La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale

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L A FA M I G L I A N E L L A C O S T I T U Z I O N E
ITALIANA
«La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica
dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare»
Articolo 29, Costituzione
«E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio […]
La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima[…]»
Articolo 30, Costituzione
Il dettato dei citati articoli della Costituzione –in particolare dell’art. 29- costituisce esito di un complesso iter procedimentale, che sotto il profilo storico fu condizionato
-nel quadro del più ampio conflitto tra laici e cattolici nell’Italia del dopoguerra- dalla questione dell’introduzione del divieto di divorzio nella Carta Costituzionale
e, con essa, dalla questione della legittimazione dei partiti politici, di ispirazione cristiana e non, a rappresentare anche l’elettorato cattolico.
Nonostante ciò il dibattito sulla definizione di famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” appare univocamente riferito dai Costituenti alla concezione
all’epoca predominante, recepita dal legislatore del 1942 e come tale implicitamente intesa nel dibattito: la famiglia legittima “in senso stretto” o coniugale, fondata
sul matrimonio, cioè su un vincolo validamente istituito secondo le leggi vigenti, per mezzo del matrimonio civile ovvero del matrimonio celebrato avanti al ministro
del culto cattolico e producente effetti civili.
Tramite questa concezione, permeata dai valori della tradizione giudaico-cristiana dell’Occidente, lo Stato Italiano riconosce la famiglia come dato ‘di natura’,
realtà costituita dall’unione affettiva stabile tra due soggetti di sesso diverso, basata sulla condivisione reciproca di obblighi, progetti e valori morali; formazione
sociale a cui l’ordinamento giuridico riconosce senso a valore nella misura del servizio reso ai suoi componenti, quale mezzo di crescita della loro personalità, ed
alla società intera, per la caratteristiche di stabilità affettiva, di solidarietà, di generatività che ne contraddistinguono le relazioni, con riverbero positivo sull’intero
tessuto sociale.
La tutela della famiglia così affermata viene attuata concretamente attraverso la particolare tutela dei due rapporti fondamentali di diritto familiare: quello di
coniugio e quello di filiazione. In questi due rapporti avviene la protezione prevalente degli status della famiglia -quelli di coniuge e di figlio legittimo- e attraverso
la tutela di tali rapporti avviene la tutela del nucleo, che è protezione della sua unità.
Questa tutela non è in alcun modo contraddetta dal “dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli , anche se nati fuori dal matrimonio”:
ne riceve, piuttosto, implicita conferma, tramite l’armonizzazione di tutti “i beni” riconosciuti e tutelati: da una parte la famiglia legittima e, in essa, lo status di figlio
legittimo; dall’altra la posizione personale del figlio nato fuori dal matrimonio, riconosciuta peraltro di contenuto analogo allo status predetto.
Le norme costituzionali dedicate alla famiglia hanno carattere immediatamente precettivo: vincolano il legislatore ordinario e l’interprete. Ciò significa che -pur
contemplando concetti duttili come quelli di “famiglia” e “matrimonio”, evolutivamente interpretabili sulla base delle trasformazioni dell’ordinamento e dell’evoluzione
dei costumi- le norme costituzionali non consentono interpretazioni abrogative, né interpretazioni che -incidendone sostanzialmente il nucleo – le modificano, così
da includervi fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando furono emanate.
In tal senso si è autorevolmente espressa la Corte Costituzionale in una nota sentenza del 2010 (sent. n. 138/10), con cui ha dichiarato in parte inammissibili (in
riferimento agli artt. 2 e 117 Cost.), in parte non fondate (con riferimento agli artt. 3 e 29 Cost.) le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici remittenti
in merito ad alcune norme del codice civile (artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143 bis, 156 bis) che -sistematicamente interpretate- non consentono nel nostro
ordinamento “che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso”.
Per altro verso, va rilevato che l’impianto costituzionale della famiglia non determina alcuna violazione di vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli
obblighi internazionali. A tale riguardo la stessa Corte Costituzionale, nella sopracitata sentenza, ha considerato che le norme di riferimento della Convenzione
Europea dei Diritti dell’Uomo (art. 12 CEDU) e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 9 Carta di Nizza) nell’affermare il diritto di sposarsi e
di formare una famiglia rinviano alle leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio.
La disciplina in materia di matrimonio e famiglia è pertanto affidata alla discrezionalità dei Parlamenti nazionali, senza imposizione di alcun divieto né vincolo a
livello sovranazionale.
II
S P O N S O R
impresa di costruzioni edili
compravendita immobiliare
g ra p hi c d e s i g n
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