ORAZIO FRANCESCO PIAZZA Elementi di Etica sociale Anno accademico 2002 Dispense per la Facoltà di Economia Università degli Studi del Sannio Benevento Premessa “La richiesta di un’etica si fa tanto più urgente, quanto più il disorientamento manifesto dell’uomo, non meno di quello nascosto, aumenta senza misura” (M. Heidegger, Lettera sull’umanesimo). “Ci assicurano dovunque che la filosofia morale è tenuta attualmente in grande onore. Poiché una morale onorata dall’opinione pubblica è a priori soggetta a cauzione, bisogna accogliere con qualche diffidenza queste rassicuranti affermazioni” (W. Jankélévitch). Queste, sono solo delle piccole tracce di un paradosso sempre più evidente che si va delineando nella questione della rinascita dell’etica, oggi. Il bisogno etico, senza evidenti rimandi fondativi, altro non è che lo svelamento di un diffuso disorientamento dell’uomo della post e tardo modernità nella difficile gestione del suo mondo e delle possibilità di intervenire in esso. D’altro canto, la facile affermazione di 2 una ritrovata centralità dell’etica, in un contesto in cui frammentazioni e valutazioni autonomistiche in campo etico sono tese a fondare particolari e interessate progettualità, fa supporre che l'etica possa essere asservita, in modo pregiudiziale, a fattori predeterminati proprio da chi richiede una oggettiva conferma e il riconoscimento-avallo delle proprie scelte e volontà. Sono molti i pensatori, da P. Ricoeur a K.Otto Apel, a segnalare questa paradossalità. Si parla molto di etica, e da tutti, ma si fa fatica a riconoscere comuni e stabili fondamenti; si è, inoltre, passati da una condizione particolaristica a quella universalistica e globalizzante. La scienza e la tecnica hanno reso mondiali le strutture della gestione del vivente, ma anche i suoi effetti, e in questa nuova dimensione i corrispettivi problemi richiedono un accentuato senso di responsabilità; in tale contesto, nessuna etica particolaristica è in grado di regolamentare questioni sempre più complesse che riguardano l’economia, la scienza, la politica, la tecnica, la vita nella sua stessa struttura. L’impegno teso a fondare norme autentiche è avvolto dalla nebbia della postmodernità che ha segnato la fine delle tradizioni; se fondare significa conferire alle cose un principio di intelligibilità e una ragion d’essere; individuare, cioè, attraverso riferimenti giusti e universali, il campo teorico e pratico di tali questioni, si comprende, dunque, come divenga ancor più problematica la questione dell'etica. Sarà necessario avere sempre più consapevolezza dello scarto, della distanza esistente tra domanda etica e sua fondazione; per questo, il nostro tentativo si apre decisamente alla prospettiva di centrare il discorso sulla sua fase fondativa, più che sul semplice bisogno generato da evidenti difficoltà e questioni più o meno diffuse oggi. Accanto a questa tematica, risulta anche rilevante la diffusa la sensazione di essere collocati in una contestualità fluttuante, dove la ricchezza e la possibilità delle varianti della vita, in ogni sua forma, si traduce, in concreto, nella flessibilità dei rapporti e delle regole che genera equilibri fragili ma, comunque, sostenibili e praticabili. Sembra che ad una società integrata da una visione progettuale e realizzatrice, succeda una società segmentata che si appella alla partecipazione di tutti per la costruzione dell’insieme societario, ma non avendo riferimenti eticamente riconoscibili non riesce ad esplicitare giusti mezzi e finalità. È il fenomeno della frammentazione delle singole sfere dello scambio sociale. A livello di conoscenza, si afferma la figura della scienza, come prisma del sapere; a livello della diffusione del sapere, si evidenzia il fenomeno della comunicazione di massa, svincolata dalle tradizionali forme del rapporto personale. Si segnala il passaggio dalla società organica alla società complessa. In questo passaggio è decisivo il fattore della globalizzazione dell’economia e la forza del mercato: questo comporta la necessità di una separazione tra i momenti di scambio legati alla vita di lavoro (scambio materiale e della produttività) e quelli dell’universo simbolico (familiare-affettivo, culturale, religioso, politico). La vita pratica è ben distinta dalle opinioni politiche/religiose. La pluralità di codici di senso e di comportamento, pone il delicato compito di produrre privatamente la sintesi dei diversi momenti di vita che risultano appunto frazionati in diversi sistemi di scambio sociale. In rapporto a questa nuova esigenza sono ancor più decisivi il sapere e le forme di diffusione del sapere. Il rapporto con il sapere è mutuato dall’uso quotidiano dei suoi prodotti ed è legittimato, come mentalità diffusa, dalla sua diluizione nella opinione pubblica, da cui è difficile prendere le distanze. Non meno problematico risulta il livello delle forme di comunicazione del sapere. Da un lato è facilitato al singolo l’accesso (facilità e quantità dell’informazione), ma nel contempo è reso più complicato il suo compito. All’informazione è accompagnata la modalità della sua acquisizione: il pubblicista oltre al messaggio offre anche il modo di recepirlo e di utilizzarlo; è maestro di pensiero. La molteplicità quasi infinita di queste informazioni e dunque dei maestri, costringe il soggetto al dover scegliere. A scegliere, ma sicuramente a non giudicare: Al soggetto, infatti, mancano competenza (altre informazioni) e criteri. Si crea il disagio del dover, a tutti i costi, scegliere e prendere posizione, per tentare di uscire da una condizione di disagiata incertezza, che ha riflessi diversificati sicuramente sul piano della identità personale e su quello socioculturale, al punto da pervenire ad una acritica distinzione tra identità privata e identità pubblica. “L’identità personale diventa, essenzialmente, un fenomeno privato. È questo forse l’aspetto più rivoluzionario della società moderna. Il frazionamento istituzionale ha lasciato non strutturate ampie zone della vita dell’individuo e non determinato il contesto biografico globale di significanza. Dagli interstizi della struttura sociale derivanti dal frazionamento istituzionale è sorta quella che potrebbe chiamarsi la sfera privata. La liberazione della consapevolezza 3 individuale della struttura sociale e la libertà nella sfera privata costituiscono la base per quel senso alquanto illusorio di autonomia che caratterizza la persona tipica della società moderna” 1. In questo articolato orizzonte risulterà oltremodo importante mettere a tema la centralità della dimensione relazionale-sociale della persona, come realtà strutturante il senso stesso dell'ethos umano. Inoltre, diventerà sicuramente sempre più evidente che l'etica, per sua natura, rimanda al senso più autentico dell'uomo, a ciò che è degno della sua umanità. Sarà importante poter decifrare l'essere dell'uomo, nel suo poter e saper fare; ciò che è umanamente giusto da ciò che risulta all'uomo possibile. Questo nostro percorso cercherà, oltre l'attualità di tante problematiche, di presentare l'essenziale per considerare la dimensione sociale dell'etica, poiché questa è possibile definirla come "la scienza di ciò che l'uomo deve essere, poiché la vita morale non consiste soltanto nel fare in senso stretto, ma nell'orientare tutta la nostra attività (…) in un determinato modo, verso un determinato ideale umano"2. CAPITOLO PRIMO La Problematica SOMMARIO: 1. Il paradigma perduto: etica e tecnica. - 2. Il paradigma ritrovato: il ritorno all'ethos. - 3. Il perché e il come di un’etica sociale. – 4. Chiarificazione terminologica. 1. Il paradigma perduto: ethos e technè. - Con questa definizione di N. Luhmann, paradigma perduto (paradigm lost), viene portato all’attenzione, non solo teoretica ma anche ordinaria e pratica, l’attuale e più delicato problema del mondo civilizzato: il disorientamento etico, e la sua concreta sua rilevanza nella vita, rispetto alla straordinaria capacità del mondo tecnico-scientifico di intervenire e di modificare il reale, il mondo, l’uomo stesso. È la complessa situazione della sur-modernità, di una modernità dell’eccesso, una modernità in qualche modo imballata. Sua caratteristica chiave: l’oscuramento del futuro, in favore della gestione funzionale e pragmatica del presente; sua struttura: la complessità iscritta in una società economicamente sviluppata, secolarizzata e modernizzata; decentrata e policentrica; in crisi dialettica tra desiderio e limite, e che vive un pluralismo estremizzato, fortemente segnata da una distruttività che vuole annullare ciò che consuma. Una società immersa in un radicale cambiamento e i cui connotati sembrano essere delineati da: - Trasformazione della temporalità: spazializzazione del tempo. - Crisi della progettualità: smarrimento e perdita dei punti di riferimento. - Scomparsa dei luoghi: profonda trasformazione dello spazio e destrutturazione del senso sociale del luogo. - Scomparsa delle età - Crisi della relazione generazionale - Ipersocializzazione - Crisi della parola e trasformazione della struttura logica del linguaggio in favore di una struttura d’insieme (dal conseguenziale al reticolare) - Pluriidentità: identità frammentata, composita, in continua evoluzione, ambivalente, contraddittoria e mai compiuta; impossibilità di comprendere e di dominare efficacemente la realtà; perdita del centro sociale e creazione di piccoli mondi vitali - Crisi delle grandi narrazioni fughe nostalgiche: fine dei grandi riferimenti storici; ritorno a miti e fughe dal mondo Sono tratti di una società globalizzata, cognitiva e multimediale, dal carattere olistico, sistemico, reticolare, interconnesso del sapere e della comunicazione e fortemente segnata dal meticciamento etnico-culturale. 1 2 TH. LUCKMANN, La religione invisibile, Il Mulino, Bologna 1969, 137. S. VANNI ROVIGHI, Elementi di filosofia, III, Brescia 1963, 189. 4 Con una immagine, che rende ragione della situazione, Ulrick Beck vede i parametri etici oggi del tutto insufficienti, almeno nella consueta formulazione, alla potenza e alla determinazione della tecnoscienza: “L’etica gioca nei modelli delle scienze divenute autonome il ruolo che possono avere i freni di una bicicletta applicati ad un aereo intercontinentale” 3. Questa ironia nasconde il peso tragico della postmodernità, ma pone anche l’ineludibile questione del rapporto tra etica e tecnoscienza. La configurazione classica dell’etica, progetto normativo, sembra ormai non corrispondere più ai dinamismi tecnici, dei mercati, dei processi evolutivi. L’etica diviene una flebile voce rispetto alle esuberanti voci teconologiche: è stata sostituita nell’orientamento e nella condotta umana da altre forme (tecniche-economiche-scientifiche) che si impongono senza possibilità di pausa riflessiva alle scelte quotidiane dell’uomo. È il paradigma della tecnoscienza, in cui potere e sapere si sono alleati in un sodalizio epocale. “La tecnoscienza fornisce una condotta molto più efficace e aderente all’agire dell’uomo; impone un obbligo che induce, più di ogni altra morale, a rispettare le sue regole; organizza la vita sul pianeta con la inesorabilità e la potenza di un movimento geologico. In rapporto ai fenomeni tecnoscientifici, etica e morale acquistano i connotati dei fossili”4. Si aggiunga a questa manifestazione di effettiva potenza, l’alleanza tra tecnoscienza, industria, economia, che palesa la cruda e reale inadeguatezza, teorica e pratica, dell’homo simbolicus all’homo faber, all’homo oeconomicus o al telematicus homo. Questi modelli, alleati tra loro e ognuno armonico rispetto all’altro, mostrano come l’uomo simbolico sia lontano dal poter acquisire una mentalità tecnoscientifica, in quanto ancora dominato da parametri lontani dalle contestualità in atto. In realtà, se la questione del paradigma è posta in questi termini ( di autofondazione e di autoreferenzialità) la questione etica non potrà mai essere recuperata, se non facendo i conti con la realtà tecnoscientifica (adeguamento) o riducendo le sue istanze di senso ( dal senso ultimo – al corto raggio; dalla legittimità – alla pura convenzionalità dei processi fattuali e quotidiani). Senza cadere in opposizioni reciprocamente riduttive, o sul versante etico o su quello tecnico, è invece necessario tener presente l’evidenza di queste due realtà: etica e tecnica. Sembra opportuna un’interazione, per altro necessaria, più che una inutile opposizione in cui entrambe risulteranno manchevoli. Vengono suggerite tre piste operative: a. porre l’attenzione sul carattere nuovo della tecnica moderna, come realtà da cui è scaturita la ragione della perdita del paradigma etico; in tal senso è possibile leggere le linee di un orientamento etico della grande marcia tecnologica dell’umanità. b. La necessità di aprirsi ad una prospettiva macro-etica che risulti adeguata ai contesti globalizzati della scienza, dell’economia e della tecnica. Guardare oltre la formulazione strettamente individuale della ragione etica, per corrispondere ai contesti di macro-azione tecnologica. c. Tracciare una free-zone che risulti riconoscibile sia al processo tecnoscientifico, sia all’orizzonte etico, come terreno comune dove poter armonizzare questi procedimenti così diversificati (individuosocietà; bene economico e bene umano; progresso e natura). Potrà essere forse la Persona umana, oltre le varianti ideologiche che la possono definire, questa zona di incontro? Appunto in questa linea, seguendo l’interrogativo di H. Harendt che ci ricorda: possiamo forse sfuggire alla nostra condizione umana? Alla ricerca di questa condizione si avvia il nostro viaggio, nel tentativo di conciliare questi vari e complessi paradigmi. 2. Il paradigma ritrovato: il ritorno all'ethos. - Nel suo testo, Volontà di potenza, pensiero n.263, Nietzsche afferma «Vedere e mostrare il problema della morale- questo sembra il compito e la cosa principale». La nuova condizione dell'uomo postmoderno costringe a ripensare i punti di partenza per notare se ciò che tecnicamente è possibile lo è anche moralmente. La neutralità della tecnica rispetto al proprio oggetto (uomo-mondo) pone l'urgenza di una integrazione di ordine etico. La nostra cultura non si è mai mossa senza tener presenti modelli di valore. 3 4 U.BECK, Gegengifte. Die unorganisierte Verantwortlichkeit, Frankfurt a.m. 1988, 194. F. VOLPI, Le Paradigme perdu. L’éthique contemporaine face à la thecnique, 165. 5 Si passa da una tradizione più squisitamente speculativa ad una situazione pratica. Il mondo da oggetto di osservazione diviene ambito di trasformazione. Si apre lo scontro fra Pensiero e Volontà (Wille), spostando l'attenzione su obiettivi tesi al recupero dell'uomo nella sua esperienza artistica ed eticomorale. Dalla ratio (ragione) si passa alla dote morale: «L'eccellenza morale sta più in alto di ogni sapienza teoretica...l'uomo moralmente nobile...rivela con le sue azioni l'intuizione più profonda, la più alta sapienza»5. Kierkegaard sottolinea il valore dell'esistenza come fonte di scelte che portano l'uomo ad uno stadio qualitativamente superiore. All'ideale logico di Hegel si contrappone la realtà minuta dell'esistenza, dove si decide la sorte dell'uomo6. Su questa linea, ma con ovvie diversificazioni, si collocano Stirner e Feuerbach nel loro pensiero pratico; l'eros di Freud e Marcuse; la prassi rivoluzionaria della Scuola di Francoforte; la volontà di potenza di Nietzsche e Adler; l'inconscio dello strutturalismo di Lacan e Foucault; l'esperienza esistenziale di Heidegger e l'ansia della trasformazione sociale di stampo neomarxista. La riflessione si concentra sul concetto di salvezza (preservazione-liberazione), piuttosto che sulla questione ontologica dell’essere dell’uomo. Nel postmoderno non emerge la sola sistemazione coerente della conoscenza, ma si fa spazio la sete di salvezza dall'alienazione economica, dalle inibizioni psichiche, dalle astrazioni mistificanti, dalla frammentarietà e dalla mollezza della civilizzazione. Gli influssi più vicini che orientano verso una riproposizione dell'etica aprono un ventaglio notevole di posizioni: positivistica (Popper-Albert); analitico-linguistica (Hare); politica (Strauss-Voegelin); ermeneutica (Gadamer-Ritter-Bubner); trascendentale (Vollrath-Apel); fenomenologica (Landgrebe-Held); neomarxista (Habermas-Adorno); ecologica (Spämann). Queste diversificate posizioni rimandano sostanzialmente ad un processo comune che è possibile identificare in tre passaggi7: - una pretesa neutralità della scienza, soprattutto economica, rispetto a quei contenuti etici che sembravano limitarne autonomia e possibilità; - la caduta dell’assioma di questa certezza della autonomia della scienza economica di fronte alle rilevanze e agli effetti delle interazioni sociali (commons); - il superamento del nodo cruciale tra equità ed efficienza. Il passaggio della concezione del mercato da mezzo di calcolo a modello di calcolo apre il versante simbolico di valutazioni legate a temi quali la blame-freeness (assenza di biasimo) che molto richiama la prospettiva filosofica dell’empatia (porsi nella situazione dell’altro), o del vantaggio che nasce dal rispetto singolo delle regole “Il dovere va oltre il vantaggio, ma l’accettazione del dovere è vantaggiosa”8. Questo processo segnala il cammino del ritorno dell’etica nel panorama della scienza economica, ma evidenzia anche i limiti di alcuni tentativi (etica degli affari) che in modo chiaro hanno cercato di eludere la questione di una fondazione etica esogena (valore esterno) alle regioni stesse dell’economia. Ma ora, senza addentrarci nello specifico delle varie teorie, cerchiamo, per le caratteristiche del nostro percorso, di partire innanzitutto da una previa chiarificazione terminologica, appunto per eliminare subito persistenti e diffuse ambiguità concettuali. 5 A.SCHOPENHAUER, Il fondamento della morale, tr.it. di E.Pocar, Laterza, Bari 1981, 279-80. Cf S.KIERKEGAARD, Diario. 7 Cf S.ZAMAGNI, Sul reinserimento della dimensione etica nel discorso economico, in M.MAGATTI (a cura), La porta stretta, FrancoAngeli, Milano 1993, 61-80. 8 D. GAUTHIER, Morals by Agreement, CUP, Cambridge Mass. 1986, 2. 6 6 3. Il «perché» e il «come» di un’etica sociale.-. - Per quanto non siano mai sfuggiti i problemi relativi alla dimensione sociale, politica ed economica dell’uomo, si deve ritenere che l’idea di un’etica sociale a se stante è relativamente nuova. Essa, specificamente, suppone lo studio della realtà specifica della società e dei gruppi sociali che le scienze sociologiche hanno adeguatamente caratterizzato, preparando la strada al superamento delle visioni individualistiche e moraleggianti delle etiche tradizionali. Queste, infatti, pretendevano di trasferire la normatività dell’etica individuale e intersoggettiva al piano delle istituzioni sociali, ignorando del tutto la peculiarità delle strutture e il peso dei condizionamenti che queste esercitano sull’agire del singolo soggetto umano. “Al cambiamento di prospettiva hanno contribuito diversi fattori: riscoperta e approfondimento di taluni orientamenti delle morali classiche a torto obliati in favore di una casistica etica privatizzata; sviluppo del sapere sociologico; influenza del movimento e dell’ideologia marxista. Si afferma da molti che il merito del socialismo di derivazione marxista sia quello di aver stabilito che i problemi dell’etica sociale sono problemi di struttura della società non solo di istituzioni, ma anche di forme diverse di stratificazioni sociali – cioè di classi e di ceti – le quali, pur essendo un prodotto dell’attività umana, condizionano la vita dell’uomo e non possono essere modificate dall’azione isolata delle persone”9. Appunto queste caratteristiche delle strutture sociali danno fondamento e oggetto all’etica sociale, caratterizzandola come riflessione critica sulle strutture sociali esistenti e orientamento normativo di una prassi, in vista di una particolare visione dell’uomo (antropologia). Proprio l’antropologia decide il passaggio da una etica individuale ad un’etica sociale. L’uomo è posto dinanzi a problemi etici di carattere planetario. Si impone l’esigenza di un’etica della solidarietà a livello mondiale, per superare le profonde spaccature Nord-sud, Est-Ovest; per fronteggiare il disastro ecologico e il suo progressivo estendersi a tutti i livelli; per fronteggiare alle sempre più diffuse condizioni di conflittualità etnica. Si presentano, inoltre, radicali ripensamenti dell’uomo e del suo mondo attraverso le straordinarie capacità di sviluppo della tecnologia applicate al mondo del lavoro, della salute, della pedagogia; in particolare, informatica e telematica non possono essere considerate al di fuori di una considerazione etica che si rinchiuda nella torre del solo giudizio o di assoluzione o di condanna. Tecnologie e informatica determinano nel mondo del lavoro profondi cambiamenti di tipo quantitativo (riduzione del lavoro) e qualitativo (modalità di rapporto a lavoro-non lavoro) che coinvolgono direttamente l’etica sociale. E come tacere delle questioni che la tecnologia applicata ha determinato nel contesto del mondo biologico e sanitario. E’ la sfida dell’ingegneria genetica (embryo-tranfert, clonazione) e delle nuove possibilità di prolungamento della vita o della sua interruzione. Si fa pressante la domanda in questi ambiti: ma ciò che è tecnicamente possibile è anche legittimo attuarlo? Le possibilità scientifiche, le ricerche, corrispondono immediatamente al decidere di realizzarle. Si spalanca l’orizzonte del valore etico della persona umana e delle domande di senso: a partire dal primato assoluto dell’uomo, come persona, e della sua liberazione; dal rapporto di comunione che deve caratterizzare i legami interumani, si va elaborando un’etica che sappia porre domande pertinenti all’informatica, alla telematica e alle nuove tecnologie. Domande relative alla finalità dell’uomo e del suo agire, del suo vivere e morire. Ma come queste possibili valutazioni si riscontrano nel difficile processo di armonizzazione tra la dimensione etica e il percorso economico e sociologico? La riflessione etica ha vissuto un importante rinnovamento nel XX secolo. E’ un rinnovamento che ha diverse motivazioni. In primo luogo, il rinnovamento della filosofia analitica, l’analisi del linguaggio e l’interesse per i sistemi logici non classici. Questo è un rinnovamento puramente teorico che, però, deve necessariamente essere messo in parallelo con lo sviluppo dell’esistenzialismo sartriano che ha posto una notevole mole di problemi pratici. Ma, la motivazione più recente di questa rinascita è da riscontrarsi nei movimenti di opinione degli anni ‘60-’70, che porta in evidenza questioni significative come aborto, ecologia, eutanasia, pace, femminismo, dignità umana…Accanto a queste sensibilità si sviluppa la grande koinè del progresso di tipo biologico, tecnico, genetico, che ha presentato situazioni inedite per l’uomo. Tutti questi movimenti, teorici e pratici, hanno acceso infuocate discussioni che sono la base della questione etica oggi. Per meglio caratterizzare questo ambito i filosofi anglosassoni lo definiscono come etica applicata (applied ethics). Questa idea di un’etica applicata si fonda sulla distinzione tra teoria etica (meta-etica) e etica pratica (sustantive-ethics), che riguarda i casi concreti. 9 G. MATTAI, Etica sociale, in Dizionario di Sociologia, EP, Cinisello Balsamo 1987, 798. 7 Al di là delle discussioni classiche sul necessario apporto filosofico alla questione, come si diceva è appunto la visione esistenzialistica sartriana a porre in concreto il problema. A partire da una data visione filosofica si prende posizione su questioni generali: antisemitismo, tortura, uguaglianza della donna…Inoltre, diventano oggetto di discussione questioni concrete del vissuto dell’uomo: può, senza motivo, un datore di lavoro licenziare un operaio? Si vedrà che, in pratica, a seconda della visione filosofica soggiacente si perviene a differenti conclusioni. Chi si rivolge alla teoria del plus-valore, riterrà questa un’ingiustizia; chi invece al diritto di proprietà, trova questa ipotesi normale. Tali problematiche sono affrontate nel contesto risolutivo delle lotte sindacali e divengono oggetto di una specifica branca dell’etica: etica degli affari (business ethics); particolarmente diffusa negli Stati Uniti e affrontata anche attraverso il dibattito di due riviste specializzate (journal of Business Ethics e Business and Professional Ethics Journal). Quanto detto dimostra che la soluzione di tali questioni non è affidata a teorie globali, a opinioni politiche o religiose, ai vari rapporti di forza, ma a pensatori che professionalmente riflettono accademicamente, e dunque sistematicamente, sui possibili esiti. L’autonomia che l’etica applicata rivendica, corrisponde alla possibilità di esaminare dei casi particolari, di discutere le possibili soluzioni e di valutare razionalmente i sistemi etici, in funzione di questi obiettivi. Ma, probabilmente, l’espressione etica-applicata è mal compresa. Essa è spesso l’esatto contrario dell’applicazione di una teoria. Sarebbe opportuno valutarla, piuttosto, come una casistica moderna. Per questo non è tanto la capacità di verificare il caso particolare in rapporto al principio universale, quanto la possibilità di sapere se questa azione che si va compiendo è legittima. In definitiva, si cerca di valutare i problemi concreti e reali, legati allo sviluppo della civilizzazione moderna. Vi sono evidentemente delle teorie etiche (ad esempio l’utilitarismo e il kantismo), ma queste riscontrano attenzione nella misura in cui concorrono alla soluzione delle questioni concrete che attraversano la vita dell’uomo. In estremo, come per R.M. Hare, si tende a dire che può ritenersi valida una teoria etica, nella misura in cui riesce a risolvere i problemi pratici. In questa prospettiva funzionale, l’etica applicata sembra aver ridato energie all’etica classica legandola ai suoi effetti concreti. In un mondo dove si diffonde la stessa capacità tecnica, è appunto il caso concreto e reale, empirico, che si offre come oggetto specifico dell’etica e non tanto un insieme di teorie astratte, sottomesso alla varietà di tradizioni e di culture. In questa linea sembra evidente che l’etica applicata si avvia a produrre un reale cambiamento dell’assetto stesso dell’etica in quanto tale: ridisegna il rapporto tra teoria e realtà; tra soggetto e società. E’ la posizione di Marcuse o di Sartre che rileggono il rapporto con lo Stato e la società borghese, per recuperare l’autenticità di un uomo alienato. Nel suo L’Uomo unidimensionale, Marcuse critica violentemente le scienze umane; la psicologia e la sociologia hanno il dovere di studiare i problemi concreti del lavoro e del lavoratore, senza rifugiarsi in valutazioni universalistiche e generali di sistemi economici e sociali. L’etica degli affari, che prima abbiamo citato, cade sotto l’urto di queste critiche. Così l’etica applicata non è più riconducibile ad una funzione filosofica astratta e universale, ma è impersonata nelle figure attive di comitati etici che avviano la soluzione dei problemi e li studiano nel contesto delle scuole economiche10. Ci chiediamo: in ragione di un simile prospetto è questa la nostra posizione? Siamo in una Business School? in una Business ethics School? E’ riconducibile l’etica, teorica o pratica, a questa dimensione particolaristica e meramente funzionale? E ancora: è ipotizzabile un percorso diverso che, rispecchiando anche l’utile funzionalità della risoluzione dei problemi pratici, sia capace di avviare una riflessione che possa avere un suo ineludibile fondamento? In definitiva, l’etica ha solo un carattere utile e funzionale o apre anche il varco alla riflessione essenziale dell’uomo che vive problemi e concrete situazioni? A tali quesiti risponde il nostro tentativo di analisi; il percorso tracciato per ricondurre la domanda etica a quello stesso soggetto che vive i problemi pratici; in realtà, si pone la questione della persona e del suo fondamento etico tra le tante e diffuse etiche oggi applicate e tra i vari modelli che nella storia hanno descritto questo tentativo di armonizzazione. 10 Cfr. S. AUROUX, Éthique, in DPh, coll.870-872. 8 3.Chiarificazione terminologica. - Per mostrare la complessità e la complessificazione del rapporto tra etica e le dimensioni socio-economiche, è quanto mai opportuno far subito maggiore chiarezza sul termine etica, poiché non sono poche le ambiguità che si sono in questi ambiti generate. Il termine etica, dal greco ethos, raccoglie un insieme di caratteri: - Al singolare indica consuetudine, costume, modo abituale di agire; è usato in parallelo al latino mos-moris, da cui deriva il termine morale. Sostanzialmente si può notare la profonda affinità tra etica e morale, in quanto designano la stessa dimensione e lo stesso campo di indagine, ma, come si vedrà, presentano condizioni profondamente distinte. - Un secondo significato si dischiude allorquando ethos è usato al plurale (ethous): luogo consueto di abitazione, mondo o ambiente di vita umana, mondo della coscienza, ambito e contesto di comportamento. - Esiste, però, una terza forma, abbreviata (etos), il cui significato è: disposizione. Questa è una definizione nominale che indica l’uso corrente del termine, ma non possiamo ancor dire che sia il suo significato. All’origine di questo contenuto si trova il detto eracliteo: l’ethos è un demone (Frammento 119). Se si pone in relazione il senso del termine demone con quello espresso nella dottrina socratica (Cratilo, 397d-398c; Apologia, 3c-d; 40a-b; 41d), si può dedurre che questo demone altri non è che la coscienza: la dimensione in cui trae origine, si configura e si svolge il senso e la destinazione dell’uomo in rapporto al bene e al male. Con questa chiarificazione, il termine etica non può ridursi alla semplice rappresentazione del comportamento o dell’azione, ma si estende fino a comprendere il mondo interiore dell’uomo, la coscienza, che è in effetti alla base del comportamento. Per questo l’indagine etica deve innanzitutto partire dalla chiarificazione di questo centro vitale dell’uomo, in cui si determina il senso e la motivazione dell’agire. In ragione di questa dimensione strutturale e strutturante, l’uomo si costituisce essenzialmente come un soggetto etico e/o morale. Si può così tentare una prima definizione, affermando che lo studio dell’etica, altro non è che lo studio della coscienza dell’uomo11. Ma la coscienza deve qui essere colta nella sua condizione di esigenza dell’uomo stesso, come sua nativa dimensione costitutiva, come sua essenziale caratteristica che lo distingue dal resto della realtà. In quanto coscienza, l’uomo si scopre come essere capace di libertà e dunque di decisione. Si può, quindi, descriverla come: - esigenza nell’uomo: in quanto è a lui intimamente connessa e non può dirsi, in alcun modo, a lui esterna. Non è frutto della sua volontà, ma è scoperta nell’atto stesso in cui l’uomo scopre il suo stesso essere; - esigenza che si impone all’uomo: è un vincolo indistruttibile che può caratterizzarsi come comando o proibizione e a cui ci si rapporta con l’assenso; - esigenza posta dall’uomo: in quanto non può essere definita come una necessità istintuale o una costrizione interiore, ma si identifica con l’attualità, con le scelte che l’uomo stesso pone. E’ una esigenza che si collega alla libertà. Si può anche dire che l’uomo la sua stessa libertà. Diventa logica una prima valutazione: se l’attualità, la posizione dell’uomo si identifica con l’esigenza etica e se, inoltre, la sua concreta storicità si identifica con la libertà, si deve dedurre che l’esigenza etica è la sua libertà. L’uomo si costituisce nel porre liberamente a se stesso l’esigenza della sua libertà. Come si può notare, tra libertà ed esigenza etica si determina una identità: si crea lo spazio vitale della coscienza. In sintesi: le tre caratteristiche della esigenza etica e della coscienza, in cui essa si esprime, qualificano l’uomo come soggetto etico: è l’uomo stesso ad essere, per se stesso, una esigenza che lui stesso pone. Ma quale è il principio etico che fonda questa affermazione? E’ un principio che fonda unitamente l’etica stessa e lo stesso soggetto che lo pone. Per tanto etica assume: Cf A.MOLINARO, Etica del riconoscimento, in AA.VV., L’agire responsabile, Ed.Augustinus, Palermo 1991, 100101. 11 9 - in primo luogo, il senso di quella dimensione reale per cui l’uomo è soggetto etico, cioè la realtà della coscienza, delle esigenze che essa pone, del suo principio; - e poi, designa il sapere o la scienza che indaga su quella realtà. Sono dunque convergenti queste due condizioni: quella del sapere, che diventa immediatamente giudizio etico, regola e norma di azione; e quella della libertà, cioè della personale capacità di decisione e di attuazione. L’unità di questi due momenti costituisce l’intero ambito della realtà pratica, cioè della realtà della coscienza e della sua costituzione. Su questa realtà si iscrive la riflessione etica: essa indaga teoricamente la realtà pratica, cioè stabilisce la verità della realtà etica riconducendola ai suoi princìpi costitutivi e fondanti. Essa diviene, in tal modo, teoria della pratica, teoria della normatività pratica. La normatività risiede nella coscienza e nella sua attuazione come giudizio (sapere) e decisione (libertà). Ciò non solo perché la coscienza è l’intera etica, che in sé trova la sua obbligatorietà, ma anche perché fuori della coscienza non è rintracciabile una sorgente diversa da cui la normatività proviene; o perché, qualora vi possa essere una sorgente ad essa esterna, tale normatività deve essere dalla coscienza accolta come sua convinzione e la offre a se stessa come convinzione vincolante12. Il termine etica specificamente, dunque, significa: - studio teorico dei principi che dirigono l’azione umana nel contesto storico; - insieme di principi che guidano l’azione degli individui in quanto appartenenti ad un gruppo sociale determinato e che da questa appartenenza ricevono regole comportamentali. Per questo spesso si parla, in modo indistinto, di teoria etica e di teoria morale, si parla di etica professionale e non di morale professionale. E’ qui opportuno porre la distinzione: - l’etica è orientata alla riflessione sui principi; cerca di decostruire le regole di condotta che formano la morale, i giudizi di bene o male che la stessa morale elabora. - Cosa definisce l’etica? Non una morale, cioè un insieme di regole proprie tipiche di una cultura, ma una meta-morale, una dottrina che si colloca oltre la stessa morale; una teoria ragionata dei giudizi e dei valori morali. - Cerca di giungere all’estremo limite e all’essenza del dovere; le basi stesse delle prescrizioni o dei giudizi morali. Cerca di giungere alle fonti; riguarda la teoria e la fondazione della stessa morale. Intanto oggi è sempre più diffusa una rarefazione di questa sua specificità: si parla di etica degli affari, di etica del danaro, di etica dei media ecc., confondendo l’etica con un insieme di regole che la avvicina più a forme deontologiche che non alla sua natura metamorale e soprattutto a dottrina fondatrice che enuncia principi e non regole. Se la morale si coagula in prescrizioni, l’etica è invece chiamata a fare operazione critica su di esse, ad interrogare e a discernere. Dunque l’etica si definisce attraverso un duplice significato: teoria ragionata del bene e del male ; imperativo pratico, applicato, la cui coerenza concettuale deve essere valutata. Capitolo secondo Dimensione storica 1. Etica e sociologia. - a. Illuminismo sociologico o neo-illuminismo debole; b. La riscoperta dell'etica come scienza della morale; c. La prospettiva di Habermas e di Luhmann. La morale della «comunicazione»; d. Analisi e critica della prospettiva di Luhmann; e. La fine del modello di separazione tra morale personale e sistema sociale. 2 . Etica ed economia. - a. Approccio classico; b. Approccio moderno; c. Rilievi conclusivi. 3. Etica e sviluppo. - a. Dimensione economica dello sviluppo; b. Limiti dello sviluppo ; c. La risposta alla tesi apocalittica.; d. Aspetti umani SOMMARIO: 12 Cf Ivi, p.103-104. 10 (antropologici e dunque etici) dello sviluppo; e. Alcune tracce di riferimento per un approccio etico. 4. Varietà di modelli etici. 1. Etica e sociologia. - La crisi delle ideologie ha condotto ad un avvicinamento tra due poli che erano rimasti a lungo lontani. La crescente complessità del nostro mondo vitale e la crisi dei modelli classici delle scienze, ha reso necessario un confronto soprattutto fra l'etica e la sociologia. Queste due scienze, dalla struttura metodologica classica quasi opposta: ETICA SOCIOLOGIA Prescrizione (semplice posizione Registrazione di norme) (osservazione del reale) sono oggi impegnate in un nuovo stile di collaborazione che delinea ed approfondisce nuovi spazi di ricerca. Di fronte alla molteplicità ed alla specificità delle diverse scienze, si richiede oggi con insistenza una prospettiva unitaria a partire dalla quale interpretare la realtà per intervenire, consapevolmente, su di essa. Necessita, dunque, una rilettura della sociologia, dell'etica, e della reciprocità del loro rapporto13. a. Illuminismo sociologico o neo-illuminismo debole. Negli anni settanta la sociologia vive l'età di un nuovo illuminismo che assume, però, tratti del pensiero debole e caratteri tipici della post e tardomodernità. È, pertanto, illuminismo sociologico, perché la realtà vitale dell'uomo è considerata ancora a partire dalle potenzialità della ragione umana che analizza le situazioni, eliminando ogni fantasia idealista, come avveniva per l'illuminismo storico. Il sapere sociale, la considerazione dello sviluppo socio-economico e culturale, supera tutte le utopie e le contestazioni, per divenire un sapere della realtà. È neo-illuminismo, perché cambia l'interpretazione della razionalità, che non viene più letta come potenziale di liberazione personale e comunitaria, ma è soltanto la struttura di funzionamento del sistema sociale. È debole perché viene meno la fiducia ottimistica nella ragione comune che consente di realizzare condizioni sociali giuste; le capacità razionali più avanzate vengono considerate solo in relazione al progressivo adattamento funzionale del sistema ai vari ambienti di vita. Un neoilluminismo debole segnato dal rifiuto di due classici presupposti del vecchio illuminismo: «l'eguale partecipazione di tutti gli uomini a una ragione comune, posseduta senza ulteriori mediazioni istituzionali, [e] la fiducia ottimistica nella possibilità di riuscire a realizzare condizioni sociali giuste»14. È la totale frattura con l'etica. Tutti i processi che organizzano la società, sono sistemi automatici e meccanici di selezione, che vanno liberati da ogni vincolo di norme, valori o regole morali, in favore di capacità razionali avanzate sempre più astratte, sempre più lontane dalla natura e dalla tradizione del mondodella-vita-quotidiana dei singoli. Risultano evidenti alcune conseguenze: - l'esclusione, dalle funzioni socio-sistemiche, della ricerca dell’integrazione sociale secondo valori guida etico-sociali; - la preoccupazione di ridurre l’interferenza delle legittimazioni per via di partecipazione popolare; - la manipolazione dei bisogni dei singoli; - il primato dell'adattamento funzionale del sistema sociale all'ambiente, anzitutto umano, riducendo le interferenze fenomenologiche della soggettività, della coscienza e della intersoggettività. b. Riscoperta dell'etica come scienza della morale. Alla fine degli anni ottanta questa lettura della società presenta notevoli problemi e, contemporaneamente, cresce l'attenzione per l'etica come scienza della morale, ossia come teoria critica delle norme che guidano l'attività pratica dell'uomo. Ma anche l'etica sembra aver bisogno di una nuova 13 14 Cf O.F.PIAZZA, Teologia e sociologia di fronte al futuro, in RdT 35 (1994), 464-479. N. LUHMANN, llluminismo sociologico, Il Saggiatore, Milano 1983, pp. 74 11 fondazione, perché le etiche classiche, sia quella della tradizione cristiana che quella laica 15, associavano il livello della morale personale a quello della morale comunitaria, mentre, al contrario, si va sperimentando una netta scissione tra: MORALE SOCIALE L'unica morale sociale sembra essere quella della salvaguardia e crescita del sistema stesso, con regole di condotta funzionali alla sua conservazione. MORALE PRIVATISTICA Rifiuto di ogni ingerenza della società nelle scelte individuali: si individuano regole morali solo nell'immediatezza dei rapporti interpersonali L'idea che la morale possa cogliersi soltanto nella concreta comunicazione tra le persone (morale privatistica), significa che il comportamento umano non è più regolato da valori e principi assoluti che vincolano gli uomini, ma che esso è letto come un prodotto dell'agire comunicativo. È l’affermazione dell’approccio sociologico e comunicazionale alla morale. Si considera il comportamento dell'uomo non in base ad una scala verticale e progressiva di valori stabiliti, ma come il risultato di un asse orizzontale di scambi, relazioni e comunicazione tra persone. È n approccio che tende sempre più a decentrare e a circoscrivere lo spazio dove vigono regole morali. È un approccio che, in qualche modo, riesce ad accomunare anche posizioni teoriche molto distanti, come quelle di Luhmann16 e di Habermas. c. La prospettiva di Habermas e di Luhmann. Appunto queste due rilevanti posizioni, seppur distanti tra loro, ci aiutano a capire come una lettura sociologica della morale tenda sempre più a decentrare e a ridurre lo spazio dove vigono regole morali, con notevoli ed evidenti difficoltà per l'uomo che deve conciliare in sé vita privata e vita sociale. Per Habermas17 è possibile gettare un ponte tra la morale intersoggettiva che lega le persone ed un'etica sociale; tra la morale intersoggettiva di un mondo vitale e le istanze universalistiche dell'etica, anche al di sopra delle barriere nazionali, perché la morale, nella prospettiva dell'agire comunicativo18, non chiama in causa la coscienza personale, ma una cultura ed un sapere comunitari; un patrimonio di certezze condivise, per nascita e storia, che costituiscono una base comune a partire dalla quale è possibile collegare l'agire del singolo all'agire della comunità. E' facile comprendere come questa prospettiva, che legge la morale come un processo che avanza con gli stadi dell'evoluzione naturale, debba rinviare sempre a responsabilità comunitarie e non soggettive. Pertanto, «si può parlare di colpa soltanto in senso intersoggettivo, cioè quasi nel senso dell’involontario prodotto di un intreccio comunicativo che gli agenti senza la loro responsabilità individuale, devono attribuire ad una responsabilità comunitaria»19. Non essendo più evidente un centro normativo e valoriale così forte da integrare tutte le soggettività, queste sono raccolte nel dato di fatto del mondo di vita comune. In questo modo la libertà e la responsabilità individuale rischiano di divenire una semplice appendice contingente del livello generale e complessivo di comunicazione, che continuamente si produce indipendentemente dalla volontà dei singoli. In pratica, nella morale concepita in termini di pura comunicazione- a differenza di quella in termini di metafisica dei valori - «l'asse orizzontale della comunicazione prende il sopravvento su quello verticale della decisione [e] la finitezza del soggetto 15 In particolare le etiche che inquadrano l'utilitarismo del sentimento (Hume), dei desideri di felicità del maggior numero di persone (Bentham), degli imperativi della ragion pratica (Kant). 16 Specificamente di N. Luhmann, cf: I fondamenti sociali della morale, in AA.VV., Etica e politica. Riflessioni sulla crisi del rapporto fra società e morale F. Angeli, Milano 1984, 9-20; e in particolare, 12. Ancora, Il fenomeno della coscienza morale e l'autodeterminazione etica della personalità in «Giornale di Teologia» 100 (1977) 151-77. 17 J. Habermas, Etica del discorso (a cura di E. Agazzi), Laterza, Roma-Bari 1985. 18 Cfr. J. Habermas, Agire comunicativo e logica delle scienze sociali, Il Mulino, Bologna 1980, p. 301. 19 Cf ID., Etica del discorso, op.cit., soprattutto alle pp.123-202. 12 deve presupporre che ogni sua decisione sia contingente»20. Secondo Luhmann, al contrario, soltanto le persone concrete, nei loro rapporti reciproci, sono chiamate in causa nella produzione di criteri morali di condotta. «In tutte le questioni morali c'è un confronto tra persone»21. Il sistema sociale complessivo, che procede mediante una selezione dell'utile, risulta totalmente separato dalla morale soggettiva. Il sistema morale, a differenza di quello sociale, tende invece ad essere «pienamente personalizzato». Non si può, dunque, parlare in senso proprio di morale societaria, essa ha senso solo come frutto di processi di riflessione e valutazione dei macrosistemi sociali. La selezione secondo l'utile, necessario a conservare l'identità del sistema, separa per così dire l'imperativo categorico del sistema sociale dalla morale soggettiva, intersoggettiva e di mondo vitale. Specificamente questa posizione, merita una più approfondita valutazione critica. d. Analisi e critica della prospettiva di Luhmann. La diversità di natura tra le morali personali (che ovviamente sono molteplici) ed il dovere di ogni sistema di selezionare l'utile, che Habermas vuole comporre attraverso la prospettiva della comunicazione, viene presentata da Luhmann come una separazione totale fra i due poli secondo quattro principali argomenti: 1. Non vi può essere congrua proporzione tra la prospettiva intenzionale del singolo nel piccolo gruppo e la prospettiva del sistema sociale nel suo insieme, perché il primo punto di osservazione della realtà è estremamente limitato rispetto al secondo22. 2. Data la prima osservazione, ne consegue che ogni sistema sociale collettivo, se vuole essere efficiente ed efficace, non può essere vincolato a sistemi di credenze e di valori che prescindano dalla prassi concreta e dal tempo storico. Dunque l'amministrazione della cosa pubblica è tenuta ad esercitare razionali attività manipolatorie nei confronti degli cittadini. 3. Quindi, il sistema perde ogni riferimento finalistico che non sia la sua propria autoconservazione. Ciò significa che nessuna azione sociale può essere legittimata in termini di maggiore o minore bene comune, o di maggiore umanizzazione della vita, perché manca totalmente una prospettiva trascendente di ottimizzazione globale. Il tutto si risolve nel moderare solo gli egoismi individuali, secondo una concezione utilitaristica della persona umana. 4. Ogni relazione all'interno del sistema, caduti i contenuti etici della gerarchia, sarà stabilita non secondo una struttura sociale definita in termini di autorità e subordinazione, ma esclusivamente in base alla diversità delle funzioni. L'uomo, sostanzialmente, è ciò che fa. Diverse realtà sociali, tra gli anni settanta ed ottanta, mostrano di rispecchiare fedelmente la teoria di Luhmann (il contenimento del welfare state con l'incremento della solidarietà privata, la riduzione delle pretese di moralità pubblica in diversi ambiti a patire da quello politico, nuovi tipi di manipolazione delle masse, il ricorso a saperi specializzati per risolvere ogni tipo di malessere sociale). Sembra che Luhmann si sia limitato ad analizzare una situazione di fatto, ma la sua teoria sostiene una de-eticizzazione sistematica della realtà sociale come componente necessaria per l'evoluzione progressiva del sistema. Da questa teoria segue che il sistema sociale non si può avvantaggiare della crescita di attenzione morale e di domanda di senso che si sviluppa dalla sfera del privato verso il pubblico, anzi il sistema viene, in tal modo, intralciato nelle sue funzioni. Mentre, d'altra parte, i centri di direzione politica non potranno poi fare appello, nemmeno in situazioni difficili, all'impegno gratuito ed alla corresponsabilità dei cittadini; non possono aspettarsi risposte positive dagli «ambienti» che non rientrano nella competenza organizzativa. Si può concludere, in questa prospettiva, che nei momenti di maggiore difficoltà, questa separazione radicale, non fa che aggravare la crisi, senza in alcun modo avviare a risolverla. 20 M.G. Lombardo, Il senso etico della teoresi funzionalista, in «Fenomenologia e società», gennaio-marzo 1984, pp. 21-43; v. in particolare p. 23. 21 Luhmann, Illuminismo sociologico cit., p. 78. 22 Cf Luhmann, llluminismo sociologico, cit., p. 97. 13 e. La fine del modello di separazione tra morale personale e sistema sociale. Nonostante il grande contributo per l'interpretazione di processi che realmente si sono verificati nelle società avanzate dalla fine degli anni sessanta in poi, le analisi dell'illuminismo sociologico non convincono al punto da indurre ad eliminare l'etica dal processo dell'organizzazione sociale. Variegate e consistenti controtendenze sono sempre più presenti nella vita sociale: crescita della domanda di senso nelle comunicazioni tra sistema politico e mondo vitale dei cittadini; azione solidale per i diritti umani; movimenti ecologisti; richiesta di umanizzazione dei servizi sociali pubblici e privati; rilancio di identità collettive semplici; nuovi rapporti tra management e lavoro dipendente; convergenza e interdipendenza tra ricerca scientifica e problematiche etiche. Tutte queste situazione, ed altre, mostrano la crisi del dualismo tra autonomia sistemica e morale personale. Sempre più forte è l'esigenza di appellarsi almeno ad un nucleo di etica universale condivisa, nei rapporti tra sapere e potere, tra natura e cultura, di fronte alla crisi dell'ambiente-terra ed ai rischi di distruzione nucleare del pianeta. La ricerca sociologica oggi va rivolta a conoscere ed integrare le reciproche interpolazioni e corrispondenze tra la scelta etica di una morale personale ed il dovere selettivo del sistema sociale. Sociologia ed etica si collocano sullo stesso e irriducibile orizzonte dell’uomo e del suo mondo vitale. La reciprocità e l’implicanza è tale che l’unico modello proponibile, nel confronto e nell’apporto, è unicamente quello del dialogo. f. Etiche del nostro tempo. In sintesi, ecco tracciato lo schema del nostro percorso di ricerca che tende a delineare la free-zone di un possibile e doveroso dialogo tra ethos e complessità sociale: ETHOS Struttura della persona umana PRINCIPI VALUTABILI ED UNIVERSALIZZABILI IN BASE ALLA STRUTTURA DELL'ETHOS Principi personali Principi sociali Giustizia e Bene Comune A PPLICAZIONI NORMATIVE DELL'ETHOS A TUTTI I CAMPI DELLA VITA UMANA In ragione di questo quadro prospettico è opportuno chiarire un latente equivoco che si perpetua nella valutazione sociale dell'ethos. Con la mediazione storica del neo-illuminismo debole, tale struttura è stata completamente rovesciata: l'ethos non è più il punto di partenza di ogni riflessione, il fondamento di ogni teoria e proposta personale o sociale; ma, a partire dai vari fenomeni della vita umana, dai vari campi di interesse scientifico, si cerca di raggiungere un comune accordo etico. Questo cambio di prospettiva dal fondamento al fenomeno, ha determinato un moltiplicarsi di teorie etiche che richiamandosi ai più diversi principi, non più armonizzati da un'unica struttura di base, tendono essenzialmente a contrapporsi e rischiano di spostare indefinitamente l'unità etica sul terreno impossibile dell'utopia. Per cui il quadro si presenta come segue: Neo-illuminismo debole PRINCIPI DI VARIA ISPIRAZIONE 14 danno origine a diverse teorie etiche, non più valutabili in base ad un criterio stabile di riferimento e, dunque, di per sé non universalizzabili. APPLICAZIONE UTILITARISTE E FRAMMENTARIE Le molteplici deontologie professionali ETHOS = UTOPIA In base alla diversa ispirazione dei principi che sono alla base delle più diffuse teorie etiche contemporanee, possiamo definire una griglia complessiva che ci aiuti a districarci in questo campo articolato della ricerca. La divisione principale è quella tra etiche di orientamento immanentista ed etiche di ispirazione trascendente o trascendentale. TEORIE ETICHE TEORIE ETICHE DI MERA TEORIE ETICHE DELL'IMMANENZA TEORIE Changeux Lipovetsky Deleuze, Guattari Misrahi Comte-Sponville Conche, Rosset Foucault Gadamer TEORIE ETICHE DI TEORIE ETICHE TEORIE ISPIRAZIONE RELIGIOSA ISPIRATE A PRINCIPI IDEALI ETICHE BASATE SU REGOLE TRASCENDEN TALI Levinas Rawls Jonas Spamann Apel Habermas ETICHE DELL'UTILITÀ OSSERVAZIONE DEL REALE L'esigenza principale che emerge da questa varietà di teorie etiche è quella di un dialogo costruttivo capace di definire responsabilità e criteri guida per il nuovo millennio. In attesa di realizzare questa ideale società della comunicazione, si cerca di ovviare all'impellente richiesta di regole, che viene dai più svariati campi della vita e della ricerca umana, con etiche applicate che spesso si rivelano limitate deontologie professionali. Dal momento che il criterio che le ispira è strettamente funzionale, è possibile individuarle in base ai vari ambiti operativi della vita dell'uomo. ETICHE APPLICATE AMBITO NATURALE AMBITO Bioetica AMBITO RELAZIONALE PROGETTUAL E Etica degli affari Etica della 15 Etica dell'ambiente Diritti degli animali Etica economica Etica e media politica Etica del diritto Etica universale Nuove possibilità vuol dire nuove scelte. Nuove libertà vuol dire nuove responsabilità. L'età della giovinezza è quella del passaggio, problematica per il disorientamento, stimolante per la ricerca ma anche cruciale per la costruzione del futuro. Prima di cercare risposte giuste è necessario porsi le giuste domande. La dimensione concreta, utile e funzionale dell'etica, se offre sicuramente nuovi stimoli per la ricerca, non può ridurre la prospettiva etica ad un orizzonte meramente applicativo, ma deve aprire il varco alla riflessione essenziale sull'uomo. In tale prospettiva potranno essere valutati alcuni punti di vista: a. Etica come applicazione (H. G. Gadamer). L'autore richiamando l'Etica nicomachea di Aristotele propone la lettura ermeneutica dell'etica. Analizza le fasi che conducono al sapere pratico-morale che si diversifica sia dal sapere teoretico (epistème) sia da quello pratico della tecnica (technè). L'etica, infatti, ha per oggetto l'uomo come soggetto in azione e in continuo cambiamento, collocato in una esistenza che richiede continue scelte di orientamento. L'uomo, nel sapere pratico, è coinvolto, opera modifiche del suo vivere, è colpito da ciò che conosce23. Questo suo sapere (phronèsis), non si limita all'indagine delle situazioni ma determina una decisione, una distinzione di ciò che si può fare da quello che non si deve. E’ un sapere non riducibile alla semplice conoscenza, ma implica il processo dell'esperienza. Distingue la prassi della morale da quella tecnica. Pur avendo punti in comune (passaggio dall'universale al particolare, presupposti previ all'azione, variabilità dell'oggetto a cui si applicano), si diversificano però in quanto la prassi tecnica è arbitraria ma non può esimersi dall'esercizio della dignità, della solidarietà, della giustizia...Inoltre il sapere morale non può essere insegnato prima della applicazione. L'agire in modo giusto va misurato nel contesto della situazione. Il sapere morale è sempre incarnato. Non basta l'abilità tecnica, è necessaria la partecipazione, il coinvolgimento con la situazione, la responsabilità: si può essere abili nel comprendere ma finalizzare al male la conoscenza! Il soggetto morale si trova di fronte alla situazione, come l'interprete rispetto al testo: fenomeno etico e interpretazione per cogliere il valore e il dovere. b. Normatività e verità etica (J. Habermas). Critica serrata a Gadamer in quanto l'ermeneutica della situazione apre al rischio di perdersi nel quotidiano, nell'opinione, nell'ethos. L'accusa è di relativismo etico. Habermas propone perciò l'universalità, la normatività e la verità del sapere etico. Le norme morali per loro natura si impongono a tutti24. Ma come conciliare il particolare con l'universale? La situazione e la norma? L'universalità è cercata nel CONSENSO di tutti; la norma deve meritare il riconoscimento da parte di tutti gli interessati25. Si richiede una argomentazione «reale» che tutti devono accogliere: è una argomentazione intersoggettiva che può condurre a un accordo di natura riflessiva. Il proprio interesse deve cadere sotto la altrui critica. Alla universalità è collegata la norma come elemento essenziale del comportamento etico. Non può questa essere ridotta al puro patteggiamento opportunistico, né alla utilità, né alla pura fattualità del convivere. L'accordo non è dato dai vari desideri ma dall’osservanza di norme (verità, libertà, giustizia). Per assicurarsi che l'intesa sia giusta, rispetto al «comodo», è opportuno distinguere l'agire comunicativo dal discorso: il primo ha come obiettivo lo scambio di informazioni, il secondo rende le pretese di validità «tema». Ma cosa appaga l'esigenza di validità della norma oltre il pragmatico? Il 23 H.G.GADAMER, Verità e Metodo, 365. J.HABERMAS, Etica del discorso, 71. 25 Id., op.cit., 73. 24 16 sussistere o il valore sociale di una norma non fonda la sua validità. Si deve distinguere «tra il fatto sociale del riconoscimento della norma e il suo essere degna di venir riconosciuta»26. La ragione verifica la motivabilità discorsiva della norma. La ragione si immerge qui nel concetto di VERITÀ, non visto però come adeguazione ma, come verità collocata nel vivo dei rapporti interpersonali, situata nel concreto quotidiano. Il consenso (universalità) e la realtà (discorso), i definitiva, conducono alla attendibilità di un enunciato. La norma etica crea così una condizione esistenziale di coinvolgimento e di comunione. Se la verità è comunione, libertà, falso è tutto ciò che indica soppressione, dipendenza, aggressività ideologica. Tuttavia, rimangono aperti interrogativi circa la verità, riproposta attraverso i criteri di coerenza e di corrispondenza. Evidente il legame proposto tra valori e esistenza. c. Il diritto naturale (R. Spämann). Se con Habermas si attua il tentativo di superare il principio Weberiano dell’ AVALUTABILITÀ delle scienze, anche sociali, in quanto dove opera l'uomo emerge il principio etico, con Spämann si presenta la necessità di dare una risposta al problema ecologico, attraverso l'istanza del diritto naturale. Non basta superare le imposizioni oppressive della società con il consenso, ma diviene necessario liberare la natura stessa dalla vorace aggressione dell'homo faber. La realtà dei rapporti interpersonali non deve nascondere il problema della sopravvivenza dell'uomo: si rischia l'ideologizzazione dell'etica. Il diritto naturale centra l'attenzione sul tema della natura. Il desiderio di dominio reso incontrastato dal senso opportunistico della scienza aveva relegato la natura in una posizione non più armonica con l'uomo. Evidente il distacco e ancora più evidente lo sfruttamento incontrollato. La progressiva DISTANZA dell'uomo dalla natura, rende questa un oggetto degradato a materia prima, disponibile per operazioni spesso arbitrarie. Lo sviluppo, il progresso, staccati dalla matrice teleologica e dalla fonte dei valori si traducono in abuso. Solo riconoscendo, per diritto naturale, a tutti gli essere il loro «senso» è possibile bloccare la espropriazione della natura e dell'ambiente. Alla base della crisi ecologica si riscontra la perdita del diritto naturale, che rimpiazzato da una ragione strumentale al sistema, lo svuota di ogni valenza ontologica. Muovendosi sul binomia legge-natura così si esprime:» Il concetto natura nella coppia dell'antitesi classica (physis-nomos) è sempre dialettico nel senso che esso, come il più forte, include in sé il suo opposto. Il naturale di per sé è ciò che non è fatto dall'uomo. Però tutto ciò che è fatto è, in certo modo da definirsi più dettagliatamente, pure naturale. Tutto l'operare può essere un mutamento di ciò che è già. E precisamente in maniera tale che si deve adeguare alla struttura di ciò che è, dato che le strutture inventate presuppongono sempre una base sottostante e già di per sé organizzata»27. Questo concetto di natura è stato liquidato dal pensiero moderno e «quando di una cosa si desidera fare quello che si vuole, allora la domanda sul suo fine intrinseco non può essere che di disturbo»28. Aggiungeremo a tutto questo la verifica del pensiero postmoderno sulla perdita del «definitivo» e della riduzione al «provvisorio», all'immediato fruibile. La riduzione ancor più evidente dalla pro-gettualità alla pro-grammazione tipica della technè. All'uomo postmoderno non interessa il senso e il fine della storia e del mondo (problemi ecologici vissuti con lucida razionalità ma al tempo stesso disattesi), ma l'immediata possibilità di modificazione e organizzazione del «vivere» in ragione dei bisogni diretti o indotti. Il pensare tutto secondo una antropologia esclusivista diviene una concreta minaccia per l'uomo stesso. «Se noi rapportiamo la natura a ciò che serve all'uomo ci mettiamo già su una falsa traiettoria»29. Dallo sfruttamento irrispettoso e selvaggio (strumentale) della natura a quello dell'uomo, il passo è breve. Tolto all'uomo il suo fine ontologico non meraviglia un suo trattamento da «arto utilizzabile all'interno di meccanismi di dominio naturale»30. Si legittima la manipolazione rifacendosi alla libertà e alla felicità dell'uomo, ma i due obiettivi diventano fragili e illusori se determinati dalla semplice decisione umana e non dalla natura delle cose: «la felicità imposta non è felicità» e la libertà vista come liberazione, cercata però in modo irrispettoso dell'uomo e del 26 Id., Etica del discorso, 69. R.SPÄMANN, Natur, in Id., Philosophische Essays, Reclam, Stuttgart 1983, 21. 28 Ivi, 23. 29 Id., Naturteleologie und Handlung, in op.cit., 54. 30 Natur, 37. 27 17 mondo nel loro fine proprio, diviene caotica «frantumazione» della realtà dove la libertà dovrebbe esercitarsi. La libertà assume consistenza solo nel giusto rapporto con la natura e l'uomo31. «L'immagine biologica dell'uomo futuro non può essere oggetto sensato del nostro volere e agire, dato che al riguardo ci mancano i criteri legittimi. I criteri che abbiamo sono essi stessi posti arbitrariamente. Noi possiamo dire come devono essere preparati dei maiali, dato che li vogliamo mangiare. Ma come devono essere gli uomini?»32. Il diritto di natura diviene una via di risposta in quanto riporta tutti nel contesto della vita. Se è frutto di pura convenzione allora la motivazione è pragmatica; se poi lo si fonda sulla libertà e capacità di agire coscientemente restano esclusi i non ancora nati, i minorati mentali e altri, la cui sorte è affidata alla decisione della comunità o del singolo. Il diritto di appartenenza e legittimazione non è fissato da nessun criterio se non dalla natura stessa. 2. Etica ed economia. - L’articolazione delle realtà economica rende lo scenario del mondo ancor più complesso. Le considerazioni in positivo, del progresso, dello sviluppo, dei mutamenti tecnologici con le relative grandi potenzialità, mal si armonizzano con le difficoltà, i paradossi, le contraddizioni, le incoerenze e conflittualità, che queste potenzialità vanno generando. Sviluppo, progresso, possibilità tecnologiche, nel loro evolversi continuo e incalzante, si trasformano in potenti meccanismi di squilibrio che se per un verso producono ricchezza e benessere, dall’altro generano povertà ed emarginazione, disparità di livelli e di condizioni nello stesso contesto sociale e tra paese e paese. Si determina una paradossale specularità tra povertà estreme, al limite della stessa sopravvivenza, e ricchezza opulenta, saccheggio della natura, al limite della distruzione. Inoltre, l’economia, asservita al senso preminente, ai modelli imposti, ha provocato cambiamenti indotti nei costumi e negli spazi di vita, non sempre ben assorbiti o tollerati. Ritenendo l’uomo infinitamente plasmabile, disposto a tutto, lo ha reso un oggetto tra i tanti oggetti. L’uomo, in quanto tale, è trattato da estraneo nel contesto economico-sociale. L’economia assume la fisionomia dell’inesorabilità, della crudeltà, della durezza. Conduce all'asservimento dei poteri pubblici agli interessi di gruppo e determina l'imperialismo internazionale del denaro; distoglie il discorso intorno all'uomo, dissolvendo di conseguenza il discorso all'interno dell'economia stessa. Quindi, non è difficile scorgere nel mondo economico strutture decisamente negative per la formazione della persona umana, e per l'organizzazione e lo sviluppo di una convivenza civile33. Intanto, «L'economia ha la fama di essere la regina delle scienze sociali: la più vecchia delle arti, la più giovane delle scienze»34, al punto che, per il livello di astrazione raggiunto dalla teoria economica, non la ritiene inserita nel contesto delle «scienze del comportamento umano». All'economista si richiedono, non solo conoscenze tecniche, ma fantasia, capacità di capire l'intimo funzionamento delle cose e un acuto discernimento per intuire e teorizzare l'essenza e le tendenze dei fenomeni, la ricerca della verità e il servizio al progresso; ma si discute anche se non debba occuparsi oltre che dei mezzi, anche dei fini della politica economica. Ripercorrendo il tracciato del pensiero economico di questi ultimi anni è interessante verificare le diverse reazioni degli stessi economisti di fronte ai risultati delle loro elaborazioni. “Alcuni sono critici non solo intorno allo stato attuale dello sviluppo economico, ma intorno allo stato in cui si trova la stessa scienza economica. Essi sono convinti che il pensiero economico, in base all'attuale teoria economica, non è in grado di fornire spiegazioni convincenti dei fenomeni sottoposti al suo esame e di proporre soluzioni adeguate a situazioni ambigue e paradossali, e che alcuni meccanismi (mercato, sistema dei prezzi), sono incapaci di porre l'uomo al centro della scena economica. Per molti, quindi, la scienza economica, oggi, sta attraversando una fase di profondo travaglio e di ripensamento radicale. I grandi temi cruciali legati ad una intensa e persistente depressione, che Keynes aveva affrontato durante la prima grande crisi del '29, sono ancora di grande attualità”35. A tal ragione la dichiarazione di J. Robinson che sottolinea l'evidente «bancarotta della teoria economica, la quale per la seconda volta non ha nulla da dire sulle questioni che per tutti, salvo gli 31 32 33 Cfr. Id., Die Aktualitaet des Naturrechts, in op.cit., 75. Ivi,76. Cfr. A. CORTINA, Razón comunicativa y responsabilidad solidaria, Salamanca 1985, parte II). P. SAMUELSON - W. NORDHAUS, Economia, Bologna 1987, 3. 35 M.P.MONTEMURRO, Economia ed etica, in RtM 93 (1992), 77. 34 18 economisti, appaiono dense di interrogativi e sollecitano una risposta»36. Nella letteratura economica si riscontrano anche figure di economisti che nutrono un interesse per gli aspetti etico-sociali della vita dell'uomo, dimostrando fiducia nei suoi valori etico-spirituali. Per cui, quando essi si propongono un problema, ne vedono le dimensioni, non soltanto tecniche, ma anche sociali e umane. Inoltre segnalano che la natura dell'economia moderna ha subito un sostanziale impoverimento a causa della distanza venutasi a creare tra economia ed etica. Si cominciano a prospettare possibili compatibilità di nuovi approcci, suggerendo nuovi percorsi e nuovi orientamenti. Si fa osservare, che l'economia del benessere non solo non esclude l’etica, ma può essere sostanzialmente arricchita dal prestare una maggiore attenzione ai risvolti etici, e che lo studio dell'etica, spesso rinchiuso su versanti autonomistici, può trovare certamente giovamento beneficiare nel più stretto contatto con l'economia. Queste ipotesi teoriche, in realtà non trovano facile applicazione. Esse «(…) comportano ambiguità profonde e molti dei problemi sono intrinsecamente complessi. Tuttavia la necessità di avvicinare maggiormente l'economia all'etica non si basa sul fatto che questa sia una cosa facile da fare. Si basa invece su ciò che ricaveremo da questo... ci si può aspettare che i vantaggi siano alquanto cospicui»37. Quindi, da più parti, fuori e dentro il mondo economico, il tema rapporto economia-etica è tornato di grande attualità e viene affrontato dai più svariati punti di vista: quello del comportamento del singolo soggetto, quello della modalità di funzionamento del sistema economico considerato nel suo complesso, ed infine quello dei rapporti fra un sistema economico ed un altro, o fra gruppi di un paese e un altro. Non è certamente l’analisi di tali aspetti ora ad interessarci, quanto l’individuare una visuale etica nell'ambito della scienza economica, convinti che il contrasto tra il carattere usualmente non etico dell'economia e l'evoluzione storica di questa disciplina, quale derivato dall'etica, in realtà sia solo formale e apparente. a. Approccio classico. - Non solo uno dei padri dell'economia moderna, A. Smith, era professore di filosofia morale all'Università di Glasgow, ma anche la stessa materia dell'economia è stata considerata a lungo una specie di branca dell'etica e quindi insegnata nell'ambito del corso di scienze morali. E nel discorso economico tutti i fenomeni e le questioni economiche (quali per esempio: che cos'è il giusto prezzo? L'usura può essere giustificata?) erano letti, valutati e largamente influenzati da problemi etici. Fino al secolo scorso l'economia accettava senza discussione l'influenza di un preciso orientamento filosofico-morale, l'utilitarismo, «secondo il quale il motivo ultimo delle azioni umane è sempre quello dell'utilità, e il principio etico, non può non configurarsi se non nel senso che si operi al fine dell'utilità del maggior numero possibile di individui»38. «Per l'utilitarismo quindi, una società è giusta quando le sue istituzioni sono congegnate in modo da massimizzare l'utilità sociale, intesa come la somma o la media aritmetica delle utilità individuali»39. Inoltre la teoria dell'utilità era tesa a giustificare la teoria del «laisser faire» (nessuna interferenza nel mercato; il mercato risponde a tutto). Verso la fine del secolo veniva messa sotto accusa proprio questa dottrina etico-sociale dell'utilitarismo che ammetteva anche in economia la possibilità di misurare e confrontare le utilità di persone diverse. I critici facevano osservare che questa teoria dell'utilità è in gran parte tautologica; che l'«utilità è un concetto metafisico di una circolarità inafferrabile: l'utilità è quella qualità dei beni, che fa sì che gli individui desiderino acquistarli, e il fatto che gli individui desiderano acquistare i beni dimostra che questi hanno una utilità»40. Secondo alcuni economisti il calcolo per misurare l'utilità (utilità cardinale), era un calcolo in apparenza basato sulla matematica. Esso è un calcolo «qualitativo» più simbolico che reale, in cui è facile commettere errori, o almeno formulare proposizioni scientificamente insignificanti. Quindi, la misurabilità e confrontabilità non appartengono alla scienza economica, esse vanno relegate alla sfera dell'etica, per cui è ovvia la completa separazione dell'etica dall'economia, perché ne inquina l'autonomia scientifica con proposizioni non scientifiche. Negli anni '30 questa critica, che tenta di 36 M. LEBOWITZ, La crisi della teoria economica oggi, in M. D'ANTONIO (a cura), La crisi postkeynesiana, Torino 1975, 173. 37 A. SEN, Etica ed Economia, (a cura di S. Maddaloni), Bari 1988, 110. 38 Utilitarismo, in Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani, Roma 1961. 39 Utilità, in Enciclopedia del Diritto e dell'Economia, Garzanti, Milano 1985. 40 Ibid. 19 separare il nucleo positivo delle leggi economiche dalle valutazioni di tipo morale, raggiunge il culmine. Con queste considerazioni e altre argomentazioni si arriva a un punto di svolta per l'economia che sceglie di occuparsi dei singoli individui in quanto se stessi e separati dagli altri e di considerare soltanto le motivazioni riferite all'interesse dei singoli (utilità ordinale). Pertanto il «consumatore razionale», «oeconomicus homo», non è più definito, in base alla dottrina etico-filosofica, come colui che massimizza la sua utilità, ma come chi è in grado di scegliere il «paniere preferito»; sostituendo il termine di «utilità» con il termine di «preferenza». Per quanto riguarda il bene collettivo, secondo questa nuova teoria economica, è «sufficiente che ogni individuo agisca egoisticamente perché ne risulti il bene di tutti»41; quello che cambia in caso di egoismo o altruismo è il modo con cui egli si procura il massimo vantaggio. Se nell'economia positiva dell'utilità (descrizioni di fatti, circostanze, relazioni) l'approccio ordinalista è diventato la pietra angolare della moderna teoria della domanda, nel campo dell'economia normativa (giudizi di valore) esso ha portato al rifiuto dei confronti tra le utilità di diversi individui e conseguentemente alla sostituzione dell'economia del benessere utilitarista (utilità sociale intesa come la somma delle utilità individuali), con la nuova economia del benessere, in cui il benessere sociale viene misurato tramite un indice. L'indicatore del benessere collettivo maggiormente usato è rappresentato dal reddito nazionale lordo o netto. Tale grandezza, comunque, non tiene conto di alcuni fattori quali la distruzione di risorse, la dispersione di ricchezza nella distribuzione o la persistenza di sacche di povertà: un aumento di reddito nazionale, quindi, coincide con un aumento di benessere collettivo senza introdurre altri giudizi di valore (Il PNL include molti elementi che non portano un contributo evidente al benessere individuale e sociale (comprende missili, ciminiere che emettono ossido di zolfo ecc.), mentre esclude alcuni elementi fondamentali per il benessere. Il PNL è un indice difettoso del vero benessere economico di un paese. Alcuni economisti negli Stati Uniti hanno tentato di correggere il peso eccessivo che il PNL attribuisce alla produzione lorda con una differente misurazione, denominato Benessere Economico Netto (BEN), che tenga conto del tempo libero del lavoro domestico, dei costi dell'inquinamento, dei disagi della vita urbana ecc.42. Pertanto nonostante la moderna scienza economica si sia andata sviluppando senza far riferimento formale ad una precisa etica filosofica e precettistica, non ha mai rinunciato a far riferimento, in modo esplicito o tacito, a alcuni concetti metafisici su cui l'economia è fondata, quali «utilità» (valutazione soggettiva), e «valore» (valutazione oggettiva). L'utilità, nella moderna teoria economica, è considerata parte integrante delle scelte economiche dei soggetti, in virtù delle quali essi tendono a procurarsi un piacere, un vantaggio, una somma di felicità, o ad allontanare un dolore, un danno, uno sforzo. L'utilità, dunque, non solo, entra nel discorso economico, ma vi entra come una delle categorie centrali, una delle finalità dello stesso processo produttivo, infine come una delle cause che determinano il valore di scambio o prezzo dei beni: utilità e valore costituiscono, quindi, le categorie fondamentali dell'attività economica in generale e della condotta umana in quanto relazione fra scopi e mezzi scarsi applicabili a usi alternativi. b. Approccio moderno. - Sviluppando il discorso in questa direzione, e arricchendolo di ulteriori informazioni, alcuni economisti sono arrivati a concludere che in una visione aggiornata della teoria utilitarista, si possono trovare inglobati, in linea di massima, molti aspetti di moralità. Sempre nella linea dell'approccio filosofico c'è chi sostiene persino che l'emergere della moderna teoria delle preferenze e delle decisioni ha reso l'etica una parte organica della teoria generale del comportamento razionale. E ciò nella considerazione che il concetto di comportamento razionale è il vero fondamento delle discipline normative, della teoria dei giochi (interazione razionale tra due o più individui), e dell'etica, e che la stessa etica qui è considerata una teoria del comportamento razionale finalizzato a massimizzare un livello di utilità media di tutti gli individui della società. Non manca chi propone un approccio alternativo, al moderno utilitarismo, capace di fornire un resoconto particolarmente plausibile della motivazione morale nell'ambito dell'economia; sostenendo 41 42 Ibid. Cf. SAMUELSON - NORDHAUS, Economia, 4, 5, 112, 113. 20 che l'utilitarismo, come dottrina sociale e morale, manca di una psicologia e di una politica, anche se esso è nato come una particolare teoria psicologica e, in una certa misura, con un particolare atteggiamento nei confronti della politica. Le domande che ora richiedono urgentemente risposta dall'economia sono, fra tante: «come ciascuno potrebbe vivere?», «come si potrebbe vivere qui e ora e in un futuro prevedibile?», «di quali istituzioni avremmo bisogno?». L'uomo di oggi ha bisogno di usare nozioni che l'utilitarismo non può né maneggiare né spiegare43. E se si ragionasse, più semplicemente, intorno al sistema tradizionale della scienza economica, partendo dai suoi attuali problemi, senza utilizzare né la dottrina filosofica dell'utilitarismo, né la filosofia giuridica del contrattualismo, si potrebbe arrivare a identificare l'etica di questa scienza? Intendendo per etica, in questo discorso, la scienza normativamente pratica. «Etica come conoscenza sistematica e metodologica, razionale, delle leggi e della validità del comportamento umano»44. L'attuale scienza economica, sviluppandosi in questo dopoguerra oltre ogni limite in una sofisticazione formale di modelli matematici, rischiando di non essere di grande utilità per politici e amministratori, manifesta un grave problema prima di tutto di carattere conoscitivo (interpretazione della sua economicità e del suo stesso oggetto formale), e nello stesso tempo evidenzia l'esistenza di una spaccatura abbastanza netta tra l'economia empirica o la politica economica, da una parte, e la teoria pura dall'altra. Affermando che l'oggetto formale dell'economia è l'attività che l'uomo svolge nella modificazione del mondo perché gli sia utile, è facile individuare i due termini che lo definiscono: l'uomo, colto nella sua umanità in un particolare momento di attività, per procurarsi determinati mezzi della vita, e di attuale rapporto economico; e il fine, il quale è di più e diverso dal fine di lucro dell'individuo: esso è invece la realizzazione dell'esistenza per quel che dipende dalle trasformazioni umane della vita. Un fine universale quindi: costruire le condizioni esterne della vita, per la vita in sé, cioè mia. tua. di chiunque (dimensione economica). «E proprio questo laborioso ridurre la natura a umano valore, questo fare la vita dalle cose, nell'impegno che ciò implica della persona in un dato modo... che costituisce il vero scopo della scienza economica... E le così dette preoccupazioni della vita in relazione ai mezzi di sostentamento e agli sforzi quotidiani compiuti per liberarsene sono le vicende su cui riflette il pensiero economico»45. E « . . . se tu osservi con profondità questa attività economica, malfamata da un'opinione che la vede consumarsi nel lucro, ti apparirà imperniata sul principio che tanto più tu provvedi alla tua vita, quanto più utile ti rendi agli altri, quanto più gli altri riconoscono l'utilità del tuo servizio e del tuo prodotto. Come potremmo soddisfare le nostre esigenze molteplici e variabili, se gli altri non ce ne apprestassero i beni? E come potremmo provvederci di questi se non producessimo uno o più beni utili agli altri? Ma questo «noi» e questo «altri» non sono distinzione di quell'unità che è la vita, onde noi e gli altri siamo costruttori di essa?»46. Quindi, affermando che il principio costitutivo dell'attività economica sta nella necessità della costruzione dell'esistenza umana, soggetto e oggetto dell'esperienza economica, risulteranno individuati nella loro funzionalità due caratteri: umanità e socialità, la cui conoscenza eviterà all'indagine economica le astrattezze e l'unilateralità lamentata. «Riscoprire questa umanità nei soggetti e nei beni (non cose) del rapporto economico, è il compito di quanti abbiano sete di verità e pensino di poterne attingere alla fonte inesauribile della vita»47, ed è condizione necessaria perché si possa recuperare l'economia nella sua concreta identità e unità e, nello stesso tempo, si possa individuare il suo specifico ethos. c. Rilievi conclusivi. - Partendo dal punto di vista che l'economia concorre con le altre discipline allo sviluppo dell'uomo globale, di cui esprime una proprietà essenziale, quella di essere una creatura affetta da una quantità di bisogni che richiedono mezzi per essere soddisfatti, si può affermare che l'attività 43 Uno strumento prezioso di riflessione e di studio è offerto da A. SEN - B. WILLIAMS (a cura), Utilitarismo e oltre, ed. italiana a cura di S. Veca, Milano 1990. 44 S. PRIVITERA, Etica filosofica ed etica teologica, in E. COMPAGNONI - G. PIANA - S. PRIVITERA (a cura), Nuovo Dizionario di Teologia Morale, Milano 1990, 359. 45 A. BERTOLINO, Principi, ideali e fatti di economia, a cura di G. Becattini, Firenze 1979, 8. 46 Id.,9. 47 Ibid. 21 economica non può essere disgiunta da postulati etici. L'uomo, soggetto agente di questa specifica attività, è il principio fondamentale dell'etica normativamente pratica, e ogni suo comportamento, ogni sua azione economica ha rilevanza etica, ne è la fonte. L'economia, quindi, vanta un'anima etica che ben si accompagna a quella fondata sul postulato scientifico che propone criteri in qualche modo verificabili. L'ethos dell'economia è un ethos distinto da quello delle altre discipline, non separato (pluralità e non una babele di ethos). E da questo ethos l'economia dovrebbe far scaturire il suo codice etico: economia etica, e quello dell'economista 48. Potrebbero essere delineate almeno tre possibili proposte: - L’economia ha bisogno di confrontarsi con le istanze etiche, presenti nelle concrete dimensioni economiche, per poter essere realmente la scienza che studia il comportamento umano come 48 Su questo particolare argomento è necessario avere uno minimo sguardo bibliografico: -AA. 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In ragione di tali prospettive si crea un connubio straordinario tra etica ed economia che genera la delicata questione del progresso e dello sviluppo umano. 3. Etica e sviluppo. - Partiamo da una doverosa premessa. - I due termini in esame esprimono una notevole complessità, che si va ulteriormente incrementando nell’intreccio dei due orizzonti in esame. - Ethos : condizione strutturale e strutturante l’essere e l’esistere della persona, nel suo contesto sociale e relazionale: carattere simbolico (cultura)-assiologico (valori morali)-politico (organizzazione sociale)culturale (tradizioni, lingua..). - Sviluppo : in senso lato - l’esigenza di un dinamismo che richiede la consapevolezza della processualità e della complessità della storia ; dell’articolazione dei singoli elementi dello sviluppo nella valutazione prospettica e globale ; una progressiva conoscenza dei modi e dei paradigmi attraverso cui è possibile attuare scelte nell’orizzonte dello sviluppo. Ed ora è opportuno analizzare il rapporto tra le due componenti. a. Dimensione economica dello sviluppo. - molto spesso è caratterizzata o da frammentazione dei diversi sistemi, o da univocità dell’assunto economico nel contesto storico e sociale dell’uomo. Ecco alcuni tratti problematici: Una caratterizzazione solo economica dell’idea di sviluppo, come ideologizzazione a svantaggio di una cultura. E’ invece importante rispettare la multidimensionalità dell’uomo e della sua storia. “Lo sviluppo della persona e della società – a somiglianza della crescita organica di ogni vivente – implica molteplici e convergenti fattori di ordine fisico, economico, psicologico, culturale, etico e religioso. L’idea generica di sviluppo si collega necessariamente alle dimensioni della persona, senza privilegiarne alcuna in particolare, ma richiedendo – tenendo presenti i fini dell’uomo – di prenderle tutte in considerazione, qualora si voglia programmare in modo armonico la crescita del singolo e della comunità”49. - Varie componenti e dimensioni, soprattutto antropologiche, sono state disattese in favore di una connotazione esclusivamente economica e materialistica che, attuando un’etica propria, tipica del un sistema economico, va alla ricerca solo dell’immediata quantificabilità dei risultati; - Le teorie diverse economiche, con relative diversità di fini, rendono per questo distinto il concetto di sviluppo da quello di crescita. - Da alcune teorie economiche (liberismo) matura il convincimento che all’incremento dei beni economici corrisponda ipso facto il progresso e la qualificazione dei vari contesti di convivenza. Si deve, invece, optare per una opportuna distinzione tra sviluppo-progresso-civiltà (Cfr. S.S.Acquaviva, Una scommessa sul futuro. Sociologia e programmazione globale, ILI, Milano 1971). - L’esperienza storica rende ancor più evidente che arbitro del sistema economico, e quindi di eventuali indirizzi, non è di fatto il consumatore, ma le lobbies economiche, il cui concetto chiave e fondante rimane il profitto. Questo va a discapito di eventuali necessità sociali che, all’opposto, hanno come prioritaria la prospettiva della persona. - Si ipotizzano vari interventi di armonizzazione tra queste due contrastanti condizioni: quello che prevede l’impegno dello Stato, con carattere progettuale e non saltuario e occasionale ; o anche l’intervento ispirato all’Affluent society e al perfezionamento del Welfare State. b. Limiti dello sviluppo (tesi apocalittica). - La complessità dei problemi relativi alla logica di uno sviluppo che difficilmente si articola in modo universalistico, e che invece si va sempre più concentrando in zone ristrette del mondo, genera una sorta di radicale sfiducia, provocando una riduzione del concetto stesso 49 G.MATTAI, Sviluppo, in Nuovo Dizionario di Sociologia, EP, Cinisello Balsamo 1987, 2155. 23 di sviluppo e della sua progettualità. Anche qui, si offrono alcuni spunti di riflessione che, schematicamente, mostrano il quadro concettuale di questa posizione. La crisi della idea di sviluppo (rapporto del MIT) è data in ragione della crescita esponenziale di cinque variabili : popolazione-produzione alimentare-industrializzazione- utilizzazione delle risorse non rinnovabili. Influisce in questa crisi anche il ruolo della telematica e della tecnologia : vi sono a disposizione immense possibilità, ma sono spesso controllate da pochi e non sono fruibili per tutti. In pratica : è necessario rifiutare una opposizione netta e acritica all’idea di sviluppo, ma criticamente contrastare uno sviluppo cieco, anarchico e incontrollato. Al posto della religione dell’espansione, è necessario ipotizzare un’espansione che tenga conto del criterio degli equilibri : ecologici(mondo) e antropologici (comunità). Il rapporto dell’MIT richiede, per questo, una riduzione drastica della crescita della popolazione (ZPG : Zero Population Growth) e dello sviluppo (ZEG : Zero Economical Growth). c. La risposta alla tesi apocalittica. - Varie ipotesi sono suggerite per scongiurare una visione drammatica e riduttiva (apocalittica), recuperando le possibilità di intervento e di accurata, mirata finalizzazione dello sforzo umano nel contesto sociale e ambientale. Una prima proposta è offerta da Barry Commoner ( Cfr. B. Commoner, Il cerchio da chiudere, Garzanti, Milano 1973). Egli sostiene che non è in crisi l’idea di sviluppo, ma quella della tecnologia, che ha spezzato il “cerchio della natura”. Alla crescita zero sostituisce l’idea di una crescita ragionevole, capace dare indicazioni (creando un paradigma) non solo sulla quantità di vita, ma sulla sua qualità. E’ l’idea della selezione delle tecnologie. Una seconda da Alfred Sauvy. Afferma che le due sigle, ZPG e ZEG, sono l’evidenza di pessime idee, su pessima strada. Denota una inutile visione apocalittica che crea una non accettabile contrapposizione con il concetto di movimento, novità e crescita. Ironicamente sottolinea: al veicolo che deve cambiare strada, non si può asportare il motore50. d. Aspetti umani (antropologici e dunque etici) dello sviluppo. - E’ questo il versante di collegamento critico su cui deve essere possibile ritrovare, criticamente e ragionevolmente, condizioni di armonizzazione di collimazione tra le prospettive contrastanti dell’idea di sviluppo. Intanto, si deve evidenziare che anche su questo versante il dibattito non è meno serrato, soprattutto dopo la notevole spinta ottimistica degli anni ’60. L’idea di sviluppo, verificata nelle sue componenti antropologiche e liberata dalla eccessiva caratterizzazione di tipo utilitaristico, meccanicistico e materialistico, entra a pieno titolo nel panorama delle scienze umane e storiche. Grande rilievo al lavoro di ricerca di questo strutturante rapporto tra etica e sviluppo è dato dal Centro Economie et Humanisme di Louis Lebret (Cfr. L.J.Lebret, Dynamique concrète du développement, Paris 1965). Si criticano i criteri esclusivamente economici e meccanicistici dell’idea di sviluppo, per rapportarla poi alla concezione dello “sviluppo organico del vivente” ; In ragione di questa posizione avviene un cambiamento prospettico: dalle sole teorie economiche, fondamentalmente astratte e predeterminate, si passa ad una valutazione che ha il carattere della interrelazione (implicanza di altre scienze quali la sociologia, la psicologia, la cosmologia, l’antropologia...). L’idea di sviluppo, per una sua autentica e reale valutazione, deve essere correlata a quella di uomostoria-mondo. “I fattori umani appaiono allora altrettanto essenziali, se non più dei fattori economici. Disgraziatamente essi sfuggono e sfuggiranno per molto tempo ancora alla semplificazione dei modelli economici, pure necessari, il cui reale significato è velato però dalla opcità del contesto umano. Di conseguenza, soltanto a poco a poco gli specialisti dello sviluppo danno ad esso tutte le sue dimensioni”. Dunque, una nozione armonica e organica di sviluppo implica, necessariamente, radici e prospettive etiche : - Il rispetto attivo di ogni persona (realtà non astratta, ma radicata in un vissuto storico e ambientale), e la volontà di perseguire la logica del bene comune, consentono di poter riequilibrare l’avere di più con l’essere di più, e così giungere ad uno sviluppo che coinvolga e riguardi tutti (non commisurato solo sulla società 50 Cfr. A. SAUVY, Crescita zero?, Garzanti, Milano 1974. 24 opulenta). “L’operazione sviluppo diventa così la serie dei passaggi, per una popolazione determinata e per tutte le frazioni che la compongono, da una fase meno umana ad una fase più umana, al ritmo più rapido possibile, al costo meno elevato possibile, tenuto conto dei legami di solidarietà tra le sottopopolazioni e le popolazioni”. - Questa definizione del Lebret, che implica tratti socio-antropologico-culturali dello sviluppo, tende ad una sua valutazione sostanzialmente etica e ne determina il fondamento, la metodologia e la meta: l’elevazione umana della qualità della vita per singolo e per tutti. - Inoltre, include in essa tutti gli elementi che lo sviluppo esige: tecnica-telematica...; ma pone al centro della sua logica, sempre e comunque il soggetto dello stesso sviluppo: la persona umana. Il problema dello sviluppo diventa il problema della civiltà. (Cfr. L.J.Lebret, L’economia a servizio dell’uomo, Città Nuova, Roma 1969). e. Alcune tracce di riferimento per un approccio etico. - Solo schematicamente, è possibile fare riferimento a particolari condizioni che leggono come complementari i versanti a confronto. Non si deve separare l’economico dall’umano : lo svilupponon è semplice crescita economica ; deve avere carattere autentico e integrale ; suo fine è e deve rimanere la promozione umana (Populorum Progressio di Paolo VI). La pista di J.M.Aubert : dal punto di vista antropologico, l’uomo è chiamato a progredire, e il suo sviluppo deve avere il carattere integrale, sia a livello individuale, sia a livello comunitario ; dal punto di vista strettamente etico, lo sviluppo è naturale e culturale, in quanto è generale, unitario e solidale ; questo crea una strutturale implicanza tra sviluppo e solidarietà universale ; nel concetto di dimensione solidale dello sviluppo ( come criterio etico) sono però possibili dei rischi di eccessivi pendolarismi tra i vari elementi o tra le componenti che caratterizzano un processo evolutivo (fattore demografico, produzione, imprenditoria, capitale ; Stato, progresso tecnico, risorse naturali, commercio, distribuzione dei beni). Questi rischi devono essere accuratamente vagliati51. Concludendo : Lo sviluppo non è semplice determinismo che basterebbe abbandonare alla sua forza d’inerzia perché dia dei buoni risultati; è piuttosto un processo globale che coinvolge direttamente tutto l’uomo, come essere responsabile e libero, soggetto e insieme oggetto, e perciò processo che impone all’uomo di assumerlo direttamente. Dire che lo sviluppo è al servizio dell’uomo equivale a dire che esso ha senso soltanto se viene visto in una prospettiva etica: di qui l’importanza, sempre più unanimemente ammessa, della pianificazione o programmazione dello sviluppo, la quale dovrà allora venire subordinata anche al campo politico52. Come si vede le implicazioni etiche sono tali da impedire l’omologazione dei due termini nel ristretto spazio autonomistico del proprio orizzonte descrittivo : - lo sviluppo, in quanto progresso (economico o tecnico scientifico), non può crearsi una propria ed esclusiva dimensione etica: sarebbe un corto circuito, un circolo vizioso in cui l’economia o la tecnica creano i propri valori e diventano valore di se stesse; - l’etica non può ridursi ad una enunciazione di valori, più o meno riconoscibili nella loro oggettività e universalità, o di una serie di regole che prescinda dalle necessarie implicanze con la realtà dell’uomo e del mondo. Questa attenzione ai fatti non deve però condurre ad un’etica della situazione o al semplice principio del male minore ; - alla fine, etica e sviluppo sono coniugabili unicamente su un unico terreno : la persona umana e la sua qualificazione come persona comunitaria: soggetto costitutivamente relazionale e in strutturale connessione con l’altro e il mondo. - Tra etica e sviluppo si iscrivono i valori ineliminabili dell’heideggeriano “aver cura” che sarà riconoscibile in quei valori sociali dell’etica che sono: responsabilità-sussidiarietà-solidarietà. f. ETHOS DELLA PERSONA E SVILUPPO SOSTENIBILE Cfr. J.M.AUBERT, Per una teologia dell’epoca industriale, Cittadella, Assisi 1973; H. ASSMANN, Teologia della prassi dell’epoca industriale, Cittadella, Assisi 1974. 52 Cfr. J.M.Aubert, op.cit.. 51 25 LA PERSONA È UN SOGGETTO RELAZIONALE L’IO Corporeità Coscienza Intenzionali tà L’ALTRO Il Tu La Società IL MONDO Ambiente Territorio Cultura Tradizion i Lingua Valori VALORE ASSOLUTO DELLA PERSONA NEL QUADRO INCLUSIVO DELLE SUE RELAZIONI ANTROPOLOGIA ASIMMETRICA DIFFERENZIATA ORIENTATA ALLA UMANIZZAZIONE L’èthos della persona ETHOS COME COLLO CAZIONE (Ethous) ambiente contesto NORMA RIFERIMENTO DI VALORI PERSONALI Dignità Libertà Responsabilit à SOCIALI Responsab ilità Solidarietà Sussidiariet à 26 MISURA DI RELAZIONE COSCIENZA DEL RAPPORTO CON ALTRO-SOCIETA’-MONDO IN QUESTA COLLOCAZIONE SI QUALIFICA (MISURA) IL TIPO DI RELAZIONE (IN RAGIONE DEI VALORI- ORIENTAMENTO DELLA VITA-POSSIBILITA’ TECNO-SCIENTIFICHE E CULTURALI) SVILUPPO E SOSTENIBILITÀ SVILUPPO espressione DI LIBERTÀ Modificazioni Progresso Vitalità Personalizzazione Massimizzazione espressione DI RESPONSABILITÀ Valutazione del criterio di libertà in ragione del contesto e delle possibilità (sociali-economichetecnologiche- culturali) SOSTENIBILITA’ APPLICAZIONE DELLA DINAMICA LIBERTA’-RESPONSABILITA’ IN RAGIONE DELL’ETHOS (COLLOCAZIONE-RELAZIONE) E DI ALCUNI PARAMETRI. SOSTENIBILITÀ 1. RISPONDE AD ESIGENZE DEL PRESENTE SENZA COMPROMETTERE QUELLE DELLE GENERAZIONI FUTURE 2. TIENE CONTO DI VARIE DIMENSIONI - ECOLOGICA SOCIO-CULTURALE (ETHOS-ETHOUS) ECONOMICA TECNO-SCIENTIFICA 27 3. BASATA SULLA “RETINITÀ” NET (RETICOLARITÀ) (.KORFF): insieme di relazioni – interdipendenza delle diverse dimensioni PERSONALI – SOCIALI – AMBIENTALI DIGNITÀ – SOLIDARIETÀ – SUSSIDIARIETÀ SOSTENIBILITÀ CONSIDERA L’INSIEME E IL RAPPORTO GLOBALE-LOCALE VALUTANDO LA REALTÀ (possibilità/crisi) LA DINAMICA (POSITIVA/NEGATIVA) DEL RAPPORTO PERSONA/SOCIETÀ/AMBIENTE - EVITARE DUE FACILI ERRORI: esprimere buone intenzioni senza spiegare come si può promuovere lo sviluppo sembra che l’esaudimento dei bisogni desideri sia sostenibile in un futuro non precisato UN SERIO ESAME DELLA SOSTENIBILITÀ DEVE ESSERE VAGLIATO IN UN CONTESTO DI INCERTEZZA “le generazioni future dovrebbero essere compensate per la riduzione delle dotazioni di risorse causata dalla attività delle generazioni presenti” (Pearce, 3). ogni generazione dovrebbe lasciare a quella successiva una dotazione di risorse rinnovabili che abbiano lo stesso valore di quella ereditata IN RAGIONE - CRESCITA DELLA POPOLAZIONE MODIFICAZIONE DEL VALORE DELLE RISORSE - CAPACITÀ TECNOLOGICO-SCIENTIFICA SITUAZIONE ECONOMICO-CULTURALE - ricerca di strategie appropriate valutare la probabilità degli eventi verificare ciò che ha valore e ciò che non lo ha creare coerenza tra dimensione economica-scientifica-culturale CONSIDERAZIONI SOCIETÀ DEVE (ETICA) DIVENIRE comunitaria intergenerazionale ------- DOVERI PERSONALI ------- RESPONSABILITÀ VERSO IL BENE COMUNE 28 EDUCAZIONE dell’opinione pubblica (mentalità diffusa) - DENUNCIA DELLE DISFUNZIONI povertà…) – comportamenti che inaspriscono i problemi denunciati (ecologia- - CATTIVI COMPORTAMENTI 1. 2. aspetti emozionali rifiuto dell’incertezza (desiderio di essere garantiti su tutto e contro ogni rischio) - VALUTAZIONE DELLA PRIORITÀ TRA BISOGNI E DESIDERI (CULTURA MIRATA E ARMONICA) 1. 2. disattenzione per le conseguenze future irreversibilità degli effetti dell’azione umana sulle risorse e sulla natura CONTROLLO DI DUE LIMITI SOSTENIBILITA’ E SVILUPPO UMANO Lo sviluppo tende a superare: - la pura estrapolazione (passatpo-presente) di tendenze (qualità/quantità) - utopia (distacco dalla realtà) esige un progetto determinato in base a valori prescelti la cui sostenibilità è verificata dalla coerenza dei valori e dalla analisi delle tendenze mirando alla soddisfazione dei bisogni e delle aspirazioni della generazione presente, senza compromettere la capacità di soddisfare quelli delle generazioni future valutando questa definizione in un contesto di complessità e di grande disparità economico/sociale Dunque - uno sviluppo da misurare non solo in chiave economica o nel suo prodotto ((PNL) o nel reddito pro capite. Questi elementi sono solo una parte della realtà dell’uomo sostenibilità non solo in termini ambientali, ma anche umani e sociali valutazione della vita nella sua interezza e non solo in ragione del benessere materiale (civiltà/civilizzazione) valutare la diversità di persone/culture/situazioni per poter parlare di sostenibilità in senso pieno diritto alla vita di tutti e di ognuno PER - evitare disparità consolidare la responsabilità di ognuno nelle scelte del presente per verificare (prognosi) se tali scelte possono essere confermate da altri e in altre situazioni nel futuro ( chi segue non deve dilapidare parte delle proprie risorse per correggere i guasti provocati. 29 5. Varietà di modelli etici. UMANISTICI L’uomo virtuoso L’uomo del dovere L’uomo nuovo ideale elitario per il Ideale illuminato ideale cittadino civilizzato per l’uomo rivoluzionario (Aristotele) autonomo (Kant) per l’uomo alienato (Marx) PRAGMATICI L’uomo stoico L’uomo del L’uomo provvisorio utilitarista ideale ascetico per Ideale per l’uomo ideale l’uomo calato nella del dubbio individualista sofferenza (Cartesio) per (Epitteto) l’atteggiamento conservatore (S. Mill) ANTIUMANISTICI Il superuomo L’uomo scientifico Ideale aristocratico Ideale positivista per l’affermazione (Monod) della potenza e della volontà (Nietzche) Ideali sociali aristocratico, democratico, liberale, fascista, socialista CAPITOLO TERZO Elementi sistematici SOMMARIO: 1. La questione del fondamento. - a. Il punto della riflessione; b. Prospettiva teoretica; c. Le domande; d. Le Proposte dell'Unesco. – 2. La persona fondamento dell’ethos. 3. Una definizione di persona.- 4. Il soggetto e l’identificazione dell’ethos. - 5. Principi etici personali e sociali. – 6. Dimensione sociale dell’ethos. 1. La questione del fondamento. - a. Il punto della riflessione. - «Rabbi Hanoch raccontava: c'era una volta uno stolto così insensato che era chiamato il Golem (stupido, uomo senza intelligenza). Quando si 30 alzava al mattino gli riusciva così difficile trovare gli abiti che alla sera, al solo pensiero, spesso aveva paura di andare a dormire. Finalmente una sera si fece coraggio, impugnò una matita e un foglietto e, spogliandosi, annotò dove posava ogni capo di vestiario. Il mattino seguente, si alzò tutto contento e prese la sua lista: 'Il berretto: là' e se lo mise in testa: 'I pantaloni: lì', e se li infilò; e così via fino a che ebbe indossato tutto. 'Sì, ma io dove sono?- si chiese all'improvviso in preda all'ansia- dove sono rimasto?'. Invano si cercò e ricercò: non riusciva a trovarsi. Così succede anche a noi, concluse il Rabbi»53. Questo breve racconto, ripreso da Martin Buber, rende il senso del disorientamento che si insinua ormai in tutti gli ambiti del nostro mondo vitale: diverse scienze specialistiche coprono oggi quelle che erano le nudità della nostra ignoranza e della nostra impotenza, ma abbiamo dimenticato troppo spesso che il senso dei vestiti è quello di riscaldare l'uomo. Etica e sociologia, etica ed economia, etica e sviluppo; risulta ormai evidente la necessità di definire un piano di confronto critico fra la prospettiva etica ed i vari ambiti scientifici del sapere umano: di ritrovare cioè l'uomo sotto tutti i vestiti nuovi che abbiamo creato, che a volte lo nascondono quando non rischiano di soffocarlo. Interlocutore irrinunciabile per ogni progresso che voglia essere realmente «a misura d'uomo», l'ethos si propone come esponente principale dell' «ambiente uomo», base concreta e punto di riferimento teorico per la fondazione antropologica ed il reale progresso di tutti i diversi ambiti del nostro mondo di vita. Ma, se ormai chiara è la necessità di istituire un dialogo critico e proficuo, meno evidente è il piano sul quale intavolare il confronto, confuse e contraddittorie le proposte tematiche, molto discusse anche le procedure metodologiche, come dire: basterà un foglietto per ricordarci dove abbiamo lasciato l'uomo? Scriveremo della testa, del cuore o di tutto il corpo? Basterà un semplice appunto o dovremo usare una formula matematica? b. Prospettiva teoretica. - Due premesse di carattere teoretico sono necessarie per dare le coordinate della nostra riflessione. - La questione etica è la questione del fondamento etico. Come scrive Walter Schulz: «la discussione dell'etica va svolta sotto l'aspetto filosofico, nel senso di un procedimento circolare, cioè di una esplicazione critica della propria autocomprensione etica»54, ossia ogni discussione sulle ragioni ed il senso dell'etica è come un cane che si morde la coda. Se infatti essa dovrà fornire un fondamento, un punto di riferimento critico per tutte le altre scienze, interrogarsi sul suo proprio fondamento vuol dire cercare il fondamento del fondamento, dove cercare una base d'appoggio non significa più guardarsi indietro, ma guardarsi dentro. - La questione etica è ambivalente. Da ciò deriva il carattere peculiare di ogni agire etico che è sempre insieme soggettivo ed oggettivo, fondato e fondante, libero e responsabile. Ovvero, fondato nella assoluta libertà di una scelta di coscienza e determinante nelle sue conseguenze per il contesto storico pratico su cui si interviene. Fondato in se stesso per fondare gli altri, ogni agire etico, ogni teoria etica, ogni prospettiva etica, si svolgerà sempre su due livelli: uno interno di definizione dei principi, uno esterno di valutazione delle azioni. A partire da questa considerazioni possiamo dunque chiederci: Qual è il fondamento dell'etica? Come possiamo determinarlo? Ovvero: Se l'etica deve assumere il ruolo di «coscienza critica» di ogni tipo di progresso scientifico e tecnologico, di ogni progettualità economica e politica, di ogni realtà ambientale e sociale: quale sarà la coscienza critica dell'etica? Come determinare il cuore di questa proposta di rinnovamento, il nucleo di senso di questa nuova esigenza, il punto di prospettiva di questa riflessione critica, che deve andare ad incidere sulle altre scienze? c. Le domande. Su queste domande di fondo, mille altre fioriscono ad indicare i tanti luoghi oscuri di un campo che l'uomo non ha mai conquistato completamente, perché ogni generazione ha il compito di compiervi 53 54 Martin BUBER, Il Cammino dell'uomo, Edizioni Qiqajon. Comunità di Bose 1990, pp.47-48. Walter SCHULZ, Le nuove vie della filosofia contemporanea. Vol. 5. Responsabilità. p.108. 31 nuovi passi: la verità su se stesso. Proviamo dunque a coordinarle in tre principali filoni di ricerca e, seguendo il filo delle domande cercheremo una strada per le risposte, che non sono mai già date ma sempre ancora da cercare. Ad ogni gruppo di domande seguono quindi brevi riflessioni per avviare la ricerca. - Un primo ordine di riflessione riguarda il tema della nostra ricerca. E' possibile un fondamento etico universale? Una proposta etica valida per tutti gli uomini, in tutti i tempi, per tutte le circostanze? A partire dalla concreta realtà storica, come si può raggiungere l'unità e valorizzare le differenze? Come raccogliere la saggezza e rispettare le tradizioni? La possibilità dell'etica si fonda su un rapporto ininterrotto in cui l'uomo sta rispetto ai suoi simili ed alle cose del mondo. Questa struttura dialettica della realtà, che è interazione di soggetto ed oggetto, fa sì che l'uomo determina e forma l'accadere quanto ne è formato e determinato. Proprio perché il mondo è lo spazio aperto della libertà, in cui l'uomo si orienta con la conoscenza per potervi incidere con l'azione, esso fonda la possibilità di una prospettiva etica. Ma la realtà come connessione dialettica non fonda solo la possibilità dell'etica, bensì la sua necessità. L'uomo non sarebbe in grado di vivere se non si costruisse il proprio mondo con la conoscenza e con l'azione e non si può intraprendere questa costruzione senza un orientamento etico. «L'etica non è un lusso estraneo alla vita, come in parte si pensa oggi, ma una dura necessità. Senza un orientamento normativo della sua azione in vista del comportamento degli altri e verso gli altri non può esistere.»55 - Il secondo ordine della riflessione riguarda il livello della nostra ricerca. Ammesso che sia possibile; come bisogna pensare un fondamento etico universale: come un accordo di principio sui metodi o come un accordo di fatto sui contenuti? Come è possibile inoltre coordinare il piano della prospettiva etica, libera e nonimponibile, con quello della legalità, determinata ed imposta? La possibilità e la necessità dell'etica non sono un mero «dato antropologico» da esaminare nelle sue cause e conseguenze, perché questo significa mettere tra parentesi ogni impegno morale concreto che si estende anche a me ed alla mia situazione storica. «Va detto espressamente che un'indagine storicoempirica va superata ed ampliata per mezzo dell'<<autoimpegno della persona>> se si vuole comprendere adeguatamente la possibilità e la necessità dell'etica.»56 - Infine, livello determinante per la riflessione è il metodo della nostra ricerca. Ammesso che sia possibile e realizzabile; da chi deve essere stabilito un fondamento etico universale: da uomini politici e diplomatici, da filosofi e rappresentanti delle diverse religioni o da uomini comuni? E come infine rendere efficace una tale proposta etica: con leggi, statuti e decreti o nuovi programmi di educazione e formazione? La possibilità e la necessità dell'etica indicano insieme il suo limite e la sua grandezza. Scienza oggettiva con conseguenze storico-pratiche rilevanti, non può avvalersi di una metodologia neutrale e tecnica. Se universale nei suoi principi, essa è estremamente soggettiva ed affidata al libero impegno del singolo per la sua attuazione pratica o, viceversa, determinata nelle sue proposte tematiche, essa è affidata a comunità religiose che sanciscono l'osservanza di specifici precetti. Come si può notare, ciascun gruppo di domande presenta uno slittamento semantico dovuto alla duplicità della prospettiva etica che abbiamo precedentemente sottolineato; ogni domanda esprime il senso di una ricerca che è necessità di una fondazione interna prima di poter essere base d'appoggio per il mondo esterno. d. Le Proposte dell'Unesco. - Per rispondere a questa sempre più pressante richiesta di senso ed offrire proposte concrete che servano ad arginare il disorientamento dilagante, l'UNESCO ha già promosso due conferenze mondiali sul Progetto per un'Etica Universale: la prima a Parigi nel marzo del 1997 e la seconda a Napoli nel dicembre dello stesso anno. Diversi ed autorevoli i contributi di storici, filosofi e teologi che si sono confrontati nel tentativo di delineare almeno un piano comune sul quale venirsi incontro. Se Karl Otto Apel e Ioanna Kucuradi sostengono l'importanza di una teoria della fondazione critica dei principi etici, ponendo l'accento sulla legittimità epistemologica di norme universali, Hans Kung e Samuel Fleischacker insistono sulla 55 56 Ib. p. 109. Ib. p. 110. 32 necessità di un accordo politico concreto, una proposta pratica che nasca dalla convergenza dei diversi movimenti religiosi e gruppi sociali su un minimo comune denominatore di idee etiche che possano essere accettate e sostenute da tutti i credenti ed anche dai non credenti; mentre Henri Atlan e Vittorio Hosle centrano la loro riflessione sui diversi criteri metodologici che consentano di passare dal livello descrittivo a quello prescrittivo, per coniugare la ricchezza e l'estensione dei giudizi morali con l'efficacia e la puntualità delle norme legali. Ma, pur nella diversità di prospettive e di proposte una linea interpretativa è emersa in modo rilevante, quasi a costituire il filo rosso che apre e guida in un unico orizzonte di ricerca: dopo l'era dei diritti è questa l'era delle responsabilità. Troppe volte gli uomini hanno fatto valere i propri diritti gli uni contro gli altri come arma di offesa più che come scudo della dignità umana, è giunto il momento di affiancare alla dichiarazione dei Diritti Umani una dichiarazione delle Responsabilità Umane; se i primi sono ancora da difendere in tante parti del mondo, è perché quasi mai sono affiancati da una profonda coscienza delle seconde. Difficile e complessa è tuttavia la strada di definizione di queste responsabilità, a causa dell'evoluzione storica di questa idea. Secondo il suo significato originario, il concetto di responsabilità caratterizza un fatto che va al di là della sfera del singolo individuo. Alla responsabilità appartengono due o più persone. Io sono responsabile di fronte ad un altro per le mie azioni ed omissioni, perché quest'altro ha in certo modo diritto su di me (lì dove inizialmente l'Altro era Dio) . Con il processo di secolarizzazione, questa idea del legame interpersonale decade fino ad estrapolare lo stesso concetto di responsabilità dal piano morale per collocarlo esclusivamente al livello giuridico. «Il concetto fondamentale dell'etica nel pensiero contemporaneo è diventato quello di autonomia. (…) L'atteggiamento etico viene limitato al riferimento morale del singolo a se stesso. Non è decisivo il riferimento esterno dell'agire, ma l'intenzione di colui che agisce «57. Questa interiorizzazione dell'etica si ripercuote sul fatto che il termine responsabilità è applicato esclusivamente alla dimensione esteriore della legalità, diventando spesso sinonimo di «competenza» o «colpa». A fronte di questa diffusa comprensione del termine è necessario un accurato lavoro ermeneutico che possa riunire nell'idea di responsabilità quelli che sono i due aspetti caratteristici del fondamento etico: la possibilità di rispondere per sé e per gli altri. La responsabilità è etica se liberamente assunta, essere responsabili vuol dire assumersi, coscientemente e consapevolmente, le proprie responsabilità. Dopo un'umanità liberata, o accanto ad essa, è ora il tempo di un'umanità responsabile, capace di creare il suo futuro. «Rabbi Shneur Zalman era stato calunniato presso le autorità ed era stato incarcerato a Pietroburgo. Un giorno, mentre attendeva di comparire davanti al tribunale, il comandante delle guardie entrò nella sua cella. Di fronte al volto fiero ed immobile del Rav che, assorto, non lo aveva notato subito, quest'uomo si fece pensieroso e intuì la qualità umana del prigioniero. Si mise a conversare con lui e non esitò ad affrontare le questioni più varie che si era sempre posto leggendo la Scrittura. Alla fine chiese: Come bisogna interpretare che Dio Onnisciente dica ad Abramo: Dove sei? Credete voirispose il rav- che la Scrittura è eterna e che abbraccia tutti i tempi, tutte le generazioni e tutti gli individui? Si, lo credodisse. Ebbene- riprese lo zaddik- in ogni tempo Dio interpella ogni uomo: Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo? Dio dice, per esempio: ecco, sono già quarantasei anni che sei in vita. Dove ti trovi? All'udire il numero esatto dei suoi anni, il comandante si controllò a stento, posò la mano sulla spalla de Rav ed esclamò: Bravo! Ma il cuore gli tremava»58 2.La persona come fondamento dell'ethos. -L'interpretazione assiologica della persona si trova al centro della discussione tra etica e le varie scienze umane 59. Il discorso sull'etica sociale - il minimo morale comune all'interno del pluralismo dei progetti morali esistenti nella società democratica - si muove entro l'orizzonte segnato dall’accettazione del valore assoluto della persona. Senza questo presupposto la stessa nozione di etica sociale sarebbe priva di significato. Coerentemente con le formulazioni e la giustificazione dell'etica sociale ci soffermeremo, qui di seguito, 57 Ib. p. 119. Martin BUBER, op. cit. pp. 17-18. 59 M.VIDAL, Etica civile e società democratica, SEI, Torino 1992, pp.65-84. 58 33 su ciò che viene considerato il nucleo assiologico dell'etica razionale: il valore assoluto dell'uomo. Tale affermazione che contenuto etico racchiude? In quale misura rappresenta l'assunto centrale dell'etica sociale? Esistono vari procedimenti per giustificare razionalmente il valore assoluto della persona, e tra questi ricordiamo i seguenti: 1. ricorso alla constatazione storica: diverse prospettive (lo stoicismo, il kantismo e il marxismo) si uniscono nell'affermazione del valore assoluto dell'uomo come base della struttura e del contenuto della realtà etica. 2. Appello alla sensibilità di oggi: constatando come l'orientamento antropologico della cultura moderna abbia generalizzato il primato assiologico della persona. 3. Proposta di una giustificazione formale: cercando di stabilire una cornice concettuale in cui la fondazione del valore assoluto dell'uomo sia adeguatamente inserita all'interno della riflessione razionale. Queste tre modalità hanno chiara validità critica, intanto è necessario integrarle su presupposti e ragionamenti strettamente razionali. Se la proposta raggiunge la criticità richiesta la possibilità di giustificare razionalmente il valore assoluto della persona acquisisce validità. La giustificazione del valore assoluto della persona avviene in due momenti complementari: - uno di carattere ontico (persona legata alla realtà-fenomenologia); - l'altro di carattere esplicitamente etico (dimensione personale e relazionale). In questo modo ontologia ed etica si uniscono per affermare criticamente il valore assoluto dell'uomo. A. Nel primo elemento: per poter parlare criticamente del valore morale della persona è necessario stabilire come punto di partenza l'affermazione della sua consistenza ontica come soggetto. Tale interpretazione viene definita «personalistica» o «umanistica». Il termine personalismo viene usato per indicare ogni tendenza mirante a dare un fondamento teorico alla realtà mediante l'affermazione del valore autonomo e assoluto dell'uomo. In alcuni ambienti intellettuali, di impegno sociale, la pretesa di formulare un'interpretazione della realtà basata sul fondamento dell'«umanesimo «, del « personalismo», o del «valore dell'uomo» viene accolta con grandi riserve. La crisi del personalismo si colloca nell'ambito più vasto della cosiddetta «morte dell'uomo». Considerando la scomparsa dell'uomo dall'orizzonte delle scienze positive e tenendo in conto la disumanizzazione del nostro mondo tecnicizzato, alcuni insigni rappresentanti dello strutturalismo (Foucault, Levi-Strauss) é dell'interpretazione non umanistica del marxismo (Althusser) parlano dell'uomo come di un'invenzione recente o di un «mito filosofico». Secondo un'interpretazione scientifico-positivistica il termine « uomo « è privo di un significato reale: partendo dall'uomo non si può costruire un edificio assiologico così come pretendono varie forme di umanesimo, e a un'identica conclusione giunge anche lo strutturalismo, che considera l'uomo sostegno delle strutture. Dal canto suo, l'interpretazione scientifica del materialismo storico (come quella di Althusser) rélega tutte le considerazioni umanistiche al regno delle ideologie, poiché l'uomo viene ridotto al complesso delle relazioni sociali. A queste correnti di pensiero bisogna aggiungerne altre che derivano da una determinata interpretazione della condotta umana: nella psicologia di Skinner, per esempio, l'individuo, in quanto origine e meta dei valori, resta al di fuori di qualunque considerazione scientifico-tecnologica della condotta umana, soggetta al gioco variabile e manipolabile del condizionamento operante. La diffidenza nei confronti dei sistemi assiologici basati sull'umanesimo e sul personalismo deriva dal discredito del pensiero esistenzialista. Dopo il predominio della « moda esistenzialistica «, durante il quale le domande ruotavano attorno ai «problemi» della finitudine, della libertà, della morte, ecc., segue 34 l'orizzonte del pensiero dialettico, che privilegia le mediazioni sociali dell'esistenza storica (mediazioni non privatizzate, mediazioni politiche, mediazioni della condizione pubblica, critica, prassica e utopica dell'esistenza umana). In concordanza con la critica mossa all'interpretazione personalistica in generale, il personalismo etico concreto viene giudicato un fattore «reazionario», «apolitico» ed «ideologico «. Si afferma che il linguaggio morale personalistico è suscettibile d'essere colmato dai contenuti più diversi». Ma nella storia occidentale il valore della persona costituisce il nucleo primario delle principali visioni del mondo; basta citarne tre: quella stoica, quella kantiana e quella marxiana. 1. Lo stoicismo, seguendo un itinerario singolare («omologia « con la natura, «apatia» e «atarassia» come modello di vita, ecc.), culmina in un umanesimo di grandi qualità. L'uomo non si sente cittadino esclusivamente di una città, ma dell'umanità intera; «dato che sono Antonio la mia patria è Roma; ma siccome sono un uomo la mia patria è il mondo» (Marco Aurelio). Così nasce il concetto di humanitas come ambito adeguato alle relazioni interpersonali (anche se tra padrone e schiavo) e con il mondo. 2. Nel vasto e profondo sistema kantiano, la persona umana rappresenta il centro di tutti i valori. Il valore morale è un qualcosa che appartiene all autonomia dell'uomo. Il contenuto della bontà morale è costituito dall'operare coerente della volontà in rapporto alla realtà dell'essere umano. Nella seconda formulazione dell'imperativo categorico si trova la valutazione più importante dell'uomo: « agisci in modo tale da usare l'umanità, nella tua persona o in quella degli altri, sempre come un fine e mai come un mezzo». Secondo Kant l'uomo è un fine in sé e come tale deve essere trattato. Dalla considerazione di ciascun uomo come un fine in sé nasce il « regno dei fini «. 3. Pur partendo da presupposti diversi, anche Marx basa lo spirito etico del suo pensiero sul valore dell'uomo. La « deformazione « dell'uomo causata dall'alienazione viene descritta da Marx come il rovescio della dignità umana. «Certamente il lavoro produce meraviglie per i ricchi, ma produce lo spogliamento dell'operaio. Produce palazzi, ma caverne per l'operaio. Produce bellezza, ma deformità per l'operaio. Esso sostituisce il lavoro con le macchine, ma respinge una parte dei lavoratori ad un lavoro barbarico, e riduce a macchine l'altra parte. Produce spiritualità, e produce l'imbecillità, il cretinismo dell'operaio». Nel corso della sua produzione nelle opere giovanili come in quelle della maturità - Marx intravede la società futura nella quale vivrà l'uomo che egli definisce «nuovo», «totale», «pieno», «ricco», «universale», «completo», «multilaterale», ecc. Quest'uomo futuro, che rappresenta la dignità umana positiva, è il fine di tutte le lotte per l'emancipazione dell'essere umano. Il riferimento a tre sistemi ideologici così diversi come lo stoicismo, il kantismo e il marxismo vuole sottolineare, a nonostante le differenze di fondo, la concordanza di opinioni nell'affermazione del valore dell'uomo. Nonostante le critiche sollevate al personalismo, o per meglio dire, proprio nell'attuale contesto di critica, proponiamo l’affermazione dell'uomo come la realtà più valida; o addirittura come il nucleo da cui hanno origine tutte le realtà. L'uomo è una realtà che va oltre l'invenzione ideologica, infatti, grazie ai dati delle varie scienze (biologia, psicologia, sociologia, filosofia, ecc.) possiamo formulare un'interpretazione dell'uomo che lo vede come un essere denso di significati ultimi e valori assoluti. Riconoscendo la consistenza dell'uomo in quanto soggetto reale, si comprende l'umano non a partire dalle «mediazioni» (politiche, economiche, culturali), bensì a partire dall’originalità di un essere che rappresenta la realtà originaria. Le mediazioni hanno grande importanza nella costruzione della storia umana, ma sempre a partire dalla presenza originale e immediata della persona. In questo modo il carattere unico e insostituibile dell'essere umano acquista rilievo: ogni uomo gode di tutto il valore del genere umano, dato che nella realtà personale non ha solo importanza la quantità, ma soprattutto la 35 qualità. Per questo è decisiva: 1) L’accettazione dell'irrinunciabile orientamento antropologico della vita e della riflessione sulla persona teso a rilevare e plasmare i valori fondamentali dell’umanità: libertà, dignità, rispetto, uguaglianza, diritto, ecc. 2) L’accettazione della critica proveniente dall'orizzonte delle prospettive scientifico-culturali che, tuttavia, non dimenticano l'affermazione del primato pragmatico dell'umanità. D'altra parte, pur riconoscendo le esagerazioni delle citate prospettive scientifico-culturali (scientismo, strutturalismo, marxismo antiumanistico, ecc.), dobbiamo accettare gli elementi positivi che esse apportano - a guisa di correttivi - all'interpretazione critica dell'uomo. Partendo da queste due accettazioni, il discorso etico sulla persona potrà articolarsi correttamente: integrerà il valore dell'uomo e quello delle mediazioni in una sintesi che superi le deviazioni ideologiche del «personalismo» e le riduzioni indebite dell'orizzonte «scientista». B. Nel secondo elemento, il momento etico, si valuta la dignità etica della persona. Così si esprime K. Rahner: «L'uomo è la persona che si possiede coscientemente e liberamente. Quindi è oggettivamente riferito a se stesso, e per tale motivo non ha ontologicamente il carattere di mezzo, bensì di fine; segue, nonostante ciò, una tendenza che lo porta ad uscire da se stesso e a spingersi verso altre persone, non verso le cose (che sono piuttosto orientate verso le persone). Per questo gli spetta un valore assoluto e, di conseguenza, una dignità assoluta. Ciò che noi consideriamo esperienza assoluta e incondizionata dei valori morali si basa essenzialmente sul valore e sulla dignità assoluti della persona spirituale e libera». Il passaggio dalla dignità ontica a quella etica, pur poggiando su una distinzione di dimensioni, non presuppone discontinuità con la dignità ontica dell'essere umano. Per dare un fondamento umanistico all'etica della persona non bisogna soltanto affermare la consistenza dell'«uomo» e dell'uomo inteso come «persona», è invece necessario comprendere questa realtà preferibilmente dal punto di vista assiologico. Non mancano le interpretazioni della persona in cui il fattore decisivo di definizione è quello assiologico: ricordiamo ad esempio l'interpretazione stoica e quella kantiana. In concordanza con il pensiero di Ricoeur e di Bonhoffer, Martìn Velasco afferma: « Essere personalmente significa fare atto di essere; farsi carico non di alcune qualità o proprietà, ma del fatto stesso dell'essere. Questa esistenzializzazione della persona introduce così la responsabilità, la decisione e la libertà nel seno stesso dell'essere personale. L'etica, di conseguenza, appare non come una sfera sovrapposta alla persona, che condizioni i suoi atti o gli effetti dei suoi atti, ma come una componente intima della persona. Come afferma Ricoeur: farsi persona significa «dare all'individualità che è in noi una certa importanza»». Per oggettivare la dimensione etica della persona sono state usate varie categorie, ma nessuna di esse ha avuto un'utilizzazione tanto estesa come quella che esprime il valore morale della persona in termini di «grandezza « e/o « dignità». Possiamo affermare che questa categoria costituisce un «luogo» primario di appello etico, sia nei sistemi morali religiosi sia in quelli che pretendono di costruire un'etica sociale fondata sull'autonomia della ragione umana. Anche nell’etica razionale si avverte il costante appello alla dignità umana. Dalla proposta dell’etica « umanística « di E. Fromm, sino all «umanesimo della responsabilità», la riflessione etica odierna ha acquisito tratti nettamente personalistici. Se nella presente cultura esiste un primato dell’etica», in quest’ultima si avverte il primato dell’uomo. La regola d’oro dell’etica continua ad essere la dignità riconosciuta dall'altro e l'affermazione radicale di Protagora secondo la quale l’uomo è misura di tutte le 36 cose. La persona, dunque, è un valore assoluto. Ma quale è il contenuto etico che si pretende di oggettivare mediante l espressione del valore assoluto della persona? Seguendo una metodologia semplice e lineare possiamo smembrare tale contenuto in un insieme di aspetti che costituiscono la ricchezza significante della persona come valore assoluto. Si tratta di ricostruire in modo critico questo importante «luogo» di appello etico rappresentato dal valore assoluto dell’uomo. È comunque necessario ammettere che la persona ha valore etico nella sua duplice realtà «privata» e «pubblica», intendendo questi due aspetti con riferimento alla dialettica permanente. Se riduciamo la persona unicamente al suo valore privato incorriamo nell'ingiustizia del totalitarismo individualistico, mentre se la riduciamo al suo valore pubblico cadiamo nell'ingiustizia del totalitarismo collettivistico, ed è evidente che non può esistere un valore etico dove ci sia un'ingiustizia di base. Per quanto concerne l'ambito di riferimento del valore assoluto della persona è necessario precisare che: - non si riferisce ad una natura astratta, bensì agli esseri concreti; la dignità umana deve avere significato per gli uomini storici concreti che si muovono all'interno delle contraddizioni della realtà; - non ammette privilegi nella sua significazione primaria: la dignità umana è un a priori etico comune a tutti gli uomini. La dignità umana è una qualità ontica e assiologica che non accetta il «più» ò il «meno»; - tuttavia la categoria etica della dignità umana ha un «orientamento preferenziale» verso tutti quegli uomini la cui dignità umana è «deformata» (poveri, oppressi, emarginati, ecc.). “Il valore deve basarsi sull'essere; ma non sull'essere in quanto tale. In altre parole: la capacità di servire da fondamento del valore non è propria di qualunque essere. In effetti, il valore fonda mentale è quello che è degno d'essere cercato per se stesso. Dunque soltanto un essere che è fine per sé, può essere amato dagli altri come fine. In definitiva, è impossibile amare un essere che non sia intellettualmente cosciente, si può amare solo una persona. Un ideale è degno di essere perseguito per se stesso perché esprime ciò che la persona o la comunità umana deve essere. Secondo questa concezione la persona è l'oggetto proprio della volontà nel suo essere e nel suo dover-essere: ciò rende necessario attribuire un senso personalistico e comunitario alla tesi classica del «bene» come oggetto proprio della volontà». Per quanto riguarda il suo intimo significato, il valore assoluto della persona si apre a tre nuclei che devono essere intesi in modo circolare: - affermazione del valore dell'individuo (l'io). Di fronte alla tentazione di scomporre la realtà in «strutture « o « mediazioni» sociali, la categoria della dignità umana ricorda fermamente che ciascuno di noi è unico, insostituibile, necessario; ha valore per se stesso, è libero e può scegliere da solo il proprio destino, deve costruirsi la sua vita. Naturalmente questa interpretazione dell'individuo come un qualcosa di assoluto non porta ad una posizione privatistica e ad uno scarno soggettivismo. - Affermazione dell’alterità (l'«altro») . L'uomo considerato chiuso in se stesso non è il soggetto né il valore fondamentale dell'etica; solo l'uomo in quanto soggetto relazionale merita attenzione etica. I valori etici nascono quando sorge la persona e il fatto decisivo che dà origine alla persona è il « tra», per usare la terminologia di Buber. L'alterità corregge la possibile tendenza individualistica e astratta del personalismo. - Affermazione delle strutture come «mediazioni» etiche dell'individuo e dell’alterità. Al fine di recuperare il soggetto reale concreto dell'impegno etico occorre introdurre nel mondo delle persone la realtà delle 37 strutture. La dignità umana deve essere mediata politicamente, perché soltanto così potrà avere il significato etico che le corrisponde. Questo spessore significativo può essere espresso attraverso le categorie etiche bipolari di fine/mezzo, e assoluto/relativo. La categoria bipolare fine/mezzo (assoluto/relativo) può essere utilizzata come categoria etica a condizione che assuma il seguente valore semantico: - l'essere umano è un fine per se stesso e non può essere ridotto a mezzo - la persona è la «protocategoria» dell'universo etico e, in quanto tale, è origine e meta di ogni impegno morale; - l'uomo richiede un rispetto incondizionato e, in tal senso, assoluto. Nel caso in questione il termine « assoluto « non significa «infinito» bensì « incondizionato «. «La persona umana nel suo essere e nella sua dignità reclama un rispetto incondizionato, indipendente da qualunque libera valutazione e finalità; in una parola: assoluto». Il rispetto, inteso come atteggiamento fondamentale nei confronti dell'uomo, rappresenta la disposizione incondizionata a considerare e a difendere ogni essere umano come una realtà della quale non si può disporre. Per quanto riguarda l'ideale normativo che scaturisce dall'affermazione del valore assoluto della persona, dobbiamo accennare ai due aspetti della questione: - Aspetto negativo: l'ideale etico della dignità umana deve correggere i possibili riduzionismi a cui potrebbe essere sottoposto l'ideale dell'uomo: da una parte, riduzionismo di tipo elitistico e privatistico, dall'altra quello gregaristico e comunitario. L'ideale da perseguire non è l'uomo «gregario» o livellato a causa delle scarse esigenze della massa, bensì l'uomo continuamente stimolato. L'ideale dell'uomo si basa su poli o aspetti complementari: interiorità e interrelazione. La totale adesione alla sfera pubblica spersonalizza l'uomo, ma anche la riduzione all'ambito meramente privato provoca la stessa conseguenza. - Aspetto positivo: la categoria etica della dignità umana orienta il dinamismo etico verso la meta dell'umanizzazione. A nostro giudizio, esiste un'equivalenza tra la categoria etica dell'«umanizzazione» e quella della «dignità umana». A livello ontico il cristianesimo ha dato un contributo storico-concreto all'elevazione della dignità dell'uomo ed è stato un fattore importante nella genesi e nello sviluppo della nozione e valutazione dell'uomo come persona. 3.Definizione della persona. - In pratica, il concetto di persona è estraneo alla nostra cultura antica e viene messo a punto, nella sua specificità, solo attraverso il rapporto tra pensiero filosofico-teologico cristiano e il pensiero giuridico. È un termine segnato da una etimologia incerta: personare, rimbombare, oppure per se una; o ancora fersu, in etrusco maschera, e richiama il greco prosopon-viso, che indica la maschera dell'attore e il suo ruolo. Ma sarà solo con le elaborazioni teologiche e filosofiche dei primi secoli60 (unio hypostatica e qualificazione delle relazioni personali nella unità di Dio) e con una serie di 60 Cf TERTULLIANO, Adversus Praxean 12 e 27; le controversie filosofico-teologiche sui termini ousìa, hypòstasis, pròsopon, maturate fino alla chiarificazione avvenuta al Concilio di Calcedonia. 38 elementi derivanti dal versante filosofico-giuridico (in relazione alla concezione dell'autocoscienza umana) che questo termine assumerà un suo preciso contenuto concettuale. La prima definizione formale a carattere ontologico è data da Boezio: Persona est naturae rationalis individua substantia61; perfezionata, questa, dal concetto della incommunicabilis substantia di Tommaso d'Aquino, ma, soprattutto, da Riccardo da S.Vittore, con l’intellectualis naturae incommunicabilis existentia62. Definizioni che si riferiscono all'atto unico e irripetibile, intero e indiviso, immediato-insostituibile, alla realtà, all'essere (Dasein) di una natura spirituale. Questa realtà è l'affermazione «del possesso di sé e pertanto dell'autofinalità, è la forma di realtà propria della libertà di un essere spirituale, nella quale si fonda la sua intangibile dignità»63. Ma tale lettura, quando è stata ritenuta in modo esclusivamente autoreferenziale dal soggetto, ha costruito un’immagine di uomo che induce a selezionare decisamente l’altro e il mondo in modo contrapposto: o come amico, se affine e riconducibile a sé; o come nemicostraniero, se la sua diversità diviene inconciliabile con la propria visione del mondo. Questa immagine autoreferenziale e chiusa della persona, che ha dominato nell'era della modernità e che spesso nella vita vissuta è ancora quella prevalente, inizia a lasciare il posto a nuove interpretazioni che tendono a recuperare, al livello della struttura ontologica, lo stretto legame che unisce la persona umana ai suoi simili ed al suo mondo vitale. Ricominciare a pensare la persona nelle sue componenti essenziali, significa rinunciare alla prospettiva classica e, al posto di una sostanza indivisa e chiusa in se stessa, leggere una struttura composita che non è mai data una volta per tutte, ma si costituisce in una apertura relazionale. Se adottiamo più chiavi di lettura (come quella fenomenologica, quella simbolica e quella logico formale) per avvicinarci alla struttura della persona, possiamo osservare come essa si costituisce su tre livelli principali : LETTURA LETTURA FENOMENOLOGICA SIMBOLICA (da fainomai: ciò che si (da syunballo: unire) mostra) KORPER: fisicità Io ho un corpo. LEIB: coscienza. Io sono un corpo. LEIBLICHKEIT: capacità relazionale LETTURA LOGICOFORMALE (interpretazio ne razionale) ESTERIORITÀ: L'UOMO NEL significante. MONDO. INTERIORITÀ: L'UOMO IN significato. SE STESSO. SENSO: L'UOMO CON contesto relazionale. L'ALTRO. Questa nuova lettura dell'idea di persona, che sempre più emerge nella riflessione filosofica, sociale e giuridica è sostenuta da Paul Ricoeur64. Secondo l'Autore francese, non è possibile equiparare il concetto di persona a quello di individuo perché la persona si costituisce sempre nella pluralità di una relazione e si configura come realtà non statica, ma dinamica e progettuale. E' nella apertura istituita dalla relazione, che si da la possibilità della coscienza di sé; si acquista la consapevolezza della propria identità rispetto all'Altro; si diventa responsabili della gestione del mondo in cui si vive. In questa ottica la persona non è mai una realtà statica e definita una volta per sempre, ma, grazie all'apertura costante della relazione, è perennemente suscettibile di mutamenti, in un processo di crescita mai compiuto. La persona è dunque un soggetto attitudinale, perché ogni atto va inquadrato e letto alla luce di 61 Cf BOEZIO,De duabus naturis 3. Cf RICCARDO DA S:VITTORE,De Trinitate IV,22-24. 63 M.MUELLER-A.HALDER, Persona, in Sacramentum Mundi, (a cura di K.RAHNER), Vol.VI, Morcelliana, Brescia 1976, col.345. 64 P. RICOEUR, La Persona, Morcelliana, Brescia 1997. 62 39 questa struttura di relazione che non chiude mai il soggetto in se stesso, ma immediatamente coinvolge gli altri ed il mondo. Per Ricoeur una fenomenologia ermeneutica della persona, che non può prescindere da questa apertura relazionale ed attitudinale, si struttura su quattro piani: linguaggio, azione, racconto e vita etica. In altre parole; per una chiara interpretazione della relazione che costituisce la struttura essenziale della persona è importante considerare quattro principali momenti vitali: l'uomo che agisce (e che soffre), l'uomo che parla (e comunica), l'uomo che ha memoria della sua storia (e la tramanda), l'uomo nei suoi costitutivi valori etici (ossia l'uomo responsabile). Sebbene «l'uomo responsabile» sia la meta cui tende questa interpretazione, Ricoeur sottolinea che solo partendo dall'ethos è possibile comprendere gli altri piani vitali dell'azione della persona. La struttura etica si rivela immediatamente un fondamentale punto di partenza e non una conquista dell'interpretazione. Quattro piani per una fenomenologia ermeneutica della persona. 1. L'uomo responsabile. Ricoeur definisce l'ethos :»auspicio di una vita compiuta - con e per gli altri - all'interno di istituzioni giuste»65. Questa definizione gli consente di tracciare una struttura che, prima di tutto, rivela le componenti essenziali della persona in quanto apertura relazionale, ed, inoltre, permette di avere uno stabile punto di riferimento per leggere gli altri piani della vita dell'uomo. Dunque costituzione etica della persona è la seguente struttura ternaria: Auspicio di una vita Con e per gli altri: compiuta: STIMA DI SÉ SOLLECITUDINE Elemento etico di questa aspirazione alla felicità (etica del desiderio) è la stima di sé che definisce un soggetto: consapevole, cosciente, responsabile. Il movimento del sé verso l'altro esprime l'istanza etica della sollecitudine, caratterizzata dalla: reciprocità, similitudine, riconoscimento. All'interno di istituzioni giuste: ISTITUZIONI GIUSTE L'istituzione è il luogo del rapporto etico modulato dalla giustizia distributiva. Se l'etica del ciascuno è l'etica della giustizia, ciascuno non è l'amico, ciascuno è l'anonimo. E' importante sottolineare che per Ricoeur i primi due livelli di costituzione etica della persona (stima di sé e sollecitudine) sono in stretto rapporto di reciprocità; non posso mai giungere ad avere una profonda coscienza della mia identità se non nel confronto costante con l'alterità, ed è proprio su questa relazione fondamentale che è possibile poggiare l'idea di istituzione. Così, conclude Ricoeur: «L'idea di ethos comprende in un'unica formula, ben articolata, la cura di sé, la cura dell'altro e la cura dell'istituzione.»66 A partire da questi punti di riferimento possiamo ora affrontare una più approfondita lettura della persona nei suoi vari piani di azione. 2. L'uomo che parla. Ricoeur sostiene che il contributo della filosofia linguistica ad un filosofia della persona si può cogliere sul piano semantico (per identificare la persona nella sua singolarità) e sul piano pragmatico (dove la persona 65 66 Id. p. 39. Id. p. 48. 40 non è più l'oggetto del discorso, un egli logico, ma è il sé che agisce e si impegna in prima persona). La sua tesi è che: «è possibile ridefinire la teoria degli atti del discorso, e per suo mezzo tutta la pragmatica, sulla base della triade analizzata nell'ethos morale»67, questa omologia, che diventa implicazione reciproca nel caso dello specifico atto linguistico della promessa, si presenta come segue: PIANO ETICO Stima di sé Sollecitudine Istituzione PIANO LINGUISTICO Autodesignazione Allocuzione Linguaggio 3. L'uomo che agisce. Nell'ambito della teoria dell'azione (che si interroga sul senso- che cosa?- sulla motivazione- perché?- e sull'attribuzione- chi?- di una azione), Ricoeur sostiene che :»la triade dell'ethos può essere di aiuto per orientarsi nella problematica del chi?»68 secondo la seguente prospettiva: PIANO ETICO Stima di sé Sollecitudine Istituzioni PIANO DELL'AZIONE Agire intenzionale ed efficace Interazione Modelli di eccellenza Ma riusciamo a cogliere più chiaramente lo stretto legame tra il piano etico e quello pratico dell'azione se consideriamo non più soltanto l'uomo che agisce ma anche quello che subisce l'azione: l'uomo sofferente. Se ogni agire è avere potere su qualcuno, è fondamentale per una teoria dell'azione completare l'esame dell'agire con quello del patire. Nel confronto tra agente e paziente risulta evidente che : «E' sempre la diseguaglianza tra agenti a porre il problema etico nel cuore della struttura non egualitaria dell'interazione»69. Dal momento che ogni interazione può essere cooperazione ma anche competizione, si vede come la triade etica venga ad essere la base ontologica di ogni teoria della prassi morale e politica; avere «cura di sé, cura dell'altro e cura delle istituzioni» vuol dire essere coscienti delle proprie azioni, essere consapevoli delle ripercussioni che queste hanno sugli altri uomini ed essere responsabili e rispettosi delle regole del nostro mondo di vita. 4. L'uomo che racconta. La mediazione narrativa, per Ricoeur, prende in considerazione i problemi connessi alla considerazione del tempo nella costituzione della persona. Superato il modello classico della «naturae rationalis individua substantia», che consentiva un ancoraggio stabile per il concetto di persona, si riapre l'annoso problema filosofico dell'identità, che oscilla fra l'idea della permanenza di una sostanza immutabile- medesimezza, che cosa sono io ?- e la necessità di conservare una forma di riconoscimento del sé nonostante gli inevitabili mutamenti dovuti alle vicissitudini della vita- ipseità, chi sono io ?. Mentre la vita scorre in questa alternanza di piani (tra medesimezza e ipseità) è il filo del racconto, la memoria storica e l'invenzione letteraria che, secondo Ricoeur, riescono a dare un senso unitario alla frammentarietà del vissuto. La sua tesi è che: «la mediazione narrativa ci consente di ritrovare, e nel caso di arricchire, la 67 Id. p. 53. Id. p. 59. 69 Id. p. 63. 68 41 struttura ternaria che costituisce la cellula melodica (etica) di tutto questo studio»70, e presenta, anche a questo livello, il parallelismo con la triade della struttura etica: PIANO ETICO Stima di sé Sollecitudine Istituzioni PIANO DEL RACCONTO Identità narrativa Intreccio narrativo Identità narrative transstoriche Osservazioni conclusive La riflessione di Ricoeur sulla persona approda al punto da cui è partita: la triade etica e si chiude sul bellissimo concetto di «fedeltà creatrice»71 che rende il senso profondo di questa struttura etica che costituisce la persona umana. Il senso più autentico della propria identità, la fedeltà a se stessi, si esplica in questa facoltà creatrice che nelle parole, nelle azioni, nella storia, ci pone in relazione con gli altri e con le istituzioni. Relazione che, appunto perché creatrice, è immediatamente debito di responsabilità e dovere di cura (i doveri più alti e imprescindibili sono infatti quelli che ci legano a ciò che noi stessi abbiamo creato). Sono veramente e profondamente me stesso se sono in grado di rispondere per l'altro, di averne cura; esattamente come io parlo se l'altro mi interpella, agisco in relazione al paziente che mi è di fronte e vivo la mia storia se è intrecciata con quella degli altri uomini. La reciprocità è componente essenziale nella costituzione della persona, che vive del rapporto con gli altri; se la fedeltà a me stesso passa attraverso la mia «capacità creatrice» che mi apre agli altri ed alla comunità, così è la mia fedeltà agli altri ed alla comunità che mi consente di «creare», maturare fino in fondo me stesso come persona. Si comprende dunque facilmente, come l'istituzione giusta altro non è che il luogo di questo rapporto, il luogo istituito da questo «giusto» rapporto tra le «persone». «Non ricerchiamo sostanze fisse dietro a queste comunitàscrive Ricoeur- ma non neghiamo loro la capacità di mantenersi in relazione, attraverso una fedeltà creatrice, agli eventi fondatori che le instaurano nel tempo»72 ed agli uomini che le vivono nel tempo. L’istanza dell’oggettività dei valori. - Come si è potuto a più riprese notare, l’istanza del valore e della sua oggettività, è apparso costantemente come lo sfondo su cui si è andata disegnando l’immagine assiologica della persona. È appunto sulla tematica dell’oggettività del valore che concentriamo ora l’attenzione per offrire un ulteriore sviluppo al nostro discorso. Tentare una definizione del VALORE apre il rischio ad una formulazione riduttiva; è perciò opportuno rilevarne alcuni caratteri salienti, tenendo in considerazione il rapporto fra schema e realtà. Infatti tutto ciò che incontriamo ha un rapporto con noi: pratico, estetico, morale, con diverse accentuazioni. È sotto l'egida del dinamismo della storia. Tutto ciò che capita riveste un SENSO e provoca una reazione (assenso o rifiuto). Alla comunicazione di SENSO fa seguito una valutazione. È un senso che si qualifica come valido in se stesso; si impone per un suo significato autonomo (Cfr. H.Reiner). Il valore ha dunque un significato oggettivo, e non dipende dalla possibilità o meno di accettazione o di comprensione. Ha una oggettività logica (senso) e ontologica (il suo essere), non dipende dall'inventiva; è oggettivamente dato. Il valore non dipende dal giudizio della ragione: non è il parere di chi valuta a dare consistenza, ma la materia del suo predicato (Cfr.M.Scheler). Non tutti, però, concordano sul tema dell'oggettività del valore. Ad esempio, Nietzsche (Geneologia della morale) riduce il valore ad un dato psicologico, frutto del senso di colpa o di risentimento. Ancor prima, gli empiristi e gli utilitaristi lo riconducono alla comodità convenzionale che inventa strategie per orientare le azioni. Chi, come Hobbes (Leviatano del 1651), lo assimila a puro nominalismo, dove il giudizio morale è considerato come un grido, una scarica emotiva che risponde ad uno stimolo. Ogni espressione di valore non è altro che l'espressione di un desiderio rivestita di apparenza morale, il cui rispetto o rifiuto viene fatto coincidere con il bene o il male. 70 Id. p. 67. Id. p. 71. 72 Id. p. 70-71. 71 42 A queste posizioni risponde Scheler. Che dietro l'affermazione di un valore ci siano sensazioni e emozioni, non implica la perdita dell'oggettività reale di quel valore. Il giudizio, più che rapportarsi a ciò che attraversa la mia psiche, intende rivolgersi a oggetti a tutti accessibili (es. il panorama). La stima per un nemico, è indipendente dal disprezzo che emotivamente sento per lui. Il valore, più che semplice emozione esprime un significato ontologico. Come per un colore, il valore oltre alla sensazione ci conduce in una realtà oggettiva73. Ci si deve chiedere: come mai una stessa azione può essere oggetto di giudizi diversi e contrastanti? È proprio del valore morale, in quanto indipendente , riscuotere giudizi. Questa indipendenza che rende il valore invariato pur mutando l'entusiasmo, l'emozione, nei suoi confronti è determinata da suo intimo rapporto con la realtà ontologica (essere) dell'uomo stesso. I valori si dischiudono al soggetto morale senza fermarsi alle sole volontà e ragione ma interessando il soggetto nella sua costituzione ontologica. H.Reiner, distingue l'Ich-zentrum o sfera del volere, dall'ich-umgrund o sfera ontologica che precede la volontà74. Il valore si presenta in modo evidente al soggetto da un lato come rivolto alla esistenza e dall'altro nel sua intima realtà che è indipendente dalla recezione. La giustizia e l'amore si collocano in una condizione che precede la convenienza e il piacere. (Vedi la polemica fra Aristippo e Socrate. Aristippo critica il male ricevuto ma giustifica il male fatto; Socrate, pur subendo una ingiustizia non offende l'altro. Il valore qui si sottrae all'emozione e si costituisce nella sua autonomia, mentre per l'edonista è decisivo il carattere soggettivo). La giustizia non si osserva perché vantaggiosa, ma perché è un bene in sé a prescindere dai suoi effetti. Vale lo steso per l'amore che è capace di oggettività perché punta al bene. L'amore non teme situazioni di sacrificio o di disagio perché desidera il bene dell'altro, cerca l'oggettivamente buono per il partner; va al di là di ciò che è soggettivamente appagante. Collegato al tema della oggettività è la loro rilevanza empirico storica. Essendo collocati nella dimensione ontologica potrebbero essere ridotti a pura sfera ideale. Qui è necessario richiamare che il soggetto umano è un soggetto incarnato, è collocato in una storia, vive gli avvenimenti seppur non esaurendosi in essi. Il valore quindi si colloca nella sfera del trascendentale: ha una valenza fenomenologica che lo fa incontrare nella storia, e una valenza ideale che lo colloca sul piano del pensiero. Il valore dunque si colloca nella dimensione misterica dell'essere dell'uomo. Vive di questa valenza di continuo rimando ad un «oltre» che non è mai riducibile alla sua semplice esperienza (es. la giustizia non può ridursi mai al modo in cui un soggetto la incarna, ma rimanda sempre ad un senso previamente e globalmente più pieno). Appunto questo rimando (um-grund) permette di operare giudizi sul concreto agire. L'amicizia non è riducibile al modo con cui il singolo la vive e non si incrina nel suo valore se è tradita. I valori non si confondono con chi li incarna, anche se nella realtà si incontrano attraverso questi stessi e a questi sono orientati. Anche se la concretizzazione di un valore può assumere vesti non aderenti all'ideale ( e questo è tipico della posizione incarnata dell'uomo rispetto al suo stesso limite storico e umano) in sé porta una EVIDENZA che nessuna situazione può azzerare. Ciò che è oggettivo si manifesta per quello che è in forza della sua evidenza. Il «bello» è riconoscibile in un volto, un panorama, un quadro anche quando queste realtà subiscono deturpazioni. C'è una INTUIZIONE del valore al di là della sua percezione75, seppur la percezione ne diventa la via di accesso. Ritorna qui il problema della CONOSCIBILITÀ del valore attraverso le indicazioni dell’intuizione-definizione concettuale-comprensione dinamica La visione intuitiva apprende l'essenza, il quid così come è in sé immediatamente e, tuttavia, è soggetta alla progressione dinamica della comprensione. Non si deve ignorare però che il valore morale si esplicita alla coscienza lentamente, passando attraverso errori e costumi devianti. Si devono guardare sia la coscienza del valore,sia il percorso storico, spesso velato e irriconoscibile, della sua applicazione. Questa IMMEDIATEZZA dell'intuizione, che riguarda tutto l'essere dell'uomo, non è frutto di pura argomentazione (logica) ma soprattutto di SENSIBILITÀ. Non è questione di puro ragionamento ma di RICONOSCIMENTO. L'evidenza è spesso indimostrabile non per oscurità ma per eccesso di chiarezza. Tra evidenza e dimostrazione si dà un grado di conoscenza diverso: infatti la dimostrazione 73 Cfr. M.SCHELER, Formalismus. Cfr. H.REINER, Grundlagen der Sittlichkeit. 75 Cfr. HILDEBRAND, Ethik. 74 43 si rifà all'evidenza. Lodo un 'azione buona per la sua evidenza e non per eventuali ragioni di convenienza. L'evidenza del valore ha una sua ragione contro cui non possono valere altre ragioni escogitate da calcolo riflessivo. Si propone a me anche contro i miei interessi e sentimenti, e proprio perché evidente risulta anche libero. L'evidenza, il riconoscimento sono legati alla SENSIBILITÀ, alla capacità di risposta motivata della persona! Una persona o una società rese insensibili da condizioni fin troppo utilitaristiche rendono queste ciniche. La carenza di sensibilità per i valori diviene indice di una povertà spirituale, di una indifferenza cinica, di una negazione del proprio essere, in una parola, di una condizione non più umana. La sensibilità però si iscrive nella conoscenza e nell'educazione ai valori. L'apprendimento richiede l'onestà della persona: la disposizione d'animo, la finezza, la rettitudine da un lato, e la fuga dall'INDIFFERENZA dall'altro. La conoscenza è adeguata quando è sostenuta da una forza affettiva. L'emozione si deve aggiungere all'atto conoscitivo. Il grado di partecipazione al valore cresce se dall'informazione di ordine conoscitivo si passa al COINVOLGIMENTO di tutta la persona. Alla ragione va aggiunta l'emozione, il lasciarsi colpire e sorprendere. La sfera emotiva diviene l'apertura alla dimensione profonda del valore. Ovviamente questa sfera va riconosciuta nella sua valenza e non come campo di torbidi impulsi. Escludere la sfera emotiva è altrettanto rischioso quanto l'escludere la ragione. Ragione e sentimento vanno coniugati. Su questo problema si affacciano varie linee di tendenza: - linea razionale: la ragione è il trait-union fra oggettività e soggettività rispetto al valore. Il valore è sufficientemente chiarito nell'ambito della ragione pur non escludendo l'esperienza esistenziale (Esclusione dei fattori emozionali)76. - linea emozionale: non solo la ragione stabilisce un rapporto chiaro con le cose; ad essa va aggiunto un «cuore». Riconosciute le ragioni del cuore (Pascal) non si dovrà distinguere più fra ragione in sé e esperienza (Cfr. Scheler, Hartmann, Hildebrand). Della sfera etica è tipico il SENTIRE oltre che il CAPIRE, in quanto il suo oggetto è un valore e non solo una verità speculativa. Questa situazione rischia di spaccare in due l'uomo in un novello dualismo cartesiano. Come sfuggire a questa strettoia? Un tentativo è fatto attraverso il concetto di INTENZIONALITÀ. Innanzitutto distinguendo tra atti emozionali e stati emozionali. Si opera una disgiunzione perché negli stati emozionali (stati d'animo: noia ecc.) manca un SENSO, una intenzionalità. Che un atto emozionale (amore, passione) sia accompagnato da stati d'animo (calma, ira, gioia), questo non ne legittima il fraintendimento. Per questo il valore non può essere spiegato con una convenzione, con una motivazione razionale. La facoltà adeguata è il sentire, di cui si deve riconoscere oltre che l'intenzionalità, anche la capacità conoscitiva, intuitiva originaria e oggettiva. L'esperienza etico-morale apre alla sfera del trascendere, eleva nel contesto dei valori e rompe il cerchio dell'egocentricità. Diventa altruismo, apertura, donazione, perché spinge oltre se stessi e garantisce il rispetto del bene oggettivo. Questa trascendenza si afferma tanto nell'intenzionalità quanto nel gioco relazionale fra proposta di valore e libera accettazione che supera l'imprigionamento nell'io. Va detto comunque che questa relazione non è turbata dagli effetti positivi determinati dall'azione morale: se fare il bene mi procura felicità questo non è pregiudizievole per l'atto morale in sé. Se amo sinceramente un amico, non l'amo per appagare una mia esigenza, ma perché è degno di essere amato. Questo risponde alla costituzione dell'uomo. Il carattere intenzionale, oblativo, non è soppresso per il fatto che nell’altruismo assecondo la tendenza naturale del mio essere. In questo gioco di rapporti vedremo come la COSCIENZA trova il suo specifico ruolo. Ma, intanto, procediamo ad una opportuna chiarificazione di alcuni passaggi significativi per il tema dell’etica sociale. Soggetto e identificazione dell'ethos. - Alla oggettività del valore corrisponde nell'uomo una capacità che accoglie l'appello e lo conduce verso il concreto agire morale. Per questo la coscienza è una realtà 76 Cfr.HUME, Trattato sull'intelletto umano. 44 soggettiva, appartiene interamente al soggetto. Risultano evidenti alcune considerazioni: coscienza e valore non coincidono, per cui la coscienza non può dirsi valore di se stessa; la coscienza ha un carattere creativo oltre che applicativo: in quanto coinvolta nel «vivere» della persona con tutte le varie implicazioni e possibilità il suo compito non «è l'adempimento delle norme stabilite, ma l'autentica realizzazione dell'io nella realtà esistente»77; al carattere creativo si aggiunge un lavoro interpretativo (epikeia) segnato dalla novità e dal particolare. È una operazione ermeneutica dettata dalla situazione in cui concretamente si opera una scelta. L'epikeia ha dunque un carattere dinamico. Con l'esercizio delle sue operazioni: applicare, creare, intuire, leggere e rileggere, la coscienza si consolida, essendo una facoltà che nasce, si forma e si evolve 78. Queste caratteristiche conducono alla domanda sulla genesi e natura della coscienza morale. Ovviamente genesi e natura, seppur distinte, sono correlate e solo per chiarezza di indagine vengono ora separatamente analizzate. a. La genesi della coscienza è un dei temi più dibattuti, e vari sono i tentativi di ridurla a fenomeno sociologico (Durkheim) e psicologico (Nietzsche-Freud), annullandone ogni valore etico. L'analisi della base empirica sottostante alla coscienza non mi dà ancora la sua natura. Indubbiamente essa chiarifica aspetti importanti dell'esperienza morale ma va integrata con considerazioni etico-filosofiche che trascendo il livello della pura esperienza. - Durkheim spiega la coscienza e i suoi imperativi come riflesso della società. «Ogni volta che riflettiamo come dobbiamo comportarci, si eleva in noi una voce che dice: questo è tuo dovere. E se questo dovere che parla in noi in tal modo non è seguito, si eleva la stessa voce per protestare contro la nostra azione. Dato che essa parla in tono imperativo, sentiamo che essa proviene da qualcosa che ci è superiore; non vediamo però chiaramente chi è questo qualcosa né che cosa è»79. Poi l'A. esplicita l'origine della voce interiore identificandola con la società che ci ha modellati e inoculati quei sentimenti che prescrivono il nostro comportamento e insorgono quando si disattendono: «Quando la nostra coscienza parla è la società che parla in noi»80. È senza dubbio importante questo richiamo alle condizioni contingenti e ai fini pedagogici della società, ma in realtà la società aiuta ad esprimere la coscienza non la presuppone. Di fatto spesso avviene il contrario: la coscienza sviluppa personalità che si contrappongono al sentire sociale, alla morale , alla mentalità dell'ambiente. Se la coscienza si identificasse con la società che la genera non avremmo mai un progresso morale. Inoltre la coscienza oltre a determinare un rapporto con gli altri interpreta anche la realtà individuale, dice rapporto del soggetto con se stesso. Possiamo invece dire che nella concezione sociologica il soggetto scompare assorbito dal meccanismo della collettività81. - Nietzsche parte da una interpretazione psicologica. La coscienza è un fenomeno della decadenza, una malattia dello spirito e non può essere che cattiva perché con la sua nascita segna la fine dell'uomo innocente. Gli istinti liberi gli si ritorcono contro e si ritrova di fronte a se stesso come di fronte ad un nemico, dal quale non sa come liberarsi. Appena la società ha imposto delle leggi in nome della giustizia e della pace gli istinti sani della natura, mortificati nella loro espressione spontanea, dovettero «cercare nuovi e per cosi dire sotterranei appagamenti. Tutti gli istinti che non si scaricano all'esterno, si rivoltano all'interno», insorgono contro l'uomo stesso. «L'inimicizia, la crudeltà, il piacere della persecuzione, dell'aggressione, del mutamento, della distruzione, tutto quanto si volge contro i possessori di tali istinti: ecco l'origine della cattiva coscienza...Con essa fu introdotta la più grande e la più sinistra delle malattie, di cui fino ad oggi l'umanità non è guarita, la sofferenza che l'uomo ha dell'uomo, di sé: conseguenza di una violenta separazione dal suo passato d'animale, d'un salto e di una caduta...in nuove situazioni e condizioni esistenziali, di una dichiarazione di guerra contro gli antichi istinti, sui quali fino allora riposava la sua forza, il suo piacere e la sua terribilità»82. Non è però l'organizzazione dello Stato la causa originaria della cattiva coscienza ma la divisione in due classi: nobili e plebei, signori e schiavi, capaci e inetti. Specialmente in questi ultimi si annida il tarlo del risentimento e dell'odio, la sete di vendetta contro i loro dominatori: non potendosi confrontare 77 J.FUCHS, Responsabilità personale e norma morale, 197. Cfr. M. BIZZOTTO, La rinascita dell'etica, Torino 1987, 195 ss. 79 E.DURKHEIM, Erziehung, Moral und Gesellschaft, Suhrkamp, Frankfurt a.M.1984,137. 80 Ivi. 81 Cfr. J.MARITAIN, La filosofia morale , 314. 82 F. NIETZSCHE, Genealogia della morale, II,16. 78 45 con essi con la forza hanno escogitato una gerarchia di valori a cui si è collegata una facoltà: la coscienza. L'A. aspira al riscatto dell'uomo dalla coscienza, prospettando un rapporto di riconciliazione che supera il risentimento e la sete di vendetta. La liberazione dal veleno dell'invidia stronca alla radice la coscienza e all'uomo è riconsegnata l'innocenza originaria al di là del bene e del male. Questo bisogno di autenticità rispetto alla ipercivilizzazione ha i suoi punti deboli. La spiegazione psicologica è soggettiva: ognuno può liberamente porre premesse e da queste trarne delle conseguenze a proprio piacimento. Inoltre la stessa visione dell'innocenza riscattata dalla legge è utopica in quanto scavalca e sfugge la storia. L'uomo liberato dalla coscienza è veramente libero o è immediatamente aperto alla barbarie? Sembra questa una teoria di un signore nel deserto che esprime la sua volontà di potenza. Ma con chi e per chi? Slegato da qualsiasi vincolo secondo lo spirito romantico, l'uomo più che salvarsi finisce nella autodistruzione83. Possiamo tuttavia dire che le riflessioni dei due autori ci spingono a considerare la concretezza del fenomeno coscienza e al tempo stesso ci inducono a considerare che origine e natura di un fenomeno non vanno mai separate. b. Natura della coscienza: infallibile, oggettiva, incondizionata. Nel suo stesso nascere la coscienza si manifesta come capacità trascendente, tanto da venir qualificata come la voce di Dio nell'uomo84, il ponte di congiunzione fra il divino e l'umano. Per sua natura essa è ordinata all'apprensione del bene, superando le seduzioni del puro piacere, e il suo giudizio è infallibile seppur non irreformabile. La conclusione cui arriva dipende dalle premesse, cambiando le quali si modifica pure la sua valutazione. L'infallibilità non riguarda la norma, ma la soluzione del dilemma: devo o non devo? La coscienza non è la norma ma la sua segnalazione secondo le proprie conoscenze. Non è il criterio del bene e del male in sé, ma della bontà o meno di un comportamento. L'infallibilità sul da farsi non esclude la fallibilità delle premesse. È necessario il confronto con la norma e la ricerca del bene per non cadere in errori oggettivi e in pericoli di manipolazioni85. Condizionamenti e pregiudizi, tra cui la presunta sicurezza di essere nel giusto, pretendono di rendere come oggettiva la soggettività di una scelta. La ricerca incessante e responsabile, la fatica del confronto spezzano l'angusto spazio del perbenismo morale diretto o indotto (condizione dello struzzo). La stessa oggettività ha bisogno di precisazioni per non creare pregiudizi o illazioni. L'uomo resta sempre in cammino verso la verità. Quello che la sua intelligenza e onestà raggiunge è vero e giusto, ma in forma graduale e prospettica, non è il vero e giusto come si vorrebbe far intendere con il termine -oggettività- È necessario un processo ermeneutico nel reale, con i graduali avvicinamenti alla norma e gli inevitabili condizionamenti culturali. La coscienza è capace di volere in modo universale, ci permette di superare noi stessi, tanto da sollevare la domanda su ciò che è bene in sé, al di là del proprio tornaconto, senza con questo pretendere di essere giunta al possesso del bene. Infatti, essendo situata nella temporalità non può pretendere di emanciparsi radicalmente da essa (principio della GRADUALITÀ). Un altro carattere importante della oggettività riguarda il progetto d'essere che sorpassa i propri condizionamenti e la propria volontà: Non è quello che voglio ma quello che devo il mio progetto d'essere. C'è una oggettività ontologica che sprona la mia volontà e che si impone come progetto da perseguire, che induce alla fatica dell'impegno. Il volere che non ha alcun supporto ontologico ricade su se stesso e ripropone il rischio della manipolazione della coscienza. Altro elemento portante della coscienza è l'INCONDIZIONATEZZA. La coscienza è la capacità dell'incondizionato, comprende VALORI come fine a se stessi (dignità della persona). Abilita ad azioni disinteressate e a volere il valore in se stesso. Mai sono tanto fedele a me stesso quanto mi attengo alle esigenze del valore. L'incondizionato è costitutivo del mio essere razionale e morale, non è una imposizione ma il mio modo di essere profondamente uomo al di là dei condizionamenti. In forza della coscienza l'uomo, pur situato nella precarietà dell'effimero e dell'accidentale, non si perde nella 83 Cfr. H.THIELICKE, Theologische Ethik, Tubingen 1955, 470ss. Cfr. J.J.ROUSSEAU, Emilio, 318. 85 Cfr. H.E. HENGSTEMBERG, Grundlegung der Ethik, 156-162. 84 46 contingenza, avendo in sé la capacità dell'incondizionato che lo esprime nella sua autenticità. Non posso astrarmi dal reale, psicologico e sociologico, ma questo non soffoca la mia esigenza di incondizionatezza86. Attraverso la coscienza l'uomo esprime il meglio di sé. La stessa stratificazione linguistica riconosce nella coscienza l'apice nell'uomo. Il termine latino (cum-scientia) pone in evidenza l'elemento sintetico, ordinatore e assiologico; Il termine greco (sin-eidesis) accenna ad una visione d'insieme condivisa con un altro, che diviene testimone. È come se si fosse seguiti da uno che vede e si rapporta al nostro agire chiamandoci alla verifica. La coscienza è al centro della persona, rappresenta l'uomo nella sua totalità e con l'intera rete dei suoi rapporti. È il punto di convergenza tra uomo-mondo87. Se però per sua natura la coscienza è capace del divino, non è detto che di fatto adempia la sua funzione. È necessaria una EDUCAZIONE. Può essere una bussola che perde la bussola, può ammonire ma può essere messa a tacere, è sensibile per sua natura ai valori, ma può divenire ottusa e insensibile. Può essere incatenata attraverso condizioni che tacitamente la inducono alla insensibilità, alla progressiva estraneazione dai valori e dalle relative domande. A volte ci si crede liberi, in realtà non si è altro che esecutori di imperativi occulti. La manipolazione, diretta o soffusa, non risparmia la coscienza in quanto si interpone disturbando il rapporto di questa con i valori88. Per questo la coscienza ha bisogno di continua attenzione e dunque di progressiva educazione. c. Caratteristiche e vocabolario. 1. Coscienza come facoltà: - coscienza originaria (etica) è la capacità naturale dell'uomo di essere in rapporto con la verità oggettiva e col bene. Fare il bene ed evitare il male. Volontà e intelletto sono armonicamente uniti; - coscienza morale: la coscienza originaria è connaturale all'uomo, ma il concetto di bene morale e le modalità della morale sorgono solo gradualmente sulla base dell'esperienza e della formazione. In tal modo e su questa coscienza si costruiscono nell'uomo la scienza morale, la coscienza dei valori e gli atteggiamenti morali (habitus). 2. Funzioni: - coscienza antecedente: Essa si sottopone al giudizio della riflessione: nella forma di un giudizio pratico un concreto comportamento viene rapportato su una scala di valori morali. Le norme vengono concretizzate e si rimuovono, possibilmente, le oscurità che permangono. Il dovere esorta ad essere fedeli ai valori. Si fa sentire la voce che esorta a non evadere e a non bloccare il movimento della coscienza. La prudenza in questo caso è la virtù propria della coscienza; è suo compito valutare la realtà. - decisione: L'uomo naturalmente orientato verso il bene prende una decisione concreta liberamente e se ne assume la responsabilità. L'io si sperimenta nella identità o nella separazione radicale con se stesso. - coscienza conseguente: Conferma o riprova la decisione presa. Si scopre l'alienazione da se stessi connessa a decisioni che negano i valori, si è coscienti della colpa. Tranquillità o rimorso sono frutto di questa terza fase. 3. Caratteristiche della coscienza come habitus. - attenzione: Indica la capacità di reazione ai valori; coscienza vigile o assopita. L'attenzione può essere completa o parziale. 8686 Cfr. A.RIGOBELLO, L'oggettività della coscienza, 35-36. Cfr. G.EBELING, Riflessioni teologiche sulla coscienza, 229-246 Cfr. G.EBELING, Riflessioni teologiche sulla coscienza, 229-246).. 88 Cfr. D.HILDEBRAND, Veri e falsi principi di morale, Morcelliana, Brescia 1962,161 Cfr. D.HILDEBRAND, Veri e falsi principi di morale, Morcelliana, Brescia 1962,161).. 87 47 - sensibilità: Indica la capacità di sfumatura fra bene e male. Una eccessiva sensibilità porta alla coscienza scrupolosa. La scrupolosità può nascere da situazione di rimozione, da ansietà inconscia. Lo scrupolo ha bisogno di guida perché da se stesso non opera un retto giudizio. 4. Giudizio della coscienza. - Rettitudine: Retto è il giudizio che corrisponde alla oggettiva norma morale. - Certezza: Con coscienza certa si intende la certezza del giudizio sul valore o sul contenuto. Coscienza dubbia è data dall'incertezza del giudizio personale o in ragione delle circostanze o in ragione dell'oscurità del diritto. (Dubbio di fatto o di diritto) oppure (Dubbio teorico o pratico). 5. Alcune considerazioni sulla coscienza morale. - Circa la concezione soggettivistica. Si deve mantenere il rapporto essenziale della coscienza morale ad un bene oggettivo e reale, senza il quale sarebbe impossibile definirla e giustificarla. Infatti la coscienza morale è una attività dell'intelletto pratico che comprende dei beni/fini reali e un fine ultimo e poi effettua il suo giudizio. a) verso il formalismo kantiano: si supera la condizione «sensitiva» dell'imperativo kantiano in quanto l'uomo possiede funzioni intuitive per comprendere se stesso e un bene reale. Il rischio e di cadere in un circolo in cui la coscienza rispetta i fini che lei stessa autodetermina (selbstweck). La legge morale, contro ogni autonomismo, è fondata invece su un bene oggettivo ed è data dalla ragione. b) verso il deontologismo contemporaneo: qui la coscienza è ridotta a pura obbligazione a certe azioni. Il principio obbligante è cercato nelle conseguenze (utili e piacevoli) delle azioni dalle quali partono le argomentazioni (metaetica). Ma tale posizione è fruibile anche nel male (regola d'onore nella camorra, non fare quello che vuoi esser fatto). È necessario perciò la coscienza del vero e del bene nella sua oggettività. c) verso il decisionismo. È il rischio di confondere la coscienza morale con la prudenza. La coscienza prepara delle scelte che possono poi essere applicate con prudenza. La coscienza è alla base delle decisioni. - Circa l’oggettivismo etico. La ragione non si trova fuori del bene oggettivo che è l'essere buono umano, ma è in esso. Il soggetto può divenire oggetto a se stesso in quanto ente (infatti l'ente è di un carattere trascendentale che comprende soggetto e oggetto). a) verso il naturalismo, che riduce (in modo sensualistico) la natura dell'uomo alla sua corporeità e sensualità, si deve precisare che la ragione appartiene alla natura umana e che la legge naturale esprime una moralità naturale insita nella natura dell'uomo89. b) verso il conseguenzialismo, che intende il fine/scopo solo come conseguenza delle azioni (in modo empirico) si afferma che il fine non è solo il termine dell'esecuzione delle azioni ma il primo nell'intenzione della ragione. È la causa finale che precede con la sua intenzionalità le azioni che seguono come effetti. Non c'è divario fra teoria e prassi. L'autorità interiore della ragione (che dice rimando ad una autorità superiore) è la condizione indispensabile per il riconoscimento delle autorità esteriori. Questo esclude una lettura psicologica o sociologica circa gli influssi esteriori praticati attraverso l'educazione. c) verso concezioni religiose che riducono Dio ad essere coscienza dell'uomo (fondamentalismi), si 89 Cfr. H.SEIDL, Natuerliche Sittlichkeit in The Ethics of St.Thomas Aquinas, Roma 1984, 95-117. 48 deve dire che Dio come causa prima non elimina la causa seconda nell'uomo: anima-ragione pratica. La coscienza morale è la voce della ragion pratica, nella quale l'uomo parla con se stesso e con gli altri, orientata a Dio. La voce della coscienza è un effetto causato da Dio nell'uomo, come la legge naturale morale è causata in lui dalla legge divina a cui partecipa. Direttamente Dio parla all'uomo con rivelazioni in cui l'agente diretto è Dio stesso. Coscienza umana e Dio dunque non sono in alternativa ma in complementarietà. A conclusione possiamo tracciare dei caratteri tipo nella coscienza morale: - è un con-sapere, realizzato dall'intelletto o dalla ragione, nelle funzioni intuitive o giudicative, riguardo i fini universali e nell'applicazione di questi a fini concreti; - è diretta al bene; - si deve distinguere l'intelletto nella coscienza (sinderesi) che comprende i principi universali in modo vero (anche se vagamente o indeterminatamente) e la coscienza giudicante che può essere erronea (tanto da richiedere una formazione che porta ad una conoscenza più chiara e a giudizi più maturi); - non si identifica con nessun affetto. È una caratteristica dell'intelletto pratico capace di influire sulla volontà. Assume caratteri di testimonianza, di stimolo, di apertura ecc. - con i suoi giudizi prepara le decisioni. Si considera che il bene reale si trova nell'essere stesso dell'uomo e la coscienza è l'atto formale iniziale dell'autoconoscenza. Tutto quanto detto apre finalmente la porta sull’essenziale di tutto il nostro discorso: la persona e il suo statuto etico. III.5. PRINCIPI ETICI: PERSONALI E SOCIALI. 5. Principi personali: dignità-libertà-responsabilità 6. Principi sociali: responsabilità-solidarietà-sussidiarietà 7. Giustizia e Bene Comune. a. La responsabilità. Si deve differenziare le diverse figure della responsabilità etica, e mostrare che il soggetto si inserisce nell'intersezione di responsabilità diverse ed eterogenee, quasi a configurare un soggetto etico a «geometria variabile». La responsabiltà di chi si serve della vulnerabilità dell'altro non è dello stesso tipo di quella che consiste nel tener conto nella propria azione dei suoi effetti più lontani. Questa doppia identificazione rimanda al concetto di risponsabilità secondo E.Lévinas e H.Jonas. Inoltre non è lo stesso soggetto quello che si pone davanti ad un giudice, davanti al suo Amico, davanti alla Storia, o davanti a Dio. In un articolo apparso in Le Christianisme social, del marzo 1949, P.Ricoeur distingueva: 1.colpevolezza criminale, dove il soggetto colpevole è un individuo criminale, posto davanti ad un tribunale e suscettibile di ricevere una condanna; 2.colpevolezza politica, dove il colpevole è il popolo dei cittadini consensienti, posto davanti alla storia e suscettibile di azione riparatoria; 3.colpevolezza morale, dove il soggetto è ognuno, non importa chi, posto davanti ad un amico, e suscettibile di pentimento; 4.colpevolezza metafisica, dove il soggetto colpevole è costituito dall'insieme dei «sopravvissuti», posti davanti a Dio nel confessare come si è venuti meno alla solidarietà totale. Quale sarà dunque la «coerenza» del soggetto, la sua fedeltà, in ragione delle tante e così varie responsabilità che si vanno presentando? Si deve forse collocare il concetto di responsabilità in una tensione tra un polo soggettivo e un polo istituzionale. Parlare di sggettivizzazione della responsabilità significa considerare il soggetto come «abbandonato» alla sua responsabilità, anche in assenza di regole valide o univoche. Istituzionalizzare la 49 responsabilità, significa definire la formazione del soggetto responsabile con procedure e accorgimenti che organizzano lo spazio sociale. Queste posizioni, a carattere estremo, sembrano indurre a valutare le posizioni in senso complementare. 1. La responsabilità del soggetto. Il civilista J.Carbonnier distingue la responsabilità morale da quella giuridica, attribuendo alla prima il carattere della non-limitazione e quello della limitazione alla seconda. Insiste sia sulla sproporzione fra le due, sia sulla necessità di ripensare oggi un concetto di responsabilità limitata. La morale, dal canto suo, si preoccupa soprattutto di aumentare e affinare il senso della responsabilità in senso illimitato al punto da favorire la'ttenzione verso le negatività e le sofferenze possibili, un modo «di essere avvertiti», una facoltà di giudicare per se stessi. Una simile resposnabilità è aperta al futuro e dispone alla prudenza. Il diritto, per suo conto, procede invece alla sua limitazione, in modo da non lasciare campo aperto. In pratica tende a precisarla, ad imputarla o, paradossalmente, a prescriverla. Una simile responsabilità è rivolta al passato e si codifica con una sanzione (penale) o con una riparazione (civile). In verità è appunto questa sproporzione a caratterizzare la struttura intima della responsabilità che ha bisogno di concrete codificazioni, ma anche di rimandi a questa qualità intima del soggetto nel suo più profondo rimando all'Altro. Ma tale sproporzione indica soprattutto l'impossibilità di una riduzione della responsabilità morale a condizioni di convenzione o di convenienza, operando quindi un rimando alla «qualità» intima del suo essere abbandonati alla propria responsabilità di giudicare il giusto e il bene. Così essa si manifesta soprattutto là dove non ci sono risposte precostituite: si definisce e si decide in assenza di regole prestabilite; essa stessa è capace di fissare regole nuove e pone degli obblighi che cerca di rispettare. Così il soggetto si scopre capace di atti inediti, di azioni non riconosciute o retribuite, di contrastare così l'irresponsabilità. La moralità del soggetto, infatti, non consiste nell'essere felice ma nel modo dignitoso di esserlo. In tal senso rinuncia a pensare in termini di ricompensa e di punizione e si apre alla coscienza di una reciprocità anche per le situazioni dell'umanità futura. Queste considerazioni pongono una serie di questioni che dispongono naturalmente alla valutazione del secondo polo, quello istituzionalizzato. 2.La responsabilità istituzionalizzata. La via soggettiva tendeva a circoscrivere e a limitare il diritto in favore della responsabilità morale. Se questo riguarda soggetti responsabili sembra positivo, ma di fronte ad interessi economici forti, in materia di biotecnologia, a forze brute, ad azioni di sottile convinzione e plagio? Non è necessario proteggere il più debole rispetto al più forte? di proteggere le vittime da se stesse e dalla propria irresponsabilità? Non sarebbe necessario dare al diritto un posto più centrale? Non sarebbe necessario rinforzare, così, il tessuto delle istituzioni che consentono di stabilizzare la responsabilità sociale, di tener viva l'attenzione? L'istituzione non è forse la via della responsabilizzazione? Su questo versante, P. Legendre, il soggetto morale non si forma se non attraverso l'istituzione della filiazione rispetto alle istanze di autorità, leggittimità, normatività. Lasciare il soggetto abbandonato alla sua responsabilità significa sottoporlo al rischio del desiderio di tirannia. Un altro elemento negativo, in tal senso, scaturirebbe dal concetto di «peccato-colpa» su due livelli: - il livello individualista di una società più liberista che solidarista e che rinuncia a mutualizzare i rischi; - il livello religioso di una società che richiede riferimenti simbolici forti. L'interesse della nozione di responsabilità senza colpevolezza nasce dal desiderio di porre la distanza tra vittima e colpevole. Si preferisce considerare il male e le sofferenze come punizioni piuttosto che considerarne l'assurdità. E' una visione penale del mondo certamente non tramontata, anzi maggiormente radicata sotto una forma secolarizzata di retribuzione: ogni male deve essere la conseguenza di una colpa o di un errore. Diviene dunque preminente cercare i colpevoli per purificare la società dai suoi mali. Ma vi è una irriducibile incommensurabilità tra la posizione di sofferenza della vittima e quella maliziosa del colpevole. Quando il lavoro di imputazione è finito rimane un eccesso di sofferenza che non può essere in alcun modo imputato (Cf P. Ricoeur, Le Mal, Labor et Fides, Genève 1986). Non 50 perché non sia possibile risalire ad ogni atto di colpevolezza, ma perché la logica della imputazione, in quanto derivata dalla logica della retribuzione, dovrà comunque fermarsi. Qui compare di nuovo la istituzione. La sua funzione è quella di desoggettivizzare, di stabilire una condizione opaca nel circuito della retribuzione, della reciprocità e della riconoscenza. permette di toccare il problema su due versanti: - senza abbassare la guardia di fronte ai mali, si preoccupa di identificare le azioni, di riconoscerne gli autori e di obbligarli alla prudenza; - consente di far accogliere quella parte del danno che nob può essere più imputabile o riparabile. Se noi mettiamo in opposizione vittime e colpevoli, come due categorie massive, se noi rifiutiamo un mondo dove è possibile avere anche vittime senza colpevoli, ci disponiamo ad un mondo di vittime senza responsabili. Sarà un mondo puerile che consente la promessa di una realtà assicurata contro ogni male; una società dove si può credere che ogni male sarà imputato e riparato. L'appello alla giustizia sarà ridotto a riparazioni compensative di tipo economico e la responsabilità giuridica si ridurrà alla solvibilità: non si cercherà altro che l'assicurarsi, l'essere garantiti. In una simile società nessuno è responsabile. Nessuno prende più dei rischi imputabili. Si prendono rischi prudenti e intanto si lasceranno correre quei rischi non imputabili, che sono i più grandi. La responsabilità, per esempio, per la scelta di una civilizzazione imperniata su condizioni con effetti chiaramente deleteri per l'umanità. Una chiara colpevolezza a tali livelli lascia intatta la responsabilità politica, gli interessi economici e l'assenso di tutti. 3. La responsabilità consapevole. L'etica della responsabilità si muove simultaneamente sul versante della soggettività, oltre la dimensione giuridica, e sul versante della istituzione, per garantire la tutela della «minorità». E' un conflitto di responsabilità che attraversa il soggetto etico e che lo forma. Il problema diviene quindi quello della consapevolezza, della coerenza e della fedeltà. Potrebbe questo far apparire che il versante pubblico e politico, istituzione di istituzioni, divenga il contesto ideale per la coesione sociale, per la solidarietà e la definizione di regole comuni e condivise. Ma intanto una simile affermazione è quanto mai contraddetta oggi e ripropone la necessità di ricondursi sul versante della responsabilità, della capacità di fedeltà e di coerenza del soggetto. Una responsabilità consapevole e a più sfere, suppone soggetti capaci di seguire regole e al tempo stesso, in casi estremi, di produrre azioni etiche eccedenti le stesse regole stabilite inizialmente. Responsabilità consapevole, dunque, come capacità di rispondere all'imprevisto, ad un surplus di richiesta, attraverso una coerenza ragionevole. Far credito al desiderio di coerenza è tenere conto della incapacità del soggetto a sopportare l'incoerenza oltre una certa soglia. E' il bisogno di coerenza, infatti, a garantire una società. Questo non elude il bisogno della istituzione politica e giuridica di tale coerenza, ma mostra che il peso della domanda di coerenza consapevole non può essere caricato esclusivamente sul polo istituzionale della responsabilità. Il rischio è di credere che possa esserci una responsabilità totale che può condurre ad un potere totale. E un potere totale e una signoria morale che non esistono, sia per ritornare sugli effetti irreversibili delle nostre azioni ormai avvenute, sia per simulare e fingere di non sapere sulle manipolazioni di vario genere e sulle varie violenze praticate nella nostra realtà. b. Alcuni tratti e tipologie del concetto «solidarietà». Questo concetto ha svolto e svolge nel pensiero degli ultimi due secoli un ruolo importante. E' legato, nella sua origine e sviluppo, all'età dei Lumi che attraversa e anima tutta la cultura europea. Nell'ambito cattolico, a partire dalla Rerum Novarum del 1891 e dalla Quadragesimo Anno del 1931, questo concetto diviene pietra angolare di ogni sistema di giustizia sociale e universale. E' così evidente che i termini solidale-solidarietà risultano relativamente recenti e conservano la stessa radice linguistica e lo stesso senso in molteplici contesti culturali: l'inglese solidarity, il tedesco solidaritaet, l'olandese solidariteit, il polacco solidarnosc... 51 Proviamo a darne una qualche definizione: le espressioni solidarietà/solidale si applicano alle situazioni in cui molte persone entrano in comunione di interessi e responsabilità e dipendono tra loro reciprocamente in modo tale che ciò che interessa l'una, nel bene o nel male, riguarda anche tutte le altre. In ragione di questa traccia possono essere segnalati alcuni tratti distintivi di questo nostro concetto: 1. La solidarietà implica una comunanza di interessi così molteplice tanto da poter non essere ben valutata da uno sguardo puramente esterno; 2. Emerge dalla convinzione che un singolo o un gruppo è troppo debole per raggiungere gli obiettivi prefissati; 3. Prevede la diretta partecipazione, la implicanza, agli sforzi da compiere in difesa di interessi comuni, con conseguente capacità di privazione o sacrificio; 4. L'impegno che nasce da un rapporto di solidarietà non può rimanere saldo senza una libera, esplicita, scelta dei soggetti interessati, con conseguente valutazione morale sui valori implicati. Si può notare che, malgrado una definizione abbastanza realistica, il concetto permane fluttuante e consente, di fatto, una sua diversificata applicazione, in quanto, non tutti e non sempre gli elementi segnalati trovano diretta e globale concretizzazione. Ulteriori precisazioni nascono da una serie di tipologie, a carattere psicologico e sociale, che identificano in concreto questo nostro concetto: 1. Distinzione tra solidarietà in quanto fatto naturale e quella intesa come virtù. In questo primo caso essa esiste indipendentemente dalla nostra volontà. Scaturisce dalle condizioni fisico-biologiche, economiche e politiche, intellettuali e morali nelle quali la nostra natura ci ha collocato. Per questa solidarietà naturale, l'individuo ha dei doveri di dedizione e abnegazione in quanto doveri di semplice giustizia e molto diversi da quelli derivanti dalla solidarietà-virtù. 2. Distinzione tra solidarietà materiale e solidarietà morale. Questa prima, detta anche attiva, si impegna in atti concreti; la seconda, invece, si limita all'appoggio morale espresso in atti di adesione, in segni di approvazione, di incoraggiamento. 3. Valutazione del tipo di solidarietà in ragione delle facoltà della persona umana: solidarietà cognitiva, volitiva, affettiva, motrice. 4. Determinazione del tipo di solidarietà che scaturisce dalle diverse aggregazioni sociali. c. Giustizia sociale. Significato complesso (teologico-giuridico). Idea generale di Giustizia. Giustizia specifica, determinante per l'etica sociale, tre nuclei principali: Nozione di giustizia. Definizione di Simonide: giustizia è dare a ciascuno il suo. Definizione di Platone: giustizia è fare ciascuno il suo. Definizione di Ulpiano: giustizia è ferma volontà di dare a ciascuno il suo. Elementi specifici di etica sociale sono: 2. stretta esigibilità (dovuto) 3. uguaglianza. 1. alterità 52 Condizioni necessarie: 1. uguaglianza è valore oggettivo (atti esterni) 2. uguaglianza è atto personale (rettitudine interna) 3. uguaglianza è sia atto esterno che atto interno, è all'oggetto (giusto mezzo) un adeguarsi Divisione del concetto Tre sistemi di relazione: 1. tra persone o gruppi sociali. 2. tra la società ed i suoi membri. 3. tra membri particolari e società. Quindi tre criteri di giustizia: 1. giustizia che riguarda soggetti particolari (commutativa) 2. giustizia che riguarda i membri di una società (distributiva) 3. giustizia generale (legale) Giustizia commutativa: soggetto è la persona privata (o anche la società come persona giuridica), vi è esigenza di equivalenza assoluta e di equilibrio che si basano su delle obbligazioni. Giustizia distributiva: soggetto passivo è la persona rispetto alla società che con i suoi organi ufficiali ripartisce benefici ed uffici fra i suoi membri. Giustizia legale: ha per oggetto il Bene Comune a cui ognuno deve contribuire proporzionalmente, che significa: 1. evitare l'eccessiva soggettivizzazione 2. concretizzare l'oggetto 3. rigida esigibilità 4. alterità Giustizia come cifra dell'etica sociale. Significa *capacità critica in cui il legale non prevale sull'etico *dinamica di cambiamento ossia umanizzazione. d. Bene Comune. Il Bene Comune è l'orientamento etico della realtà sociale; la configurazione più esplicita e ideale di tale realtà. Per meglio offrirne le linee di definizione, se ne presentano tratti e caratteristiche. 1. Funzioni. Il Bene Comune si esprime attraverso varie funzioni: etica, quando esprime il valore normativo della realtà sociale; finalistica, quando è una meta da conseguire; mitica, quando è un modello che concretizza l'idealità e si esprime attraverso scelte concrete. 2. Nozione formale. Il Bene Comune vive in un equilibrio da definirsi costantemente tra dimensione individuale e dimensione sociale. La dimensione individuale: è un bene non omologabile a beni particolari, che a loro volta possono essere compresi alla luce del Bene Comune. La dimensione sociale: è un bene non astratto ma legato agli individui, né è omologabile ad un idea totalizzante (razza, nazione etc…) E' un bene della persona in quanto relazionate ed orientate alla realizzazione di un progetto unitario di cui possano giovare tutti. La nozione di Bene Comune si evidenzia quando il bene personale ed il progetto sociale si armonizzano e convengono, perché allora il Bene della Comunità coincide con quello dei singoli. 3. Contenuto. Perché abbia una funzione etico-critica è necessario pensarlo non solo nei beni economici (benessere), 53 ma nella qualità della vita sociale, ossia nel complesso di beni, di fini e di condizioni a cui tutti possono partecipare. 4. Bene Comune e opzioni sociali. Il Bene Comune dipende dalle opzioni sociali e a sua volta le condiziona. Opzioni che devono essere dunque umaniste e personaliste ovvero solidali e sussidiarie. Il bene comune assume alcuni specifici caratteri operativi: pluralista e democratico; dinamico (tra storia passata ed obiettivi futuri); intenzionale e soggettivo (opera della volontà, ma anche di giuste strutture sociali); totalizzante e individuale (espressione della singola persona, ma articolato in un orizzonte più ampio di senso).