Corso di Laurea Magistrale in Amministrazione, Finanza e Controllo Prova finale di Laurea IL TRATTAMENTO FISCALE DELLE SOCIETA’ E ASSOCIAZIONI SPORTIVE Relatore Ch.mo Prof. Loris Tosi Correlatore Ch.mo Prof. Antonio Viotto Correlatore Ch.mo Prof. Gianluca Sicchiero Laureando Pierfrancesco Rasi Matricola 816669 Anno Accademico 2011 / 2012 INDICE Introduzione ..................................................................................................................................... 9 PARTE PRIMA IL TRATTAMENTO FISCALE DELLE SOCIETA' SPORTIVE PROFESSIONISTICHE CAPITOLO 1 L'ORDINAMENTO SPORTIVO ITALIANO 1. Ordinamento giuridico generale e ordinamento giuridico sportivo...................................................................................................................14 1.1. L’evoluzione storica dei rapporti tra l’ordinamento giuridico generale e l’ordinamento sportivo. ............................................................ 15 1.2. I poteri delle federazioni sportive a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 91/1981. ............................................................................. 17 1.3. I soggetti dell’ordinamento sportivo. ........................................................ 19 2. Natura giuridica e struttura del C.O.N.I.. ................................................. 23 3. Le federazioni sportive nazionali e la loro natura giuridica. 3.1. Le federazioni sportive: due tesi a confronto. ....................................... 24 3.2 La tesi privatistica e la tesi pubblicistica. ................................................ 25 3.3 Le società sportive e il rapporto con le federazioni sportive 2 nazionali…………………………………………………………………………….......27 CAPITOLO 2 LE SOCIETA’ SPORTIVE PROFESSIONISTICHE E LA LORO EVOLUZIONE STORICA 1. Attività sportiva tra componenti economici e componenti ideali…………………………………………………………………………………...…29 2. Le società sportive e lo scopo di lucro……………………………………...30 2.1 Le società sportive di capitali tra il 1966 ed il 1981: il primo…… periodo……………………………………………………………………………….30 2.2 Le società sportive di capitali tra il 1981ed il 1996: il secondo… periodo……………………………………………………………………………….33 2.3 Le società sportive di capitali 1996 ai giorni nostri: il terzo……... periodo……………………………………………………………………………….38 2.3.1. La sentenza Bosman…………………………………………………..38 2.3.2. L’avvento delle televisioni a pagamento……………………...41 2.4 Considerazioni conclusive…………………………………………………....45 CAPITOLO 3 L’IRES E LE SOCIETA’ SPORTIVE PROFESSIONISTICHE 1. L’imposta sul reddito delle società: presupposto, base imponibile, soggetti passivi, aliquota………………………………………47 2. La determinazione del reddito imponibile delle società sportive professionisitche………………………………………………………49 3. I componenti positivi e negativi di reddito tipici delle società 3 sportive professionistiche ......................................................................... 50 3.1. Introiti da gare .............................................................................................. 51 3.2. Proventi da cessione di diritti televisivi ............................................ 53 3.2.1. Natura giuridica e trattamento fiscale dei proventi da cessione di diritti televisi ............................................................. 56 3.3. Introiti pubblicitari .................................................................................... 58 3.3.1. Le spese di pubblucità nel codice civile ................................ 59 3.3.2. Trattamento fiscale delle spese di pubblicità ..................... 61 3.3.3. Ricavi da sponsorizzazione ........................................................ 62 3.3.3.1. Natura giuridica dei contratti di sponsorizzazione...................................................................63 3.3.3.2. Trattamento fiscale dei contratti di……………………….. sponsorizzazzazione………………………………..…….........64 3.4. Proventi ed oneri derivanti da trasferimento di atleti ............. 67 3.4.1. I DPC nel bilancio civilistico e il loro trattamento fiscale……………………………………………………………………..…68 3.4.1.1. Ammortamento ....................................................................... 72 3.4.1.1.1. Il trattamento fiscale dell’ammortamento .......... 75 3.4.1.2. Plusvalenza/minusvalenza da cessione di DP............77 3.4.1.2.1. Il trattamento fiscale della plus/minusvalenza..78 3.5. Ammortamento e capitalizzazione dei costi del vivaio………...83 4. Decreto salva calcio……………………………………………………………….88 4 CAPITOLO 4 L'IRAP E LE SOCIETA' SPORTIVE PROFESSIONISTICHE 1. Il presupposto, la base imponibile, i soggetti passivi e l’aliquota..91 2. Plusvalenza da cessioni DPC: assoggettabilità o non………………… assoggettabilità ad Irap? ............................................................................. 99 CAPITOLO 5 IMPOSTA SUGLI INTRATTENIMENTI E SOCIETA’ SPORTIVE PROFESSIONISTICHE 1. Le società sportive professionistiche non sono soggette all’Imposta sugli intrattenimenti .......................................................... 107 CAPITOLO 6 L’IVA E LE SOCIETA’ SPORTIVE PROFESSIONISTICHE 1. I tre requisiti d’imponibilità a fini Iva .................................................... 112 2. Non imponibilità, esenzione, ed esclusione ai fini IVA ................... 114 3. Introiti da gare .................................................................................................. 116 4. Proventi da cessione di diritti televisivi in ambito di manifestazioni nazionali ............................................................................. 118 5 5. Proventi da cessione di diritti televisivi in ambito di manifestazioni internazionali ................................................................... 119 6. Proventi di natura pubblicitaria ............................................................... 123 7. Proventi da sponsorizzazione .................................................................... 124 8. Il trasferimento di atleti e l’imposta sul valore aggiunto ............... 124 PARTE SECONDA IL TRATTAMENTO FISCALE DELLE SOCIETA' E ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTCHE CAPITOLO 7 LE ASSOCIAZIONI E LE SOCIETA’ SPORTIVE DILETTANTISTICHE 1. L’attività sportiva spettacolistica……………………………..…..............127 2. L’associazione: peculiarità e aspetti civilistici… ............................... 129 3. L’associazione riconosciuta ......................................................................... 131 4. L’associazione non riconosciuta.. ............................................................ 132 5. Le associazioni sportive dilettanitstiche (ASD) ................................ 134 6. Le società sportive dilettanitstiche (SSD) ........................................... 135 7. Associazioni e società sportive professionistiche…………………..137 CAPITOLO 8 GLI ASPETTI GENERALI DELLA DISCIPLINA DELLE SOCIETA’ E ASSOCIAZIONI SPORTIVE 1. La disciplina fiscalde applicabile alle ASD e alle SSD… ................. 140 2. Condizioni per fruire delle agevlazioni… ............................................. 141 2.1. Adeguamento dell’atto costitutivo e dello statuto ......................... 141 6 2.2. Riconoscimento da parte del C.O.N.I. ................................................. 142 2.3. Utilizzo della specifica denominazione o ragione sociale da parte delle ASD ............................................................................................. 142 3. La disciplina dei versamenti e dei pagamenti nelle ASD e nelle SSD ........................................................................................................................... 143 CAPITOLO 9 GLI ASPETTI GENERALI DELLA DISCIPLINA DELLE SOCIETA’ E ASSOCIAZIONI SPORTIVE 1. L’ires e le associazioni: aspetti generali… ........................................... 144 1.1. La perdità di qualifica di ente non commerciale ............................ 148 1.2. Le modalità di determinazione del reddito. ................................... 149 1.2.1. Il regime forfetario per la determinazione del reddito degli enti non commerciali in generale ..................................... 152 2. L’Ires e le società/associazion sportive dilettantistiche ............... 153 2.1. Le modalità di determinazione del reddito. ................................... 156 CAPITOLO 10 L’IRAP NELLE ASSOCIAZIONI E NELLE SOCIETA’ SPORTIVE DILETTANTISTICHE 1. Le ASD ai fini Irap… ..................................................................................... 159 1.1. Il sistema retributivo .................................................................................. 160 1.2. Il sistema misto. ............................................................................................ 162 1.3. Deduzioni comuni ai due metodi alternativi di determinazione del valore della produzione netta ........................................................... 163 2. Le SSD ai fini IRAP .......................................................................................... 164 7 CAPITOLO 11 LA DISCIPLINA IVA NELLE ASSOCIAZIONI E NELLE SOCIETA’ DILETTANTISTICHE 1. Gli enti non commerciali e l’IVA… ........................................................... 167 1.1. Esclusione ed esenzione IVA ................................................................... 169 2. Detrazione IVA ................................................................................................... 170 3. Acquisti intracomunitari di beni degli enti non commerciali ..... 173 3.1. Enti non commerciali non soggetti passivi d’imposta. ................ 173 3.2. Enti non commerciali non soggetti passivi d’imposta ................. 174 4. Regime forfetario IVA ex L. n. 398/1991 .............................................. 175 4.1. Il regime speciale IVA per le attività d’intrattenimento. ............. 176 4.2. La disciplina IVA nelle attività aventi natura spettacolistica. ... 178 4.3. Regime IVA forfetario previsto ex L. n. 398/1991. ....................... 179 4.4. Regime IVA ordinario per le attività spettacolistiche. ................. 183 CAPITOLO 12 LE ASD E LE SSD E LE IMPOSTE INDIRETTE 1. Imposta di registro… .................................................................................... 185 2. Imposta di bollo, tasse sulle concessioni governative e imposta sulla pubblicità................................................................................................... 186 Conclusioni ................................................................................................................... 187 Bibliografia .................................................................................................................. 192 Giurisprudenza ........................................................................................................... 205 Prassi .............................................................................................................................. 206 8 INTRODUZIONE Lo sport oggi coinvolge in Italia un pubblico notevolmente ampio e differenziato che pochi settori industriali sono in grado di avvicinare. Ciò è dovuto a una serie di ragioni che sono caratteristiche del “settore sportivo”, ossia: -­‐ la dimensione sociale; lo sport al giorno d’oggi, infatti, riesce a coinvolgere, a diverso titolo, gran parte della popolazione italiana; -­‐ i valori positivi ed educativi di cui è portatore; questi spesso vengono sfruttati a fini commerciali da parte delle imprese che investono in forme di comunicazione legate allo sport; -­‐ la capacità di suscitare grandi emozioni; tale aspetto è strettamente connesso alla capacità dello sport di rappresentare un “prodotto altamente mediatico” che bene si concilia con la tempistica e le modalità di rappresentazione delle trasmissioni televisive e radiofoniche. Oltre a quanto sopra specificato, si deve sottolineare come lo sport, in Italia, ed in particolare nell’Italia meridionale, rivesta un ruolo fondamentale per i giovani. Esso, infatti, rappresenta l’alternativa più salutare e genuina alla criminalità organizzata (mafia, camorra, ‘ndrangheta), permettendo ai giovani di “scappare” da tali realtà, rifugiandosi nella pratica sportiva. L’aspetto dimensionale raggiunto dallo Sport, nonostante la crisi economica che colpisce il Paese da quattro anni, ha raggiunto livelli davvero rilevanti. Basti pensare che: -­‐ conta più di 13.000 aziende operanti nel settore e all’incirca 60.000 addetti; -­‐ ha raggiunto un fatturato di 11 miliardi di euro ed è rappresentato da oltre 500 marchi riconosciuti e registrati. Per coglierne al meglio il profilo economico e la sua grandezza, il dato probabilmente più significativo è che, nel nostro paese, rappresenta 9 all’incirca il 3% del PIL, generando una ricchezza stimata per oltre 30 miliardi di euro1. Altro dato significativo è sicuramente quello riguardante la spesa annuale complessiva per la pratica sportiva. In Italia, infatti, si spendono complessivamente 8,2 miliardi di Euro l’anno, di cui 3,8 per abbigliamento e accessori sportivi, 2,8 per istruttori e corsi ed infine 1,6 per impianti e strutture2. A conferma di quanto sopra affermato, si riportano due esempi inerenti la diffusione e la grandezza che lo sport è riuscito a raggiungere a livello mondiale: 1) si stima che i mondiali di rugby del 2011 in Francia abbiano contribuito ad un aumento del PIL nazionale dello 0,2 %, con un guadagno per lo Stato pari a 5 volte quanto effettivamente investito3; 2) secondo uno studio commissionato da MasterCard, sponsor ufficiale della Uefa Champions League, si ritiene che il Barcellona Fc abbia avuto un ritorno economico record di circa 126 milioni di euro per la vittoria della finale della Champions League 2011, disputata allo stadio olimpico di Roma4. L’aspetto che incide maggiormente sulla continua e costante crescita della dimensione e dell’importanza dello sport, è però, senza alcun dubbio, la sponsorizzazione, nonostante negli ultimi anni la congiuntura economica negativa abbia influito anche su tale aspetto. Lo sport, infatti, garantisce visibilità e notorietà a chi sponsorizza eventi, società e atleti come nessun’altra attività è in grado di fare5. 1 Fonte Nomisma. 2 Fonte Sito Nielsen. 3 Fonte Sporteconomy. 4 Tale importo è la combinazione di premi in denaro, crescita del valore della squadra, diritti televisivi, diritti su altri mezzi di comunicazione e aumento del brand equity. Per la squadra perdente (Manchester United) tale valore si stima intorno all’incredibile cifra di 73 milioni di euro. 5 L’esempio più calzante è senza dubbio quello di Red Bull, bevanda energetica che in pochi anni grazie alle sponsorizzazioni di attività ed eventi sportivi estremi, quali skateboard, snowboard, base jumping etc. è riuscita a crescere a livelli esponenziali, diventando uno dei maggiori competitors di Coca Cola nella vendita e nel consumo di bevande e il leader mondiale nella vendita di drinks energizzanti, nonostante le critiche 10 Infine, l’ultimo aspetto che incide in maniera rilevante sulla continua crescita a livello dimensionale dello sport, è il cosiddetto paradosso competitivo. In un “settore normale” la presenza di due società differenti che commercializzano un prodotto identico o simile provoca una lotta concorrenziale che, logicamente e correttamente, riduce notevolmente la penetrazione di mercato di ciascuna di esse. Nel mondo dello sport tale logica economica viene incredibilmente rovesciata, maggiore è la concorrenza tra società o atleti, infatti, maggiore sarà l’attenzione e l’interesse del consumatore/cliente all’evento sportivo. Quindi in sostanza, il concorrente è essenziale per la vendita e, più è forte, più il prodotto ha un valore estrinseco elevato. Si pensi al mondo del calcio, ed in particolare, su tutti, alla “lotta mediatica e sportiva” tra i due club indiscutibilmente più forti, oltreché più ricchi, del mondo, degli ultimi anni, il Barcellona di Guardiola da un lato ed il Real Madrid di Mourinho dall’altro. Tale rivalità, ha ampliato notevolmente il numero di spettatori interessati alla visione delle partite tra le due squadre, fino a tre anni fa limitato ai soli tifosi delle due squadre e ora d’interesse europeo ed addirittura mondiale. Il tutto solo ed esclusivamente per il solo fatto che le due squadre commercializzano un “prodotto”6 di livello elevatissimo rispetto agli altri competitors e molto simile tra loro. Quest’ultimo aspetto è, inoltre, strettamente connesso con l’incertezza del risultato sportivo. Lo sport è caratterizzato, infatti, da una serie d’incognite talmente ampie e varie che risulta difficile individuarle e trovare una spiegazione razionale per ciascuna di esse. Più le società o gli atleti hanno caratteristiche tra loro simili, maggiore sarà l’incertezza del risultato sportivo, il fascino della manifestazione e l’interesse dei consumatori. che le vengono mosse, essendo ritenuta da molti non sana e assolutamente da evitare se consumata come una normale bibita rinfrescante, poiché considerata un prodotto studiato per casi specifici di stress e sforzo fisico temporaneo. Basti pensare che in Francia è ancora vietata ed in Danimarca e Norvegia ne hanno vietata la vendita, ma è presente nelle farmacie, (fonte: sito Millionaire). 6 Il modo di giocare e i risultati ottenuti. 11 Particolarmente significativa a riguardo è una frase in dialetto di un grande “Maestro di calcio” degli anni ’50 e ’60, Nereo Rocco 7 , il quale in circostanze ancora ignote, esclamò: “Tiro, palo, balon fora = Ti xè un perdente. Tiro, palo, balon dentro = Ti xè un fenomeno.” Di fatto, dunque, le società sportive devono gestire il loro budget sulla base del “balon dentro o balon fora” aspetto senza dubbio di difficile previsione e caratteristico solo ed esclusivamente del mondo dello Sport. Le società o associazioni sportive non possono dunque essere definite aziende o associazioni come le altre e questo alla luce del fatto che: -­‐ il risultato sportivo non è programmabile; -­‐ la produzione nello spettacolo sportivo è congiunta; -­‐ i meccanismi concorrenziali sono fortemente atipici; -­‐ vi è interferenza e confusione tra norme sportive e norme civili; In virtù della notevole importanza di tale settore e delle dimensioni economiche raggiunte, ecco che si spiega la rilevanza del trattamento fiscale delle società e associazioni sportive. 7 Allenatore del Milan, con il quale vinse uno scudetto, due coppe campioni e una coppa intercontinentale. 12 PARTE PRIMA IL TRATTAMENTO FISCALE DELLE SOCIETA’ SPORTIVE PROFESSIONISTICHE 13 CAPITOLO 1 L’ORDINAMENTO SPORTIVO ITALIANO 1. Ordinamento giuridico generale e ordinamento giuridico sportivo. Analizzare gli aspetti giuridici dello sport, inteso in senso lato, significa inevitabilmente trattare la questione dell’esistenza dell’ordinamento giuridico sportivo. È dunque preliminare a qualsiasi altro aspetto di analisi, individuare gli aspetti fondamentali di un ordinamento giuridico e in un secondo momento verificare se tali caratteristiche sono presenti all’interno di quello sportivo. Un ordinamento giuridico è caratterizzato dalla presenza di tre fattori indispensabili8: 1) una molteplicità di individui; 2) un insieme di norme regolatrici; 3) un’autonoma organizzazione. La plurisoggettività consiste nell’esistenza di un cospicuo numero di soggetti legati dal rispetto e dall’osservanza di un insieme di norme a cui è attribuita una valenza fondamentale ed un efficacia vincolante. A garanzia del rispetto di tali norme vi è un insieme di persone e di servizi, denominato organizzazione9. Come si può agevolmente riscontrare l’ordinamento sportivo rispetta tutte le tre condizioni suindicate. Esso, infatti, è costituito da un insieme d’individui, è caratterizzato da una normazione sportiva, il cui fine è regolamentare l’attività sportiva dei soggetti che ne fanno parte ed è contrassegnato da un’autonoma organizzazione a capo della quale vi è il C.O.N.I.10 Alla luce di tutto ciò, assume notevole rilevanza l’aspetto fiscale delle società e associazioni sportive appartenenti a tale settore. Il risparmio d’imposta nelle società sportive professionistiche e le agevolazioni fiscali 8 Giannini, Gli elementi degli ordinamenti giuridici, Riv. Trim. di dir. Pubblico, 1959, 219 e ss. Mancin, L’ordinamento sportivo ed i relativi Soggetti, pag. 4. 9 Mancin, L’ordinamento sportivo ed i relativi Soggetti, pag. 4. 10 Comitato Olimpico Nazionale Italiano. 14 previste per le associazioni sportive, diventano così fondamentali in virtù della centralità dell’evento sportivo nel panorama nazionale e internazionale attuale. Pertanto, appare dunque lecito ritenere11 che l’ordinamento sportivo sia un ordinamento giuridico in senso proprio, come confermato anche in giurisprudenza dalla Suprema Corte 12 , la quale ha ribadito, in più di una circostanza, che l’ordinamento sportivo è un ordinamento giuridico caratterizzato da una propria potestà normativa. 1.1. L’evoluzione storica dei rapporti tra l’ordinamento giuridico generale e l’ordinamento sportivo. È fuori di ogni dubbio che l’ordinamento sportivo sia un ordinamento d’origine derivata, poiché è necessario che venga riconosciuto dall’ordinamento statale13, il quale rappresenta l’ordinamento giuridico di rango primario. Le finalità che esso persegue devono essere lecite in virtù dei principi posti a base dell’ordinamento giuridico generale. In sostanza, dunque, lo Stato tutela un ordinamento derivato, quale ad esempio quello sportivo, solo ed esclusivamente nell’ipotesi in cui esso abbia dei fini compatibili con i propri. Questo, in altre parole, significa14 che un ordinamento privato può disciplinare gli aspetti del comportamento umano che non vengono trattati direttamente dall’ordinamento giuridico generale, negli spazi lasciati liberi dallo stesso. Appurato che l’ordinamento sportivo è di tipo derivato non resta che incentrare l’analisi sui collegamenti esistenti tra questo e l’ordinamento giuridico generale. Le prime associazioni sportive15 avevano come unica finalità l’esercizio in comune di un’attività sportiva. Con il passare del tempo tali organismi hanno mutato la propria natura, trasformandosi progressivamente in 11 Così come affermato da De Silvestri, Le qualificazioni giuridiche dello Sport e nello Sport, Riv. di dir. Sport. 1992, 284 e ss. e ripreso da Giovanardi in Aspetti fiscali delle società e associazioni sportive, 1992, pp. 4 e 5. 12 Su tutte Corte di Cassazione Sez. Unite, n. 2725 del 1979. 13 Paladin, Diritto costituzionale, Padova, 1991, cit. 7 “Gli ordinamenti derivati possono vigere poiché la loro base normativa è fornita di maggiore ordinamento statale, non sono altro che parti dello Stato in quanto istituzione complessiva”. 14 Come rilevato da A. Giovanardi, op. cit., pag. 5. 15 Nate nella prima metà del 1800. 15 enti caratterizzati da interessi economico-­‐patrimoniali rilevanti. Tale processo evolutivo ha inevitabilmente reso necessario l’intervento dello Stato, in ragione dell’ingente numero d’interessi extra sportivi ad esso connessi. Questo può essere brevemente riassunto in 5 tappe 16: -­‐ L. n. 426/1942, la quale attribuisce al C.O.N.I. natura di Ente pubblico, affidandogli i compiti di presiedere all’organizzazione e al potenziamento dello sport, definendo le federazioni sportive nazionali come degli organi del C.O.N.I.; -­‐ D.P.R. n. 530/1974, contenente il regolamento di attuazione della L. n. 426/1942, ora D.P.R. 28 marzo 1986; -­‐ L. n. 91/1981, concernente norme in materia di rapporti tra società sportive e sportivi professionisti; -­‐ L. n. 80/1986, recante la disciplina fiscale degli emolumenti versati a sportivi dilettanti a titolo di indennità, rimborsi spese e premi; -­‐ L. n. 398/1991, riguardante disposizioni tributarie relative alle associazioni sportive dilettantistiche. Fino all’entrata in vigore della L. n. 91/198117, il Comitato Olimpico era il solo organismo dotato di rilevanza a livello di ordinamento giuridico generale, dato che il C.O.N.I. era l’unico ente sportivo dotato di poteri effettivamente riconosciuti a livello normativo dallo Stato. Le relazioni e i rapporti tra società sportive e federazioni sportive nazionali erano soggetti a quanto sancito dall’art. 5, co. 3, della L. n. 426/1942, il quale prevedeva che queste stabilissero, con regolamenti interni approvati dal C.O.N.I., le norme tecniche e amministrative per il loro funzionamento e le norme sportive per l’esercizio dello sport. Concludendo, non si può non ribadire che fino al 1981 il solo collegamento tra i due ordinamenti era dato esclusivamente dal C.O.N.I.. In seguito, con l’entrata in vigore della L. n. 91/1981, l’ordinamento sportivo Italiano ha subito un profondo e radicale cambiamento, che ha portato parte della sua struttura ad assumere rilevanza a livello di diritto statale. Tale 16 Come ribadito da A. Giovanardi, op. cit., p. 6. 17 Di portata rivoluzionaria per tutto il mondo dello sport, come si vedrà nei capitoli successivi. 16 fenomeno ha assunto il nome di “emersione dell’ordinamento sportivo”18. Il cambiamento è, dunque, avvenuto riguardo ai rapporti tra federazioni sportive e società, che fino ad allora era sempre stato appannaggio esclusivo del dell’ordinamento Sportivo; tale disciplina è oggi, invece, regolamentata anche dalla legge dello Stato. 1.2. I poteri delle federazioni sportive a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 91/1981. I poteri che tale norma attribuisce alle federazioni nazionali sono quattro: 1) il potere di affiliazione; 2) il potere di chiedere lo scioglimento della società in caso di gravi irregolarità gestionali; 3) il potere di approvazione delle federazioni sulla gestione in genere e sugli atti di straordinaria amministrazione; 4) il potere di ottenere dalle società di capitali, la comunicazione di ogni avvenuta variazione dello statuto o dei cambiamenti degli amministratori/revisori dei conti. Tramite l’affiliazione le singole società hanno accesso all’ordinamento sportivo, divenendone soggetti protagonisti. Prima dell’entrata in vigore della norma in questione essa aveva carattere esclusivamente interno19. Dopo il ’91, l’affiliazione ha assunto rilevanza anche nell’ambito statale, infatti l’art. 10, dopo aver sancito al primo comma che “possono stilare contratti con atleti professionisti solo società sportive, costituite nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata”, aggiunge al terzo comma che prima di depositare l’atto costitutivo, è necessario che la società ottenga l’affiliazione da una federazione sportiva nazionale. Nel caso in cui non riesca ad ottenerla, è preclusa qualsiasi forma di omologazione ed è fatto divieto anche di stipulare contratti con atleti professionisti. L’ammissione federale, dunque, non rileva più 18 A. Giovanardi, op. cit., nota n. 16, p. 8. 19 Inteso come sportivo o interno. 17 come in passato, ai soli fini sportivi, ma influisce sulla costituzione della società regolamentata. In relazione al potere di chiedere lo scioglimento, si rileva che, prima dell’approvazione di tale norma, laddove si fossero ravvisate gravi irregolarità di gestione, le società, per la propria modificazione e per un’eventuale estinzione, erano soggette a norme di diritto comune. Tale potere di sorveglianza, di conseguenza, non può che riguardare un ambito esterno rispetto all’ordinamento sportivo, poiché conferisce, a un organo a esso estrinseco, la possibilità di interferire sulla normale struttura civilistica di una società di capitali20. Per quanto concerne il potere di approvazione delle federazioni sulla gestione in genere e sugli atti di straordinaria amministrazione, si sottolinea come da esso si evinca una notevole riduzione della libertà di prendere decisioni ed agire delle società professionistiche, poiché alcune tipologie di atti possono essere compiute solo a seguito di un’autorizzazione della federazione competente. Infine, anche il quarto e ultimo potere assume rilevanza esterna poiché si deve considerare condizione di legittimità, sottoposta ad un esame preventivo del tribunale, ai fini dell’iscrizione nel registro delle imprese, della deliberazione dell’atto costitutivo ex art. 2436 c.c.. Concludendo, quanto finora analizzato non esaurisce il rapporto tra l’ordinamento giuridico generale e uno dei suoi numerosi ordinamenti giuridici derivati come quello sportivo. L’assetto completo di tale rapporto non può prescindere dalla qualificazione privata o pubblica che si decide di attribuire all’ordinamento sportivo. Al fine di risolvere tale aspetto è necessario analizzare e determinare la natura delle federazioni sportive nazionali. La loro eventuale qualificazione in una delle due ipotesi prospettate, come vedremo, comporta 20 A. Giovanardi op. cit., p. 10, il quale a sua volta riprende Landolfi, La nuova società sportiva, Le società n. 1, 1985 p. 43, che esprime questo concetto: “Trattasi di un potere di vigilanza, in un certo senso analogo a quello che l’autorità governativa esercita sulle cooperative, che, implicando una sovrapposizione eteronoma di un organo sulla normale struttura civilistica delle società per azioni….non può non palesare la sua dimensione esterna all’ordinamento sportivo”. 18 delle conseguenze rilevanti in relazione al rapporto vigente tra le stesse e il C.O.N.I.. 1.3. I soggetti dell’ordinamento sportivo. Al fine di analizzare dettagliatamente la natura dell’ordinamento sportivo è bene individuare i vari soggetti che ne fanno parte. Il Comitato olimpico internazionale (CIO). È il primo apparato organizzativo sportivo mondiale che, attraverso la sua struttura piuttosto complessa, riesce a riunire milioni di persone allo scopo di promuovere e diffondere la cultura sportiva. Ha sede a Losanna e persegue come obiettivi principali: -­‐ la promozione della pratica sportiva e dei suoi valori; -­‐ la programmazione e l’organizzazione dei Giochi Olimpici; -­‐ la lotta al doping. La sua attività è finanziata dai proventi dei diritti televisivi e dalle sponsorizzazioni legate ai giochi olimpici, i quali rappresentano l’evento in assoluto più seguito dalla popolazione mondiale. Le federazione sportive internazionali (FSI). Le FSI sono enti che gestiscono gli aspetti tecnici delle proprie discipline di riferimento, garantendo l’adeguata organizzazione delle competizioni e il rigoroso rispetto delle regole. A livello temporale21, precedono la nascita del CIO. 21 Con caratteristiche e soprattutto dimensioni notevolmente distanti da quelle attuali. 19 Ogni disciplina sportiva ha solitamente una federazione che, a livello mondiale, fissa le regole tecniche e pianifica le competizioni internazionali. Le funzioni principali di ogni FSI sono solitamente le seguenti22: -­‐ stabilire le regole tecniche dello Sport, farle rispettare e omologare i risultati; -­‐ fissare le regole che sovraintendono le varie competizioni; -­‐ strutturare la formazione arbitrale; -­‐ prescrivere le regole mediche per la salute degli atleti; -­‐ amministrare i fondi e ripartire i proventi; -­‐ presentare al CIO le proprie proposte per l’inclusione della propria disciplina nel novero delle discipline olimpiche. Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.). È un ente di diritto pubblico, che, secondo un’efficace espressione, ricopre il ruolo di “Confederazione delle federazioni sportive nazionali”. Al suo interno, infatti, sono ricomprese tutte le federazioni sportive nazionali riconosciute dal CIO. Nel paragrafo successivo si analizzeranno nel dettaglio la sua natura giuridica e la sua struttura. Le federazioni sportive nazionali (FSN). Le FSN sono soggetti che promuovono, organizzano, controllano e regolano tutte le attività agonistiche di una determinata disciplina sportiva. La loro natura è assai controversa. Vi sono, infatti, due filoni dottrinali di pensiero, il primo ritiene che abbiano personalità giuridica di diritto privato, sulla base di quanto sancito dall’art. 15 D. Lgs 242/1999, il secondo, invece, gli attribuisce natura pubblicistica, in virtù di quanto affermato all’interno dell’art. 5 L. n. 426 del 1942. Nei paragrafi successivi si approfondirà la questione. 22 Mancin, op. cit., pp. 6 e seguenti. 20 In alcuni sport di particolare rilevanza e grandezza, vi sono anche altri organismi che vengono denominati Leghe. Queste sono delle “associazioni di club” a tutti gli effetti il cui fine ultimo è quello di tutelare gli interessi all’interno del più complesso movimento federale. Esse hanno assunto con il passare degli anni un ruolo rilevante, al punto che le stesse federazioni nazionali attribuiscono loro specifiche funzioni, quali ad esempio la pianificazione e l’organizzazione degli eventi, dei tornei e dei campionati nazionali stessi. Le società sportive Con il termine società sportiva23 deve intendersi ogni organizzazione di tipo associativo che persegue come oggetto principale l’esercizio della pratica sportiva. Grazie ad esse i singoli individui che desiderano praticare un’attività sportiva possono farlo attraverso i servizi da queste messi a disposizione. La caratteristica peculiare di tali organismi è che sono contemporaneamente oggetto di due ordinamenti, quello sportivo da un lato e quello generale dello Stato dall’altro. In relazione al primo profilo, ogni singola società sportiva può entrare a far parte della federazione e quindi dell’ordinamento sportivo con l’affiliazione alla federazione stessa riconosciuta dal C.ON.I. Le società sportive possono essere di due tipi, le società sportive professionistiche, da un lato, e le società sportive dilettantistiche, dall’altro. Tale differenziazione ha una rilevanza fondamentale, perché, a seconda della loro natura, esse sono soggette ad un trattamento fiscale differente. È, infatti, previsto che l’imposizione fiscale del mondo dilettantistico sia caratterizzata da un trattamento privilegiato e da una serie di agevolazioni di portata non indifferente, come si vedrà nel prosieguo. È doveroso, però, precisare 24 che solo alcune federazioni (di notevole rilevanza economica, dimensionale e mediatica) prevedono l’istituzione del settore professionistico. Il dettato normativo dell’81, nell’articolo 10, elenca i tre 23 Mancin, op. cit., p. 10. 24 Mancin, op. cit., p. 10. 21 requisiti essenziali che una società deve possedere qualora voglia essere considerata professionistica: -­‐ costituirsi in forma di società di capitali; -­‐ svolgere in via esclusiva attività sportive ed attività ad esse strumentali o connesse. -­‐ prevedere che una quota parte degli utili, non inferiore al 10 %, sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico sportiva. Nell’originaria versione della L. n. 91/1981, era prevista l’esclusione di ogni possibile scopo di lucro, poiché ritenuto non conforme alle finalità ideali e non contaminate dell’attività sportiva agonistica. Il divieto di lucro è stato abrogato solo nel 1996, in conseguenza della pronuncia della Corte di Giustizia Europea sulla vicenda del calciatore belga Bosman25. L’oggetto della questione riguardava le norme federali aventi ad oggetto26: -­‐ il diritto di pretendere da un’altra società il pagamento di un corrispettivo per il trasferimento di un proprio giocatore giunto a scadenza di contratto; -­‐ la facoltà concessa alle associazioni o federazioni sportive, nazionali e internazionali, di includere nei rispettivi regolamenti un complesso di norme in grado di limitare la partecipazione di giocatori cittadini comunitari alle competizioni sportive27. 25 M. Mancin, Il bilancio delle società sportive professionistiche, Padova, 2009, pp. 33 e seg. La vicenda, rivoluzionaria per il mondo dello sport, prende il via qualche anno prima quando la Corte d’appello di Liegi, con ordinanza pronunciata il 1° ottobre 1993, chiese alla corte di Giustizia Europea di pronunciarsi sull’interpretazione degli articoli 48, 85 e 86 del trattato CE, in relazione alle normative delle federazioni sul trasferimento dei calciatori all’interno della Comunità Europea. 26 RUBINO F., Un approccio manageriale alla gestione delle società di calcio, TANZI A., Le società calcistiche, Implicazioni economiche di un “gioco”, Torino, 1999, pag. 58. 27 Bosman, giocatore di nazionalità Belga, aveva, infatti, richiesto di essere trasferito al Dunkerque, squadra Francese militante in serie inferiori. 22 La Corte di Giustizia, il 15 dicembre 1995, ha accolto entrambe le questioni sollevate nel ricorso dal calciatore. Tale sentenza, come vedremo nel prosieguo, ha avuto una portata rivoluzionaria per tutto il settore sportivo europeo. Da quel momento in avanti, infatti, le società calcistiche europee non hanno più il diritto di pretendere alcun pagamento di un’indennità per il trasferimento dei calciatori. I tesserati. L’ultima categoria è quella dei tesserati. Il tesseramento è l’atto con il quale la federazione sportiva conferisce all’atleta lo status di soggetto di diritto sportivo. Sono tesserati però non solo tutti coloro che desiderano ottenere il riconoscimento ufficiale delle loro prestazioni, ma anche i dirigenti, gli ufficiali di gara, i tecnici e tutti i soggetti che collaborano con le società sportive. In altre parole l’atleta o lo sportivo si associano alla federazione sportiva e si vincolano alla società sportiva per la quale dedicheranno il loro tempo e le loro energie. 2. Natura giuridica e struttura del C.O.N.I. IL C.O.N.I. è nato nel 1907 in occasione delle Olimpiadi di Londra. Inizialmente era un comitato a tutti gli effetti e, quindi, un’organizzazione non permanente che, in occasione delle Olimpiadi28, si costituiva perseguendo il fine di selezionare gli atleti da inviare ai giochi. Solo in un secondo momento acquisì la qualifica di ente, trasformandosi nel 1914 in associazione privata e, successivamente nel 1934, in ente con personalità di diritto pubblico. Oggi è un ente pubblico riconosciuto ricompreso all’interno della disciplina del parastato dalla L. n. 70/1975. Le funzioni del C.O.N.I. sono principalmente tre29: 28 E quindi ogni 4 anni. 29 A. Giovanardi, op. cit., p. 11. 23 1) in qualità di membro del C.I.O., ha il mandato di realizzarne le norme; 2) deve organizzare lo sport agonistico e promuoverne la diffusione in Italia; 3) è federazione delle federazioni sportive nazionali. Gli organi del C.O.N.I. sono i seguenti: a) il Consiglio Nazionale, presieduto dal presidente del C.O.N.I.. E’ composto dai Presidenti delle federazioni sportive nazionali, dai membri per l’Italia del C.I.O. e dal Segretario generale dell’ente; b) il Presidente, che ha la rappresentanza legale dell’ente, convoca e presiede il Consiglio Nazionale e la Giunta Esecutiva, attua le deliberazioni e approva i regolamenti interni alle federazioni; c) la Giunta Esecutiva, la quale provvede alla direzione e gestione dell’ente, predispone ed esamina il bilancio e gli adempimenti relativi alla documentazione contabile e analizza eventuali domande di adesione delle nuove federazioni nazionali; d) il segretario generale dell’ente; e) il collegio dei revisori. 3. Le Federazioni sportive nazionali e la loro natura giuridica. 3.1. Le federazioni sportive: due tesi confronto. E’ essenziale indagare la questione della natura pubblica o privata dell’ordinamento sportivo, perché è necessario chiedersi30 se la sua emersione, a seguito dell’emanazione della L. n. 91/1981, possa essere considerata un indice indicativo della sua pubblicizzazione. Tale analisi comporta la formulazione di una soluzione al problema della natura delle federazioni sportive nazionali, aspetto molto dibattuto sia in Giurisprudenza che in 30 A. Giovanardi, op. cit., pp. 12 e seg.. 24 Dottrina. Nel caso in cui siano organi in senso improprio, il C.O.N.I. esercita alcuni poteri su di esse senza, però, che per questo siano considerate enti pubblici, se invece sono organi in senso proprio del Comitato, come si evincerebbe dall’art. 5 L. 426/194231, partecipano della sua natura di ente pubblico e godono di autonomia privata e di autarchia 32 . L’analisi di tale questione ricopre un ruolo di notevole e preliminare importanza per uno studio adeguato e completo dell’ordinamento sportivo. Essa, infatti, permette di individuare la soluzione delle seguenti questioni33: -­‐ la natura dei regolamenti federali; -­‐ la natura della giustizia sportiva, -­‐ la natura del tesseramento. 3.2. La tesi “pubblicistica” e la tesi “privatistica”. Come già sottolineato in precedenza, la questione è stata ed è tuttora ampiamente dibattuta, ma, nonostante questo è, ad oggi, priva di una soluzione univoca e condivisa. Esistono, infatti, due filoni differenti, il primo sostiene abbiano carattere “pubblicistico”, il secondo “privatistico”. Coloro che sostengono la tesi pubblicistica34, incentrano la loro argomentazione sull’art. 5 della L. 426/1942, in cui le federazioni vengono considerate come organi del C.O.N.I.. L’art. 2 del D.P.R. n 157/1986 limita però la definizione dell’art. 5, 31 Tale articola recita: “Sono organi del C.O.N.I.: 1) la Federazione Italiana atletica leggera; 2) La federazione Italiana sport invernali;…”. 32 Landi G., Potenza M., Manuale di diritto amministrativo, Milano, 1987, “L’autarchia è la capacità di agire per il conseguimento dei propri fini, mediante l’emanazione di un’attività amministrativa che ha la natura e gli effetti medesimi dell’attività amministrativa dello Stato.” 33 Giovanardi, op. cit., 13-­‐14. 34 Tale tesi ha incontrato il favore della prevalente dottrina e giurisprudenza. Si vedano per quanto concerne la Giurisprudenza: Cassazione, Sez. unite n. 2028 del 1968, Cassazione, Sez. unite n. 2725 del 1979, Cassazione n. 625 del 1978, Cassazione n. 811 del 1963, Cassazione, Sez. unite n. 3091 del 1986 e n. 4399 del 1989. Nelle ultime due sentenze citate si è affermata la tesi della doppia natura delle federazioni sportive nazionali. Nella sentenza del ’86 la Suprema Corte sancisce che “… le federazioni sportive sorgono come soggetti privati (associazioni non riconosciute) e conservano quella loro impronta che rendono esplicita in innumerevoli serie di informazioni; e tuttavia, nella ricorrenza di certi requisiti, assumono la qualifica di organi del C.O.N.I. e partecipano quindi necessariamente della natura pubblica di questo”. 25 sancendo che le federazioni sono sì degli organi del comitato, ma lo sono solo ed esclusivamente “… relativamente all’esercizio delle attività sportive ricadenti nell’ambito di rispettiva competenza”. Tale precisazione sembra voler sottolineare che il legislatore abbia usato il termine in questione con due significati differenti. Se così non fosse, non vi sarebbe alcuna motivazione logica in grado di giustificare tale specificazione, totalmente assente nella legge del 1942 35 . Ulteriori motivazioni che sembrano avvalorare tale tesi sono le seguenti36: 1) il fatto che il legislatore abbia conferito natura pubblica al C.O.N.I. non significa che tutti gli enti ad esso appartenenti o con esso collegati abbiano la stessa natura giuridica; 2) l’art. 14, co. 2, della L. n. 91 del 198137, riconosce alle federazioni sportive una certa autonomia tecnica di gestione 38 ed organizzativa39, aspetti che si riscontrano con frequenza in organi di diritto pubblico, a differenza dell’autonomia gestionale, che indicano il carattere privato di un soggetto, poiché la libera conduzione aziendale funge da fattore discriminante tra enti pubblici e privati40; 3) il potere di vigilanza che il Comitato esercita non può che rappresentare un chiaro indicatore di un rapporto intersoggettivo e non interorganico. In virtù di quanto sinora argomentato, anche se in contrasto con il dettato normativo del 1942 e con buona parte della dottrina e della giurisprudenza precedente, sembra possibile affermare che l’art. 15, D. Lgs n. 242/1999, 35 Le federazioni qui sono definite organi del C.O.N.I. in tutto e per tutto. 36 A. Giovanardi, op. cit., 14-­‐15. 37 Recita così “Alle federazioni sportive nazionali è riconosciuta l’autonomia tecnica, organizzativa e di gestione sotto la vigilanza del C.O.N.I.”. 38 Sotto la vigilanza del C.O.N.I.. 39 Quaranta, Sulla natura giuridica delle federazioni sportive nazionali, cit. 177, “…gli ambiti molto vasti di autonomia, soprattutto gestionale, denotano come, pur senza una qualificazione espressa in senso privatistico delle federazioni, in sostanza il legislatore ne abbia voluto fare dei centri di imputazione giuridica distinti e separati dal C.O.N.I..” 40 A. Giovanardi, op. cit., 15-­‐16. 26 attribuisca alle federazioni la natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato41. Non sembra, pertanto, potersi condividere la tesi pubblicistica, ritenendo invece più corretto, come sancito dall’art. 15, D. Lgs n. 242/1999 e sostenuto da autorevole dottrina42, che esse abbiano natura privatistica. 3.3. Le società sportive e il rapporto con le federazioni sportive nazionali. Il rapporto esistente tra le società sportive nazionali e le federazioni è già stato in parte trattato nei paragrafi precedenti in particolare in relazione all’emersione dell’ordinamento sportivo e con riferimento alla natura giuridica delle federazioni. Questo è disciplinato dal regolamento delle federazioni e dalla L. n. 91/1981, capo II, art. 10-­‐14. Tali articoli in particolare introducono i tre concetti fondamentali già affrontati: -­‐ potere di affiliazione e obbligo di deposito dell’atto costitutivo presso le federazioni entro i trenta giorni successivi all’omologazione del tribunale; Tra i poteri spettanti alla federazione vi è anche la facoltà, in alcuni casi particolarmente gravi 43 , di revocare l’affiliazione, inibendo di conseguenza lo svolgimento della pratica sportiva. -­‐ potere di approvazione e controllo delle federazioni sportive nazionali sulla gestione e sugli atti di amministrazione straordinaria in particolare; 41 Il co. 2 dell’articolo in questione recita come segue “Le federazioni sportive nazionali hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono disciplinate, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, dal codice civile e dalle disposizioni di attuazione del medesimo”. 42 A. Giovanardi, op. cit., p. 16 su tutti, ma anche Quaranta, Sulla natura giuridica delle federazioni sportive nazionali. 43 Gravi infrazioni dell’ordinamento sportivo. Qualora una società sportiva sia affiliata a più federazioni, la revoca di una sola affiliazione dovrebbe essere estesa anche alle altre; appare, infatti, privo di logica che una società possa rimanere nell’ambito dell’ordinamento sportivo dopo averlo gravemente contravvenuto, solo per il fatto di essere stata riconosciuta da più federazioni. 27 -­‐ potere delle federazioni di chiedere al tribunale, con ricorso motivato la messa in liquidazione della società qualora ricorrano gravi irregolarità di gestione. 28 CAPITOLO 2 LE SOCIETA’ SPORTIVE PROFESSIONISTICHE E LA LORO EVOLUZIONE STORICA 1. Attività sportiva tra componenti economici e componenti ideali. La pratica sportiva a livello professionistico44 è caratterizzata da una forte componente di natura ideale, che in talune circostanze (soprattutto per quanto riguarda i tifosi) può far passare in secondo piano gli aspetti puramente economici e lucrativi. Se, però, si analizzano attentamente alcuni sport, tra i quali sicuramente il calcio e la formula uno, è lecito che chiedersi se l’esercizio, da parte della società, di manifestazioni sportive sia strumentale al perseguimento di finalità di carattere ideale o se, piuttosto, non valga il contrario e cioè che l’esercizio della pratica sportiva sia un mezzo per il conseguimento di un reddito45. Sono due gli aspetti fondamentali della pratica sportiva a livello agonistico: -­‐ gli enti sportivi sono delle imprese a tutti gli effetti, gestite professionalmente e organizzate con criteri economici così come previsto dall’art. 2082 c.c.; -­‐ lo sport è imprescindibilmente contraddistinto da un carattere idealistico che , in talune circostanze, riesce a far passare in secondo piano gli aspetti prettamente economici. Il problema di questi due aspetti è che, assai frequentemente, sono in contrasto tra loro, essendo, così, particolarmente difficoltoso per il legislatore riuscire a farli convivere serenamente. 44 E non solo, visto la recente disciplina delle società sportive dilettantistiche, che tratteremo nei capitoli successivi. 45 A. Giovanardi, op. cit. 25. 29 2. Le società sportive e lo scopo di lucro. Elemento di primaria importanza e ricorrente in tutti e tre periodi temporali che di seguito si andranno ad analizzare, è lo “scopo di lucro46” in relazione all’attività sportiva. Tale aspetto, infatti, più di ogni altro, incarna la problematica di “pacifica convivenza” tra l’aspetto economico e quello puramente idealistico. Di seguito si cercherà di ricostruire il percorso che ha portato all’attuale configurazione economica dello sport, suddividendolo in tre distinti periodi storici47: -­‐ il primo riguarda gli anni ’60 e ’70 in cui si assiste alla nascita delle società sportive di capitali a seguito della trasformazione delle vecchie associazioni sportive; -­‐ il secondo, che dal 1981, anno di approvazione della prima legge italiana sullo sport professionistico, si protrae fino al 1996, anno in cui viene pronunciata la nota sentenza Bosman; -­‐ il terzo, che dal 1996 giunge sino ai giorni nostri. 2.1. Le società sportive di capitali tra il 1966 e il 1981: il primo periodo. La ricostruzione parte necessariamente dalla metà degli anni ’60, periodo nel quale può essere ricondotto l’avvento delle nuove società sportive, in particolare calcistiche48. Prima della nascita delle predette società, i club erano costituiti in forma di vere e proprie associazioni sportive. 46 Con scopo di lucro qui si intende il lucro soggettivo che si distingue da quello oggettivo. Quest’ultimo, infatti, cosi come affermato da G.F. Campobasso, Manuale di diritto Commerciale, Torino, 2008, pp. 127-­‐128, è lo scopo di conseguire utili. Il lucro soggettivo è la possibilità che tali utili siano destinati ai soci. 47 Mancin, op. cit., pp. 2-­‐10 48 È bene sin da subito evidenziare che le normative citate d’ora in avanti riguardano quasi esclusivamente l’ambito calcistico, poiché sport di maggiore interesse da parte della popolazione e di conseguenza del legislatore. Il fatto che riguardi il calcio, non impedisce, come poi effettivamente è avvenuto, di estendere l’ambito di applicazione a tutti le discipline sportive professionistiche. 30 La continua attenzione al risultato della disciplina sportiva e il nuovo contesto socio/economico in continua crescita in cui erano costretti ad operare tali club, inducono la trasformazione da associazioni sportive a vere e proprie società sportive di capitali49. Tra i fattori che maggiormente caratterizzano tale trasformazione, vi sono: -­‐ il progressivo aumento del tasso tecnico delle manifestazioni sportive ed il loro ampliamento su scala internazionale50; -­‐ l’interesse sempre crescente dei media a tali competizioni. La conseguenza principale che tale evoluzione ha comportato, è facilmente intuibile: le associazioni sportive erano totalmente inadeguate per gestire tale mutamento. Questa situazione, pertanto, ha indotto la FIGC, nel 1966, a emanare una serie di provvedimenti finalizzati ad adeguare la gestione dei club al mutamento del settore sportivo. I provvedimenti principali adottati dalla federazione51 sono stati: -­‐ la delibera del Consiglio Federale della FIGC del 16 settembre 1966; -­‐ la delibera del Consiglio Federale della FIGC del 21 settembre 1966. Tali provvedimenti hanno disciplinato una nuova e particolare tipologia di società sportive di capitali, pensata ad hoc per la pratica di sport a livello professionistico. Le caratteristiche principali innovative delle nuove società possono essere riepilogate come segue52: 1) l’oggetto sociale. La società deve avere per oggetto la gestione e la formazione della squadra, nonché l’organizzazione e la promozione di competizioni e manifestazioni; 49 Solo, però, sotto forma di S.p.A. 50 In particolare europea, ci si riferisce alla Coppa Campioni. 51 De Mita, il bilancio di esercizio nelle società di calcio professionistiche, fondazione Artemio Franchi, Firenze, 1998, pag. 21. 52 Mancin, op. cit. 8-­‐10. 31 2) l’assenza di scopo di lucro 53 . I provvedimenti riconoscono alle società la possibilità di generare ricchezza, ma impediscono che tale ricchezza possa essere distribuita ai soci in qualsiasi forma54; 3) La presenza di rappresentanti esterni tra i soci. La FIGC, come indicato nell’art. 5, ha la facoltà di acquisire una partecipazione azionaria nella società sino a un ammontare massimo del 5% del capitale sociale. Sempre nell’art. 5 è fatto divieto a ogni professionista di acquistare quote o azioni di società di capitali in altre realtà con il medesimo oggetto sociale55. 4) Controllo esterno sulle scelte di gestione. È previsto dall’art. 19 che tutte le deliberazioni societarie riguardanti assunzioni di mutui, rilascio di fideiussioni, creazioni di “scoperti” di conto corrente e di ogni altra forma di finanziamento, siano soggette a preventiva approvazione da parte degli organi federali. Tali provvedimenti non hanno però generato gli effetti desiderati e sperati nell’imminenza della loro approvazione e nemmeno nel lungo periodo, inducendo così le società a fronteggiare la situazione di difficoltà attraverso: -­‐ la ricerca delle remunerazioni indirette; -­‐ una scarsa attenzione all’equilibrio economico-­‐finanziario nella gestione. Il divieto di distribuzione di utili ha portato, infatti, gli azionisti a considerare del tutto secondario l’equilibrio economico a scapito della visibilità e della fama scaturenti dalla partecipazione azionaria in queste società. 53 Si intende lucro soggettivo. 54 È fatto divieto di ripartire anche gli eventuali saldi attivi residui in caso di liquidazione, i quali avrebbero dovuto essere eventualmente devoluti a favore del C.O.N.I., dopo il rimborso ai soci del capitale. Cfr. Tanzi A., cit., pag. 27. 55 Ovvero in altre società di calcio professionistiche. L’eventuale partecipazione in altre società, diverse da quelle creditizio-­‐finanziarie, doveva essere comunque preventivamente comunicata alla FIGC. 32 Per concludere, si concorda con quanto sostenuto da dottrina autentica56 “Il divieto di lucro -­‐ che trova le sue radici storiche nell’incompatibilità tra sport e profitto -­‐ ha costituito l’ostacolo principale all’affermazione della nuova società sportiva professionistica.”. 2.2. Le società sportive di capitali tra il 1981 ed il 1996: il secondo periodo. Il secondo periodo ha inizio a seguito dell’approvazione della L. n. 91/1981, la quale ha regolato strutturalmente lo sport professionistico italiano57. Dal punto di vista contenutistico tale dettato normativo affronta le seguenti problematiche58: -­‐ forma giuridica e oggetto sociale delle società sportive professionistiche; -­‐ sistema dei controlli federali; -­‐ rapporto tra atleta e società e relative modalità di trasferimento. Forma giuridica e aspetto sociale. In relazione alla forma giuridica, la qualifica di società sportive professionistiche, a seguito dell’entrata in vigore di tale norma, si estende solo ed esclusivamente a quelle società costituite sotto forma di società per azioni o a responsabilità limitata. C’è dunque, rispetto alla riforma del ‘6659, un’estensione del novero delle società considerate. Relativamente all’oggetto sociale, invece, il testo normativo all’art. 10 sancisce l’obbligo di reinvestire interamente gli utili eventualmente conseguiti per “il perseguimento dell’attività sportiva”. In sostanza, la Legge in questione 56 Mancin M., op. cit., 11. Rimane a oggi, l’unico provvedimento normativo in riferimento allo sport professionistico. 58 Mancin, op. cit. pag. 14, Masucci M., Le società calcistiche. Problemi di gestione e di bilancio, Bari, 1983 cit. pag. 27. 59 Che prevedeva solo ed esclusivamente società costituite sotto forma di S.p.A. 57 33 esclude che le società possano svolgere attività di natura commerciale attraverso l’esercizio di una società sportiva. L’unico scopo possibile, dunque, è il perseguimento dell’attività sportiva. Strettamente connesso all’oggetto sociale, è il divieto della finalità di lucro imposto alle società in questione, che viene regolamentato dall’art. 10 e dall’art. 13. Il primo sancisce che “L’atto costitutivo deve prevedere che gli utili siano reinvestiti nella società”; il secondo, invece, prevede che “i liquidatori devono redigere il bilancio finale… indicando la parte spettante, in misura non superiore al loro valore nominale, a ciascun’azione o quota nella divisione dell’attivo. Il residuo attivo viene assegnato al CONI.”. Sistema dei controlli federali. La norma ribadisce -­‐ e per certi versi inasprisce -­‐ il sistema di controlli federali previsto dalla riforma del ’66, con lo scopo di rafforzare la solidità delle singole società e del “sistema calcio” nel suo complesso. In particolare il dettato normativo attribuisce al Comitato e alle federazioni l’obbligo di vigilare sull’operato e sulla gestione dei club. L’art. 12 sancisce, infatti, che “tutte le deliberazioni delle società concernenti esposizioni finanziarie, acquisti o vendita d’immobili, o comunque tutti gli atti di straordinaria amministrazione, sono soggetti ad approvazione da parte delle FSN cui sono affiliate”. Ciò significa che, in rapporto alla riforma del ’66, il controllo non è più soggetto esclusivamente alle sole scelte di finanziamento, ma si estende anche a operazioni straordinarie o di investimenti immobiliari. La legge, inoltre, stabilisce quanto segue: “la federazione sportiva nazionale, per gravi irregolarità di gestione, può richiedere al tribunale, con motivato ricorso, la messa in liquidazione della società e la nomina di un liquidatore”. A partire dai primi anni ’80, dunque, le società sportive professionistiche vengono private sia della propria autonomia economica sia di quella decisionale. Alla base di tali privazioni vi è la necessità da parte del Comitato di 34 salvaguardare l’equilibrio economico finanziario del mondo del calcio e di conseguenza dello sport in generale. L’applicazione di tali provvedimenti, non ha però prodotto i risultati sperati e voluti, ma, al contrario, ha acuito la situazione di crisi economica delle società sportive, impedendo in sostanza la crescita culturale delle imprese nel settore60. Rapporto tra atleta-­‐società e relative modalità di trasferimento. Prima dell’entrata in vigore della L. 91/1981 il legame tra singolo atleta e società sportiva di appartenenza era regolamentato da due autonomi e differenti rapporti: 1. il rapporto di lavoro sportivo, il quale rispecchiava il contratto di ingaggio e disciplinava il compenso spettante al calciatore professionista; 2. il rapporto di vincolo sportivo, attraverso il quale la società poteva avvalersi in via esclusiva delle prestazioni sportive del calciatore per tutta la durata della sua attività agonistica. Tale vincolo, inoltre, concedeva alla società il potere di precludere allo stesso la facoltà di prestare la propria attività sportiva al servizio di un’altra società. Il vincolo sportivo, pertanto, rappresentava un vero e proprio legame tra il professionista e la sua società di appartenenza, al punto che il calciatore, dopo aver firmato il contratto, non poteva impegnarsi con altra società se non previo consenso da parte di quella cui era contrattualmente legato. 60 Cfr. Mancin, op.cit., pag. 19. 35 In virtù del quadro normativo così delineato, il trasferimento di un calciatore poteva avvenire solo ed esclusivamente attraverso la cessione del vincolo sportivo, cui subentrava la nuova società con il nuovo contratto61. L’art. 16 della L. n. 91/1981 prevede in maniera esplicita la graduale eliminazione del vincolo sportivo entro il quinto anno dalla sua entrata in vigore. Tale cambiamento, di portata rivoluzionaria ed epocale nel rapporto intercorrente tra singolo atleta e società, introduce radicali mutamenti a livello di trasferimento, o meglio di cessione di un calciatore. Essa, infatti, può avvenire solo a seguito del verificarsi di : -­‐ una cessione del contratto62; il dettato normativo introduce un termine massimo di durata del contratto che lega lo sportivo alla società di appartenenza. Tale limite è fissato in cinque anni 63. È tuttavia consentito cedere il contratto prima che giunga alla scadenza solo qualora vi sia il consenso del calciatore e siano rispettate le regole previste dalla federazione; -­‐ un trasferimento del calciatore64; la norma prevede, infatti, che l’atleta, non appena scada il contratto, sia libero di stipularne uno nuovo con un'altra società, che deve però necessariamente versare una particolare Indennità di Preparazione e Promozione (IPP)65 alla società cedente. 61 Caratteristica peculiare del vincolo sportivo è che è inquadrato alla stregua di un diritto avente natura patrimoniale, e quindi, in quanto tale, può essere oggetto di comproprietà, cessione e prestito. Per un’analisi maggiormente dettagliata della natura giuridica del vincolo sportivo si rimanda a De Vita G., op. cit., pp. 55-­‐56. 62 Come previsto ai sensi dell’art. 5. 63 Ed è attualmente ancora in vigore. 64 Come previsto ai sensi dell’art. 6. 65 La norma prevedeva che il pagamento dell’ IPP fosse versato non solo dalla società firmataria del nuovo contratto a favore della precedente, ma anche nel caso di primo contratto da professionista in favore della società o associazione dilettantistica di provenienza. Tale ultimo aspetto(IPP da squadra professionistica a squadra dilettantistica di provenienza) è tutto oggi ancora in vigore. 36 Il legislatore, introducendo tale Indennità, voleva garantire alla società cessionaria una sorta di recupero dei costi, o di parte di essi, sostenuti per il mantenimento e il miglioramento delle doti del singolo atleta. Da un punto di vista pratico però, l’IPP provocò null’altro che una mera continuazione rivisitata degli effetti prodotti dall’abrogato vincolo sportivo. Pertanto, la società che desiderava sfruttare le prestazioni sportive di un professionista era tenuta a dover pagare un indennizzo, spesso di importo particolarmente elevato. In sostanza il calciatore, una volta giunto a scadenza di contratto, non godeva della piena libertà di poter scegliere la propria destinazione sportiva, vedendosi vincolato a dover accettare esclusivamente le proposte di quei club disposti a pagare l’importo di tale premio alla società di appartenenza. Tale istituto venne in seguito e fortunatamente abrogato dalla sentenza Bosman del 1996. Caratteristiche peculiari dell’IPP: modalità di calcolo. L’IPP si determinava sulla base di un algoritmo, le cui caratteristiche erano minuziosamente disciplinate dalla federazione66, derivante dal prodotto di due fattori: un “parametro base” che veniva moltiplicato per “un coefficiente di moltiplicazione”. Il “parametro base” era rappresentato dalla media degli emolumenti globali lordi percepiti dal giocatore nelle ultime due stagioni67. Il “coefficiente di moltiplicazione” veniva applicato al parametro base al fine di ottenere il valore dell’IPP finale. Questo coefficiente era determinato in conformità a una tabella comprendente l’età del calciatore, le categorie della società di appartenenza e di quella di destinazione. 66 Mancin, op. cit., pp. 24-­‐25 67 L’emolumento globale annuo lordo comprendeva la sommatoria dei seguenti fattori: compenso annuo, premi corrisposti dalla società, premi corrisposti dalla federazione, quote di proventi percepiti per attività pubblicitaria, o comunque promozionale, svolte dalla società. 37 Caratteristiche peculiari dell’IPP: il termine entro il quale si estingueva il diritto a percepire l’IPP. La L. n. 91/1981 non forniva alcuna indicazione in merito al termine entro il quale si estingueva il diritto da parte della società cedente a percepire l’indennità riguardante il diritto alla prestazione del calciatore. L’ordinamento era, dunque, lasciato alle singole federazioni. La FIGC, a riguardo, decise di regolare il trasferimento dei calciatori stabilendo che il diritto alla corresponsione dell’IPP si prescriveva al termine della seconda stagione successiva a quella in cui era terminato il precedente rapporto contrattuale. Caratteristiche peculiari dell’IPP: possibilità di deroga nella definizione del valore finale dell’IPP. Il termine previsto dalla FIGC per il diritto alla corresponsione poteva comunque essere oggetto di trattazione tra le due società interessate alla compravendita del calciatore. 2.3. Le società sportive di capitali dal 1996 ai giorni nostri: il terzo periodo. La situazione così delineata durò fino al 1996, anno in cui due avvenimenti di portata rivoluzionaria modificarono radicalmente il mondo del calcio e dello sport in generale. Il primo fu la sentenza Bosman, il secondo l’avvento delle pay tv/pay per view. 2.3.1. La sentenza Bosman. Oggetto di tale sentenza, come già accennato in precedenza, fu, in primis, il diritto di pretendere, da una società terza, il pagamento di un determinato corrispettivo in denaro per il trasferimento di un proprio giocatore giunto a 38 scadenza di contratto, e, in secundis, la facoltà, concessa alle associazioni o federazioni sportive nazionali e internazionali, di includere nei rispettivi regolamenti norme in grado di limitare la partecipazione di giocatori stranieri al campionato nazionale68. La sentenza accolse il ricorso del calciatore Belga e iniziò a produrre i propri effetti fin da subito in tutti gli Stati membri, compresa l’Italia69. Con l’adeguamento dei predetti Stati alla pronuncia, le società non potevano più richiedere il pagamento di un’indennità per il trasferimento di calciatori ed era definitivamente eliminato ogni impedimento volto a limitare la possibilità, per i vari club, di schierare giocatori stranieri, ma comunitari, nei campionati professionistici. È bene sin da subito precisare la portata di tale sentenza onde evitare errori di valutazione nella sua applicazione. L’abolizione dell’IPP ha efficacia solo ed esclusivamente in riferimento al trasferimento di sportivi europei in ambito transfrontaliero, non incidendo sulla circolazione all’interno dei singoli stati membri. In altre parole, l’Indennità di Preparazione e Promozione non era in contrasto con quanto sancito dalla Corte nel caso di trasferimenti di calciatori italiani e stranieri militanti in squadre dello stesso paese. Tale pronuncia, inoltre, in contrasto con la normale efficacia delle sentenze delle Corte in via pregiudiziale, non produceva effetti retroattivi su tutto il territorio comunitario. Siffatta decisione, non può che essere condivisa alla luce degli effetti che sarebbero potuti scaturire nel mondo dello sport nel caso in cui avesse avuto efficacia retroattiva70. A seguito della sentenza, in Italia furono emanati una serie di provvedimenti, che non trovarono però la conversione, la quale arrivò solo 68 Mancin, op. cit., pp. 33-­‐34 69 L’applicabilità immediata di tale sentenza trova conferma nel nostro sistema nella relazione al disegno di legge 18 maggio 1996, Atto n. 1040, pubblicato in Corr. Trib., 1996 p. 2027. 70 Si pensi in particolare agli effetti contabili e fiscali. 39 successivamente al D.L. n. 485/1996, che, oltre a confermare l’abrogazione dell’IPP, introdusse una serie di novità significative relative a71: -­‐ finalità di lucro; il decreto introduce per la prima volta nel mondo del calcio e dello sport la possibilità di distribuire la ricchezza generata tra gli azionisti, abrogando così il co. 2 dell’art. 10 L. 91/198172. -­‐ obbligatorietà del collegio sindacale, derogando quanto stabilito dall’art 2477 c.c. 73, la norma in questione prevede l’obbligatorietà del collegio sindacale per le società sportive costituite in forma di S.r.l. anche qualora il capitale sociale risulti inferiore ai limiti fissati per legge74. -­‐ modifica delle forme di controllo federale; Il decreto modifica radicalmente il sistema dei controlli previsto dalla L. n. 91/1981. Vengono, infatti, variati gli articoli 12 e 13, eliminando i controlli federali preventivi sulla gestione e sugli atti di amministrazione75. La nuova formulazione dell’art. 12 limita l’ambito di controllo al solo campo sportivo. È abrogata anche la facoltà concessa alla federazione stessa di chiedere all’autorità giudiziaria la messa in liquidazione della società e di devolvere al C.O.N.I. l’eventuale eccedenza rispetto al valore nominale delle azioni distribuito ai soci. 71 Lago, Baroncelli, Szimansky, Il Business del Calcio, Milano 2004. Che, lo ripetiamo, obbligava la società al reinvestiment degli utili per il perseguimento esclusivo dell’attività sportiva. 73 Tale articolo stabilisce al co. 2 che “La nomina del collegio sindacale è obbligatoria se il capitale sociale non è inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni.”. 74 Al tempo pari a 200 milioni di lire. 75 La legittimità tra sistema di controlli federali e normativa è stata fonte di studio di molteplici autori. Tra i fautori della tesi d’incompatibilità tra essi si ricorda Vittoria G. Le società sportive tra controlli federali e controlli giudiziari, Contr. E Impr.,1985 e Dabormida, Il controllo giudiziario negli enti di diritto speciale o soggetti a controllo di tipo pubblico: in particolare dell’applicabilità dell’art. 2409 c.c. alle società sportive, in Giur. Comm., 1988, Vol. II, pag. 480. 72 40 Il passaggio di conversione del D.L. n. 485/96 non fu però neutrale rispetto a quanto in esso inizialmente sancito. La L. n. 586/199676, infatti, introdusse due novità rilevanti riguardanti: 1. l’oggetto sociale. La nuova versione della norma, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, sancisce che “l’atto costitutivo deve prevedere che la società possa svolgere esclusivamente attività sportive ad esse connesse e strumentali”. Finalmente pertanto, si ha il definitivo passaggio dei club a società di capitali vere e proprie77; 2. i vincoli di distribuzione dell’utile. In realtà la comparazione con le società di capitali così come descritte nel codice civile non è propriamente corretta. La facoltà di distribuire utili al pari di ogni altra società di capitali viene limitata dall’art. 10, secondo il quale “L’atto costitutivo deve prevedere che una quota parte degli utili, stabilita in misura non inferiore al 10 % sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-­‐sportiva78.”. 2.3.2. L’avvento delle televisioni a pagamento. Gli effetti della sentenza Bosman non sono circoscrivibili al solo ambito normativo, poiché, a seguito di tale pronuncia, vi furono delle notevoli ripercussioni anche a livello gestionale-­‐organizzativo. L’avvento della libera circolazione dei calciatori a livello internazionale ha indotto una fase di notevole espansione del calcio, il quale non è più un “prodotto nazionale”, ma amplia i propri confini a livello internazionale. Tale cambiamento è stato sicuramente influenzato dal processo di repentina 76 Legge che ha convertito il decreto n. 485/96. 77 Le nuove società possono, infatti, svolgere ogni attività economica connessa con quella tipica. Sarà eventualmente, poi, la federazione a porre eventuali limiti attraverso la regolamentazione di statuti tipo. 78 Tale limitazione potrebbe trovare spiegazione, nel ritenere che la sentenza Bosman abbia danneggiato fortemente i vivai o settori giovanili, poiché eliminando l’IPP le società avrebbero perso ogni interesse economico di investire nei settori giovanili. 41 trasformazione della manifestazione calcistica, che, a distanza di breve tempo, è divenuta un vero e proprio “format televisivo79.”. Da quel momento in avanti il tifoso non dovrà più recarsi allo stadio a vedere la partita, bensì sarà l’evento sportivo che “entrerà prepotentemente” nella casa di questo, consentendogli una visione sicuramente più confortevole dello spettacolo sportivo. Tale mutamento radicale aumenta considerevolmente, di fatto, il numero degli effettivi fruitori 80 dello show. I ricavi per diritti televisivi, a livello di sistema, passano, infatti, da circa 1 milione di euro nella stagione sportiva ’80-­‐81 all’incredibile cifra di oltre 500 milioni di euro nella stagione 2000-­‐2001.81 Analizzando i dati riguardanti i proventi televisivi globali percepiti dai club di serie A si possono riscontrare quattro eventi specifici che ne hanno notevolmente influenzato l’espansione 82: -­‐ stagione sportiva ’93-­‐94. È la prima volta che la RAI non detiene l’esclusiva sui diritti televisivi del campionato di calcio. Una parte di questi è acquisita, infatti, dalla piattaforma satellitare “Tele +”, con la modalità di trasmissione pay-­‐tv83. A seguito dell’avvento di “Tele +” i ricavi da diritti televisivi passano da 55,949 milioni di euro a 92, 8 milioni di euro in una sola stagione 84. 79 Lago U, Baroncelli A, Szimansky., op. cit. p. 53. 80 Mancin, op. cit., p. 41. 81 Fonte: Lega Calcio, Analisi economico finanziaria dei bilanci delle società di serie a TIM e di serie B Tim, aprile 2007. 82 Per un’analisi dettagliata sul rapporto intercorrente tra diritti televisivi nel sistema calcio si segnala Marcato G., Nicolò A., Tedeschi P., Valbonesi. P., Il ruolo della lega calcio nella vendita dei diritti televisivi, in Economia e politica industriale n. 110/2001, pp. 95 e ss.. 83 Cioè, dietro il pagamento di un canone prefissato, vi è la possibilità di vedere determinati eventi sportivi, i quali, però, vengono scelti ed imposti dalla piattaforma satellitare. In sostanza per intenderci, Tele + acquistava i diritti televisivi di determinate partite (solitamente le più importanti). Ciò Comportava però che il tifoso di una squadra di livello inferiore (quale potrebbe essere oggi il Bologna) molto non poteva vedere la partita. 84 Fonte lega calcio, op. cit.. 42 -­‐ stagione sportiva ’96-­‐97. In tale annata vi è la diffusione di una nuova modalità di trasmissione delle manifestazioni sportive, la cosiddetta pay per view85. A seguito di tale innovazione, i ricavi da diritti televisivi complessivi passano da 100 milioni di euro della stagione ’95-­‐96 a 204 milioni di euro86 nel ’96-­‐97 di cui, solo 62,7 milioni pagati dalla RAI. La contrattazione dei diritti Televisivi è ancora trattata in maniera collettiva e comune attraverso dalla Lega calcio87; -­‐ stagione sportiva ’99-­‐00. Il D.L. n. 15/199988, successivamente convertito in legge 89, poneva il limite del 60 % ai diritti in forma criptata acquisibili per le partite di seria A da parte di un singolo operatore televisivo. Il campionato di calcio, pertanto, dal punto di vista della sua commercializzazione televisiva, non è più un prodotto unico vendibile in blocco 90 . La facoltà concessa alle società di concludere individualmente i contratti cosiddetti “pay”, comporta un nuovo potere per i grandi club, dotati di una nuova forza contrattuale. Tale svolta comporta un’impennata dei ricavi da diritti televisivi, che in una sola stagione aumentano del 118 % passando dai 231 milioni di euro della stagione ’98-­‐99, ai 505, 54 milioni91 della stagione ’99-­‐ 00; 85 Ogni singolo individuo ha la possibilità, dietro pagamento di un prezzo fissato dalla piattaforma satellitare, di acquistare ogni singolo evento sportivo. 86 Fonte lega calcio, op. cit.. 87 I diritti televisivi criptati sono di proprietà della Lega Calcio. 88 Contenente le “Disposizioni urgenti per lo sviluppo equilibrato dell’emittenza televisiva e per evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo. 89 Con modificazioni dalla L. n. 78 /1999. 90 I diritti televisivi criptati non spettano più alla Lega, come in precedenza, ma sono dei singoli club, i quali potranno contrattare direttamente con le emittenti televisive l’importo per la cessione dei diritti relativi alle partite disputate in “casa”. 91 Di cui 105 della RAI. 43 -­‐ stagione sportiva ‘04-­‐05. I diritti televisivi per la prima volta nel corso della loro storia affrontano una fase di contrazione, iniziata a seguito dello scoppio della “bolla” nel 2002 e terminata proprio con la fine della stagione ’04-­‐05, dovuta a un considerevole ridimensionamento delle aspettative di crescita dei proventi televisivi92. Nell’annata in questione, a seguito dell’introduzione del digitale terrestre, affiancatosi a SKY 93 , i ricavi ricominciano a crescere, raggiungendo il valore record di 633 milioni di euro, mai registrato sino a quel momento. E’ bene precisare che nel corso di tutti questi anni, hanno subito un incremento del proprio valore non solo i ricavi da diritti televisivi, ma anche tutte le altre fonti di ricavo. Lo sviluppo mediatico del calcio, e il conseguente aumento dei brand associati ai singoli club, hanno inciso anche sull’ammontare delle sponsorizzazioni e dei proventi da pubblicità e da royalties. Riassumendo, il terzo periodo si caratterizza sostanzialmente per una serie di eventi e aspetti che alterano significativamente il mondo del calcio94: -­‐ la libera circolazione dei professionisti in ambito europeo; -­‐ l’abolizione dell’IPP; -­‐ la legittimità della finalità di lucro; -­‐ la crescita economica esponenziale. La progressiva e costante crescita dell’incidenza dei diritti televisivi sul fatturato delle società professionistiche ha dato origine a una “dipendenza cronica” del sistema calcio dalle televisioni, incrementato da un aumento vertiginoso degli stipendi dei calciatori 95, i quali, avendo molto più liberta 92 I “contratti faraonici” stipulati con i giocatori vincolano in maniera stringente le società che si ritrovano a dover sopportare costi fissi in bilancio, a titolo di stipendi e ammortamenti del parco giocatori, a fronte di ricavi da proventi televisivi in ascesa. Ecco dunque le ragioni dello scoppio della bolla del 2002. 93 Che nel frattempo aveva sostituito “Tele +” e “Stream”. 94 E come già accennato il mondo dello sport in generale, poiché il calcio, in qualità di sport più amato e seguito dal pubblico funge da pioniere nei grandi cambiamenti, che poi intaccano anche le altre discipline sportive. 95 A seguito del cambiamento radicale del rapporto di lavoro intercorrente tra società e calciatore. 44 contrattuale e di scelta, inducono le società ad aumentare l’offerta, pur di accaparrarsi la prestazione sportiva del singolo calciatore sottraendolo così alla concorrenza. Infine, come sostenuto dalla dottrina aziendalistica96 si ritiene che “la singolare concomitanza tra i due eventi – sentenza Bosman e avvento delle tv a pagamento – ha compromesso le possibilità di sviluppo di cui il sistema poteva beneficiare con l’apertura al profitto, riconosciuta dal legislatore nel medesimo periodo”. 2.4. Considerazioni conclusive97. Giunti a conclusione di quest’analisi evolutiva del mondo del calcio e dello sport non può non sottolinearsi che l’aumento esponenziale della dimensione economica delle società di calcio professionistiche non sia stato accompagnato parallelamente da una crescita significativa della cultura manageriale degli attori che vi hanno operato. Una responsabilità importante in tale ambito è sicuramente da attribuire al Legislatore, il quale ha legittimato il “lucro oggettivo” nello sport solo nel ’66, introducendo inoltre la prima vera norma regolatrice sul professionismo sportivo solamente nel 1981. Tale tardivo riconoscimento ha rallentato notevolmente le possibilità di sviluppo sano ed equilibrato del sistema, cha, ancora oggi, “sta pagando anni e anni di cattiva gestione economico-­‐finanziaria”. Infine, la maggiore rilevanza negativa, deve essere attribuita, necessariamente, alla regolamentazione del “lucro soggettivo”, avvenuta eccessivamente in ritardo (1996) in relazione al processo evolutivo del sistema nel suo complesso iniziato a meta degli anni ’60. 96 Mancin, op. cit., p. 62. 97 Non si è volutamente trattata la questione, sebbene molto interessante, delle licenze UEFA e del fair play finanziario, che si affronterà solo marginalmente nel capitolo successivo in relazione ad eventuali implicazioni fiscali, poiché tale aspetto riguarda solo ed esclusivamente il mondo calcio e non lo sport professionistico in generale. 45 Si condivide, pertanto, quanto affermato in dottrina 98 : “l’apertura al profitto per le società sportive professionistiche in un’epoca anteriore avrebbe contribuito senza dubbio a una crescita culturale del sistema e a una maggiore responsabilizzazione nell’uso delle risorse da parte degli attori coinvolti in questo business”. Alla luce di tuto ciò, non può che ritenersi essenziale affrontare la tematica anche dal punto di vista fiscale. Le società, infatti, a seguito di quanto sancito dalla sentenza Bosman, possono distribuire l’eventuale ricchezza generata tra gli azionisti, vincolandone però il 10 % alla crescita e alla formazione del settore giovanile. Si ritiene che, proprio l’apertura del Legislatore al lucro soggettivo debba essere considerato l’aspetto essenziale al fine di poter considerare tali enti società di capitali a tutti gli effetti. Uno degli aspetti maggiormente rilevanti di queste, è senza dubbio quello inerente il reddito e di conseguenza la tassazione cui sono soggette. Tale concetto, in un mondo come quello dello sport, caratterizzato da una dimensione economica sempre più rilevante e da una serie di peculiarità, solo in esso riscontrabili, assume un’importanza ancor più rilevante. 98 Mancin, op. cit., p. 67. 46 CAPITOLO 3 L’IRES E LE SOCIETA’ SPORTIVE PROFESSIONISTICHE 1. L’imposta sul reddito delle società: presupposto, base imponibile, soggetti passivi, aliquota. Dopo aver affrontato le tematiche inerenti il processo evolutivo e dopo aver accennato alcuni degli aspetti civilistici99 peculiari di tali società si deve ora esaminare il trattamento tributario che il legislatore riserva a tali soggetti. Il provvedimento legislativo principale cui fare riferimento è il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (T.U.I.R.) approvato con il DPR n. 917/1986100 . Prima di procedere all’analisi dettagliata dei componenti positivi e negativi di reddito delle società sportive professionistiche, si ritiene necessario affrontare brevemente gli aspetti peculiari di tale imposta. L’art. 72 del T.U.I.R. 101 stabilisce che il presupposto dell’imposta è il possesso di redditi in denaro o natura rientranti in una delle categorie indicate dall’ art. 6102. Il Legislatore però non fornisce una definizione di “possesso di reddito”, il quale è, pertanto, identificato dalla dottrina attraverso l’insieme di regole dettate per ciascuna categoria reddituale103. Definito il presupposto d’imposta, devono essere regolamentati i suoi soggetti passivi. Essi sono indivifuati nell’art. 73. co. 1, che li suddivide in quattro categorie 104 . La prima comprende “le società di capitali, le società 99 Forma giuridica, oggetto sociale, organi di controllo 100 E’ entrato in vigore l’1 gennaio del 1988, con effetto per i periodi d’imposta il cui inizio è successivo rispetto al 31.12.1987. 101 “Presupposto dell’imposta sul reddito delle società è il possesso dei redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate all’art. 6.” 102 a)Redditi fondiari, b) redditi di capitale, c) redditi da lavoro dipendente, d) redditi da lavoro autonomo, e) redditi d’impresa, f) redditi diversi. 103Falsitta, Fantozzi, Marongiù, Moschetti, Commentario breve alle leggi tributaria, tomo III, Tuir e leggi complementari, p. 379, II, il possesso del reddito. 104 Gaspare Falsitta, Manuale di diritto Tributario, parte speciale, p. 273 e seg. 47 cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato.”. La seconda, “gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territori dello Stato che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.”. La terza, “gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.”. La quarta, “le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.”. A dispetto della propria denominazione, l’Ires non colpisce, pertanto, solamente le società, ma anche altre “forme organizzative” sprovviste di tale qualifica. L’imposta è inoltre dovuta, ex art. 76, co. 1, T.U.I.R105, dai soggetti di cui sopra per ciascun periodo di imposta, il quale è costituito dall’esercizio della società o ente, determinato dalla legge o dall’atto costitutivo106. Nel caso in cui non sia determinato, il Legislatore, al co. 2, ha stabilito che esso coincida con l’anno solare. Infine, la base imponibile Ires è costituita dal reddito complessivo netto107 cui si applica un’aliquota pari al 27,5 %. 105 “L’imposta è dovuta per periodi di imposta, a ciascuno dei quali corrisponde una obbligazione tributaria autonoma salvo quanto stabilito negli art. 80 e 84. Il periodo di imposta è costituito dall’esercizio o periodo di gestione della società o dell’ente, determinato dalla legge o dall’atto costitutivo. Se la durata dell’esercizio o periodo di gestione non è determinata dalla legge o dall’atto costitutivo, o è determinata in due o più anni, il periodo d’imposta è costituito dall’anno solare.”, L. Tosi, A. Viotto, A. Giovanardi, Codice di diritto tributario, 2011, pp. 478-­‐479. 106 Per quanto concerne il mondo dello sport, l’esercizio coincide con la durata della stagione sportiva, la quale, nella maggior parte dei casi, va dal 1 luglio al 30 giugno dell’anno successivo. 107 La cui definizione verrà fornita nel paragrafo seguente. 48 2. La determinazione del reddito imponibile delle società sportive professionistiche. Il legislatore, all’art. 81 TUIR, afferma che il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali deve essere considerato reddito d’impresa, indipendentemente da quale sia la sua provenienza. I redditi d’impresa108 , pertanto, sono quei redditi che derivano dall’esercizio di imprese commerciali, dove con il termine esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, anche se non esclusiva delle attività di cui all’art. 2195 c.c. e delle attività indicate alle lettere b) e c) del co. 3 dell’art 32 T.U.I.R.109, che superano i limiti ivi statuiti, anche se non organizzate in forma di impresa. La nozione di esercizio d’imprese commerciali utilizzata dal Legislatore tributario, pertanto, non coincide con quella d’imprenditore stabilita dall’art. 2082 c.c.110 per due motivi: -­‐ non è necessario dal punto di vista tributario il requisito dell’organizzazione in forma d’impresa di cui all’art. 2082 c.c.; -­‐ si considera esercizio di impresa commerciale, dal punto di vista tributario, anche l’esercizio di attività agricola, di allevamento di animali e di attività ad esse connesse, quali la trasformazione e vendita dei prodotti agricoli e zootecnici, quando esse superano i limiti stabiliti dall’art. 32. In virtù della definizione di reddito d’impresa fornita dal legislatore, non resta che assoggettare il trattamento fiscale delle società sportive professionistiche all’Ires. Da ciò ne deriva che111 il reddito complessivo di tali società è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal Conto Economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti all’interno della sezione I del capo II del titolo secondo del T.U.I.R.. 108 Ex art. 55 T.U.I.R.. 109 Tale articolo disciplina il reddito agrario. 110 “E’ imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o di servizi.”. 111 Ex art. 83 TUIR. 49 3. I componenti positivi e negativi di reddito tipici delle società sportive professionistiche. I componenti positivi e negativi di reddito tipici delle società sportive professionistiche sono i seguenti: -­‐ introiti da gare, costituiti a loro volta da due sottocategorie: proventi da cessioni di biglietti da un lato e proventi da abbonamenti dall’altro; -­‐ proventi da cessione di diritti televisivi; -­‐ introiti pubblicitari; -­‐ ricavi da sponsorizzazione; -­‐ capitalizzazione e ammortamento costi del “vivaio”; -­‐ proventi ed oneri derivanti dal trasferimento di atleti; -­‐ proventi derivanti dalla capitalizzazione dei costi del vivaio; I componenti positivi di cui sopra possono, in ragione della loro natura, essere suddivisi in due macro classi: da un lato, i ricavi comprendenti gli introiti da gara, i proventi da cessione di diritti televisivi, i ricavi da sponsorizzazione e i proventi derivanti dalla capitalizzazione dei costi di vivaio; dall’altro le plusvalenze, che racchiudono i proventi derivanti dal trasferimento degli atleti. 50 3.1. Introiti da gare. Una delle principali voci costituenti il bilancio delle società sportive professionistiche è rappresentata da tale componente positivo di reddito. Essi sono a loro volta costituiti da due sottogruppi: i proventi da cessioni di biglietti e gli introiti da abbonamenti. I proventi derivanti dalla cessione di biglietti concorrono, ex art. 85, co. 1, T.U.I.R. alla formazione del reddito d‘impresa come ricavi, in quanto corrispettivi della prestazione di un servizio112 alla cui produzione è rivolta l’attività d’impresa113. È bene ricordare che essi, come la stragrande maggioranza dei componenti costituenti il reddito di impresa ex art. art. 109, co. 1, T.U.I.R, concorrono a formare il reddito, salvo che non sia disposto diversamente114, nell’esercizio di 112 Manifestazione sportiva. 113 Art. 85 T.U.I.R. co. 1. : “Ricavi. Sono considerati ricavi: a) i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa; b) i corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione; c) i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazione, anche non rappresentati da titolo, al capitale di società ed enti di cui all’art. 73, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diverse da quelle cui si applica l’esenzione di cui all’art. 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l’attività d’impresa. Se le partecipazioni sono nelle società o enti di cui all’art. 73, comma 1, lettera d-­‐9, si applica il comma 2 dell’art. 44. d) i corrispettivi delle cessioni di strumenti finanziari similari alle azioni ai sensi dell'articolo 44 emessi da società ed enti di cui all'articolo 73, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diversi da quelli cui si applica l'esenzione di cui all'articolo 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa; e) i corrispettivi delle cessioni di obbligazioni e di altri titoli in serie o di massa diversi da quelli di cui alla lettere c) e d) precedenti che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa; f) le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento di beni di cui alle precedenti lettere; g) i contributi in denaro, o il valore normale di quelli, in natura, spettanti sotto qualsiasi denominazione in base a contratto; h) i contributi spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge.”. 114 Come nel caso di contributi e liberalità, utili da partecipazione in società ed enti soggetti ad Ires, compensi agli amministratori…, Falsitta, Fantozzi, Marongiù, Moschetti, Commentario breve alle leggi tributaria, tomo III, Tuir e leggi complementari, p. 576. 51 competenza, cioè nell’esercizio in cui i fatti economici che li hanno generati si sono verificati. Gli introiti da cessione di biglietti 115 , pertanto, andranno ad influire nell’esercizio in cui le manifestazioni sportive si sono effettivamente ultimate. Per quanto concerne i proventi da abbonamento, che devono essere considerati come prestazioni di servizi a carattere periodico, è opportuno sottolineare quanto affermato da autorevole dottrina116, la quale ritiene che “Nei casi in cui dai contratti derivino corrispettivi periodici (...) l’esercizio di competenza è determinato non in funzione della ultimazione della prestazione, ma della maturazione del corrispettivo.”. Di conseguenza, anche se l’effettiva entrata si verifica prima che abbia inizio la stagione sportiva, i corrispettivi si considerano conseguiti pro quota dalla data in cui le singole prestazioni, cui l’abbonamento si riferisce, hanno effettivamente luogo117. Se quindi, la stagione sportiva avesse una durata differente rispetto a quella dell’esercizio, si dovrebbe necessariamente scomputare, nel calcolo del reddito, la quota delle gare di competenza dell’esercizio successivo. In virtù di quanto detto, è evidente che gli introiti da gare, sia che riguardino la singola competizione, sia che riguardino l’abbonamento per l’intera stagione sportiva, concorrono alla formazione del reddito del periodo di 115 L’art. 109, co. 2, T.U.I.R. “2. Ai fini della determinazione dell'esercizio di competenza: a) i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data della consegna o spedizione per i beni mobili e della stipulazione dell'atto per gli immobili e per le aziende, ovvero, se diversa e successiva, alla data in cui si verifica l'effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale. Non si tiene conto delle clausole di riserva della proprietà. La locazione con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti è assimilata alla vendita con riserva di proprietà; b) i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi; c) per le società e gli enti che hanno emesso obbligazioni o titoli similari la differenza tra le somme dovute alla scadenza e quelle ricevute in dipendenza dell'emissione è deducibile in ciascun periodo di imposta per una quota determinata in conformità al piano di ammortamento del prestito.”. 116 Falsitta, Fantozzi, Marongiu, Moschetti, Commentario breve alle leggi tributaria, III, Tuir e leggi complementari, Padova, 2012, pp. 580-­‐ 581. 117 A. Giovanardi, op. cit., p. 58. 52 imposta in cui la manifestazione ha effettivamente avuto luogo, indipendentemente dalla loro effettiva percezione. Tutto ciò tuttavia sempre a condizione che venga rispettato quanto sancito dall’art. 75, co. 1, T.U.I.R. “… i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.”. Pertanto, i ricavi in oggetto, devono essere certi nella loro esistenza e determinati nel loro ammontare; in caso contrario vanno a concorrere nel calcolo del reddito dell’esercizio in cui la certezza e la determinazione vengono a conoscenza. 3.2. Proventi da cessione di diritti televisivi. I proventi derivanti dalla cessione di diritti televisivi hanno assunto un importanza fondamentale nel bilancio delle società calcistiche professionistiche, soprattutto a seguito dell’avvento del fenomeno delle pay tv/ pay per view118 iniziato a metà degli anni ’90. In effetti essi rappresentano, in tutti i bilanci di queste, il componente positivo di maggiore incidenza sul fatturato. L’aumento della concorrenza, conseguente al progressivo passaggio da un monopolio esercitato dalla RAI ad un oligopolio119, è stato sicuramente positivo per i bilanci delle società sportive, anche se comunque, nella maggior parte dei casi, non sufficiente a portare l’equilibrio economico in esse. A riprova di quanto affermato si riportano esemplificativamente due estratti del Conto Economico relativo al bilancio d’esercizio chiuso il 30 giugno 118 Si veda paragrafo il capitolo 2. Inizialmente si passò da un monopolio RAI ad un duopolio RAI-­‐Fininvest. Successivamente, con l’avvento delle pay tv-­‐pay per view nel nostro paese, ed in particolare delle piattaforme “Tele +”e “Stream”, la concorrenza iniziò ad essere sempre più agguerrita. La situazione al giorno d’oggi, sebbene siano cambiati alcuni dei protagonisti è in linea di massima la medesima. Infatti, i competitors sono quattro: SKY, leader di mercato, Mediaset Premium, RAI e Mediaset (allora Fininvest). 119 53 2011 dell’Internazionale Fc e dell’Udinese Calcio 120 , dai quali si può agevolmente riscontrare la notevole rilevanza di tali importi sull’ammontare totale dei componenti positivi di reddito. F.C. INTERNAZIONALE MILANO S.p.A121 Bilancio al 30 giugno 2011 CONTO ECONOMICO Esercizio Esercizio 2010-­‐2011 2009-­‐2010 valori in euro valori in euro A) VALORE DELLA PRODUZIONE 1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni a) ricavi da gare in casa 17.733.094 b) percentuale su incassi gare da squadre ospitanti c) abbonamenti 14.632.367 d) altre competizioni e) altri ricavi 4) Capitalizzazione costì vivaio 25.039.774 1.983.240 13.340.766 - 50.000 1.578.188 1.174.491 3.747.073 3.408.341 5) Altri ricavi e proventi: a) contributi in conto esercizio b) sponsorizzazioni c) pubblicità 4.783.413 2.641.231 28.568.309 32.251.063 3.333.457 2.266.338 86.439.065 101.324.175 e) proventi da cessione diritti televisivi - proventi televisivi - percentuale su diritti televisivi da squadre ospitanti - proventi televisivi da competizioni UEFA g) ricavi cessione temporanea calciatori h) plusvalenze cessione diritti prestazioni calciatori i) altri proventi da gestione calciatori - 6.120.713 37.981.990 48.759.000 1.203.104 1.100.000 51.458.253 72.875.995 - i) altri ricavi e proventi diversi 17.369.963 11.181.202 Totale (A) 268.827.275 323.516.329 120 Si sottolinea che la scelta dei due club non è causale. Essi, infatti, rappresentano rispettivamente il club economicamente meno virtuoso (Internazionale FC) e quello più virtuoso (Udinese Calcio). Nonostante tale differenza di natura economico-­‐reddituale esistente tra i due, si rileva che, in entrambe, l’importo dei proventi derivanti da cessione di diritti televisivi, è di gran lunga il più rilevante sul fatturato. 121 www.supermercato.it. 54 UDINESE CALCIO S.p.A UDINESE CALCIO S.p.A. -­‐ BILANCIO AL 30/06/2011 |CONTO ECONOMICO 30 giugno 2011 A VALORE DELLA PRODUZIONE 1 30 giugno 2010 ) Ricavi delle vendite e delle prestazioni 3.697.105 5) Altri ricavi e proventi: a) Ricavi per cessione temporanea calciatori b) Contributi in conto esercizio d) Sponsorizzazioni e proventi pubblicitari vari e) Altri ricavi e proventi 2.646.342 565.907 41.435.541 6.132.560 Totale valore della produzione 4.182.641 3.555.528 732.782 37.544.816 3.253.965 50.780.350 45.087.091 54.477.455 49.269.732 La nota integrativa allegata al bilancio precisa che la voce A.5 è costituita da: Valori in € VALORE Contributi in conto esercizio 565.907 € Proventi da sponsorizzazione e cartellonistica 4.809.253 € Proventi da cessione diritti televisivi. Di cui: -­‐ Proventi e diritti radio televisivi 34.499.448 € -­‐ Percentuale su diritti televisivi da squadre ospitanti 0 -­‐ Concessioni varie 2.126.839 € Ricavi da cessione temporanea prestazioni calciatori 2.646.342 € Ricavi e proventi diversi 6.132.560 € TOTALE 50.780.350 € Come è agevolmente riscontrabile da una prima lettura dei componenti positivi del C.E., i proventi televisivi dell’Internazionale Fc, di importo pari a 124.421.055 euro, rappresentano il 46,2 % dell’ammontare totale dei componenti positivi di reddito, quelli dell’Udinese Calcio Spa, il cui importo è, invece, pari ad euro 34.499.448, costituiscono il 63,3 % del rispettivo fatturato complessivo. 55 3.2.1. Natura giuridica e trattamento fiscale dei proventi da cessione di diritti televisivi122. L’art. 21 della Costituzione Italiana123 tutela la libertà di manifestare il proprio pensiero, principio che trova modo di essere applicato soprattutto in relazione alla libertà di stampa e al diritto di cronaca. Stando a questa affermazione, vi sarebbe la logica tentazione di ritenere che la trasmissione via etere di una manifestazione sportiva rientri in questa fattispecie. Tuttavia, è assolutamente necessario ritenere che l’organizzazione di un evento sportivo, quale la gara di campionato, appartenga al novero delle attività caratteristiche esercitate da queste società. In virtù di questa considerazione, in giurisprudenza124 si è sostenuto che il diritto delle società sulle partite da loro organizzate sia un diritto assoluto, 122 A. Giovanardi, op.cit., pp. 60-­‐62. 123 “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dall’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali della polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.”. 124 Pretura di Roma, ordinanza del 3 luglio 1981: “Le associazioni sportive professionistiche affiliate alla F.I.G.C. e costituite in S.p.A. svolgono attività economica imprenditoriale di produzione di servizi a fini di lucro, in quanto lo sfruttamento economico si realizza non solo nella forma primaria dell’offerta onerosa del biglietto di ingresso, ma anche con modalità secondarie e cronologicamente successive tra cui la trasmissione televisiva delle riprese filmate della partita. Il conseguente divieto per i terzi non legittimati di appropriarsi di tale risultato della altrui attività imprenditoriale non viola il precetto costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero. In caso di trasmissione televisiva di una partita di calcio da parte di un soggetto a ciò non 56 suscettibile quindi di una tutela erga omnes, cui applicare per analogia la legge sul diritto d’autore. In merito a tale tesi, è opportuno ricordare che i presupposti dell’applicazione per analogia sono stati individuati da autorevole dottrina125 in: - assoluta non previsione del caso da parte della legge; - esistenza di un elemento di identità tra caso previsto e caso non previsto; - individuazione dell’identità nell’elemento in vista del quale il legislatore ha formulato la regola che disciplina il caso previsto. La posizione giurisprudenziale non sembra dunque potersi condividere, perché l’art. 2575 c.c.126, cita espressamente le discipline ricomprese. Tra queste non è prevista quella oggetto del presente paragrafo e, pertanto, l’identità tra caso previsto e caso non previsto non è rispettata. Il diritto in questione è dunque assimilabile ad un bene in senso giuridico, ai sensi dell’art. 810 c.c.127, di proprietà dell’imprenditore sportivo e si ritiene che la cessione del diritto televisivo sia assoggettabile alle norme previste sulla compravendita128. I diritti televisivi sono, pertanto, una forma di sfruttamento del prodotto alternativa agli introiti da gare, ma non vi è alcun dubbio sul fatto che debbano essere ricondotti, in quanto connessi al prodotto dell’attività d’impresa, ai ricavi, di cui all’art. 85 T.U.I.R.. La disciplina fiscale delle due tipologie di componenti positivi non può che essere la medesima. autorizzato, il pregiudizio di cui all’art. 700 del c.p.c. si concreta non solo nel lucro cessante subito per la mancata alienazione dei diritti di trasmissione, ma anche nella ulteriore conseguenza dannosa, indotta dalla indisciplinata e generalizzata teletrasmissione, costituita dalla disaffezione del pubblico alla partecipazione diretta dell’avvenimento sportivo quindi nella perdita numerica degli spettatori paganti.”. 125 Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1986, cit. 45. 126 “Formano oggetto del diritto d’autore le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.”. 127 “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritto.”. 128 Art. 1470 c.c.: “La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo.”. 57 Tali proventi concorrono, dunque, alla formazione del reddito nell’esercizio in cui la prestazione del servizio è ultimata, indipendentemente dallo loro effettiva percezione, come sancito nell’art. 109 T.U.I.R. Concludendo, si deve precisare che, anche per tale tipologia di componenti è necessaria l’esistenza e la determinabilità dell’ammontare, in mancanza delle quali influiranno sul reddito del periodo di imposta nel quale tali condizioni saranno rispettate. 3.3. Introiti pubblicitari. Con il termine pubblicità s’intende quella forma di comunicazione a pagamento, diffusa su iniziativa di operatori economici, attraverso mezzi quali televisioni, radio, giornali, affissioni, internet e manifestazioni sportive, che intende influenzare in maniera sistematica i comportamenti e le scelte degli individui riguardo al consumo di beni e all’utilizzo di servizi. È, dunque, un fenomeno complesso e in continua evoluzione, dato che gli strumenti e la tecnologia a disposizione mutano molto velocemente. L’utilizzo della pubblicità potrebbe trovare giustificazione in molteplici motivi129, ma l’obiettivo finale è sempre e comunque quello di incrementare le vendite, e di conseguenza, il profitto. Concordando con quanto affermato da dottrina autorevole130, secondo il quale “è pubblicità ogni comunicazione che: - fornisce informazioni sul prodotto o conquisti l’eventuale acquirente attraverso l’immagine dell’impresa; - è diretta ad una massa di potenziali compratori; - ha come fine, diretto o indiretto una massa di potenziali compratori;” si deve comunque ritenere che essa possa essere racchiusa nel novero dei contratti innominati ed atipici, che possono essere messi in atto in virtù del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c.131. 129 Si veda a proposito Guatri, Vicari, Il Marketing, Milano, 1986, 539. 130 Santacroce, Costi di pubblicità e rappresentanza, Rass. Trib., n. 6 1992, 20. 58 Concludendo, per quanto concerne il loro trattamento tributario, anch’essi sono, al pari dei proventi da gare e da cessione di diritti televisivi, riconducibili ai ricavi ai sensi dell’art. 85 T.U.I.R.. Valgono dunque per questi componenti le stesse considerazioni effettuate in relazione ai proventi precedentemente esaminati. 3.3.1. Le spese di pubblicità nel codice civile. Le spese di pubblicità trovano la loro collocazione nell’art. 2429 bis, co. 2 n. 6., c.c.132, secondo cui la relazione degli amministratori deve necessariamente 131 “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge [e dalle norme corporative] [art. 41 Cost.; art. 5 preleggi; art. 1321 c.c.] (1). Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare [art. 1323 c.c.], purché siano diretti a realizzare interessi [art. 1411 c.c.] meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico [artt. 1343, 1411, 2035 c.c.].”. 132 Relazione degli amministratori. “La relazione degli amministratori prescritta dal 3° comma dell’Articolo 2423 deve illustrare l’andamento della gestione nei vari settori in cui la società ha operato, anche attraverso altre società da essa controllate, con particolare riguardo agli investimenti, ai costi e ai prezzi. Devono essere anche indicati i fatti di rilievo verificatisi dopo la chiusura dell’esercizio. Dalla relazione devono in ogni caso risultare: 1) i criteri seguiti nella valutazione delle varie categorie di beni e le loro eventuali modifiche rispetto al bilancio del precedente esercizio; 2) i criteri seguiti negli ammortamenti e negli accantonamenti e le loro eventuali modifiche rispetto al bilancio del precedente esercizio; 3) le variazioni intervenute nella consistenza delle partite dell’attivo e del passivo; 4) i dati relativi al personale dipendente e agli accantonamenti per indennità di anzianità e trattamento di quiescenza; 5) gli interessi passivi, ripartiti tra prestiti a lungo e medio termine e prestiti a breve termine, con separata indicazione di quelli compresi nelle poste dell’attivo; 6) le spese di studio, ricerca e progettazione, le spese di pubblicità e propaganda e le spese di avviamento di impianti o di produzione, iscritte nell’attivo del bilancio, con distinta indicazione del relativo ammontare; 7) i rapporti con le società controllanti, controllate e collegate e le variazioni intervenute nelle partecipazioni e nei crediti e debiti; 8) il numero e il valore nominale delle azioni proprie possedute dalla società, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, con l’indicazione della quota di capitale corrispondente; 9) il numero e il valore nominale delle azioni proprie acquistate o alienate dalla società nel corso dell’esercizio, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, con l’indicazione della quota di capitale corrispondente, dei corrispettivi riscossi o pagati e dei motivi degli acquisti e delle alienazioni. Entro tre mesi dalla fine del primo semestre dell’esercizio gli amministratori delle società con azioni quotate in borsa devono trasmettere al collegio sindacale una relazione 59 fornire delle spiegazioni in merito alla valutazione adottata nella stima dei costi di pubblicità e propaganda iscritti nell’attivo del bilancio. Alla base di tale dettato normativo vi è la constatazione che tali spese possano produrre utilità anche in esercizi futuri rispetto a quello di sostenimento effettivo, richiedendo così agli amministratori di individuare il criterio corretto di ripartizione della quota imputabile nell’esercizio. Per risolvere tale questione è intervenuto il Legislatore il quale, con il D. Lgs. n. 127/991, ha esplicitato il presupposto fondante l’art. 2426 c.c., vale a dire la possibilità che le spese di pubblicità e propaganda possano ripartire la propria utilità in più esercizi. Egli, infatti ha: - inserito i costi di pubblicità e propaganda tra le immobilizzazioni immateriali nell’attivo dello stato patrimoniale e in Conto Economico tra gli ammortamenti; - stabilito che tali costi possono essere iscritti nell’attivo e, dunque, ammortizzati previo consenso del collegio sindacale e per un periodo non superiore a cinque anni; A seguito dell’emanazione del D. Lgs. n. 127/1991, si è sviluppato in dottrina un dibattito sulla reale natura di tali costi. Un primo filone ritiene che siano a tutti gli effetti dei costi destinati a essere iscritti tra le immobilizzazioni immateriali, poiché volti a riversare la loro utilità in più esercizi133. Il secondo filone 134 afferma, invece, che tali costi possano assumere la qualifica di immobilizzazioni immateriali solamente se l’utilità prodotta si riversi su più periodi gestionali. In altre parole, tali autori ritengono che tali costi non abbiano carattere di pluriennalità, poiché nella pratica vi sono molti casi in cui le campagne pubblicitarie si ripetono in ogni esercizio. sull’andamento della gestione, redatta secondo i criteri stabiliti dalla Commissione nazionale per le società e la borsa con apposito regolamento da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. La relazione deve essere pubblicata nei modi e nei termini stabiliti dalla Commissione stessa con il regolamento anzidetto).”. 133 Su tutti, Pacifico, Le spese di Rappresentanza e le spese di pubblicità, il fisco n. 1, 1990, 12 e ss. 134 Santacroce, Costi di pubblicità e rappresentanza, quaderni monotematici di rassegna tributaria, n. 6, 1992, p. 21. 60 A sostegno di tali ultima tesi dottrinale, si sottolinea che la legge stessa non impone in alcun modo l’obbligo di capitalizzare tali spese, ma, al contrario, concede la facoltà di iscriverle in bilancio. Si ritiene, inoltre, che tale corrente dottrinale sia più convincente non solo sulla base di un interpretazione della norma più corretta, ma alla luce di una lettura più “vicina” alla configurazione che la pubblicità assume effettivamente all’interno dell’impresa. Facendo riferimento alle società sportive, ad esempio, sembra plausibile sostenere che l’acquisto di uno spazio pubblicitario ai bordi del campo di gioco possa produrre la propria utilità per più di un esercizio. 3.3.2. Trattamento fiscale delle spese di pubblicità. Il Codice Civile prevede che le spese di pubblicità possano essere dedotte in più esercizi solo nel caso in cui siano effettivamente di competenza di più esercizi, previo consenso del collegio sindacale e per un periodo temporale non superiore a cinque esercizi. Il T.U.I.R., al contrario, ex art. 108. co. 2, stabilisce che “Le spese di pubblicità e propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi, derogando così il concetto di competenza economica.”. Pertanto, si sottolinea la diversità di trattamento di tale posta da un punto di vista civilistico rispetto a quello fiscale. L’art. del T.U.I.R. 135 , infatti, non distingue i costi imputati a Conto Economico da quelli iscritti a Stato Patrimoniale, ai soli fini della loro deducibilità fiscale, la quale è sostanzialmente improntata sulla discrezionalità dei redattori. Il contribuente che abbia però preferito la deduzione frazionata, deve necessariamente rispettare l’arco temporale quinquennale, non potendo scegliere altro intervallo temporale su cui “ spalmare” tale valore. 135 Come affermato da A. Fantozzi, op. cit. p. 568. 61 Detto questo, si deve sottolineare, tuttavia, che la deroga al principio di competenza operata dall’articolo in questione, ha valenza esclusivamente reddituale. I valori di bilancio non vengono modificati da tale disposizione, il che obbliga la società, in sede di dichiarazione dei redditi, ad indicare in un apposito prospetto le variazioni in aumento o in diminuzione del reddito imponibile, così come sancito dall’art 83. T.U.I.R.. È inoltre fondamentale ricordare che anche per tali componenti è necessario, al fine di poterli dedurre, che vengano rispettati i requisiti essenziali; essi, pertanto, devono essere certi, determinati nell’ammontare ed inerenti136, cioè si devono riferire ad attività o beni da cui derivino ricavi che concorrono alla formazione del reddito. 3.3.3. Ricavi da sponsorizzazione. Dopo aver analizzato le questioni relative ai proventi da pubblicità, è opportuno considerare gli introiti collegati allo sfruttamento economico della notorietà indotta dalla sola partecipazione ad un evento sportivo di una certa rilevanza: cioè i proventi da sponsorizzazione. Prima di approfondire la questione, si ritiene utile proporre una definizione del concetto di sponsorizzazione. Riprendendo quando affermato dal C.R.E.A, Centro di ricerche Economico– Aziendali dell’università Bocconi di Milano 137 , si ritiene che il concetto di sponsorizzazione racchiuda “…quelle tipiche attività che si avvalgono della notorietà o dell’immagine acquisita da determinate iniziative, attivabili indipendentemente dagli obiettivi di vendita delle imprese e alle quali è associabile pro tempore il nome di un’impresa, di un prodotto o di una marca, per 136 Così come sancito dall’ art. 109. co. 5 T.U.I.R. “Le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi od altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi (….)”. 137 da A. Giovanardi, op. cit. p. 72, che a sua volta riprende Visconti, La sponsorizzazione sportiva, il fisco n. 27, 1986, 4254. 62 stimolare un interesse attivo di definite audiences nei confronti di una comunicazione aziendale finalizzata, anche se di natura indiretta e mediata.”. Da tale definizione si può immediatamente riscontrare che la sponsorizzazione non è altro che una forma particolare di pubblicità. In essa, infatti, si possono riscontrare i tre aspetti caratteristici 138 che contraddistinguono la pubblicità139: - fornire indicazioni su prodotti e servizi dell’impresa; - rivolgersi a gruppi di potenziali compratori; - perseguire, come obiettivo principale, l’incremento delle vendite. In ragione dell’ampio significato che il Legislatore civilistico ha voluto attribuire al concetto di pubblicità commerciale, contenuto nell’art. 2 D. Lgs., n. 74/1992, non è possibile fornire una vera e propria definizione del concetto di sponsorizzazione sportiva in diritto tributario. Tuttavia, poiché devono essere considerate operazioni di sponsorizzazione sportiva tutte quelle forme di investimento nel mondo dello sport volte ad ottenere un riscontro dal punto di vista economico, deve necessariamente ritenersi che esse abbiano caratteristiche pubblicitarie. In altre parole, la sponsorizzazione deve essere considerata come una particolare tipologia di pubblicità. 3.3.3.1. Natura giuridica dei contratti i sponsorizzazione. Rilevato e confermato il carattere pubblicitario delle sponsorizzazioni, prima di analizzare gli aspetti fiscali, è necessario, al fine di comprenderne le caratteristiche tipiche, ricercare e approfondire la natura giuridica del contratto di sponsorizzazione. 138 A . Giovanardi, op. cit., p. 74. 139 Come già analizzato nel precedente paragrafo. 63 Il contratto di sponsorizzazione – fattispecie non specificamente prevista dalla legge – come specificato dalla Suprema Corte140, “ricomprende tutte quelle ipotesi nelle quali la società sponsorizzata si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome, per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marchiato, o anche a tenere determinati comportamenti di testimonianza in favore del marchio o del prodotto oggetto della veicolazione commerciale”. Esso rientra, pertanto, tra quel novero di contratti innominati e atipici, concludibili in virtù del concetto di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c. e tutelati dall’ordinamento giuridico. La dottrina 141 ritiene che tale tipologia contrattuale debba essere considerata a tutti gli effetti un contratto sinallagmatico e a prestazioni corrispettive 142. La società sponsorizzata, infatti, è obbligata a compiere, dietro corrispettivo, delle prestazioni di “facere” riconducibili a pubblicità in senso lato. Per concludere, non si può non rilevare la sua natura di negozio complesso, dove per negozio complesso si intende quello in cui sono presenti diversi schemi negoziali appartenenti, se considerati singolarmente, a contratti differenti. Il contratto di sponsorizzazione sportiva, pertanto deve essere considerato un negozio complesso poiché in esso coesistono due convenzioni: - alle società sponsorizzate sono imposte una serie di prestazioni di facere, pubblicitarie in senso lato; - lo sponsor è autorizzato ad utilizzare per propri fini la loro immagine. 3.3.3.2. Trattamento fiscale dei contratti di sponsorizzazione 140 Sent. n. 6548/2012. 141 A. Giovanardi, La sponsorizzazione tra pubblicità e rappresentanza, Dir. e Prat. Trib., n. 3, 1994, 717 e ss., 721. 142 Trabucchi, op. cit., 684, “Sinallagma è il legame reciproco che in alcuni contratti esiste tra prestazione e controprestazione; legame tanto forte da rendere le obbligazioni interdipendenti.”. 64 Dal punto di vista tributario, il trattamento dei componenti reddituali scaturenti dai contratti di sponsorizzazione non è regolamentato in maniera esplicita. Tale aspetto trova giustificazione molto probabilmente nel fatto che la sponsorizzazione è considerata una forma di pubblicità alternativa. L’atipicità del contratto in questione è stata -­‐ ed è tuttora -­‐ fonte di controversie circa la qualificazione tributaria delle spese a esso riferibili, in ragione dell’uso di un mezzo di comunicazione non convenzionale. La causa del negozio143 è, pertanto, l’aspetto da osservare per stabilire la reale natura di tale componente. La sponsorizzazione rappresenta, in sostanza, una delle molteplici strategie messe in atto da un’azienda per veicolare una comunicazione promozionale, dovendosi di conseguenza riconoscere, in linea di principio, agli oneri che essa comporta, la qualità di spese di pubblicità. La prevalenza dell’aspetto pubblicitario rispetto a quello d’incremento del prestigio aziendale si basa sulla classificazione delle spese di rappresentanza nel novero di quelle di pubblicità. L’atteggiamento dell’Amministrazione Finanziaria a riguardo, è mutato nel corso degli anni. In una prima risoluzione144, infatti, affermava che tali spese costituivano una spesa pubblicitaria solo qualora, previo rispetto di determinati obblighi contrattuali per entrambe le parti, fossero finalizzate a promuovere un prodotto commerciale per incrementare i ricavi dell’impresa. In assenza di tali prerequisiti, le spese sarebbero, pertanto, state considerate delle mere elargizioni liberali. A seguito dell’approvazione della finanziaria 2003145, in cui fu sancita la nuova regolamentazione volta a qualificare quali spese di pubblicità i corrispettivi in denaro o natura a favore di società e associazione sportive dilettantistiche, fondazioni scolastiche o associazioni sportive scolastiche, l’Agenzia delle Entrate rivide la propria posizione in merito alla natura di tali spese. 143 A. Fantozzi, op. cit. p. 571. 144 R. n. 2-­‐1016, 1974. 145 Art. 90, co. 8, L. n. 289/2002, 65 L’Amministrazione Finanziaria, infatti, con la circolare n. 21 del 2003, fu “costretta” ad approvare la tesi che qualificava i costi di sponsorizzazione alla stregua di quelli di pubblicità. Si ritiene146, pertanto, che se tale ragionamento è stato accolto in relazione al mondo dilettantistico147, non vi è ragione alcuna per cui non possa estendersi per analogia alla realtà professionistica dove la dimensione economica e il numero di supporters/followers sono sicuramente più elevati. Il legislatore, con il D.M. 19 novembre 2008, finalmente disciplinò, differenziandoli, il trattamento dei costi di pubblicità e propaganda da quelli di rappresentanza. Il co. 1 del novellato art. 108 T.U.I.R., infatti, disciplina che “le spese di pubblicità e propaganda sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi, mentre le spese di rappresentanza sono deducibili nel periodo di sostenimento se rispondenti ai requisiti di inerenza e congruità stabiliti con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, anche in funzione della natura e della funzione delle stesse (….)”. Le spese di sponsorizzazione, essendo considerate una particolare forma di pubblicità, sono assoggettate alla medesima disciplina prevista per queste e, pertanto, deducibili nell’esercizio in cui si sono sostenute o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi. Infine, per quanto riguarda la società percipiente la sponsorizzazione, i proventi conseguenti devono sicuramente essere considerati, ai sensi dell’art. 85 T.U.I.R., ricavi a tutti gli effetti, trattandosi in sostanza di una forma alternativa di sfruttamento della prestazione di servizi cui è diretta l’attività di produzione dell’impresa. Il trattamento è, dunque, il medesimo di quello illustrato in precedenza per gli introiti da gare, i proventi da cessione dei diritti televisivi e gli introiti pubblicitari. 146 Come affermato da A. Fantozzi, op. cit., pag. 571. 147 Mondo indiscutibilmente meno attrattivo di quello professionistico sia dal punto di vista economico che dal punto di vista della visibilità. 66 3.4. Proventi ed oneri derivanti dal trasferimento di atleti. I proventi e gli oneri derivanti dal trasferimento di atleti da una società sportiva ad una altra sono due voci tipiche del conto economico di tali enti. Prima di affrontare il concetto dal punto di vista tributario, è necessario illustrare la struttura giuridica del rapporto che lega lo sportivo professionista148 alla società di appartenenza. Prima dell’entrata in vigore della L. n. 91/1981 un atleta era trasferito da una società all’altra attraverso la cessione del vincolo sportivo149. A seguito all’abolizione di tale vincolo il trasferimento può avvenire attraverso due modalità: - la società proprietaria del diritto alla prestazione sportiva del calciatore, lo cede dietro corrispettivo ad un'altra società; - alla scadenza del contratto, una società acquisisce tale diritto senza pagare nulla ad altre società. Si ritiene opportuno, prima di inoltrarsi nell’analisi delle caratteristiche peculiari di tale fattispecie, precisare che le società, oggi, quando versano un determinato importo ad un’atra società, non acquisiscono il calciatore in sé, bensì il diritto a godere della sua prestazione. È impensabile, infatti, poter acquistare una persona, ma non è invece, altrettanto impensabile, così come effettivamente avviene, acquistare la titolarità del il diritto di godere delle sue prestazioni. Tale concetto è di fondamentale importanza per comprendere appieno tale questione. Questo, infatti, fornisce la spiegazione del perché nei bilanci di tali società, tali valori vengano iscritti tra le immobilizzazioni immateriali, alla voce B.I.8 rubricata “Diritti Pluriennali alle prestazioni sportive dei Calciatori”, d’ora in avanti DPC. 148 La nozione di sportivo professionista è data dall’art. 2 L. n. 91/1981: “… Sono sportivi professionisti ai fini della presenta legge gli allenatori, i direttori tecnico sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nelle discipline regolamentate dal C.O.N.I…..” 149 Per la definizione di vincolo sportivo si rimanda al capitolo 1. 67 3.4.1. I DPC nel bilancio civilistico e il loro trattamento fiscale. La scelta di capitalizzare detto costo di acquisto trova fondamento nella durata ultrannuale dell’investimento che ha da sempre caratterizzato queste risorse sin dall’avvento delle società calcistiche di capitali nel 1966. Sino all’approvazione della L. n. 91/1981, il regime vigente del vincolo sportivo, aveva assicurato un controllo a tempo indeterminato sulla prestazione del calciatore, il cui cartellino risultava di proprietà effettiva delle società. L’acquisto dei DPC permetteva così a queste di usufruire delle prestazioni dei calciatori, senza limiti di tempo, in via esclusiva e permetteva loro, inoltre, di poterne disporre liberamente anche in sede di trasferimento. A seguito dell’abolizione del vincolo sportivo e della contestuale introduzione dell’IPP, una parte della dottrina iniziò a contestare la natura di tali componenti, ritenendo che non potessero più essere considerati dei beni immateriali. A tal riguardo si è instaurato un acceso dibattito sulla reale natura da attribuire a tali immobilizzazioni immateriali che ha dato luogo a tre principali correnti di pensiero: - la prima attribuisce ai DPC la natura di oneri pluriennali (art. 108 T.U.I.R.); - la seconda continua a ritenerli dei beni immateriali (art. 103 T.U.I.R.); - la terza, marginale, dei risconti pluriennali. Alla luce di tali possibilità, per i motivi che di seguito si evinceranno, si ritiene opportuno prendere in considerazione solo le prime due ipotesi, scartando la terza perché ritenuta meno condivisibile, in virtù della definizione economica di risconto attivo pluriennale150. 150 Di norma i risconti attivi, come sostenuto da Mancin, op. cit., p. 147 “traggono la loro origine da costi relativi a servizi acquistati ma non ancora consumati, destinati ad un impiego esclusivo e diretto nell’ambito dell’attività svolta dall’impresa, senza esserne potenzialmente oggetto di trasferimento a terzi prima del completamento del loro consumo. Questa caratteristica non sembra proprio poter essere estesa ai DPC, il cui costo 68 Riguardo alla prima teoria, si sottolinea come tale classificazione sia avvenuta a seguito dell’abolizione del vincolo sportivo, che ha impedito così alla società di poter usufruire, come in precedenza, delle prestazioni dell’atleta per tutta la durata della sua carriera. Ciò permetteva d’altro canto di “spalmare” il costo di acquisto, ammortizzandolo, per un numero di anni piuttosto elevato151. Con l’introduzione della L. n. 91/1981 invece, i DPC non potevano più essere nella disponibilità della società per l’intera durata dell’attività agonistica dell’atleta, ma al massimo per cinque esercizi. Ciò ovviamente ha comportato un mutamento radicale dal punto di vista reddituale. La deducibilità di tali costi, infatti, deve necessariamente essere limitata alla durata del contratto, che per disposizioni di legge non può superare i cinque anni. Si sottolinea, come regolamentato dal co. 3 art. 108 T.U.I.R. che, come nel caso della Juventus, qualora la società rediga il bilancio secondo i principi contabili internazionali, tali spese non sono capitalizzabili -­‐ quindi non transitano in stato patrimoniale -­‐ e sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono state sostenute e nei quattro successivi. Interpretando dunque la ratio alla base della seconda teoria (DPC = oneri pluriennali), si ritiene che i suoi sostenitori “declassino” i DPC da beni immateriali in senso proprio a oneri pluriennali per il solo fatto che non sono più una risorsa di durata “illimitata” nel patrimonio delle società. Premettendo che da un punto di vista contabile le differenze sono trascurabili, tale ipotesi, così come sostenuto da autorevole dottrina 152, non può essere condivisa. Il solo riferimento ad un mutamento dell’orizzonte temporale di controllo su tale bene, non può essere considerato condizione sufficiente per mutare la sua classificazione da bene in senso giuridico a mero onere pluriennale. misura il valore delle prestazioni sportive sostenuto anticipatamente rispetto al loro apporto all’economia dell’impresa, e per loro natura suscettibili di autonoma alienazione”. 151 Di norma la carriera di un calciatore professionista varia dai 10 ai 15 anni. 152 Mancin, op.cit., pp. 138-­‐140. 69 I beni immateriali in senso stretto, infatti, presentano una propria identificabilità ed individualità e sono, di norma, tutelati dall’ordinamento giuridico. In virtù dei diritti connessi all’acquisto di un DPC, l’impresa detiene il potere esclusivo si sfruttare per un periodo di tempo limitato153, i benefici futuri derivanti dall’utilizzo di tale risorsa. I diritti in questione inoltre sono soggetti a valutazioni autonome e indipendenti dal complesso dei beni dell’impresa. È, tuttavia, altresì vero che gli oneri pluriennali presentano caratteristiche difficilmente delimitabili rispetto ai beni immateriali. Una possibile soluzione a tale questione, è fornita da un modello interpretativo 154 che identifica le caratteristiche peculiari degli oneri pluriennali. Tale modello prevede che: - non vi è un bene economico sottostante e, pertanto, gli oneri pluriennali non possiedono valore economico di per sé; - la loro esistenza deriva da ragioni di competenza economica; sono, dunque, una mera costruzione fittizia; - le scelte gestionali non ne influenzano il valore di iscrizione nell’attivo; - non sono caratterizzati da valore di recupero, poiché privi di valore autonomo; - il criterio di ripartizione del valore solitamente risponde a convenzioni diffuse. Confrontando gli aspetti peculiari tipici dei DPC con le caratteristiche descritte da tale modello, si può riscontrare come questi non possano essere considerati degli oneri pluriennali. Gli aspetti peculiari dei DPC, infatti, possono essere così riassunti: - l’esistenza di un contratto che attribuisce alla società il diritto ad utilizzare in via esclusiva le prestazioni sportive di un atleta lungo tutta la durata contrattuale; 153 Massimo 5 anni. 154 Teodori C., L’economia e il bilancio delle società sportive, Torino, 1995. 70 - la possibilità di essere trasferiti indipendentemente dal complesso aziendale dei beni; - un distinto valore economico, riconoscibile e richiesto al momento dell’eventuale cessione; - un criterio di ammortamento che potrebbe non essere a quote costanti, ma riflettere modalità di utilizzo del calciatore lungo la relativa vita utile. In virtù di tale elencazione, si ritiene corretto considerare i DPC come veri e propri beni giuridici immateriali atipici, poiché dotati di un distinto valore economico e della possibilità di essere trasferiti separatamente dal complesso aziendale. La Raccomandazione contabile n. 1155, pertanto, pur ritenendo che la loro natura possa essere assimilata a quelle dei diritti di concessione e simili, classificati nella voce B.I.4., ritiene opportuno, sulla base delle disposizioni fornite all’art. 2423-­‐ter, c. 3 e 4, c.c. 156, dare separata indicazione in bilancio ai DPC. I predetti commi disciplinano l’obbligo di aggiungere altre voci a quelle già esistenti qualora il loro contenuto non sia ricompreso in quelle previste dallo schema civilistico e qualora lo esiga la natura particolare dell’attività esercitata. Anche gli schemi di bilancio e il piano dei conti federale prevedono che sia data separata indicazione, in bilancio, a tale voce, inserendo all’interno delle immobilizzazioni immateriali, la voce B.I.8 rubricata “Diritti pluriennali alle prestazioni dei calciatori.”. Per quanto concerne il valore d’iscrizione in bilancio si rimanda all’art. 2426 c.c. 157, il quale prevede che le immobilizzazioni debbano essere iscritte al costo di acquisto o di produzione. 155 Dedicata interamente ai DPC. 156 “Devono essere aggiunte altre voci qualora il loro contenuto non sia compreso in alcuna di quelle previste dagli articoli 2424 e 2425. Le voci precedute da numeri arabi devono essere adattate quando lo esige la natura stessa dell’attività.” 157 “Le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione. Nel costo di acquisto si computano anche i costi accessori….”. 71 Questa norma è valida indistintamente per tutte le categorie d’immobilizzazioni, e in sostanza afferma che il criterio da seguire sia quello del costo storico. Esso è comprensivo158 del costo di acquisto, degli oneri accessori di acquisto e di tutti quegli oneri necessari159 affinché l’immobilizzazione possa essere utilizzata. Nel caso dei DPC, il costo d’acquisto da iscrivere in bilancio è dato dal corrispettivo sostenuto dalla società che acquisisce i diritti alle prestazioni degli atleti, cui necessariamente si aggiungono le somme dovute ad eventuali procuratori e legali che curano gli interessi dello sportivo. A dire il vero potrebbero essere ricompresi nel costo di acquisto anche altri eventuali oneri accessori, quali ad esempio le tasse per la registrazione degli atti e gli onorari spettanti al notaio. Fino ad ora si è affrontata la classificazione di tali valori solo ed esclusivamente analizzando lo stato patrimoniale. Essi però assumono valenza anche dal punto di vista economico-­‐reddituale. A tal riguardo è opportuno analizzare le classificazioni che tali beni possono assumere in conto economico e precisamente l’ammortamento e l’eventuale plus/minusvalore a seguito di cessione. 3.4.1.1. Ammortamento. I DPC, come tutte le immobilizzazioni iscritte in bilancio, sono soggetti ad ammortamento160. L’art. 2426., co. 2, c.c., infatti, disciplina che il costo delle immobilizzazioni materiali e immateriali “la cui utilizzazione è limitata nel tempo, deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione.”. 158 Come sancito dall’OIC n. 16. 159 Ad esclusione di quelli finanziari. 160 Quel procedimento tramite il quale un costo avente utilità pluriennale viene ripartito negli esercizi di vita utile del bene stesso, rispettando cosi il principio di competenza economica. 72 Al fine di redigere un piano di ammortamento corretto, è opportuno identificare correttamente una serie di elementi: - valore da ammortizzare; - residua possibilità di utilizzazione; - criterio di ripartizione del valore da ammortizzare. Valore da ammortizzare. Secondo la prassi e la dottrina il valore da ammortizzare non è altro che “la differenza tra il costo delle immobilizzazioni e il suo presumibile valore di realizzo al termine del periodo di vita utile del bene”. Detto valore, però, è solitamente così esiguo che di esso spesso, nel computo dell’ammontare di tale valore, non se ne tiene conto. Il principio contabile n. 24, nel definire il valore da ammortizzare non considera il concetto di valore residuo. Tale soluzione potrebbe essere giustificata in primis dalla notevole difficoltà di disporre di un mercato attivo per tali tipologie di beni immateriali ed in secundis, di conseguenza, dalla minore attendibilità che deriverebbe dalla stima di tale valore. In virtù delle considerazioni appena esposte si ritiene corretto non considerare il valore presumibile di realizzo nella stima del valore da ammortizzare. L’incertezza sull’effettiva realizzabilità di tale componente positivo, in effetti, determinerebbe una palese violazione del principio di prudenza qualora fosse considerato nel calcolo del valore da ammortizzare161. La residua possibilità di utilizzazione. Il codice civile stabilisce che il valore delle immobilizzazioni deve essere ammortizzato in relazione alla “residua possibilità di utilizzazione.” Essa, come disciplinato dai principi contabili, è connessa non tanto alla durata fisica dei 161 Quanto maggiore è il valore presumibile di realizzo, tanto minore è l’ammontare delle quote di ammortamento imputate nel conto economico di ogni esercizio in cui è utilizzato il DPC. 73 beni, quanto piuttosto alla loro “durata economica”. Con tale espressione si indica il periodo in cui si prevede che il cespite possa essere di utilità per l’impresa. Nel caso di beni o diritti intangibili, quali i DPC, si dovrà necessariamente fare riferimento a un concetto ulteriore: la “durata legale”. Essa rappresenta il periodo di utilizzo del bene in relazione alla durata stabilita e regolamentata dalle legge. A norma dell’art. 5 L. n. 91/1981, il contratto tramite il quale una società acquisisce i diritti alle prestazioni sportive di un calciatore può avere una durata massima di cinque anni. La durata legale, pertanto, in questa circostanza coincide con la vita utile iscritta in bilancio. Qualora invece, la durata economica dovesse risultare inferiore rispetto a quella legale, è chiaro che quest’ultima non potrebbe essere presa in considerazione come periodo al quale rapportare il costo di acquisto del bene. L’impostazione sostenuta dalla Raccomandazione contabile n. 1 appare notevolmente meno flessibile rispetto a quella prevista dalla legge. Essa, infatti, sancisce che l’ammortamento deve essere determinato in ragione de “l’intera durata del contratto che vincola il calciatore alla società cessionaria e comunque per un tempo non superiore a 5 anni….”. Un’interpretazione letterale della norma sembrerebbe non ammettere modifiche e rivisitazioni del calcolo della vita utile nel caso in cui la durata economica sia inferiore a quella legale. Ad ogni modo, un’interpretazione letterale non è prospettabile in quanto in conflitto con l’art. 2426 n. 2 c.c. e con l’interpretazione dei principi contabili. La durata del DPC pertanto può essere soggetta a rettifica a seguito di un’eventuale modifica della “residua possibilità di utilizzazione” del bene. Le principali cause che possono ridurre la vita utile di un DPC, rispetto a quella originariamente prospettata si riconducono principalmente a tre fattispecie: - abbandono attività agonistica; - grave e compromettente infortunio del calciatore; - decisione societaria di anticipare la cessione. 74 La principale causa d’incremento della vita utile dei DPC si osserva, invece, a seguito del prolungamento o del rinnovo del contratto in corso con un proprio calciatore. Il criterio di ripartizione del valore da ammortizzare. I principi contabili precisano che, nei casi in cui non sia determinabile in maniera attendibile il beneficio ottenibile dall’utilizzo di un’immobilizzazione immateriale, il metodo di ammortamento preferibile risulta essere quello “a quote costanti”, che si ottiene con la ripartizione del valore da ammortizzare negli anni di vita utile del bene. Anche le Raccomandazioni contabili concordano con quanto sopra affermato, sancendo che “il criterio di ammortamento del diritto alle prestazioni dei calciatori raccomandato è quello della ripartizione del costo del diritto (…) a quote costanti per l’intera durata del contratto che vincola il calciatore alla società cessionaria.”. Concludendo dunque, il valore ammortizzato di ogni esercizio deve essere ricompreso all’interno della voce B.10.a) del Conto Economico, rubricata “Ammortamenti immobilizzazioni immateriali”. 3.4.1.1.1. Il trattamento fiscale dell’ammortamento dei DPC. Così come si è potuto constatare dall’analisi svolta in ambito civilistico, a fini reddituali i DPC assumono rilevanza, in primis, al momento del loro acquisto. L’art. 103 T.U.I.R. 162 dispone al secondo comma che le quote di ammortamento del costo dei diritti di concessione e degli altri diritti iscritti 162 Ammortamento dei beni immateriali, “1. Le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione di opere dell'ingegno, dei brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico sono deducibili in misura non superiore al 50 per cento del costo; quelle relative al costo dei marchi d'impresa sono deducibili in misura non superiore ad un diciottesimo del costo. 75 nell’attivo del bilancio siano deducibili in misura non superiore alla durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge. Prima dell’approvazione della L. n. 91/1981, le società sportive di capitali163 avevano la possibilità di sottoscrivere grazie al vincolo sportivo, un contratto che vincolasse l’atleta alla società per tutta la durata della sua carriera agonistica. Ciò chiaramente comportava che i club, in virtù di una situazione di perdita economica fisiologica, non incappavano nella decadenza del riporto delle perdite, attualmente previste dal Legislatore, potendo, infatti, portare in deduzione in ogni esercizio la quota di costo di competenza. Con l’avvento della L. n. 91/1981, a seguito dell’abolizione del vincolo sportivo, il contratto sottoscritto tra la società e l’atleta ha una durata limitata, che può essere protratta al massimo per cinque anni, cosi come disposto anche dalla Raccomandazione contabile n. 1., la quale stabilisce che “il criterio di ammortamento del diritto alle prestazioni dei calciatori raccomandato è quello della ripartizione del costo del diritto (…) a quote costanti per l’intera durata del contratto che vincola il calciatore alla società cessionaria fino ad un massimo di cinque anni.”. Pertanto, in virtù del dettato normativo del 1981, avvalorato dalle Raccomandazioni contabili, la disciplina, dal punto di vista tributario, non si discosta da quanto regolamentato a fini civilistici. La società, pertanto, può portare in deduzione in ogni esercizio la quota di competenza di tale costo per tutta la durata del contratto, che, per legge, deve comunque sempre essere inferiore a cinque anni. Il che significa che se una 2. Le quote di ammortamento del costo dei diritti di concessione e degli altri diritti iscritti nell'attivo del bilancio sono deducibili in misura corrispondente alla durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge. 3. Le quote di ammortamento del valore di avviamento iscritto nell'attivo del bilancio sono deducibili in misura non superiore a un diciottesimo del valore stesso. 3-­‐bis. Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, la deduzione del costo dei marchi d'impresa e dell'avviamento è ammessa alle stesse condizioni e con gli stessi limiti annuali previsti dai commi 1 e 3, a prescindere dall'imputazione al conto economico. 4. Si applica la disposizione del comma 8 dell'articolo 102.” 163 Come già affrontato in precedenza. 76 società stipula un contratto di durata quinquennale, deduce le relative quote di competenza per cinque anni, ma qualora la stipulazione preveda un contratto di durata triennale, il carico fiscale sarà diminuito, portando in deduzione la quota di competenza nell’esercizio e nei due successivi. 3.4.1.2. Plusvalenza/minusvalenza da cessione DPC. A seguito della cessione di un DPC, la società può conseguire una plusvalenza o una minusvalenza. Si consegue una plusvalenza nel caso in cui il valore di cessione dell’immobilizzazione sia maggiore del suo valore contabile netto, dove con valore contabile netto s’intende il valore del costo storico iscritto alla voce B.I.8 di Stato Patrimoniale al netto del corrispondente valore ammortizzato negli anni di vita utile del bene. Viceversa vi sarà una minusvalenza nel caso contrario164. I principi contabili, a riguardo, stabiliscono che165: - “i proventi e i costi rappresentati da plusvalenze e minusvalenze relative: a) alla cessione di beni strumentali impiegati nella normale attività produttiva, commerciale o di servizi, alienati in seguito al loro deperimento economico–tecnico; b) aventi scarsa significatività rispetto alla totalità dei beni strumentali utilizzati per la loro normale attività produttiva; c) di entità tale da non stravolgere il risultato tecnico della differenza tra valore e costi della produzione,” vanno esposti rispettivamente alla voce A.5 Altri ricavi e proventi e alla voce B. 14 Oneri diversi di gestione. - “Le plusvalenze/minusvalenza derivanti dalla cessione di beni non strumentali o di beni strumentali alla normale attività produttiva, ma aventi una notevole rilevanza rispetto alla totalità dei beni strumentali utilizzati per la suddetta attività produttiva, commerciale o di servizi” 164 Ovvero nel caso in cui il valore di cessione sia inferiore al valore contabile netto. 165 OIC, Composizione e schemi di bilancio. Principio contabile OIC 12, 2005, p. 25 77 . devono essere collocati tra i proventi e gli oneri straordinari nelle voci rispettivamente E. 20-­‐21. La classificazione del provento derivante dalla cessione di DPC, ha dato luogo, e continua a farlo ancora oggi, a un acceso dibattito in dottrina. Vi è, infatti, un primo filone interpretativo che lo ritiene di natura ordinaria e pertanto iscrivibile alla voce A.5 e un secondo invece che lo tratta come un provento straordinario e, in quanto tale, iscrivibile alla voce E.20. Tale questione, come vedremo nei paragrafi successivi, non è trascurabile da un punto di vista meramente fiscale in quanto, a seconda della natura che il provento assume -­‐ quindi “ordinario” o “straordinario” -­‐ concorre o non concorre alla base Imponibile Irap. Tale argomento sarà analizzato dettagliatamente nel capitolo seguente. 3.4.1.2.1. Il trattamento fiscale delle plus/minusvalenze. Il DPC, oltre ad assumere una certa rilevanza dal punto di vista fiscale al momento del suo acquisto, da cui scaturisce166 il processo di ammortamento, dà luogo a conseguenze rilevanti anche al momento della sua cessione. Quest’ultima, infatti, genera una plusvalenza, laddove il corrispettivo sia maggiore rispetto al valore contabile netto, ed una minusvalenza nel caso contrario167. Il T.U.I.R. affronta oggi tale questione all’art. 86168 , attribuendo a tale provento una valenza residuale. L’art. in questione, infatti, al co. 1 definisce 166 Come visto nel precedente paragrafo. 167 Per un approfondimento si veda G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Cedam, 2012. 168 Plusvalenze patrimoniali. 1. Le plusvalenze dei beni relativi all'impresa, diversi da quelli indicati nel comma 1 dell'articolo 85, concorrono a formare il reddito: a) se sono realizzate mediante cessione a titolo oneroso; b) se sono realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni; c) se i beni vengono assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa. 2. Nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b) del comma 1 la plusvalenza è costituita dalla 78 plusvalenze tutti quei componenti positivi di reddito diversi dai ricavi, ex art. 85, scaturenti da beni relativi all’impresa. Nel prosieguo del medesimo comma il Legislatore, inoltre, sancisce che tali proventi concorrono alla formazione del reddito nel caso in cui siano realizzati mediante cessione a titolo oneroso. Ora, analizzando attentamente i contenuti dell’art. 85 169 , si può agevolmente riscontrare che il provento scaturente dalla cessione di un DPC, in differenza fra il corrispettivo o l'indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato. Concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso. Se il corrispettivo della cessione è costituito esclusivamente da beni ammortizzabili, anche se costituenti un complesso o ramo aziendale, e questi vengono complessivamente iscritti in bilancio allo stesso valore al quale vi erano iscritti i beni ceduti, si considera plusvalenza soltanto il conguaglio in denaro eventualmente pattuito. 3. Nell'ipotesi di cui alla lettera c) del comma 1, la plusvalenza è costituita dalla differenza tra il valore normale e il costo non ammortizzato dei beni. 4. Le plusvalenze realizzate, diverse da quelle di cui al successivo articolo 87, determinate a norma del comma 2, concorrono a formare il reddito, per l'intero ammontare nell'esercizio in cui sono state realizzate ovvero, se i beni sono stati posseduti per un periodo non inferiore a tre anni, o a un anno per le società sportive professionistiche, a scelta del contribuente, in quote costanti nell'esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto. La predetta scelta deve risultare dalla dichiarazione dei redditi; se questa non è presentata la plusvalenza concorre a formare il reddito per l'intero ammontare nell'esercizio in cui è stata realizzata. Per i beni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diverse da quelle di cui al successivo articolo 87, le disposizioni dei periodi precedenti si applicano per quelli iscritti come tali negli ultimi tre bilanci; si considerano ceduti per primi i beni acquisiti in data più recente. 5. La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento. 5-­‐bis. Nelle ipotesi dell'articolo 47, commi 5 e 7, costituiscono plusvalenze le somme o il valore normale dei beni ricevuti a titolo di ripartizione del capitale e delle riserve di capitale per la parte che eccede il valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni. 169 1. Sono considerati ricavi: a) i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa; b) i corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione; c) i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazioni, anche non rappresentate da titoli, al capitale di società ed enti di cui all'articolo 73, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diverse da quelle cui si applica l'esenzione di cui all'articolo 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa. Se le partecipazioni sono nelle società o enti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera d), si applica il comma 2 dell'articolo 44; d) i corrispettivi delle cessioni di strumenti finanziari similari alle azioni ai sensi 79 virtù della propria natura, non rientra nella fattispecie regolamentata. Esso dunque deve essere considerato una plusvalenza. Il co. 2 dell’art. 86, fornisce inoltre una definizione di plusvalenza. Si deve considerare una plusvalenza, la differenza positiva tra il corrispettivo conseguito a seguito della cessione, al netto di eventuali oneri accessori di diretta imputazione, tra il valore contabile netto e il costo non ancora ammortizzato. In sostanza il legislatore sta dicendo che avrà luogo una plusvalenza dal punto di vista fiscale solo qualora il corrispettivo da cessione sia maggiore del valore contabile netto170 del bene iscritto in bilancio. In tale comma, inoltre, viene disciplinato il concetto di permuta171. In particolare il legislatore tributario regolamenta la fattispecie in cui il corrispettivo della cessione sia costituito in maniera esclusiva da beni ammortizzabili, sancendo che: - essi possono iscriversi nel bilancio allo stesso valore a cui erano iscritti in precedenza i beni ceduti; dell'articolo 44 emessi da società ed enti di cui all'articolo 73, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diversi da quelli cui si applica l'esenzione di cui all'articolo 87, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa; e) i corrispettivi delle cessioni di obbligazioni e di altri titoli in serie o di massa diversi da quelli di cui alla lettere c) e d) precedenti che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, anche se non rientrano fra i beni al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa; f) le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento di beni di cui alle precedenti lettere; g) i contributi in denaro, o il valore normale di quelli, in natura, spettanti sotto qualsiasi denominazione in base a contratto; h) i contributi spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge. 2. Si comprende inoltre tra i ricavi il valore normale dei beni di cui al comma 1 assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa. 3. I beni di cui alle lettere c), d) ed e) del comma 1 costituiscono immobilizzazioni finanziarie se sono iscritti come tali nel bilancio. 3-­‐bis. In deroga al comma 3, per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, si considerano immobilizzazioni finanziarie gli strumenti finanziari diversi da quelli detenuti per la negoziazione. 170 Valore contabile netto = costo storico –valore ammortizzato. 171 La permuta costituisce una modalità di acquisizione che si sostanzia nello scambio di due o più beni appartenenti a due distinte società. 80 - in tal caso si deve considerare plusvalore solo l’eventuale conguaglio in denaro. Pertanto, se due società decidono di scambiarsi a vicenda due giocatori e il loro valore è esattamente il medesimo, l’operazione è fiscalmente neutrale, cioè priva di rilevanza da un punto di vista reddituale. Se invece i due giocatori hanno valori di bilancio differenti e quindi, oltre al mero scambio, una delle due società deve necessariamente versare a titolo di corrispettivo una determinata somma di denaro all’altra, la società percipiente iscriverà in bilancio come una plusvalenza solamente l’importo di tale conguaglio in denaro, con la conseguenza che tale valore andrà a incrementare il reddito d’esercizio. Il comma quattro invece, regolamenta l’esercizio in cui tale valore concorre alla formazione del reddito. Il legislatore afferma che le plusvalenze diverse da quelle esenti ex art. 87 T.U.I.R.172 e determinate sulla base del co. 2, 172 1. Non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti nella misura del 95 per cento le plusvalenze realizzate e determinate ai sensi dell'articolo 86, commi 1, 2 e 3 relativamente ad azioni o quote di partecipazioni in società ed enti indicati nell'articolo 5, escluse le società semplici e gli enti alle stesse equiparate, e nell'articolo 73, comprese quelle non rappresentate da titoli, con i seguenti requisiti: a) ininterrotto possesso dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell'avvenuta cessione considerando cedute per prime le azioni o quote acquisite in data più recente; b) classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso; c) residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-­‐bis, o, alternativamente, l'avvenuta dimostrazione, a seguito dell'esercizio dell'interpello secondo le modalità di cui al comma 5, lettera b), dell'articolo 167, che dalle partecipazioni non sia stato conseguito, sin dall'inizio del periodo di possesso, l'effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli individuati nel medesimo decreto di cui all'articolo 168-­‐bis; d) esercizio da parte della società partecipata di un'impresa commerciale secondo la definizione di cui all'articolo 55. Senza possibilità di prova contraria si presume che questo requisito non sussista relativamente alle partecipazioni in società il cui valore del patrimonio è prevalentemente costituito da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è effettivamente diretta l'attività dell'impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati direttamente nell'esercizio d'impresa. Si considerano direttamente utilizzati nell'esercizio d'impresa gli immobili concessi in locazione finanziaria e i terreni su cui la società partecipata svolge l'attività agricola. 1-­‐bis. Le cessioni delle azioni o quote appartenenti alla categoria delle immobilizzazioni finanziarie e di quelle appartenenti alla categoria dell'attivo circolante vanno considerate separatamente con riferimento a ciascuna categoria. 81 “concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono state realizzate o, se i beni sono stati posseduti da società sportive professionistiche per un periodo non inferiore ad un anno, a scelta del contribuente, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto.”. Tale scelta, tuttavia, deve risultare espressamente da dichiarazione dei redditi, infatti, nel caso in cui in questa non sia presentata, il plusvalore concorre interamente a formare il reddito dell’esercizio in cui si è realizzata. Nel caso in cui, al contrario, il corrispettivo da cessione, sia inferiore al valore contabile netto, si deve registrare una minusvalenza, che, per analogia, è deducibile nell’esercizio in cui è stata realizzata o, a scelta del contribuente in esso e nei successivi, ma non oltre il quarto. Sembra doveroso soffermarsi sulla ratio alla base di tale norma. Il dettato normativo, infatti, prevede una specifica deroga per le società sportive professionistiche, le quali, a differenza di quanto disciplinato per le “normali società di capitali”, per le quali concorrono alla formazione del reddito le plusvalenze di beni detenuti da almeno tre anni, possono far concorrere alla 2 I requisiti di cui al comma 1, lettere c) e d) devono sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo, almeno dall'inizio del terzo periodo d'imposta anteriore al realizzo stesso. 3. L'esenzione di cui al comma 1 si applica, alle stesse condizioni ivi previste, alle plusvalenze realizzate e determinate ai sensi dell'articolo 86, commi 1, 2 e 3, relativamente alle partecipazioni al capitale o al patrimonio, ai titoli e agli strumenti finanziari similari alle azioni ai sensi dell'articolo 44, comma 2, lettera a) ed ai contratti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b). Concorrono in ogni caso alla formazione del reddito per il loro intero ammontare gli utili relativi ai contratti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b), che non soddisfano le condizioni di cui all'articolo 44, comma 2, lettera a), ultimo periodo. 4. Fermi rimanendo quelli di cui alle lettere a), b) e c), il requisito di cui alla lettera d) del comma 1 non rileva per le partecipazioni in società i cui titoli sono negoziati nei mercati regolamentati. Alle plusvalenze realizzate mediante offerte pubbliche di vendita si applica l'esenzione di cui ai commi 1 e 3 indipendentemente dal verificarsi del requisito di cui alla predetta lettera d). 5. Per le partecipazioni in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell'assunzione di partecipazioni, i requisiti di cui alle lettere c) e d) del comma 1 si riferiscono alle società indirettamente partecipate e si verificano quando tali requisiti sussistono nei confronti delle partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante. 6. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle plusvalenze di cui all'articolo 86, comma 5-­‐bis. 82 formazione del reddito le plusvalenze derivanti da cessione di beni iscritti nell’attivo patrimoniale da almeno un anno. Non è chiaro, infatti, se tale deroga sia meramente agevolativa e, di conseguenza, favorisca, a parità di condizioni, determinati soggetti a scapito di altri, violando quanto sancito dall’art. 3 della Costituzione, il quale afferma che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali . E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Se così fosse vi sarebbero motivate ragioni per sollevare eventuali dubbi di incostituzionalità di tale norma. Se, invece, si ritiene che tale deroga sia dovuta ad una consapevolezza del Legislatore di una fisioligicità delle società sportive ad acquistare e vendere, per le ragioni più svariate, nel giro di breve tempo le proprie immobilizzazioni, tali dubbi di incostituzionalità verrebbero con ogni probabilità risolti. A parer di chi scrive, appare più ragionevole propendere per la seconda ipotesi. Il Legislatore, infatti, riconoscendo la peculiarità del settore, ha ritenuto necessario “accorciare” i tempi di permanenza degli asset in stato patrimoniale in relazione alla durata massima di cinque anni prevista dalla legge e alla specifica natura di tali immobilizzazioni immateriali iscritte in bilancio. I club, infatti, a differenza di qualsiasi altro tipo di società, devono correlare il tempo di permanenza dell’asset al calciatore, il quale, in quanto essere umano, dotato di libero arbitrio, può manifestare, come spesso accade, la propria volontà di essere ceduto ad altra società, la quale subentrerà nel contratto in essere, rinegoziando eventualmente alcune condizioni. 3.5. Ammortamento e capitalizzazione dei costi del vivaio. Nel calcio moderno, l’investimento nel settore giovanile -­‐ cosiddetto “vivaio” -­‐, rappresenta un’opportunità strategica di fondamentale importanza 83 per le società sportive professionistiche, soprattutto per quelle di piccole dimensioni. La promozione di un settore giovanile173 di qualità rappresenta per molte società “provinciali” 174 un modello di business a tutti gli effetti, visto e considerato che per esse le fonti di ricavo tradizionali175 sono notevolmente inferiori rispetto a quelle dei grandi club. Investire nel settore giovanile comporta due vantaggi176 fondamentali: - crescere giovani talenti senza dover pagare cifre sempre più elevate per acquistarli da altri club177; - la formazione di giovani campioni può portare benefici economico-­‐ finanziari attraverso la successiva cessione a squadre più blasonate178. Al contrario, è evidente che la società che decide di privilegiare la crescita del vivaio all’acquisto sul mercato di giocatori già formati, sostiene un forte rischio di insuccesso dovuto al numero esiguo di giovani talenti che riescono a raggiungere il professionismo. A livello di bilancio, i costi sostenuti per la gestione del settore giovanile dovrebbero costituire, a rigore di logica, delle spese da imputare integralmente nell’esercizio in cui sono sostenuti. Tuttavia, la dottrina e la prassi ritengono opportuno che una parte di questi venga capitalizzata in stato patrimoniale, attribuendo anche ad essi la valenza di immobilizzazione immateriale. 173 Si prenda ad esempio l’Atalanta, da sempre considerata il club con un vivaio tra i migliori d’Europa. 174 Società di piccole dimensioni nel gergo calcistico, quali ad esempio la stessa Atalanta, il Calcio Padova, Il Torino, il Bari etc.… 175 Proventi da diritti televisivi, sponsorizzazioni, incassi da vendita di biglietti. 176 M. Mancin, op. cit., p. 324. 177 Si pensi alla Roma e a Totti, quest’ultimo, infatti, cresciuto nel vivaio del settore giovanile della A.C. Roma, ha fatto si che il club per assicurarsi il diritto alle prestazioni sportive del calciatore, non abbia dovuto versare alcun corrispettivo ad altre società. Corrispettivo che, senza alcun dubbio, vista la bravura del giocatore sarebbe stato sicuramente elevatissimo. In sostanza Totti alla Roma, costa “solamente” relativamente al suo ingaggio. Questo, però genera un’altra questione, la sottovalutazione del patrimonio della società. 178 Si pensi al caso del Calciatore del Milan Alexandre Pato che a soli 17 anni, fu pagato dalla società milanese la cifra di 25 milioni di euro. Tale corrispettivo rappresentò, per la società cedente, interamente una plusvalenza dato che era cresciuto nel proprio vivaio. 84 I costi del vivaio sono attualmente capitalizzati nella loro globalità senza riferimento ai singoli calciatori che militano nel settore giovanile179. Tale ipotesi non trova però riscontro nella versione aggiornata della Raccomandazione contabile n. 2. Ciononostante, molte società ritengono corretto tale criterio continuando così ad adottare tale prassi nella redazione dei propri bilanci. Si ritiene che tale ipotesi non venga giustamente presa in considerazione nella Raccomandazione contabile per i seguenti motivi: - i singoli calciatori sono a tutti gli effetti dei dilettanti e, in quanto tali, non sono vincolati da alcun contratto di lavoro, le società dunque non dispongono di alcun diritto tale da poter essere iscritto in bilancio come attività; - appare piuttosto difficile far collimare con i principi prudenziali imposti dalla legge, la capitalizzazione di un costo legato al singolo giovane, considerando l’aleatorietà piuttosto elevata legata allo sbocco nel mondo professionistico e la difficoltà di attribuire in modo arbitrario al singolo giocatore una quota di spesa sostenuta . I costi del vivaio, pertanto, rappresentano in Stato Patrimoniale un onere pluriennale sospeso, il quale si riferisce a spese relative al mantenimento del settore giovanile nel suo complesso più che al valore dei giovani calciatori in forza alla società. La Raccomandazione contabile, concordando con quanto affermato dalla dottrina, assimila questi investimenti ai costi di ricerca e sviluppo, poiché ritiene siano finalizzati alla formazione di una risorsa fondamentale per i club professionistici, quale appunto “la coltivazione” di giovani talentuosi. Risulta evidente in quest’ottica che una parte di questi costi per il mantenimento dei vivai non sia di competenza dell’esercizio in cui sono sostenuti, ma di quelli nei quali il calciatore fornirà le proprie prestazioni o permetterà di conseguire un ricavo attraverso la cessione180. 179 Si evidenzia che in passato alcuni autori si sono espressi anche a favore di una capitalizzazione di costi specifica per ogni calciatore appartenente al settore giovanile. Su tutti De Vita G., cit., pp. 81-­‐82 180 Teodori C., cit., pp. 115-­‐116, dubita che tale principio possa rispettare il principio di competenza. Egli infatti afferma che “si tratta di una scelta compromissoria, in quanto 85 A livello di bilancio, tali costi trovano spazio in un’apposita posta tra le immobilizzazioni immateriali, la B.I.7, rubricata Costi del vivaio. Così come per i DPC, anche questa voce deriva dalla modifica agli schemi di bilancio civilistici effettuata dalle società professionistiche, in applicazione alle deroghe stabilite dall’art. 2424-­‐ter. L’opportunità di capitalizzare tali costi, deve relazionarsi a quanto sancito dai principi contabili nazionali in materia di costi di ricerca e sviluppo. Il documento contabile n. 24, regolamenta la capitalizzazione di questi costi affermando che181: - è consentito capitalizzare, oltre ai costi di sviluppo, quelli inerenti la ricerca avanzata. In sostanza, dunque, la capitalizzazione è consentita solo relativamente a spese di realizzazione di uno specifico progetto; - l’attinenza a specifici progetti però, di per sé, non è sufficiente affinché possano essere capitalizzati. Detti costi, infatti, devono possedere le seguenti caratteristiche: a) devono essere identificabili e misurabili; b) devono riferirsi ad un progetto realizzabile; c) devono essere recuperabili tramite ricavi. Analizzando le caratteristiche dei costi del vivaio, in relazione a quanto finora osservato182, si può riscontrare che essi siano riferibili allo specifico progetto di far crescere, migliorandolo, un giovane atleta, così che successivamente sia possibile conseguirne un ricavo al momento della cessione ad altra società. Essi, inoltre, sono identificabili e misurabili in maniera attendibile qualora la società in questione sia dotata di un buon sistema di contabilità analitica e sono potenzialmente recuperabili nel caso in cui l’investimento nel vivaio sia ripagato dall’ottenimento di giovani calciatori professionisti. date le modalità utilizzate per l’ammortamento, non si rileva una effettiva correlazione costi/ ricavi.”. 181 OIC, Immobilizzazioni Immateriali. Principio contabile OIC 24. 2005, pp. 18-­‐20. 182 M. Mancin, op. cit., p. 327. 86 La raccomandazione contabile n. 2 fornisce una serie d’indicazioni legate ai criteri di valutazione degli oneri che possono essere ricompresi all’interno di tale voce, stabilendo possano esservi ricompresi: - il vitto, l’alloggio e la locomozione gare; - i rimborsi spese calciatori; - gli allenatori, istruttori e tecnici del vivaio; - l’assicurazione infortuni; - le spese sanitarie. La raccomandazione contabile in questione suggerisce poi che siano anche ricompresi il premio di formazione e di preparazione corrisposto per l’ingaggio di giovani calciatori. Non si condivide tale ultima impostazione, poiché si ritiene più corretto iscrivere tali oneri all’interno della voce B.I.8. Pagando il premio, infatti, una società acquisisce il diritto di poter stipulare con il giovane atleta, il suo primo contratto da professionista, disponendo, pertanto, di un vero e proprio DPC paragonabile a quelli ottenuti successivamente ad una cessione “ordinaria” di atleti. Cosi come sancito per i DPC, i costi del vivaio 183 sono soggetti ad ammortamento per un numero di esercizi inferiore a cinque anni e possono essere iscritti in bilancio tra le attività solo previa autorizzazione del collegio sindacale. Dal punto di vista fiscale, dunque, la società potrà portare in deduzione, a norma dell’art. 109 T.U.I.R. pro quota le spese di competenza relative ad ogni esercizio, fino a un massimo di cinque. Tale quota andrà così a incrementare il valore della voce B.10., rubricato “Ammortamento immobilizzazioni immateriali”. 183 In virtù della loro natura assimilabile a quella di diritti alle prestazioni sportive. 87 Analizzando dal punto di vista pratico il bilancio, si può rilevare che alcune società 184 inseriscono una parte di tali costi nella voce A.4 185 del Conto Economico. Tramite questa voce, in sostanza, vengono “stornati” dal conto economico dell’esercizio i costi che l’impresa ha sostenuto per la realizzazione interna di immobilizzazioni immateriali e materiali. Con il termine realizzazione interna si devono ricomprendere anche i costi di ampliamento, ammodernamento o miglioramento degli elementi strutturali di un’immobilizzazione. Dal punto di vista fiscale tale voce, denominata “Capitalizzazione costi del Vivaio” concorre alla formazione del reddito d’esercizio come una “normale” “lavorazione interna per incremento delle immobilizzazioni” iscritta alla voce A.4. In sostanza, dunque, in tale circostanza vi è totale coincidenza tra quanto iscritto in bilancio a livello civilistico e quanto rappresentato in dichiarazione dei redditi a livello fiscale. Tale costo però, in ragione della propria natura potrebbe indurre alla realizzazione di politiche di bilancio, volte a congelare il sostenimento di un costo o a ridurre le perdite d’esercizio. La natura di tale onere, come già riscontrato analiticamente in precedenza rimane comunque controversa. Risulta, infatti, particolarmente difficoltoso a tal riguardo poter determinare in maniera oggettiva una quota di costi sostenuti dall’impresa per migliorare o incrementare realmente il valore di tali immobilizzi di natura così marcatamente soggettiva e caratterizzati da un’aleatorietà piuttosto evidente da impedire l’individuazione di un ricavo futuro ad essi connesso. 4. Il decreto salva calcio. Il Legislatore, con l’emanazione dell’art. 18 bis della L. n. 91/1981, aggiunto dalla legge di conversione del D.L. n. 282/2002, ha introdotto la 184 Tra le quali vi è l’Internazionale FC. L’udinese calcio S.p.A. invece, non adotta tale pratica. 185 Denominata “lavori interni per incrementi d’immobilizzazioni” c.c. 2426. E. Santesso, U. Sostero, I principi contabili per il bilancio di esercizio. 2007. 88 possibilità per le società sportive professionistiche di svalutare i DPC iscritti in bilancio ammortizzandoli in un intervallo temporale di dieci anni. Il dettato normativo in questione, battezzato dai media decreto “salva-­‐ calcio”, ha un’applicazione limitata dal punto di vista temporale, essendo circoscritto solo ed esclusivamente alle svalutazioni effettuate nel primo bilancio approvato successivamente alla data di entrata in vigore della norma186. Per apprendere appieno la portata di tale Legge è necessario esaminare quanto regolamentato dal secondo comma della stessa. Quest’ultimo, infatti, prevede la necessità di ammortizzare la perdita conseguente alla svalutazione dell’attivo ai fini civilistici e fiscali. Il dettato normativo, tuttavia, stabilisce che, per poter usufruire di tale agevolazione, le società, prima di provvedere alla svalutazione, devono avere il consenso da parte del collegio sindacale che attesti la validità e la correttezza della perizia giurata di stima187 di un professionista. La norma, pertanto ha il “solo” effetto di “congelare” la contabilizzazione di una minusvalenza in bilancio sostituendo l’ammortamento basato sulla vita utile del DPC, con quello decennale. Tale agevolazione consente di far emergere progressivamente perdite che, altrimenti, non potrebbero essere portate in deduzione dell’eventuale reddito oltre il quinto esercizio successivo alla loro realizzazione. Tale norma è, però, produttiva degli effetti sperati, solo ed esclusivamente laddove la prospettiva di tali società sia quella di generare degli utili negli esercizi successivi a quello di realizzo della perdita, così da limitarne il carico fiscale portandola in deduzione pro quota. 186 Stagione sportiva 2002-­‐2003. Tale normativa produrrà i suoi effetti quindi fino alla stagione 2012-­‐ 2013, cioè decorsi i dieci anni dalla svalutazione. 187 Per maggiori dettagli si vedano, M. Galeotti, La “crisi” del calcio e gli aiuti contabili e fiscali, “Il Fisco”, 2003, p.1-­‐1278, e N. Forte, Gli effetti della svalutazione sui bilanci delle società sportive, Corr. Trib., 2003 p. 964, M. Mancin, La svalutazione e del patrimonio calciatori nel bilancio delle società di calcio professionistiche: effetti e distorsioni derivanti dall’applicazione delle norme contenute nel decreto salva-­‐calcio n. 282/2002 convertito in legge, “Impresa Commerciale Industriale” n. 2, 2003, p. 527. 89 Laddove, come invece è accaduto, le società di calcio negli anni a venire realizzassero una perdita, tale norma non avrebbe fatto altro che spalmare tale minusvalenza in dieci anni invece che in cinque. La norma salva-­‐calcio purtroppo, come sostenuto da autorevole dottrina188, non è riuscita a conseguire i risultati prefissati e sperati in sede di emanazione. Essa, infatti, non ha inciso sulla situazione d’insolvenza cronica in cui vertevano e vertono tuttora le società calcistiche, le quali sopravvivono esclusivamente grazie ad ingenti aumenti di capitale effettuati dagli azionisti, senza i quali le perdite avrebbero senza dubbio eroso interamente il capitale versato e sottoscritto, portando le società al default. 188 Mancin, op. cit. p. 7. 90 CAPITOLO 4 L’IRAP E LE SOCIETA’ SPORTIVE PROFESSIONISTICHE 1. Il presupposto, l base imponibile, i soggetti passivi, l’aliquota. Le società sportive professionistiche presentano ai fini pratici una sola voce del bilancio che merita di essere approfondita adeguatamente ai fini Irap: La plusvalenza da cessione di DPC. Tutti gli altri aspetti seguono le regole previste per le società di capitali “ordinarie”. Prima di affrontare tale tematica si ritiene opportuno fornire una breve descrizione delle caratteristiche di tale tributo. L’imposta regionale sulle attività produttive è disciplinata nell’ordinamento giuridico dal D. Lgs. n. 446/1997. L’Irap è stata introdotta con la finalità principale di attribuire alle regioni un’imposta dal gettito notevole come strumento di perseguimento del federalismo fiscale189. La Corte Costituzionale190, tuttavia, ha sancito che essa non debba essere considerata un’imposta regionale in senso proprio, poiché, a tutti gli effetti, è istituita e regolamentata da leggi statali. Le regioni, infatti, non hanno alcuna facoltà di variare la base imponibile, ma solo di intervenire sulle deduzioni-­‐detrazioni e sull’aliquota, modificandole. L’intento federalista, inteso in senso di attribuire alle singole regioni un’autonomia di gestione di tale tributo, non è dunque stato raggiunto. 189 Per comprendere le ragioni e l’evoluzione che ha portato alla nascita di tale imposta si vedano i lavori della Commissione di studio per il decentramento fiscale, Relazione finale, Il Fisco, 1996, p. 5383 ss. 190 Corte Cost. 26 settembre 2003, n. 296. 91 Presupposto. Presupposto dell’Irap è, come sancito dall’art. 2 D. Lgs. n. 446 del 1997 “l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione, allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società o dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto d’imposta.”. Il Legislatore ha voluto porre l’enfasi sul profilo della “produzione”, intesa quale risultato dell’attività di organizzazione oggetto della tassazione, prima che il valore aggiunto della produzione sia eventualmente e successivamente produttivo. Enfatizzare l’aspetto produttivo, a prescindere dal risultato economico ultimo, deve essere considerato come una modalità per includere nel novero dei soggetti passivi anche quei soggetti privi di finalità lucrativa, purché essi siano, tuttavia, in grado di generarla. Il Presupposto dell’Irap, pertanto, colpisce un insieme eterogeneo di attività: attività d’impresa sia commerciale che agricola, arti e professioni ed attività di erogazione/prestazione servizi, tutte, però, solo ed esclusivamente se autonomamente organizzate. Questo requisito, ha in sostanza come fine principale quello di escludere che l’imposta sia applicata nei confronti di coloro che svolgono un’attività che confluisce in un’organizzazione altrui, quali ad esempio soci/finanziatori e dipendenti/collaboratori. Stando al tenore letterale del dettato normativo, non è specificato in maniera chiara se sia sufficiente l’auto-­‐organizzazione, cioè l’organizzazione incentrata sul solo lavoro di chi la esercita o se sia, invece, necessaria l’etero-­‐ organizzazione e cioè l’apporto di lavoro e capitali altrui. La giurisprudenza191, ha ritenuto “condicio sine qua non” per l’assoggettabilità ad Irap, la presenza di etero-­‐organizzazione rispetto al fattore lavoro di colui che esercita l’attività. Si ritiene, pertanto, che tale condizione sia rispettata solamente qualora colui che la eserciti sia in primis l’effettivo titolare dell’impresa e in secundis 191 Corte Cost. n. 156 del 2001. 92 impieghi beni strumentali eccedenti rispetto a quelli considerati, secondo l’id quod plerumque accidit, come il minimo indispensabile per l’esercizio della professione. Si tralasciano le criticità inerenti l’assoggettabilità di liberi professionisti e “piccoli imprenditori” perché esulano dall’economia del presente elaborato. Soggetti passivi. Il D. Lgs n. 446/1997 all’art. 3 stabilisce che i “Soggetti passivi Irap sono tutti coloro che esercitano una o più delle attività indicate all’art. 2 della medesima norma. Pertanto sono soggetti all’imposta: a) le società e gli enti di cui all'articolo 87, comma 1, lettere a) e b), del T.U.I.R., approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; b) le società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate a norma dell'articolo 5, comma 3, del predetto testo unico, nonché le persone fisiche esercenti attività commerciali di cui all'articolo 51 del medesimo testo unico; c) le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell'articolo 5, comma 3, del predetto testo unico esercenti arti e professioni di cui all'articolo 49, comma 1, del medesimo testo unico; d) i produttori agricoli titolari di reddito agrario di cui all'articolo 32 del predetto testo unico, esclusi quelli con volume d'affari annuo non superiore a 7.000 euro, i quali si avvalgono del regime previsto dall'articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, sempreché non abbiano rinunciato all'esonero a norma del quarto periodo del citato comma 6 dell'articolo 34; e) gli enti privati di cui all'articolo 87, comma 1, lettera c), del citato testo unico n. 917 del 1986, nonché le società e gli enti di cui alla lettera d) dello stesso comma; e-­‐bis) le Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio del 1993, n. 29, nonché le amministrazioni della Camera dei 93 Deputati, del Senato, della Corte costituzionale, della Presidenza della Repubblica e gli organi legislativi delle regioni a statuto speciale. Non sono soggetti passivi dell'imposta: a) gli organismi di investimento collettivo del risparmio ad esclusione delle società di investimento a capitale variabile; b) i fondi pensione di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124; c) i gruppi economici di interesse europeo (GEIE) di cui al decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240, salvo quanto disposto nell'articolo 13.” Base imponibile. La base imponibile Irap è costituita dal “valore della produzione netta” realizzata nel territorio di ciascuna Regione. Essa è determinata in maniera differente secondo la tipologia di attività esercitata dai soggetti passivi192. Per quanto concerne l’attività d’impresa193 il valore della produzione netta si ottiene come differenza tra i componenti positivi e i componenti negativi inerenti la gestione ordinaria, ad esclusione di quelli riguardanti il costo del lavoro194. Non rilevano, pertanto, quelli riguardanti la gestione finanziaria e la gestione straordinaria. L’Irap, dunque, colpisce quella parte di utile estranea a operazioni di natura finanziaria e straordinaria ed estranea al costo del lavoro. In sostanza, pertanto, dall’ammontare totale del valore della produzione, così come da 192 Banche e Assicurazioni, ad esempio sono soggette a una disciplina particolare in virtù della centralità del loro ruolo nella società moderna. 193 Intesa in senso generico. 194 In realtà, in relazione al costo del lavoro, è prevista una deduzione a fini Irap. Al fine di contrastare il “cuneo fiscale e contributivo” (differenza tra il costo del lavoro che un’ impresa sostiene nei confronti dei lavoratori e la redistribuzione netta del salario che rimane a disposizione del lavoratore) il soggetto passivo Irap può dedurre relativamente a ciascun lavoratore dipendente a tempo indeterminato un importo forfetario di 4.600 € (che diventano 9.200 € in alcune zone del Sud)il 100 % dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro. 94 bilancio civilistico, si portano in deduzione gli oneri della gestione ordinaria eccetto quelli riguardanti il costo del lavoro. In virtù dell’estraneità dei componenti della gestione finanziaria e di quella straordinaria, un soggetto passivo Irap, è tenuto al versamento dell’imposta, anche qualora abbia conseguito una perdita d’esercizio. Tale aspetto ha sollevato e solleva tuttora non pochi dubbi di legittimità costituzionale. Molti autori, infatti, ritengono sia un’imposta iniqua e anticostituzionale, poiché obbliga un soggetto passivo a versarla sulla base di una ricchezza prodotta in parte o esclusivamente195 da terzi, violando così il principio della capacita contributiva sancito dall’art. 53 Cost. La Corte Costituzionale196, a riguardo, ha respinto i dubbi sollevati dalla dottrina affermando che “la scelta del valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate sarebbe comunque espressiva di capacità contributiva (e quindi non contrario all’art. 53 Cost.197 ) in capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che concorrono alla sua creazione.”198 . La sentenza, però, non affronta un secondo aspetto fondamentale evidenziato dalla dottrina. L’art. 1 co. 2 D. Lgs. n. 446/1997, disciplina l’indeducibilità dell’Irap dalle imposte sul reddito. Secondo autorevole dottrina199, infatti, “la norma è incostituzionale per violazione dell’art. 3200 e 53 195 In caso di perdita di esercizio l’Irap colpisce un soggetto in relazione ad una ricchezza totalmente in possesso di altri (lavoratori, finanziatori etc.…) 196 Sent. n. 156 del 2001. 197 Art. 53 Costituzione “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato ai criteri di progressività”. 198 Cfr. G. Falsitta, op. cit., p. 981 ss. 199 Cfr. G. Falsitta, op. cit., p. 981 ss. 200 Art. 3 Costituzione “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni pubbliche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo 95 Cost., in quanto la realità del tributo e le ragioni politico finanziarie non sono sufficienti a giustificare una deroga al principio fondamentale per cui il reddito va determinato al netto delle spese inerenti alla sua produzione, quale è appunto un’imposta dovuta per l’esercizio dell’attività”201 . Tale indeducibilità è stata in parte attenuata dal Legislatore stesso con l’entrata in vigore dell’art. 6 D.L. n. 185/2008, il quale ha ammesso in deduzione dal reddito ai fini Ires e Irpef, il 10 % dell’Irap determinata ai sensi degli articoli 5, 5-­‐bis, 6, 7, 8 del D. Lgs. n. 446/1997. Altro aspetto di fondamentale importanza è rappresentato dall’indeducibilità del costo del lavoro. L’esclusione di tale costo dalla base imponibile, ha per le società sportive professionistiche un’importanza fondamentale. Esse, infatti, proprio per la loro natura di società fisiologicamente in perdita 202 e appartenenti a un settore caratterizzato dal paradosso competitivo, sono contrassegnate da un costo del lavoro elevatissimo. All’interno della voce B.9.a), rubricata salari e stipendi, infatti, i club contabilizzano, oltre al costo dei lavoratori dipendenti “ordinari” e dei tecnici e dirigenti del settore giovanile, gli stipendi dei calciatori e dello “staff tecnico” della prima squadra. Tali valori hanno un’incidenza particolarmente rilevante sul totale dei costi e di conseguenza sul totale dei componenti positivi di reddito. Si riportano di seguito, a titolo esemplificativo gli estratti del Conto Economico dell’Internazionale FC S.p.A. e dell’Udinese calcio S.p.a.203: della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori dell’organizzazione politica, economica, sociale del Paese.”. 201 G. Falsitta., op. cit., pp. 984 e seg. 202 A parte qualche rara eccezione, tra cui, come già visto, L’Udinese Calcio S.p.a., i club di serie A hanno tutti una situazione economico-­‐reddituale in perdita. 203 Fonte www.Supermercato.it 96 F.C. INTERNAZIONALE MILANO S.p.A204 Bilancio al 30 giugno 2011 Valore della produzione Totale (A) 268.827.275 Costi della produzione 6) Per materie prime, sussidiarie, di consumo 850.481 7) Per servizi 45.723.464 8) Per godimento beni di terzi a) costi di acquisizione temporanea calciatori 700.000 b) altri costi per godimento beni di terzi 21.725.291 9) Per il Personale a) salari e stipendi 184.366.042 b) oneri sociali 4.710.208 c) trattamento di fine rapporto 775.483 e) altri costi 327.485 10) Ammortamenti e svalutazioni: a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali 56.704.839 b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali 796.985 d) svalutazione dei crediti compresi nell’attivo circolante e nelle disponibilità liquide 713.630 12) Accantonamenti per rischi e oneri -­‐ 13) Altri accantonamenti 3.200.000 14) Oneri diversi di gestione a) spese varie per organizzazione gare 5.758.200 b) tasse iscrizione gare 1.805 c) oneri specifici verso squadre ospitate -­‐ percentuale su incassi gare a squadre ospitate 1.028.821 -­‐ percentuale su diritti televisivi a squadre ospitate -­‐ e) minusvalenze cessione diritti prestazioni calciatori 20.696.116 g) altri oneri diversi e sopravvenienze passive 6.460.955 Totale (B) 354.539.805 Differenza tra valori e costi della produzione(85.712.530) 204 I dati sono riportati in unità di euro. 97 UDINESE CALCIO S.p.A205 Bilancio al 30 giugno 2011 Valore della produzione Totale (A) 54.477.455 Costi della produzione 6) Per materie prime, sussidiarie, di consumo 1.887.048 7) Per servizi 23.925.946 8) Per godimento beni di terzi 1.368.829 9) Per il Personale a) salari e stipendi 25.919.612 b) oneri sociali 2.064.343 c) trattamento di fine rapporto 54.227 _____________ 28.038.182 10) Ammortamenti e svalutazioni: a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali 18.934.786 b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali 212.985 d) svalutazione dei crediti compresi nell’attivo circolante e nelle disponibilità liquide 287.543 -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐ 19.434.786 11) Variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci 0 12) Accantonamenti per rischi 61.492 14) Oneri diversi di gestione b) tasse iscrizione gare 2.310 d) altri oneri 1.609.392 -­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐-­‐ 1.611.702 Totale costi della produzione 76.327.985 Differenza tra valori e costi della produzione (21.850.530) 205 Dati in unità di euro. 98 Come si può agevolmente riscontrare da una prima lettura dei prospetti di cui sopra, il costo del lavoro rappresenta per l’Internazionale FC e l’Udinese Calcio rispettivamente il 52% e il 33,9% dell’ammontare complessivo dei costi della produzione. Il dato ancor più rilevante riguarda, tuttavia, il “peso” di tale voce sull’ ammontare dei componenti positivi del valore della produzione, che risulta essere pari a: -­‐ Internazionale FC S.p.A. : 68%; -­‐ Udinese calcio S.p.a.: 46,6 %. Pertanto, per le società sportive professionistiche, la non deducibilità dei costi del lavoro ai fini Irap, rappresenta, rispetto alle imprese appartenenti a settori diversi, una problematica ancor più rilevante. Nei casi in esame, infatti, l’Inter e l’Udinese, secondo quanto sancito dalla legge, non possono portare in deduzione, dalla base imponibile dell’imposta, componenti negativi che rappresentano rispettivamente il 70 % e il 50 % circa del loro valore della produzione. Aliquota. L’aliquota ordinaria prevista è pari al 3,9 %. Vi sono poi una serie di variazioni in aumento o in diminuzione che le ragioni o le province autonome possono deliberare autonomamente. 2. Plusvalenza da cessioni di DPC: assoggettabilità o non assoggettabilità ad Irap? Il regime tributario relativo alla cessione dei calciatori è disciplinato, come già affrontato in materia di Ires, dalla L. n. 91/1981. La questione, tuttavia, che lascia più di qualche perplessità riguarda l’assoggettabilità a Irap o meno di plus/minusvalenza derivanti da cessioni di DPC. La problematica fondamentale deriva, in sostanza da una lacuna del Legislatore tributario, il quale, nonostante questa tematica abbia dato luogo ad 99 un copioso dibattito sia in dottrina che nella prassi, non ha preso posizione a riguardo. La questione centrale riguarda dunque la classificazione in bilancio del provento scaturente dalla cessione di un DPC. Qualora si ritenga abbia natura straordinaria, come sancito dalla Raccomandazione contabile n. 1, deve essere contabilizzato alla voce E.20 del conto economico; nel caso in cui gli si attribuisca invece, natura ordinaria (caratteristica) si contabilizza alla voce A.5 di tale prospetto. Secondo quanto sancito dall’art. 3 D. Lgs n. 446/1997, come già rilevato in precedenza, concorre alla formazione del valore della produzione netta la differenza tra gli oneri e i proventi di cui alle lettere A) e B) del onto economico. Pertanto, qualora si ritenga che un’operazione abbia natura straordinaria, il provento scaturente non sarà soggetto a imponibilità Irap e non andrà, così, a sommarsi al novero dei componenti positivi costituenti la base imponibile. La Raccomandazione contabile n. 1 al punto C. IV, rubricato Alienazioni afferma che “L’oggetto economico-­‐tecnico (gestione ordinaria) delle società di calcio è costituito dalla formazione, dalla preparazione e dalla gestione di squadre di calcio, dall’organizzazione dei tornei, gare e manifestazioni calcistiche nel rispetto delle norme e delle direttive fissate dalla F.I..G.C.. La compravendita dei diritti alle prestazioni dei calciatori rientra nelle operazioni di gestione straordinaria. Quanto premesso consente di comprendere la collocazione nel conto economico tra i proventi straordinari o fra gli oneri straordinari della plusvalenza o minusvalenza derivante rispettivamente da un maggior o minor valore tra il prezzo di cessione del diritto rispetto al valore contabile attribuito al diritto stesso, al netto degli ammortamenti già eseguiti. Come indicato nel Documento Interpretativo del Principio Contabile n. 12 “Composizione e schemi del bilancio di esercizio di imprese mercantili, industriali e di servizi” emanato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e dal Consiglio Nazionale dei Ragionieri tra le tipologie di proventi e oneri straordinari si individuano “le plusvalenze e le minusvalenze derivanti da fatti per i quali la fonte del provento o dell’onere è estranea alla gestione ordinaria”. Come peraltro puntualizzato dalla Relazione Ministeriale accompagnatoria al D. Lgs. n. 127/91 “l’aggettivo 100 straordinario, riferito a proventi ed oneri, non allude all’eccezionalità dell’evento, bensì all’estraneità, della fonte del provento o dell’onere, all’attività ordinaria.” Le società sportive professionistiche, pertanto, sulla base di quanto sostenuto dalla Federazione devono contabilizzare tali proventi tra quelli di natura straordinaria. Ciò permetterà, di conseguenza, di ricavarne un vantaggio fiscale notevole, visti gli importi, solitamente rilevanti, di tali operazioni. A titolo esemplificativo si riporta un estratto di tali voci del bilancio dell’Internazionale FC S.p.a. e dell’Udinese Calcio S.p.a. F.C. INTERNAZIONALE MILANO S.p.A206 Bilancio al 30 giugno 2011 A) VALORE DELLA PRODUZIONE 5) Altri ricavi e proventi: h) plusvalenze cessioni diritti prestazioni 51.458.253 E) PROVENTI E ONERI STRAORDINARI 20) Proventi: c) altri proventi straordinari 13.300.000 Da una prima lettura dei dati sopra riportati, si evince che l’Internazionale Fc nell’esercizio 2010-­‐2011 ha contabilizzato le plusvalenza da cessione di DPC come delle plusvalenza derivanti da cessioni di “beni ordinari”. Il riferimento all’importo di 13.300.000 €, infatti, come specificato in nota integrativa riguarda “un risarcimento transattivo riconosciuto da Rai per l’utilizzo dei diritti di proprietà della library fino al 30 giugno 2011” Il club quindi contabilizza tale valore in maniera differente da quanto sancito dalla Raccomandazione contabile n. 1. Nel prosieguo della nota integrativa, tuttavia, si può scorgere alle voce “Imposte” che la “La società, nonostante l’orientamento contrario espresso dall’Autorità fiscale (risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 19 dicembre 2001, 206 I dati sono riportati in unità di euro. 101 n. 13, ha ritenuto (per l’anno 2000-­‐2001) di non dover assoggettare a tassazione ai fini IRAP (quindi contabilizzandole alla voce E.20) le plusvalenze derivanti dalla cessione dei diritti alle prestazioni degli sportivi professionisti seguendo l’interpretazione fornita dalla Lega nazionale Professionisti e supportata da autorevoli pareri professionali.”. Sempre in nota integrativa, sotto la voce “Imposte” si può riscontrare che per gli esercizi 2001-­‐2002, 2002-­‐2003, 2003-­‐2004, la società ha ricevuto gli avvisi di accertamento inerenti la “supposta errata contabilizzazione” di tali valori, contro i quali, tuttavia, ha proposto ricorso presso la Commissione tributaria regionale di Milano. Per gli esercizi 2004-­‐2005, 2005-­‐2006 e 2006-­‐2007, la predetta società, in nota integrativa, informa di aver ricevuto un processo verbale di constatazione sempre in riferimento a tale questione. UDINESE CALCIO S.p.A207 Bilancio al 30 giugno 2011 A) VALORE DELLA PRODUZIONE 5) Altri ricavi e proventi: 6.132.560 E) PROVENTI E ONERI STRAORDINARI 20) Proventi: a) plusvalenze da alienazione calciatori 41.879.018 b) altri proventi straordinari 4.862.666 21) Oneri: a) minusvalenze da alienazione calciatori (7.303.593) b) differenza di arrotondamento all’EURO (3) c) sopravvenienze passive (6.550.309) e) altri oneri 0 207 Dati in unità di euro. 102 L’Udinese Calcio, invece, contabilizzando tali importi come proventi di natura straordinaria -­‐ e quindi, in quanto tali, non assoggettabili ad Irap -­‐ è in linea con quanto stabilito dalla federazione. Nonostante la raccomandazione contabile abbia disciplinato esplicitamente la non assoggettabilità a Irap delle plusvalenze derivanti dalla cessione di DPC, l’Amministrazione Finanziaria con la risoluzione n. 213/E del 19 dicembre 2001, ha fornito il proprio parere a riguardo, il quale ha trovato il sostegno di molti autori in dottrina 208. L’Agenzia delle Entrate ritiene che la cessione del contratto dei DPC dia luogo all’utilizzo esclusivo della prestazione sportiva dell’atleta fino a scadenza contrattuale. Sempre secondo l’Amministrazione Finanziaria, il DPC deve essere considerato come un bene immateriale strumentale, poiché produce i suoi effetti in più esercizi, dando così luogo al processo di ammortamento. Nel prosieguo della risoluzione, inoltre, si può riscontrare chiaramente che essa consideri le plus/minusvalenze in questione dei proventi ed oneri della gestione ordinaria e in quanto tali iscrivibili in conto economico alla voce A.5 – ovvero B.14. e, dunque, rilevabili ai fini Irap. L’Amministrazione Finanziaria specifica poi che, anche qualora si ritenga opportuno considerarli come componenti afferenti la gestione straordinaria, andrebbero comunque a costituire la base imponibile Irap, come sancito dall’art. 5, co. 4, D. Lgs. n. 446/1997, il quale prevede che “i componenti positivi e negativi classificabili in voci del conto economico diverse da quelle indicate al comma 1 concorrono alla formazione della base imponibile se correlati a componenti rilevanti della base imponibile di periodi d’imposta precedenti o successivi”. L’Agenzia delle Entrate, dunque, ritiene che, anche qualora si ritenesse opportuno considerarli dei proventi straordinari, come sancito dalla F.I.G.C., sarebbe comunque necessario assoggettarli a Irap perché strettamente correlati al costo sostenuto al momento dell’acquisto dalla società. 208 Si veda M. Orlandi, Aspetti contabili, civilistici e fiscali inerenti al parco giocatori professionisti delle società calcistiche, in Fisco, n. 3 2002 p. 1-­‐6079, A. Tadini, La disciplina Irap: un’altra opinione, in Il Fisco, n. 3 2001, p. 577, G. Ingrao, La determinazione del reddito imponibile delle società sportive, delle associazioni sportive dilettantistiche e delle ONLUS sportive, in Rass. Trib. n. 6 2001 p.1530. 103 Analizzando le due teorie si condivide maggiormente, anche se non integralmente, quella sostenuta dall’Amministrazione Finanziaria. Ritenere, infatti, come affermato dalla Raccomandazione contabile, che l’acquisto e la cessione di calciatori non sia parte integrante della gestione ordinaria, a parere di scrive non è condivisibile. È vero che l’oggetto sociale è disciplinato in maniera chiara ed esplicita, non lasciando spazio ad equivoci, ma è altrettanto vero che non può considerarsi straordinaria l’attività di acquisto e cessione dei calciatori. Essi, infatti, come sostenuto da diversi autori 209, rappresentano il core business delle società e la vera “locomotiva trainante” dell’attività di questi club, senza i quali, gli stessi, non potrebbero perseguire tutti gli obiettivi prefissati. Al contrario, non si condivide pienamente quanto sostenuto dall’Amministrazione Finanziaria in merito alla correlazione tra la plusvalenza e il costo sostenuto al momento dell’acquisto. Non è, infatti, corretto considerare la plusvalenza come un componente positivo correlato al costo originario di acquisto. Si ritiene che la correlazione sussista: - tra il costo originario d’acquisto capitalizzato in stato patrimoniale e la relativa quota ammortizzata in ogni esercizio; - tra il costo ammortizzato ed un eventuale ricavo ad esso scaturente, come nel caso di un macchinario ammortizzato che produce un bene dalla cui cessione si ottiene un ricavo. Nelle due fattispecie predette è legittimo parlare di correlazione, ma non nell’ipotesi prospettata dall’Agenzia delle Entrate, dove il termine più corretto è relazione. È una relazione e non una correlazione poiché, tra il costo originario 209 Si veda M. Orlandi, Aspetti contabili, civilistici e fiscali inerenti al parco giocatori professionisti delle società calcistiche, in Il Fisco 3, 2002 p. 1-­‐6079, A. Tadini, La disciplina Irap: un’altra opinione, in Il Fisco 3, 2001, p. 577, G. Ingrao, La determinazione del reddito imponibile delle società sportive, delle associazioni sportive dilettantistiche e delle ONLUS sportive, in Rass. Trib. 6, 2001 p. 1530. 104 di acquisto e la plusvalenza si frappone un altro elemento, la quota di ammortamento, la quale dunque, fa venire meno il rapporto diretto tra le due voci di bilancio. La correlazione esiste semmai tra la plusvalenza e il valore contabile netto, ma non tra questa e il costo originario d’acquisto del bene. Infine, per quanto riguarda l’iscrizione di una plusvalenza tra i componenti di natura straordinaria, si ritiene opportuno riferirsi al principio contabile 29, il quale, al primo punto, afferma che sono da iscrivere tra i componenti straordinari gli “Oneri, plusvalenze e minusvalenze derivanti da operazioni con rilevanti effetti sulla struttura dell’azienda”. Si specifica, successivamente, che si tratta di: - oneri di ristrutturazione aziendale; - plusvalenze e minusvalenze derivanti da conferimenti di aziende e rami aziendali, fusioni, scissioni e altre operazioni sociali straordinarie; - plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione (compresa la permuta) di parte significativa delle partecipazioni detenute o di titoli a reddito fisso immobilizzati; - plusvalenze e minusvalenze derivanti in generale da operazioni di natura straordinaria, di riconversione produttiva, ristrutturazione o ridimensionamento produttivo; - plusvalenze o minusvalenze derivanti da espropri o nazionalizzazioni di beni. Le plusvalenze e minusvalenze da alienazione devono essere iscritte nelle apposite voci E.20 ed E.21. Pertanto, devono essere iscritti tra i componenti positivi di reddito di natura straordinaria, quei proventi derivanti da un’operazione di 105 ristrutturazione societaria o importanza considerevole210, quale ad esempio una cessione di ramo d’azienda. Trasferendo questo concetto nel mondo del calcio e dello sport, si ritiene che la società possa iscrivere alla voce E. 20 una plusvalenza da cessione di DPC solo laddove si verifichi una cessione contemporanea ed in blocco di un complesso di giocatori a seguito di un progetto di ristrutturazione societaria. E’ il caso dunque della Juventus della retrocessione del 2006 o del Milan di quest’anno, le quali, per ragioni tra loro differenti211, ma sempre accomunate da una necessità di ristrutturazione aziendale, sono state “costrette” a cedere contemporaneamente numerosi giocatori di una certa importanza, che, mutatis mutandis, possano, pertanto, essere paragonati a un ramo d’azienda. 210 A prescindere dal valore effettivo dell’operazione. Ciò che effettivamente rileva è la natura dell’operazione. 211 Retrocessione per la Juventus e ripianamento perdite per il Milan. 106 CAPITOLO 5 IMPOSTA SUGLI INTRATTENIMENTI E SOCIETÀ SPORTIVE PROFESSIONISTICHE 1. Le società sportive professionistiche non sono soggette all’Imposta sugli intrattenimenti. Il governo D’Alema, attuando la delega contenuta nella L. n. 288/1998, ha emanato il D. Lgs. n. 60/1999, che ha rivoluzionato la normativa tributaria inerente le attività aventi natura di spettacolo, di intrattenimento, di gioco e di altre attività ad esse assimilate. Con decorrenza 1° gennaio 2000, il decreto in questione ha soppresso la previgente normativa inerente l’Imposta sugli spettacoli, regolamentando una serie di attività, qualificate come “attività di intrattenimento”, elencate in un apposita tariffa ad esso allegata, disciplinate dal novellato D. Lgs. n. 640/1972 e dall’art. 74 quater, co. 6, D.P.R. n. 633/1972212 . 212 “6. Per le attività indicate nella tabella C, nonché per le attività svolte dai soggetti che optano per l'applicazione delle disposizioni di cui alla legge 16 dicembre 1991, n. 398, e per gli intrattenimenti di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, il concessionario di cui all'articolo 17 del medesimo decreto coopera, ai sensi dell'articolo 52, con gli uffici delle entrate anche attraverso il controllo contestuale delle modalità di svolgimento delle manifestazioni, ivi compresa l'emissione, la vendita e la prevendita dei titoli d'ingresso, nonché delle prestazioni di servizi accessori, al fine di acquisire e reperire elementi utili all'accertamento dell'imposta ed alla repressione delle violazioni procedendo di propria iniziativa o su richiesta dei competenti uffici dell'amministrazione finanziaria alle operazioni di accesso, ispezione e verifica secondo le norme e con le facoltà di cui all'articolo 52, trasmettendo agli uffici stessi i relativi processi verbali di constatazione. Si rendono applicabili le norme di coordinamento di cui all'articolo 63, commi secondo e terzo. Le facoltà di cui all'articolo 52 sono esercitate dal personale del concessionario di cui all'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, con rapporto professionale esclusivo, previamente individuato in base al possesso di una adeguata qualificazione e inserito in apposito elenco comunicato al Ministero delle finanze. A tal fine, con decreto del Ministero delle finanze sono stabilite le modalità per la fornitura dei dati tra gli esercenti le manifestazioni spettacolistiche, il Ministero per i beni e le attività culturali il concessionario di cui al predetto articolo 17 del decreto n. 640 del 1972 e l'anagrafe tributaria. Si applicano altresì le disposizioni di cui agli articoli 18, 22 e 37 dello stesso decreto n. 640 del 1972 .” 107 Il legislatore ha, invece, previsto un trattamento differente per tutte quelle attività definite come “attività spettacolistiche” ed individuate nella Tabella C allegata al D.P.R. n. 633/1972. Il dettato normativo ha, pertanto, contraddistinto in maniera differente le attività aventi finalità prevalentemente ludiche e di puro divertimento, assoggettate all’imposta sugli intrattenimenti e al regime IVA agevolato, da quelle caratterizzate anche da una valenza culturale, soggette al regime IVA secondo i criteri ordinari. La differenziazione in dottrina si è basata sul diverso atteggiamento assunto nei confronti dell’evento da parte dello spettatore: - partecipazione attiva nel caso di manifestazioni intrattenitive; - semplice contemplazione in quelle “spettacolistiche”. Con il precedente dettato normativo la differenza si rifletteva, sostanzialmente, sulle differenti aliquote d’imposta applicabili alle varie manifestazioni, con la riforma, invece, tale differenza si manifesta nel distinto trattamento tributario applicabile alle singole manifestazioni: - Imposta sugli intrattenimenti e regime forfetario IVA, ex art. 74 quater co. 6, per le attività di cui alle tariffe allegate al D.P.R. n. 640/1972; - Imposta sul valore aggiunto secondo il regime ordinario, per le attività all’uopo indicate nella tabella C allegata al D.P.R. n. 633/1972. TARIFFA DELL’IMPOSTA SUGLI INTRATTENIMENTO DESCRIZIONE ALIQUOTA Esecuzioni musicali di qualsiasi genere, ad esclusione di concerti 108 16% vocali e strumentali, e trattamenti danzanti anche in discoteche e sale da ballo quando l’esecuzione di musica dal vivo sia inferiore al 50 % dell’orario complessivo di apertura al pubblico dell’esercizio. Utilizzazione dei bigliardi, degli elettrogrammofoni, dei biliardini e 8% di qualsiasi tipo di apparecchio e congegno a gettone, a moneta o a scheda, da divertimento o intrattenimento, anche se automatico o semiautomatico, installati sia nei luoghi pubblici o aperti al pubblico sia in articoli o associazioni di qualunque specie; utilizzazione ludica degli strumenti multimediali: gioco del bowling; noleggio go-­‐kart. Ingresso nelle sale da gioco o nei luoghi specificatamente riservati 60 % all’esercizio delle scommesse. Esercizio del gioco nelle sale da gioco o negli altri luoghi a ciò 10 % destinati. NOTE: 1. Gli intrattenimenti diversi da quelli espressamente indicati nella tariffa, ma ad essi analoghi, sono soggetti all’imposta stabilita nella tariffa stessa per quelli con i quali, per la loro natura, essi hanno maggiore analogia. 2. Per gli intrattenimenti e le altre attività soggetti ad imposta organizzati congiuntamente ad altri non soggetti oppure costituiti da più attività soggette a tassazione con differenti aliquote, l’imponibile sarà determinato con ripartizione forfetaria degli incassi in proporzione alla durata di ciascun componente. 3. Per l’utilizzazione degli apparecchi di divertimento e intrattenimento di cui all’articolo 14-­‐bis comma 1., l’aliquota è fissata al 6 %. 109 TABELLA C (ALLEGATA AL DPR N. 633/1972) Spettacoli ed altre attività 1) Spettacoli cinematografici e misti di cinema e avanspettacolo, comunque ed ovunque dati al pubblico anche se in circoli e sale private; 2) spettacoli sportivi, ad ogni genere, ovunque si svolgono; 3) esecuzioni musicali di qualsiasi genere esclusi i concerti vocali e strumentali, anche se effettuate in discoteche e sale da ballo quando l’esecuzione di musica dal vivo sia inferiore al 50 % dell’orario complessivo di apertura al pubblico dell’esercizio, escluse quelle effettuate a mezzo elettrogrammofoni a gettone o a moneta o di apparecchiature similari a gettone o a moneta; lezioni di ballo collettive; rievocazioni storiche, giostre e manifestazioni similari 4) spettacoli teatrali di qualsiasi tipo, compresi balletto, opere liriche, prosa, operetta, commedia musicale, rivista; concerti vocali strumentali, attività circensi e dello spettacolo viaggiante, spettacoli di burattini, marionette e maschere, compresi corsi mascherati e in costume, ovunque tenuti. 5) mostre e fiere campionarie; esposizioni scientifiche, artistiche e industriali, rassegne cinematografiche riconosciute con decreto del Ministero delle finanze ed altre manifestazioni similari; 6) prestazioni di servizi fornite in locali aperti al pubblico mediante radiodiffusioni circolari, trasmessa in forma codificata; la diffusione radiotelevisiva, anche a domicilio, con accesso condizionato effettuata in forma digitale a mezzo di reti via cavo o via satellite. L’elencazione della predetta Tabella C, non deve però essere considerata tassativa. Nel caso in cui vi siano delle attività spettacolistiche non indicate nella predetta elencazione, è necessario esaminare gli elementi che la caratterizzano e verificare se possa essere ricondotta ad una di quelle elencate. Pertanto, in virtù di quanto sancito dalle tabelle di cui sopra, le manifestazioni sportive sono soggette solo ed esclusivamente a IVA secondo il 110 criterio ordinario. L’aliquota applicabile è pari al 11 %, nel caso in cui il prezzo di ingresso sia inferiore 12,91 euro e al 21 % nel caso il corrispettivo incassato sia superiore alla somma predetta. 111 CAPITOLO 6 L’IVA E LE SOCIETA’ SPORTIVE PROFESSIONISTICHE 1. I tre requisiti d’imponibilità a fini IVA. Prima di analizzare nel dettaglio gli aspetti caratteristici delle società sportive professionistiche in ambito di IVA, si ritiene opportuno individuare e trattare brevemente i tre requisiti d’imponibilità del tributo, cosi come disciplinato dall’art. 1 D.P.R. n. 633/1972213: - il requisito oggettivo. Un soggetto è assoggettato all’imposta qualora metta in atto una cessione di beni o una prestazione di servizi. Per cessione di beni si intende214 l’atto a titolo oneroso215 che comporta il trasferimento della proprietà o di altri diritti reali. Con l’espressione “prestazione di servizi” s’intende, invece, “la prestazione, dietro corrispettivo, dipendente da contratti d’opera, di appalto, mandato, trasporto, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, non fare, permettere, indipendentemente dalla loro fonte di provenienza.”; - il requisito soggettivo. La cessione di beni o la prestazione di servizi deve essere effettuata nell’esercizio d’impresa o di arti e professioni. Per esercizio d’impresa s’intende l’esercizio per professione abituale, ma non necessariamente esclusiva, delle attività elencate agli articoli 2135 e 2195 213 Articolo 1. “Operazioni imponibili: 1. L'imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell'esercizio di imprese o nell'esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate”. 214 Così come disciplinato dall’art. 2 D.P.R. n. 633/1972. 215 Come evidenziato da G. Mandò e D. Mandò, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, Milano, 2011, p. 17 “Anche le cessioni a titolo gratuito sono prese in considerazione ai fini dell’imponibilità ad IVA, salvo che – entro determinati limiti di valore – non abbiano ad oggetto beni la cui produzione o il cui commercio non rientri nella specifica attività dell’impresa, ovvero che per il loro acquisto o la loro impostazione non sia stata detratta l’IVA a monte.”. 112 del codice civile, anche se non organizzate sotto forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate sotto forma di impresa dirette alle prestazioni di servizi non ricomprese nell’art. 2195 c.c., come sancito dall’art. 4 co. 1, D.P.R. n. 633/1972216. In ambito IVA assume, dunque, rilevanza, per quanto concerne il concetto di esercizio d’impresa, lo svolgimento sia di attività agricole che di attività commerciali, non rilevando, invece, il requisito dell’organizzazione. In sostanza, la definizione del concetto d’impresa in ambito IVA, è una estensione di quella disciplinata nel codice civile; - il requisito territoriale. Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi devono essere necessariamente svolte nel territorio italiano. Tale requisito, pertanto, regola il luogo di tassazione dell’operazione, attribuendo la rilevanza ad un territorio piuttosto che a un altro, purché il consumo finale, tuttavia, avvenga in ambito comunitario. Discorso a parte deve essere fatto in relazione alle importazioni. Con il concetto di importazioni devono essere considerate solamente le operazioni aventi ad oggetto beni provenienti da Stati non appartenenti alla comunità, come affermato all’art. 7 DPR n. 633/1972. La ratio di tale disposizione può essere riconducibile all’esigenza di sottoporre i beni provenienti da stati esteri al medesimo trattamento fiscale previsto per quelli nazionali, così da garantire un’equa concorrenza. Le importazioni, come stabilito dall’art. 1, sono soggette a IVA da chiunque vengano effettuate. In sostanza, quindi, per queste operazioni non è necessario il requisito soggettivo, poiché le singole operazioni sono assoggettabili all’imposta anche qualora siano effettuate da privati. L’IVA, in tali 216 “Articolo 4 . Esercizio di imprese: 1. Per esercizio di imprese si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l'esercizio di attività, organizzate in forma d'impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'articolo 2195 del codice civile.” 113 circostanze si applica sul valore pieno del bene importato, “andando così a colpire il valore aggiunto di tutte le precedenti fasi di produzione e di distribuzione del medesimo prodotto. L’imposta ha, pertanto, caratteristiche diverse dall’IVA applicabile sui prodotti nazionali e si avvicina piuttosto ad un’imposta monofase, applicandosi all’atto di ogni operazione di importazione e con riferimento esclusivo alla stessa.”217. 2. Non imponibilità, esenzione ed esclusione ai fini IVA. Le operazioni rilevanti ai fini del sistema comunitario Iva, comprendono, tuttavia, non solo le operazioni imponibili, ma anche quelle non imponibili ed esenti. Affinché una determinata operazione possa essere considerata imponibile, è necessario che siano rispettati contemporaneamente i tre requisiti specificati. Questi, infatti, sono considerati sullo stesso piano sia a livello nazionale che comunitario. Le operazioni non imponibili ai fini IVA, pertanto, sono quelle operazioni che non rispettano il requisito di territorialità. Esse, in virtù della loro non imponibilità, non comportano, l’addebito d’imposta nei confronti del cessionario, ma consentono la detrazione dell’IVA assolta a monte -­‐ ovvero dovuta o addebitata -­‐ su acquisti di beni e servizi, inerenti la specifica attività economica esercitata. Il caso più frequente di operazioni non imponibili riguarda le esportazioni. Queste operazioni, infatti, non rispettano il requisito territoriale in virtù del principio di tassazione del paese di destinazione, il quale prevede – in linea generale218 -­‐ che l’imposta debba essere applicata al soggetto passivo del paese in cui il bene o il servizio sono destinati. La detassazione al soggetto passivo del paese cedente, è riconosciuta tramite una detrazione dell’imposta assolta a monte sugli acquisti di beni e servizi. 217 Mandò, Mandò, op. cit., pp. 1028 e seg. 218 Nel caso in cui il soggetto destinatario sia un cittadino non italiano, ma non soggetto passivo d’imposta -­‐ per intenderci un privato cittadino -­‐ l’operazione, è imponibile nello stato italiano. 114 Per evitare che i soggetti che effettuano frequentemente tali tipologie di operazioni possano incappare in spiacevoli inconvenienti – su tutti l’attesa del rimborso dell’eccedenza d’imposta -­‐ la normativa permette loro di acquistare senza applicare l’IVA. Tale agevolazione è però consentita, solo ed esclusivamente a quei soggetti che abbiano effettuato cessioni all’esportazione di cui alle lettere a) e b) dell’art. 8 219 registrate nell’anno precedente, per corrispettivi superiori al 10 % del volume d’affari. Inoltre, questi soggetti, prima di compiere acquisti senza pagamento d’imposta, devono presentare alla controparte un’apposita dichiarazione relativa all’intento di avvalersi di tale facoltà. Le operazioni esenti, invece, sono quelle operazioni che, pur possedendo i tre requisiti essenziali, non sono soggette all’applicazione dell’imposta per scelta del Legislatore, il quale, solitamente, le esenta dall’imposta per motivi di politica economica o utilità sociale. L’operazione esente, pertanto, non determina il sorgere di un debito d’imposta in capo al cedente o al prestatore, ma, in virtù della sua natura potenzialmente imponibile, comporta, in linea di principio, il rispetto di alcuni obblighi formali in capo ad esso. Tali operazioni, infatti, al contrario di quanto 219 “Costituiscono cessioni all'esportazione non imponibili: a) Le cessioni, anche tramite commissionari, eseguite mediante trasporto o spedizione di beni fuori del territorio della Comunità economica europea, a cura o a nome dei cedenti o dei commissionari, anche per incarico dei propri cessionari o commissionari di questi. I beni possono essere sottoposti per conto del cessionario, ad opera del cedente stesso o di terzi, a lavorazione, trasformazione, montaggio, assiemaggio o adattamento ad altri beni. L'esportazione deve risultare da documento doganale, o da vidimazione apposta dall'ufficio doganale su un esemplare della fattura ovvero su un esemplare della bolla di accompagnamento emessa a norma dell' art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 6 ottobre 1978, n. 627, o, se questa non è prescritta, sul documento di cui all'articolo 21, quarto comma, secondo periodo. Nel caso in cui avvenga tramite servizio postale l'esportazione deve risultare nei modi stabiliti con decreto del Ministro delle Finanze, di concerto con il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni; b) le cessioni con trasporto o spedizione fuori del territorio della Comunità economica europea entro novanta giorni dalla consegna, a cura del cessionario non residente o per suo conto, ad eccezione dei beni destinati a dotazione o provvista di bordo di imbarcazioni o navi da diporto, di aeromobili da turismo o di qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato e dei beni da trasportarsi nei bagagli personali fuori del territorio della Comunità economica europea; l'esportazione deve risultare da vidimazione apposta dall'ufficio doganale o dall'ufficio postale su un esemplare della fattura;”. 115 visto per quelle non imponibili, non consentono la detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti di beni o di servizi utilizzati, anche qualora siano destinate a soggetti passivi. Le operazioni esenti sono innumerevoli, e vengono dettagliatamente disciplinate all’art. 10 D.P.R. n. 633/1972. Infine, le operazioni escluse – fuori campo IVA – sono quelle operazioni caratterizzate dal difetto del presupposto oggettivo, soggettivo o di entrambi. Esse si differenziano dalle operazioni esenti perché, a differenza di queste, non sono soggette agli adempimenti formali tipici dell’imposta. Tipico caso di operazione esclusa è la cessione di un bene da parte di un soggetto privato. 3. Introiti da gare. Come già rilevato in sede di Imposta sul reddito delle società, gli introiti da gare sono costituiti da: - incasso derivante da biglietti venduti; - provento da cessione di abbonamenti. Tali aspetti sono, dunque, in base a quanto sancito dall’art. 74 quater, co. 1, D.P.R. n. 633/1972220, assoggettabili ad IVA secondo criteri ordinari con un aliquota del 21%. La Tabella C, allegata al decreto in questione, infatti, ricomprende tra le attività assoggettabili all’imposta in via ordinaria, gli spettacoli sportivi di ogni genere e ovunque sia il loro luogo di svolgimento. Per le attività spettacolistiche 221 e le operazioni ad esse accessorie, il Legislatore disciplina, dunque, un criterio speciale di individuazione dell’effettivo momento di imposizione, il quale si verifica nell’istante in cui ha 220 “Le prestazioni di servizi indicate nella Tabella C allegata al presente decreto, incluse le operazioni ad esse accessorie, salvo quanto stabilito al comma 5, si considerano effettuate nel momento cui ha inizio l’esecuzione delle manifestazioni, ad eccezione delle operazioni eseguite in abbonamento per le quali l’imposta è dovuta all’atto del pagamento del corrispettivo.“. 221 Comprese dunque le competizioni sportive. 116 inizio lo spettacolo, anche qualora il corrispettivo sia stato percepito in precedenza222 . Il momento in questione deve, pertanto, essere individuato in coincidenza dell’apertura giornaliera al pubblico degli ingressi di accesso al luogo in cui si svolgerà l’evento sportivo. Il Dettato normativo, però, ha regolamentato in maniera differente la disciplina delle cessioni di abbonamenti, i quali, infatti, assumono rilevanza nel momento in cui si verifica il pagamento del corrispettivo. Tale disciplina non è, tuttavia, priva di problematiche. Sono sorti, infatti, si dal momento dell’entrata in vigore della norma, dubbi a riguardo di tre aspetti fondamentali: - la valenza del titolo di accesso; - la possibilità di scomputare diritti di prevendita dall’ammontare dei corrispettivi annotati; - trattamento IVA di servizi aggiuntivi. In relazione al primo aspetto, una parte della dottrina riteneva che il titolo di accesso avesse solo la funzione di legittimare lo spettatore alla visione dello spettacolo; altri, invece, gli attribuivano anche la funzione di documento fiscale. L’Amministrazione Finanziaria, con la risoluzione n. 88/E del 2001, ha precisato che il titolo di accesso legittima lo spettatore ad assistere alla manifestazione, ma è anche un documento fiscale, che, in quanto tale, deve sempre indicare l’ammontare del corrispettivo incassato. Per quanto concerne la possibilità di scomputare i diritti di prevendita dall’ammontare dei corrispettivi maturati, con la risoluzione n. 21/E del 2002 l’Agenzia delle Entrate ha specificato che questi diritti non possono mai essere detratti dall’ammontare dei corrispettivi da annotare nel relativo registro, anche se tali somme saranno effettivamente riversate ai venditori dei biglietti a titolo di remunerazione della loro prestazione. Infatti, il compenso di 222 Cfr. circ. 165/E del 2000. 117 competenza della società distributrice dei biglietti, ai fini IVA, riguarda esclusivamente il rapporto tra la società e l’organizzatore dello spettacolo. Infine, in merito al trattamento IVA dei servizi aggiuntivi, l’Amministrazione Finanziaria ha fornito la propria interpretazione, specificando che, trattandosi di servizi aggiuntivi e facoltativi, il loro costo non può essere ricompreso nel corrispettivo per assistere allo spettacolo, ma nel compenso pagato a questi. L’oggetto di tali importo, pertanto, non dovrà essere considerato e certificato con il misuratore fiscale, ma nei modi ordinari, andando così a concorrere nel volume d’affari del soggetto che esercita la prevendita e non in quello dell’organizzatore. 4. Proventi da cessione di diritti televisivi in ambito di manifestazioni nazionali. Come già esaminato in precedenza, un’operazione è soggetta ad IVA se223: - è realizzata da un soggetto passivo di imposta; - è caratterizzata da una cessione di beni o da una prestazione di servizi; - soddisfa il requisito della territorialità. Qualora, manchi anche solo uno dei predetti presupposti l’operazione deve ritenersi non imponibile o esclusa ai fini IVA. In relazione al primo requisito, l’operazione viene posta in essere dalla società sportiva professionistica, che, come già visto in precedente, è società di capitali a tutti gli effetti. Per quanto riguarda la natura dei diritti televisivi, essi possono essere considerati alla stregua di diritti d’autore224 e dunque assoggettabili ad IVA, in 223 G. Falsitta, op. cit., pp. 753 e seg., G. Mandò, D. Mandò, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, Milano, 2011, pp. 17 e seg. 224 La legge speciale 22 aprile 1941, n. 633 istituisce la tutela delle opere dell’ingegno di carattere creativo, che appartengano alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro, al cinema. La tutela consiste in una serie di diritti esclusivi di 118 virtù di quanto sancito dall’art. 3, co. 2, n. 2 del D.P.R. n. 633/1972 che considera prestazioni di servizi “le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti d'autore, quelle relative ad invenzioni industriali, modelli, disegni, processi, formule e simili e quelle relative a marchi e insegne nonché le cessioni, concessioni, licenze e simili relative a diritti o beni similari ai precedenti.”, Infine, relativamente al requisito di territorialità, esso è rispettato qualora, come specificato all’art. 7 co. 1 D.P.R. m. 633/1972 l’operazione venga effettuata nel “territorio della Repubblica italiana con l’esclusione dei comuni di Livigno, Campione d’Italia e delle acque italiane del Lago di Lugano”. Sono, inoltre, compresi il soprassuolo, il sottosuolo ed il mare territoriale. Pertanto, in virtù del fatto che i proventi da diritti televisivi, riguardanti il campionato o la Coppa Italia, rispettano i tre requisiti fondamentali, tali operazioni sono senza alcun dubbio assoggettabili ad IVA con l’aliquota ordinaria del 21%. 5. Proventi da cessione di diritti televisivi in ambito di manifestazioni internazionali. La questione potrebbe mutare se si considerano i proventi da diritti televisivi derivanti dalla partecipazione delle società a competizioni sportive internazionali, quali la UEFA Champions League225. utilizzazione economica dell'opera (diritti patrimoniali dell'autore) e di diritti morali a tutela della personalità dell'autore, che nel loro complesso costituiscono il "diritto d'autore". I principali diritti di utilizzazione economica dell'opera sono: -­‐ diritto di riproduzione: cioè il diritto di effettuare la moltiplicazione in copie dell’opera con qualsiasi mezzo; -­‐ diritto di esecuzione, rappresentazione, recitazione o lettura pubblica dell'opera: cioè il diritto di presentare l’ opera al pubblico nelle varie forme di comunicazione sopra specificate; -­‐ diritto di diffusione: cioè il diritto di effettuare la diffusione dell’opera a distanza (mediante radio, televisione, via satellite o via cavo, su reti telematiche, ecc.); diritto di distribuzione, cioè il diritto di porre in commercio l’opera; -­‐ diritto di elaborazione, cioè il diritto di apportare modifiche all’opera originale , di trasformarla, adattarla, ridurla ecc.. Tutti questi diritti permettono all’autore di autorizzare o meno l’utilizzo della sua opera e trarne i benefici economici. 225 Per maggiori approfondimenti L. Del Federico, Cessione dei diritti televisivi delle società di calcio in ambito internazionale ed imponibilità ai fini IVA, Il fisco n. 35 del 2003, pp. 1-­‐5474. 119 Ciascuna squadra partecipante a tale competizione, rinuncia, attraverso l’accettazione del regolamento UEFA, al diritto di sfruttamento economico in proprio, delle partite, a favore di un ente Sovranazionale – l’UEFA – fiscalmente residente in Svizzera, stato extra UE. Inoltre, in base a quanto stabilito dall’art. 24.05 del regolamento emanato da tale ente, l’UEFA è effettivamente responsabile dal punto di vista economico dei diritti in questione, di cui ogni club, però, rimane titolare. Tali diritti comprendono: - la trasmissione televisiva e la diffusione radiofonica delle competizioni; - lo sfruttamento pubblicitario ed ogni diritto relativo e connesso a tali manifestazioni, quali il marketing, il merchandising e le pubbliche relazioni. L’art. 26.06 del regolamento, inoltre, prevede l’obbligo da parte dell’UEFA di redistribuire, tra tutti i club partecipanti alla competizione, una percentuale di proventi derivanti dalla cessione dei diritti in questione alle società che possiedono le piattaforme satellitari. Tale percentuale è determinata in via analitica sulla base di specifici criteri disciplinati dal predetto regolamento, tra i quali incidono sicuramente i risultati ottenuti in tale manifestazione226. Relativamente al requisito della territorialità, a livello generale una prestazione di servizi è assoggettabile ad IVA, qualora sia effettivamente resa nel territorio dello stato. L’obiettivo è, pertanto, quello di uniformare il trattamento fiscale fissando come luogo d’imputazione quello in cui avviene il consumo effettivo del servizio. Il legislatore, tuttavia, fissa due criteri generali fondamentali a seconda della natura del soggetto committente227: - se è soggetto passivo, i servizi resi sono tassati nel luogo dove esso è stabilito; 226 Più una società riesce, vincendo le partite, a proseguire nella manifestazione, maggiori saranno gli introiti che riceverà dall’UEFA. 227 Falsitta, Fantozzi, Moschetti, Marongiu, Commentario breve alle leggi tributaria, Iva e imposte sui trasferimenti, Padova, 2011. 120 - se non è soggetto passivo, i servizi resi sono tassati nel luogo in cui si trova lo stabilimento del prestatore. Sono state tuttavia previste, per specifiche prestazioni di servizi, una serie di deroghe rispetto ai due predetti principi generali. L’art. 7 quinquies, co. 1, del D.P.R. n. 633/1972, disciplina le prestazioni di servizi relative ad attività sportive, sancendo che, in deroga a quanto stabilito dall’art 7. Ter, co. 1: “a) le prestazioni di servizi relativi ad attività culturali, artistiche, sportive, scientifiche, educative, ricreative, e simili (…) si considerano effettuate nel territorio dello stato quando le medesime attività sono ivi materialmente svolte (…)”. A conferma di ciò il Legislatore con il D. Lgs. n. 18/1972 ha regolamentato all’art. 7 sexies, co. 1 lett. g), che “le prestazioni di telecomunicazione e di televisione, quando sono rese da soggetti stabiliti al di fuori del territorio della Comunità si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono ivi utilizzate”. Non vi sono dubbi, tuttavia, in relazione al fatto che la cessione di una quota parte dei proventi da diritti televisivi sia ricompresa nel novero delle prestazioni di servizi relativi ad attività sportive e, quindi, in quanto tali, assoggettabili ad IVA. La problematica riguarda, invece, la determinazione della loro effettiva utilizzazione. Nel caso di specie, il prestatore è la UEFA, ente residente in Svizzera, paese extracomunitario. Ai fini del criterio dell’utilizzazione, non essendo regolamentato alcunché a riguardo, potrebbero essere corretti i criteri secondo cui l’utilizzo si ritiene effettuato nel territorio dello Stato quando il segnale satellitare è in partenza dal territorio medesimo. Per le teleradiodiffusioni, così come per le teletrasmissioni, potrebbe, pertanto, essere individuato l’utilizzo in Italia ove la sede o l’abitazione presso cui si trova il ricevitore siano ivi localizzate. 121 L’Agenzia delle Entrate228, interpellata da una società sportiva interessata a conoscere il trattamento fiscale ai fini IVA dei proventi televisivi erogati dall’UEFA, è intervenuta sulla questione con la Risoluzione n. 174/E del 2003. Data la particolare natura dei diritti in questione, l’Amministrazione Finanziaria ha affermato, contrariamente a quanto sostenuto da una parte della dottrina, che “non appare ragionevole ipotizzare il loro utilizzo negli Stati in cui il prodotto o servizio commercializzato dalle imprese che hanno acquistato i diritti della UEFA perviene al fruitore finale (telespettatore).” Il loro sfruttamento economico pertanto, avverrebbe nel momento stesso in cui si verifica la vendita dei diritti da parte dell’ente e, pertanto, in Svizzera, paese in sui ha sede lo stesso. La ratio, dunque, alla base di tale decisione è caratterizzata dall’impossibilità dei club calcistici di determinare, nell’ambito dei proventi loro attribuiti dall’UEFA, la quota parte di essi riconducibile alla cessione dei diritti ad operatori italiani, ciò in ragione del fatto che, i soggetti che acquistano i diritti dall’UEFA, non sono gli utilizzatori dei diritti stessi, ma si comportano come meri intermediari. Di conseguenza, come sostenuto da altra autorevole dottrina229 “il luogo di utilizzo dei diritti di sfruttamento economico delle partite, per motivi di certezza giuridica, non può essere determinato in base alle successive vicende giuridiche che interessano i diritti ceduti, ma deve al contrario identificarsi con il luogo a partire dal quale avviene la rivendita dei medesimi diritti a cura dell’UEFA, che coincide con il luogo di residenza dell’UEFA stessa. Qualche dubbio potrebbe aversi nell’ipotesi in cui l’UEFA trasferisca alle società di calcio il corrispettivo per la cessione dei diritti in modo specifico per il territorio “Italia”, in tale caso si dovrebbe ritenere la prestazione come utilizzata nel territorio dello Stato, e, pertanto, soggetta ad IVA. Tuttavia, nel caso di specie, il corrispettivo viene pagato indistintamente senza distinguere i diversi territori dell’Unione Europea ed extra UE e conseguentemente non si concretizza il presupposto territoriale”. 228 Il fisco n. 32/2003, p. 5048. 229 L. Del Federico, Cessione dei diritti televisivi delle società di calcio in ambito internazionale ed imponibilità ai fini IVA, in Il fisco n. 35, 2003, pp. 1-­‐5474. 122 Il principio affermato dalla Risoluzione, dunque, costituisce una soluzione di “compromesso” – resa necessaria dall’impossibilità di individuare il luogo di concreto utilizzo dei diritti televisivi – e non discende dalla rigorosa applicazione del criterio di territorialità di cui all’art. 7 del D.P.R. n. 633/1972, che, invece, richiede di individuare il luogo in cui i diritti sono effettivamente utilizzati. Sebbene tale ipotesi sia vantaggiosa per le società sportive professionistiche italiane, e nonostante si condividano pienamente le difficoltà inerenti la reale individuazione dell’effettiva fruizione della manifestazione, si ritiene, tuttavia, non pienamente condivisibile la soluzione prospettata, poiché, come già detto, caratterizzata da un’interpretazione di “comodo” più che di sostanza. E’ però altresì vero che, risulta alquanto difficoltoso ipotizzare soluzioni alternative validamente prospettabili a riguardo. 6. Proventi di natura pubblicitaria. Gli introiti pubblicitari sono riconducibili, per la loro quasi totalità, alla vendita di spazi pubblicitari all’interno di strutture destinate alla realizzazione della manifestazione. Tali vendite, pertanto, devono essere considerate delle prestazioni di servizi e, in quanto tali, sono soggette all’imposta qualora siano effettivamente svolte all’interno del territorio dello stato. Pertanto, poiché, i luoghi destinati alla realizzazione della manifestazione sportive230 sono configurabili all’interno del territorio italiano, esse sono soggette all’imposta secondo il regime ordinario. 230 Si tratta degli stadi italiani. 123 7. Proventi da sponsorizzazione Come già in precedenza argomentato, i contratti da sponsorizzazione sono considerati dei particolari tipi di contratti pubblicitari. In quanto tali, essi seguono, pertanto, il medesimo trattamento fiscale previsto per gli introiti di natura pubblicitaria. Potrebbe, tuttavia, essere sollevato un dubbio riguardo al trattamento fiscale di alcuni proventi da sponsorizzazione. In particolare ci si riferisce al trattamento fiscale degli sponsor ufficiali e tecnici nel caso in cui le società sponsorizzate partecipino a competizioni sportive internazionali, come nel caso della Champions League. Le scritte presenti nelle divise da gioco o nelle borse degli atleti, nel caso in cui la squadra giochi in trasferta, potrebbero considerarsi effettivamente utilizzate nel territorio in cui si sta disputando effettivamente la partita231, e dunque non assoggettabili ad IVA in Italia. Senza dimenticare poi che tali “scritte” sono viste in diretta in ogni parte del mondo, grazie alla fruizione delle partite tramite piattaforme satellitari. Pertanto, si ripresenterebbe lo stesso problema, affrontato nel caso di assoggettabilità ad IVA dei diritti televisivi derivanti da manifestazioni internazionali. 8. Il trasferimento di atleti e l’imposta sul valore aggiunto. L’art. 3 D.P.R. n. 633/1972, elenca una serie di operazioni da considerare prestazioni di servizi. Al co. 5 viene disciplinata “la cessione di contratti di ogni tipo e oggetto”. La fattispecie della cessione di contratto, che ricomprende una vasta gamma di operazioni, viene assimilata ad una prestazione di servizi in virtù dell’effetto giuridico da essa scaturente. Un caso significativo è quello che riguarda il trasferimento di un atleta da una società ad un’altra. Tale fattispecie è stata ricondotta a una cessione di 231 Si tratta sempre di stati, ma in tale circostanza ci si riferisce a stadi relativi a società non residenti nel territorio italiano. 124 contratto e, come tale, sottoposta ad IVA in virtù del dettato normativo in questione. Il legislatore, infatti, con l’art. 5 della L. n. 91/1981 ha disciplinato che la cessione di un calciatore avviene a seguito della cessione del suo contratto ad altra società, che subentra ad esso, eventualmente modificandone alcune condizioni. La società cessionaria, infatti, non stipula un contratto ex novo, bensì subentra in quello esistente tra la società cedente e l’atleta. La questione finora dibattuta riguarda il trasferimento di uno sportivo tra società di capitali – soggetti passivi IVA -­‐ residenti nel territorio dello stato e, pertanto, si configura come una prestazione di servizi assoggettata ad imposizione secondo l’aliquota ordinaria. Qualora, invece, la squadra residente nel territorio italiano ceda il contratto ad altra società di capitali 232 , priva del requisito di territorialità previsto dall’art. 7 ter D.P.R. n. 633/1972, la prestazione è soggetta a tassazione nel paese in cui è stabilito il committente stesso, seguendo il principio generale secondo il quale il luogo dell’imposizione è il luogo in cui avviene l’effettivo consumo del servizio, e, dunque, in tale fattispecie, il paese estero233. 232 E quindi in quanto tale assoggettabile alla relativa imposta sul valore aggiunto. 233 Con un esempio pratico, la contestuale cessione di Ibrahimovic e Thiago Silva dal Milan al Paris Saint Germain ha costituito per la società di via Turati un provento non soggetto ad imponibilità ai fini IVA. 125 PARTE SECONDA TRATTAMENTO FISCALE DELLE SOCIETA’ E ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE 126 CAPITOLO 7 LE ASSOCIAZIONI E LE SOCIETA’ SPORTIVE DILETTANTISTICHE 1. L’attività sportiva dilettantistica. L’attività dilettantistica consiste nello svolgimento di una pratica sportiva caratterizzata da finalità ideali e non lucrative. È fatto divieto, pertanto, ad un ente sportivo dilettantistico, in qualunque forma organizzato, di distribuire l’eventuale ricchezza residuale ai propri o soci/associati. I criteri fondamentali che differenziano un’attività professionistica da quella dilettantistica, sono, tuttavia, come sancito dalle Federazioni, “rimessi all’autonomia statutaria (delle Federazioni sportive nazionali) nel rispetto dei principi posti dalla L. n. 91/1981 e successive modificazioni.”. In realtà, il Legislatore, con l’introduzione del D.M. 17 dicembre 2004234, qualifica lo “sportivo dilettante” come quel “tesserato che svolge attività sportiva a livello agonistico, amatoriale, ludico, motorio o quale impiego nel tempo libero” escludendo, di conseguenza, “quei soggetti considerati sportivi professionisti.”235 Lo sportivo professionista236, al contrario, è quell’atleta, quel tecnico, quel direttore sportivo o quel preparatore che svolge “a titolo oneroso con carattere di continuità nelle discipline regolamentate dal C.O.N.I. e che conseguono la qualificazione di Federazioni sportive professionistiche, l’attività sportiva.” Ad oggi, in Italia, gli sport considerati professionistici sono solamente sei: il calcio, il basket, il golf, il pugilato, il ciclismo e l’automobilismo. La differenza tra attività sportiva professionistica e attività sportiva dilettantistica è rilevante fondamentalmente per tre motivi: 234 D.M. abrogato dall’entrata in vigore dell’art. 5 co. 2 bis L. 289/2002. 235 E. Vidali, Manuale delle associazioni sportive, 2010, pp. 44. 236 Art. 2 L. n. 91/1981 127 - perseguono uno scopo differente: lucrativo, le attività professionistiche e ideale quelle dilettantistiche. - sono soggette ad un diverso trattamento fiscale: il legislatore privilegia la pratica dilettantistica, in virtù degli obiettivi ideali, teoricamente perseguibili. - sono esercitate con differente natura giuridica: la pratica sportiva dilettantistica, infatti, può essere esercitata sotto forma di associazioni riconosciute o non riconosciute e, solo da qualche anno, di società di capitali, prive di finalità di lucro. Coloro che desiderano, invece, esercitare una disciplina sportiva professionistica, ammesso che sia previsto dalla loro Federazione nazionale e concesso dal Legislatore, possono svolgerla solamente costituendo una società per azioni o una società a responsabilità limitata. Con l’approvazione della L. n. 289/2002, il Legislatore ha regolamentato, definitivamente, la disciplina dell’attività sportiva dilettantistica, stabilendo che possa essere esercitata solo ed esclusivamente attraverso le seguenti forme giuridiche: - associazione sportiva riconosciuta; - associazione sportiva non riconosciuta; - società sportiva di capitali o cooperativa, costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono la finalità di lucro. 128 Le associazioni e le società sportive dilettantistiche, in virtù di tale elencazione, possono, così, essere definite degli enti collettivi237 che sorgono dallo svolgimento in comune di una attività sportiva priva di finalità di lucro238 . La qualifica di società e associazioni sportive, oltre a ricoprire una certa importanza dal punto di vista civilistico, assume rilevanza anche fiscalmente, sempreché rispetti determinate clausole statutarie, che tratteremo nei capitoli successivi. Si ritiene opportuno, tuttavia, prima di affrontare in maniera dettagliata gli aspetti fiscali delle tre fattispecie predette, fornire una loro definizione “giuridica”, indicando le principali peculiarità dal punto di vista civilistico. 2. L’associazione: peculiarità e aspetti civilistici. Le associazioni vengono trattate nel libro I del codice civile ed, in particolare, agli artt. 14-­‐46. Da una prima lettura di tali articoli, è subito evidente che il Legislatore disciplina due fattispecie differenti: le associazioni riconosciute e quelle non riconosciute. La differenza sostanziale tra le due, come riscontrabile dal nome stesso, riguarda proprio il loro riconoscimento governativo ai sensi dell’art. 1 DPR n. 361/2000. Il riconoscimento permette di acquisire personalità giuridica e autonomia patrimoniale completa, al punto che, per i debiti contratti da tali enti, risponde solo ed esclusivamente l’associazione con il proprio patrimonio. Per quanto concerne, invece, le associazioni non riconosciute, il Legislatore, disciplina che “delle obbligazioni (…) rispondono personalmente anche le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”. Quanto finora osservato, tuttavia, non permette di formulare una definizione precisa del concetto di associazione, che, a ben vedere, non è 237 Entrambe sono, secondo l’ordinamento giuridico generale, soggetti di diritto. Esse, in particolare rientrano nel novero delle corporazioni, cioè di soggetti in cui nella sostanza prevale l’aspetto personalistico invece di quello patrimoniale. Essi assumono la qualifica di associazione, qualora perseguano finalità di natura ideale (culturali, sportive, religiose…) e, invece, di società nel caso in cui prevalgano la finalità mutualistica o lucrativa. 238 E. Vidali, op.cit., p. 39. 129 riscontrabile nemmeno all’interno del codice civile. A tal fine, pertanto, si ritiene necessario ricorrere a fonti di natura dottrinale 239 o giurisprudenziale, grazie alle quali si individuano una serie di elementi caratteristici. I predetti elementi sono240: a) una pluralità di persone; gli individui rappresentano la “vera anima” delle associazioni. L’art. 27 c.c., infatti, disciplina che queste continuano la propria attività fintanto che vi sia la presenza di almeno un associato. b) il patrimonio; l’attività delle persone si trasforma, inevitabilmente, in una serie di rapporti economici, che assumono una certa rilevanza; c) lo scopo; questo, deve essere lecito, determinabile ed ideale, cioè volto a promuovere attività aventi utilità sociale. Qualora, invece, sia di natura lucrativa, l’ente perde la qualifica di associazione e viene considerato, a tutti gli effetti, una società 241 . Lo spartiacque tra società e associazione è rappresentato, dunque, solo ed esclusivamente dallo scopo perseguito. Concludendo, l’impossibilità dell’associato di poter ottenere una remunerazione e di poter rientrare in possesso, anche in caso di “scioglimento” della stessa, di quanto versato, fanno emergere la volontà del Legislatore di sottolineare lo scopo di tali enti. Le associazioni, pertanto, devono perseguire finalità culturali, sportive ed ideali, cioè in sostanza, finalità con una certa utilità 239 Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1986, 106: “ E’ innegabile che il diritto non crea ex nihilo la persona giuridica; c’è una realtà che il diritto riconosce e insieme riplasma per mezzo del crisma della giuridicità. La persona giuridica è quindi costituita di una base sostanziale, persone fisiche, beni, scopo, e di un’attribuzione formale, il riconoscimento da parte dell’ordinamento giuridico senza del quale la prima non si costituirà come soggetto di diritto”. 240 Vidali, op. cit., p. 49 241 Ferri G., Le società, in trattato di diritto civile italiano, vol. decimo, tomo terzo, 10, Torino, 1987, ha affermato e teorizzato, a riguardo, che la società è una species del genus associazione, ciò comporta che le norme riguardanti la società devono essere considerate come norme speciali e deroganti della disciplina generale prevista per le associazioni. 130 sociale. Ciò, non vuol dire, tuttavia, che l’associazione non possa svolgere attività d’impresa, bensì significa che, l’eventuale profitto, deve essere destinato a scopi di utilità sociale242. 3. L’associazione riconosciuta. Individuata una definizione del concetto generale di associazione, si ritiene opportuno analizzare gli aspetti caratteristici di quelle riconosciute, sottolineando che, in ambito sportivo, esse sono poco diffuse. Come già accennato, la differenza sostanziale tra le due tipologie risiede nel fatto che l’associazione riconosciuta, a differenza di quella non riconosciuta, è una persona giuridica243. L’ottenimento della personalità giuridica si ottiene solo ed esclusivamente a seguito del riconoscimento da parte dell’autorità governativa. L’associazione riconosciuta, pertanto, ingloba l’ulteriore requisito del riconoscimento governativo. Un altro aspetto di notevole rilevanza è rappresentato dalle cause di estinzione dell’ente. Come disciplinato dall’art. 27 244 c.c. l’associazione riconosciuta si estingue per245: - raggiungimento dello scopo o sopravvenuta impossibilità di conseguirlo; - sopravvenuta mancanza di tutti gli associati; 242 Scalfi, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1988, cit. 144. 243 Trabucchi, op. cit., 105: “La persona giuridica è un organismo unitario che viene considerato dall’ordinamento giuridico come soggetto di diritto, come un ente cioè fornito di capacità giuridica propria e distinto dalle persone fisiche che concorrono a formarlo.”. 244 Art. 27 c.c.: “Estinzione della persona giuridica. Oltre che per la cause previste dall’atto costitutivo o nello statuto, la persona giuridica si estingue quando lo scopo è stato raggiunto o è divenuto impossibile. Le associazioni si estinguono inoltre quando tutti gli associati sono venuti a mancare. L’estinzione è dichiarata dall’autorità governativa, su istanza di qualunque interessato o anche d’ufficio.”. 245 Vidali, op. cit., p. 50. 131 Il verificarsi di una delle predette cause di estinzione, tuttavia, non produce i suoi effetti sin da subito. L’associazione, infatti, entra nella fase di liquidazione, in cui è concesso svolgere solamente operazioni riguardanti il soddisfacimento dei creditori. Nel caso in cui, dopo il soddisfacimento dei creditori, l’ente rimanga in possesso di ulteriori beni, questi devono essere devoluti sulla base di quanto sancito dall’atto costitutivo, dallo statuto e, in mancanza, da una esplicita disposizione dell’autorità governativa. 4. L’associazione non riconosciuta. L’associazione non riconosciuta rappresenta, per quanto riguarda la realtà sportivo-­‐dilettantistica, la forma giuridica più diffusa. Tale diffusione è dovuta alla sua capacità di adattarsi all’esercizio di un’attività ideale, quale quella sportiva praticata in forma dilettantistica, dove vi è la necessità di una maggiore autonomia, di procedure semplici e rapide e dell’assenza quasi totale di formalità burocratiche. Non si può dimenticare però che, tutti questi aspetti “positivi” per le caratteristiche del settore di cui stiamo trattando, sono “bilanciati” dalla responsabilità personale delle obbligazioni assunte da coloro che agiscono in nome e per conto dell’associazione. Pertanto, è vero che essa è in grado di incontrare e soddisfare maggiormente le caratteristiche del settore sportivo-­‐ dilettantistico, ma è altrettanto vero che gli associati, devono pagare lo scotto di essere interamente e solidalmente responsabili delle obbligazioni dell’ente stesso. Tale caratteristica potrebbe assumere una certa rilevanza negativa laddove l’associazione, come spesso accade, raggiunga dimensioni economiche rilevanti e, per qualsiasi ragione, non sia più in grado di far fronte con il proprio patrimonio alle esigenze dei creditori. L’assenza di personalità giuridica, tuttavia, non implica che detti enti non siano dotati di autonomia patrimoniale rispetto ai soggetti che li costituiscono e 132 compongono 246 . Alle associazioni non riconosciute, infatti, il Legislatore ha attribuito un’autonomia patrimoniale di grado inferiore, non più “perfetta”, come per quelle riconosciute, bensì imperfetta 247 , creando uno schermo giuridico in grado di difendere il patrimonio dell’organizzazione dai debiti degli associati e di assicurare la destinazione dell’attivo alla soddisfazione dei creditori dell’ente stesso. L’autonomia patrimoniale dell’associazione non riconosciuta e dei suoi associati si evince da quanto sancito agli artt. 37 e 38 c.c., i quali disciplinano rispettivamente che “I contributi degli associati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo comune dell’associazione. Finché questa dura, i singoli associati non possono chiedere la divisione del fondo comune, né pretenderne la quota in caso di recesso” e “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.”. Il legislatore, inoltre, come agevolmente riscontrabile dal dettato normativo, non ha previsto alcun benificium excussionis a favore di coloro che agiscono in nome e per conto dell’ente; i creditori, infatti, possono rivalersi direttamente sul patrimonio di questi, senza aver preventivamente escusso quello dell’associazione. Tale responsabilità personale trova giustificazione proprio nell’assenza di qualsiasi controllo governativo volto a verificare la correlazione tra i mezzi finanziari a disposizione e le finalità che l’ente intende perseguire. Come già accennato in precedenza, l’associazione non riconosciuta, proprio per la sua natura di ente privo di personalità giuridica, consente, agli associati della stessa, di regolare liberamente l’ordinamento interno e l’amministrazione, oltreché l’atto costitutivo, il quale, infatti, può essere 246 Trabucchi, op. cit., 114: “…. Nel codice viene riconosciuta a tali gruppi (le associazioni non riconosciute) una certa autonomia. Quando c’è un fondo comune, formato dalle quote associati e dai successivi acquisti, si riconosce un’ autonomia amministrativa, ma soprattutto patrimoniale: finché dura l’associazione i beni non possono essere divisi ma sono impiegati unicamente per lo scopo previsto”. 247 Vidali, op. cit., pp. 53. 133 determinato anche da un semplice accordo verbale, non essendo prevista l’obbligatorietà della forma scritta. 5. Le associazioni sportive dilettantistiche (ASD) Con l’espressione associazioni sportive dilettantistiche s’intendono quelle associazioni -­‐ quasi esclusivamente non riconosciute -­‐ aventi ad oggetto “l’organizzazione di attività sportive dilettantistiche senza scopo di lucro, comprese le attività dilettantistiche per l’avvio, l’aggiornamento ed il perfezionamento delle attività sportive che non inquadrano atleti qualificati come professionisti”248. Da un punto di vista civilistico, esse si contraddistinguono dalle altre tipologie di associazioni solo ed esclusivamente in relazione allo scopo perseguito: la promozione dell’attività sportiva. Dal punto di vista tributario, è stata fornita una definizione di tali enti dalla C.M. n. 1/1992, nella quale si è affermato che “le associazioni sportive e (le) relative sezioni non aventi scopo di lucro, affiliate alle Federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi delle leggi vigenti, che svolgono attività sportive dilettantistiche e che nel periodo di imposta precedente, hanno conseguito dall’esercizio di attività commerciali proventi per un importo non superiore a 100 milioni di lire (dal 2003 diventati 250.000 euro)” assumono la qualifica di associazioni sportive dilettantistiche. Esse, Inoltre, così come rilevato per le società sportive professionistiche, sono soggetti di diritto di due ordinamenti differenti: da un lato l’ordinamento sportivo, dall’altro quello giuridico generale. 248 Propersi A., Rossi G., Gli enti non profit, Milano, 2002, p. 224. 134 6. Le società sportive dilettantistiche (SSD) Come già accennato nei paragrafi precedenti, tale forma giuridica è stata introdotta di recente, e più precisamente dall’art. 90, co. 18, L. n. 289/2002, nel novero di quelle che possono promuovere lo sport-­‐dilettantistico. Le SSD sono, dunque, quegli enti che esercitano un’attività sportiva dilettantistica, sotto forma di società di capitali o di società cooperativa, senza perseguire una finalità lucrativa. Tali società, pertanto, qualora siano in grado di generare utili non possono distribuirli ai soci, ma devono necessariamente utilizzarli per promuovere l’attività, al fine di rendere più facilmente perseguibile la finalità prefissata. Le SSD sono società di diritto speciale. La legge, che ammette la costituzione di società di capitali senza scopo di lucro solo per le società esercenti un’attività sportivo-­‐dilettantistica 249 , infatti, è considerata una disposizione di carattere eccezionale. Dal dettato normativo si evince che le SSD non possono assumere la forma giuridica di società di persone. Le società di capitali o quelle cooperativa, invece, per assumere la qualifica di “società sportive dilettantistiche” devono necessariamente rispettare i vincoli indicati nell’art. 90, co. 18, della L. n. 289/2002 che di seguito si elencano: - la redazione dell’atto costitutivo in forma scritta, con indicazione della sede legale; - la previsione nell’atto costitutivo di una serie di elementi: - la denominazione; - l’assenza di finalità lucrativa e la previsione che non si possa in nessun caso ripartire l’eventuale ricchezza tra i soci, anche nelle forme indirette. - l’oggetto sociale, il quale deve avere un preciso riferimento all’organizzazione di attività sportiva dilettantistica, compresa quella didattica; 249 Vidali, op.cit., p.48. 135 - l’obbligo di devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento ad enti aventi finalità sportiva. Per quanto concerne la distribuzione indiretta di ricchezza, si ritiene opportuno sottolineare che si considerano a tutti gli effetti distribuzione di utili, in via indiretta: - le cessioni di beni e le prestazioni di servizi a soci o associati ed a componenti degli organi amministrativi di controllo effettuate a condizioni più favorevoli in ragione della loro qualità; - l’acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, sono superiori al loro valore normale; - la corresponsione agli organi amministrativi e di controllo di emolumenti annui individuali superiori al compenso massimo previsto per il presidente del Collegio sindacale delle Spa; - la corresponsione a soggetti diversi dagli intermediari finanziari di interessi passivi per prestiti di qualsiasi tipo, superiori di quattro punti percentuali al tasso ufficiale di riferimento; - la corresponsione ai lavoratori dipendenti di salari o stipendi superiori del 20 % rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro per le medesime qualifiche. Alla luce di quanto sino ad ora affermato, i motivi che indurrebbero alla costituzione di una SSD possono, sostanzialmente, ricondursi a tre fattispecie. In primis l’esistenza di personalità giuridica e, dunque, di responsabilità limitata per soci e amministratori; in secundis la possibilità di ricorrere con maggior facilità a finanziamenti da parte d’istituti di credito; in terzis, la possibilità di accedere comunque ai benefici fiscali concessi per le associazioni sportive non riconosciute, come previsto dalla L. n. 398/1991. Le agevolazioni e le semplificazioni introdotte dalla predetta legge possono riassumersi come segue: - individuazione di un limite massimo di proventi di natura commerciale (250.000 €); 136 - individuazione di un coefficiente forfetario di redditività per la determinazione del reddito; - indetraibilità dell’IVA sugli acquisti, sostituita da un regime forfetario di detrazione dall’IVA sulle vendite; - riduzione degli adempimenti contabili ai fini IVA e Ires. 7. Associazioni e società sportive dilettantistiche: trasformazione e fallimento. L’art. 2500 septies c.c. disciplina le trasformazioni delle società di capitali in associazioni non riconosciute. In virtù di quanto sancito dal Legislatore nel predetto articolo, le società sportive dilettantistiche, in base alla propria natura di società di capitali o cooperative, possono trasformarsi solo ed esclusivamente in associazioni sportive dilettantistiche non riconosciute. Non è, infatti, regolamentato a livello normativo che una società di capitali possa trasformarsi in un’associazione riconosciuta250. Per quanto riguarda, invece, la casistica inversa, ovverosia la trasformazione di un’associazione in una società di capitali, è necessario fare riferimento all’art. 2500 octies c.c.. Il predetto articolo, infatti, regolamenta la trasformazione di un’associazione in una società di capitali, impedendo che possa acquisire la forma giuridica di società di persone. Se si trasferisce tale dettato normativo nel mondo dilettantistico e se si dovesse interpretarlo letteralmente, non sarebbe possibile, per la maggior parte delle associazioni sportive esistenti, potersi trasformare in società sportive dilettantistiche, data la loro prevalente natura di associazioni non riconosciute. Per il mondo sportivo-­‐dilettantistico, tuttavia, si deve sottolineare che tale articolo deve essere correlato a quanto disciplinato dall’art. 90, co. 5, L. n. 289/2002, il quale, in merito agli atti di trasformazione, stabilisce che questi sono soggetti all’imposta di registro in misura fissa, non facendo alcuna 250 Vidali, op.cit., p. 57. 137 distinzione tra associazioni riconosciute o non riconosciute. In linea con tale interpretazione si è espresso anche il Consiglio Nazionale del Notariato251 che ha affermato la legittimità della trasformazione di un’associazione sportiva non riconosciuta in una società di capitali, motivando tale fattispecie sostenendo che “si tratterebbe semplicemente di una modifica della struttura organizzativa più che una trasformazione della causa giuridica del contratto.”. In virtù di quanto sinora rilevato, sembrerebbe potersi affermare che, in ambito sportivo, sulla base di quanto stabilito dai principi generali in merito alla prevalenza della norma speciale su quella generale, un’associazione non riconosciuta può trasformarsi in una società di capitali. Le ASD e le SSD, anche se prive di lucro soggettivo, esercitano attività economiche, le quali, nel caso in cui possiedano i requisiti della professionalità e dell’organizzazione previsti dal c.c. all’art. 2082 e rientrino in quelle elencate dal 2195, sono a tutti gli effetti considerate imprese commerciali e, di conseguenza, soggette alla relativa disciplina. Si può, quindi, ritenere che, anche le associazioni sportive, qualora esercitino attività di natura commerciale, sono soggette a fallimento. Sul punto si è espressa anche la Corte di Cassazione, la quale ha precisato che la natura di ente non commerciale prevista dall’art. 73 T.U.I.R., non impedisce l’assoggettamento di tali enti al fallimento, che, a sua volta, comporterebbe, il contestuale fallimento di tutti gli associati se viene considerata come una società di fatto252, e il fallimento dei soggetti che hanno agito in nome e per conto dell’ente, se l’ente continua ad essere qualificato come associazione non riconosciuta253. Per quanto riguarda le società sportive dilettantistiche, invece, è necessario fare un distinguo in relazione alla loro forma giuridica: 251 Studio n. 527/2004. 252 Art. 147 L. Fallimentare: Società con soci a responsabilità illimitata. “La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV, VI, del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili (…).” 253 Vidali, op.cit., p. 58 . 138 - se sono costituite sotto forma di società di capitali, rispondenti ai requisiti di cui agli art. 2082 e 2195 c.c. sono soggette a fallimento; - se sono costituite sotto forma di società cooperative sono soggette a liquidazione coatta amministrativa disposta dall’autorità cui spetta il controllo della società o a fallimento. Tra le due procedure concorsuali si applica il principio della prevalenza temporale. 139 CAPITOLO 8 GLI ASPETTI GENERALI DELLA DISCIPLINA DELLE SOCIETA’ E ASSOCIAZIONI SPORTIVE 1. La disciplina fiscale applicabile alle ASD e alle SSD. Ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte sui redditi, alle ASD si applica la disciplina generale prevista per gli enti non commerciali e, quindi l’art. 4 DPR n. 633/1972 e gli articoli 143-­‐149 del T.U.I.R.. Devono, tuttavia, essere prese in considerazione anche alcune norme aventi carattere speciale, quali: - la L. n. 398/1991, rubricata “le disposizioni tributarie relative alle associazioni sportive dilettantistiche”; - l’art. 25, L. n. 133/1999, rubricato “disposizioni tributarie in materia di associazioni sportive dilettantistiche”; - l’art 90, L. n. 289/2002, rubricato “disposizioni per l’attività sportiva dilettantistica”. Come già accennato nel capitolo precedente, l’art. 90 della L. n. 289/2002 ha un’importanza primaria nella regolamentazione della disciplina sportivo-­‐ dilettantistica. Esso, infatti, estende l’applicazione delle agevolazioni previste per le associazioni, alle società di capitali e alle società cooperative, purché prive di finalità lucrative. A riguardo l’Amministrazione Finanziaria, con la circ. n. 21/2003 ha specificato che tali società conservano al qualifica di enti commerciali254, poiché l’assenza della finalità non incide sulla loro natura dal punto di vista tributario. 254 La disciplina, quindi, è quella prevista dall’art. 73 T.U.I.R.. 140 Si sottolinea, inoltre, che il predetto art. 90 non menziona tra le forme giuridiche contemplate per lo svolgimento di tale attività, le società cooperative dilettantistiche. La L. n. 128/2004 è intervenuta a riguardo, modificando l’articolo in questione, introducendo tale fattispecie. A riguardo, il Consiglio Nazionale del Notariato255 ha rilevato che “l’omesso riferimento nel comma uno alla forma giuridica della cooperativa è frutto della mancanza di coordinamento tra due interventi normativi che sono stati effettuati in tempi diversi (…) appare (pertanto) ragionevole osservare che se il legislatore ha voluto estendere le agevolazioni fiscali previste per il settore sportivo perfino in favore delle società non lucrative (…) non si comprende per quali ragioni la medesima possibilità debba essere negata alle cooperative”256. 2. Condizioni per fruire delle agevolazioni fiscali. Il legislatore ha stabilito tre condizioni principali che gli enti sportivo-­‐ dilettantistici devono rispettare per essere ammessi all’utilizzo delle agevolazioni previste: - adeguamento dell’atto costitutivo e dello statuto. -­‐ riconoscimento da parte del C.O.N.I. e iscrizione nel relativo registro; - utilizzo della specifica denominazione o ragione sociale da parte delle società e associazioni sportive dilettantistiche. 2.1. Adeguamento dell’atto costitutivo e dello statuto. L’Amministrazione Finanziaria con la circ. n. 21/2003 ha sostenuto che le ASD e SSD non possono fruire dell’agevolazione prevista dal Legislatore nel caso in cui non abbiano adeguato il contenuto del proprio atto costitutivo e del proprio statuto a quanto stabilito dall’art. 90 L. n. 289/2000 e nel caso in cui le modifiche effettivamente apportate non siano, nella sostanza, osservate. 255 Studio n. 93/2004/T approvato dalla Commissione studi tributari. 256 Negro. M., Manuale delle associazioni sportive dilettantistiche, pp.187 e seg. 141 2.2. Riconoscimento da parte del C.O.N.I. Il Legislatore, al fine di limitare il più possibile i comportamenti fraudolenti di coloro che esercitano solo nominalmente l’attività sportiva, ha stabilito che: - le agevolazioni fiscali e riguardanti il fondo di garanzia, sono applicabili alla società solo qualora possieda il riconoscimento rilasciato dal C.O.N.I, il quale si configura come organo garante dell’ordinamento sportivo nazionale e come unico organismo in grado di certificare l’effettiva attività sportiva svolta dalle società e dalle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi; - Il C.O.N.I. deve trasmettere annualmente all’Agenzia delle Entrate l’elenco delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi. A tal riguardo, il consiglio nazionale del C.O.N.I. ha disciplinato l’istituzione di un Registro generale delle società e associazioni sportive dilettantistiche, aggiornato annualmente, con lo scopo di racchiudere in esso tutti gli enti dilettantistici riconosciuti, in possesso dei requisiti previsti dalla legge e affiliati alle federazioni sportive nazionali. Tale elenco, è poi il documento che il C.O.N.I. stesso trasmette, con cadenza annuale, all’Agenzia delle Entrate, con la finalità di controllare che i soggetti che fruiscono delle agevolazioni siano effettivamente legittimati a farlo. 2.3. Utilizzo della specifica denominazione o ragione sociale da parte delle ASD. L’Agenzia delle Entrate, sempre in riferimento a quanto sostenuto nella circ. n. 21/2003, afferma che le ASD e le SSD devono sempre riportare la 142 corretta e completa denominazione257 sociale prevista in tutti i segni distintivi e in tutte le comunicazioni rivolte al pubblico. Nel caso in cui ciò non avvenga esse perdono la possibilità di poter applicare il regime fiscale agevolativo258. 3. La disciplina dei versamenti e dei pagamenti nelle ASD e nelle SSD. Un’altra peculiarità tipica del mondo sportivo-­‐dilettantistico è disciplinata dall’art. 25, co. 5, L. n. 133/1999259, il quale sancisce che i pagamenti effettuati a favore di società-­‐associazioni sportive dilettantistiche e quelli dalle stesse effettuati, devono essere eseguiti, se di importo superiore ai 516,46 euro, tramite conti correnti bancari/postali a loro intestati o altri strumenti che consentano all’Amministrazione Finanziaria di effettuare i controlli260. In relazione a tutti i versamenti incassati o ai pagamenti ricevuti che abbiano ad oggetto l’attività svolta, è necessario che sia indicato chiaramente il soggetto erogante e quello percipiente. Infine, si deve inoltre precisare che sono vietati gli assegni bancari trasferibili 261 , poiché il soggetto percipiente non è certo e determinato fin dall’emissione. 257 La quale deve sempre contenere la denominazione “sportiva”. 258 Negro M., op. cit. p.192 259 Tale comma è stato modificato dall’art 37 co. 2 della L. n. 342. 260 Negro M., op. cit. p.192 261 Cfr. C.M. n. 207/2000 e C.M. n. 43/E/2000. 143 CAPITOLO 9 L’IRES E GLI ENTI SPORTIVI DILETTANTISICI Le associazioni e le società sportive dilettantistiche, seguono, ai fini della tassazione diretta una disciplina differente: - le prime sono assoggettate, ai fini Ires, a quanto stabilito dagli artt. 143-­‐ 149 T.U.I.R.262; - le seconde seguono la disciplina, ai fini Ires, prevista per le società di capitali, artt. 81-­‐142 T.U.I.R.. Assumono, tuttavia, particolare rilevanza anche alcune norme speciali, formulate specificamente per tali enti, quali la L. n. 398/1991, l’art. 25 L. n. 133/1999, e l’art. 90 L. n. 289/2002. 1. L’Ires e le associazioni: aspetti generali. Al fine di ricomprendere un ente tra quelli aventi natura non commerciale, è necessario, in primis, individuarne l’oggetto esclusivo o principale, come sancito dall’art. 73, co. 4 e co. 5, T.U.I.R.263, dove, con “oggetto esclusivo o principale” si deve intendere “l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo e dallo statuto.”. Nell’ipotesi in cui, all’interno degli enti, sia regolamentata la possibilità di esercitare sia attività commerciale che non commerciale, si dovrà considerare come qualificante quella essenziale per il perseguimento degli obbiettivi primari. Pertanto, se l’attività essenziale è non commerciale, l’ente assumerà la 262 Nel caso assumano la qualifica di ONLUS, si applicano anche le disposizioni relative, in particolare l’art. 150 T.U.I.R. “Per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, ad eccezione delle società cooperative, non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociali. I proventi derivanti dall’esercizio delle attività direttamente connesse non concorrono alla formazione del reddito.”. 263 “L’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. (…)”. 144 qualifica di ente non commerciale, nel caso contrario, si deve considerare ente commerciale anche qualora dichiari finalità non lucrative264. Si può quindi affermare che, per la qualificazione di un ente dal punto di vista tributario, prevale la sostanza sulla forma, e cioè prevale l’attività effettivamente svolta a scapito di quella dichiarata nell’atto costitutivo o nello statuto. L’art. 148 del T.U.I.R. regolamenta in maniera specifica la disciplina prevista per gli enti non commerciali aventi natura associativa, sancendo che non deve essere considerata attività commerciale quella svolta nei confronti degli associati/partecipanti se in conformità con le finalità istituzionali. L’Amministrazione Finanziaria 265 , a riguardo, ha specificato che non deve inoltre sussistere una corrispettività diretta tra la quota pagata dagli associati e l’attività ad essi resa. Le somme derivanti dalle quote associative, pertanto, non concorrono alla base imponibile Ires di tali enti, perché si ritiene siano funzionali e necessarie alla copertura delle spese per il funzionamento dell’associazione. Nel medesimo articolo, il Legislatore aggiunge che si considerano prestazioni commerciali, e in quanto tali soggette a concorrere alla formazione del reddito, le cessioni di beni o le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati dietro il pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari, che danno luogo a diritti maggiori rispetto a quelli effettivamente spettanti. Tali corrispettivi, dunque, concorrono a formare il reddito dell’associazione come “redditi diversi” se presentano carattere occasionale e come “redditi di impresa” se sono abituali. Il co. 3 dell’art. 145, inoltre, regolamenta una disciplina specifica, tra le altre, per le associazioni sportive, sancendo che non devono essere considerate commerciali le attività: “svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e 264 Cotto A., Minchillo R., Negro M., Manuale delle associazioni sportive dilettantistiche, p.196. 265 Circ. n. 124/1998. 145 che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali.” Tale specifica disciplina266 rappresenta una deroga a quanto stabilito nel comma precedente secondo il quale sono da ricomprendere nel novero delle attività commerciali “le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese agli associati e partecipanti verso corrispettivi specifici, ancorché si tratti di attività conformi alle finalità istituzionali”. L’Amministrazione Finanziaria, inoltre, a riguardo, afferma che l’attività svolta in attuazione degli scopi istituzionali “deve essere effettuata alla stregua di criteri obbiettivamente riscontrabili e non sulla base di un’autoliquidazione risultante dalle sole indicazioni statutarie”. Tali criteri però, secondo quando disciplinato dal quarto comma del medesimo articolo, non trovano applicazione nel caso in cui vi sia “una cessione di beni nuovi prodotti per la vendita, la somministrazione di pasti, l’erogazione di acqua, gas, energia elettrica e vapore, prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito, prestazioni di servizi portuali e aeroportuali e per le prestazioni effettuate nell’esercizio delle seguenti attività: a) gestione di spacci aziendali, b) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale, d)pubblicità commerciale, telecomunicazione e radiodiffusioni circolari”. Il Legislatore, dunque, ha stabilito che le cessioni e prestazione predette, anche se rese agli associati, devono comunque essere considerate commerciali. A tal riguardo, si ritiene opportuno soffermarsi sulla questione dei “bar interni” alle strutture, alquanto dibattuta in prassi e giurisprudenza 267 . L’Amministrazione Finanziaria, in virtù di quanto sancito dall’art. 148 co. 5 “Per le associazioni di promozione sociale (…) non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate, presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari (…)”, ritiene che la portata di tale norma 266 Come sottolineato dall’Agenzia delle Entrate circ. n. 124/E del 1998. 267 Cotto A., Minchillo R., Negro M., op. cit., p.208. 146 sia riferibile solo ed esclusivamente alle associazioni di promozione sociale, tra le quali non si può ricomprendere l’attività sportiva268. Una serie di pronunce della Corte di Cassazione 269, al contrario, affermano che non possa essere attribuita valenza di attività commerciale, sempreché sia svolta senza vantaggio economico, all’attività dei “bar interni” alle associazioni, poiché tale servizio deve ritenersi necessariamente accessorio al fine istituzionale del circolo ricreativo e non può, dunque, rientrare nella nozione di “somministrazione di pasti” o “gestione di mense”. Le singole associazioni, tuttavia, possono considerare non commerciali le attività in diretta attuazione degli scopi istituzionali, come affermato nel co. 8 del medesimo articolo, solo ed esclusivamente se rispettano le clausole, che si riportano di seguito, “dirette a garantire la non lucratività dell’associazione e ad evitare fenomeni elusivi.”: - il divieto di distribuire, anche indirettamente utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione siano imposte dalla legge; - l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o a fini di pubblica utilità, diversa destinazione imposta dalla legge; - la disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo (…) l’obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie; 268 Tale teoria è stata suffragata da una serie di sentenze della Suprema Corte: Sent. n. 19840/2005, Sent. n. 7953/2007, Sent. n. 2403/2000 269 Sent. n. 280/2004, Sent. n. 18706/2005, Sent. n. 18563/2005 147 - l’eleggibilità libera degli organi amministrativi, il principio del voto singolo di cui all’art. 2358, co. 2, primo periodo c.c., sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipati e i criteri di loro ammissione od esclusione, i criteri le idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari (….). Infine, affinché tali associazioni possano fruire della non imponibilità di tali corrispettivi, devono necessariamente comunicare, in via telematica o con le modalità ed i termini previsti, all’Agenzia delle Entrate le informazioni fiscalmente rilevanti. 1.1. La perdita della qualifica di ente non commerciale. Per determinare se un ente non commerciale possa essere effettivamente qualificato come tale, vi sono dei requisiti necessari che devono essere rispettati. L’art. 149 T.U.I.R., co. 1, a riguardo, sancisce che: “Indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo di imposta.”. Il successivo co. 2 elenca i predetti requisiti, che, dunque, qualificano l’ente come commerciale, indipendentemente da quanto sancito nell’atto costitutivo o nello statuto. I parametri sono i seguenti270: - prevalenza delle immobilizzazioni relative all'attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività; - prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali; 270 Cotto A., Minchillo R., Negro M., op. cit., pp. 215-­‐216 148 - prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative; - prevalenza dei componenti negativi inerenti l'attività commerciale rispetto alle restanti spese. Si ritiene opportuno approfondire e specificare la valenza di alcuni concetti che potrebbero essere oggetto di un’interpretazione non conforme alle volontà del Legislatore. In primis, come affermato dall’Amministrazione Finanziaria271, non è sufficiente la presenza di uno o più dei predetti requisiti per far perdere la qualifica di ente non commerciale, poiché è necessario un giudizio complesso volto ad individuare se l’ente in questione abbia o meno svolto prevalentemente attività commerciale. Inoltre, Per il calcolo dei predetti requisiti, ovviamente, non devono essere ricompresi quegli elementi che, a norma degli artt. 143 e 148 T.U.I.R., il legislatore ha voluto qualificare come componenti non rappresentativi di attività commerciale. In secundis, l’espressione “intero periodo d’imposta” nel co. 1, non deve essere interpretata in senso strettamente letterario, essendo infatti sufficiente che la prevalenza dell’attività commerciale sussista per la maggior parte del periodo di imposta. 1.2. Le modalità di determinazione del reddito. In virtù di quanto sancito dagli artt. 75 e 143, ai rispettivi co. 1, il reddito complessivo degli enti non commerciali si determina sommando le seguenti categorie di reddito272: -­‐ redditi fondiari; - redditi di capitale; - redditi di impresa; 271 Circ. n. 124/E/1998. 272 Cotto A., Minchillo R., Negro M., op. cit., pp. 196-­‐200. 149 - redditi diversi. Il reddito di ogni categoria, è determinato al netto di eventuali perdite deducibili e la sommatoria derivante dai redditi delle categorie deve, tuttavia, essere considerata al netto delle eventuali perdite derivanti dall’attività commerciale273. Per quanto riguarda i beni immobili d’impresa, il Legislatore all’art. 144, co. 3, ha rimandato a quanto previsto dall’art. 65,co. 1 e 3-­‐bis, T.U.I.R. 274 , lasciando, nella sostanza, alla discrezionalità degli associati la possibilità di individuare la disciplina fiscale prevista per gli immobili, escludendo, però quelli non ricompresi nell’inventario. Riprendendo l’art. 143, il Legislatore ha previsto che non si debbano considerare attività commerciali quelle prestazioni di servizi che non rientrano nell’art. 2195 e che sono rese in conformità con le finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso corrispettivi che non eccedano i costi di diretta imputazione, i quali, come precisato dalla C.M. 124/1998 sono “costi sostenuti dall’impresa per la realizzazione dell’opera e che entrano a comporre il 273 Le perdite derivanti dall’esercizio d’impresa possono ridurre il reddito complessivo solo fino a concorrenza di quest’ultimo e l’eventuale eccedenza, non utilizzata, pertanto, non può essere riportata ai periodi d’imposta successivi, ad eccezione di quelle riguardanti imprese start up, riportabili in avanti illimitatamente solo se riferite ad impresa in contabilità ordinaria. 274 “1. Per le imprese individuali, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano relativi all'impresa, oltre ai beni indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 85, a quelli strumentali per l'esercizio dell'impresa stessa ed ai crediti acquisiti nell'esercizio dell'impresa stessa, i beni appartenenti all'imprenditore che siano indicati tra le attività relative all'impresa nell'inventario tenuto a norma dell'articolo 2217 del codice civile. Gli immobili di cui al comma 2 dell'articolo 43 si considerano relativi all'impresa solo se indicati nell'inventario; per i soggetti indicati nell'articolo 66, tale indicazione può essere effettuata nel registro dei beni ammortizzabili ovvero secondo le modalità di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 435, e dell'articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1996, n. 695. 3 bis. Per i beni strumentali dell'impresa individuale provenienti dal patrimonio personale dell'imprenditore è riconosciuto, ai fini fiscali, il costo determinato in base alle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1974, n. 689, da iscrivere tra le attività relative all'impresa nell'inventario di cui all'articolo 2217 del codice civile ovvero, per le imprese di cui all'articolo 66, nel registro dei cespiti ammortizzabili. Le relative quote di ammortamento sono calcolate a decorrere dall'esercizio in corso alla data dell'iscrizione.” 150 valore della stessa.275”. In sostanza, quindi, si devono considerare “i beni e i materiali che l’impresa di servizi utilizza per lo svolgimento della sua attività”. Nell’art. 143, si afferma, per di più, che devono essere esclusi dal reddito degli enti non commerciali, i fondi pervenuti attraverso raccolte pubbliche effettuate saltuariamente ed in occasione di celebrazioni/ricorrenze e i contributi corrisposti dall’Amministrazione pubblica per attività aventi finalità sociali esercitate in conformità con i fini istituzionali degli enti stessi. L’esclusione dei contributi dal reddito è vincolata al fatto che questi debbano avere finalità sociali, tipiche dell’ente, e siano svolte in conformità alle finalità istituzionali di questo. Altro aspetto rilevante è quello che riguarda le spese promiscue, l’art. 144 co. 4 276 , disciplina che le spese e i componenti negativi utilizzati promiscuamente sono deducibili per la parte del loro ammontare corrispondente al rapporto tra i ricavi e gli altri proventi concorrenti a formare il reddito d’impresa e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Per quanto riguarda gli immobili, invece, si può portare in deduzione il canone di locazione o la rendita catastale per la parte che corrisponde al rapporto predetto. È, inoltre, regolamentato che gli enti commerciali debbano tenere una contabilità separata per l’attività commerciale esercitata, il che però, come affermato dall’Amministrazione Finanziaria 277 , non implica necessariamente dover tenere un libro giornale ed un piano dei conti distinto per ogni attività, ma è sufficiente che ve ne sia uno dettagliato al punto da permettere di distinguere le singole movimentazioni commerciali da quelle istituzionali. 275 Ad esempio costi per materie prime, sussidiarie, mano d’opera, ammortamenti di ben strumentali etc. 276 “4. Le spese e gli altri componenti negativi relativi a beni e servizi adibiti promiscuamente all'esercizio di attività commerciali e di altre attività, sono deducibili per la parte del loro importo che corrisponde al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d'impresa e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi; per gli immobili utilizzati promiscuamente è deducibile la rendita catastale o il canone di locazione anche finanziaria per la parte del loro ammontare che corrisponde al predetto rapporto.” 277 Ris. n. 86/E del 2002. 151 1.2.1. Il regime Forfetario per la determinazione del reddito degli enti non commerciali in generale. Il Legislatore tributario, in linea con la manifesta volontà di incentivare e promuovere le attività culturali, sportive, ricreative e prive di finalità lucrativa, ha previsto un trattamento privilegiato per tutti gli enti non commerciali. L’art. 145 T.U.I.R., infatti, prevede un regime forfetario di determinazione del reddito, valido, però, solamente ai fini delle imposte dirette278 per tutti quegli enti aventi natura non commerciale. Il dettato normativo, tuttavia, prevede, per alcuni di questi, tra i quali quelli aventi finalità sportivo-­‐dilettantistica, un trattamento fiscale differente279. Il regime generale previsto dall’art. 145, infatti, come si avrà modo di verificare nel prossimo paragrafo, non è particolarmente conveniente per le associazioni sportive, per le quali è prevista, per importi non superiori a 250.000 euro, una riduzione forfetaria del 97 %. Per usufruire del regime forfetario regolamentato dall’ art. 145 T.U.I.R.280, gli enti non commerciali devono necessariamente tenere la contabilità in via semplificata ed esercitare l’opzione in maniera esplicita nella dichiarazione dei redditi annuale o nella dichiarazione di inizio attività da presentare ai sensi dell’art. 35 DPR 633/1972. L’Amministrazione Finanziaria281, a tal riguardo, ha affermato, in virtù di quanto sancito dal DPR n. 442/1997, che tali adempimenti formali non sono necessari, qualora dal comportamento concludente del contribuente si possa agevolmente riscontrare la sua volontà di aderirvi. L’opzione produce i suoi effetti dall’inizio del periodo di imposta nel corso del quale è esercitata fino al momento di un’eventuale revoca ed ha validità annuale, purché, ovviamente, siano continuamente rispettati i requisiti. 278 A differenza del regime specifico previsto per le associazioni sportive, la cui applicazione, come vedremo, si estende anche all’IVA. 279 Per le associazioni sportive, infatti, la disciplina fiscale è prevista dal L. n. 398/91. 280 Cotto A., Minchillo R., Negro M., op. cit., p. 202-­‐204. 281 Circ. n. 124/E del 1998. 152 La determinazione forfetaria del reddito avviene applicando al totale dei ricavi 282 dell’esercizio un coefficiente di redditività 283 ed aggiungendo l’ammontare dei componenti positivi di reddito di seguito riportati: - plusvalenze patrimoniali; - sopravvenienze attive; - proventi immobiliari; - dividendi ed interessi. Nel caso in cui i limiti di cui all’art. 145 T.U.I.R. vengano superati, l’ente non potrà fruire nel periodo d’imposta in essere di tale agevolazione forfetaria. 2. L’Ires e le società /associazioni sportive dilettantistiche. Come già rilevato nel paragrafo precedente, il Legislatore ha previsto per gli enti esercenti attività sportiva dilettantistica, un regime fiscale “di favore” rispetto a quello ordinario, ma anche rispetto a quello, a sua volta agevolativo, previsto per gli enti non commerciali. Ai sensi dell’art. 90 L. n. 289/2002, infatti, le disposizioni tributarie riguardanti le ASD possono essere estese anche alle SSD aventi natura di società di capitali/cooperative senza scopo di lucro che svolgono attività sportiva dilettantistica284. Si precisa, sin da subito, che le predette società, sebbene caratterizzate dall’assenza di finalità di lucro, sono comunque degli enti esercenti attività commerciale, poiché tale assenza non incide sulla loro qualificazione dal punto di vista tributario285. Tale precisazione non è priva di conseguenze. Il reddito delle SSD, infatti, è disciplinato dalle disposizioni relative alle società e quindi, di conseguenza, non è possibile applicare loro il regime forfetario caratterizzante 282 Previsti dall’art. 85 T.U.I.R.. 283 Secondo periodo art. 145 c. 1 T.U.I.R.. 284 Cotto A., Minchillo R., Negro M., op. cit., pp. 218-­‐230. 285 Le SSD, pertanto, possono essere ricondotte nell’ambito di quanto affermato dall’art. 73 T.U.I.R. 153 le associazioni e gli enti non commerciali in generale, previsto dall’art. 145. T.U.I.R.. E’, tuttavia, applicabile, invece, l’art. 148 co. 3, il quale prevede che “Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-­‐scolastica della persona, non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati.”. Le società, così come previsto anche per le associazioni, qualora vogliano fruire della “non imponibilità” dei corrispettivi, delle quote o dei contributi previsti dall’art. 148 T.U.I.R. devono necessariamente comunicare, telematicamente o con i mezzi previsti, all’Agenzia delle Entrate tutte le informazioni fiscalmente rilevanti al fine di consentire le opportune verifiche. La L. n. 398/1991, come già rilevato, prevede un particolare regime fiscale agevolato per quanto riguarda la determinazione del reddito d’impresa e l’applicazione dell’IVA. Tale regime fiscale è, pertanto, alternativo a quello ordinario e a quello “di favore” previsto dall’art. 145 T.U.I.R.286 e può essere applicato solo ed esclusivamente ai seguenti soggetti: - associazioni sportive dilettantistiche e relative sezioni, affiliate alle FSN287 o agli enti nazionali di promozione sportiva; 286 Questo è il motivo per cui le associazioni e le società sportive dilettantistiche, possono scegliere sono uno dei due regimi, e non vi è dubbio che scelgono quello specifico per la disciplina sportiva, perché, come vedremo, è notevolmente più vantaggioso. 287 Federazioni sportive nazionali. 154 - società di capitali/cooperative sportive dilettantistiche senza finalità di lucro, costituite successivamente al 1.1.2003288. L’opzione per tale regime, tuttavia, può essere esercitata solo ed esclusivamente qualora nel periodo di imposta precedente a quello di riferimento non siano stati conseguiti ricavi di natura commerciale superiori a 250.000 euro. Tale valore non comprende, però, tutti i componenti positivi di reddito, ma solo ed esclusivamente quelli che si riportano di seguito: - ricavi di cui all’art. 85 T.U.I.R. aventi natura commerciale289; - sopravvenienze attive, ai sensi dell’art. 88 T.U.I.R. aventi natura commerciale290 ; - eventuali contributi ricevuti, purché siano imponibili. Non devono essere, invece, ricompresi in tale importo: - i valori derivanti da plusvalenze di cui all’art. 86291; - i premi di addestramento e formazione tecnica 292 , i proventi realizzati mediante: a) l’esercizio di attività commerciali, ma connesse agli scopi istituzionali; b) raccolte pubbliche di fondi in concomitanza di celebrazioni o campagne di sensibilizzazione, per un numero di eventi non superiore a due per ogni periodo d’imposta e per un ammontare massimo di 51.645,69 euro; Si ritiene opportuno sottolineare che l’ammontare di 250.000 euro deve essere determinato sulla base del principio di cassa, il che sta a significare che, concorrono a formare il reddito, i proventi di cui sopra effettivamente incassati nel periodo di imposta, indipendentemente dall’effettiva loro competenza 288 Anno di entrata in vigore della norma. 289 Ricavi non aventi natura commerciale non possono essere ricompresi. 290 Sopravvenienze non aventi natura commerciale non possono essere ricomprese. 291 Tali componenti positivi concorrono in via autonoma alla formazione del reddito. 292 Non concorrono alla formazione del reddito. 155 economica. La ratio di tale decisione sembra potersi ricercare nell’uniformità di trattamento rispetto alla normativa IVA, la quale, infatti, prevede che debbano essere “computati gli introiti fatturati ancorché non riscossi”. Nel caso in cui la società sia di nuova costituzione, il Legislatore ha previsto che essa debba riferirsi al volume d’affari presuntivo indicato nella comunicazione d’inizio attività. Nel caso in cui, invece, la durata dell’esercizio effettivo sia inferiore all’anno, l’Amministrazione Finanziaria293 ha chiarito che il limite dei proventi deve essere rapportato in base al numero di giorni effettivo. Nel caso l’associazione o la società omettano di comunicare o lo facciano tardivamente/irregolarmente, incorrono in una sanzione amministrativa che può variare dai 258,00 ai 2.065,00 euro, ma non perdono, in virtù del principio del “comportamento concludente”, le qualifica di enti esercenti attività sportiva. La ASD o la SSD, inoltre, devono dare corretta comunicazione di tale opzione anche alla SIAE294 competente per territorio. Per quanto concerne, infine, le condizioni per usufruire dell’esclusione del reddito, l’Amministrazione Finanziaria295 ha stabilito che, nel caso in cui la società consegua ricavi per un ammontare superiore ai 51.645,69 euro oppure i proventi derivino da più di due eventi, tali componenti positivi concorrono alla formazione del reddito. 2.1. La determinazione forfetaria del reddito imponibile delle SSD. L’art. 2, co. 5, della L. n. 398/1991, derogando quanto sancito dal T.U.I.R., disciplina che il reddito imponibile per gli enti esercenti attività sportiva si ottiene: 293 Ag. Entrate, circ. n. 63/2006. 294 Ente concessionario dell’Imposta sugli intrattenimenti. 295 Ag. Entrate, circ. n. 207/2000. 156 - calcolando forfetariamente il reddito dell’attività esercitata, applicando una percentuale pari al 3% dell’ammontare dei relativi proventi; - aggiungendo l’intero ammontare scaturente da eventuali plusvalenze determinate ai sensi dell’art. 86 T.U.I.R.. Come già accennato nei paragrafi precedenti, tra i componenti positivi cui applicare la redditività del 3% vi sono: - ricavi, ai sensi dell’art. 85 T.U.I.R; - sopravvenienze attive, ai sensi dell’art. 88 T.U.I.R.; - eventuali contributi, ricevuti per l’esercizio dell’attività commerciale, purché siano imponibili. Sono esclusi, invece: - i proventi realizzati mediante attività commerciali connesse agli scopi istituzionali o raccolte pubbliche di fondi in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione, per un numero di eventi non superiore a due per ogni periodo di imposta e per un importo massimo complessivo di euro 51.645,69 euro; - i corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione, percepiti a fronte di servizi ricompresi nell’art. 2195 c.c. e che sono stati presentati in conformità alle finalità istituzionali dell’ente; - le raccolte occasionali di fondi e contributi, ai sensi del art. 143 T.U.I.R. disposti da amministrazioni pubbliche per lo svolgimento delle attività istituzionali; 157 - i premi di addestramento e formazione tecnica degli atleti dilettanti. Il computo dei proventi di natura commerciale segue il principio di cassa296, in linea con quanto disciplinato dalla direttiva IVA, secondo la quale, devono essere considerati gli introiti fatturati anche se non effettivamente incassati, salvo che non si tratti delle cessioni di beni o prestazioni di servizi per i quali l’IVA è esigibile solo al momento del pagamento del corrispettivo. Si ritiene opportuno sottolineare che, vista la forfetizzazione dei costi in misura pari al 97 %, il Legislatore non ha previsto alcun tipo di deduzione analitica degli stessi, escludendo anche la fattispecie relativa alle minusvalenze patrimoniali297. La società/associazione che decide di optare per tale regime agevolativo, se rispetta i vincoli stabiliti, rimane vincolata per un periodo pari a cinque anni. Nel caso in cui, nel corso dell’esercizio, dovessero venire meno i presupposti di applicazione 298, invece, l’ente, dal mese successivo a quello in cui si è verificato il superamento, perderebbe la facoltà di poter fruire di tale regime, assoggettandosi, così, al trattamento fiscale ordinario, nel caso sia una società, o al regime fiscale agevolato previsto per gli enti non commerciali299, nel caso sia un’associazione. Infine, l’anno successivo a quello in cui si verifica il superamento della soglia, l’ente non può fruire di tale opzione. 296 Cosi come previsto anche per il regime agevolativo previsto per gli enti non commerciali. 297 Le plusvalenze patrimoniali, infatti, concorrono alla formazione del reddito autonomamente. Si precisa che per la loro determinazione, rimangono validi i criteri ordinari, tenendo in considerazione che, poiché nessun costo può essere dedotto in via analitica, si avrà un ammortamento figurativo. 298 Proventi superiori ai 51.645,69 e proventi derivanti da più di due eventi nel medesimo periodo di imposta. 299 Ai sensi dell’art. 145 T.U.I.R.. 158 CAPITOLO 10 L’IRAP NELLE ASSOCIAZIONI E NELLE SOCIETA’ SPORTIVE PROFESSIONISTICHE. Il presupposto dell’Imposta regionale sulle attività produttive, ai sensi dell’art. 2 D. Lgs. n. 446/1997 è “l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti compresi gli organi e le amministrazioni dello stato, costituisce in ogni caso presupposto d’imposta.” Le associazioni e le società sportive dilettantistiche, pertanto, sono soggette ad Irap indipendentemente dalla loro forma giuridica. Si deve però sottolineare che ci sono regole differenti a seconda della loro natura, in particolare, le società di capitali non lucrative sono assoggettate ad un trattamento differente rispetto a quello previsto per le associazioni, le quali a loro volta sono distinguibili in enti che svolgono esclusivamente attività istituzionale o enti che svolgono anche attività commerciale. 1. Le ASD ai fini Irap. Le ASD seguono lo stesso trattamento fiscale, in ambito di Irap, previsto per gli enti non commerciali. L’art. 10 D. Lgs. n. 446/1997, prevede, tuttavia, due modalità differenti di determinazione della base imponibile. Il co. 1, infatti, disciplina le modalità di determinazione relative ai soggetti che esercitano esclusivamente attività istituzionale -­‐ “sistema retributivo” -­‐, il co. 2, invece, regolamenta la base imponibile dei soggetti che esercitano anche attività commerciale -­‐ “sistema misto” -­‐. Quest’ultimo, a sua volta, segue una disciplina differente a seconda che gli enti determinino il reddito d’impresa in maniera forfetaria o ordinaria. 159 1.1. Il sistema retributivo. Il “sistema retributivo” può essere ammesso solo ed esclusivamente per gli enti che svolgono attività non commerciale. La determinazione del valore della produzione netta è il seguente300: S RETRIBUZIONI SPETTANTI AL PERSONALE DIPENDENTE + COMPENSI EROGATI PER COLLABORAZION COORDINATE E CONTINUATIVE + ALTRI REDDITI ASSIMILATI A QUELLI DI LAVORO DIPENDENTE + COMPENSI PER PRESTAZIONI DI LAVORO AUTONOMO OCCASIONALE -­‐ COSTI DEDUCIBILI AI SENSI DELL’ART. 11 CO. LETT. A) D.LGS 446/19967 -­‐ REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE E ASSIMILATI CORRISPOSTI AI RICERCATORI E/O DOCENTI = VALORE DELLA PRODUZIONE -­‐ ULTERIORI DEDUZIONI = VALORE DELLA PRODUZIONE NETTA Si ritiene opportuno analizzare in maniera dettagliata i singoli componenti. Retribuzione spettante al personale dipendente. Le retribuzioni spettanti al personale dipendente, ad eccezione dell’erogazione di compensi arretrati, devono essere imputate in base al criterio di competenza. La base imponibile, tuttavia, non deve ricomprendere le somme corrisposte a quei dipendenti che esercitano la propria attività all’estero, nel 300 Carena M., Fornero L., Manuale delle associazioni sportive, pp. 279 e seg. 160 caso in cui tale attività si protragga per più di tre mesi e l’ente erogante sia un’associazione che svolge esclusivamente attività non commerciale. Compensi per collaborazioni coordinate e continuative. Tali compensi, in ragione della determinazione del “valore netto” in questione, devono essere considerati in relazione al momento effettivo in cui sono corrisposti e, pertanto, seguono il principio di cassa. Non devono, tuttavia, essere ricomprese nel computo di tali componenti le indennità di trasferta, i rimborsi spesa forfetari ed i compensi e premi corrisposti ai collaboratori coordinati e continuativi che esercitano mansioni amministrative e gestionali di carattere non professionale. Altri redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Con l’espressione “redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente” si intendono quelli scaturenti dalle attività disciplinate dall’art. 50 T.U.I.R., le quali concorrono alla formazione del reddito in base al principio di competenza. Non devono, però, essere ricompresi in tale voce gli assegni esenti o le borse di studio, le prestazioni pensionistiche complementari erogate dai fondi pensione e le remunerazioni dei sacerdoti. Compensi per prestazioni di lavoro autonomo occasionale. Tali compensi concorrono alla formazione del reddito in base al principio di cassa. Tra questi, come affermato dall’Amministrazione Finanziaria301 , vi rientrano le prestazioni saltuarie relative al facchinaggio, alla custodia di reperti archeologici, alla pulizia di locali e alla ricerca bibliografica. 301 C.M. n. 141/E del 1998 161 Costi deducibili ai sensi dell’art. 11 co. 1 lett. a) D. Lgs. n. 446/1997. In virtù di quanto sancito dal co. 1 dell’art. 11 D. Lgs. n. 446/1997, possono essere portate in deduzione del reddito le seguenti spese: - spese sostenute per gli apprendisti; - spese relative a disabili; - spese sostenute per soggetti assunti con contratti di formazione lavoro; - spese per il personale che svolge attività di ricerca e sviluppo; - redditi di lavoro dipendente e redditi a questi assimilati; - i contributi per le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul luogo di lavoro; - le deduzioni -­‐ “cuneo fiscale” – per dipendenti a tempo indeterminato. 1.2. Il sistema misto. Come già accennato nei paragrafi precedenti, il “sistema misto” viene applicato a quelle associazioni che svolgono sia attività istituzionale che attività commerciale. È necessario, tuttavia, fare un distinguo tra quelle associazioni che, per il calcolo del reddito d’impresa, fruiscono del sistema ordinario e quelle che, invece, adottano il metodo forfetario. Metodo ordinario. Le associazioni che determinano il reddito d’impresa sulla base del criterio ordinario, seguono la disciplina sancita dall’art. 10, co. 2, del D. Lgs. n. 446/1997, il quale prevede che si debbano indicare separatamente le due attività – commerciale e istituzionale -­‐ e, di conseguenza, le due basi imponibili. Il valore della produzione netta relativo all’attività istituzionale si determina sulla base dei criteri previsti per il metodo retributivo, mentre quello 162 relativo all’attività commerciale segue i principi generali stabiliti per le società di capitali aventi finalità lucrative. Il Legislatore, inoltre, precisa che, laddove sia possibile distinguere in maniera precisa ed oggettiva i costi riferibili alle due attività, i componenti negativi in questione, dovranno essere imputati direttamente all’una o all’altra attività. Nel caso in cui, invece, tale distinzione non sia sufficientemente oggettiva o addirittura impossibile, la base imponibile di quella commerciale si determina assumendo i costi deducibili non specificatamente riferibili a quest’ultima per un ammontare corrispondente al rapporto tra i proventi imponibili relativi all’attività commerciale e i ricavi complessivi. L’ammontare dei componenti riconducibili all’attività istituzionale, invece, viene determinato per differenza. Il Legislatore, ha previsto, infatti, la possibilità di scomputare dall’ammontare degli emolumenti determinati con il metodo retributivo gli importi relativi all’attività commerciale. Metodo forfetario. Il valore della produzione netta si determina con le medesime modalità previste per le associazioni302. 1.3. Deduzioni comuni ai due metodi alternativi di determinazione del valore della produzione netta. Indipendentemente dall’attività esercita e dalle modalità di calcolo opzionale per la determinazione del reddito, il Legislatore ha previsto la possibilità di portare in deduzione una serie di componenti, che di seguito si riportano: - deduzione forfetaria per soggetti minorenni, sempreché la base imponibile non ecceda determinate soglie303; 302 Cui si rimanda, vedi par. 10.1. 163 - deduzione forfetaria per l’impiego dei lavoratori dipendenti, sempreché i componenti positivi che concorrono a formare la base imponibile non eccedano i 400.000 euro304 . - Deduzione per incremento della base occupazionale305. 2. Le SSD ai fini IRAP. La determinazione del valore della produzione netta per le società sportive dilettantistiche segue due discipline differenti a seconda che esse adottino, per la determinazione del reddito ai fini Ires, il sistema forfetario o il sistema ordinario. Sistema forfetario. La base imponibile Irap, per coloro che adottano il regime forfetario, è determinata dalla somma algebrica dei seguenti elementi306: 303 Art. 11 co. 4 bis. D. Lgs. n. 446/1997 304 Art. 11 co. 4 bis.1 D. Lgs. n. 446/1997 305 Art. 11 co. 4 quater. D. Lgs. n. 446/1997 306 Carena M., Fornero L., op. cit., pp. 274-­‐278. 164 AMMONTARE DEL REDDITO D’IMPRESA DETERMINATO FORFETARIAMENTE + RETRIBUZIONI SPETTANTI AL PERSONALE DIPENDENTE + COMPENSI SPETTANTI PER COLLABORAZIONI COORDINATE E CONTINUATIVE + COMPENSI PER PRESTAZIONI DI LAVORO AUTONOMO OCCASIONALE + INTERESSI PASSIVI -­‐ COSTI DEDUCIBILI AI SENSI DELLA’RT. 11 CO. 1 LETT. A) D.LGS 446/1997 = VALORE DELLA PRODUZIONE -­‐ ULTERIORI DEDUZIONI = VALORE DELLA PRODUZIONE NETTA Le singole voci, seguono le medesime regole previste per la determinazione del valore della produzione delle ASD. L’unico componente che deve qui essere analizzato, perché non presente nel calcolo della determinazione del valore della produzione netta dei predetti enti, è quello degli interessi passivi, i quali devono essere imputati all’esercizio sulla base del principio di cassa e ricomprendono i canoni di leasing. Sistema ordinario. I soggetti che adottano tale criterio, determinano la base imponibile Irap sulla base delle regole “ordinarie”, disciplinate dall’art. 5 D. Lgs. n. 446/1997, previste per le società di capitali. Il valore della produzione netta è, pertanto, determinato come differenza tra le seguenti voci: 165 VALORE DELLA PRODUZIONE (voce A conto economico) -­‐ COSTI DELLA PRODUZIONE (voce B conto economico) = VALORE DELLA PRODUZIONE NETTA I costi della produzione, tuttavia, non devono ricomprendere: - i costo del lavoro (B.9); - svalutazione delle immobilizzazioni (B.10.c); - svalutazione dei crediti (B.10.d); - accantonamento per rischi (B.12); - altri accantonamenti (B.13). 166 CAPITOLO 11 LA DISCIPLINA IVA NELLE ASSOCIAZIONI E NELLE SOCIETA’ SPORTIVE DILETTANITSTICHE Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dagli enti non commerciali, sono soggette, ai fini IVA, ad una disciplina differente a seconda che la singola operazione sia ricompresa tra quelle aventi natura istituzionale oppure tra quelle aventi natura commerciale. Il legislatore ha, inoltre, previsto l’assoggettabilità ad IVA, solo ed esclusivamente in relazione alle operazioni inerenti l’attività commerciale, per le ASD che aderiscono a quanto sancito dalla L. n. 398/1997 e dall’art. 74 quater DPR n. 633/1972, mentre per le SSD, che fruiscono del predetto regime agevolativo, per tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi. 1. Gli enti non commerciali e l’IVA. L’art. 4 DPR n. 633/1972 afferma che per gli enti “che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale o agricola, si considerano effettuate nell’esercizio di impresa soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali o agricole (…) si considerano fatte nell’esercizio di attività commerciale anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni (…) sportive dilettantistiche (…), anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati delle rispettive organizzazioni nazionali.”. 167 Di conseguenza, l’associazione e la società che svolgono sia attività di natura commerciale che istituzionale, devono necessariamente tenere una contabilità separata in modo da distinguere, anche dal punto di vista contabile, la natura delle operazioni. Il Legislatore, tuttavia, nel co. 4 del medesimo articolo, deroga quanto disciplinato nel co. 1, specificando che: le cessioni di beni/prestazioni di servizi effettuate in favore di soci o associati, se “rese in conformità con le finalità istituzionali perseguibili dall’ente”, non devono essere ricomprese tra quelle effettuate nell’esercizio d’impresa. L’Amministrazione Finanziaria307, a riguardo, ha affermato, restringendo la portata della norma, che il dettato normativo in questione produce i suoi effetti esclusivamente nei confronti di quei soggetti che “partecipano a pieno titolo alla vita associativa dell’ente”. Sembrerebbe potersi affermare, pertanto, che l’operazione, qualora venga effettuata nei confronti di un associato poco partecipe all’attività dell’associazione, debba essere assoggettata ad IVA, mentre, debba essere esclusa, nel caso in cui sia prestata o ceduta ad un soggetto particolarmente attivo e partecipe. La rilevanza di un’operazione a fini IVA, tuttavia, deve essere analizzata anche in relazione alle presunzioni di commercialità o non commercialità previste dal Legislatore al successivo co. 5. Devono ritenersi, infatti, in ogni caso commerciali, indipendentemente dal soggetto nei confronti del quale vengono esercitate, le seguenti operazioni: - cessioni di beni nuovi per la vendita, escluse le pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali culturali sportive dilettantistiche etc.; - erogazione di acqua e servizi di fognatura, depurazione, gas, energia elettrica e vapore; - gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale; - gestione di spacci aziendali, di mense e somministrazione di pasti; 307 C.M. n. 25/1979. 168 - trasporto e deposito merci; - trasporto di persone; - organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; - prestazioni alberghiere o di alloggio; - servizi portuali e aereoportuali; - pubblicità commerciale; - telecomunicazioni e radiodiffusioni; Si ritiene opportuno sottolineare, infine, la posizione dell’Amministrazione Finanziaria308 in relazione alla “raccolta fondi” degli enti non commerciali, la quale assume rilevanza ai fini IVA esclusivamente nel caso in cui: - venga effettuata occasionalmente; - i beni ceduti siano di modesto valore; - abbia luogo simultaneamente a campagne di sensibilizzazione o manifestazioni. 1.1. Esclusione ed esenzione IVA. L’esclusione IVA 309 delle operazioni indicate nel paragrafo precedente, può, tuttavia, essere applicata solamente qualora l’associazione rispetti le clausole previste dal co. 7 dell’art. 4 DPR n. 633/1972. Il Legislatore, infatti, ha voluto subordinare l’esclusione delle predette operazioni alla circostanza che gli enti rispettino le seguenti condizioni310: - divietò di finalità lucrative, anche indirette; - obbligo di devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento; 308 Nota del Ministero delle Finanze 1998. 309 Un’operazione può essere esclusa anche in mancanza di requisito oggettivo, cioè quando le operazioni in essere non siano annoverate tra le cessioni di beni o le prestazioni di servizi. Il presupposto soggettivo è quello riguardante la natura dei soggetti che compiono l’operazione, la quale è soggetta ad IVA solo se effettuata nell’esercizio di attività commerciali o agricole. 310 Clausole già menzionate analizzando l’Ires e gli enti sportivi dilettantistici (cap.9). 169 - obbligo di redazione ed approvazione annuale del rendiconto economico e finanziario; - libera elezione degli organi amministrativi. Per quanto riguarda l’esenzione, invece, si ritiene opportuno sottolineare la posizione dell’Amministrazione Finanziaria 311 rispetto ai “corsi sportivi” organizzati dalle società e associazioni sportive dilettantistiche. Richiamando la disciplina specificatamente dettata per l’esenzione312, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito che non possa essere esercitata per tali corsi. L’esenzione, infatti, deve essere limitata all’attività educativa e didattica riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione, della Ricerca e dell’Università o finanziata da un ente pubblico. Pertanto, solo, qualora il corso abbia finalità educativo–didattiche e sia finanziato (o anche solo approvato) dal C.O.N.I.313, rientrerebbe di diritto nel novero di quelli soggetti ad esenzione IVA. 2. Detrazione IVA Come sancito dall’art. 19 ter DPR n. 633/1972, “è ammessa (in detrazione), a norma degli articoli precedenti e con le limitazioni, riduzioni e rettifiche ivi previste, soltanto l’imposta relativa agli acquisti e alle importazioni fatti nell’esercizio di attività commerciali e agricole”. Pertanto, l’associazione che svolge esclusivamente attività istituzionale, non può detrarre l’IVA assolta sugli acquisti, mentre, quella che le svolge entrambe, può esercitarla314 solo qualora le gestisca separatamente. 311 Circ. n. 382/1998. 312 In particolare il co. 1, n. 20 dell’art. 10 DPR n. 633/1972. “Le prestazioni educative dell’infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione l’aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da ONLUS, comprese le prestazioni relative all’alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni, anch’essi dipendenti o funzionalmente collegati, nonché le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale.” 313 Ente di diritto pubblico. 314 Solo in riferimento alle operazioni aventi natura commerciale. 170 La Corte di Cassazione315, ha, tuttavia, affermato che, l’obbligo di gestire separatamente le contabilità delle due attività, è previsto solamente “per gli enti che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali od agricole.”. Nell’ipotesi in cui l’ente, invece, eserciti attività sia imponibili sia esenti, la quantificazione dell’importo da detrarre segue una regola specifica denominata pro rata. La detrazione, in tale fattispecie, spetta in proporzione al totale delle operazioni imponibili effettuate, il che significa, che si deve necessariamente rapportare l’ammontare totale delle operazioni imponibili 316 a quello delle operazioni effettuate317. Si sottolinea, inoltre che, alla luce di quanto sancito dal Legislatore, la percentuale di detraibilità deve riferirsi all’intero importo dell’imposta assolta sugli acquisti e non solamente all’IVA assolta per i beni ad uso promiscuo. L’art. 19 bis DPR n. 633/1972, tuttavia, stabilisce che non sia possibile fruire del pro rata per il calcolo della detrazione, qualora l’ente effettui solo occasionalmente operazioni esenti, essendo, in tale circostanza, più corretto applicare il criterio basato sull’utilizzazione specifica dei beni/servizi, considerando indetraibile l’imposta relativa agli acquisti con destinazione esente. Si riporta un prospetto riassuntivo di determinazione per il calcolo del pro rata: 315 Sent. n. 7145/2001. 316 In questa circostanze si ricomprendono anche le operazioni non imponibili per mancanza del requisito di territorialità. 317 Cioè l’ammontare di tutte le operazioni imponibili e di quelle esenti. 171 Numeratore NUMERATORE SOMMATORIA DELLE OPERAZIONI CHE SOMMATORIA DI: DANNO DIRITTO ALLA DETRAZIONE: -­‐ operazioni imponibili; -­‐ cessioni di beni ammortizzabili; -­‐ operazioni imponibili “assimilate” (art. 19 co.3); m -­‐ passaggi interni tra più attività; -­‐ operazioni non imponibili (artt. 8, 8 – e bis,9, 38 quater, 71 e 72); -­‐ operazioni non soggette (art. 2 n -­‐ operazioni intracomunitarie; co. 3 lett. a), b), d) ed f) o -­‐ operazioni escluse per difetto di territorialità; -­‐ operazioni non soggette( art. 2 co. 3 lett. a), b) d) ed f); -­‐ operazioni senza pagamento di imposta (art. 74 co. 1) Denominatore DENOMINATORE Operazione esenti di cui all’art. 10 co. 1 da n.1) a n. 9) se: -­‐ non formano oggetto dell’attività TOTALE OPERAZIONI propria dell’impresa; + -­‐ NUMERATORE ESENTI -­‐ ovvero sono accessorie ad operazioni imponibili; Operazioni esenti di cui all’art. 10 co. 1 n. 27-­‐quinquies. Il soggetto che può detrarre l’imposta con il pro rata, come affermato dall’Agenzia delle Entrate318, se effettua anche operazioni escluse, deve, prima, necessariamente sottrarre dall’imposta relativa agli acquisti quella che riguarda i beni e servizi utilizzati ai fini delle operazioni escluse e, poi, applicare la percentuale. Pertanto, aiutandoci con un esempio, nel caso in cui l’ente utilizzi un bene, acquistato a seguito di un’operazione imponibile, per portare a compimento un’operazione esclusa, occorre sottrarre l’imposta relativa all’acquisto di tale bene dall’ammontare complessivo dell’imposta sugli acquisti. 318 C.M. n. 328/1997 172 Solo dopo aver effettuato tale sottrazione, è corretto calcolare la percentuale di detrazione. Infine, nella circostanza in cui l’ente debba effettuare il calcolo della detrazione in corso d’anno, questa deve riferirsi al pro rata dell’anno precedente, salvo, se necessario, effettuare il conguaglio a fine anno. 3. Acquisti intracomunitari di beni degli enti non commerciali. 3.1. Enti non commerciali non soggetti passivi d’imposta. Gli enti non commerciali non soggetti passivi d’imposta319, sono soggetti ad un particolare regime applicativo IVA in relazione agli acquisti intracomunitari, i quali, devono essere distinti come segue: - acquisti intracomunitari che nell’anno solare precedente non hanno superato il limite di 8.263,31 euro; - acquisti intracomunitari che nell’anno solare precedente hanno superato il limite di 8.263,31 euro. In base all’art. 38, co. 5, D.L. n. 331/1993, infatti, non sono assoggettabili ad IVA gli acquisti intracomunitari, effettuati dagli enti non commerciali non soggetti passivi di imposta, se di importo inferiore a 8.263,31 euro nell’anno solare precedente. Ovviamente, tale peculiarità produce i suoi effetti esclusivamente nei confronti di quei soggetti che non hanno optato per l’applicazione dell’IVA nel territorio dello Stato italiano. L’opzione ha effetto a partire dall’anno nel quale viene esercitata e fino al biennio successivo, a patto che l’ente rispetti i requisiti richiesti320. Tali enti, inoltre: 319 Sono quelli che non esercitano in via principale o esclusiva attività commerciale. 320 Ci si riferisce ai requisiti che qualificano un ente come ente non commerciale sportivo dilettantistico. 173 - devono necessariamente numerare progressivamente e annotare in un apposito registro, tenuto e conservato in ragione di quanto specificato dall’art. 39 DPR 600/1973, le fatture di acquisti intracomunitari soggetti ad IVA e le eventuali autofatture; - devono presentare, in duplice copia entro ciascun mese, una dichiarazione relativa agli acquisti registrati nel mese precedente, la quale deve contenere l’indicazione dell’IVA complessivamente dovuta, il totale degli importi riferiti agli acquisiti e gli estremi che attestino il versamento effettuato presso L’Amministrazione Finanziaria. Infine, qualora l’ente non commerciale non soggetto passivo, superi il limite di 8.263,31 euro o eserciti l’opzione per l’applicazione IVA nel territorio italiano, deve necessariamente presentare la dichiarazione di inizio attività all’Agenzia delle Entrate, la quale gli attribuirà un numero di partita IVA. Tale fattispecie, tuttavia, non attribuisce all’ente in questione, la qualifica di soggetto passivo IVA, il quale rimarrà, a tutti gli effetti, un ente non commerciale non soggetto passivo dell’imposta in questione. 3.2. Enti non commerciali soggetti passivi d’imposta. Si definisce Ente non commerciale soggetto passivo d’imposta quell’ente che svolge anche un’attività commerciale, purché non esclusiva. Tali Enti devono applicare l’imposta sugli acquisti intracomunitari inerenti l’attività commerciale e sugli acquisti intracomunitari inerenti l’attività istituzionale indipendentemente dal loro volume d’affari. Devono, inoltre, numerare conservare e annotare in un apposito registro, le fatture e le autofatture riguardanti l’acquisto di beni intracomunitari soggetti ad imposta effettuati nell’esercizio di attività istituzionali. 174 4. Regime forfetario IVA ex L. n. 398/1991. Il Legislatore ha concesso alle ASD, la facoltà di optare per il regime agevolativo previsto dalla L. n. 398/1991, il quale consente ai predetti enti di poter fruire di una serie di benefici fiscali di notevole importanza. Come si vedrà nel prosieguo del seguente paragrafo, assume particolare rilevanza la differenza, introdotta con la riforma n. 288/1999, esistente tra le attività intrattenitive e quelle spettacolistiche. Prima di affrontare nel dettaglio quanto regolamentato dalla L. n. 398/1991, si ritiene opportuno analizzare, con maggior attenzione rispetto a quanto affrontato in sede di società sportive professionistiche, la disciplina IVA introdotta a seguito della riforma prevista per le attività aventi natura intrattenitiva e spettacolistica. Le attività di intrattenimento 321 sono quelle attività che implicano una partecipazione attiva dello spettatore alla manifestazione, quelle “spettacolistiche”, invece, sono caratterizzate da una partecipazione passiva, intesa come partecipazione priva di interazione allo show. Il dettato normativo ha, inoltre, disciplinato che: - le attività aventi natura intrattenitiva sono soggette all’imposta sugli intrattenimenti e ad un regime speciale IVA; - le attività aventi natura spettacolistica, individuate dalla tabella C allegata al DPR n. 633/1972, sono assoggettate solo ed esclusivamente ad IVA sulla base di quanto regolamentato dall’art. 74 quater n. 633/1972. 4.1. Il regime speciale IVA per le attività d’intrattenimento. Il nuovo articolo 74, co. 6, DPR. n. 633/1972, applicabile alle attività soggette all’imposta sugli intrattenimenti, mantiene sostanzialmente inalterata 321 C. Bernardocchi, L. Caramaschi, op. cit., pp. 1-­‐50 175 la disciplina IVA per le operazioni soggette all’imposta sugli intrattenimenti. Restano, infatti, invariati rispetto alla formulazione precedente i seguenti criteri: - unica base imponibile per il calcolo dell’imposta sugli intrattenimenti e dell’imposta sul valore aggiunto; - liquidazione IVA semplificata, grazie alla forfetizzazione della detrazione prevista dall’art. 19 DPR n. 633/1972; - versamento dell’IVA con le stesse modalità previste per l’imposta sugli intrattenimenti; - esonero degli adempimenti contabili, ad eccezione dell’obbligo di fatturazione nei casi specificatamente individuati; - tenuta di una contabilità separata per le attività non rientranti nel novero di quelle “intrattenitive”; - applicazione per il contenzioso della medesima disciplina prevista in materia di IVA. Rispetto alla vecchia formulazione, la novità più rilevante riguarda l’esclusione delle operazioni non soggette all’imposta sugli intrattenimenti dal regime speciale IVA. Per tali operazioni, pertanto, cessa di avere applicazione la detrazione forfettaria, in virtù dell’applicazione del regime ordinario. Si ritiene opportuno, tuttavia, riportare la tabella allegata al DPR n. 640/1972, che racchiude tutte le attività assoggettabili a tale imposta e le relative aliquote: TARIFFA DELL’IMPOSTA SUGLI INTRATTENIMENTO DESCRIZIONE ALIQUOTA Esecuzioni musicali di qualsiasi genere, ad esclusione di concerti vocali e strumentali, e trattamenti danzanti anche in discoteche e sale da ballo quando l’esecuzione di musica dal vivo sia inferiore al 50 % dell’orario complessivo di apertura al pubblico dell’esercizio. 176 16% Utilizzazione dei bigliardi, degli elettrogrammofoni, dei biliardini e di qualsiasi 8% tipo di apparecchio e congegno a gettone, a moneta o a scheda, da divertimento o intrattenimento, anche se automatico o semiautomatico, installati sia nei luoghi pubblici o aperti al pubblico sia in articoli o associazioni di qualunque specie; utilizzazione ludica degli strumenti multimediali: gioco del bowling; noleggio go-­‐kart. Ingresso nelle sale da gioco o nei luoghi specificatamente riservati all’esercizio 60 % delle scommesse. Esercizio del gioco nelle sale da gioco o negli altri luoghi a ciò destinati. NOTE: 10 % 1. Gli intrattenimenti diversi da quelli espressamente indicati nella tariffa, ma ad essi analoghi, sono soggetti all’imposta stabilita nella tariffa stessa per quelli con i quali, per la loro natura, essi hanno maggiore analogia. 2. Per gli intrattenimenti e le altre attività soggetti ad imposta organizzati congiuntamente ad altri non soggetti oppure costituiti da più attività soggette a tassazione con differenti aliquote, l’imponibile sarà determinato con ripartizione forfetaria degli incassi in proporzione alla durata di ciascun componente. 3. Per l’utilizzazione degli apparecchi di divertimento e intrattenimento di cui all’articolo 14-­‐ bis comma 1.,l’aliquota è fissata al 6 %. Risulta evidente che la vendita di biglietti o abbonamenti, posta in essere dalle società e associazioni dilettantistiche, non è ricompresa in uno dei casi menzionati nella predetta tabella. Tale attività, pertanto, deve essere considerata un’attività spettacolistica e, in quanto tale, soggetta alla relativa disciplina322. Per le attività di natura intrattenitiva, quindi, la base imponibile IVA è la medesima prevista per l’imposta sugli intrattenimenti e la detrazione dell’imposta forfetizzata, regolamentata dall’art. 19 DPR n. 633/1972, è, in linea generale, prevista in misura pari al 50 % delle operazioni imponibili. Il che, in sostanza, significa che si deve applicare l’aliquota del 21 % alla base imponibile 322 In linea teorica perché, in realtà, l’attività posta in essere dalle ASD e SSD che fruiscono delle agevolazioni previste dalla L. n. 398/1991, seppur di natura spettacolistica e non intrattenitiva, sono soggette alla disciplina IVA prevista per queste ultime. 177 prevista per l’imposta d’intrattenimento e detrarre forfetariamente il 50 % da tale importo. Il legislatore ha, inoltre, previsto percentuali di detrazione differenti per alcune tipologie di operazioni, quali “le sponsorizzazione connesse all’attività di intrattenimento” e “le cessioni o concessioni di diritti di riprese radiotelevisiva.”. Le varie percentuali possono, dunque, riassumersi come segue: ATTIVITA’ DETRAZIONE Intrattenimento in generale 50% Prestazioni di sponsorizzazione connesse all’attività di 33% intrattenimento Cessioni o concessioni di diritti di ripresa televisiva e di 10% trasmissione radiofonica connessi all’intrattenimento La norma in questione, prevede, inoltre, che tale regime sia facoltativo. L’ente non commerciale, pertanto, ha la facoltà di scegliere se fruire di tale “regime di favore” o assoggettarsi al regime ordinario. Tale opzione sarà, in linea generale, conveniente solo qualora l’imposta a credito sia maggiore della metà dell’imposta a debito. 4.2. La disciplina IVA nelle attività aventi natura spettacolistica. La tabella C allegata all’articolo 74 quater DPR n. 633/1972 individua le attività che devono essere considerate “spettacolistiche” e, in quanto tali, assoggettabili ad IVA secondo la disciplina ordinaria. Tra esse il Legislatore ha ricompreso “gli eventi sportivi di ogni genere e ovunque svolti”, salvo poi prevedere una regola differente per i corrispettivi incassati dagli enti che godono del trattamento tributario di favore previsto, per le società e associazioni sportive, dalla L. n. 398/1991. Di conseguenza, qualora un ente privo di finalità di lucro decida di fruire di tale agevolazione, dovrà assoggettare i proventi derivanti da manifestazioni sportive alla disciplina specifica prevista 178 per le “attività intrattenitive.” In sostanza, dunque, con l’espressione “gli eventi sportivi di ogni genere e ovunque svolti”, il legislatore si riferisce solo ed esclusivamente a quelli effettuati nell’esercizio di attività lucrative e, pertanto, posti in essere da società sportive professionistiche. 4.3. Regime IVA forfetario previsto ex L. n. 398/1991. L’art. 9 co. 1 DPR n. 544/1999 stabilisce che, per le associazioni sportive dilettantistiche che optano per il regime tributario previsto dalla L. n. 398/1991, tutti i proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali connesse agli scopi istituzionali323 siano assoggettabili al regime speciale IVA previsto per gli intrattenimenti o giochi324. Si ritiene opportuno, a riguardo, specificare quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate325, secondo la quale tale regime deve essere applicato a tutte le operazioni di natura commerciale e, pertanto, anche a quelle che, di regola, non dovrebbero essere soggette all’imposta sugli intrattenimenti326. Le ASD, pertanto, possono detrarre l’IVA in misura pari al 50 %, per le operazioni aventi natura intrattenitiva di carattere generale, mentre per quanto riguarda contratti di sponsorizzazione o cessione di diritti radio-­‐televisivi, rispettivamente al 10 % ed al 33%. Il Legislatore, inoltre, prevede che tale regime possa essere adottato solamente dalle associazioni che: - sono affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi delle leggi vigenti; - svolgono effettivamente attività sportiva dilettantistica; 323 Come gli introiti derivanti da vendita di biglietti o di abbonamenti. 324 Di cui all’art. 74 co. 6 DPR. N. 633/1972. 325 Circ. n. 165/2000. 326 Tra tali proventi, devono essere ricompresi anche quelli di natura pubblicitaria. 179 - hanno un ammontare complessivo di ricavi non superiore a 250.000 euro; - hanno manifestato la volontà di esercitare tale opzione agevolativa. Le ASD che decidono di non fruire di tali agevolazioni, o che sono impossibilitate a farlo, sono assoggettate ad IVA secondo le disposizioni ordinarie. L’art. 9, co. 3, DPR n. 544/1999, prevede, in aggiunta, che le società o le associazioni debbano rispettare i seguenti adempimenti: - numerare progressivamente e conservare le fatture di acquisto, annotare, entro il giorno quindici del mese successivo l’ammontare dei corrispettivi e di qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività commerciale; - versare trimestralmente l’IVA mediante delega unica di pagamento entro il giorno sedici del secondo mese successivo al trimestre di riferimento. Si specifica che il predetto versamento non deve essere maggiorato degli interessi dell’1 % previsto per i contribuenti “trimestrali per opzione”, in quanto tale ipotesi deve essere considerata analoga a quella dei contribuenti “trimestrali per natura”. - annotare in maniera separata i proventi che non costituiscono reddito imponibile, ai sensi dell’art. 25, co. 1., L. n. 133/1999, le plusvalenze patrimoniali e le operazioni intracomunitarie. In merito alla certificazione dei corrispettivi mediante rilascio della ricevuta fiscale, il Legislatore, all’art. 2, co. 1, DPR n. 696/1996, sancisce che le operazioni poste in essere dai soggetti che fruiscono del regime agevolativo 180 previsto dalla L. n. 398/1991, non sono soggette all’obbligo di certificazione delle predette ricevute fiscali. Ciò, tuttavia, come correttamente affermato dall’Agenzia delle Entrate327, non esonera tali enti dall’emissione dei titoli di accesso per le attività di intrattenimento e di spettacolo proposte. Pertanto, le operazioni soggette all’imposta sugli intrattenimenti e quelle ad essa connesse, assolvono gli obblighi di certificazione, con il semplice rilascio di titoli di accesso emessi esclusivamente mediante misuratori fiscali, biglietterie automatizzate e biglietterie connesse al sistema centrale, gestito dal Ministero delle Finanze, conformi a quanto previsto dalla legge. Si sottolinea, tuttavia, che, qualora tali attività siano svolte nei confronti degli associati, le associazioni sono esonerate dall’obbligo di utilizzare il misuratore fiscale. Si ritiene opportuno precisare che gli enti non commerciali soggetti passivi IVA328, invece, sono tenuti a consegnare un titolo di accesso, rilasciato tramite l’utilizzo di appositi strumenti, che ricopre sia la funzione di documento di legittimazione che la funzione di documento fiscale. Questi devono contenere tutti i dati previsti per gli scontrini fiscali329 e tutte le informazioni indicate all’art. 3 D.M. 13.7.2000330. Si precisa, inoltre, sempre in relazione ai titoli di accesso dei soggetti passivi d’imposta che l’art. 26 DPR n. 640/1972, disciplina l’emissione di quelli gratuiti, i quali, infatti, possono essere emessi nel limite del 5 % della capienza del locale ragguagliato ad ogni categoria di posto per le manifestazioni “ordinarie” e del 2 % dei posti di ciascuna categoria nel caso di attività occasionali. Concludendo, si riporta una tabella riepilogativa dei principali aspetti del regime speciale IVA per le attività di intrattenimento, applicabile ai soggetti che optano per la L. n. 398/1991331: 327 Circ. n. 165/2000. 328 Come visto anche in sede di analisi delle peculiarità delle società sportive professionistiche. 329 Ditta, denominazione/ragione sociale, partita IVA e ubicazione dell’emittente, dati contabili, data, ora e numero progressivo di emissione. 330 Natura dell’attività esercitata, luogo, impianto e sala dell’evento, numero e ordine di posto etc. 331 E de Marchi, M, Peirolo, op. cit., p. 320. 181 REGIME SPECIALE PER LE ATTIVITA’ DI INTRATTENIMENTO Uguale all’imposta sugli Tutti i proventi conseguiti nell’esercizio di Base imponibile intrattenimenti attività commerciali. - 10 % per le operazioni di sponsorizzazione; - un terzo per la cessione e la concessione dei diritti Detrazione televisivi o radiofonici; - -­‐ 50 % per le altre operazioni imponibili (escluse le prestazioni - 10 % per le operazioni di sponsorizzazione; - un terzo per la cessione e la concessione dei diritti televisivi o radiofonici; - 50 % per le altre operazioni imponibili (escluse le prestazioni pubblicitarie) pubblicitarie) Si per le eventuali attività di Certificazione corrispettivi SI intrattenimento e spettacolo poste in essere. Tenuta del registro previsto per i c.d. Registrazione corrispettivi NO contribuenti “supersemplificati” in relazione ai proventi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali. Solo per prestazioni di: - pubblicità Emissione delle fatture attive - sponsorizzazione - cessione o concessione di diritti televisivi. Registrazione delle fatture attive Registrazione delle fatture d’acquisto In apposita sezione del registro delle fatture d’acquisto. Si sull’apposito registro. Solo per prestazioni di: - pubblicità - sponsorizzazione cessione o concessione di diritti televisivi. No, solo numerazione progressiva e conservazione. No, solo numerazione progressiva e conservazione Modalità e termini previsti Versamento dell’IVA per l’imposta sugli Trimestrale senza interessi intrattenimenti Presentazione della dichiarazione IVA annuale e NO della comunicazione annuale SI 182 IVA Analizzando attentamente la disciplina in questione, tuttavia, si può agevolmente riscontrare che non viene effettuato alcun riferimento all’aliquota applicabile. Si potrebbero, pertanto, formulare una serie di ipotesi a riguardo. La prima afferma, in virtù della medesima base imponibile, l’applicazione, ai fini IVA, dell’aliquota prevista per l’Imposta di intrattenimento. Il problema di tale ipotesi, tuttavia, è rappresentato dall’identificazione dell’aliquota di applicazione corretta. E’ agevolmente riscontrabile, infatti, che tra le opzioni elencate nella tabella allegata al DPR n. 640/1972 non possa essere ricondotta, nemmeno in via analogica, l’attività di cessione di biglietti di accesso a manifestazioni sportive. Una seconda alternativa, invece, prevede l’applicazione dell’aliquota ordinaria del 21 %, determinata dall’assenza dell’attività in questione tra quelle disciplinate dalla tabella allegata al DPR n. 633/1972, assoggettabili ad aliquota ridotta. Infine, la terza e ultima ipotesi prevede di assoggettare tali operazioni alle medesime aliquote previste per le attività spettacolistiche esercitate dalle società professionistiche o dalle società dilettantistiche senza scopo di lucro e, pertanto, all’aliquota del 11 % se il corrispettivo incassato è inferiore ai 12,91 euro e all’aliquota del 21 % se superiore. 4.4. Regime IVA ordinario per le attività spettacolistiche. Qualora le ASD decidano di non optare per il regime fiscale di favore previsto per le società e associazioni sportive, le attività di natura spettacolistica non possono fruire della disciplina prevista per quelle aventi natura intrattenitiva e, dunque, sono assoggettabili ad IVA sulla base dei principi ordinari correlati con quanto sancito dall’art. 74 quater del DPR n. 633/1972. L’articolo in questione, come già rilevato nei paragrafi precedenti, ricomprende tra le attività soggette a tale regime gli spettacoli sportivi di ogni genere, 183 ovunque si svolgano. L’aliquota applicabile per l’esercizio di tali operazione è pari al 10 % se il corrispettivo incassato è inferiore ai 12,91 euro e all’aliquota del 21% se superiore. Si ritiene opportuno porre in evidenza che il Legislatore estende tale disciplina anche alle attività accessorie a quelle di natura spettacolistica. 184 CAPITOLO 12 LE ASD E LE SSD E LE IMPOSTE INDIRITTE. Il trattamento fiscale riservato alle ASD e alle SSD, come riscontrate per le imposte affrontate, è agevolato rispetto a quello ordinario. 1. Imposta di registro. L’art. 90, co. 5, della L. n. 289/2002, prevede che gli atti costitutivi e di trasformazione societaria o associativa, nonché delle Federazioni sportive e del C.O.N.I, se direttamente connessi con l’esercizio dell’attività sportiva, sono assoggettabili all’imposta di registro in misura fissa, pari a 168 euro. Il trattamento di favore è facilmente individuabile nella circostanza in cui l’ente in questione riceva come conferimento, al momento della costituzione, un bene immobile. In tal caso, infatti, l’ente è soggetto al pagamento dell’imposta in misura pari a 168 euro, a fronte dell’aliquota proporzionale del 7 % stabilita dall’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al DPR n. 131/1986. Per quanto concerne le ipotesi di trasformazione societaria/associativa, la L. n. 289/2002, che regolamenta le disposizioni tributarie delle ASD e SSD, non introduce alcuna deroga rispetto a quanto sancito dalla norma generale in materia di imposta di registro332 . L’art. 4 co. 1 lett. c) della predetta norma, infatti, stabilisce che “alle altre modifiche statutarie, comprese le trasformazioni e le proroghe” si deve applicare l’imposta in misura fissa pari a 168 euro. Il contratto di sponsorizzazione posto in essere dagli enti non commerciali, come visto nel paragrafo precedente, è soggetto al regime speciale IVA previsto per le attività assoggettabili ad Imposta sugli intrattenimenti. Pertanto, in virtù dell’alternatività prevista tra IVA e imposta di registro333, tale contratto è assoggettabile ad Imposta di registro in misura fissa pari a 168 euro. 332 DPR n. 131/1986. 333 F. Tesauro, op. cit., Parte Speciale, pp. 314-­‐315 “ Un atto scritto, compreso nel novero degli atti soggetti ad imposta proporzionale di registro, se reca cessioni di beni o prestazioni di servizi soggetti ad IVA, non soggetto ad imposta in misura proporzionale, ma in misura fissa.”. 185 2. Imposta di bollo, tasse sulle concessioni governative e imposta sulla pubblicità. Gli atti delle società/associazioni sportive dilettantistiche sono soggette all’imposta di bollo secondo quanto previsto dalle disposizioni generali in materia. Non è, infatti, ad esse applicabile, poiché non menzionate nell’art. 27 bis della Tabella, Allegato B del DPR n 642/1972, l’esenzione prevista per le ONLUS. Tale regime agevolativo, infatti, si applica in ambito sportivo esclusivamente alle Federazioni sportive nazionali e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I.. Infine, per quanto riguarda l’imposta sulla pubblicità, la L. Finanziaria 2006334 pone fine ai dubbi interpretativi inerenti l’art. 11 bis L. n. 289/2002335, disciplinando che essa, “in qualunque modo realizzata dalle società e associazioni sportive dilettantistiche, rivolta all’interno degli impianti dalle stesse utilizzati per manifestazioni sportive dilettantistiche con capienza inferiore a 3.000 posti, è esente dall’imposta sulla pubblicità.” 334 Art. 128 co. 1 L. n. 266/2005. 335 “La pubblicità, in qualunque modo realizzata negli impianti utilizzati per manifestazioni sportive dilettantistiche con capienza inferiore a 3000 posti, è da considerarsi, ai fini del DPR n. 640/1972, in rapporto di occasionalità rispetto all’evento sportivo.” 186 Conclusioni Il mondo dello sport nel corso degli ultimi sessant’anni ha subito rilevanti trasformazioni, fino a diventare un vero e proprio business, capace di generare un notevole volume di denaro e di interessi difficilmente raggiungibile dagli altri settori. La caratteristica che, con ogni probabilità, ha generato così tanto interesse verso tale settore, è il “paradosso competitivo”, ritenuto il vero punto di forza di ogni attività sportiva. A differenza degli altri settori, infatti, nel mondo dello sport più c’è competizione tra le società o gli atleti, più la manifestazione suscita interesse e maggiori saranno il business e gli introiti generati. Quando si analizza il mondo sport, purtroppo o per fortuna336, molte volte si finisce inevitabilmente per affrontare ed incentrare l’analisi sul mondo del calcio, poiché, innegabilmente, ha rappresentato e rappresenta tuttora, la locomotiva trainante di tutti i grandi mutamenti susseguitisi nel corso degli anni. Basti pensare alla riforma del ’66 e alla riforma successiva alla sentenza Bosman del ’95, in cui il calcio è stato a tutti gli effetti, il vero pioniere del cambiamento. Il fatto che si concentri lo studio nel mondo del calcio, non vuol dire, tuttavia, che non si presti attenzione alle dinamiche presenti negli altri sport. Al fine di comprendere nel migliore dei modi questo mondo così ampio e particolare, si è ritenuto opportuno, anche in virtù di un diverso trattamento normativo, sia fiscale che civilistico, suddividere l’analisi in due parti: il mondo professionistico da un lato e quello dilettantistico dall’altro. I due mondi, infatti, sono due mondi che, sebbene siano caratterizzati dallo stesso oggetto – la pratica sportiva – sono notevolmente differenti. Nel mondo professionistico, ormai da anni, l’interesse primario non è più lo scopo nobile ed ideale di promuovere la pratica sportiva, intesa come una pratica avente notevole importanza dal punto di vista socio–culturale, ma è diventato il business e di conseguenza anche la visibilità. L’anomalia, tuttavia, è che quando si parla di business, sarebbe logico immaginare che le società sportive siano in grado di 336 Dipende dai punti di vista. 187 generare una ricchezza e di distribuirla agli azionisti. Purtroppo non è così, ma, anzi, nella stragrande maggioranza dei casi, e non solo nel calcio – si pensi al basket – le società sono cronicamente in perdita e se non fosse per i continui aumenti di capitale, sottoscritti dagli azionisti di maggioranza, molto probabilmente oggi molte delle società più rinomate non sarebbero ancora in vita. Il mondo professionistico, ancor più di quello dilettantistico, vede la predominanza della disciplina calcistica rispetto alle altre, le quali, purtroppo sono costrette a vivere di luce riflessa. Per quanto concerne l’analisi della disciplina fiscale delle società sportive professionistiche, si sono posti in evidenza gli aspetti sui quali si è maggiormente dibattuto nel corso degli anni e sui quali non si è ancora arrivati ad una soluzione unanime e condivisa. Tra questi, non si può non ricomprendere, in primis, il trattamento fiscale dei DPC nei bilanci delle società calcistiche professionistiche. La loro classificazione assume una fondamentale rilevanza per quanto concerne l’assoggettabilità ai fini IRAP. Qualificare la plusvalenza derivante dalla cessione di un DPC alla voce A.5 o E.21, come si è riscontrato, non è privo di rilevanza. Fintanto che il Legislatore tributario non si decide a trattare tale spinosa questione e la Corte di Cassazione non viene interpellata a riguardo, la questione rimarrà difficilmente risolvibile e condivisibile unanimemente. L’Agenzia delle Entrate, risolve la questione, prospettando la soluzione a sé più favorevole nel caso in cui la cessione generi plusvalenza 337 . Non dimentichiamo, infatti, che nel caso in cui il Legislatore dovesse optare per l’esclusione dalla base imponibile Irap delle plusvalenze da DPC, vi sarebbe una pesantissima ricaduta per l’Erario, che vedrebbe così notevolmente ridotte le entrate nelle casse dello stato. Sempre in relazione al mondo dello sport professionistico, un’altra questione spinosa è quella riguardante la territorialità IVA della cessione dei proventi da diritti televisivi. La soluzione prospettata dall’Amministrazione 337 Le società, a seguito della cessione di un DPC, possono conseguire anche una minusvalenza. 188 Finanziaria è una “soluzione di comodo” e in quanto tale non può essere accettata. Non si pone in discussione la difficoltà esistente nel determinare con esattezza la territorialità IVA di questa prestazione di servizi, vista la vastissima platea cui sono dirette simultaneamente in tutto il mondo. Basti pensare al numero di spettatori, e alle loro più svariate nazionalità, di una finale di Champions League o di una finale dei Campionati Mondiali, ma non si può assolutamente pensare di poter accettare una soluzione impositiva prospettata per un’ oggettiva difficoltà di determinare la fruizione del servizio. Pertanto, si riterrebbe opportuno che il Legislatore intervenisse con un provvedimento legislativo ad hoc, volto a definire in maniera certa la territorialità di tali componenti, che rappresentano la fonte di incasso più elevata per le società, e che sono sicuramente di importo rilevante anche per le eventuali casse dello stato. Per quanto concerne il dilettantistico, invece, si condivide la volontà del legislatore di agevolarne la diffusione e la pratica sportiva, poiché caratterizzato, se svolto con correttezza e realtà, da motivi puri e ideali che non si possono non condividere, e di conseguenza agevolare. Un atleta dilettante infatti, non si affaccia al mondo dello sport per motivi di natura economica, ma al contrario è esclusivamente motivato dalla passione. Si pensi, ad esempio agli atleti delle discipline olimpiche, i quali, nella maggior parte dei casi338, dedicano un’intera vita di sacrifici per poche migliaia di euro l’anno. È altrettanto vero, tuttavia, che in moltissimi casi, dietro la costituzione di ASD, si celano interessi completamenti differenti da quelli per i quali sono stati disciplinate. Accade, infatti, di frequente che il reale motivo sottostante alla creazione di questi enti senza finalità lucrativa, sia dovuto dal trattamento fiscale di favore, che permette agli associati di pagare pochissime imposte per l’attività esercitata e, contrariamente a quanto regolamentato, di distribuire la ricchezza generata. Per limitare l’utilizzo e la diffusione di questa pratica, il Legislatore ha introdotto la prevalenza del comportamento concludente del contribuente. Si ritiene, tuttavia, che tale intervento correttivo debba essere un 338 Vi sono delle eccezioni, come la Pellegrini ed i pallavolisti in generale 189 . punto di partenza e non un punto di arrivo nella lotta alla diffusione di questa pratica ingannevole. Infine, sempre in riferimento al mondo dilettantistico vi è la questione un po’ contorta inerente le attività intrattenitiva e le attività spettacolistiche. Appurato che l’attività sportiva in generale è da considerarsi attività spettacolistica, il Legislatore, derogando la disciplina generale, assoggetta le cessioni di beni/prestazioni di servizi effettuate da ASD che optino per il regime agevolativo della L. n. 398/1991, alla disciplina speciale IVA prevista per le attività intrattenitive. Si è condivisa la ratio agevolativa alla base di tale decisione, ma si è posta in evidenza una lacuna del dettato normativo. Il Legislatore, infatti non ha stabilito quale debba essere l’aliquota IVA da applicare in tali circostanza, limitandosi a farlo solo ed esclusivamente per le attività dello stesso genere esercitate dalle società sportive professionistiche. Ora, si è ritenuto maggiormente opportuno, nel corso della trattazione, tra le varie alternative ipotizzata, sostenere quella che prevede l’applicazione delle medesime aliquote applicate dalle società sportive professionistiche. Il mondo dello sport è sicuramente ancora oggi soggetto a cambiamenti, basti pensare all’introduzione, nel mondo del calcio, del fair play finanziario da parte della UEFA, che porterà cambiamenti notevolissimi a livello gestionale – amministrativo dei club. Un esempio è già quello del Milan, che per rientrare nei limiti previsti da tale regolamento, ha dovuto effettuare una campagna cessioni rilevante per ripianare le perdite in bilancio. La crisi economica degli ultimi quattro anni ha inciso significativamente anche nel mondo dello sport e del calcio in particolare. Sembra, tuttavia, che tale situazione sia maggiormente “pesante” in Italia piuttosto che negli altri paesi, Spagna e Inghilterra su tutti. Tralasciando l’ingresso in tale mondo di magnati russi o petrolieri arabi, che ovviamente hanno profondamente stravolto la concorrenza nel mondo del calcio, si ritiene che tale differenza sia dovuta a profonde diversità normative esistenti previste tra i vari stati. Si pensi, infatti, alla c.d. “Legge Beckam” del 2002 in Spagna, che permetteva339 alle società di 339 Non più in vigore dal primo gennaio 2013. 190 applicare ai calciatori non spagnoli, quali ad esempio Kakà e Cristiano Ronaldo, un’aliquota del 24 % a fronte del 43 % per quelli spagnoli, o si pensi all’Inghilterra in cui l’indebitamento di Manchester United e Chelsea nel 2011 – 1,5 miliardi di euro – era praticamente pari al doppio di quello di Inter e Milan – 792 milioni di euro. Ora, si ritiene opportuno che a livello comunitario venga regolamentata una disciplina comune per le società. In questa direzione si è mossa la UEFA con l’approvazione del Fair play finanziario, il quale però regolamenta solo ed esclusivamente la gestione economico -­‐ finanziaria dei club, lasciando scoperto l’aspetto fiscale. Tale aspetto, pertanto, deve essere regolamentato a livello normativo, dai vari stai dell’UE, i quali, con un accordo internazionale, potrebbero finalmente porre fine a questa disparità di trattamento e rendere questo sport più equo. 191 Bibliografia • AIROLDI G., Contenzioso e sanzioni Irap: soggettività attiva e passiva della regione, in Corriere Tributario, 2000. • AIROLDI G., BRUNETTI G., CODA V., Lezioni di economia Aziendale, Bologna, 1989. • AMATUCCI F., Trattato di diritto Tributario, I, Padova, 1994. • ANDREANI S., Prestazioni d’opera e collaborazioni “tipiche” dello sport dilettantistico: questioni (ancora) aperte, in Enti non profit 6, 2011. • ANGELONI F., Aspetti civilistici degli enti non profit e dell’attività di volontariato, ESI, 1999. • ANTONINI L., La Corte assegna l’Irap alla competenza esclusiva statale. 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