12 S Mastroianni Filiazione e famiglia non coniugale ULTIMO

CAPITOLO VIII
FILIAZIONE E FAMIGLIA NON CONIUGALE
SEZIONE I
FILIAZIONE E FAMIGLIA DI FATTO
ALLA LUCE DELLA LEGGE N. 219/2012 E DEL D. LGS. N. 154/2013.
di Santi Mastroianni
SOMMARIO. 1. Brevi cenni sulla legislazione precedente alla novella del
2012. – 2. La parentela. – 3. Lo stato giuridico di figlio. – 4. Il
riconoscimento. Profili di diritto sostanziale e di diritto processuale. - 5.
Ultimi privilegi normativi in favore dei figli nati in costanza di matrimonio
rimossi dal legislatore con il D.Lgs. n. 154/2013. Ulteriori prospettive di
riforma.
1. Brevi cenni sulla legislazione precedente alla novella del 2012.
Nell’ambito delle relazioni affettive non matrimoniali grande
interesse e rilievo giuridico, oltre che sociale, riveste la questione relativa ai
rapporti con la prole. Nel corso dei decenni, sono state notevoli le difficoltà
incontrate dal nostro legislatore nello scegliere, tra le opzioni possibili, quella
più adeguata alla tutela giuridica dei figli nati al di fuori della famiglia
coniugale.
La questione è estremamente delicata poiché sono riscontrabili
fattispecie in cui la mancanza di stabili relazioni familiari possono incidere
negativamente sul figlio1.
In altri termini, si è dovuto scegliere tra la tutela del figlio, in quanto
tale o in quanto appartenente a un nucleo familiare, definito (rapporto
1
Si pensi, fra le tante, all’ipotesi del figlio nato dalla relazione di un genitore
“naturale” con una donna sposata e alle conseguenti difficoltà, per il genitore e il
figlio, di instaurare un rapporto parentale di fatto accanto a quello formalmente
costituito con la madre e il marito ovvero all’altra dei figli di diversi genitori che
hanno dato vita a una famiglia ricomposta.
matrimoniale), indefinito (famiglia more uxorio) o difficilmente definibile
(rapporto prettamente occasionale), ossia se mantenere un atteggiamento di
tipo paternalistico, fondato sulla regola generale dell’incapacità del minore, o
normativo in favore del minore, riconoscendo allo stesso una particolare
capacità legale, svincolata dalla potestà parentale e dettata da esigenze di
maggiore protezione in ambito familiare, per come già avvenuto nella
legislazione speciale2.
Come meglio vedremo, man mano è emersa la tendenza a porre, come
nucleo centrale, la concezione personalistica degli interessi, dei diritti e
dell’agire del minore, considerando l’incapacità di agire di quest’ultimo come
fenomeno giuridico ben diverso e distinto dalle altre figure di incapacità,
quale quella dell’interdetto giudiziale o legale3.
Conseguentemente, si è posta la necessità di rivedere, tanto in termini
sostanziali che formali, la posizione giuridica di soggezione del minore alla
potestà dei genitori, nel senso di riconoscere almeno a quest’ultimo il diritto
di adottare delle scelte autonome e libere, attraverso la manifestazione del
consenso ovvero dell’assenso in relazione alle attività poste in essere dai
genitori stessi.
2
Cfr. MOSCATI, La tutela dei minori nel diritto privato, tra esigenze di protezione e
interesse sostanziale del minore, in Scritti in memoria di Giovanni Cattaneo, III,
Milano, 2002, p. 1519 ss., secondo cui, nel tempo, “dalla concezione del minore come
individuo soggetto di tutela si è passati sempre più spesso a parlare di interesse del
minore, giustificando in base a questa formula gli interventi, inizialmente timidi e poi
man mano più risoluti, a favore del minore”. Sulla normativa speciale, si pensi all’art.
1, l. 18 luglio 1986, n. 286, che riconosce al minore, studente di scuola secondaria
superiore, la capacità di scegliere autonomamente in merito all’insegnamento della
religione. Si veda anche l’art. 108, l. 22 aprile 1941, n. 633, sulla capacità del minore
ultra sedicenne di compiere tutti gli atti giuridici nel settore della protezione dei diritti
d’autore, relativamente alle opere di sua creazione.
3
Cfr. PALMERI, Diritti senza poteri. La condizione giuridica dei minori, Napoli,
1994, p. 104. Del resto, è bene precisare che la minore età va circoscritta al solo
negozio giuridico con contenuto patrimoniale e che, peraltro, il negozio concluso dal
minore non è nullo, ma solo annullabile, esclusa l’ipotesi di cui all’art. 1426 c.c.,
allorché non risponda ai requisiti della necessità o dell’utilità evidente per
quest’ultimo soggetto (si parla di efficacia non definitiva dell’atto rimuovibile
nell’ipotesi di non rispondenza agli interessi del minore).
In definitiva, è prevalso l’orientamento espansivo volto a riconoscere
delle situazioni soggettive direttamente ed esclusivamente esercitabili da parte
del minore e, come tali, non delegabili ad altri.
Della predetta opzione si è recentemente fatto carico il nostro
legislatore che ha modificato l’istituto giuridico della filiazione introducendo
la l. 17 dicembre 2012, n. 219, concernente disposizioni in materia di
riconoscimento dei figli naturali4.
Con la predetta legge, infatti, si è scelto di tutelare il figlio, in quanto
tale, procedendo all’eliminazione della dicotomia esistente tra figli legittimi e
naturali5.
4
L. 17 dicembre 2012, in G.U., 17 dicembre 2012, n. 293, con decorrenza parziale
dal 1 gennaio 2013. Si esamini anche il testo della Circ. Min. Int. 24 dicembre 2012,
n. 33, con la quale sono state dettate regole comportamentali agli Ufficiali dello Stato
Civile anche in relazione all’attribuzione del cognome ex art. 262 c.c. secondo cui “la
ratio della riforma in esame si rinviene nella volontà del Legislatore di addivenire al
superamento, nell'ordinamento nazionale, di ogni ineguaglianza normativa tra figli
legittimi e figli naturali, in virtù del principio della unicità dello status di figlio, con
conseguenti, significativi riflessi giuridici nella materia dello stato civile”.
5
Cfr. C. M. BIANCA, La legge italiana conosce solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, p. 2
ss., secondo cui, con detta legge, è stato introdotto “un nuovo diritto della filiazione
rispondente all’esigenza di un più giusto diritto di famiglia”, attraverso l’abolizione
dell’antica distinzione tra figli legittimi e figli non legittimi. L’autore fa espresso
richiamo, in merito, alle valutazioni di Henrich sulla riforma del diritto tedesco (v.
HENRICH, La riforma di filiazione in Germania, in Ann. diritto tedesco a cura di
Patti, 1998, p. 33). Tra i contributi più recenti sulla l. n. 219/2012 v. C.M. BIANCA,
La riforma del diritto della filiazione, note introduttive, in Nuove leggi civ. comm.,
2013, p. 437 ss.; VELLETTI, La nuova nozione di parentela, in Nuove leggi civ.
comm., 2013, p. 441 ss.; S. TROIANO, Le innovazioni alla disciplina del
riconoscimento del figlio naturale, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 451 ss.; T.
AULETTA, Riconoscimento dei figli incestuosi, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p.
475 ss.; FREZZA, Gli effetti del riconoscimento, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p.
493 ss.; BALESTRA, La legittimazione passiva nei procedimenti per la dichiarazione
di paternità o di maternità naturale, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 499 ss.; M.
BIANCA, Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, in Nuove leggi civ. comm., 2013,
p. 507 ss.; COSTANZA, I diritti dei figli: mantenimento, educazione, istruzione e
assistenza morale, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 526 ss.; BALLARINI e SIRENA,
Il diritto dei figli di crescere in famiglia e di mantenere rapporti con i parenti nel
quadro del superiore interesse del minore, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 534
Tale evoluzione normativa, infine, è stata completata con
l’emanazione del d.lgs. 28.12.2013, n. 154, adottato in attuazione dell’art. 2 di
tale novella del 20126.
I suddetti interventi legislativi, quindi, devono considerarsi punto
d’arrivo di un lungo processo di cambiamento finalizzato a perseguire
l’unicità di stato tra figli, appunto nell’intento di considerare questi ultimi
come soggetti che devono considerarsi parte di una famiglia o, meglio, di più
famiglie anche in assenza di un rapporto coniugale che lega, tra loro, i
genitori7.
ss.; C.M. BIANCA, Il diritto del minore all’ascolto, in Nuove leggi civ. comm., 2013,
p. 546 ss.; BELLELLI, I doveri del figlio, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 550 ss.;
PARADISO, Decadenza della potestà, alimenti e diseredazione nella riforma della
filiazione, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 557 ss.; PARADISO, L’abrogazione
delle disposizioni in materia di legittimazione dei figli naturali, in Nuove leggi civ.
comm., 2013, p. 586 ss.; PARADISO, Unicità dello stato di filiazione e unificazione
delle denominazioni, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 589 ss.; FERRANDO, La
nuova legge sulla filiazione. Profili Sostanziali, in Corr. Giur., 2013, p. 525 ss.;
FERRANDO, La nuova legge sulla filiazione. Profili Sostanziali, in Corr. Giur., 2013,
p. 525 ss. e B. DE FILIPPIS, La separazione nella famiglia di fatto, Padova, 2014, p.
110 e ss.. In controtendenza, cfr. LENTI, La sedicente riforma della filiazione, in
Nuova giur. civ. comm., 2013, II, p. 201 ss., per il quale, in buona sostanza, il
legislatore ha perso un’occasione per una vera riforma della filiazione. L’autore,
infatti, si spinge nel considerare la legge del 2012 come una “sedicente riforma”,
apostrofandola come “riformicchia”, auspicando che, con il d.lgs., di attuazione, “si
giunga a constatare l’inadeguatezza della legge n. 219 e, per conseguenza, a
stravolgere in radice l’impianto della delega contenuta nell’art. 2, oltre a dare un
adeguato riassetto tecnico a molte delle norme degli artt. 1 e 3”.
6
Cfr. d.lgs., 154/2013 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a
norma dell’art. 2, l., 10.12.2012, n. 219, pubblicato nella G.U., 8.1.2014, n. 5, entrato
in vigore il 7.2.2014). Il 12 luglio 2013 il Consiglio dei Ministri aveva già approvato,
su proposta del Presidente del Consiglio, del Vicepresidente e Ministro dell’Interno e
dei Ministri della Giustizia, del Lavoro e delle Politiche Sociali, dell'Integrazione, e
del Viceministro con delega alle Pari Opportunità, tale d.lgs. di revisione delle
disposizioni vigenti in materia di filiazione. Si tratta sostanzialmente del testo
predisposto dalla Commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri e presieduta dal prof. Cesare Massimo Bianca.
7
In questa direzione v. le riflessioni di RESCIGNO, La tutela dei figli nati fuori dal
matrimonio, in Matrimonio e famiglia. Cinquant’anni del diritto italiano, Torino,
Tale mutamento di rotta, per la verità, aveva trovato un primo punto
d’ancoraggio con l’introduzione della legge di riforma del diritto di famiglia
del 1975, con cui si è cercato di perseguire la parificazione tra figli legittimi e
naturali.
Adesso, con la novella del 2012, per come arricchita dal d.lgs. n.
154/2013, si è pervenuti a una visione unitaria e sistematica nell’ambito della
filiazione.
A tale processo, per molto tempo, è sembrato essere di ostacolo
l’interpretazione restrittiva dell’art. 29 Cost., secondo cui la Repubblica
riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio
e, per converso, non riconosce le convivenze di fatto, appunto perché non
fondate sul matrimonio8.
2000, p. 277. Cfr. anche DOSI, Figli naturali: con l'unificazione dello stato giuridico
una nuova rivoluzione bussa alle porte della famiglia, in Guida al dir., 2012, n. 24, p.
10 ss.
8
Interpretazione restrittiva volta, per di più, a frenare anche il riconoscimento delle
convivenze tra persone dello stesso sesso, quantunque con la risoluzione del 16 marzo
2000, il Parlamento Europeo, invece, aveva invitato gli Stati membri dell’Unione
Europea a garantire “alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle
coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie
tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e
diritti sociali”. Il predetto invito del Parlamento Europeo veniva raccolto solo da
alcuni Stati, tra i quali non vi era l’Italia. Chiamata a pronunciarsi sulla questione di
legittimità costituzionale del citato art. 29 Cost., la Corte Costituzionale, con la nota
sentenza 166 del 1998, respingeva tale eccezione, statuendo quanto segue: “la
convivenza more uxorio rappresenta l’espressione di una scelta di libertà dalle
regole che il legislatore ha sancito in dipendenza del matrimonio; da ciò deriva che
l’estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una
violazione dei principi di libera determinazione delle parti”. La Corte Costituzionale
precisava, altresì, che “la convivenza è un rapporto di fatto per definizione rifuggente
da qualificazioni giuridiche di diritti ed obblighi reciproci”. In altri termini, la Corte
considerava giuridicamente inammissibile procedere all’automatica estensione, in
favore delle famiglie di fatto, delle norme che disciplinano le coppie sposate, specie
in considerazione della “non omogeneità di situazioni” tra i due tipi di unione in
questione. Pur trattandosi ovviamente di principi più che opinabili, sta di fatto che un
vero e proprio riconoscimento della convivenza, tampoco una parificazione della
stessa al matrimonio, non vi è ancora, e ciò quantunque si possano segnalare alcune
sentenze su casi singoli (cfr. Cass. 16 settembre 2008, n. 23725, in Mass. Giur. it.,
Per superare questo presunto o, meglio, apparente ostacolo, in quanto
dettato più da spinte di stampo ideologico e religioso, sembra che, con la
riforma del 2012, il legislatore abbia scelto di dare assoluto rilievo a un’altra
norma di pari rango, ossia all’art. 30 Cost., il quale garantisce il diritto e il
dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori
dal matrimonio, assicurando, al comma 3°, ai figli nati fuori dal matrimonio
ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della
famiglia legittima.
Conseguentemente, con l’introduzione della novella del 2012, si è
ritenuto di separare la “questione” figli da quella delle coppie, reputando, che,
quantunque la Costituzione, all’art. 30, sembri non volere legittimare l’unione
di fatto tra due soggetti, di certo riconosce l’esistenza di una famiglia di tipo
legale, avuto riguardo ai rapporti che sorgono tra ciascun genitore e i figli. Il
legislatore ha, così, optato per apprestare ogni forma di tutela “giuridica e
sociale” a favore di questi ultimi, anche se nati fuori dal matrimonio, e ciò,
appunto, a prescindere dall’inciso, contenuto al comma 3° della suddetta
norma, sulla compatibilità di tale tutela con i diritti dei membri della famiglia
legittima9.
2008, per la quale “il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito concretatosi in
un evento mortale va riconosciuto - con riguardo sia al danno morale, sia a quello
patrimoniale, che presuppone, peraltro, la prova di uno stabile contributo economico
apportato, in vita, dal defunto al danneggiato - anche al convivente "more uxorio" del
defunto stesso, quando risulti dimostrata tale relazione caratterizzata da tendenziale
stabilità e da mutua assistenza morale e materiale”) oppure isolati interventi
legislativi, tra i quali è opportuno annoverare la l. 5 aprile 2001, n. 154, con la quale
risulta estesa al convivente la tutela dagli abusi familiari, prevedendo, nel disporre
l’allontanamento dalla casa familiare del responsabile, che quest’ultimo possa essere
condannato al pagamento di un assegno a favore del convivente, allorché, dopo
l’allontanamento, rimanga privo di mezzi adeguati.
9
Al riguardo, sorregge tale assunto l’enunciazione contenuta nella l. 25 ottobre 1977,
n. 881 (di ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici,
sociali e culturali, nonché del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici,
con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il
16 e il 19 dicembre 1966), laddove, all’art. 24, si sancisce che: “ogni fanciullo, senza
discriminazione alcuna fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione,
l’origine nazionale o sociale, la condizione economica o la nascita, ha diritto a quelle
Passando all’esame del nuovo testo legislativo, infatti, si nota
immediatamente la scomparsa dell’aggettivo “naturale”, precedentemente
adottato dalla legge di riforma del diritto di famiglia, per configurare lo stato
del figlio nato fuori dal matrimonio e, quindi, per differenziarlo dal figlio
legittimo, nato in costanza di matrimonio, forse che quest’ultimo non fosse
anch’esso naturale.
In realtà, l’uso dell’aggettivo “naturale”, nella sua accezione
giuridica, era stato già una grande conquista, ove solo si consideri che la citata
definizione si sostituiva alla precedente “etichetta” di figlio illegittimo e con
ciò senza trascurare altre accezioni utilizzate, persino di natura infamante,
come quella di figlio adulterino e incestuoso.
La modifica linguistica, dunque, è stata una grande conquista,
essendo sufficiente precisare, al riguardo, la portata concettuale ben diversa
che assumeva l’utilizzo di due aggettivi antitetici (legittimo e illegittimo).
I figli naturali acquisivano, pertanto, una sorta di status pressoché
neutro, rispetto a quello sostanzialmente discriminatorio che si era voluto
attribuire in precedenza.
La suddetta contrapposizione, peraltro, non era solo terminologica,
giacché vi erano notevoli differenze di natura sostanziale. Tanto nel codice
civile del 1865 quanto in quello del 1942, nella sua formulazione ante riforma
del 1975, lo status di figlio legittimo non poteva minimamente essere
accostato, tampoco paragonarsi, a quello di figlio illegittimo. Quantunque il
codice civile del 1942 contenesse molte novità e innovazioni avuto riguardo
allo status del figlio naturale, rispetto a quanto fosse previsto nel precedente
codice civile del 1865, la sola filiazione legittima godeva di ampia tutela,
tanto formale quanto sostanziale, nei confronti sia dei genitori, obbligati al
mantenimento, all'educazione ed all'istruzione, sia degli ascendenti, anch'essi
tenuti al mantenimento e persino da parte dei parenti, i quali erano
assoggettati, in alcune ipotesi, all'obbligo alimentare. 10.
misure protettive che richiede il suo stato minorile, da parte della sua famiglia, della
società e dello Stato”.
10
Cfr. artt. 147, 148 e 433 c.c. nella loro formulazione originaria. È, peraltro, utile
precisare che, avuto riguardo ai figli naturali, il legislatore si limitava a un semplice
richiamo attraverso l’art. 261 c.c. I figli naturali riconosciuti potevano godere
d'identica tutela, ma solo nei riguardi del genitore che aveva effettuato il
riconoscimento; invece, ai figli non riconosciuti o non riconoscibili era attribuita una
Pertanto, nei suddetti codici, adottati sulla falsariga di quello
napoleonico, la filiazione legittima era nettamente contrapposta a quella
illegittima.
La famiglia fondata sul matrimonio, dunque, era considerata l’unico
modello giuridicamente e legalmente possibile in cui la filiazione poteva
trovare piena dignità e ampia protezione. In buona sostanza, il legislatore
reputava legittima e lecita la filiazione solo se originata da genitori uniti in
matrimonio, che, d’altronde, all'epoca, era indissolubile. Per converso, i nati
da unioni di fatto o da rapporti occasionali, specie se in conflitto col vincolo
protezione limitata, potendo essi ricevere dal genitore solo un sussidio di natura
alimentare (cfr. art. 279 c.c., nel testo ante d.lgs. n. 154/2013). Si aggiungano le
significative differenze in materia successoria. Il figlio naturale aveva diritto a una
porzione della quota riservata di patrimonio del defunto genitore, pari alla metà di
quella attribuita al figlio legittimo e con il limite di un terzo del patrimonio da
garantire comunque a quest’ultimo (cfr. art. 574 c.c. nel testo ante riforma). Si vedano
anche gli artt. 575 e 576 c.c., norme queste tutte abrogate dall’art. 187, l. 19 maggio
1975, n. 151.E, in dettaglio, ai figli non riconosciuti e non riconoscibili, dunque ai
figli incestuosi e adulterini, salvi i casi previsti rispettivamente dagli artt. 251 e 252
c.c., nel testo previgente, era invece attribuito unicamente un assegno vitalizio di
natura alimentare, il cui ammontare era determinato avuto riguardo alle sostanze
ereditarie e al numero e alla qualità degli eredi (cfr. il testo del previgente art. 580
c.c.). Si noti, infatti, che, allora, i figli adulterini - ossia quelli concepiti da un genitore
mentre era legato da rapporto coniugale con persona diversa dall’altro genitore – non
potevano addirittura essere riconosciuti dal primo, a eccezione dell’ipotesi
scioglimento del matrimonio per la morte dell’altro coniuge. Si esaminino anche gli
artt. 592, 599 e 738 c.c. in tema di collazione ereditaria. Si pensi poi alla successione
per rappresentazione, condizionata dalla legittimità di filiazione e limitata dall’art.
468 c.c. ai soli discendenti dei figli naturali (cfr. il testo ante riforma). Si consideri,
inoltre, che i figli naturali, in ipotesi di filiazione giudizialmente dichiarata e
riconosciuta, non potevano ricevere, per testamento, più di quanto avrebbero potuto
conseguire qualora la successione fosse stata devoluta secondo legge: cfr. art. 592,
comma 1°, c.c. (con ovvia e conseguente limitazione dell’autonomia testamentaria il
de cuius, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto agevolare i propri figli naturali,
facendo conseguire agli stessi una maggiore quota di eredità). Per non trascurare la
posizione più gravosa per i figli solo riconoscibili, di cui al comma 2° dell’art. 592
c.c., e di quelli non riconoscibili ai sensi dell’art. 593 c.c. Sulle modifiche apportate
alle suddette norme dalla novella del 2012 e, in particolare, dal d.lgs. n. 154/2013 si
vedano i successivi paragrafi.
matrimoniale, subivano un trattamento secondario, se non per relationem, e
improntato per gran parte alla sommarietà.
Il legislatore, dunque, aveva concentrato la sfera protettiva sul solo
nucleo legittimo, mentre si era limitato a disciplinare, con atteggiamento
incidentale, la relazione individuale tra genitore e figlio, ove riconosciuto dal
primo, e ciò anche nel non celato fine di evitare che si potesse profilare, come
ammissibile, una struttura familiare parallela o, più correttamente,
contrapposta a quella legittima.
Naturalmente, la tutela del nucleo familiare legittimo, che come si è
detto costituiva l’obiettivo primario per il nostro codice civile, determinava
una seria penalizzazione delle posizioni individuali con esso confliggenti, e in
modo particolare quella relativa ai figli adulterini.
In buona sostanza, era stata costruita una trincea attorno alla famiglia
“legittima” (rectius: fondata sul matrimonio), con il chiaro intento di impedire
che i rapporti di filiazione fuori dal matrimonio, ancorché oggetto di
riconoscimento spontaneo o giudiziale, potessero conseguire una diversa
rilevanza al di fuori di quella prettamente alimentare.
Tale sfavore era, per come già accennato, incrementato e
notevolmente rafforzato da una forte pressione di stampo conservatrice e
ideologica, che mirava a impedire ogni forma di riconoscimento delle unioni
realizzatesi al di fuori del matrimonio. Secondo questa opinione tradizionale,
al di fuori della famiglia legittima, vi era il disordine, non solo dal punto di
vista strettamente giuridico, ma anche sul piano etico e sociale.
Alla distorsione di sistema, tuttavia, neanche la famiglia matrimoniale
sfuggiva, perché detta costruzione rigida perveniva a conseguenze opposte,
laddove, con la c.d. presunzione di paternità, era agevolato l’acquisto e lo
status di figlio legittimo anche in contrapposizione alla verità biologica della
procreazione.
Il superamento di detta contrapposizione tra figli legittimi e
illegittimi, prima, e tra figli legittimi e naturali, poi, è risultato, tuttavia, molto
lento e, per come si è detto, è stato notevolmente favorito dall’entrata in
vigore della Carta Costituzionale, che, all'art. 30, ha sancito il dovere e il
diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori
dal matrimonio.
Altro momento cruciale di cambiamento di rotta si è avuto, per come
anticipato, grazie alla riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha disposto
la parificazione tra le due categorie di figli e l'abolizione di quei divieti che, di
fatto, impedivano l'accertamento della verità biologica e proteggevano, anche
contro l'evidenza, il nucleo legittimo11.
In sintesi, con la suddetta normativa, indipendentemente dalla natura
della filiazione, il figlio riconosciuto riceveva piena tutela giuridica nei
confronti del genitore; si determinava l’omogeneità del rapporto di filiazione
e ciò a prescindere dal fatto che la procreazione fosse avvenuta o meno in
costanza di matrimonio. Tale processo, finalizzato a eliminare ogni differenza
tra figli legittimi e naturali, veniva ulteriormente confermato dal legislatore
del 2006, che, nel sancire il principio della bigenitorialità e nel dettare le
norme in tema di affidamento condiviso, unificava le regole sostanziali
applicabili, che sono divenute identiche anche per i procedimenti relativi a
figli di genitori non coniugati12.
11
Infatti, la parità è stata stabilita sia nell'ambito dei rapporti personali - si veda il
chiaro tenore dell’art. 261 c.c. - sia successori - si vedano gli artt. 468, 536 e 537 c.c.
nel testo previgente. Inoltre, si vedano le norme che hanno rimosso il divieto
dell'accertamento giudiziale nei riguardi dei figli adulterini e - a seguito di un
successivo intervento della Corte Costituzionale - di quelli nati da genitori legati da
vincoli di parentela in linea retta e in linea collaterale nel secondo grado ovvero di
affinità in linea retta, e quelle che hanno fissato i principi della libertà della prova (cfr.
art. 269 c.c. nel testo previgente) e dell'imprescrittibilità dell'azione (cfr. art. 270 c.c.
nel testo previgente), consentendo al figlio “naturale” di poter conseguire
agevolmente l'accertamento del proprio status giuridico. Sulle modifiche apportate
alle suddette norme dalla novella del 2012 e, in particolare, dal d.lgs. n. 154/2013 si
vedano i successivi paragrafi.
12
Cfr. art. 4, comma 2°, l. 8 febbraio 2006, n. 54. In questa direzione v. Cass. 10
maggio 2011, n. 10265, in Nuova. giur. civ. comm., 2011, I, con nota di Sesta,
L’esercizio della potestà sui figli naturali dopo la l. n. 54/2006: quale sorte per l’art.
317 bis cod. civ.?, p. 1203 ss., secondo cui la disciplina dettata dalla suddetta legge si
fonda sulla volontà del legislatore di attribuire maggiore centralità all’interesse della
prole rispetto alle conseguenze della disgregazione del rapporto di coppia dei genitori
e, correlativamente, si propone di assegnare una più intensa e comune attribuzione di
responsabilità ad entrambi i genitori nell’educazione e nella cura della prole. La
predetta interpretazione aveva sostanzialmente consentito di ritenere l’abrogazione
implicita dell’art. 155, comma 2°, seconda parte, c.c. (nel testo previgente) e dell’art.
317-bis c.c. (nel testo previgente), ritenendo tale effetto più adatto a garantire
l’esplicazione del principio di bigenitorialità anche nel caso di filiazione
extraconiugale, in modo da evitare disparità di trattamento tra figli legittimi e non
legittimi e da svincolare l’attribuzione della potestà genitoriale ad entrambi i genitori
Questa scelta legislativa ha determinato anche l’attenuazione del gap
giuridico esistente tra la famiglia “naturale” o “di fatto”, che dir si voglia, e
quella matrimoniale, riguardo ai rapporti di filiazione, rispetto ai quali il
matrimonio sembra che abbia, sostanzialmente, perduto quell’assoluta
supremazia che lo aveva sino ad allora caratterizzato13.
Restava, tuttavia, un profilo di maggiore differenziazione tra
filiazione legittima e naturale, ossia quello che riguardava i rapporti di
parentela, quantunque le novità introdotte, con la riforma del 1975, avevano
almeno determinato una seria riflessione sul tema14.
dalla sussistenza o meno della convivenza tra loro. Sulle significative modifiche
apportate alle suddette norme dalla novella del 2012 e, in particolare, dal d.lgs. n.
154/2013 si vedano i successivi paragrafi.
13
Alla perdita di supremazia, peraltro, va aggiunta anche una sensibile apertura
giurisprudenziale verso il tema delle unioni di fatto, anche di natura omosessuale, in
relazione al rapporto con i figli. Si veda, infatti, in tema di affidamento di figlio nato
fuori dal matrimonio, per una recente e assai discussa sentenza della Suprema Corte
secondo la quale “disposto dal tribunale dei minorenni, l’affidamento del figlio nato
fuori dal matrimonio, in via esclusiva, alla madre legata da stabile relazione
omosessuale con altra donna, è onere del padre – che solleciti un affidamento
condiviso e la verifica dell’idoneità dell’ambito familiare della madre - dare la prova
delle ripercussioni negative, sul piano educativo e della crescita del bambino,
dell’ambiente familiare della madre” (cfr. Cass., 11 gennaio 2013, n. 601, in Guida al
dir., 2013, p. 16 ss.).
14
Il tenore letterale dell’art. 74 c.c., nel testo previgente, menzionava, infatti, solo la
comune discendenza senza ulteriori specificazioni. Per la verità, si erano individuate
delle disposizioni in cui assumeva rilevanza il rapporto tra il figlio naturale ed i
parenti del genitore: v. l’art. 148 c.c. nel testo previgente, che stabiliva il dovere degli
ascendenti legittimi o naturali di fornire, in ordine di prossimità, ai genitori privi di
mezzi sufficienti quanto necessario affinché questi possano, a loro volta, adempiere ai
loro doveri nei confronti dei figli (cfr. adesso, art. 316-bis c.c., comma 1°); si veda,
altresì, il comma 1° dell’art. 155 c.c. nel testo previgente, introdotto dalla citata l. 8
febbraio 2006, n. 54, che trovando applicazione anche alla filiazione naturale,
stabiliva che, anche in caso di separazione personale dei genitori, il minore ha diritto a
mantenere rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo
genitoriale; cfr., ancora, il previgente art. 433, nn. 2 e 3, c.c., il quale parificava i
discendenti e gli ascendenti naturali ai legittimi in ordine agli alimenti; si veda, infine,
il previgente art. 467 c.c., che riconosceva ai figli naturali il diritto di succedere per
rappresentazione in luogo del proprio ascendente che non volesse o non potesse
Anche al fine di superare l’impasse normativo, per come accennato in
precedenza, è stata introdotta la legge n. 219/2012, licenziata dopo un
laborioso iter parlamentare, ma non eccessivamente lungo, essendosi concluso
per intero durante la XVI legislatura, circostanza questa senz’altro degna di
nota, ove si consideri che, di norma, si assiste a tempi di gran lunga maggiori,
se non biblici, per l’approvazione di riforme legislative di tale portata e
spessore15.
Tale impulso, per la verità, era stato determinato anche dalla necessità
di allinearsi ai principi sanciti a livello internazionale e, in particolare, dal
forte impulso che perveniva dalla portata degli artt. 8 e 14 della Convenzione
Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali16.
accettare l'eredità. Anche le suddette norme risultano modificate dalla novella del
2012 e, in particolare, dal d.lgs. n. 154/2013 (si vedano i successivi paragrafi).
15
Tale processo ha avuto inizio in data 16 marzo 2007, con l’approvazione da parte
del Consiglio dei Ministri di un disegno di legge delega in materia di filiazione,
finalizzato a equiparare la filiazione naturale, dunque i figli nati fuori dal matrimonio
o da matrimonio c.d. putativo, a quella legittima, in base al dettato di cui all’art. 30
Cost. (cfr. Lavori Parlamentari Camera dei Deputati, atto n. 2519, esaminato in aula il
28 e il 29 giugno 2011, con approvazione del 30 giugno 2011 in un testo unificato con
gli atti n. 3184, n. 3247, n. 3516, n. 3915, n. 4007 e n. 4054; Senato della Repubblica,
atto n. 2805, esaminato l’8 e il 15 maggio 2012 e approvato con modificazioni il 16
maggio 2012; Camera dei Deputati, atti n. 2519, n. 3184, n. 3247, n. 3516, n. 3915, n.
4007 e n. 4054, esaminato il 26 novembre 2012 e approvato il 27 novembre 2012.
16
Cfr. Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, 04
novembre 1950. Il testo della Convenzione è presentato così come modificato dalle
disposizioni del Protocollo n. 14 (STCE n. 194) a partire dalla sua entrata in vigore il
10 giugno 2010. Il testo della Convenzione era stato precedentemente modificato
conformemente alle disposizioni del Protocollo n. 3 (STE n. 45), entrato in vigore il
21 settembre 1970, del Protocollo n. 5 (STE n. 55), entrato in vigore il 20.12.1971 e
del Protocollo n. 8 (STE n. 118), entrato in vigore il 10 gennaio 1990. Esso
comprendeva inoltre il testo del Protocollo n. 2 (STE n. 44) che, conformemente al
suo articolo 5, paragrafo 3, era divenuto parte integrante della Convenzione dal 21
settembre 1970, data della sua entrata in vigore. Tutte le disposizioni che erano state
modificate o aggiunte dai suddetti Protocolli sono state sostituite dal Protocollo n. 11
(STE n. 155) a partire dalla data della sua entrata in vigore, il 10 novembre 1998.
Inoltre, a partire da questa stessa data, il Protocollo n. 9 (STE n. 140), entrato in
vigore il 10 ottobre 1994, era stato abrogato e il Protocollo n. 10 (STE n. 146) era
divenuto senza oggetto. Lo stato attuale delle firme e ratifiche della Convenzione e
Questo percorso normativo evolutivo e innovativo, per come
anzidetto, è stato, in seguito, completato e arricchito dal legislatore con
l’entrata in vigore del d.lgs. n. 154/201317.
Con tale ultimo provvedimento, in particolare, il legislatore ha cercato
di modellare, integrare e sostituire l’assetto e il sistema normativo con la
chiara finalità di risolvere positivamente tutte quelle questioni e disparità (non
solo terminologiche) lasciate irrisolte ancorché paventate dalla legge del
2012.
dei suoi Protocolli nonché la lista completa delle dichiarazioni e riserve sono
disponibili sul sito Internet www.conventions.coe.int. Fanno fede unicamente le
versioni inglese e francese della Convenzione. L’art. 8, Diritto al rispetto della vita
privata e familiare, così recita “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita
privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi
ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale
ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una
società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il
benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o
della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”. L’art. 14, Divieto di
discriminazione, così dispone: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti
nella presente Convenzione deve essere assicurato, senza distinzione di alcuna
specie, come di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione, di opinione politica
o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza a una minoranza
nazionale di ricchezza, di nascita o di altra condizione”. Al riguardo, è utile
richiamare una pronuncia della Corte di Strasburgo (cfr. Corte giust. CEE, 21
giugno1988, Berrebab contro Paesi Bassi, in www.echr.coe.int), secondo cui “è il
fatto stesso della nascita a far sorgere un legame tra genitori e il minore”. Si veda
anche altra decisione della Corte giust. CEE dei diritti dell’uomo, emessa in data 27
ottobre 1994, Kroon contro Olanda, in www.echr.coe.int, sul diritto del minore a
conoscere la verità biologica in tema di filiazione.
17
Tale intervento normativo, adesso entrato in vigore, si compone di quattro titoli,
nello specifico: il Titolo I, recante modifiche al codice civile in materia di filiazione
(artt. da 1 a 92); il Titolo II inerente con modifiche ai codici penale, di procedura
penale e di procedura civile in materia di filiazione (artt. da 93 a 95); il Titolo III (artt.
da 96 a 103), concernente le modifiche alle leggi speciali in materia di filiazione
(R.D. 30.3.1942, n. 318; l. 21.11.1967, n. 1185; l. 1.12.1970, n. 898, l. 22.5.1978, n.
194, l. 4.5.1983, n. 184; l. 31.5.1995, n. 218; l. 19.2.2004, n. 40 e d.lgs. 3.2.2011,
n.71) e il Titolo IV (artt. da 104 a 108) recante disposizioni transitorie e finali.
Dopo avere disposto una rimozione puntuale e dettagliata delle
predette locuzioni “linguistiche” discriminatorie, ancora contenute in seno a
numerosi articoli dei codici civile, penale, di procedura civile e di procedura
penale, ha, infatti, introdotto una puntuale norma di chiusura (art. 105), con la
quale, nel chiaro intento di rimuovere ogni possibile ulteriore diseguaglianza,
ha stabilito la sostituzione in tutta la legislazione vigente delle parole
(ovunque presenti) “figli legittimi” e “figlio legittimo” rispettivamente con
“figli nati nel matrimonio” e “figlio nato nel matrimonio”, delle parole “figli
naturali”, “figlio naturale”, “figli adulterini” o “figlio adulterino”
rispettivamente con “figli nati fuori del matrimonio” e “figlio nato fuori del
matrimonio” nonché la soppressione delle parole “figli legittimati”, “figlio
legittimato”, “legittimato” e “legittimati”18.
18
Si precisa che l’art. 105 ha anche disposto la sostituzione in tutta la legislazione
vigente delle parole (ovunque presenti) “potestà genitoriale” con “responsabilità
genitoriale” (su questa nuova figura v. infra § 3). Tale decreto attuativo ha, inoltre,
previsto delle disposizioni transitorie in modo piuttosto articolato e preciso,
quantunque a una prima lettura possa apparire farraginoso e contorto Su tali
disposizioni transitorie si esami l’art. 104, che così testualmente dispone: “1. Fermi
gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre
2012, n. 219, sono legittimati a proporre azioni di petizione di eredità, ai sensi
dell'articolo 533 del codice civile, coloro che, in applicazione dell'articolo 74 dello
stesso codice, come modificato dalla medesima legge, hanno titolo a chiedere il
riconoscimento della qualità di erede. 2. Fermi gli effetti del giudicato formatosi
prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, possono essere
fatti valere i diritti successori che discendono dall'articolo 74 del codice civile, come
modificato dalla medesima legge. 3. Le disposizioni di cui al comma 1 e al comma 2
si applicano anche nei confronti dei discendenti del figlio, riconosciuto o la cui
paternità o maternità sia stata giudizialmente accertata, morto prima dell'entrata in
vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219. 4. I diritti successori che discendono
dall'articolo 74 del codice civile, come modificato dalla legge 10 dicembre 2012, n.
219, sulle eredità aperte anteriormente al termine della sua entrata in vigore si
prescrivono a far data da suddetto termine. 5. Nei casi in cui i riconoscimenti o le
dichiarazioni giudiziali di genitorialità intervengano dopo il termine di entrata in
vigore della presente legge, i diritti successori che non sarebbero spettati a persona
deceduta prima di tale termine possono essere fatti valere dai suoi discendenti in
rappresentazione e dai suoi eredi. Essi si prescrivono a far data dall'annotazione del
riconoscimento nell'atto di nascita o dal passaggio in giudicato della sentenza
dichiarativa della paternità o maternità.6. Fermi gli effetti del giudicato formatosi
Di certo, ci troviamo di fronte uno scenario qualificabile come una
grande conquista giuridica e normativa, avendo il legislatore quasi se non del
tutto completato il percorso possibile verso un assetto oramai unitario della
filiazione, rimasto incompiuto per quasi quarant’anni.
2. La parentela.
Il figlio riconosciuto, grazie alla novella del 2012, viene chiamato ad
essere parte della famiglia di ciascun genitore, nel senso che, per questo solo
status, diventa automaticamente un componente di tali nuclei anche in assenza
di un rapporto che lega, tra loro, i due genitori, qualunque sia la tipologia di
prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, nei giudizi
promossi ai sensi dell'articolo 533 del codice civile, pendenti alla data di entrata in
vigore del presente decreto legislativo, si applicano l'articolo 74 del codice civile,
come modificato dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, e le disposizioni del libro
secondo del codice civile, come modificate dal presente decreto legislativo. 7. Fermi
gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre
2012, n. 219, le disposizioni del codice civile, come modificate dal presente decreto
legislativo, si applicano alle azioni di disconoscimento di paternità, di reclamo e di
contestazione dello stato di figlio, relative ai figli nati prima dell'entrata in vigore del
medesimo decreto legislativo.8. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima
dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, le disposizioni del codice
civile relative al riconoscimento dei figli, come modificate dalla medesima legge, si
applicano anche ai figli nati o concepiti anteriormente all'entrata in vigore della
stessa. 9. Fermi gli effetti del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della
legge 10 dicembre 2012, n. 219, i termini per proporre l'azione di disconoscimento di
paternità, previsti dal quarto comma dell'articolo 244 del codice civile, decorrono
dal giorno dell'entrata in vigore del presente decreto legislativo. 10. Fermi gli effetti
del giudicato formatosi prima dell'entrata in vigore della legge 10 dicembre 2012, n.
219, nel caso di riconoscimento di figlio annotato sull'atto di nascita prima
dell'entrata in vigore del presente decreto legislativo, i termini per proporre l'azione
di impugnazione, previsti dall'articolo 263 e dai commi secondo, terzo e quarto
dell'articolo 267 del codice civile, decorrono dal giorno dell'entrata in vigore del
medesimo decreto legislativo. 11. Restano validi e non possono essere modificati gli
atti dello stato civile già formati secondo le disposizioni vigenti alla data di entrata in
vigore della legge 10 dicembre 2012, n. 219, salve le modifiche risultanti da
provvedimenti giudiziari”.
filiazione: ne discende, conseguentemente, un rapporto unico e unitario tra
figlio e ciascun genitore e tra il primo e la parentela di quest’ultimo.
Con la riforma, scompare, per i figli, l’idea della famiglia basata sul
matrimonio, dovendo ritenersi fondata sull’affectio familiaris. L’art. 74 c.c.,
nella nuova formulazione, definisce, infatti, la parentela, nel segno del
predetto principio affermatosi di unitarietà della filiazione, come il “vincolo
tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la
filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è
avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo”,
escludendo l’insorgenza di detto vincolo solo nell’ipotesi di adozione di
persone maggiorenni d’età di cui agli artt. 291 ss. c.c.19.
Quest’ultima limitazione, in termini di esclusione, sembra
condivisibile sul piano squisitamente ontologico e coerente dal punto di vista
ordinamentale, poiché il maggiorenne, una volta adottato, diviene titolare di
uno status aggiuntivo che non sostituisce ma che si affianca a quello già
esistente tra quest’ultimo e i suoi effettivi genitori.
Il novellato art. 74 c.c. segna, in particolare, una svolta epocale avuto
riguardo al riconoscimento giuridico della parentela in linea collaterale,
consentendo di potere finalmente considerare, tra loro, fratelli i figli di
genitori ancorché non legati da vincolo coniugale.
A questa disposizione, infatti, si allaccia, inoltre, quella che modifica
il testo dell’art. 258 c.c., in base al quale “il riconoscimento produce effetti
riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso”.
Tali disposizioni rendono effettiva la parentela che, sino alla novella
del 2012, era sostanzialmente solo “accennata” dal legislatore, tra i nonni e i
figli naturali dei loro figli, in tema di successione legittima e necessaria in
linea retta discendente. Ne consegue che, in forza delle citate disposizioni, il
figlio, una volta conseguito tale status per effetto del riconoscimento, diventa
19
Cfr. art. 74 c.c., nella precedente formulazione: “La parentela è il vincolo tra le
persone che discendono da uno stesso stipite”. Sul tema, v. VELLETTI, La nuova
nozione di parentela, cit., p. 441 ss. Secondo l’A., la legge n. 219/2012 “ha rimosso
una delle più odiose discriminazioni che prima della sua entrata in vigore colpivano i
figli nati da genitori non coniugati”. Quest’ultima conclude sostenendo, in modo del
tutto condivisibile, che “il nuovo art. 74 c.c. costituisce il punto di arrivo di un lungo
cammino verso il superamento di ogni discriminazione tra figli, e costituisce uno dei
punti maggiormente qualificanti e condivisibili della riforma del 2012”.
parente delle persone che discendono dallo stipite di ciascun genitore: il
figlio, come si è visto, adesso viene a trovarsi di diritto inserito in due
famiglie, quella paterna e quella materna, anche se tra loro non comunicanti.
La parentela, pertanto, sussiste, non solo dal punto di vista dinamico
relazionale e squisitamente affettivo, ma, anche e soprattutto, sul piano
giuridico formale, tra genitori e figli, tra fratelli, tra figlio e ascendenti del
genitore, tra figlio e fratelli del genitore e tra figlio e cugini (figli dei fratelli
del genitore), a prescindere dal fatto che si verte in tema di figli nati dentro o
fuori dal matrimonio.
A sommesso avviso di chi scrive, e per come si è anticipato, si può
rispondere positivamente all'interrogativo sulla coerenza di questo nuovo
assetto rispetto a quanto enunciato dal predetto art. 29, comma 1°, Cost., che
pone il matrimonio quale elemento costitutivo della famiglia, e ultimo comma
dell’art. 30 Cost.
Si può sostenere, in particolare, che l’art. 2 Cost. viene in soccorso a
tale considerazione, poiché, con riguardo ai figli, la famiglia di cui, con il
suddetto intervento legislativo, questi ultimi sono chiamati a essere
componenti, rispetto a loro, non è più qualificabile come “di fatto” bensì
come “di diritto”.
Pertanto, in virtù delle disposizioni in esame, il matrimonio non si
configura più quale necessario presupposto per dar vita a relazioni familiari
legalmente riconosciute, le quali, infatti, sorgono oramai indipendentemente
dalla sussistenza di tale vincolo coniugale, permanendo come indispensabile
presupposto necessario il solo riconoscimento, per come regolato e
disciplinato dall’art. 250 c.c. ovvero la dichiarazione giudiziale di paternità o
di maternità ai sensi dell’art. 269 c.c.: semmai, il vincolo matrimoniale, ora,
continua a dispiegare effetti esclusivamente con riguardo al rapporto tra
coniugi, non potendo più influire sui rapporti giuridici della loro
discendenza20.
L'intervento del legislatore del 2012 ha, dunque, reso possibile il
diretto inserimento del figlio, nato fuori dal matrimonio, nel gruppo familiare
del proprio genitore, avendo, infatti, previsto il sorgere del vincolo di
20
È utile sottolineare, sin d’ora, che, con l’art. 30, d.lgs., n. 154/2013, il legislatore è
intervenuto correttamente, modificando l’art. 269 c.c., con la soppressione della
parola “naturale” ovunque presente in questa norma.
parentela che, inequivocabilmente, sancisce l'appartenenza del primo alla
famiglia del secondo.
In definitiva, può sintetizzarsi precisando che, per effetto della nuova
legge, nessun rilievo è più chiamato ad assumere l’esistenza o meno di un
vincolo coniugale dal quale discende la filiazione, avendo lasciato il campo ad
un nuovo assetto legale della famiglia, fondato sic et simpliciter sui legami di
consanguineità.
Il predetto assunto trova conferma per effetto della recente adozione
del d.lgs. n. 154/2013. Con l’art. 42, che ha sostituito l’art. 317-bis c.c.
(rubricato “Rapporti con gli ascendenti”), il legislatore prevede, infatti, che
gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti
minorenni. E, ancora, con l’art. 2 (che ha così modificato l’art. 128, comma
2°, c.c.), stabilisce che “Il matrimonio dichiarato nullo ha gli effetti del
matrimonio valido per i figli”, mentre, con l’art. 23 (che ha modificato l’art.
252 c.c., peraltro intitolando la rubrica “Affidamento del figlio nato fuori dal
matrimonio e suo inserimento nella famiglia del genitore”), ha introdotto, con
il comma 4°, il possibile ricorso al giudice in caso di disaccordo tra i genitori
ovvero in caso di mancato consenso degli altri figli conviventi 21.
3. Lo stato giuridico di figlio.
La visione unitaria della filiazione trova, tuttavia, maggiore
consacrazione nel novellato art. 315 c.c., il quale stabilisce che tutti i figli
hanno lo stesso stato giuridico, e nel nuovo art. 315 bis c.c., laddove compare
una sorta di statuto dei diritti del figlio.
Quest’ultima norma sancisce, infatti, la reciprocità dei diritti e doveri
tra genitori e figli, superando la semplice enunciazione dei doveri di natura
economica dei figli verso i genitori per come contemplata dall’art. 315 c.c. nel
testo previgente.
21
Cfr. ancora gli artt. 39, 40 e 41, d.lgs. n. 154/2013 (dei quali si dirà appresso). Si
vedano pure l’art. 55 che ha introdotto gli artt. 337-bis, 337-ter, 337-quater, 337quinquies, 337-sexies, 337-septies e 337-octies, prevendendone l’ambito
d’applicazione non solo in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti
civili, annullamento, nullità del matrimonio, ma anche nei procedimenti relativi ai
figli nati fuori dal matrimonio (v. infra § 3).
Il legislatore ha, in altri termini, dato vita alla costruzione giuridica o,
comunque, al riconoscimento normativo con portata generale del rapporto
paritario tra genitore e figlio, stabilendone, infatti, una sorta di reciprocità e un
forte interscambio, così distanziandosi anni luce dalla concezione romanistica
della famiglia a struttura piramidale e monocratica, con a capo il pater
familias22.
Il valore essenziale, che è alla base dell’art. 315-bis c.c., ma che
sembra pervadere tutta la legge n. 219/2012 e il successivo d.lgs. n. 154/2013,
è quello del diritto del figlio all’assistenza morale da parte dei genitori23.
Pare, a sommesso avviso di chi scrive, che il legislatore abbia voluto
ergersi a tutore del figlio, riconoscendo, più o meno celatamente, valenza
giuridica a obblighi genitoriali non prettamente di tale natura giuridica. In altri
termini, con la norma in esame, sono stati riconosciuti, più che una serie di
obblighi e doveri a carico dei genitori verso i figli, i diritti di questi ultimi nei
confronti dei primi e non solo a carattere prettamente o eminentemente
patrimoniale24.
Al diritto dei figli ad essere mantenuti, educati e istruiti dai genitori,
conseguentemente, se ne affiancano degli altri, anche e soprattutto, di natura
22
Cfr. S. TROIANO, Le innovazioni alla disciplina del riconoscimento del figlio
naturale, cit., p. 452. Del tutto condivisibile è la tesi dell’autore, laddove precisa che,
con la nuova formulazione dell’art. 315 c.c., “al di là dell’aspetto nominale, muta
dunque la natura sostanziale dell’istituto del riconoscimento, il quale non vale più
come atto volto all’accertamento pubblico di uno specifico stato giuridico di
filiazione, quello di figlio nato fuori dal matrimonio, bensì ha valore direttamente
come accertamento dell’unico e omnicomprensivo stato di figlio”.
23
Obbligo di assistenza morale che, peraltro, era stata già introdotta, con riferimento
ai figli di genitori separati, dall’art. 155 c.c. a seguito dell’entrata in vigore della legge
n. 54/2006.
24
È, quindi, cambiato l’angolo di visuale o di prospettiva della questione: volendo
sbilanciarsi su un termine di paragone, si potrebbe fare riferimento a quanto avvenuto
nel passato, in questo caso da parte della giurisprudenza, in tema di interpretazione
dell’art. 2043 c.c., nella misura in cui, a decorrere dalla celebre sentenza sul caso
“Meroni”, non è stato più considerato come una norma che sanzionava, con l’obbligo
risarcitorio, la condotta del danneggiante, bensì come una disposizione posta a tutela
del danneggiato, in quanto, appunto, finalizzata a “compensare”, in forma specifica o
in equivalente monetario, il danno conseguenza, patito da quest’ultimo, e scaturito
dall’evento lesivo cagionato da un fatto illecito altrui.
areddituale, ossia quelli ad essere considerati, rispettati, ascoltati e compresi
da chi li ha messi al mondo.
Per effetto della novella del 2012 e degli interventi correttivi e
attuativi apportati dal d.lgs. del 2013, tali diritti, incluso quello a crescere
nella propria famiglia ed a mantenere rapporti significativi con i parenti di
ciascun genitore, adesso hanno trovato una collocazione sistematica e unitaria.
Pertanto, si potrebbe, arditamente, affermare che, quantunque non sia
stata utilizzata esplicitamente l’espressione “amore”, si è, comunque,
concretizzato, attraverso il ricorso al dovere di assistenza morale, il
riconoscimento giuridico dei figli, seppure indiretto, ad essere amati dai
genitori e a ricevere affetto da parte di questi ultimi, quantomeno in termini di
dialogo e di ascolto25.
In buona sostanza, i genitori sono chiamati o, meglio, obbligati a fare
crescere il figlio dall’infanzia sino a consentirgli di divenire adulto,
mantenendo un duraturo comportamento di comunicazione emotiva ed
affettiva, improntato al dialogo e all’ascolto, così consentendogli di
riconoscere, valutare, affrontare e risolvere tutti i problemi che, nel corso di
tale processo di crescita, andrà incontrando.
Al suddetto valore dell’assistenza morale, di cui all’art. 315-bis c.c.,
così pervenendo a una sorta di equiparazione personale e patrimoniale tra
genitori e figli si affianca, per come anticipato, e non solo come deterrente, il
principio di responsabilità genitoriale, che, da ultimo, ha trovato
consacrazione con il d.lgs. n. 154/2013, attraverso la nuova formulazione
dell’art. 316 c.c., rubricato “Responsabilità genitoriale”.
25
Se si volesse effettuare un paragone con la religione cristiana, è come se ai dieci
comandamenti ne fosse stato inserito un altro, denominato quattro bis, nel senso di
riconoscere pari obbligo per i genitori di onorare i propri figli. È utile aggiungere che,
peraltro, in una prima versione della norma in esame, era stata espressamente inserita
la dizione “amore” (poi eliminata, essendo prevalsa la scelta di utilizzare, nella
norma, solamente la locuzione “assistenza”). Probabilmente, è mancata quella dose di
coraggio al legislatore, che si auspica abbia, in futuro, la giurisprudenza
nell’interpretare la norma per disciplinare il caso concreto, dando rilievo giuridico a
imprescindibili obblighi genitoriali non prettamente di natura patrimoniale.
Tale dizione normativa ha, infatti, sostituito definitivamente e
integralmente quella di “potestà genitoriale”, esprimendo quest’ultima, al
meglio, il significato della funzione che compete ai genitori26.
Le predette norme costituiscono, il presupposto per configurare la
lesione dei fondamentali diritti della persona inerenti la qualità di figlio, nel
senso che consentono a quest’ultimo di agire per ottenere il riconoscimento
giudiziale della responsabilità di ciascun genitore derivante dalla volontaria,
grave e reiterata sottrazione agli obblighi tutti derivanti dal rapporto di
filiazione, in quanto tale, e dalla connessa (e normativamente strutturata)
responsabilità genitoriale, a prescindere dal fatto che la procreazione sia
avvenuta in costanza di matrimonio o di unione stabile di fatto ovvero da
rapporto meramente occasionale.
Gli artt. 315 bis e 316 c.c., infatti, potrebbero rafforzare la costruzione
giurisprudenziale del c.d. illecito “endofamiliare”, in base al quale la
26
Sul punto, il suddetto d.lgs., n. 154/2013 ha formalizzato puntualmente tale
passaggio (cfr., nel dettaglio, gli artt. 6, 32, 37, 41, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 49, 50, 51,
54, 56, 57, 58, 59, 62, 63, 66 e 92, che hanno rispettivamente modificato gli artt.165,
273, 297, 317, 318, 320, 321, 322, 323, 324, 327, 330, 332, 337, 343, 348, 350, 356,
402, 417, 448-bis e 2941 c.c.), peraltro sostituendo, con l’art. 7, la rubrica del titolo
IX del libro primo del codice civile con la seguente “Della responsabilità genitoriale
e dei diritti e doveri del figlio”. Si esamini, in particolare, il vigente testo dell’art. 316
c.c., denominato “Responsabilità genitoriale” (introdotto dall’art. 39 del citato
decreto), che così testualmente recita: “Entrambi i genitori hanno la responsabilità
genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle
inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo
stabiliscono la residenza abituale del minore (primo comma). In caso di contrasto su
questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza
formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei (secondo
comma). Il giudice, sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia
compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento,
suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità
familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello
dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio
(terzo comma). Il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità
genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori dal matrimonio, è fatto
dai genitori, l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi (quarto
comma). Il genitore che non esercita la responsabilità genitoriale vigila
sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del figlio (quinto comma)”.
violazione dei doveri genitoriali, quantunque non espressamente sanzionati da
misure tipiche previste dal diritto di famiglia, possono integrare gli estremi
dell’illecito civile, dando luogo ad un’autonoma azione volta a conseguire il
risarcimento dei danni non patrimoniali di cui all’art. 2059 c.c.27.
Alla responsabilità dei genitori, diretta o indiretta che sia, per il fatto
illecito commesso dai figli minori, per c.d. culpa in vigilando e per culpa in
educando, di cui all’art. 2048 c.c., pertanto, il legislatore affianca quella dei
genitori verso i figli stessi. La introduzione della “responsabilità genitoriale”
dei genitori verso i figli, infatti, adesso trova maggiore specificazione
attraverso i predetti artt. 315 bis e 316 c.c. e, pertanto, sembra riempire di
contenuti specifici la responsabilità ex art. 2048 c.c. dei primi per i danni
arrecati alle vittime per fatto illecito commesso dai secondi 28.
27
cfr. Cass. 10 aprile 2012, n. 5652, in La Resp. civ., 2012, p. 468). Per un
approfondimento sulla questione, sia consentito rinviare, in questo volume, a
MORMILE, cap. X, Gli illeciti endofamiliari.
28
Al riguardo, infatti, adesso potrebbero trovare maggiore vigore, attualità e conferma
sistematica i principi espressi dal Suprema Corte in tema di responsabilità genitoriale
per il fatto commesso da un figlio “grande minore”, con la sentenza, 28 agosto 2009,
n. 28804, secondo cui “vero è poi che il minore era vicino ai (omissis) anni, ma ciò
non esclude che il suo comportamento abbia manifestato un fallimento educativo,
quanto alla capacità di frenare i propri istinti o di incanalarli in modalità espressive
meno gravi e violente: reazioni che peraltro sembrano avere tratto origine proprio da
comportamenti dei genitori, ed in particolare del padre, che - unitamente
all'atteggiarsi del contesto sociale in cui la famiglia si trovava a vivere - hanno
probabilmente ferito la sensibilità del minore nelle sue corde più profonde e meno
controllabili. La Corte di appello ha giustamente rilevato che, di fronte alle dicerie
sulle sue frequentazioni omosessuali con la vittima, il padre di I.L. non chiarì mai la
propria situazione con il figlio, ma lo lasciò in balia delle maldicenze, che tanto
nefasta influenza possono esercitare sulla personalità ancora fragile di un
minorenne. Questo è probabilmente il punto centrale della vicenda. L'educazione è
fatta non solo di parole, ma anche e soprattutto di comportamenti e di presenza
accanto ai figli, a fronte di circostanze che essi possono non essere in grado di capire
o di affrontare equilibratamente” (sul punto, sia consentito richiamare MASTROIANNI,
La responsabilità dei genitori per il fatto del minore: la lettura degli artt. 1227 e
2048 c.c. in La resp. civ., 2011, p. 361 ss.). Per converso, potrebbe, invece, sostenersi
che l’art. 2048 c.c. andrebbe modificato, escludendo la responsabilità genitoriale per
il fatto commesso dai “grandi minori”, ossia considerando pienamente responsabile il
minore oramai prossimo al raggiungimento della maggiore età, in quanto già capace
Nell’ambito della responsabilità genitoriale verso i figli, trova,
pertanto, maggiore connotazione il dovere o, più correttamente, l’obbligo di
entrambi i genitori a comunicare e dialogare, tra loro, nell’interesse della
prole29.
E non è tutto. L’introduzione da parte del legislatore dell’art. 337-ter
c.c., ha consentito di fugare ogni seppur minimo dubbio al riguardo, essendo
stata prevista l’applicazione di tale norma non solo in caso di separazione,
scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del
matrimonio ma anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del
matrimonio. Invero, con tale disposizione, che è di contenuto sostanzialmente
identico all’abrogato art. 155 c.c., il legislatore, mantenendo l’indicazione di
specifici parametri di riferimento per individuare l’entità monetaria
proporzionale dell’assegno di mantenimento a carico dei genitori e in favore
della prole, tuttavia, affianca al diritto del figlio minore di mantenere un
rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e al diritto a
ricevere da questi ultimi cura, educazione e istruzione, anche il diritto
all’assistenza morale da parte di essi.
Tale disposizione prevede, peraltro, che, per realizzare le suddette
finalità, il giudice sia chiamato ad adottare i provvedimenti, relativi alla prole,
con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Detta
disposizione stabilisce, ancora, che le decisioni di maggiore interesse per i
figli, relative non solo all’istruzione, all’educazione, alla salute ma anche alla
scelta della residenza abituale, spettano ai genitori di comune accordo,
tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei
di discernimento e, quindi, dotato di quella maturità psicofisica per comprendere il
disvalore giuridico della condotta attuata.
29
Tale obbligo, in verità, era stato precedentemente enunciato da alcune sentenze di
merito, che, al riguardo, hanno anticipato la portata di tali ultime norme (artt. 315 bis
e 316 c.c.). Al riguardo, attenta giurisprudenza di merito (App. Bologna, 24 novembre
2008, in Fam., pers. e success., 2009, p. 472 ss.), infatti, aveva già sancito che “la
situazione di acceso contrasto e assoluta incomunicabilità tra i genitori, dovuta
principalmente all'atteggiamento intollerante e aggressivo del padre teso a svalutare
la figura materna, impedisce l'assunzione di una comune responsabilità genitoriale e
giustifica l'affidamento esclusivo del minore alla madre, come già stabilito dal
giudice di primo grado”.
figli. Tale norma, inoltre, mutuando l’abrogato art. 155 c.c., stabilisce, ancora,
che, in caso di disaccordo, la decisione è rimessa al giudice30.
In altri termini, i genitori sono adesso maggiormente chiamati ad
assumere comportamenti tra loro concilianti o, comunque, tali da mantenere
un dialogo aperto e costruttivo nell’interesse dei figli e della loro crescita, in
modo da evitare l’assunzione di atteggiamenti di contrapposizione ovvero di
vera e propria ostilità, sfocianti in un difficile o addirittura in un assoluto
difetto di comunicazione, con conseguente violazione del diritto della prole ad
avere garantita la bigenitorialità.31
Prescindendo dall’esistenza di un vincolo coniugale, il padre e la
madre infatti, sono, solo a tale titolo, formalmente chiamati dal legislatore ad
esercitare il ruolo genitoriale, anteponendo i loro interessi personali e, dunque,
tenendo conto solamente delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle
aspirazioni del figlio. In conseguenza, i genitori, in quanto tali, sono tenuti a
mediare sulle contrapposte valutazioni, ricercando, ove possibile, un’intesa al
fine di perseguire al meglio l’interesse del figlio e solo l’interesse dello stesso.
Le suddette norme si pongono, come obbiettivo, quello di formare
una nuova idea del rapporto giuridico della “coppia genitoriale” nei doveri e
obblighi verso i figli, appunto perché fondata solamente sul principio della
bigenitorialità e non più sulla sussistenza o meno di un legame giuridico che
possa sussistere o meno tra essi32.
Diversamente, la giurisprudenza, modificando alcuni indirizzi, in
parte apparentemente e in parte realmente, più permissivi e concilianti in tema
di affidamento dei figli minori, potrebbe essere chiamata a valutare, con
maggiore rigore, la predetta condotta, qualificandola come contraria alla
30
Cfr. l’art. 55 che ha introdotto gli artt. 337-bis, 337-ter, 337-quater, 337-quinquies,
337-sexies, 337-septies e 337-octies, prevendendone l’ambito d’applicazione non solo
in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento,
nullità del matrimonio, ma anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal
matrimonio.
31
Il principio della bigenitorialità risulta chiaramente affermato dall’art. 24 della
Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, secondo cui “Ogni bambino ha
diritto di intrattenere relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo
qualora ciò sia contrario al suo interesse”.
32
È come se il legislatore, rivolgendosi ai figli, avesse voluto dire semplicemente che
il loro destino è svincolato da quello della coppia genitoriale, nel senso che, coniugati
o non, i genitori restano e devono restare tali.
previsione di cui ai suddetti artt. 315-bis, 316 e 337-ter c.c. e, quindi, come
configurante una responsabilità genitoriale a carico di entrambi i coniugi o del
coniuge intollerante, che, appunto in caso di provvedimento sull’affidamento
dei figli, potrebbe pregiudicare il ricorso a quello condiviso, con affido
esclusivo della prole al solo genitore tollerante ovvero conciliante33.
D’altronde, il citato art. 337-ter c.c. prevede, espressamente, che
copia del provvedimento di affidamento venga trasmessa, a cura del pubblico
ministero, al giudice tutelare. Detto articolo stabilisce, ancora, che, qualora
uno dei genitori non si attenga alle decisioni adottate dal giudice nell’interesse
della prole o in caso di disaccordo genitoriale, tale comportamento potrà
essere valutato anche al fine della modifica dell’affidamento, ossia da
condiviso a monogenitoriale. La norma, inoltre, introduce la possibilità per il
giudice di ricorrere anche d’ufficio all’affidamento familiare in caso di
temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori.
Per completezza, si aggiunge che il legislatore del 2013 ha pure
introdotto, gli artt. 337-quater, 337-quinquies, 337-sexies, 337-sexies, 337septies, 337-octies, i quali risultano di contenuto sostanzialmente identico
rispettivamente agli abrogati artt. 155-bis, 155-ter, 155-quater, 155-quinquies
e 155-sexies c.c., appunto per consentirne, mediante un corretto riordino
sistematico del codice civile, l’applicazione delle stesse non solo in caso di
separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità
del matrimonio ma anche nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del
matrimonio.
33
V. Cass. 29 marzo 2012, n. 5108, in www.Ilcaso.it, secondo cui “in tema di
separazione personale, la mera conflittualità tra coniugi, che spesso connota i
procedimenti separatizi, non preclude il ricorso al regime preferenziale
dell’affidamento condiviso, solo se si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per
la prole, mentre assume connotati ostativi alla relativa applicazione, ove si esprima
in forme atte ad alterare e a porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo
psicofisico dei figli e, dunque, tale da pregiudicare il loro interesse”. Si veda, in
senso di estrema tolleranza, invece, Cass. 8 febbraio 2012, n. 1777, in Fam. e dir.
2012, 7, p. 705 ss., con nota di Arcieri, Affidamento esclusivo, affidamento condiviso,
affidamento a terzi: confini tra le diverse tipologie di affidamento nella recente
giurisprudenza di legittimità, per la quale “Il grave conflitto fra i genitori non è, di
per sé, idoneo a escludere l’affidamento condiviso, che il legislatore ma mostrato di
ritenere il regime ordinario”.
Da notate che l’art. 315-bis c.c., non appena introdotto dalla novella
del 2012, si affiancava già all’art. 147 c.c. e al collegato art. 148 c.c., che, nel
testo previgente, disciplinava gli obblighi dei genitori che si uniscono in
matrimonio nei confronti dei figli, e, addirittura, primeggiava rispetto a tali
disposizioni, dovendosi considerare come norma di portata generale,
disciplinante appunto la filiazione a prescindere dal fatto che la stessa fosse
scaturita da unioni di fatto, occasionali o matrimoniali.34
L’art. 315-bis c.c. sembrava, pertanto, avere già determinato il
notevole ridimensionamento della previgente figura della “potestà
genitoriale” su figli minori, già sostituendola implicitamente con la dizione di
responsabilità genitoriale (ora anche esplicita). La suddetta norma consente,
infatti, di considerare tale istituto non più come l’esercizio di un potere, bensì
come una comune e costante assunzione di responsabilità nell’interesse
esclusivo della prole. Invero, mentre, nel caso di crisi del rapporto tra genitori,
l’affido del minore potrà essere bigenitoriale o monogenitoriale, la
responsabilità dei genitori resterà, tendenzialmente, bigenitoriale, ancorché
legata al riconoscimento da parte di entrambi e/o alla convivenza tra questi
ultimi e il figlio medesimo, oltre che al rispetto degli stessi obblighi
genitoriali, che comunque ne potrebbero determinare il venir meno35.
34
Tale considerazione, adesso, è stata fatta propria dal legislatore con il d.lgs.,
154/2013, che, con gli artt. 3 e 4, ha rispettivamente sostituito gli artt. 147 e 148 c.c.
Adesso, l’art. 147 così dispone: “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi
l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto
delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto
dall’articolo 315-bis”. L’art. 148 c.c. risulta così modificato: “I coniugi devono
adempiere l’obbligo di cui all’articolo 147, secondo quanto previsto dall’articolo
316-bis”.
35
In effetti, l’art. 316 c.c. affida la responsabilità genitoriale ad entrambi i coniugi
purché il figlio sia stato riconosciuto, prevedendo persino un meccanismo preliminare
di risoluzione dei contrasti attraverso il ricorso al suggerimento del giudice per
dirimere il contrasto insorto sulle decisioni da prendere nell’interesse del figlio. Tale
norma prevede, altresì, che, in caso di permanenza del contrasto, il giudice attribuisca
il potere di decisione al genitore che, nel singolo caso, sia più idoneo a curare
l’interesse del figlio. Ma vi è di più. L’art. 41, d.lgs. n. 154/2013, sostituendo l’art.
317, comma 2°, c.c., ha stabilito che la responsabilità genitoriale di entrambi i
genitori non cessa a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti
civili, annullamento o nullità del matrimonio. Tale modifica conferma, ancora una
Il legislatore, con l’introduzione di questa norma, inoltre, ha optato
per il riconoscimento, in capo al minore, di un diritto a intervenire e a
decidere, in prima persona, su tutte le questioni che lo riguardano, specie con
riferimento ai propri rapporti personali.36.
La partecipazione attiva del minore, in termini di ascolto, trova
ulteriore conferma con l’introduzione dell’art. 316, comma 3°, c.c. e dell’art.
336-bis c.c., il quale disciplina le modalità di conduzione dell’audizione del
minore, garantendo a quest’ultimo anche il diritto ad essere informato
preventivamente sulla natura del procedimento e sugli effetti dell’ascolto e
prevedendo persino la verbalizzazione di tale adempimento per descrivere il
contegno del minore stesso.37
volta, l’intento legislativo, volto, da un canto, a rendere totalmente autonoma la tutela
dei figli (ossia separandola da quello che può essere il futuro destino della coppia
genitoriale), e, dall’altro canto, a ritenere del tutto priva di limitazioni la
responsabilità genitoriale, se non nelle ipotesi espressamente stabilite dagli artt. 337quater e 337-quinquies c.c. (quest’ultima norma riconosce ai genitori il diritto a
richiedere in ogni momento la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento
dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle
eventuali disposizioni relative alla misura e alle modalità del contributo al
mantenimento).
36
Il comma 3° prevede, infatti, che “Il figlio minore cha abbia compiuto gli anni
dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere
ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”. Sul tema del
ridimensionamento della potestà genitoriale, ex plurimis, BONAMINI, Rappresentanza
legale del minore e rapporti giuridici non aventi contenuto patrimoniale”, in Fam.,
pers. e success., 2011, p. 769 ss.; RUSCELLO, Minore età e capacità di discernimento:
quando i concetti assurgono a supernorme”, in Fam. e dir., 2011, p. 401 ss..
37
Si esamini il novellato e già citato art. 316, comma 3°, c.c. (“Il giudice, sentiti i
genitori e disposto l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e
anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che
ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il contrasto permane
il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso,
ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio”). Si veda anche l’art. 336-bis c.c.,
introdotto dall’art. 53 d.lgs. n. 154/2013, che così dispone testualmente: “Il minore
che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di
discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato
nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo
riguardano. Se l'ascolto è in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente
Per tali rapporti, si è definitivamente abbandonata la tutela
paternalistica nei confronti del minore, a conferma della tendenza imperante
di superare o, meglio, di ridimensionare la barriera della maggiore età quando
sia accertata la maturità psicofisica del minore. Si può quindi affermare che il
legislatore ha abbandonato la concezione del minore come individuo
sottoposto alla tutela genitoriale o meglio come “oggetto di protezione”,
sposando quella dell’interesse personalistico del minore ad agire direttamente
ogni qualvolta sia in gioco una scelta che possa incidere nell’ambito dei
rapporti di famiglia.38
In conseguenza, la tutela del minore nel diritto privato, anche se nelle
grandi linee continua a realizzarsi mediante il ricorso alla “responsabilità
genitoriale”, appare sempre più indirizzata verso il riconoscimento di
situazioni soggettive, attive e passive, direttamente esercitabili dal minore
stesso, non potendo in ambito familiare essere delegate ai genitori, giacché i
relativi diritti e interessi da tutelare potrebbero anche essere confliggenti.
4. Il riconoscimento. Profili di diritto sostanziale e di diritto processuale.
La legge n. 219/2012 ha, sostanzialmente, modificato l’art. 250 c.c.,
con un intervento di notevole impatto sul tema di riconoscimento dei figli nati
al di fuori del matrimonio, probabilmente facendolo diventare la norma con la
quale si sancisce, in maniera più esplicita, la volontà di emancipare
definitivamente la filiazione dal suddetto vincolo matrimoniale e, dunque, di
tutelare il figlio in quanto tale. Il riconoscimento, infatti, quale atto spontaneo
e non coercibile, può essere fatto, nei modi previsti dall’art. 254 c.c., dalla
superfluo, il giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento
motivato (primo comma). L'ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di
esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del
procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato,
ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all'ascolto se autorizzati dal
giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima
dell'inizio dell'adempimento (secondo comma). Prima di procedere all'ascolto il
giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto.
Dell'adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del
minore, ovvero è effettuata registrazione audio video (terzo comma)”.
38
Tra i primi ad avvertire questo cambio di rotta v. BUSNELLI, Capacità ed incapacità
di agire del minore, in Dir. fam. e pers., 1982, p. 56 ss.
madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona
all’epoca del concepimento. L’esercizio della predetta facoltà può avvenire
tanto congiuntamente quanto separatamente. Se, tuttavia, uno dei genitori ha
già effettuato il riconoscimento, l’altro, qualora il figlio non abbia ancora
compiuto i quattordici anni e non sia, quindi, richiesto il suo assenso, deve
ottenere il consenso o il silenzio consenso di quello che ha provveduto ad
effettuare il riconoscimento per primo39.
In base a questa disposizione (art. 250 c.c.), con cui si conferma la
ratio legislativa volta a ridimensionare il ruolo genitoriale in tema di
filiazione e a rafforzare l’autonomia decisionale del figlio, il riconoscimento
di quest’ultimo viene subordinato al consenso di questi se ultra
quattordicenne, mentre, per i figli minori degli anni quattordici, lo stesso è
condizionato all’assenso o, comunque, alla non espressa opposizione (silenzio
consenso) del genitore che, per primo, lo ha effettuato40.
39
Si precisa che anche l’art. 254 c.c. è stato modificato dal d.lgs., n. 154/2013 (cfr.
art. 25), che ha sostituito, al primo comma, con le parole “nato fuori del matrimonio”
la parola “naturale”, e che ha abrogato il secondo comma.
40
Nel sistema anteriore alla novella del 2012, se il genitore manifestava il rifiuto al
riconoscimento, si instaurava un procedimento di natura contenziosa, avente a oggetto
l’opposizione a tale rifiuto. Il contraddittorio si instaurava tra i due genitori e con la
partecipazione del P.M.. Era disposta l’audizione del minore (allora) sedicenne e,
all’esito, il giudice autorizzava il secondo riconoscimento qualora fosse conforme
all’interesse del minore. La giurisprudenza era orientata a considerare legittimo il
rifiuto solo in ipotesi di specifici e comprovati motivi (cfr. Cass. 26 novembre 1998,
n. 12018, in Fam. e dir., 1999, p. 184 ss., secondo la quale “in tema di riconoscimento
di figli naturali, l'indagine sulla legittimità del rifiuto del consenso al secondo
riconoscimento opposto dal tutore del minore, nominato a seguito della morte del
genitore che aveva per primo riconosciuto il figlio, va condotta alla luce della
presunzione semplice della esistenza di un interesse del minore al richiesto
riconoscimento sotto il profilo spirituale non meno che sotto quello dei diritti
all'istruzione, educazione mantenimento ad esso conseguenti. Un eventuale rifiuto del
consenso deve ritenersi, pertanto, del tutto ingiustificato in assenza di seri e specifici
motivi che evidenzino la contrarietà del riconoscimento all'indicato interesse del
minore”) ovvero qualora vi fosse il pericolo di un danno gravissimo per lo sviluppo
psicofisico del minore (cfr. Cass. 3 febbraio 2011, n. 2645, in CED Cassazione,
secondo cui “il riconoscimento del figlio naturale, ai sensi dell'art. 250, quarto
comma, c.c., costituisce un diritto soggettivo sacrificabile solo in presenza di un
pericolo di danno gravissimo per lo sviluppo psico-fisico del minore, correlato alla
Tale ultima parte della disposizione, si badi bene, non è volta a
tutelare gli interessi del genitore che ha già effettuato il riconoscimento
giacché la vera e reale finalità di questa norma è precipuamente quella di
tutelare gli interessi preminenti e superiori del figlio stesso ad essere
destinatario o meno del riconoscimento da parte dell’altro genitore.
In altri termini, il genitore, che per primo ha effettuato il
riconoscimento, dovrà negare il consenso solamente qualora l’opposizione in
esame persegua gli interessi del minore, dovendosi peraltro escludere
recisamente che il primo passa vantare una sorta di diritto di veto, tampoco
per fini personali, egoistici o strumentali; ciò anche in considerazione del fatto
che il genitore richiedente potrebbe vantare un effettivo interesse alla
genitorialità, anch’esso senz’altro meritevole di tutela giuridica ex art. 30,
comma 1°, Cost.41.
Invero, il giudice, non solo è chiamato a disporre l’audizione del
minore, che abbia compiuto i dodici anni o anche di età inferiore, se capace di
discernimento quanto, all’esito, è tenuto ad emettere una sentenza che tenga
pura e semplice attribuzione della genitorialità. Pertanto, la mera pendenza di un
processo penale a carico del genitore richiedente (nella specie concorso in
alterazione di stato, abbandono ed illecito affidamento di neonato a terzi) non integra
condizione ex se ostativa all'autorizzazione al riconoscimento; neppure la valutazione
del rischio di un eventuale distacco del minore dall'attuale contesto di affidamento
deve costituire interferenza ostativa al riconoscimento, posto che non vi è alcun nesso
con il diritto alla genitorialità, potendo invece tale valutazione costituire oggetto di
giudizio in diverso procedimento ad hoc”.). Se il figlio compiva i sedici anni, il
processo era sospeso, divenendo requisito necessario il consenso da parte di
quest’ultimo al riconoscimento.
41
Sulla questione relativa al consenso v. FERRANDO, La legge sulla filiazione. Profili
Sostanziali, in www.juscivile.it, 2013, 2, p. 142. Sul tema, cfr. Cass. 3 gennaio 2008,
n. 4, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 9, 1, 1081, con nota di Checchini. Con detta
decisione, la Suprema Corte afferma che “i padri naturali - che hanno avuto figli nati
fuori dal matrimonio - hanno sempre il diritto a riconoscere, anche con molti anni di
ritardo dalla nascita, i bambini che non hanno voluto quando sono nati dalle loro
compagne, compreso il caso in cui il minore, dal riconoscimento tardivo, non tragga
alcun interesse effettivo e concreto; l'istanza per ottenere il consenso giudiziale al
riconoscimento può essere bloccata solo se vi è una forte probabilità di una
compromissione dello sviluppo del minore che giustifichi il sacrificio totale del diritto
alla genitorialità”. In buona sostanza, la giurisprudenza è orientata nel ritenere che
l’opposizione al riconoscimento debba essere intesa come eccezionale.
luogo del consenso mancante, ove e solo se detta decisione risponda agli
interessi del figlio42.
La predetta opzione, dunque, non costituisce affatto una deroga alla
regola generale dell’incapacità di agire del minore, bensì espressione della
tendenza a rivalutare tale figura di incapacità.
Utilizzando come chiave di lettura l’art. 2 Cost., deve, in effetti,
intendersi riconosciuta, in capo al minore, una diversa capacità speciale di
agire, in ambito familiare, come il diritto di ciascun individuo, una volta
acquisita una sufficiente maturità psicofisica, dunque la capacità di
discernimento, di potere incidere direttamente e personalmente nell’esercizio
dei diritti familiari e, comunque, di quelli collegati e connessi a tale ambito.
Con la novella del 2012, il genitore interessato ad effettuare il
riconoscimento ha l’onere di dare corso a una fase prodromica, di natura non
prettamente contenziosa, consistente nella presentazione di un ricorso innanzi
al giudice competente, il quale assegnerà un termine per la notifica dell’atto e
del pedissequo provvedimento all’altro genitore, che, per primo, ha effettuato
il riconoscimento. Se quest’ultimo dovesse omettere di presentare
un’opposizione, secondo il fenomeno giuridico del silenzio - consenso, il
giudice emetterà una sentenza che faccia luogo del consenso mancante.
Quantunque l’art. 250 c.c. non faccia più espresso riferimento
all’intervento del pubblico ministero in detto procedimento, risulta evidente
come lo stesso sia chiamato ugualmente a prendervi parte in relazione a
42
Si veda come, nonostante la previsione del comma 3° dell’art. 315-bis c.c., che, per
come si è già detto, prevede il diritto del minore ad essere ascoltato in tutte le
questioni e le procedure che lo riguardano (e nonostante la successiva introduzione
degli artt. 316, comma 3°, c.c. e 336-bis c.c.), il legislatore abbia voluto, in tema di
riconoscimento, rafforzare questo diritto, affermando addirittura una sorta di assoluta
legitimatio ad causam del figlio, dunque, nel rispetto dell’art. 100 c.p.c., un pieno
interesse ad agire in favore di quest’ultimo, nel procedimento di riconoscimento dello
stesso. Si precisa, ancora, come sia condivisibile il pensiero di autorevole dottrina,
nella parte in cui ritiene che la valutazione giudiziale sulla sussistenza dell’interesse
del minore al riconoscimento non possa basarsi su elementi presuntivi, tampoco
indiziari, ma che, invece, debba essere provata in positivo dal genitore istante. V.
FERRANDO, op. ult. cit., p. 141.
quanto stabilito dall’art. 38, comma 3°, disp. att. c.c., norma quest’ultima
oggetto di successivo approfondimento43.
Solo qualora, invece, dovesse essere proposta opposizione al
riconoscimento tardivo, da parte del genitore chiamato a pronunziarsi, si darà
corso a una seconda fase di natura istruttoria, preceduta dall’adozione dei
provvedimenti opportuni sull’affidamento e mantenimento del minore44.
Durante tale fase di trattazione, di tipo contenzioso, si procederà
all’audizione del minore, il quale rivestirà il ruolo di parte processuale a tutti
gli effetti45.
In vero, per effetto della novella del 2012 e del d.lgs. n. 154/2013,
l’audizione del minore non potrà più essere considerata solo eventuale,
dunque da utilizzarsi solamente in fattispecie complesse o in ipotesi
coinvolgenti minori adolescenti, bensì è divenuta un momento processuale
obbligatorio e imprescindibile, col solo limite dell’incapacità del minore per
età o per altre cause ovvero, ex art. 336-bis c.c., allorché il giudice, con
provvedimento motivato, valuti che l'ascolto sia in contrasto con l'interesse
43
Cfr. art. 38, comma 3°, disp. att. c.c., che così recita: “Fermo restando quanto
previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in
camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono
immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Quando il
provvedimento è emesso dal tribunale per i minorenni, il reclamo si propone davanti
alla sezione di corte di appello per i minorenni”.
44
Dubbi sorgono riguardo alla forma dell’atto da utilizzare, ossia se l’opposizione al
riconoscimento debba essere promossa dal genitore, che per primo lo ha effettuato,
mediante ricorso o con atto di citazione. Nulla statuisce al riguardo la norma, sicché
dovrebbe optarsi per la seconda ipotesi. La questione non è di poco conto, in quanto,
avvalendosi del ricorso, vi è il rischio di non rispettare i termini stabiliti.
45
Cfr. Cass. 13 aprile 2012, n. 5884, in Fam. e dir., 2012, p. 653, con nota di V.
Carbone, Opposizione al riconoscimento di figlio naturale: il minore infrasedicenne
non solo deve essere sentito ma è parte del processo. La sentenza, anticipatoria della
novella del 2012, risulta così massimata: “Nel procedimento previsto dall’art. 250,
quarto comma, cod. civ., per conseguire una pronuncia che tenga luogo del mancato
consenso del genitore, che abbia già riconosciuto il figlio infrasedicenne, al
riconoscimento dello stesso minore da parte dell'altro genitore, deve essere disposta
obbligatoriamente l'audizione del minore, atteso che questi assume la qualità di
parte, come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 83 del 2011”.
del minore, o manifestamente superfluo. All’esito, il giudice definirà il
procedimento con una sentenza di merito d’accoglimento o di rigetto.
Nel corso dell’istruttoria, il giudice dovrà, peraltro, consentire al
minore di valutare e ponderare il miglioramento obbiettivo della sua
situazione in relazione agli obblighi giuridici che, per effetto del
riconoscimento, verranno assunti dal genitore, quantunque si possano
configurare normali difficoltà di adattamento psicologico per effetto del
nuovo status, peraltro sovrapponibili a quelle nascenti nell’ipotesi in cui il
riconoscimento da parte del genitore sia richiesto a distanza di tempo dalla
nascita del figlio. Si spiega, così, che all’art. 250 c.c., il legislatore del 2012
abbia affiancato la modifica dell’art. 251 c.c., che, adesso, prevede, per il
figlio, nato da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta
all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado ovvero un vincolo di
affinità in linea diretta, la possibilità di essere riconosciuto, previa
autorizzazione del giudice (il tribunale per i minorenni), il quale, anche in
questo caso, sarà chiamato a valutare, o meglio a ponderare, se questo
provvedimento risponda all’interesse del figlio e alla necessità di evitare, per
quest’ultimo, pregiudizi di qualsiasi natura46.
Va da sé che, in base al novellato art. 258 c.c., il riconoscimento
produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso,
siccome già anticipato in precedenza.
È bene aggiungere come, per il figlio, sia possibile proporre l’azione
per la dichiarazione giudiziale del rapporto di filiazione, di cui agli artt. 269 e
ss. c.c., così come ridisegnata dalla novella del 2012 e dal successivo d.lgs. n.
154/2013 (che hanno modificato la normativa richiamata in tema di
riconoscimento), e ancor prima dalla riforma del diritto di famiglia. Tale
opzione normativa assicura al figlio (ex naturale), non riconosciuto ovviamente fatta salva l’ipotesi di inammissibilità contemplata dall’art. 253
46
L’art. 22, d.lgs. n. 154/2013, ha modificato l’art. 251 c.c., sostituendo alle parole
“tribunale per i minorenni” la parola “giudice”. La competenza del tribunale dei
minorenni sembra, tuttavia, permanere per effetto della contestuale modifica dell’art.
38, comma 1°, disp. att. c.c., e dell’inserimento del seguente periodo: “Sono, altresì,
di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati dagli
articoli 251 e 317-bis c.c.”. Conseguentemente, rientra anche nella competenza del
tribunale per i minorenni la decisione sull’esercizio del diritto da parte
dell’ascendente di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.
c.c. - il diritto a ottenere il corrispondente status giuridico, così prevalendo
sulla carenza normativa di un obbligo, per i genitori, di procedere al
riconoscimento della prole47.
La prova della paternità ex “naturale” può essere data con ogni
mezzo. Va sottolineato, tuttavia, che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 269
c.c., la sola dichiarazione della madre così come la sola esistenza di rapporti
tra quest’ultima e il presunto padre (ex “naturale”), avuto riguardo all’epoca
del concepimento, non costituiscono prova della paternità.
Per l’effetto, il dato biologico risulta l’unica condizione necessaria e
sufficiente perché sia dichiarata la paternità, a nulla rilevando la volontà
cosciente del genitore di procreare. In buona sostanza, il genitore, convenuto
in giudizio dal presunto figlio, non riconosciuto, non potrà mai sollevare
l’eccezione di non avere voluto la procreazione del figlio tantomeno
l’esimente secondo cui la madre gli avesse assicurato l’impossibilità del
concepimento ovvero che gli avesse garantito l’eventuale interruzione della
gravidanza così nessun effetto potranno produrre dichiarazioni dell’asserito
47
Il preteso figlio ex “naturale”, infatti, non può promuovere, nei confronti del padre
ex “naturale” o dei suoi eredi (in caso di morte di quest’ultimo) l’azione di
dichiarazione giudiziale della paternità, qualora rivesta lo status di figlio legittimo o
legittimato. Diversamente, l’azione, ex art. 235 c.c., soggiace alla declaratoria di
inammissibilità per contrasto tra stato di preteso figlio “ex naturale” e di figlio
legittimo o legittimato. In tal caso, il figlio legittimo di altro genitore, che intenda
richiedere la dichiarazione giudiziale di paternità “ex naturale” nei confronti di
soggetto diverso dal proprio genitore legittimo, deve prima esercitare l’azione per il
disconoscimento della paternità ai sensi dell’art. 235 c.c. nei confronti del padre “ex
legittimo”; altrimenti, ossia in assenza di una sentenza passata in cosa giudicata, che
lo disconosca come figlio legittimo, come si è detto, l’azione per la dichiarazione
giudiziale di paternità “ex naturale” sarà soggetta a provvedimento di inammissibilità.
Si precisa come non sia sufficiente che il figlio riesca a dare la prova delle circostanze
di cui a uno dei tre numeri del citato art. 235 c.c.: infatti, è altresì necessario che il
suddetto figlio dimostri di essere venuto a conoscenza di tali fatti da non oltre un
anno; diversamente decade dall’azione di disconoscimento della paternità che, pur
essendo imprescrittibile, non può essere proposta, appunto a pena di decadenza, oltre
l’anno dall’avvenuta conoscenza di tali fatti.
padre, relative alla carenza di “affectio” o alla non volontà di assumere gli
obblighi e i doveri connessi all’esercizio del ruolo genitoriale 48.
Riguardo al minore di età, tale strumento giuridico di reclamo dello
status persegue, quindi, la costruzione di una relazione con entrambi i
genitori, dunque sia con quello che lo ha riconosciuto spontaneamente sia con
l’altro nei confronti del quale tale accertamento risulta richiesto, con rilevanti
48
In questa direzione Cass. 15 marzo 2002, n. 3793, in Guid. al dir., 2003, 17, p. 32,
secondo cui “in relazione all'art. 269 c.c., che attribuisce la paternità naturale in
base al mero dato biologico, senza alcun riguardo alla volontà contraria alla
procreazione del presunto padre, è manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 3 Cost., in ragione della
disparità di trattamento che ne risulterebbe in danno dell'uomo rispetto alla donna,
alla quale la legge, 22 maggio 1978, n. 194, attribuisce la responsabilità esclusiva di
interrompere la gravidanza ove ne ricorrano le condizioni giustificative, e ciò in
quanto le situazioni poste a confronto non sono comparabili, l'interesse della donna
alla interruzione della gravidanza non potendo essere assimilato all'interesse di chi,
rispetto alla avvenuta nascita del figlio fuori del matrimonio, pretenda di sottrarsi,
negando la propria volontà diretta alla procreazione, alla responsabilità di genitore,
in contrasto con la tutela che la Costituzione, all'art. 30, riconosce alla filiazione
naturale”. Si veda anche Cass. 16 luglio 2005, n. 15101, in CED Cassazione. Con
detta decisione la Suprema Corte statuisce che: “ai fini dell'ammissibilità dell'azione
di accertamento della paternità naturale, la contrarietà all'interesse del minore può
sussistere solo in caso di concreto accertamento di una condotta del preteso padre
tale da giustificare una dichiarazione di decadenza dalla potestà genitoriale, ovvero
di prova dell'esistenza di gravi rischi per l'equilibrio affettivo e psicologico del
minore e per la sua collocazione sociale. Tali rischi devono risultare da fatti
obbiettivi, emergenti dalla pregressa condotta di vita del preteso padre, ed in
mancanza di essi l'interesse del minore va ritenuto di regola sussistente, a
prescindere dai rapporti di affetto che possano in concreto instaurarsi con il presunto
genitore e dalla disponibilità di questo ad instaurarli, avendo riguardo al
miglioramento obiettivo della sua situazione in relazione agli obblighi giuridici che
ne derivano per il preteso padre; né l'interesse del minore può, di regola, essere
escluso dalle normali difficoltà di adattamento psicologico al nuovo <<status>>,
essendo queste normalmente connesse al riconoscimento da parte del genitore
naturale, ovvero alla dichiarazione di paternità naturale, quando intervengano a
distanza di tempo dalla nascita del minore. E nemmeno detto interesse è escluso
dall'assenza di <<affectio>> da parte del presunto padre né dalla dichiarazione di
costui, convenuto con l'azione di dichiarazione giudiziale ex art. 269 cod. civ., di non
voler comunque adempiere i doveri morali inerenti alla potestà genitoriale”.
risvolti sul piano affettivo, morale ed economico. La conoscenza delle proprie
origini, infatti, deve essere configurata quale componente fondamentale della
personalità e inconfutabile presupposto per la completa evoluzione della
identità personale del minore.
È evidente, tuttavia, che un procedimento giudiziario, in cui è
coinvolto un minore, non può essere considerato sovrapponibile a quello
condotto con un adulto, giacché il giudice dovrà considerare che si trova, di
fronte, un soggetto che, di norma, è ampiamente sensibile, condizionabile e
suggestionabile, sicché dovrà fare molta attenzione nella scelta delle più
appropriate metodologie e tecniche d’ascolto, essendo tale elemento divenuto
adesso la più importante espressione del diritto del minore.
L’azione volta a ottenere il riconoscimento dello status giuridico di
figlio assume, invece, risvolti diversi rispetto al figlio già adulto. Fermo
restando il diritto alla ricerca della verità biologica del rapporto di
discendenza, è, infatti, innegabile che l'esperimento di tale azione persegua,
sostanzialmente, in via immediata e diretta, delle finalità, se non
esclusivamente, almeno prevalentemente di natura patrimoniale, specie
allorquando il genitore sia già deceduto.49
49
In tal caso, ovviamente, l’azione va promossa nei confronti degli eredi del de cuius.
A tal proposito, va osservato come il novellato art. 276, comma 1°, nella parte in cui
prevede la possibilità di richiedere al giudice, competente per il giudizio da intentare,
la nomina di un curatore in ipotesi di assenza di eredi del preteso genitore, sembra
avere risolto i dubbi generatisi all’indomani della decisione a sezioni unite della S.C.
(cfr. Cass. 3 novembre 2005, n. 21287, in Giur. It., 2007, p. 622 ss., con nota di
Antonica), secondo cui, in caso di morte del presunto padre “naturale”, unici soggetti
legittimati passivi a contraddire, riguardo all’azione di dichiarazione di paternità,
erano ritenuti solamente gli eredi diretti di quest’ultimo, sicché, in caso di morte di
detti eredi, il preteso figlio “naturale”, pur godendo di un’azione imprescrittibile, non
poteva tecnicamente intraprendere il giudizio per assenza di convenuti titolari di un
interesse a contraddire e quindi quali litisconsorti necessari. Adesso, infatti, non
sembra più revocabile in dubbio che gli eredi degli eredi del de cuius possano essere
evocati nel giudizio di riconoscimento della paternità “naturale”. Sul tema, v.
BALESTRA, La legittimazione passiva nei procedimenti per la dichiarazione di
paternità o di maternità naturale, cit., p. 499 ss. Si tenga ancora in debito conto che,
con l’art. 33, d.lgs., n. 154/2013, la parola “naturale”, inserita in seno all’art. 276 c.c.,
è stata soppressa.
In tale ultima ipotesi, è, infatti, difficile riconoscere un interesse
morale ad acquisire lo status di figlio riconosciuto, essendo l’esercizio di tale
azione solo strumentale al conseguimento della qualità di chiamato all’eredità
ed eventualmente di quella di erede, specie allorquando il de cuius non avesse
altri figli “legittimi” o “legittimati” e fosse celibe.
Per quanto concerne le disposizioni strettamente a carattere
processuale, la legge n. 219/2012 ha previsto che tutte le procedure giudiziarie
relative all’affidamento dei figli minori, anche nati fuori dal matrimonio, e
tutte le azioni di accertamento e disconoscimento della filiazione di minori di
età sono demandate alla competenza del tribunale ordinario, mentre restano di
competenza del tribunale per i minorenni i soli procedimenti de potestate e di
adozione dei minori.
Va osservato che trattasi di intervento del tutto condivisibile, in
quanto l’unificazione dello stato di figlio non poteva essere più conciliata con
l’affidamento della competenza a tribunale diversi, ossia a seconda che si
trattasse di questioni relative a figlio dentro o fuori del matrimonio. Con la
riforma, risulta, in particolare, modificato il dettato normativo dell’art. 38
disp. att. c.c., con l’attribuzione al tribunale ordinario della competenza in
precedenza appartenentesi al tribunale dei minori in materia di affidamento e
di mantenimento dei minori, i cui procedimenti seguiranno, con il rito
camerale, secondo le norme processuali previste dagli articoli 737 ss. c.p.c.50.
50
La novella del 2012 e il d.lgs. n. 154/2013 sembrano presagire la futura abolizione
del tribunale per i minorenni, avendo, sostanzialmente, svuotato e privato di contenuti
la competenza di quest’ufficio giudiziario. Il risultato che, infatti, si è prodotto è stato
quello di un sostanziale svuotamento di funzioni del tribunale per i minorenni in
materia civile, soprattutto per effetto del trasferimento al tribunale ordinario dei
procedimenti relativi all'affidamento e al mantenimento dei figli nati fuori del
matrimonio che, nella pratica giudiziaria, sono largamente preponderanti rispetto agli
altri. Conseguentemente, è stata superata un'ingiustificata discriminazione processuale
tra figli ex legittimi ed ex naturali, correlata al fatto che il tribunale per i minorenni,
esercitando la sua giurisdizione su base solo distrettuale, è più lontano dal minore che
chiede la tutela giurisdizionale dei propri diritti rispetto al tribunale ordinario, che
invece insiste sul circondario e, quindi, su un territorio di dimensioni minori. Più
precisamente, il riparto di competenza tra tribunale ordinario e tribunale dei
minorenni è il seguente: Appartengono alla competenza del tribunale ordinario, le
questioni relative alla cessazione del fondo patrimoniale di cui all’art. 171 c.c., la
costituzione dell’usufrutto di cui al comma 2° dell’art. 194 c.c., la richiesta
d’emissione di sentenza sostitutiva del consenso mancante di cui all’art. 250 c.c. in
tema di riconoscimento del figlio, l’inserimento del figlio riconosciuto nella famiglia
del genitori ex art. 252 c.c., l’assunzione ex art. 262 c.c. del cognome paterno per
figlio riconosciuto successivamente, con paternità giudizialmente accertata (si
vedano, comunque, le rilevanti innovazioni apportate dal legislatore a quest’ultima
norma con l’art. 27, d.lgs. n. 154/2013, finalizzato a riconoscere una sorta di
eguaglianza nella scelta del cognome del genitore: se la filiazione nei confronti del
padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte
della madre, il figlio può assumere il cognome paterno, aggiungendolo,
anteponendolo o sostituendolo a quello della madre; se la filiazione nei confronti del
genitore è stata accertata o riconosciuta successivamente all’attribuzione del cognome
da parte dell’ufficiale dello stato civile, il figlio può mantenere il cognome
precedentemente attibuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della
sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del
genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di
riconoscimento da parte di entrambi), l’autorizzazione all’impugnazione del
riconoscimento di cui all’art. 264 c.c. (sostituito dall’art. 29, d.lgs., n. 154/2013), la
dichiarazione giudiziale di maternità o paternità ai sensi dell’art. 269, comma 1°, c.c.
(l’art. 30, d.lgs., ha soppresso la parola “naturale” contenuta in tale norma), le
decisioni ex art. 316 c.c. in tema di contrasto tra genitori su decisioni importanti da
prendere nell’interesse del figlio e in genere sull’esercizio della responsabilità
genitoriale (ex “potestà genitoriale”), la decisione sui figli anche se nati fuori dal
matrimonio di cui agli artt. 337-bis, 337-ter, 337-quater, 337-quinquies, 337-sexies,
337-septies e 337-octies, i procedimenti di cui all’art. 333 c.c. in merito alla condotta
del genitore pregiudizievole per i figli. Sono, invece, attribuiti alla competenza del
tribunale per i minorenni, i procedimenti d’adozione, l’autorizzazione all’esercizio
d’impresa ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 317 c.c., i provvedimenti contemplati
dall’art. 317-bis c.c. (sostituito dall’art. 42, d.lgs., n. 154/2013: tale articolo prevede
espressamente che si applica l’art. 332, comma 2°, c.c.), quella al matrimonio del
minore d’età ex art. 84 c.c., la nomina del curatore speciale di cui all’art. 90 c.c., i
procedimenti de potestate ex artt. 330, 331, 332 e 333 c.c., fatta salva l’ipotesi
contemplata dall’art. 316 c.c.. Il d.lgs. n. 154/2013, con l’art. 96, ha, invece,
mantenuto la competenza del tribunale per i minorenni con riferimento al
procedimento per l’autorizzazione al riconoscimento del figlio nato da genitori legati
da vincolo di parentela e affinità ai sensi dell’art. 251, ultimo comma, c.c. Si noti,
infatti, che, in un primo tempo, tale ultima disposizione (intitolata “Autorizzazione al
riconoscimento”) prevedeva espressamente la competenza del tribunale per i
minorenni. Il d.lgs. del 2013, pur sostituendo tali parole con “giudice”, ha conservato
la competenza di tale tribunale prevedendola adesso espressamente in seno all’art. 38,
Peraltro, qualora debba procedersi giudizialmente per questioni
relative al mantenimento ovvero alla regolamentazione del diritto di visita e
dell’affidamento dei figli, nati fuori dal matrimonio, il giudice da adire sarà
quello ordinario. In particolare, si precisa che il d.lgs. n. 154/2013, ha
introdotto, in tema di concorso nel mantenimento, l’art. 316-bis c.c.
(applicabile in via generale per espresso richiamo dell’art. 148 c.c.). Secondo
tale norma, di contenuto sostanzialmente identico all’abrogato art. 148 c.c., i
genitori devono adempiere all’obbligo di mantenimento dei figli, anche se nati
fuori dal matrimonio, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro
capacità di lavoro, professionale o casalingo. La norma prevede, altresì, che,
qualora i genitori non abbiano i mezzi sufficienti per soddisfare le esigenze
economiche dei figli, anche se nati fuori dal matrimonio, vi debbano
provvedere gli ascendenti in ordine di prossimità, fornendo ai genitori i mezzi
comma 1°, disp. att. c.c.. Così facendo non ha eliminato il possibile conflitto
nell’attribuzione della competenza che si potrebbe determinare tra il tribunale per i
minorenni e quello ordinario (ove si valorizzasse diversamente la ratio della novella
del 2012, nel senso di considerare di competenza del predetto tribunale per i
minorenni anche il procedimento di riconoscimento di cui all’art. 250 c.c., appunto
per evitare un sistema processuale a doppio binario tra figli, nati fuori dal matrimonio,
ossia tra quelli nati da genitori, tra loro privi di legami di parentela o affinità, e altri
figli, invece nati da relazione tra genitori tra loro parenti o affini). Per converso, la
competenza, prevista in favore del tribunale ordinario con riferimento al
procedimento ex art. 250 c.c., consente la trattazione congiunta anche della “diversa”
questione relativa all’accertamento della veridicità del riconoscimento (ossia in caso
di rifiuto della madre sulla base dell’assunto secondo cui il richiedente non è il vero
padre). Sull’art. 38 disp. att. c.c., nella nuova formulazione, v. VELLETTI, Il novellato
art. 38 disp. att. c.c. e le ulteriori disposizioni a garanzia dei diritti dei figli, in Nuove
leggi civ. comm., 2013, p. 596 ss. Da, ultimo, si suggerisce l’esame degli artt. 93, 94 e
95, d.lgs. n. 154/2013, i quali hanno rispettivamente modificato le norme in materia di
filiazione contenute rispettivamente nel codice penale, nel codice di procedura penale
e nel codice di procedura civile. In particolare, il terzo comma dell’art. 706 c.p.c.
(novellato dall’art. 95), prevede, testualmente, che “nel ricorso deve essere indicata
l'esistenza di figli di entrambi i coniugi”, mentre il primo comma dell’art. 706-ter
c.p.c. (anch’esso novellato dall’art. 95), stabilisce che, per la soluzione delle
controversie insorte tra i genitori, in ordine all'esercizio della responsabilità
genitoriale o delle modalità dell'affidamento, è competente il giudice del
procedimento in corso. Prevede, ancora, che, per i procedimenti di cui all’articolo 710
c.p.c. è competente il tribunale del luogo di residenza del minore.
necessari per adempiere. Per di più, la disposizione consente anche
nell’ipotesi di figli nati fuori dal matrimonio la possibilità di attivare una sorta
di procedimento monitorio, con possibilità per chiunque abbia interesse di
richiedere al presidente del tribunale un decreto, avente valenza di titolo
esecutivo, con il quale venga ingiunto che una quota dei redditi dell’obbligato
sia versata direttamente all’altro genitore o a chi sopporta le spese per il
mantenimento 51.
Il decreto ingiuntivo deve essere notificato alle parti e al terzo
debitore entro il termine di giorni sessanta dall’emissione, secondo quanto
stabilito dall’art. 644 c.p.c. È, comunque, consentito alle parti e al terzo
debitore proporre opposizione avverso tale decreto entro venti giorni dalla
notifica con le stesse forme previste per l’opposizione avverso decreto
ingiuntivo, dunque con atto di citazione. È pure consentito alle parti e al terzo
debitore di richiedere, proponendo un’azione secondo il rito ordinario, la
revoca o la modifica del decreto (si reputa nell’ipotesi in cui subentrino fatti
sopravvenuti così uniformandosi a quanto stabilito dall’art. 710 c.p.c.).
51
Si veda, peraltro, il risolutivo art. 316-bis c.c., denominato “Concorso nel
mantenimento” inserito dall’art. 40, d.lgs. n. 154/2013, che così dispone testualmente:
“I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle
rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro, professionale o casalingo.
Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di
prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano
adempiere i loro doveri nei confronti dei figli (primo comma). In caso di
inadempimento, il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse,
sentito l’inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una
quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente
all’altro genitore o a chiunque sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e
l’educazione della prole (secondo comma). Il decreto, notificato agli interessati ed al
terzo debitore costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore possono
proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica (terzo comma).
L’opposizione è regolata dalle norme relative all’opposizione al decreto di
ingiunzione in quanto applicabili (quarto comma). Le parti ed il terzo debitore
possono sempre chiedere, con le forma del processo ordinario, la modificazione e la
revoca del provvedimento (quinto comma)”.
5. Ultimi privilegi normativi in favore dei figli nati in costanza di
matrimonio rimossi dal legislatore con il D.Lgs. n. 154/2013. Ulteriori
prospettive di riforma.
Un cenno meritano, infine, gli altri privilegi normativi, previsti in
favore dei figli nati in costanza di matrimonio (che erano sopravvissuti o,
meglio, che erano rimasti indenni e non travolti dall’introduzione della citata
novella del 2012), oggi rimossi dal d.lgs. n. 154/2013.
All’indomani della novella del 2012, si era, infatti, discusso, sin da
subito, se, nonostante tale riforma, potessero considerarsi vigenti, e quindi
altamente discriminanti, le numerose differenze di tutela nei confronti dei figli
ancora indicati come “naturali” in tema di successione mortis causa,
disciplina questa che, tra tutte, ha registrato, nel tempo, grandi contrasti
giurisprudenziali, nonostante gli interventi legislativi e quelli significativi
della Corte Costituzionale (che, per la verità, hanno dato una forte spinta alla
predetta riforma del diritto di famiglia del 1975), comunque frenati dal già
riferito contrasto interpretativo tra l’art. 29 e l’art. 30 Cost. e dalla prevalenza
della famiglia fondata sul matrimonio rispetto alle c.d. unioni di fatto, appunto
sulla per nulla celata spinta dell’ideologia cattolica di cui è senz’altro pervasa
la nostra Costituzione52.
52
Cfr. Corte cost., 6 luglio 1960, n. 54, in CED Cassazione, così massimata “L’art.
30 della Costituzione, 3° comma, non contiene una disciplina precisa della tutela dei
figli nati fuori dal matrimonio, ma soltanto una generica disciplina di favore per gli
stessi, rimettendo al legislatore ordinario il compito di stabilire fino a che punto la
loro maggiore tutela sia caso per caso, cioè nella eventuale determinazione di uno
status e delle conseguenze di esso anche in capo successorio, compatibile coi diritti
dei componenti la famiglia legittima. I limiti contenuti nelle norme degli artt. 467,
468 e 577 c.c., per quanto riguarda la successione dei figli naturali e dei loro
discendenti, non sono in contrasto con il suddetto art. 30 della Costituzione, terzo
comma. In detta norma è espressa la insindacabile valutazione del legislatore
ordinario circa la compatibilità della tutela dei figli naturali coi diritti dei membri
della famiglia legittima”. Tale decisione è poi stata travolta da Corte Cost., 14 aprile
1969, n. 79, in Giur. it., 1969, I, c. 1219 ss., che ha dichiarato la parziale illegittimità
costituzionale degli artt. 467 e 468 (questi ultimi due poi sostituiti dall’art. 171, l. 19
maggio 1975, n. 151) nonché l’integrale illegittimità costituzionale dell’art. 577 c.c.
V. anche Corte cost., 28 dicembre 1970, n. 205, in Giust. Civ., 1971, III, c. 81 ss., con
la quale viene dichiarata la illegittimità costituzionale degli artt. 592, 593, commi 1°,
La legge n. 219/2012 aveva, infatti, mantenuto la vigenza dell’art.
537 c.c., specie nella parte in cui, al comma 3°, consentiva ai figli “legittimi”
(dizione ancora mantenuta dal legislatore all’interno di detta norma) di
soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli
“naturali” (espressione linguistica anch’essa conservata in seno alla norma in
questione) che non si opponevano, prevedendo, altresì, che, in caso di
opposizione, fosse il giudice a decidere dopo avere valutato le circostanze
patrimoniali e personali.
In buona sostanza, si discuteva sul fatto che il legislatore avesse o
meno voluto mantenere indenne il potere o meglio la facoltà di commutazione
in favore dei figli nati nel matrimonio, con il conseguente effetto della
cessazione della comunione ereditaria tra figli “legittimi” e “naturali”53.
In verità, era da subito parso un non senso giuridico che, in tema di
filiazione, si fosse pervenuti all’unicità di stato e alla parificazione tra figli
legittimi e non legittimi e che, invece, in materia successoria, si dovessero
mantenere, tra essi, sensibili profili di differenziazione nella tutela accordata,
con evidente e inconciliabile disparità di trattamento.
2° e 4°, c.c. (questo articolo poi interamente abrogato dall’art. 194, l. 19 maggio 1975,
n. 151) e parziale dell’art. 599 c.c., ossia nella parte in cui si riferiva agli artt. 592 e
593. Cfr., altresì, Corte cost., 30 aprile 1973, n. 50, in Giur. it., 1973, I, c. 1223 e ss.,
che ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 539 c.c. (questo articolo poi
interamente abrogato dall’art. 175, della l. 19 maggio 1975, n. 151) e quella parziale
degli artt. 545 e 546 c.c. (questi articoli poi interamente abrogati, insieme all’art. 547
c.c., dall’art. 181, della l. 19 maggio 1975, n. 151). Tale sentenza, che sembrava
fortemente innovativa, decideva, in realtà, su norme che riguardavano ipotesi in cui
non vi era la presenza di figli legittimi. V. inoltre Corte cost., 2 marzo 1974, n. 82, in
CED Cassazione, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale degli artt.
575 e 435 c.c. (per come già riferito, la prima norma, unitamente agli artt. 574 e 576,
poi interamente abrogati, rispettivamente dall’art. 187, l. 19 maggio 1975, n. 151,
mentre la seconda dall’art. 169, stessa normativa).
53
Si dubitava sul fatto che tale norma potesse considerarsi implicitamente o
tacitamente abrogata dal legislatore in base all’assunto che, con l’art. 1, comma 11°,
della legge n. 219/2012, si era stabilito che le parole “figli legittimi” e “figli naturali”,
ovunque ricorressero, dovevano essere sostituite dalla sola parola “figli”: identica
considerazione si poteva fare per l’art. 536 e per l’art. 565 c.c., laddove risultava,
almeno apparentemente, conservata la distinzione tra figli legittimi e naturali. Sul
tema, v. C.M. BIANCA, La delega al governo per la revisione delle disposizioni
vigenti in materia di filiazione, in Nuove leggi civ. comm., 2013, p. 592 ss.
Ovviamente, sarebbe stato meglio se il legislatore del 2012 fosse
ricorso a un’immediata abrogazione espressa della norma in questione e del
richiamato art. 566 c.c., per come, infatti, era avvenuto, in precedenza, per gli
artt. 539 e 541 c.c., con l’introduzione dell’art. 177 della legge n. 151/197554.
Opportunamente, tale discriminazione è stata rimossa con il d.lgs. n.
154/2013 e, in particolare, con l’introduzione dell’art. 71, che ha modificato
l’art. 537 c.c. e ne ha abrogato il terzo comma. Adesso, detta norma novellata
prevede, infatti, che, salvo quanto disposto dall’art. 542 c.c., se il genitore
lascia un figlio solo, a questi è riservata la metà del patrimonio e che, se i figli
sono più, è loro riservata la quota dei due terzi, da dividersi in parti uguali tra
tutti i figli55.
54
Diversamente, sarebbe stata forte l’attesa di una decisione della Corte
Costituzionale, abrogativa o, meglio, interpretativa in senso unificatrice di tutte le
norme ambigue in tema di filiazione. Parimenti, si sarebbe auspicata una futura
rilettura giurisprudenziale delle suddette disposizioni (artt. 536, in tema di c.d.
legittimari, 537 e 565 c.c., disciplinante la categoria dei successibili) e di altre, quali
l’art. 569 c.c., relativo alla successione degli ascendenti, e l’art. 572 c.c., sulla
successione degli altri parenti, alla luce della nuova normativa, senz’altro cogente in
tema di unitarietà del sistema filiazione, dunque nel senso di consentire, per l’effetto,
una sorta di espansione della tutela successoria in favore dei figli riconosciuti nati
fuori dal matrimonio, così equiparandone in toto la disciplina a quella dei figli nati in
costanza di matrimonio e, per l’effetto, eliminando le almeno apparenti residuali
distinzioni.
55
Il terzo comma abrogato disponeva testualmente quanto segue: “I figli legittimi
possono soddisfare in denaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai
figli naturali che non vi si oppongano. Nel caso di opposizione decide il giudice
valutate le circostanze personali e patrimoniali”. Si vedano anche gli artt. 72, 73, 75,
76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83 e 84, d.lgs. n. 154/2013, che hanno modificato
rispettivamente gli artt. 566 (“Al padre ed alla madre succedono i figli, in parti
uguali”), 567 (“Ai figli sono equiparati gli adottivi”), 573 (sostituzione della parola
“naturali” con le parole “nati fuori dal matrimonio”), 580 (sostituzione della parola
“naturali” con le parole “nati fuori dal matrimonio”), 581 (soppressione delle parole
“legittimi o figli naturali, o figli legittimi e naturali”), 582 (soppressione delle parole
“legittimi” in rubrica e al primo comma), 583 (soppressione delle parole “legittimi o
naturali”), 594 (sostituzione della parola “naturali” con le parole “nati fuori dal
matrimonio”) e 643 c.c. (sostituzione del secondo comma con il seguente: “Se è
chiamato un concepito, l’amministrazione spetta al padre e alla madre”).
Il decreto del 2013 è, pure intervenuto, modificando l’art. 803 c.c.,
per la donazione, e l’art. 687 c.c., per le disposizioni testamentarie a titolo
universale o particolare, in tema di revocazione per sopravvenienza dei figli,
eliminando la distinzione tra figli “legittimi” e “naturali”56.
Si segnala, tuttavia, la permanenza seppur residuale della distinzione
di competenze tra il tribunale ordinario e quello dei minorenni, la quale, in
verità, stride con il principio di unitarietà della filiazione e di equiparazione
tra status di figlio nato nel matrimonio e nato fuori dal matrimonio,
distinzione quest’ultima che il legislatore farebbe bene a non mantenere in
essere.
Si rende, pertanto, necessario un ulteriore intervento legislativo che
riconduca la competenza a un unico ufficio giudiziario, ossia a quello
ordinario, possibilmente attraverso l’istituzione del “giudice della famiglia”.
Si auspica, ancora, un altro intervento normativo più incisivo, da parte
del legislatore, volto a introdurre, non solo la possibilità, bensì l’obbligo per il
giudice di avvalersi di uno psicologo, come ausiliario, in tutti i procedimenti
di famiglia, coniugale e non, laddove debba essere ponderato e valutato
l’interesse del figlio minore, onde potere così pervenire a una decisione, nel
merito, che possa realmente soddisfare e perseguire tale interesse.
56
Cfr. l’art. 803 c.c. novellato dall’art. 88, d.lgs. n. 154/2013:“(Revocazione per
sopravvenienza di figli): Le donazioni fatte da chi non aveva o ignorava di avere figli
o discendenti al tempo della donazione, possono essere revocate per la
sopravvenienza o l'esistenza di un figlio o discendente del donante. Possono inoltre
essere revocate per il riconoscimento di un figlio, salvo che si provi che al tempo
della donazione il donante aveva notizia dell'esistenza del figlio (primo comma). La
revocazione può essere domandata anche se il figlio del donante era già concepito al
tempo della donazione (secondo comma)”. Cfr. l’art. 687 c.c. novellato dall’art. 85,
d.lgs. n. 154/2013: “(Revocazione per sopravvenienza di figli). Le disposizioni a
titolo universale o particolare, fatte da chi al tempo del testamento non aveva o
ignorava di aver figli o discendenti, sono revocate di diritto per l'esistenza o la
sopravvenienza di un figlio o discendente del testatore, benché postumo, anche
adottivo, ovvero per il riconoscimento di un figlio nato fuori del matrimonio (primo
comma). La revocazione ha luogo anche se il figlio è stato concepito al tempo del
testamento (secondo comma).La revocazione non ha invece luogo qualora il testatore
abbia provveduto al caso che esistessero o sopravvenissero figli o discendenti da essi
(terzo comma). Se i figli o discendenti non vengono alla successione e non si fa luogo
a rappresentazione, la disposizione ha il suo effetto (quarto comma)”.
Al riguardo, l’art. 336-bis, comma 2°, c.c., introdotto dall’art. 53
d.lgs. n. 154/2013, nel disciplinare le possibilità e le modalità di audizione del
minore, infatti, si limita a prevedere che l’ascolto del minore è condotto dal
giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari57.
Bisogna, infatti, che si prenda atto finalmente che tanto l’avvocatura
quanto la magistratura non possiedono quelle competenze specifiche e quel
bagaglio di esperienza e conoscenza, appunto perché si appartengono allo
psicologo, per procedere al corretto ascolto del minore e per consentire una
ponderata analisi della fattispecie concreta e, quindi, per pervenire a una
valutazione puntuale e soddisfacente su quale, tra le opzioni possibili, fondare
una decisione che possa effettivamente perseguire al meglio l’interesse del
minore stesso.
Sul punto, è sufficiente utilizzare, come elemento di confronto, che,
in tema di illecito aquiliano derivante dalla circolazione dei veicoli a motore,
il legislatore ha ritenuto di doversi avvalere di qualificate figure professionali,
avendo stabilito che l’accertamento del danno conseguenza, in termini di
danno biologico da invalidità ovvero da inabilità, debba essere demandato a
un accertamento medico legale, sicché stesse considerazioni ci si augura
avvengano per le vicende familiari con figli minori58.
Sia consentita un'ultima considerazione conclusiva.
La riforma della filiazione e il riconoscimento dello statuto giuridico
dei figli, nell’ambito delle relazioni familiari, slegato dalla sussistenza del
vincolo matrimoniale tra i suoi genitori, ha comportato il notevole mutamento
del sistema di valori su cui sino alla novella del 2012 e al d.lgs. n. 154/2013
poggiava il diritto di famiglia nel nostro ordinamento giuridico.
Se fino a quel momento, il legislatore aveva attribuito preminenza alla
famiglia fondata sul matrimonio, dall’entrata in vigore della novella del 2012
sono i diritti dei figli ad assumere prevalenza, trovando piena ed
incondizionata tutela anche in assenza di legame coniugale tra i genitori. Per
57
Cfr. § 3, note 35 e 36.
Si veda l’art. 138, d. lgs., 7 settembre 2005, n. 209. In vero, nessun avvocato o
giudice rispettivamente intraprendono o decidono un procedimento senza essersi
avvalsi dell’apporto qualificato di un medico legale. Non si comprende, dunque, per
quale ragione ostativa non si introduca l’intervento obbligatorio dello psicologo,
quale ausiliario del giudice e di supporto, in qualsiasi controversia relativa a rapporti
di famiglia.
58
l’effetto, il legislatore ha, finalmente, riconosciuto la prevalenza dell’art. 2
Cost. sull’art. 29, comma 1°, Cost., assegnando alla famiglia, ancorché non
fondata sul matrimonio, il ruolo di formazione sociale all’interno della quale
devono trovare prioritaria tutela i diritti inviolabili dei suoi componenti e,
primi tra tutti, quelli dei figli.
De iure condendo, sarebbe bello ipotizzare che quanto fatto dal
legislatore in tema di filiazione non sia il punto d’arrivo, ma che diventi
fondamenta su cui “reggere” un intervento normativo che elimini le attuali
enormi diseguaglianze relativamente ai rapporti di convivenza.