella del 2012 e, in particolare, dal d.lgs. n. 154/2013 si vedano i successivi paragrafi. matrimoniale, subivano un trattamento secondario, se non per relationem, e improntato per gran parte alla sommarietà. Il legislatore, dunque, aveva concentrato la sfera protettiva sul solo nucleo legittimo, mentre si era limitato a disciplinare, con atteggiamento incidentale, la relazione individuale tra genitore e figlio, ove riconosciuto dal primo, e ciò anche nel non celato fine di evitare che si potesse profilare, come ammissibile, una struttura familiare parallela o, più correttamente, contrapposta a quella legittima. Naturalmente, la tutela del nucleo familiare legittimo, che come si è detto costituiva l’obiettivo primario per il nostro codice civile, determinava una seria penalizzazione delle posizioni individuali con esso confliggenti, e in modo particolare quella relativa ai figli adulterini. In buona sostanza, era stata costruita una trincea attorno alla famiglia “legittima” (rectius: fondata sul matrimonio), con il chiaro intento di impedire che i rapporti di filiazione fuori dal matrimonio, ancorché oggetto di riconoscimento spontaneo o giudiziale, potessero conseguire una diversa rilevanza al di fuori di quella prettamente alimentare. Tale sfavore era, per come già accennato, incrementato e notevolmente rafforzato da una forte pressione di stampo conservatrice e ideologica, che mirava a impedire ogni forma di riconoscimento delle unioni realizzatesi al di fuori del matrimonio. Secondo questa opinione tradizionale, al di fuori della famiglia legittima, vi era il disordine, non solo dal punto di vista strettamente giuridico, ma anche sul piano etico e sociale. Alla distorsione di sistema, tuttavia, neanche la famiglia matrimoniale sfuggiva, perché detta costruzione rigida perveniva a conseguenze opposte, laddove, con la c.d. presunzione di paternità, era agevolato l’acquisto e lo status di figlio legittimo anche in contrapposizione alla verità biologica della procreazione. Il superamento di detta contrapposizione tra figli legittimi e illegittimi, prima, e tra figli legittimi e naturali, poi, è risultato, tuttavia, molto lento e, per come si è detto, è stato notevolmente favorito dall’entrata in vigore della Carta Costituzionale, che, all'art. 30, ha sancito il dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Altro momento cruciale di cambiamento di rotta si è avuto, per come anticipato, grazie alla riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha disposto la parificazione tra le due categorie di figli e l'abolizione di quei divieti che, di fatto, impedivano l'accertamento della verità biologica e proteggevano, anche contro l'evidenza, il nucleo legittimo11. In sintesi, con la suddetta normativa, indipendentemente dalla natura della filiazione, il figlio riconosciuto riceveva piena tutela giuridica nei confronti del genitore; si determinava l’omogeneità del rapporto di filiazione e ciò a prescindere dal fatto che la procreazione fosse avvenuta o meno in costanza di matrimonio. Tale processo, finalizzato a eliminare ogni differenza tra figli legittimi e naturali, veniva ulteriormente confermato dal legislatore del 2006, che, nel sancire il principio della bigenitorialità e nel dettare le norme in tema di affidamento condiviso, unificava le regole sostanziali applicabili, che sono divenute identiche anche per i procedimenti relativi a figli di genitori non coniugati12. 11 Infatti, la parità è stata stabilita sia nell'ambito dei rapporti personali - si veda il chiaro tenore dell’art. 261 c.c. - sia successori - si vedano gli artt. 468, 536 e 537 c.c. nel testo previgente. Inoltre, si vedano le norme che hanno rimosso il divieto dell'accertamento giudiziale nei riguardi dei figli adulterini e - a seguito di un successivo intervento della Corte Costituzionale - di quelli nati da genitori legati da vincoli di parentela in linea retta e in linea collaterale nel secondo grado ovvero di affinità in linea retta, e quelle che hanno fissato i principi della libertà della prova (cfr. art. 269 c.c. nel testo previgente) e dell'imprescrittibilità dell'azione (cfr. art. 270 c.c. nel testo previgente), consentendo al figlio “naturale” di poter conseguire agevolmente l'accertamento del proprio status giuridico. Sulle modifiche apportate alle suddette norme dalla novella del 2012 e, in particolare, dal d.lgs. n. 154/2013 si vedano i successivi paragrafi. 12 Cfr. art. 4, comma 2°, l. 8 febbraio 2006, n. 54. In questa direzione v. Cass. 10 maggio 2011, n. 10265, in Nuova. giur. civ. comm., 2011, I, con nota di Sesta, L’esercizio della potestà sui figli naturali dopo la l. n. 54/2006: quale sorte per l’art. 317 bis cod. civ.?, p. 1203 ss., secondo cui la disciplina dettata dalla suddetta legge si fonda sulla volontà del legislatore di attribuire maggiore centralità all’interesse della prole rispetto alle conseguenze della disgregazione del rapporto di coppia dei genitori e, correlativamente, si propone di assegnare una più intensa e comune attribuzione di responsabilità ad entrambi i genitori nell’educazione e nella cura della prole. La predetta interpretazione aveva sostanzialmente consentito di ritenere l’abrogazione implicita dell’art. 155, comma 2°, seconda parte, c.c. (nel testo previgente) e dell’art. 317-bis c.c. (nel testo previgente), ritenendo tale effetto più adatto a garantire l’esplicazione del principio di bigenitorialità anche nel caso di filiazione extraconiugale, in modo da evitare disparità di trattamento tra figli legittimi e non legittimi e da svincolare l’attribuzione della potestà genitoriale ad entrambi i genitori Questa scelta legislativa ha determinato anche l’attenuazione del gap giuridico esistente tra la famiglia “naturale” o “di fatto”, che dir si voglia, e quella matrimoniale, riguardo ai rapporti di filiazione, rispetto ai quali il matrimonio sembra che abbia, sostanzialmente, perduto quell’assoluta supremazia che lo aveva sino ad allora caratterizzato13. Restava, tuttavia, un profilo di maggiore differenziazione tra filiazione legittima e naturale, ossia quello che riguardava i rapporti di parentela, quantunque le novità introdotte, con la riforma del 1975, avevano almeno determinato una seria riflessione sul tema14. dalla sussistenza o meno della convivenza tra loro. Sulle significative modifiche apportate alle suddette norme dalla novella del 2012 e, in particolare, dal d.lgs. n. 154/2013 si vedano i successivi paragrafi. 13 Alla perdita di supremazia, peraltro, va aggiunta anche una sensibile apertura giurisprudenziale verso il tema delle unioni di fatto, anche di natura omosessuale, in relazione al rapporto con i figli. Si veda, infatti, in tema di affidamento di figlio nato fuori dal matrimonio, per una recente e assai discussa sentenza della Suprema Corte secondo la quale “disposto dal tribunale dei minorenni, l’affidamento del figlio nato fuori dal matrimonio, in via esclusiva, alla madre legata da stabile relazione omosessuale con altra donna, è onere del padre – che solleciti un affidamento condiviso e la verifica dell’idoneità dell’ambito familiare della madre - dare la prova delle ripercussioni negative, sul piano educativo e della crescita del bambino, dell’ambiente familiare della madre” (cfr. Cass., 11 gennaio 2013, n. 601, in Guida al dir., 2013, p. 16 ss.). 14 Il tenore letterale dell’art. 74 c.c., nel testo previgente, menzionava, infatti, solo la comune discendenza senza ulteriori specificazioni. Per la verità, si erano individuate delle disposizioni in cui assumeva rilevanza il rapporto tra il figlio naturale ed i parenti del genitore: v. l’art. 148 c.c. nel testo previgente, che stabiliva il dovere degli ascendenti legittimi o naturali di fornire, in ordine di prossimità, ai genitori privi di mezzi sufficienti quanto necessario affinché questi possano, a loro volta, adempiere ai loro doveri nei confronti dei figli (cfr. adesso, art. 316-bis c.c., comma 1°); si veda, altresì, il comma 1° dell’art. 155 c.c. nel testo previgente, introdotto dalla citata l. 8 febbraio 2006, n. 54, che trovando applicazione anche alla filiazione naturale, stabiliva che, anche in caso di separazione personale dei genitori, il minore ha diritto a mantenere rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale; cfr., ancora, il previgente art. 433, nn. 2 e 3, c.c., il quale parificava i discendenti e gli ascendenti naturali ai legittimi in ordine agli alimenti; si veda, infine, il previgente art. 467 c.c., che riconosceva ai figli naturali il diritto di succedere per rappresentazione in luogo del proprio ascendente che non volesse o non potesse Anche al fine di superare l’impasse normativo, per come accennato in precedenza, è stata introdotta la legge n. 219/2012, licenziata dopo un laborioso iter parlamentare, ma non eccessivamente lungo, essendosi concluso per intero durante la XVI legislatura, circostanza questa senz’altro degna di nota, ove si consideri che, di norma, si assiste a tempi di gran lunga maggiori, se non biblici, per l’approvazione di riforme legislative di tale portata e spessore15. Tale impulso, per la verità, era stato determinato anche dalla necessità di allinearsi ai principi sanciti a livello internazionale e, in particolare, dal forte impulso che perveniva dalla portata degli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali16. accettare l'eredità. Anche le suddette norme risultano modificate dalla novella del 2012 e, in particolare, dal d.lgs. n. 154/2013 (si vedano i successivi paragrafi). 15 Tale processo ha avuto inizio in data 16 marzo 2007, con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri di un disegno di legge delega in materia di filiazione, finalizzato a equiparare la filiazione naturale, dunque i figli nati fuori dal matrimonio o da matrimonio c.d. putativo, a quella legittima, in base al dettato di cui all’art. 30 Cost. (cfr. Lavori Parlamentari Camera dei Deputati, atto n. 2519, esaminato in aula il 28 e il 29 giugno 2011, con approvazione del 30 giugno 2011 in un testo unificato con gli atti n. 3184, n. 3247, n. 3516, n. 3915, n. 4007 e n. 4054; Senato della Repubblica, atto n. 2805, esaminato l’8 e il 15 maggio 2012 e approvato con modificazioni il 16 maggio 2012; Camera dei Deputati, atti n. 2519, n. 3184, n. 3247, n. 3516, n. 3915, n. 4007 e n. 4054, esaminato il 26 novembre 2012 e approvato il 27 novembre 2012. 16 Cfr. Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, 04 novembre 1950. Il testo della Convenzione è presentato così come modificato dalle disposizioni del Protocollo n. 14 (STCE n. 194) a partire dalla sua entrata in vigore il 10 giugno 2010. Il testo della Convenzione era stato precedentemente modificato conformemente alle disposizioni del Protocollo n. 3 (STE n. 45), entrato in vigore il 21 settembre 1970, del Protocollo n. 5 (STE n. 55), entrato in vigore il 20.12.1971 e del Protocollo n. 8 (STE n. 118), entrato in vigore il 10 gennaio 1990. Esso comprendeva inoltre il testo del Protocollo n. 2 (STE n. 44) che, conformemente al suo articolo 5, paragrafo 3, era divenuto parte integrante della Convenzione dal 21 settembre 1970, data della sua entrata in vigore. Tutte le disposizioni che erano state modificate o aggiunte dai suddetti Protocolli sono state sostituite dal Protocollo n. 11 (STE n. 155) a partire dalla data della sua entrata in vigore, il 10 novembre 1998. Inoltre, a partire da questa stessa data, il Protocollo n. 9 (STE n. 140), entrato in vigore il 10 ottobre 1994, era stato abrogato e il Protocollo n. 10 (STE n. 146) era divenuto senza oggetto. Lo stato attuale delle firme e ratifiche della Convenzione e Questo percorso normativo evolutivo e innovativo, per come anzidetto, è stato, in seguito, completato e arricchito dal legislatore con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 154/201317. Con tale ultimo provvedimento, in particolare, il legislatore ha cercato di modellare, integrare e sostituire l’assetto e il sistema normativo con la chiara finalità di risolvere positivamente tutte quelle questioni e disparità (non solo terminologiche) lasciate irrisolte ancorché paventate dalla legge del 2012. dei suoi Protocolli nonché la lista completa delle dichiarazioni e riserve sono disponibili sul sito Internet www.conventions.coe.int. Fanno fede unicamente le versioni inglese e francese della Convenzione. L’art. 8, Diritto al rispetto della vita privata e familiare, così recita “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”. L’art. 14, Divieto di discriminazione, così dispone: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato, senza distinzione di alcuna specie, come di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza a una minoranza nazionale di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. Al riguardo, è utile richiamare una pronuncia della Corte di Strasburgo (cfr. Corte giust. CEE, 21 giugno1988, Berrebab contro Paesi Bassi, in www.echr.coe.int), secondo cui “è il fatto stesso della nascita a far sorgere un legame tra genitori e il minore”. Si veda anche altra decisione della Corte giust. CEE dei diritti dell’uomo, emessa in data 27 ottobre 1994, Kroon contro Olanda, in www.echr.coe.int, sul diritto del minore a conoscere la verità biologica in tema di filiazione. 17 Tale intervento normativo, adesso entrato in vigore, si compone di quattro titoli, nello specifico: il Titolo I, recante modifiche al codice civile in materia di filiazione (artt. da 1 a 92); il Titolo II inerente con modifiche ai codici penale, di procedura penale e di procedura civile in materia di filiazione (artt. da 93 a 95); il Titolo III (artt. da 96 a 103), concernente le modifiche alle leggi speciali in materia di filiazione (R.D. 30.3.1942, n. 318; l. 21.11.1967, n. 1185; l. 1.12.1970, n. 898, l. 22.5.1978, n. 194, l. 4.5.1983, n. 184; l. 31.5.1995, n. 218; l. 19.2.2004, n. 40 e d.lgs. 3.2.2011, n.71) e il Titolo IV (artt. da 104 a 108) recante disposizioni transitorie e finali. Dopo avere disposto una rimozione puntuale e dettagliata delle predette locuzioni “linguistiche” discriminatorie, ancora contenute in seno a numerosi articoli dei codici civile, penale, di procedura civile e di procedura penale, ha, infatti, introdotto una puntuale norma di chiusura (art. 105), con la quale, nel chiaro intento di rimuovere ogni possibile ulteriore diseguaglianza, ha stabilito la sostituzione in tutta la legislazione vigente delle parole (ovunque presenti) “figli legittimi” e “figlio legittimo” rispettivamente con “figli nati nel matrimonio” e “figlio nato nel matrimonio”, delle parole “figli naturali”, “figlio naturale”, “figli adulterini” o “figlio adulterino” rispettivamente con “figli nati fuori del matrimonio” e “figlio nato fuori del matrimonio” nonché la soppressione delle parole “figli legittimati”, “figlio legittimato”, “legittimato” e “legittimati”18. 18 Si precisa che l’art. 105 ha anche disposto la sostituzione in tutta la legislazione vigente delle parole (ovunque presenti) “potestà genitoriale” con “responsabilità genitoriale” (su questa nuova figura v. infra § 3). Tale decreto attuativo ha, inoltre, previsto delle disposizioni transitorie in modo piuttosto articolato e preciso, quantunque a una prima lettura possa apparire farraginoso e contorto Su tali disposizioni transitorie si esami l’art. 104, che così testualmente dispone: “1. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, sono legittimati a proporre azioni di petizione di eredità, ai sensi dell'articolo 533 del codice civile, coloro che, in applicazione dell'articolo 74 dello stesso codice, come modificato dalla medesima legge, hanno titolo a chiedere il riconoscimento della qualità di erede. 2. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, possono essere fatti valere i diritti successori che discendono dall'articolo 74 del codice civile, come modificato dalla medesima legge. 3. Le disposizioni di cui al comma 1 e al comma 2 si applicano anche nei confronti dei discendenti del figlio, riconosciuto o la cui paternità o maternità sia stata giudizialmente accertata, morto prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219. 4. I diritti successori che discendono dall'articolo 74 del codice civile, come modificato dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, sulle eredità aperte anteriormente al termine della sua entrata in vigore si prescrivono a far data da suddetto termine. 5. Nei casi in cui i riconoscimenti o le dichiarazioni giudiziali di genitorialità intervengano dopo il termine di entrata in vigore della presente legge, i diritti successori che non sarebbero spettati a persona deceduta prima di tale termine possono essere fatti valere dai suoi discendenti in rappresentazione e dai suoi eredi. Essi si prescrivono a far data dall'annotazione del riconoscimento nell'atto di nascita o dal passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa della paternità o maternità.6. Fermi gli effetti del giudicato formatosi Di certo, ci troviamo di fronte uno scenario qualificabile come una grande conquista giuridica e normativa, avendo il legislatore quasi se non del tutto completato il percorso possibile verso un assetto oramai unitario della filiazione, rimasto incompiuto per quasi quarant’anni. 2. La parentela. Il figlio riconosciuto, grazie alla novella del 2012, viene chiamato ad essere parte della famiglia di ciascun genitore, nel senso che, per questo solo status, diventa automaticamente un componente di tali nuclei anche in assenza di un rapporto che lega, tra loro, i due genitori, qualunque sia la tipologia di prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, nei giudizi promossi ai sensi dell'articolo 533 del codice civile, pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, si applicano l'articolo 74 del codice civile, come modificato dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, e le disposizioni del libro secondo del codice civile, come modificate dal presente decreto legislativo. 7. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, le disposizioni del codice civile, come modificate dal presente decreto legislativo, si applicano alle azioni di disconoscimento di paternità, di reclamo e di contestazione dello stato di figlio, relative ai figli nati prima dell'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo.8. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, le disposizioni del codice civile relative al riconoscimento dei figli, come modificate dalla medesima legge, si applicano anche ai figli nati o concepiti anteriormente all'entrata in vigore della stessa. 9. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, i termini per proporre l'azione di disconoscimento di paternità, previsti dal quarto comma dell'articolo 244 del codice civile, decorrono dal giorno dell'entrata in vigore del presente decreto legislativo. 10. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, nel caso di riconoscimento di figlio annotato sull'atto di nascita prima dell'entrata in vigore del presente decreto legislativo, i termini per proporre l'azione di impugnazione, previsti dall'articolo 263 e dai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 267 del codice civile, decorrono dal giorno dell'entrata in vigore del medesimo decreto legislativo. 11. Restano validi e non possono essere modificati gli atti dello stato civile già formati secondo le disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, salve le modifiche risultanti da provvedimenti giudiziari”. filiazione: ne discende, conseguentemente, un rapporto unico e unitario tra figlio e ciascun genitore e tra il primo e la parentela di quest’ultimo. Con la riforma, scompare, per i figli, l’idea della famiglia basata sul matrimonio, dovendo ritenersi fondata sull’affectio familiaris. L’art. 74 c.c., nella nuova formulazione, definisce, infatti, la parentela, nel segno del predetto principio affermatosi di unitarietà della filiazione, come il “vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo”, escludendo l’insorgenza di detto vincolo solo nell’ipotesi di adozione di persone maggiorenni d’età di cui agli artt. 291 ss. c.c.19. Quest’ultima limitazione, in termini di esclusione, sembra condivisibile sul piano squisitamente ontologico e coerente dal punto di vista ordinamentale, poiché il maggiorenne, una volta adottato, diviene titolare di uno status aggiuntivo che non sostituisce ma che si affianca a quello già esistente tra quest’ultimo e i suoi effettivi genitori. Il novellato art. 74 c.c. segna, in particolare, una svolta epocale avuto riguardo al riconoscimento giuridico della parentela in linea collaterale, consentendo di potere finalmente considerare, tra loro, fratelli i figli di genitori ancorché non legati da vincolo coniugale. A questa disposizione, infatti, si allaccia, inoltre, quella che modifica il testo dell’art. 258 c.c., in base al quale “il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso”. Tali disposizioni rendono effettiva la parentela che, sino alla novella del 2012, era sostanzialmente solo “accennata” dal legislatore, tra i nonni e i figli naturali dei loro figli, in tema di successione legittima e necessaria in linea retta discendente. Ne consegue che, in forza delle citate disposizioni, il figlio, una volta conseguito tale status per effetto del riconoscimento, diventa 19 Cfr. art. 74 c.c., nella precedente formulazione: “La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite”. Sul tema, v. VELLETTI, La nuova nozione di parentela, cit., p. 441 ss. Secondo l’A., la legge n. 219/2012 “ha rimosso una delle più odiose discriminazioni che prima della sua entrata in vigore colpivano i figli nati da genitori non coniugati”. Quest’ultima conclude sostenendo, in modo del tutto condivisibile, che “il nuovo art. 74 c.c. costituisce il punto di arrivo di un lungo cammino verso il superamento di ogni discriminazione tra figli, e costituisce uno dei punti maggiormente qualificanti e condivisibili della riforma del 2012”. parente delle persone che discendono dallo stipite di ciascun genitore: il figlio, come si è visto, adesso viene a trovarsi di diritto inserito in due famiglie, quella paterna e quella materna, anche se tra loro non comunicanti. La parentela, pertanto, sussiste, non solo dal punto di vista dinamico relazionale e squisitamente affettivo, ma, anche e soprattutto, sul piano giuridico formale, tra genitori e figli, tra fratelli, tra figlio e ascendenti del genitore, tra figlio e fratelli del genitore e tra figlio e cugini (figli dei fratelli del genitore), a prescindere dal fatto che si verte in tema di figli nati dentro o fuori dal matrimonio. A sommesso avviso di chi scrive, e per come si è anticipato, si può rispondere positivamente all'interrogativo sulla coerenza di questo nuovo assetto rispetto a quanto enunciato dal predetto art. 29, comma 1°, Cost., che pone il matrimonio quale elemento costitutivo della famiglia, e ultimo comma dell’art. 30 Cost. Si può sostenere, in particolare, che l’art. 2 Cost. viene in soccorso a tale considerazione, poiché, con riguardo ai figli, la famiglia di cui, con il suddetto intervento legislativo, questi ultimi sono chiamati a essere componenti, rispetto a loro, non è più qualificabile come “di fatto” bensì come “di diritto”. Pertanto, in virtù delle disposizioni in esame, il matrimonio non si configura più quale necessario presupposto per dar vita a relazioni familiari legalmente riconosciute, le quali, infatti, sorgono oramai indipendentemente dalla sussistenza di tale vincolo coniugale, permanendo come indispensabile presupposto necessario il solo riconoscimento, per come regolato e disciplinato dall’art. 250 c.c. ovvero la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità ai sensi dell’art. 269 c.c.: semmai, il vincolo matrimoniale, ora, continua a dispiegare effetti esclusivamente con riguardo al rapporto tra coniugi, non potendo più influire sui rapporti giuridici della loro discendenza20. L'intervento del legislatore del 2012 ha, dunque, reso possibile il diretto inserimento del figlio, nato fuori dal matrimonio, nel gruppo familiare del proprio genitore, avendo, infatti, previsto il sorgere del vincolo di 20 È utile sottolineare, sin d’ora, che, con l’art. 30, d.lgs., n. 154/2013, il legislatore è intervenuto correttamente, modificando l’art. 269 c.c., con la soppressione della parola “naturale” ovunque presente in questa norma. parentela che, inequivocabilmente, sancisce l'appartenenza del primo alla famiglia del secondo. In definitiva, può sintetizzarsi precisando che, per effetto della nuova legge, nessun rilievo è più chiamato ad assumere l’esistenza o meno di un vincolo coniugale dal quale discende la filiazione, avendo lasciato il campo ad un nuovo assetto legale della famiglia, fondato sic et simpliciter sui legami di consanguineità. Il predetto assunto trova conferma per effetto della recente adozione del d.lgs. n. 154/2013. Con l’art. 42, che ha sostituito l’art. 317-bis c.c. (rubricato “Rapporti con gli ascendenti”), il legislatore prevede, infatti, che gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. E, ancora, con l’art. 2 (che ha così modificato l’art. 128, comma 2°, c.c.), stabilisce che “Il matrimonio dichiarato nullo ha gli effetti del matrimonio valido per i figli”, mentre, con l’art. 23 (che ha modificato l’art. 252 c.c., peraltro intitolando la rubrica “Affidamento del figlio nato fuori dal matrimonio e suo inserimento nella famiglia del genitore”), ha introdotto, con il comma 4°, il possibile ricorso al giudice in caso di disaccordo tra i genitori ovvero in caso di mancato consenso degli altri figli conviventi 21. 3. Lo stato giuridico di figlio. La visione unitaria della filiazione trova, tuttavia, maggiore consacrazione nel novellato art. 315 c.c., il quale stabilisce che tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, e nel nuovo art. 315 bis c.c., laddove compare una sorta di statuto dei diritti del figlio. Quest’ultima norma sancisce, infatti, la reciprocità dei diritti e doveri tra genitori e figli, superando la semplice enunciazione dei doveri di natura economica dei figli verso i genitori per come contemplata dall’art. 315 c.c. nel testo previgente. 21 Cfr. ancora gli artt. 39, 40 e 41, d.lgs. n. 154/2013 (dei quali si dirà appresso). Si vedano pure l’art. 55 che ha introdotto gli artt. 337-bis, 337-ter, 337-quater, 337quinquies, 337-sexies, 337-septies e 337-octies, prevendendone l’ambito d’applicazione non solo in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, ma anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio (v. infra § 3). Il legislatore ha, in altri termini, dato vita alla costruzione giuridica o, comunque, al riconoscimento normativo con portata generale del rapporto paritario tra genitore e figlio, stabilendone, infatti, una sorta di reciprocità e un forte interscambio, così distanziandosi anni luce dalla concezione romanistica della famiglia a struttura piramidale e monocratica, con a capo il pater familias22. Il valore essenziale, che è alla base dell’art. 315-bis c.c., ma che sembra pervadere tutta la legge n. 219/2012 e il successivo d.lgs. n. 154/2013, è quello del diritto del figlio all’assistenza morale da parte dei genitori23. Pare, a sommesso avviso di chi scrive, che il legislatore abbia voluto ergersi a tutore del figlio, riconoscendo, più o meno celatamente, valenza giuridica a obblighi genitoriali non prettamente di tale natura giuridica. In altri termini, con la norma in esame, sono stati riconosciuti, più che una serie di obblighi e doveri a carico dei genitori verso i figli, i diritti di questi ultimi nei confronti dei primi e non solo a carattere prettamente o eminentemente patrimoniale24. Al diritto dei figli ad essere mantenuti, educati e istruiti dai genitori, conseguentemente, se ne affiancano degli altri, anche e soprattutto, di natura 22 Cfr. S. TROIANO, Le innovazioni alla disciplina del riconoscimento del figlio naturale, cit., p. 452. Del tutto condivisibile è la tesi dell’autore, laddove precisa che, con la nuova formulazione dell’art. 315 c.c., “al di là dell’aspetto nominale, muta dunque la natura sostanziale dell’istituto del riconoscimento, il quale non vale più come atto volto all’accertamento pubblico di uno specifico stato giuridico di filiazione, quello di figlio nato fuori dal matrimonio, bensì ha valore direttamente come accertamento dell’unico e omnicomprensivo stato di figlio”. 23 Obbligo di assistenza morale che, peraltro, era stata già introdotta, con riferimento ai figli di genitori separati, dall’art. 155 c.c. a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 54/2006. 24 È, quindi, cambiato l’angolo di visuale o di prospettiva della questione: volendo sbilanciarsi su un termine di paragone, si potrebbe fare riferimento a quanto avvenuto nel passato, in questo caso da parte della giurisprudenza, in tema di interpretazione dell’art. 2043 c.c., nella misura in cui, a decorrere dalla celebre sentenza sul caso “Meroni”, non è stato più considerato come una norma che sanzionava, con l’obbligo risarcitorio, la condotta del danneggiante, bensì come una disposizione posta a tutela del danneggiato, in quanto, appunto, finalizzata a “compensare”, in forma specifica o in equivalente monetario, il danno conseguenza, patito da quest’ultimo, e scaturito dall’evento lesivo cagionato da un fatto illecito altrui. areddituale, ossia quelli ad essere considerati, rispettati, ascoltati e compresi da chi li ha messi al mondo. Per effetto della novella del 2012 e degli interventi correttivi e attuativi apportati dal d.lgs. del 2013, tali diritti, incluso quello a crescere nella propria famiglia ed a mantenere rapporti significativi con i parenti di ciascun genitore, adesso hanno trovato una collocazione sistematica e unitaria. Pertanto, si potrebbe, arditamente, affermare che, quantunque non sia stata utilizzata esplicitamente l’espressione “amore”, si è, comunque, concretizzato, attraverso il ricorso al dovere di assistenza morale, il riconoscimento giuridico dei figli, seppure indiretto, ad essere amati dai genitori e a ricevere affetto da parte di questi ultimi, quantomeno in termini di dialogo e di ascolto25. In buona sostanza, i genitori sono chiamati o, meglio, obbligati a fare crescere il figlio dall’infanzia sino a consentirgli di divenire adulto, mantenendo un duraturo comportamento di comunicazione emotiva ed affettiva, improntato al dialogo e all’ascolto, così consentendogli di riconoscere, valutare, affrontare e risolvere tutti i problemi che, nel corso di tale processo di crescita, andrà incontrando. Al suddetto valore dell’assistenza morale, di cui all’art. 315-bis c.c., così pervenendo a una sorta di equiparazione personale e patrimoniale tra genitori e figli si affianca, per come anticipato, e non solo come deterrente, il principio di responsabilità genitoriale, che, da ultimo, ha trovato consacrazione con il d.lgs. n. 154/2013, attraverso la nuova formulazione dell’art. 316 c.c., rubricato “Responsabilità genitoriale”. 25 Se si volesse effettuare un paragone con la religione cristiana, è come se ai dieci comandamenti ne fosse stato inserito un altro, denominato quattro bis, nel senso di riconoscere pari obbligo per i genitori di onorare i propri figli. È utile aggiungere che, peraltro, in una prima versione della norma in esame, era stata espressamente inserita la dizione “amore” (poi eliminata, essendo prevalsa la scelta di utilizzare, nella norma, solamente la locuzione “assistenza”). Probabilmente, è mancata quella dose di coraggio al legislatore, che si auspica abbia, in futuro, la giurisprudenza nell’interpretare la norma per disciplinare il caso concreto, dando rilievo giuridico a imprescindibili obblighi genitoriali non prettamente di natura patrimoniale. Tale dizione normativa ha, infatti, sostituito definitivamente e integralmente quella di “potestà genitoriale”, esprimendo quest’ultima, al meglio, il significato della funzione che compete ai genitori26. Le predette norme costituiscono, il presupposto per configurare la lesione dei fondamentali diritti della persona inerenti la qualità di figlio, nel senso che consentono a quest’ultimo di agire per ottenere il riconoscimento giudiziale della responsabilità di ciascun genitore derivante dalla volontaria, grave e reiterata sottrazione agli obblighi tutti derivanti dal rapporto di filiazione, in quanto tale, e dalla connessa (e normativamente strutturata) responsabilità genitoriale, a prescindere dal fatto che la procreazione sia avvenuta in costanza di matrimonio o di unione stabile di fatto ovvero da rapporto meramente occasionale. Gli artt. 315 bis e 316 c.c., infatti, potrebbero rafforzare la costruzione giurisprudenziale del c.d. illecito “endofamiliare”, in base al quale la 26 Sul punto, il suddetto d.lgs., n. 154/2013 ha formalizzato puntualmente tale passaggio (cfr., nel dettaglio, gli artt. 6, 32, 37, 41, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51, 54, 56, 57, 58, 59, 62, 63, 66 e 92, che hanno rispettivamente modificato gli artt.165, 273, 297, 317, 318, 320, 321, 322, 323, 324, 327, 330, 332, 337, 343, 348, 350, 356, 402, 417, 448-bis e 2941 c.c.), peraltro sostituendo, con l’art. 7, la rubrica del titolo IX del libro primo del codice civile con la seguente “Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio”. Si esamini, in particolare, il vigente testo dell’art. 316 c.c., denominato “Responsabilità genitoriale” (introdotto dall’art. 39 del citato decreto), che così testualmente recita: “Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore (primo comma). In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei (secondo comma). Il giudice, sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio (terzo comma). Il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori dal matrimonio, è fatto dai genitori, l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi (quarto comma). Il genitore che non esercita la responsabilità genitoriale vigila sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del figlio (quinto comma)”. violazione dei doveri genitoriali, quantunque non espressamente sanzionati da misure tipiche previste dal diritto di famiglia, possono integrare gli estremi dell’illecito civile, dando luogo ad un’autonoma azione volta a conseguire il risarcimento dei danni non patrimoniali di cui all’art. 2059 c.c.27. Alla responsabilità dei genitori, diretta o indiretta che sia, per il fatto illecito commesso dai figli minori, per c.d. culpa in vigilando e per culpa in educando, di cui all’art. 2048 c.c., pertanto, il legislatore affianca quella dei genitori verso i figli stessi. La introduzione della “responsabilità genitoriale” dei genitori verso i figli, infatti, adesso trova maggiore specificazione attraverso i predetti artt. 315 bis e 316 c.c. e, pertanto, sembra riempire di contenuti specifici la responsabilità ex art. 2048 c.c. dei primi per i danni arrecati alle vittime per fatto illecito commesso dai secondi 28. 27 cfr. Cass. 10 aprile 2012, n. 5652, in La Resp. civ., 2012, p. 468). Per un approfondimento sulla questione, sia consentito rinviare, in questo volume, a MORMILE, cap. X, Gli illeciti endofamiliari. 28 Al riguardo, infatti, adesso potrebbero trovare maggiore vigore, attualità e conferma sistematica i principi espressi dal Suprema Corte in tema di responsabilità genitoriale per il fatto commesso da un figlio “grande minore”, con la sentenza, 28 agosto 2009, n. 28804, secondo cui “vero è poi che il minore era vicino ai (omissis) anni, ma ciò non esclude che il suo comportamento abbia manifestato un fallimento educativo, quanto alla capacità di frenare i propri istinti o di incanalarli in modalità espressive meno gravi e violente: reazioni che peraltro sembrano avere tratto origine proprio da comportamenti dei genitori, ed in particolare del padre, che - unitamente all'atteggiarsi del contesto sociale in cui la famiglia si trovava a vivere - hanno probabilmente ferito la sensibilità del minore nelle sue corde più profonde e meno controllabili. La Corte di appello ha giustamente rilevato che, di fronte alle dicerie sulle sue frequentazioni omosessuali con la vittima, il padre di I.L. non chiarì mai la propria situazione con il figlio, ma lo lasciò in balia delle maldicenze, che tanto nefasta influenza possono esercitare sulla personalità ancora fragile di un minorenne. Questo è probabilmente il punto centrale della vicenda. L'educazione è fatta non solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti e di presenza accanto ai figli, a fronte di circostanze che essi possono non essere in grado di capire o di affrontare equilibratamente” (sul punto, sia consentito richiamare MASTROIANNI, La responsabilità dei genitori per il fatto del minore: la lettura degli artt. 1227 e 2048 c.c. in La resp. civ., 2011, p. 361 ss.). Per converso, potrebbe, invece, sostenersi che l’art. 2048 c.c. andrebbe modificato, escludendo la responsabilità genitoriale per il fatto commesso dai “grandi minori”, ossia considerando pienamente responsabile il minore oramai prossimo al raggiungimento della maggiore età, in quanto già capace Nell’ambito della responsabilità genitoriale verso i figli, trova, pertanto, maggiore connotazione il dovere o, più correttamente, l’obbligo di entrambi i genitori a comunicare e dialogare, tra loro, nell’interesse della prole29. E non è tutto. L’introduzione da parte del legislatore dell’art. 337-ter c.c., ha consentito di fugare ogni seppur minimo dubbio al riguardo, essendo stata prevista l’applicazione di tale norma non solo in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ma anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio. Invero, con tale disposizione, che è di contenuto sostanzialmente identico all’abrogato art. 155 c.c., il legislatore, mantenendo l’indicazione di specifici parametri di riferimento per individuare l’entità monetaria proporzionale dell’assegno di mantenimento a carico dei genitori e in favore della prole, tuttavia, affianca al diritto del figlio minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e al diritto a ricevere da questi ultimi cura, educazione e istruzione, anche il diritto all’assistenza morale da parte di essi. Tale disposizione prevede, peraltro, che, per realizzare le suddette finalità, il giudice sia chiamato ad adottare i provvedimenti, relativi alla prole, con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Detta disposizione stabilisce, ancora, che le decisioni di maggiore interesse per i figli, relative non solo all’istruzione, all’educazione, alla salute ma anche alla scelta della residenza abituale, spettano ai genitori di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei di discernimento e, quindi, dotato di quella maturità psicofisica per comprendere il disvalore giuridico della condotta attuata. 29 Tale obbligo, in verità, era stato precedentemente enunciato da alcune sentenze di merito, che, al riguardo, hanno anticipato la portata di tali ultime norme (artt. 315 bis e 316 c.c.). Al riguardo, attenta giurisprudenza di merito (App. Bologna, 24 novembre 2008, in Fam., pers. e success., 2009, p. 472 ss.), infatti, aveva già sancito che “la situazione di acceso contrasto e assoluta incomunicabilità tra i genitori, dovuta principalmente all'atteggiamento intollerante e aggressivo del padre teso a svalutare la figura materna, impedisce l'assunzione di una comune responsabilità genitoriale e giustifica l'affidamento esclusivo del minore alla madre, come già stabilito dal giudice di primo grado”. figli. Tale norma, inoltre, mutuando l’abrogato art. 155 c.c., stabilisce, ancora, che, in caso di disaccordo, la decisione è rimessa al giudice30. In altri termini, i genitori sono adesso maggiormente chiamati ad assumere comportamenti tra loro concilianti o, comunque, tali da mantenere un dialogo aperto e costruttivo nell’interesse dei figli e della loro crescita, in modo da evitare l’assunzione di atteggiamenti di contrapposizione ovvero di vera e propria ostilità, sfocianti in un difficile o addirittura in un assoluto difetto di comunicazione, con conseguente violazione del diritto della prole ad avere garantita la bigenitorialità.31 Prescindendo dall’esistenza di un vincolo coniugale, il padre e la madre infatti, sono, solo a tale titolo, formalmente chiamati dal legislatore ad esercitare il ruolo genitoriale, anteponendo i loro interessi personali e, dunque, tenendo conto solamente delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. In conseguenza, i genitori, in quanto tali, sono tenuti a mediare sulle contrapposte valutazioni, ricercando, ove possibile, un’intesa al fine di perseguire al meglio l’interesse del figlio e solo l’interesse dello stesso. Le suddette norme si pongono, come obbiettivo, quello di formare una nuova idea del rapporto giuridico della “coppia genitoriale” nei doveri e obblighi verso i figli, appunto perché fondata solamente sul principio della bigenitorialità e non più sulla sussistenza o meno di un legame giuridico che possa sussistere o meno tra essi32. Diversamente, la giurisprudenza, modificando alcuni indirizzi, in parte apparentemente e in parte realmente, più permissivi e concilianti in tema di affidamento dei figli minori, potrebbe essere chiamata a valutare, con maggiore rigore, la predetta condotta, qualificandola come contraria alla 30 Cfr. l’art. 55 che ha introdotto gli artt. 337-bis, 337-ter, 337-quater, 337-quinquies, 337-sexies, 337-septies e 337-octies, prevendendone l’ambito d’applicazione non solo in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, ma anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio. 31 Il principio della bigenitorialità risulta chiaramente affermato dall’art. 24 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, secondo cui “Ogni bambino ha diritto di intrattenere relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”. 32 È come se il legislatore, rivolgendosi ai figli, avesse voluto dire semplicemente che il loro destino è svincolato da quello della coppia genitoriale, nel senso che, coniugati o non, i genitori restano e devono restare tali. previsione di cui ai suddetti artt. 315-bis, 316 e 337-ter c.c. e, quindi, come configurante una responsabilità genitoriale a carico di entrambi i coniugi o del coniuge intollerante, che, appunto in caso di provvedimento sull’affidamento dei figli, potrebbe pregiudicare il ricorso a quello condiviso, con affido esclusivo della prole al solo genitore tollerante ovvero conciliante33. D’altronde, il citato art. 337-ter c.c. prevede, espressamente, che copia del provvedimento di affidamento venga trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare. Detto articolo stabilisce, ancora, che, qualora uno dei genitori non si attenga alle decisioni adottate dal giudice nell’interesse della prole o in caso di disaccordo genitoriale, tale comportamento potrà essere valutato anche al fine della modifica dell’affidamento, ossia da condiviso a monogenitoriale. La norma, inoltre, introduce la possibilità per il giudice di ricorrere anche d’ufficio all’affidamento familiare in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori. Per completezza, si aggiunge che il legislatore del 2013 ha pure introdotto, gli artt. 337-quater, 337-quinquies, 337-sexies, 337-sexies, 337septies, 337-octies, i quali risultano di contenuto sostanzialmente identico rispettivamente agli abrogati artt. 155-bis, 155-ter, 155-quater, 155-quinquies e 155-sexies c.c., appunto per consentirne, mediante un corretto riordino sistematico del codice civile, l’applicazione delle stesse non solo in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ma anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio. 33 V. Cass. 29 marzo 2012, n. 5108, in www.Ilcaso.it, secondo cui “in tema di separazione personale, la mera conflittualità tra coniugi, che spesso connota i procedimenti separatizi, non preclude il ricorso al regime preferenziale dell’affidamento condiviso, solo se si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre assume connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si esprima in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psicofisico dei figli e, dunque, tale da pregiudicare il loro interesse”. Si veda, in senso di estrema tolleranza, invece, Cass. 8 febbraio 2012, n. 1777, in Fam. e dir. 2012, 7, p. 705 ss., con nota di Arcieri, Affidamento esclusivo, affidamento condiviso, affidamento a terzi: confini tra le diverse tipologie di affidamento nella recente giurisprudenza di legittimità, per la quale “Il grave conflitto fra i genitori non è, di per sé, idoneo a escludere l’affidamento condiviso, che il legislatore ma mostrato di ritenere il regime ordinario”. Da notate che l’art. 315-bis c.c., non appena introdotto dalla novella del 2012, si affiancava già all’art. 147 c.c. e al collegato art. 148 c.c., che, nel testo previgente, disciplinava gli obblighi dei genitori che si uniscono in matrimonio nei confronti dei figli, e, addirittura, primeggiava rispetto a tali disposizioni, dovendosi considerare come norma di portata generale, disciplinante appunto la filiazione a prescindere dal fatto che la stessa fosse scaturita da unioni di fatto, occasionali o matrimoniali.34 L’art. 315-bis c.c. sembrava, pertanto, avere già determinato il notevole ridimensionamento della previgente figura della “potestà genitoriale” su figli minori, già sostituendola implicitamente con la dizione di responsabilità genitoriale (ora anche esplicita). La suddetta norma consente, infatti, di considerare tale istituto non più come l’esercizio di un potere, bensì come una comune e costante assunzione di responsabilità nell’interesse esclusivo della prole. Invero, mentre, nel caso di crisi del rapporto tra genitori, l’affido del minore potrà essere bigenitoriale o monogenitoriale, la responsabilità dei genitori resterà, tendenzialmente, bigenitoriale, ancorché legata al riconoscimento da parte di entrambi e/o alla convivenza tra questi ultimi e il figlio medesimo, oltre che al rispetto degli stessi obblighi genitoriali, che comunque ne potrebbero determinare il venir meno35. 34 Tale considerazione, adesso, è stata fatta propria dal legislatore con il d.lgs., 154/2013, che, con gli artt. 3 e 4, ha rispettivamente sostituito gli artt. 147 e 148 c.c. Adesso, l’art. 147 così dispone: “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315-bis”. L’art. 148 c.c. risulta così modificato: “I coniugi devono adempiere l’obbligo di cui all’articolo 147, secondo quanto previsto dall’articolo 316-bis”. 35 In effetti, l’art. 316 c.c. affida la responsabilità genitoriale ad entrambi i coniugi purché il figlio sia stato riconosciuto, prevedendo persino un meccanismo preliminare di risoluzione dei contrasti attraverso il ricorso al suggerimento del giudice per dirimere il contrasto insorto sulle decisioni da prendere nell’interesse del figlio. Tale norma prevede, altresì, che, in caso di permanenza del contrasto, il giudice attribuisca il potere di decisione al genitore che, nel singolo caso, sia più idoneo a curare l’interesse del figlio. Ma vi è di più. L’art. 41, d.lgs. n. 154/2013, sostituendo l’art. 317, comma 2°, c.c., ha stabilito che la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori non cessa a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento o nullità del matrimonio. Tale modifica conferma, ancora una Il legislatore, con l’introduzione di questa norma, inoltre, ha optato per il riconoscimento, in capo al minore, di un diritto a intervenire e a decidere, in prima persona, su tutte le questioni che lo riguardano, specie con riferimento ai propri rapporti personali.36. La partecipazione attiva del minore, in termini di ascolto, trova ulteriore conferma con l’introduzione dell’art. 316, comma 3°, c.c. e dell’art. 336-bis c.c., il quale disciplina le modalità di conduzione dell’audizione del minore, garantendo a quest’ultimo anche il diritto ad essere informato preventivamente sulla natura del procedimento e sugli effetti dell’ascolto e prevedendo persino la verbalizzazione di tale adempimento per descrivere il contegno del minore stesso.37 volta, l’intento legislativo, volto, da un canto, a rendere totalmente autonoma la tutela dei figli (ossia separandola da quello che può essere il futuro destino della coppia genitoriale), e, dall’altro canto, a ritenere del tutto priva di limitazioni la responsabilità genitoriale, se non nelle ipotesi espressamente stabilite dagli artt. 337quater e 337-quinquies c.c. (quest’ultima norma riconosce ai genitori il diritto a richiedere in ogni momento la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alle modalità del contributo al mantenimento). 36 Il comma 3° prevede, infatti, che “Il figlio minore cha abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. Sul tema del ridimensionamento della potestà genitoriale, ex plurimis, BONAMINI, Rappresentanza legale del minore e rapporti giuridici non aventi contenuto patrimoniale”, in Fam., pers. e success., 2011, p. 769 ss.; RUSCELLO, Minore età e capacità di discernimento: quando i concetti assurgono a supernorme”, in Fam. e dir., 2011, p. 401 ss.. 37 Si esamini il novellato e già citato art. 316, comma 3°, c.c. (“Il giudice, sentiti i genitori e disposto l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio”). Si veda anche l’art. 336-bis c.c., introdotto dall’art. 53 d.lgs. n. 154/2013, che così dispone testualmente: “Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l'ascolto è in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente Per tali rapporti, si è definitivamente abbandonata la tutela paternalistica nei confronti del minore, a conferma della tendenza imperante di superare o, meglio, di ridimensionare la barriera della maggiore età quando sia accertata la maturità psicofisica del minore. Si può quindi affermare che il legislatore ha abbandonato la concezione del minore come individuo sottoposto alla tutela genitoriale o meglio come “oggetto di protezione”, sposando quella dell’interesse personalistico del minore ad agire direttamente ogni qualvolta sia in gioco una scelta che possa incidere nell’ambito dei rapporti di famiglia.38 In conseguenza, la tutela del minore nel diritto privato, anche se nelle grandi linee continua a realizzarsi mediante il ricorso alla “responsabilità genitoriale”, appare sempre più indirizzata verso il riconoscimento di situazioni soggettive, attive e passive, direttamente esercitabili dal minore stesso, non potendo in ambito familiare essere delegate ai genitori, giacché i relativi diritti e interessi da tutelare potrebbero anche essere confliggenti. 4. Il riconoscimento. Profili di diritto sostanziale e di diritto processuale. La legge n. 219/2012 ha, sostanzialmente, modificato l’art. 250 c.c., con un intervento di notevole impatto sul tema di riconoscimento dei figli nati al di fuori del matrimonio, probabilmente facendolo diventare la norma con la quale si sancisce, in maniera più esplicita, la volontà di emancipare definitivamente la filiazione dal suddetto vincolo matrimoniale e, dunque, di tutelare il figlio in quanto tale. Il riconoscimento, infatti, quale atto spontaneo e non coercibile, può essere fatto, nei modi previsti dall’art. 254 c.c., dalla superfluo, il giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento motivato (primo comma). L'ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all'ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'adempimento (secondo comma). Prima di procedere all'ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto. Dell'adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video (terzo comma)”. 38 Tra i primi ad avvertire questo cambio di rotta v. BUSNELLI, Capacità ed incapacità di agire del minore, in Dir. fam. e pers., 1982, p. 56 ss. madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. L’esercizio della predetta facoltà può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente. Se, tuttavia, uno dei genitori ha già effettuato il riconoscimento, l’altro, qualora il figlio non abbia ancora compiuto i quattordici anni e non sia, quindi, richiesto il suo assenso, deve ottenere il consenso o il silenzio consenso di quello che ha provveduto ad effettuare il riconoscimento per primo39. In base a questa disposizione (art. 250 c.c.), con cui si conferma la ratio legislativa volta a ridimensionare il ruolo genitoriale in tema di filiazione e a rafforzare l’autonomia decisionale del figlio, il riconoscimento di quest’ultimo viene subordinato al consenso di questi se ultra quattordicenne, mentre, per i figli minori degli anni quattordici, lo stesso è condizionato all’assenso o, comunque, alla non espressa opposizione (silenzio consenso) del genitore che, per primo, lo ha effettuato40. 39 Si precisa che anche l’art. 254 c.c. è stato modificato dal d.lgs., n. 154/2013 (cfr. art. 25), che ha sostituito, al primo comma, con le parole “nato fuori del matrimonio” la parola “naturale”, e che ha abrogato il secondo comma. 40 Nel sistema anteriore alla novella del 2012, se il genitore manifestava il rifiuto al riconoscimento, si instaurava un procedimento di natura contenziosa, avente a oggetto l’opposizione a tale rifiuto. Il contraddittorio si instaurava tra i due genitori e con la partecipazione del P.M.. Era disposta l’audizione del minore (allora) sedicenne e, all’esito, il giudice autorizzava il secondo riconoscimento qualora fosse conforme all’interesse del minore. La giurisprudenza era orientata a considerare legittimo il rifiuto solo in ipotesi di specifici e comprovati motivi (cfr. Cass. 26 novembre 1998, n. 12018, in Fam. e dir., 1999, p. 184 ss., secondo la quale “in tema di riconoscimento di figli naturali, l'indagine sulla legittimità del rifiuto del consenso al secondo riconoscimento opposto dal tutore del minore, nominato a seguito della morte del genitore che aveva per primo riconosciuto il figlio, va condotta alla luce della presunzione semplice della esistenza di un interesse del minore al richiesto riconoscimento sotto il profilo spirituale non meno che sotto quello dei diritti all'istruzione, educazione mantenimento ad esso conseguenti. Un eventuale rifiuto del consenso deve ritenersi, pertanto, del tutto ingiustificato in assenza di seri e specifici motivi che evidenzino la contrarietà del riconoscimento all'indicato interesse del minore”) ovvero qualora vi fosse il pericolo di un danno gravissimo per lo sviluppo psicofisico del minore (cfr. Cass. 3 febbraio 2011, n. 2645, in CED Cassazione, secondo cui “il riconoscimento del figlio naturale, ai sensi dell'art. 250, quarto comma, c.c., costituisce un diritto soggettivo sacrificabile solo in presenza di un pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore, correlato alla Tale ultima parte della disposizione, si badi bene, non è volta a tutelare gli interessi del genitore che ha già effettuato il riconoscimento giacché la vera e reale finalità di questa norma è precipuamente quella di tutelare gli interessi preminenti e superiori del figlio stesso ad essere destinatario o meno del riconoscimento da parte dell’altro genitore. In altri termini, il genitore, che per primo ha effettuato il riconoscimento, dovrà negare il consenso solamente qualora l’opposizione in esame persegua gli interessi del minore, dovendosi peraltro escludere recisamente che il primo passa vantare una sorta di diritto di veto, tampoco per fini personali, egoistici o strumentali; ciò anche in considerazione del fatto che il genitore richiedente potrebbe vantare un effettivo interesse alla genitorialità, anch’esso senz’altro meritevole di tutela giuridica ex art. 30, comma 1°, Cost.41. Invero, il giudice, non solo è chiamato a disporre l’audizione del minore, che abbia compiuto i dodici anni o anche di età inferiore, se capace di discernimento quanto, all’esito, è tenuto ad emettere una sentenza che tenga pura e semplice attribuzione della genitorialità. Pertanto, la mera pendenza di un processo penale a carico del genitore richiedente (nella specie concorso in alterazione di stato, abbandono ed illecito affidamento di neonato a terzi) non integra condizione ex se ostativa all'autorizzazione al riconoscimento; neppure la valutazione del rischio di un eventuale distacco del minore dall'attuale contesto di affidamento deve costituire interferenza ostativa al riconoscimento, posto che non vi è alcun nesso con il diritto alla genitorialità, potendo invece tale valutazione costituire oggetto di giudizio in diverso procedimento ad hoc”.). Se il figlio compiva i sedici anni, il processo era sospeso, divenendo requisito necessario il consenso da parte di quest’ultimo al riconoscimento. 41 Sulla questione relativa al consenso v. FERRANDO, La legge sulla filiazione. Profili Sostanziali, in www.juscivile.it, 2013, 2, p. 142. Sul tema, cfr. Cass. 3 gennaio 2008, n. 4, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 9, 1, 1081, con nota di Checchini. Con detta decisione, la Suprema Corte afferma che “i padri naturali - che hanno avuto figli nati fuori dal matrimonio - hanno sempre il diritto a riconoscere, anche con molti anni di ritardo dalla nascita, i bambini che non hanno voluto quando sono nati dalle loro compagne, compreso il caso in cui il minore, dal riconoscimento tardivo, non tragga alcun interesse effettivo e concreto; l'istanza per ottenere il consenso giudiziale al riconoscimento può essere bloccata solo se vi è una forte probabilità di una compromissione dello sviluppo del minore che giustifichi il sacrificio totale del diritto alla genitorialità”. In buona sostanza, la giurisprudenza è orientata nel ritenere che l’opposizione al riconoscimento debba essere intesa come eccezionale. luogo del consenso mancante, ove e solo se detta decisione risponda agli interessi del figlio42. La predetta opzione, dunque, non costituisce affatto una deroga alla regola generale dell’incapacità di agire del minore, bensì espressione della tendenza a rivalutare tale figura di incapacità. Utilizzando come chiave di lettura l’art. 2 Cost., deve, in effetti, intendersi riconosciuta, in capo al minore, una diversa capacità speciale di agire, in ambito familiare, come il diritto di ciascun individuo, una volta acquisita una sufficiente maturità psicofisica, dunque la capacità di discernimento, di potere incidere direttamente e personalmente nell’esercizio dei diritti familiari e, comunque, di quelli collegati e connessi a tale ambito. Con la novella del 2012, il genitore interessato ad effettuare il riconoscimento ha l’onere di dare corso a una fase prodromica, di natura non prettamente contenziosa, consistente nella presentazione di un ricorso innanzi al giudice competente, il quale assegnerà un termine per la notifica dell’atto e del pedissequo provvedimento all’altro genitore, che, per primo, ha effettuato il riconoscimento. Se quest’ultimo dovesse omettere di presentare un’opposizione, secondo il fenomeno giuridico del silenzio - consenso, il giudice emetterà una sentenza che faccia luogo del consenso mancante. Quantunque l’art. 250 c.c. non faccia più espresso riferimento all’intervento del pubblico ministero in detto procedimento, risulta evidente come lo stesso sia chiamato ugualmente a prendervi parte in relazione a 42 Si veda come, nonostante la previsione del comma 3° dell’art. 315-bis c.c., che, per come si è già detto, prevede il diritto del minore ad essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano (e nonostante la successiva introduzione degli artt. 316, comma 3°, c.c. e 336-bis c.c.), il legislatore abbia voluto, in tema di riconoscimento, rafforzare questo diritto, affermando addirittura una sorta di assoluta legitimatio ad causam del figlio, dunque, nel rispetto dell’art. 100 c.p.c., un pieno interesse ad agire in favore di quest’ultimo, nel procedimento di riconoscimento dello stesso. Si precisa, ancora, come sia condivisibile il pensiero di autorevole dottrina, nella parte in cui ritiene che la valutazione giudiziale sulla sussistenza dell’interesse del minore al riconoscimento non possa basarsi su elementi presuntivi, tampoco indiziari, ma che, invece, debba essere provata in positivo dal genitore istante. V. FERRANDO, op. ult. cit., p. 141. quanto stabilito dall’art. 38, comma 3°, disp. att. c.c., norma quest’ultima oggetto di successivo approfondimento43. Solo qualora, invece, dovesse essere proposta opposizione al riconoscimento tardivo, da parte del genitore chiamato a pronunziarsi, si darà corso a una seconda fase di natura istruttoria, preceduta dall’adozione dei provvedimenti opportuni sull’affidamento e mantenimento del minore44. Durante tale fase di trattazione, di tipo contenzioso, si procederà all’audizione del minore, il quale rivestirà il ruolo di parte processuale a tutti gli effetti45. In vero, per effetto della novella del 2012 e del d.lgs. n. 154/2013, l’audizione del minore non potrà più essere considerata solo eventuale, dunque da utilizzarsi solamente in fattispecie complesse o in ipotesi coinvolgenti minori adolescenti, bensì è divenuta un momento processuale obbligatorio e imprescindibile, col solo limite dell’incapacità del minore per età o per altre cause ovvero, ex art. 336-bis c.c., allorché il giudice, con provvedimento motivato, valuti che l'ascolto sia in contrasto con l'interesse 43 Cfr. art. 38, comma 3°, disp. att. c.c., che così recita: “Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni”. 44 Dubbi sorgono riguardo alla forma dell’atto da utilizzare, ossia se l’opposizione al riconoscimento debba essere promossa dal genitore, che per primo lo ha effettuato, mediante ricorso o con atto di citazione. Nulla statuisce al riguardo la norma, sicché dovrebbe optarsi per la seconda ipotesi. La questione non è di poco conto, in quanto, avvalendosi del ricorso, vi è il rischio di non rispettare i termini stabiliti. 45 Cfr. Cass. 13 aprile 2012, n. 5884, in Fam. e dir., 2012, p. 653, con nota di V. Carbone, Opposizione al riconoscimento di figlio naturale: il minore infrasedicenne non solo deve essere sentito ma è parte del processo. La sentenza, anticipatoria della novella del 2012, risulta così massimata: “Nel procedimento previsto dall’art. 250, quarto comma, cod. civ., per conseguire una pronuncia che tenga luogo del mancato consenso del genitore, che abbia già riconosciuto il figlio infrasedicenne, al riconoscimento dello stesso minore da parte dell'altro genitore, deve essere disposta obbligatoriamente l'audizione del minore, atteso che questi assume la qualità di parte, come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 83 del 2011”. del minore, o manifestamente superfluo. All’esito, il giudice definirà il procedimento con una sentenza di merito d’accoglimento o di rigetto. Nel corso dell’istruttoria, il giudice dovrà, peraltro, consentire al minore di valutare e ponderare il miglioramento obbiettivo della sua situazione in relazione agli obblighi giuridici che, per effetto del riconoscimento, verranno assunti dal genitore, quantunque si possano configurare normali difficoltà di adattamento psicologico per effetto del nuovo status, peraltro sovrapponibili a quelle nascenti nell’ipotesi in cui il riconoscimento da parte del genitore sia richiesto a distanza di tempo dalla nascita del figlio. Si spiega, così, che all’art. 250 c.c., il legislatore del 2012 abbia affiancato la modifica dell’art. 251 c.c., che, adesso, prevede, per il figlio, nato da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado ovvero un vincolo di affinità in linea diretta, la possibilità di essere riconosciuto, previa autorizzazione del giudice (il tribunale per i minorenni), il quale, anche in questo caso, sarà chiamato a valutare, o meglio a ponderare, se questo provvedimento risponda all’interesse del figlio e alla necessità di evitare, per quest’ultimo, pregiudizi di qualsiasi natura46. Va da sé che, in base al novellato art. 258 c.c., il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso, siccome già anticipato in precedenza. È bene aggiungere come, per il figlio, sia possibile proporre l’azione per la dichiarazione giudiziale del rapporto di filiazione, di cui agli artt. 269 e ss. c.c., così come ridisegnata dalla novella del 2012 e dal successivo d.lgs. n. 154/2013 (che hanno modificato la normativa richiamata in tema di riconoscimento), e ancor prima dalla riforma del diritto di famiglia. Tale opzione normativa assicura al figlio (ex naturale), non riconosciuto ovviamente fatta salva l’ipotesi di inammissibilità contemplata dall’art. 253 46 L’art. 22, d.lgs. n. 154/2013, ha modificato l’art. 251 c.c., sostituendo alle parole “tribunale per i minorenni” la parola “giudice”. La competenza del tribunale dei minorenni sembra, tuttavia, permanere per effetto della contestuale modifica dell’art. 38, comma 1°, disp. att. c.c., e dell’inserimento del seguente periodo: “Sono, altresì, di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 251 e 317-bis c.c.”. Conseguentemente, rientra anche nella competenza del tribunale per i minorenni la decisione sull’esercizio del diritto da parte dell’ascendente di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. c.c. - il diritto a ottenere il corrispondente status giuridico, così prevalendo sulla carenza normativa di un obbligo, per i genitori, di procedere al riconoscimento della prole47. La prova della paternità ex “naturale” può essere data con ogni mezzo. Va sottolineato, tuttavia, che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 269 c.c., la sola dichiarazione della madre così come la sola esistenza di rapporti tra quest’ultima e il presunto padre (ex “naturale”), avuto riguardo all’epoca del concepimento, non costituiscono prova della paternità. Per l’effetto, il dato biologico risulta l’unica condizione necessaria e sufficiente perché sia dichiarata la paternità, a nulla rilevando la volontà cosciente del genitore di procreare. In buona sostanza, il genitore, convenuto in giudizio dal presunto figlio, non riconosciuto, non potrà mai sollevare l’eccezione di non avere voluto la procreazione del figlio tantomeno l’esimente secondo cui la madre gli avesse assicurato l’impossibilità del concepimento ovvero che gli avesse garantito l’eventuale interruzione della gravidanza così nessun effetto potranno produrre dichiarazioni dell’asserito 47 Il preteso figlio ex “naturale”, infatti, non può promuovere, nei confronti del padre ex “naturale” o dei suoi eredi (in caso di morte di quest’ultimo) l’azione di dichiarazione giudiziale della paternità, qualora rivesta lo status di figlio legittimo o legittimato. Diversamente, l’azione, ex art. 235 c.c., soggiace alla declaratoria di inammissibilità per contrasto tra stato di preteso figlio “ex naturale” e di figlio legittimo o legittimato. In tal caso, il figlio legittimo di altro genitore, che intenda richiedere la dichiarazione giudiziale di paternità “ex naturale” nei confronti di soggetto diverso dal proprio genitore legittimo, deve prima esercitare l’azione per il disconoscimento della paternità ai sensi dell’art. 235 c.c. nei confronti del padre “ex legittimo”; altrimenti, ossia in assenza di una sentenza passata in cosa giudicata, che lo disconosca come figlio legittimo, come si è detto, l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità “ex naturale” sarà soggetta a provvedimento di inammissibilità. Si precisa come non sia sufficiente che il figlio riesca a dare la prova delle circostanze di cui a uno dei tre numeri del citato art. 235 c.c.: infatti, è altresì necessario che il suddetto figlio dimostri di essere venuto a conoscenza di tali fatti da non oltre un anno; diversamente decade dall’azione di disconoscimento della paternità che, pur essendo imprescrittibile, non può essere proposta, appunto a pena di decadenza, oltre l’anno dall’avvenuta conoscenza di tali fatti. padre, relative alla carenza di “affectio” o alla non volontà di assumere gli obblighi e i doveri connessi all’esercizio del ruolo genitoriale 48. Riguardo al minore di età, tale strumento giuridico di reclamo dello status persegue, quindi, la costruzione di una relazione con entrambi i genitori, dunque sia con quello che lo ha riconosciuto spontaneamente sia con l’altro nei confronti del quale tale accertamento risulta richiesto, con rilevanti 48 In questa direzione Cass. 15 marzo 2002, n. 3793, in Guid. al dir., 2003, 17, p. 32, secondo cui “in relazione all'art. 269 c.c., che attribuisce la paternità naturale in base al mero dato biologico, senza alcun riguardo alla volontà contraria alla procreazione del presunto padre, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., in ragione della disparità di trattamento che ne risulterebbe in danno dell'uomo rispetto alla donna, alla quale la legge, 22 maggio 1978, n. 194, attribuisce la responsabilità esclusiva di interrompere la gravidanza ove ne ricorrano le condizioni giustificative, e ciò in quanto le situazioni poste a confronto non sono comparabili, l'interesse della donna alla interruzione della gravidanza non potendo essere assimilato all'interesse di chi, rispetto alla avvenuta nascita del figlio fuori del matrimonio, pretenda di sottrarsi, negando la propria volontà diretta alla procreazione, alla responsabilità di genitore, in contrasto con la tutela che la Costituzione, all'art. 30, riconosce alla filiazione naturale”. Si veda anche Cass. 16 luglio 2005, n. 15101, in CED Cassazione. Con detta decisione la Suprema Corte statuisce che: “ai fini dell'ammissibilità dell'azione di accertamento della paternità naturale, la contrarietà all'interesse del minore può sussistere solo in caso di concreto accertamento di una condotta del preteso padre tale da giustificare una dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, ovvero di prova dell'esistenza di gravi rischi per l'equilibrio affettivo e psicologico del minore e per la sua collocazione sociale. Tali rischi devono risultare da fatti obbiettivi, emergenti dalla pregressa condotta di vita del preteso padre, ed in mancanza di essi l'interesse del minore va ritenuto di regola sussistente, a prescindere dai rapporti di affetto che possano in concreto instaurarsi con il presunto genitore e dalla disponibilità di questo ad instaurarli, avendo riguardo al miglioramento obiettivo della sua situazione in relazione agli obblighi giuridici che ne derivano per il preteso padre; né l'interesse del minore può, di regola, essere escluso dalle normali difficoltà di adattamento psicologico al nuovo <<status>>, essendo queste normalmente connesse al riconoscimento da parte del genitore naturale, ovvero alla dichiarazione di paternità naturale, quando intervengano a distanza di tempo dalla nascita del minore. E nemmeno detto interesse è escluso dall'assenza di <<affectio>> da parte del presunto padre né dalla dichiarazione di costui, convenuto con l'azione di dichiarazione giudiziale ex art. 269 cod. civ., di non voler comunque adempiere i doveri morali inerenti alla potestà genitoriale”. risvolti sul piano affettivo, morale ed economico. La conoscenza delle proprie origini, infatti, deve essere configurata quale componente fondamentale della personalità e inconfutabile presupposto per la completa evoluzione della identità personale del minore. È evidente, tuttavia, che un procedimento giudiziario, in cui è coinvolto un minore, non può essere considerato sovrapponibile a quello condotto con un adulto, giacché il giudice dovrà considerare che si trova, di fronte, un soggetto che, di norma, è ampiamente sensibile, condizionabile e suggestionabile, sicché dovrà fare molta attenzione nella scelta delle più appropriate metodologie e tecniche d’ascolto, essendo tale elemento divenuto adesso la più importante espressione del diritto del minore. L’azione volta a ottenere il riconoscimento dello status giuridico di figlio assume, invece, risvolti diversi rispetto al figlio già adulto. Fermo restando il diritto alla ricerca della verità biologica del rapporto di discendenza, è, infatti, innegabile che l'esperimento di tale azione persegua, sostanzialmente, in via immediata e diretta, delle finalità, se non esclusivamente, almeno prevalentemente di natura patrimoniale, specie allorquando il genitore sia già deceduto.49 49 In tal caso, ovviamente, l’azione va promossa nei confronti degli eredi del de cuius. A tal proposito, va osservato come il novellato art. 276, comma 1°, nella parte in cui prevede la possibilità di richiedere al giudice, competente per il giudizio da intentare, la nomina di un curatore in ipotesi di assenza di eredi del preteso genitore, sembra avere risolto i dubbi generatisi all’indomani della decisione a sezioni unite della S.C. (cfr. Cass. 3 novembre 2005, n. 21287, in Giur. It., 2007, p. 622 ss., con nota di Antonica), secondo cui, in caso di morte del presunto padre “naturale”, unici soggetti legittimati passivi a contraddire, riguardo all’azione di dichiarazione di paternità, erano ritenuti solamente gli eredi diretti di quest’ultimo, sicché, in caso di morte di detti eredi, il preteso figlio “naturale”, pur godendo di un’azione imprescrittibile, non poteva tecnicamente intraprendere il giudizio per assenza di convenuti titolari di un interesse a contraddire e quindi quali litisconsorti necessari. Adesso, infatti, non sembra più revocabile in dubbio che gli eredi degli eredi del de cuius possano essere evocati nel giudizio di riconoscimento della paternità “naturale”. Sul tema, v. BALESTRA, La legittimazione passiva nei procedimenti per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale, cit., p. 499 ss. Si tenga ancora in debito conto che, con l’art. 33, d.lgs., n. 154/2013, la parola “naturale”, inserita in seno all’art. 276 c.c., è stata soppressa. In tale ultima ipotesi, è, infatti, difficile riconoscere un interesse morale ad acquisire lo status di figlio riconosciuto, essendo l’esercizio di tale azione solo strumentale al conseguimento della qualità di chiamato all’eredità ed eventualmente di quella di erede, specie allorquando il de cuius non avesse altri figli “legittimi” o “legittimati” e fosse celibe. Per quanto concerne le disposizioni strettamente a carattere processuale, la legge n. 219/2012 ha previsto che tutte le procedure giudiziarie relative all’affidamento dei figli minori, anche nati fuori dal matrimonio, e tutte le azioni di accertamento e disconoscimento della filiazione di minori di età sono demandate alla competenza del tribunale ordinario, mentre restano di competenza del tribunale per i minorenni i soli procedimenti de potestate e di adozione dei minori. Va osservato che trattasi di intervento del tutto condivisibile, in quanto l’unificazione dello stato di figlio non poteva essere più conciliata con l’affidamento della competenza a tribunale diversi, ossia a seconda che si trattasse di questioni relative a figlio dentro o fuori del matrimonio. Con la riforma, risulta, in particolare, modificato il dettato normativo dell’art. 38 disp. att. c.c., con l’attribuzione al tribunale ordinario della competenza in precedenza appartenentesi al tribunale dei minori in materia di affidamento e di mantenimento dei minori, i cui procedimenti seguiranno, con il rito camerale, secondo le norme processuali previste dagli articoli 737 ss. c.p.c.50. 50 La novella del 2012 e il d.lgs. n. 154/2013 sembrano presagire la futura abolizione del tribunale per i minorenni, avendo, sostanzialmente, svuotato e privato di contenuti la competenza di quest’ufficio giudiziario. Il risultato che, infatti, si è prodotto è stato quello di un sostanziale svuotamento di funzioni del tribunale per i minorenni in materia civile, soprattutto per effetto del trasferimento al tribunale ordinario dei procedimenti relativi all'affidamento e al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio che, nella pratica giudiziaria, sono largamente preponderanti rispetto agli altri. Conseguentemente, è stata superata un'ingiustificata discriminazione processuale tra figli ex legittimi ed ex naturali, correlata al fatto che il tribunale per i minorenni, esercitando la sua giurisdizione su base solo distrettuale, è più lontano dal minore che chiede la tutela giurisdizionale dei propri diritti rispetto al tribunale ordinario, che invece insiste sul circondario e, quindi, su un territorio di dimensioni minori. Più precisamente, il riparto di competenza tra tribunale ordinario e tribunale dei minorenni è il seguente: Appartengono alla competenza del tribunale ordinario, le questioni relative alla cessazione del fondo patrimoniale di cui all’art. 171 c.c., la costituzione dell’usufrutto di cui al comma 2° dell’art. 194 c.c., la richiesta d’emissione di sentenza sostitutiva del consenso mancante di cui all’art. 250 c.c. in tema di riconoscimento del figlio, l’inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia del genitori ex art. 252 c.c., l’assunzione ex art. 262 c.c. del cognome paterno per figlio riconosciuto successivamente, con paternità giudizialmente accertata (si vedano, comunque, le rilevanti innovazioni apportate dal legislatore a quest’ultima norma con l’art. 27, d.lgs. n. 154/2013, finalizzato a riconoscere una sorta di eguaglianza nella scelta del cognome del genitore: se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome paterno, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre; se la filiazione nei confronti del genitore è stata accertata o riconosciuta successivamente all’attribuzione del cognome da parte dell’ufficiale dello stato civile, il figlio può mantenere il cognome precedentemente attibuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambi), l’autorizzazione all’impugnazione del riconoscimento di cui all’art. 264 c.c. (sostituito dall’art. 29, d.lgs., n. 154/2013), la dichiarazione giudiziale di maternità o paternità ai sensi dell’art. 269, comma 1°, c.c. (l’art. 30, d.lgs., ha soppresso la parola “naturale” contenuta in tale norma), le decisioni ex art. 316 c.c. in tema di contrasto tra genitori su decisioni importanti da prendere nell’interesse del figlio e in genere sull’esercizio della responsabilità genitoriale (ex “potestà genitoriale”), la decisione sui figli anche se nati fuori dal matrimonio di cui agli artt. 337-bis, 337-ter, 337-quater, 337-quinquies, 337-sexies, 337-septies e 337-octies, i procedimenti di cui all’art. 333 c.c. in merito alla condotta del genitore pregiudizievole per i figli. Sono, invece, attribuiti alla competenza del tribunale per i minorenni, i procedimenti d’adozione, l’autorizzazione all’esercizio d’impresa ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 317 c.c., i provvedimenti contemplati dall’art. 317-bis c.c. (sostituito dall’art. 42, d.lgs., n. 154/2013: tale articolo prevede espressamente che si applica l’art. 332, comma 2°, c.c.), quella al matrimonio del minore d’età ex art. 84 c.c., la nomina del curatore speciale di cui all’art. 90 c.c., i procedimenti de potestate ex artt. 330, 331, 332 e 333 c.c., fatta salva l’ipotesi contemplata dall’art. 316 c.c.. Il d.lgs. n. 154/2013, con l’art. 96, ha, invece, mantenuto la competenza del tribunale per i minorenni con riferimento al procedimento per l’autorizzazione al riconoscimento del figlio nato da genitori legati da vincolo di parentela e affinità ai sensi dell’art. 251, ultimo comma, c.c. Si noti, infatti, che, in un primo tempo, tale ultima disposizione (intitolata “Autorizzazione al riconoscimento”) prevedeva espressamente la competenza del tribunale per i minorenni. Il d.lgs. del 2013, pur sostituendo tali parole con “giudice”, ha conservato la competenza di tale tribunale prevedendola adesso espressamente in seno all’art. 38, Peraltro, qualora debba procedersi giudizialmente per questioni relative al mantenimento ovvero alla regolamentazione del diritto di visita e dell’affidamento dei figli, nati fuori dal matrimonio, il giudice da adire sarà quello ordinario. In particolare, si precisa che il d.lgs. n. 154/2013, ha introdotto, in tema di concorso nel mantenimento, l’art. 316-bis c.c. (applicabile in via generale per espresso richiamo dell’art. 148 c.c.). Secondo tale norma, di contenuto sostanzialmente identico all’abrogato art. 148 c.c., i genitori devono adempiere all’obbligo di mantenimento dei figli, anche se nati fuori dal matrimonio, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro, professionale o casalingo. La norma prevede, altresì, che, qualora i genitori non abbiano i mezzi sufficienti per soddisfare le esigenze economiche dei figli, anche se nati fuori dal matrimonio, vi debbano provvedere gli ascendenti in ordine di prossimità, fornendo ai genitori i mezzi comma 1°, disp. att. c.c.. Così facendo non ha eliminato il possibile conflitto nell’attribuzione della competenza che si potrebbe determinare tra il tribunale per i minorenni e quello ordinario (ove si valorizzasse diversamente la ratio della novella del 2012, nel senso di considerare di competenza del predetto tribunale per i minorenni anche il procedimento di riconoscimento di cui all’art. 250 c.c., appunto per evitare un sistema processuale a doppio binario tra figli, nati fuori dal matrimonio, ossia tra quelli nati da genitori, tra loro privi di legami di parentela o affinità, e altri figli, invece nati da relazione tra genitori tra loro parenti o affini). Per converso, la competenza, prevista in favore del tribunale ordinario con riferimento al procedimento ex art. 250 c.c., consente la trattazione congiunta anche della “diversa” questione relativa all’accertamento della veridicità del riconoscimento (ossia in caso di rifiuto della madre sulla base dell’assunto secondo cui il richiedente non è il vero padre). Sull’art. 38 disp. att. c.c., nella nuova formulazione, v. VELLETTI, Il novellato art. 38 disp. att. c.c. e le ulteriori disposizioni a garanzia dei diritti dei figli, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 596 ss. Da, ultimo, si suggerisce l’esame degli artt. 93, 94 e 95, d.lgs. n. 154/2013, i quali hanno rispettivamente modificato le norme in materia di filiazione contenute rispettivamente nel codice penale, nel codice di procedura penale e nel codice di procedura civile. In particolare, il terzo comma dell’art. 706 c.p.c. (novellato dall’art. 95), prevede, testualmente, che “nel ricorso deve essere indicata l'esistenza di figli di entrambi i coniugi”, mentre il primo comma dell’art. 706-ter c.p.c. (anch’esso novellato dall’art. 95), stabilisce che, per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori, in ordine all'esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità dell'affidamento, è competente il giudice del procedimento in corso. Prevede, ancora, che, per i procedimenti di cui all’articolo 710 c.p.c. è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. necessari per adempiere. Per di più, la disposizione consente anche nell’ipotesi di figli nati fuori dal matrimonio la possibilità di attivare una sorta di procedimento monitorio, con possibilità per chiunque abbia interesse di richiedere al presidente del tribunale un decreto, avente valenza di titolo esecutivo, con il quale venga ingiunto che una quota dei redditi dell’obbligato sia versata direttamente all’altro genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento 51. Il decreto ingiuntivo deve essere notificato alle parti e al terzo debitore entro il termine di giorni sessanta dall’emissione, secondo quanto stabilito dall’art. 644 c.p.c. È, comunque, consentito alle parti e al terzo debitore proporre opposizione avverso tale decreto entro venti giorni dalla notifica con le stesse forme previste per l’opposizione avverso decreto ingiuntivo, dunque con atto di citazione. È pure consentito alle parti e al terzo debitore di richiedere, proponendo un’azione secondo il rito ordinario, la revoca o la modifica del decreto (si reputa nell’ipotesi in cui subentrino fatti sopravvenuti così uniformandosi a quanto stabilito dall’art. 710 c.p.c.). 51 Si veda, peraltro, il risolutivo art. 316-bis c.c., denominato “Concorso nel mantenimento” inserito dall’art. 40, d.lgs. n. 154/2013, che così dispone testualmente: “I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro, professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli (primo comma). In caso di inadempimento, il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l’inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro genitore o a chiunque sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole (secondo comma). Il decreto, notificato agli interessati ed al terzo debitore costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica (terzo comma). L’opposizione è regolata dalle norme relative all’opposizione al decreto di ingiunzione in quanto applicabili (quarto comma). Le parti ed il terzo debitore possono sempre chiedere, con le forma del processo ordinario, la modificazione e la revoca del provvedimento (quinto comma)”. 5. Ultimi privilegi normativi in favore dei figli nati in costanza di matrimonio rimossi dal legislatore con il D.Lgs. n. 154/2013. Ulteriori prospettive di riforma. Un cenno meritano, infine, gli altri privilegi normativi, previsti in favore dei figli nati in costanza di matrimonio (che erano sopravvissuti o, meglio, che erano rimasti indenni e non travolti dall’introduzione della citata novella del 2012), oggi rimossi dal d.lgs. n. 154/2013. All’indomani della novella del 2012, si era, infatti, discusso, sin da subito, se, nonostante tale riforma, potessero considerarsi vigenti, e quindi altamente discriminanti, le numerose differenze di tutela nei confronti dei figli ancora indicati come “naturali” in tema di successione mortis causa, disciplina questa che, tra tutte, ha registrato, nel tempo, grandi contrasti giurisprudenziali, nonostante gli interventi legislativi e quelli significativi della Corte Costituzionale (che, per la verità, hanno dato una forte spinta alla predetta riforma del diritto di famiglia del 1975), comunque frenati dal già riferito contrasto interpretativo tra l’art. 29 e l’art. 30 Cost. e dalla prevalenza della famiglia fondata sul matrimonio rispetto alle c.d. unioni di fatto, appunto sulla per nulla celata spinta dell’ideologia cattolica di cui è senz’altro pervasa la nostra Costituzione52. 52 Cfr. Corte cost., 6 luglio 1960, n. 54, in CED Cassazione, così massimata “L’art. 30 della Costituzione, 3° comma, non contiene una disciplina precisa della tutela dei figli nati fuori dal matrimonio, ma soltanto una generica disciplina di favore per gli stessi, rimettendo al legislatore ordinario il compito di stabilire fino a che punto la loro maggiore tutela sia caso per caso, cioè nella eventuale determinazione di uno status e delle conseguenze di esso anche in capo successorio, compatibile coi diritti dei componenti la famiglia legittima. I limiti contenuti nelle norme degli artt. 467, 468 e 577 c.c., per quanto riguarda la successione dei figli naturali e dei loro discendenti, non sono in contrasto con il suddetto art. 30 della Costituzione, terzo comma. In detta norma è espressa la insindacabile valutazione del legislatore ordinario circa la compatibilità della tutela dei figli naturali coi diritti dei membri della famiglia legittima”. Tale decisione è poi stata travolta da Corte Cost., 14 aprile 1969, n. 79, in Giur. it., 1969, I, c. 1219 ss., che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 (questi ultimi due poi sostituiti dall’art. 171, l. 19 maggio 1975, n. 151) nonché l’integrale illegittimità costituzionale dell’art. 577 c.c. V. anche Corte cost., 28 dicembre 1970, n. 205, in Giust. Civ., 1971, III, c. 81 ss., con la quale viene dichiarata la illegittimità costituzionale degli artt. 592, 593, commi 1°, La legge n. 219/2012 aveva, infatti, mantenuto la vigenza dell’art. 537 c.c., specie nella parte in cui, al comma 3°, consentiva ai figli “legittimi” (dizione ancora mantenuta dal legislatore all’interno di detta norma) di soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli “naturali” (espressione linguistica anch’essa conservata in seno alla norma in questione) che non si opponevano, prevedendo, altresì, che, in caso di opposizione, fosse il giudice a decidere dopo avere valutato le circostanze patrimoniali e personali. In buona sostanza, si discuteva sul fatto che il legislatore avesse o meno voluto mantenere indenne il potere o meglio la facoltà di commutazione in favore dei figli nati nel matrimonio, con il conseguente effetto della cessazione della comunione ereditaria tra figli “legittimi” e “naturali”53. In verità, era da subito parso un non senso giuridico che, in tema di filiazione, si fosse pervenuti all’unicità di stato e alla parificazione tra figli legittimi e non legittimi e che, invece, in materia successoria, si dovessero mantenere, tra essi, sensibili profili di differenziazione nella tutela accordata, con evidente e inconciliabile disparità di trattamento. 2° e 4°, c.c. (questo articolo poi interamente abrogato dall’art. 194, l. 19 maggio 1975, n. 151) e parziale dell’art. 599 c.c., ossia nella parte in cui si riferiva agli artt. 592 e 593. Cfr., altresì, Corte cost., 30 aprile 1973, n. 50, in Giur. it., 1973, I, c. 1223 e ss., che ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 539 c.c. (questo articolo poi interamente abrogato dall’art. 175, della l. 19 maggio 1975, n. 151) e quella parziale degli artt. 545 e 546 c.c. (questi articoli poi interamente abrogati, insieme all’art. 547 c.c., dall’art. 181, della l. 19 maggio 1975, n. 151). Tale sentenza, che sembrava fortemente innovativa, decideva, in realtà, su norme che riguardavano ipotesi in cui non vi era la presenza di figli legittimi. V. inoltre Corte cost., 2 marzo 1974, n. 82, in CED Cassazione, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale degli artt. 575 e 435 c.c. (per come già riferito, la prima norma, unitamente agli artt. 574 e 576, poi interamente abrogati, rispettivamente dall’art. 187, l. 19 maggio 1975, n. 151, mentre la seconda dall’art. 169, stessa normativa). 53 Si dubitava sul fatto che tale norma potesse considerarsi implicitamente o tacitamente abrogata dal legislatore in base all’assunto che, con l’art. 1, comma 11°, della legge n. 219/2012, si era stabilito che le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorressero, dovevano essere sostituite dalla sola parola “figli”: identica considerazione si poteva fare per l’art. 536 e per l’art. 565 c.c., laddove risultava, almeno apparentemente, conservata la distinzione tra figli legittimi e naturali. Sul tema, v. C.M. BIANCA, La delega al governo per la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 592 ss. Ovviamente, sarebbe stato meglio se il legislatore del 2012 fosse ricorso a un’immediata abrogazione espressa della norma in questione e del richiamato art. 566 c.c., per come, infatti, era avvenuto, in precedenza, per gli artt. 539 e 541 c.c., con l’introduzione dell’art. 177 della legge n. 151/197554. Opportunamente, tale discriminazione è stata rimossa con il d.lgs. n. 154/2013 e, in particolare, con l’introduzione dell’art. 71, che ha modificato l’art. 537 c.c. e ne ha abrogato il terzo comma. Adesso, detta norma novellata prevede, infatti, che, salvo quanto disposto dall’art. 542 c.c., se il genitore lascia un figlio solo, a questi è riservata la metà del patrimonio e che, se i figli sono più, è loro riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra tutti i figli55. 54 Diversamente, sarebbe stata forte l’attesa di una decisione della Corte Costituzionale, abrogativa o, meglio, interpretativa in senso unificatrice di tutte le norme ambigue in tema di filiazione. Parimenti, si sarebbe auspicata una futura rilettura giurisprudenziale delle suddette disposizioni (artt. 536, in tema di c.d. legittimari, 537 e 565 c.c., disciplinante la categoria dei successibili) e di altre, quali l’art. 569 c.c., relativo alla successione degli ascendenti, e l’art. 572 c.c., sulla successione degli altri parenti, alla luce della nuova normativa, senz’altro cogente in tema di unitarietà del sistema filiazione, dunque nel senso di consentire, per l’effetto, una sorta di espansione della tutela successoria in favore dei figli riconosciuti nati fuori dal matrimonio, così equiparandone in toto la disciplina a quella dei figli nati in costanza di matrimonio e, per l’effetto, eliminando le almeno apparenti residuali distinzioni. 55 Il terzo comma abrogato disponeva testualmente quanto segue: “I figli legittimi possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongano. Nel caso di opposizione decide il giudice valutate le circostanze personali e patrimoniali”. Si vedano anche gli artt. 72, 73, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83 e 84, d.lgs. n. 154/2013, che hanno modificato rispettivamente gli artt. 566 (“Al padre ed alla madre succedono i figli, in parti uguali”), 567 (“Ai figli sono equiparati gli adottivi”), 573 (sostituzione della parola “naturali” con le parole “nati fuori dal matrimonio”), 580 (sostituzione della parola “naturali” con le parole “nati fuori dal matrimonio”), 581 (soppressione delle parole “legittimi o figli naturali, o figli legittimi e naturali”), 582 (soppressione delle parole “legittimi” in rubrica e al primo comma), 583 (soppressione delle parole “legittimi o naturali”), 594 (sostituzione della parola “naturali” con le parole “nati fuori dal matrimonio”) e 643 c.c. (sostituzione del secondo comma con il seguente: “Se è chiamato un concepito, l’amministrazione spetta al padre e alla madre”). Il decreto del 2013 è, pure intervenuto, modificando l’art. 803 c.c., per la donazione, e l’art. 687 c.c., per le disposizioni testamentarie a titolo universale o particolare, in tema di revocazione per sopravvenienza dei figli, eliminando la distinzione tra figli “legittimi” e “naturali”56. Si segnala, tuttavia, la permanenza seppur residuale della distinzione di competenze tra il tribunale ordinario e quello dei minorenni, la quale, in verità, stride con il principio di unitarietà della filiazione e di equiparazione tra status di figlio nato nel matrimonio e nato fuori dal matrimonio, distinzione quest’ultima che il legislatore farebbe bene a non mantenere in essere. Si rende, pertanto, necessario un ulteriore intervento legislativo che riconduca la competenza a un unico ufficio giudiziario, ossia a quello ordinario, possibilmente attraverso l’istituzione del “giudice della famiglia”. Si auspica, ancora, un altro intervento normativo più incisivo, da parte del legislatore, volto a introdurre, non solo la possibilità, bensì l’obbligo per il giudice di avvalersi di uno psicologo, come ausiliario, in tutti i procedimenti di famiglia, coniugale e non, laddove debba essere ponderato e valutato l’interesse del figlio minore, onde potere così pervenire a una decisione, nel merito, che possa realmente soddisfare e perseguire tale interesse. 56 Cfr. l’art. 803 c.c. novellato dall’art. 88, d.lgs. n. 154/2013:“(Revocazione per sopravvenienza di figli): Le donazioni fatte da chi non aveva o ignorava di avere figli o discendenti al tempo della donazione, possono essere revocate per la sopravvenienza o l'esistenza di un figlio o discendente del donante. Possono inoltre essere revocate per il riconoscimento di un figlio, salvo che si provi che al tempo della donazione il donante aveva notizia dell'esistenza del figlio (primo comma). La revocazione può essere domandata anche se il figlio del donante era già concepito al tempo della donazione (secondo comma)”. Cfr. l’art. 687 c.c. novellato dall’art. 85, d.lgs. n. 154/2013: “(Revocazione per sopravvenienza di figli). Le disposizioni a titolo universale o particolare, fatte da chi al tempo del testamento non aveva o ignorava di aver figli o discendenti, sono revocate di diritto per l'esistenza o la sopravvenienza di un figlio o discendente del testatore, benché postumo, anche adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio nato fuori del matrimonio (primo comma). La revocazione ha luogo anche se il figlio è stato concepito al tempo del testamento (secondo comma).La revocazione non ha invece luogo qualora il testatore abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi (terzo comma). Se i figli o discendenti non vengono alla successione e non si fa luogo a rappresentazione, la disposizione ha il suo effetto (quarto comma)”. Al riguardo, l’art. 336-bis, comma 2°, c.c., introdotto dall’art. 53 d.lgs. n. 154/2013, nel disciplinare le possibilità e le modalità di audizione del minore, infatti, si limita a prevedere che l’ascolto del minore è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari57. Bisogna, infatti, che si prenda atto finalmente che tanto l’avvocatura quanto la magistratura non possiedono quelle competenze specifiche e quel bagaglio di esperienza e conoscenza, appunto perché si appartengono allo psicologo, per procedere al corretto ascolto del minore e per consentire una ponderata analisi della fattispecie concreta e, quindi, per pervenire a una valutazione puntuale e soddisfacente su quale, tra le opzioni possibili, fondare una decisione che possa effettivamente perseguire al meglio l’interesse del minore stesso. Sul punto, è sufficiente utilizzare, come elemento di confronto, che, in tema di illecito aquiliano derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, il legislatore ha ritenuto di doversi avvalere di qualificate figure professionali, avendo stabilito che l’accertamento del danno conseguenza, in termini di danno biologico da invalidità ovvero da inabilità, debba essere demandato a un accertamento medico legale, sicché stesse considerazioni ci si augura avvengano per le vicende familiari con figli minori58. Sia consentita un'ultima considerazione conclusiva. La riforma della filiazione e il riconoscimento dello statuto giuridico dei figli, nell’ambito delle relazioni familiari, slegato dalla sussistenza del vincolo matrimoniale tra i suoi genitori, ha comportato il notevole mutamento del sistema di valori su cui sino alla novella del 2012 e al d.lgs. n. 154/2013 poggiava il diritto di famiglia nel nostro ordinamento giuridico. Se fino a quel momento, il legislatore aveva attribuito preminenza alla famiglia fondata sul matrimonio, dall’entrata in vigore della novella del 2012 sono i diritti dei figli ad assumere prevalenza, trovando piena ed incondizionata tutela anche in assenza di legame coniugale tra i genitori. Per 57 Cfr. § 3, note 35 e 36. Si veda l’art. 138, d. lgs., 7 settembre 2005, n. 209. In vero, nessun avvocato o giudice rispettivamente intraprendono o decidono un procedimento senza essersi avvalsi dell’apporto qualificato di un medico legale. Non si comprende, dunque, per quale ragione ostativa non si introduca l’intervento obbligatorio dello psicologo, quale ausiliario del giudice e di supporto, in qualsiasi controversia relativa a rapporti di famiglia. 58 l’effetto, il legislatore ha, finalmente, riconosciuto la prevalenza dell’art. 2 Cost. sull’art. 29, comma 1°, Cost., assegnando alla famiglia, ancorché non fondata sul matrimonio, il ruolo di formazione sociale all’interno della quale devono trovare prioritaria tutela i diritti inviolabili dei suoi componenti e, primi tra tutti, quelli dei figli. De iure condendo, sarebbe bello ipotizzare che quanto fatto dal legislatore in tema di filiazione non sia il punto d’arrivo, ma che diventi fondamenta su cui “reggere” un intervento normativo che elimini le attuali enormi diseguaglianze relativamente ai rapporti di convivenza.