La figura di Socrate in Aristotele, Metafisica Alpha e My

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Silvia Fazzo
Università degli studi di Trento
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La dossografia di scuola aristotelica come tradizione
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La figura di Socrate in Aristotele, Metafisica Alpha e My
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Di questa tradizione, il punto di origine più diretto è stato con ogni probabilità
l’opera perduta di Teofrasto. Questi infatti è il primo dei dossografi in senso stretto, in
quanto scrisse la prima opera interamente dossografica, le “Opinioni dei fisiciˮ, ovvero
le Physikai doxai: libri dedicati appunto alla dossografia1. L’importanza di questa opera
come punto di partenza della dossografia e poi della storiografia successiva, si deve non
solo alla natura dei contenuti, ma anche al carattere sistematico che Teofrasto probabilmente deve ereditare dal maestro Aristotele, al successo cioè del modo di classificazione
che Teofrasto, prendendolo da Aristotele, istituisce nella classificazione delle dottrine dei
filosofi. Ché anzi, in questo, invero Teofrasto si considera aristotelico a pieno titolo,
perché questo, di una dossografia sistematica, è interesse prevalente cui Aristotele dedica
i libri introduttivi della Fisica, del De anima e soprattutto della Metafisica, cioè delle sue
opere maggiori di filosofia teoretica.
Vale dunque a maggior ragione la pena di insistere su questo carattere della dossografia aristotelica, che non sempre viene direttamente e specificamente tematizzato: essa
è governata infatti da una precisa logica di fondo e questa logica di fondo viene tramandata alla tradizione aristotelica, che per prima è responsabile dell’organizzazione delle
raccolte dossografiche in forma di tradizione. Gli aristotelici, i primi professionisti della
raccolta di opinioni, hanno dunque ereditato da Aristotele, e da opere ormai perdute del
suo discepolo Teofrasto, non solo una collezione di informazioni sui presocratici, su
Socrate e su Platone, ma anche e al tempo stesso, le linee fondamentali di organizzazione
dei materiali dossografici. Questa eredità così strutturata costituisce il nucleo più antico
della documentazione cui dobbiamo attingere quando vogliamo ricostruire per via di
tradizione indiretta il pensiero dei predecessori di Aristotele (sia quello espresso in opere
quasi interamente perdute nella tradizione diretta, come quelle dei presocratici, sia quello
che non fu espresso in testi scritti, come le dottrine non scritte di Platone, o come il pensiero di Socrate).
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1 Secondo una tesi di Diels, che nemmeno gli studi più recenti di Mansfeld & Runia (1996)
(gli autori di Aetiana, che intende sostituire i Doxographi graeci di Diels) hanno inteso veramente
smentire, da Teofrasto viene il nucleo costitutivo originario di tutta la successiva letteratura dossografica. Ciò sarebbe avvenuto tramite i perduti Placita di un certo non meglio noto Aetius. Andrebbe menzionato che questa ricostruzione ha molto di speculativo, ma ciò non è rilevante per gli scopi
presenti, né li danneggia. A questo proposito devo non pochi dubbi alle discussioni con G. Journée
(Paris4-Sorbonne).
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In sintesi: di Teofrasto, in particolare, le perdute Physikai doxai, opinioni di antichi
pensatori espresse in campo teoretico e specialmente in campo fisico, costituiscono,
come un primo nucleo, l’inizio di tutta una tradizione di quelli che Diels (1879) ha chiamato Doxographi graeci2, costruendo su due radici greche quel neologismo latino
“doxographus” – donde deriva a sua volta il titolo di “dossografia” per il corrispondente
genere letterario che raccoglie per iscritto (graphôi) e classifica le dottrine filosofiche
(doxai).
In questa tradizione, che per tramite di Teofrasto parte dunque da Aristotele, si trovano i primi fondamenti della storia della filosofia antica, molta della sua materia prima
irrinunciabile, di modo che, se vogliamo capire come si è configurato il ruolo di un pensatore, Socrate, nell’impianto delle storie generali della filosofia antica, è utile guardare
in primissimo luogo, alle indicazioni di Aristotele, almeno quando ce ne sono.
Nel caso di Socrate, le indicazioni di Socrate non mancano, anzi sono molto numerose; ma sono anche molto eterogenee, di modo che nulla se ne può dire prima di averle
esaminate nel loro complesso, per vedere quali di queste siano più pertinenti per l’esame
ora in corso. Lavorando a classificarle, e come per sottrazione, (come vedremo) è stato
possibile individuare, fra le molte menzioni di Socrate nel corpus quel nucleo coerente,
già sopra indicato (Met. Alpha e My) ove possono essere identificate una precisa logica e
determinate strategie perseguite da Aristotele al riguardo di Socrate come figura culturale.
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2 “Dossografo” è infatti la trascrizione italiana del neologismo latino doxographi imposto
nell’uso da Diels, giovane professore di ginnasio, alla fine del XIX secolo, sì da costituire il titolo
dell’opera originale Doxographi graeci, che vinse un concorso indetto dall’Accademia delle Scienze di Berlino (1877, prima edizione a stampa 1879). Certo, da allora, gli studi sulla dossografia si
sono evoluti nel tempo e largamente rinnovati. Ma ancora oggi il termine dossografi è in uso, ed è
utilissimo, per indicare gli autori di un genere di compilazioni focalizzate sulle opinioni, le doxai, e
solo secondariamente sugli autori, che restano nell’ombra sia come personaggi storici, sia quanto
alle ragioni e agli argomenti delle posizioni teoriche assunte. Per la sua importanza documentaria,
tuttavia, tale è l’interesse della dossografia filosofica, che non si saprebbe forse nemmeno come
scrivere la storia delle origini se non ci fosse la dossografia. Soprattutto, è interessante il metodo di
Aristotele, che è il maestro di tutti i dossografi, eppure non rientra in un genere letterario già costituito, e nemmeno ne fonda uno, perché non produce mai quelle che chiamiamo in senso stretto
dossografie, cioè opere esclusivamente dossografiche. Le sue sono sempre rassegne ragionate di
opinioni che si presentano, al tempo stesso come logicamente disponibili e anche come storicamente praticate; questa convergenza storico-dialettica costituisce la chiave e condizione di possibilità
per l’uso teoreticamente costruttivo che A. fa delle opinioni dei predecessori, non solo e tanto in
quanto doxai, ma in quanto doxai autorevoli – per questo Aristotele le chiama più precisamente
“endoxa”, opinioni illustri. Il limite e la natura primaria di questa autorità, quale è invocata da
Aristotele, sta nella sua stessa destinazione all’inserimento in logica di superamento progressivo.
Ciò sarà l’esito di un ripensamento che è propriamente Aristotelico, e non comporta né consente
alcuna sudditanza, rispetto alle fonti documentarie: Aristotele vi si muove fra gli endoxa del passato
con grande libertà di selezione e ri-orientamento, senza d’altronde mai pretendere di fare opera
storica, ma lasciando disponibile al lettore le tracce del proprio operato e della propria tecnica di
composizione e di redazione – queste sono visibili in Aristotele ben più di quanto lo saranno nella
tradizione successiva, cui Aristotele indica le direttive fondamentali.
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Il nome di Socrate nel corpus aristotelico e nel sistema della dossografia
aristotelica: una prima rassegna
Ecco dunque innanzitutto l’esito di una prima, sommaria, rassegna, cioè un esame
preliminare, mirato a distinguere e operare una selezione fra le molte e varie occorrenze
del nome di Socrate nel corpus aristotelico, distinguendone varie categorie. La prima
categoria da eliminare è quella ove Socrate compare come esempio.
Socrate come esempio
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Innanzitutto infatti dobbiamo mettere da parte molte delle occorrenze del nome di
Socrate nel corpus, ove il nome di Socrate sta per quidam homo: indica un qualsiasi,
singolo individuo, una persona qualsiasi. Nel libro Delta della Metafisica, per esempio,
uno dei sensi di “essere” è: “essere vero”; di modo che ad esempio “Socrate è musico”
significa che è vero che “Socrate è musico”. In Metafisica Gamma (cap. 2), altro esempio, ci si chiede:
è o non è al filosofo, o a chi altro, se no? – che spetta di indagare se Socrate e Socrate seduto
siano la stessa cosa? (È una o più d’una la scienza che si occupa della sostanza e quella che si
occupa dei suoi accidenti?).
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Gli esempi sono assai numerosi e si potrebbero moltiplicare.
La domanda “perché proprio Socrate funge da esempio? Perché sempre Socrate?”
viene spontanea a questo riguardo. La tesi di Jackson, di un dipinto di Socrate, probabilmente seduto, cui si riferirebbero le menzioni esemplificative, collocata nel Liceo, non è
forse l’unica possibile, e (senza di per sé escludere quella) potrebbero esistere spiegazioni più semplici3. Socrate è l’individuo paradigmatico; ed è il singolo uomo per eccellenza
perché è quello che assolutamente tutti conoscono: non c’è nessuno che non sappia chi è
Socrate, tutti sanno che ha vissuto in Atene, non è dunque un mero tipo ideale, è un
individuo singolo e concreto; ma al tempo stesso non può essere evocato come concreto,
perché tutti anche sanno che è morto, non si tratta dunque di riferimenti reali, bensì è
chiaro da subito che Aristotele sta solo esemplificando l’individuo, il singolo essere
umano.
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Il Socrate aristotelico come personaggio dei dialoghi di Platone
Questi casi si distinguono da un gruppo importante di altri riferimenti a “Socrate”,
soprattutto nella Politica aristotelica: sono i riferimenti a ciò che Socrate dice nei dialoghi socratici di Platone e soprattutto nella Repubblica. Si tratta incontestabilmente di
riferimenti a Platone, e a pagine di Platone ben note all’uditorio, piuttosto che a Socrate
direttamente. Anche questi si possono trarre da parte, se si intende condurre un’indagine
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3 Jackson (1920). La diversa ipotesi, che Aristotele si riferisca a un altro Socrate, Socrate il
giovane, presente alle sue discussioni come anche a quelle di alcuni dialoghi platonici, risulta forse
ancora meno compatibile dell’ipotesi di Jackson, con l’interpretazione generale che qui propongo:
come potrebbe infatti essere sempre presente quel Socrate? Ringrazio E. Berti e F. Trabattoni per la
discussione su questo punto, oltre che in generale sul tema di queste pagine.
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specifica sul ruolo della filosofia di Socrate nella dossografia aristotelica. A riprova, si
consideri che ivi (Pol. 2.6) capita ad Aristotele di attribuire a Socrate anche ciò che Platone scrive nelle Leggi, ove invero il personaggio Socrate non compare nemmeno (di
modo che si deve supporre che Aristotele chiami “Socrate” lo straniero ateniese). Questo
ci mostra come sia forte perlomeno la convenzione letteraria, creata dal maestro Platone,
di fare di Socrate la figura, se non anzi la controfigura, ovvero il personaggio identificabile e ricorrente nei dialoghi: al punto che questa convenzione supera i confini stessi che
ad essa aveva assegnato Platone. Ciò non impedisce che ci sia qualcosa di effettivamente
socratico nelle tesi sostenute da questo Socrate; ma, salvo rare eccezioni, non c’è un
regolare vaglio critico in questi riferimenti a Socrate da parte di Aristotele: viene indicato
il contenuto delle tesi esposte nei dialoghi dal personaggio Socrate.
Come eccezione che conferma la regola, si potrebbe vedere il riferimento a Socrate
in De generatione et corruptione. Ivi, Aristotele si riferisce al Fedone, un testo nel quale
Socrate presenta tratti atipici: Socrate, raccontando la propria autobiografia intellettuale,
pare smentire l’immagine ufficiale, quella consegnata dall’Apologia di Platone, di un
Socrate interamente estraneo e alieno dalle ricerche naturali. Riferendosi a “questo”
Socrate diverso, Aristotele allora precisa “il Socrate del Fedone”4. Ciò può mostrare,
quasi a riprova, un’opzione pregressa, fra le varie possibili, a favore di uno specifico
ruolo di Socrate, che già si impone come in qualche modo canonico, quello che poi si
troverà appunto nettamente delineato in quei testi della Metafisica che principalmente
tratterranno la nostra attenzione.
Socrate nelle Etiche
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Diversa può considerarsi la natura dei riferimenti al pensiero etico di Socrate. Questo tipo di testimonianze riguarda il solo genere di indagine cui Socrate, secondo Aristotele in Met. Alpha, si sarebbe dedicato. A più riprese nei relativi scritti (Etica Nicomachea soprattutto) Aristotele ne presenta le tesi fondamentali, quali la natura intellettuale
delle virtù, e la reductio ad unum delle virtù stesse, di modo che esse sarebbero tutte una
sola (Aristotele, parte prendendo le distanze, ma parte di fatto anche approvando, preciserà dal suo punto di vista che le virtù sono diverse, infatti hanno definizioni diverse, ma
semmai piuttosto si implicano reciprocamente). Queste erano, ad ogni apparenza, tesi
sostenute da Socrate o comunque conosciute e dibattute come socratiche al tempo di
Aristotele. In tali casi, il nome “Socrate” non significa solo “il Socrate di Platone”. Ciò
non significa, almeno di per sé, che Aristotele ne tragga notizia da fonti diverse dai dialoghi socratici (ciò infatti resta una questione aperta), ma che queste, perlomeno, sono
esaminate come tesi di Socrate; ed è interessante notare che, come tali sono prese in
speciale ed attenta considerazione: Aristotele si pone egli stesso in una certa forma di
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4 In De gen. et corr. II, 335b10 s., infatti, a Socrate è attribuita un’opinione apparentemente
incompatibile di quella indicata nella Metafisica, perché riguarda la generazione e la corruzione in
natura, mentre nei testi della Metafisica (come nell’Apologia) si dice che Socrate non si occupò
affatto di conoscere il mondo della natura. Ma l’indicazione è circostanziata: quel Socrate, che si
occupa della natura, che in effetti rispecchia il Socrate del Fedone (95e-99d), e che viene confutato
per questo, è espressamente etichettato così, come “Il Socrate del Fedone”, come diverso dal Socrate sic simpliciter, fondamentalmente quello dell’Apologia, e dei dialoghi socratici in generale, letti
anche attraverso il filtro dei Memorabilia senofontei.
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continuità con la pista intrapresa da Socrate. In questa continuità, non mancano, elementi
di revisione e correzione, come dove Aristotele precisa che le virtù non sono tutte una
sola ma sono tutte insieme: resta attribuita a Socrate l’impostazione del problema, e da
questo riconoscimento del magistero socratico, come fondamentale endoxon, la dottrina
etica stessa aristotelica trae legittimazione e autorità.
Dossografia aristotelica e futura storiografia in Metafisica Alpha: il caso di
Talete5
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Infine, come per sottrazione, emergono, centro della nostra attenzione, pochi ma importanti, i riferimenti a Socrate in ambito specificamente teoretico. Il primo è in Metafisica Alpha, il libro aristotelico che pone le basi della futura dossografia filosofica. Gli
altri si trovano nel libro My, portando rispetto ad Alpha qualche dettaglio in più, e concordando per il resto con tutta precisione. Si tratta di testi la cui comprensione parziale
non può prescindere dal contesto, in considerazione della logica d’insieme che struttura
tutta quanta la rassegna di opinioni dei predecessori che si susseguono nel corso del libro
Alpha. La finalità principale di Aristotele è legittimare la propria teoria delle quattro
cause come compimento delle possibilità logicamente disponibili e attestate di concepire
i principi. A questo scopo sono scelti i più eminenti fra i predecessori, i quali con ciò
stesso si trovano immortalati nella prima storia della filosofia antica, e pertanto, da allora
in poi, considerati filosofi. La serie dei filosofi comincia da Talete, il più famoso dei
mitici sette sapienti, che costituisce il trait d’union fra tradizione sapienziale e fisica
ionica.
Il caso di Talete è esemplare e può aiutare a capire il ruolo assegnato a Socrate. Non
solo infatti è il primo, ed è rappresentativo di un’impostazione generale perché è il primo
ma, come Socrate, si colloca su un punto di passaggio. Per questo, su Talete bisognerà
tornare.
Riguardo a Talete, per esempio, qualcuno potrebbe volersi chiedere perché si dica e
ripeta che per Talete l’acqua è principio di tutte le cose?
Forse, perché lo dice Aristotele lì, in Metafisica Alpha, e dopo di allora è stato ripetuto all’infinito. Ma fra Aristotele e Talete passano due secoli e mezzo. In quei secoli,
quali frammenti o citazioni di Talete confermano questa vulgata, divenuta poi canonica
con Aristotele, al punto da costituire l’elemento caratterizzante della dossografia su
Talete? Qui si pone subito un problema: frammenti veri e propri di Talete, di autenticità
sicura, che dicano che l’acqua è principio di tutte le cose, non ce ne sono6; ché anzi,
frammenti ovvero pezzi di opere di Talete di autenticità sicura, non ne esistono quasi
affatto, in generale. Inoltre, anche se allarghiamo l’indagine, e ci chiediamo quali testimonianze più indirette, conservate su Talete, possano incoraggiare questa ricostruzione,
non si trova nulla di veramente diverso al di fuori del testo stesso della sezione dossografica di Metafisica Alpha.
Di modo che si direbbe che tutti coloro che hanno ripetuto la stessa opinione hanno
preso modello da Aristotele. Ma perché Aristotele ha scritto questo? Ha riportato un’af-
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Cf., sul caso di Talete, in diversa prospettiva, Rossetti (2011a).
Ce n’è uno bensì, il DK 11 B 3; il quale però difficilmente può essere attendibile, visto che
presuppone la dottrina post-empedoclea dei quattro elementi.
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fermazione di Talete con le parole stesse, o almeno con una parafrasi? Ciò potrebbe
sembrare naturale; ma in realtà non lo è, e lo si vede considerando più da vicino il modo
di redazione della dossografia del libro Alpha, ove troviamo per l’appunto sia questa
notizia su Talete, sia la prima e più influente delle notizie su Socrate nella Metafisica.
Traduco qui il testo di riferimento DK 11 A 12: riprendo il discorso (cominciando dalle
righe superiori) che costituisce il contesto nel quale prende senso la menzione di Talete.
(Davvero infatti è utile, come vedremo, considerare il contesto allargato e cioè anche le
righe precedenti, come fa Diels; purché però non si pretenda che anche queste riguardino
Talete). Dice Aristotele:
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Metaph. Alpha 983b6-13, 18-28
(a) b6La maggior parte dei primi filosofi ritennero che di tutte le cose gli unici principi fossero
quelli di tipo materiale. (b) 8Infatti ciò da cui tutti gli enti provengono e di cui sono fatti principalmente, e in cui si dissolvono alla fine, e la cui essenza resta conservata anche se ne mutano le affezioni, questo essi dicono che è elemento e principio degli enti. (c) 13Per questo ritengono che nulla si generi né si distrugga, poiché questa materia conserva sempre la propria natura. […](d) 18Ma riguardo alla quantità e alla forma di tale principio non indicano tutti la stessa cosa: Talete, l’iniziatore di tale forma di filosofia, dice che (e) tale principio è l’acqua; e (f)
per questo anche affermava che la terra sta sopra l’acqua. (g) Forse, egli suppone ciò al vedere
che il nutrimento di tutte le cose è umido, che il caldo stesso deriva e trae vita dall ’acqua e di
questa vive (ciò da cui tutte le cose vengono, questo è il loro principio): (dice ciò forse), dunque, di qui traendo tale supposizione, e dal fatto che i semi di tutte le cose hanno natura umida
– e l’acqua è il principio naturale di ciò che è umido.
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Aristotele, Met. Alpha 3, 983b6 s.: (a) τῶν δὴ πρώτων φιλοσοφησάντων οἱ πλεῖστοι τὰς ἐν
ὕλης εἴδει μόνας ᾠήθησαν ἀρχὰς εἶναι πάντων· (b) ἐξ οὗ γὰρ ἔστιν ἅπαντα τὰ ὄντα καὶ ἐξ οὗ
γίγνεται πρώτου καὶ εἰς ὃ φθείρεται τελευταῖον, τῆς μὲν 10οὐσίας ὑπομενούσης τοῖς δὲ πάθεσι
μεταβαλλούσης, τοῦτο στοιχεῖον καὶ ταύτην ἀρχήν φασιν εἶναι τῶν ὄντων, (c) καὶ διὰ τοῦτο
οὔτε γίγνεσθαι οὐθὲν οἴονται οὔτε ἀπόλλυσθαι, ὡς τῆς τοιαύτης φύσεως ἀεὶ σωζομένης; (d) τὸ
μέντοι πλῆθος καὶ τὸ εἶδος τῆς τοιαύτης ἀρχῆς οὐ τὸ αὐτὸ 20πάντες λέγουσιν, ἀλλὰ Θαλῆς μὲν
ὁ τῆς τοιαύτης ἀρχηγὸς φιλοσοφίας (e) ὕδωρ φησὶν εἶναι, (f) διὸ καὶ τὴν γῆν ἐφ᾿ ὕδατος
ἀπεφήνατο εἶναι, (g) λαβὼν ἴσως τὴν ὑπόληψιν ταύτην ἐκ τοῦ πάντων ὁρᾶν τὴν τροφὴν ὑγρὰν
οὖσαν καὶ αὐτὸ τὸ θερμὸν ἐκ τούτου γιγνόμενον καὶ τούτῳ ζῶν (τὸ δ᾿ ἐξ οὗ γίγνεται, τοῦτ᾿
ἐστὶν ἀρχὴ πάντων) – διά τε δὴ τοῦτο τὴν ὑπόληψιν λαβὼν ταύτην καὶ διὰ τὸ πάντων τὰ
σπέρματα τὴν φύσιν ὑγρὰν ἔχειν, τὸ δ᾿ ὕδωρ ἀρχὴν τῆς φύσεως εἶναι τοῖς ὑγροῖς.
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Come già è talora stato osservato, qui dettagliatamente si può mostrare, di questa testimonianza di Aristotele, l’unica parte che si può far risalire a Talete con una ragionevole certezza è il punto (f).
Infatti
(a) Comporta l’identificazione come tale dei primi filosofi, e la teoria delle quattro
cause: entrambe sono da ascriversi ad Aristotele;
(b) Costituisce la giustificazione teoretica del monismo, che presuppone a sua volta un
monismo affermato e consapevole. Questo è attestato per la prima volta, probabilmente, in Diogene di Apollonia, il cui argomento al riguardo è citato con approvazione da Aristotele nel De gen. et corr. I 6, 322b6-21;
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(c) Si riferisce all’aporia degli antichi discussa in Fisica I 8 come derivante
dall’immobilismo parmenideo. La formulazione dell’aporia in questi termini potrebbe non essere anteriore a Melisso (V a.C.). La soluzione, qui pure citata, fondata
sul concetto di materia, è originale di Aristotele (ivi);
(d) Vedi (a): presuppone l’istituzione di una successione di filosofi naturalisti che comincia con Talete, istituzione che pure è originale aristotelica;
(e) E in questo contesto compare l’idea che principio, intendendosi principio materiale,
sia l’acqua. Ma tale formulazione presuppone (a)–(d) e non può essere che aristotelica;
(f) È certamente opinione di Talete, almeno secondo Aristotele. Ciò si conferma dal
fatto che Aristotele cita anche altrove questa opinione, e solo questa, e ancor più sicuramente dal fatto che la critica, e che inoltre cita un argomento portato da Talete a
supporto, e poi Aristotele critica, criticando l’opinione, l’argomento stesso (vedi De
caelo II 13, 294b287);
(g) Le ultime considerazioni sono evidentemente aristoteliche. Ne è, peraltro, traccia
sintattica l’uso del verbo all’indicativo nella parentesi, che dunque non dipende da
alcun verbum dicendi ma esprime una formulazione propria di Aristotele; e più
complessivamente è importante l’avverbio ἴσως, che indica che Aristotele sta elaborando un’ipotesi interpretativa della tesi attribuita a Talete in (e) sulla base di (f).
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Come si può mostrare in sede di discussione, di questa testimonianza di Aristotele,
l’unica parte che si può far risalire con una ragionevole certezza è il punto (f) (vedi De
caelo, II 13, 294b288).
Cruciale nel congiungere la sezione (f) a (e) è διό (scil.: διὰ ὅ, “per la qual ragione”).
Questo nesso connette al verbo relativamente debole φησί nella sezione (d), al più forte
verbo ἀπεφήνατο. Forse, φησί non implica necessariamente che la dottrina in esame sia
stata affermata expressis verbis. L’uso che Aristotele ne fa, mostrerebbe allora che Aristotele nel costruire questa dossografia sta lavorando per inferenza: da una parte, fa riferimento alla tesi di Talete, già altrove attestata, secondo la quale la terra galleggia
sull’acqua come un pezzo di legno; dall’altra, lavora a costruire una dossografia sistematica, che classifica i primi filosofi in ragione della dottrina da essi tenuta quanto alla
materia; e per poterli classificare attribuisce a ciascuno di loro una teoria quanto alla
materia, possibilmente nell’ambito e nei termini della teoria dei quattro elementi (l’acqua
di Talete prefigura l’aria di Anassimene, che pure è principio liquido, ma più caldo).
Essa non esiste come tale né prima di Empedocle, né più esattamente, prima della costituzione ovvero traduzione in elementi delle “radici” (rhizai) di Empedocle, da parte di
Aristotele.
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7 Cf. Talete, DK 11 A 14: «11 A 14. Aristotele, de cael. B 13. 294 a 28. Per altri [la terra]
poggia sull’acqua. È questa la più antica versione che ci è stata tramandata e che, dicono, fosse
propria di Talete di Mileto, che cioè la terra, essendo galleggiante, rimane ferma come un legno o
altro del genere (perché di questi corpi nessuno è tale per natura da rimanere sull’aria, ma
sull’acqua), quasi che poi lo stesso motivo non valesse, come per la terra, anche per l’acqua che
sostiene la terra: neppure l’acqua ha natura tale da rimanere sospesa, ma è posta sopra qualcos’altro».
8 Cf. Talete, DK 11 A 14.
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In sintesi, a quanto qui si vede, Aristotele non ricostruisce una vicenda storica ma
costruisce per sé i punti di appoggio per fondare gli inizi della propria teoria generale
delle quattro cause, vincolandoli al magistero del pensiero arcaico, autorevolmente rappresentato dal “sapiente” Talete.
Il caso di Socrate nella Metafisica, libro Alpha e correlati
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È proprio lì stesso, in Metafisica Alpha, in effetti, dopo aver esplorato le dottrine dei
fisici, che Aristotele fa comparire Socrate, all’interno di quella stessa famosa rassegna di
quelle opinioni sui principi, che precorrono la teoria aristotelica delle quattro cause.
Invero, se, come serve, guardiamo al contesto, troviamo che Socrate, comparendo
nel libro Alpha della Metafisica, vi occupa una posizione atipica.
Non sembra infatti che gli venga assegnata alcuna particolare dottrina sui principi.
Ma allora, perché Socrate compare?
Al tempo stesso, dal punto di vista sistematico, il ruolo di Socrate è notevolissimo:
Aristotele in Metafisica Alpha, 987b1 s., e così anche in My 1078b23 s., 1086a37-b7 non
solo usa Socrate come spartiacque cronologico e concettuale nel suo disegno storico
della filosofia delle origini, ma lo usa come spartiacque in due sensi diversi: come colui
che per primo abbracciò un ambito interamente etico di filosofia, e come colui che per
primo fece portare la filosofia sulle definizioni, e, come nel linguaggio di Aristotele,
sugli “universali”, senza però porli come separati9.
Forse, si potrebbe anche dire che in questa rassegna Socrate ha un ruolo di passaggio, fra chi concepisce un certo ordine di principi e chi ne concepisce un altro, senza farsi
portavoce in proprio di alcuna dottrina sui principi. Ciò che Aristotele dice al suo riguardo andrebbe allora compreso in questa chiave. Ma questa è per ora un’ipotesi, e non è
sufficiente per afferrare l’importanza che a Socrate viene in tale sede conferita.
A questi testi di Met. Alpha e My pertanto dobbiamo guardare, se vogliamo capire
come è costruito da Aristotele e come si è poi configurato il ruolo di Socrate nell’impianto delle storie generali della filosofia antica, almeno là dove queste hanno tenuto in considerazione Aristotele.
Una domanda sul ruolo di Socrate potrebbe, per esempio, riguardare la grande partizione della filosofia in pre-socratica e non presocratica. Anche di questa partizione la
paternità è in parte di Diels, e in parte essa riposa sulla natura stessa dei materiali documentari10; ma Aristotele, in quanto iniziatore di una tradizione, può avere esercitato un
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9 Quanto a tale ruolo di spartiacque, cf. Laks (2006), 14-16: i due periodi in cui si divide la
storia della filosofia da Aristotele in poi sono innanzitutto due periodi nella biografia intellettuale di
Socrate.
10 Mi riferisco, inevitabilmente, alla grande partizione della filosofia antica, invalsa a partire
dalla raccolta di Diels (1903), fra filosofia pre-socratica e post-socratica. Certo questa partizione, da
parte di Diels, ha in sé una ragione d’essere molto concreta, primaria e poco ideale, nella misura in
cui viene a separare quei pensatori delle origini le cui opere sono perdute, la cui ricostruzione
richiede il ricorso quasi esclusivo a fonti di tradizione indiretta (contrassegnate come (A) testimonianze, (B) frammenti, (C) recezione). Diels raccolse questi frammenti perché l’Accademia di
Berlino, nelle proprie finalità, poneva la ricostruzione storica del pensiero di coloro che si conoscevano solo per fonti indirette, come anche gli Stoici, e anche, con assai meno successo, i primi
successori di Aristotele.
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La figura di Socrate in Aristotele, Metafisica Alpha e My
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peso, almeno nel fare inaugurare Socrate un modo diverso e in parte inedito di fare filosofia.
Se infatti, come è possibile, consideriamo che la partizione della filosofia antica in
presocratica e non, sia una bipartizione, allora non c’è alcun dubbio che Socrate da Aristotele in poi, avendo abbandonato lo studio della natura, appartiene al nuovo periodo, e
non al precedente. Questa è una tradizione già antica, e ben stabilita come canonica,
espressa poi in latino da Cicerone: «Socrates autem primus philosophiam devocavit e
coelo et in urbibus conlocavit…» (Tusc. 5.4.10).
Eppure di Socrate non ci sono scritti (ciò indubbiamente lo accomuna alla linea sapienziale dei predecessori); veramente la fonte forse più antica, la meno idealizzata e
forse l’unica veramente contemporanea a Socrate, quale l’Aristofane delle Nuvole, non
legittima affatto un’opzione così radicale rispetto a quel dilemma – se pure è un dilemma. All’Aristofane delle Nuvole (sul quale intendo tornare in altra sede11) e alle accuse
del processo, amplificate da Policrate, si contrappone il Platone dell’Apologia, che energicamente pare indicare una sorta di linea ufficiale nell’interpretazione di Socrate, ma
non così nettamente il Platone del Fedone (cfr. supra). Senofonte nei Memorabilia rinforza la tesi ufficiale dell’Apologia, non senza neutralizzare la potenziale contraddizione
del Fedone, di modo che forse, letta nel nostro contesto, quella di Senofonte (Mem.
1.1.11 s.) può considerarsi quasi un’apologia dell’Apologia; ciò non è privo di efficacia,
se è vero che Aristotele, tenendo ben presente Senofonte (ce ne è l’indizio in effetti12)
può dare per acquisita questa configurazione ormai canonizzata dell’eredità socratica,
strenuamente difesa da un sospetto di empietà che si era rivelato fatale13. Ciò deve aiutare a spiegare, di Aristotele, quell’affermazione che ora andiamo a rileggere, che altrimenti potrebbe sembrare di gran lunga troppo sommaria: Socrate si occupò di etica; di fisica
invece per nulla.
Proprio qui, si può suggerire, l’atteggiamento e orientamento impresso da Aristotele
alla pratica della dossografia nella sua scuola può avere influito sul modo in cui il ‘caso
Socrate’ è stato separato, dai predecessori in un senso, e aggregato ai successori in un
altro, così da costituire un elemento in certo modo originario, come una nuova partenza,
nella storiografia filosofica, come l’inizio di un filosofare diverso. Perché ciò è avvenuto?
Indubbiamente si potrebbe nel negare il problema, accettando che il caso di Socrate
sia stato preso da parte perché davvero Socrate era un filosofo diverso e il protagonista di
un modo nuovo di fare ‘filosofia’. Ma così si finirebbe una volta di più per giudicare ciò
che precede nella prospettiva di ciò che segue, come in una proiezione retroattiva. Tendando una prospettiva diversa, l’esame del metodo sotteso a queste esposizioni più com-
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Fazzo (2013), in Laks & Saetta Cottone (2013).
Potrebbero esserne segno i riferimenti alla ricerca socratica del ti estin nel passo di My 4 discusso qui infra.
13 Sul decreto di Diopeite (438/7 a.C. secondo Mansfeld [1980]), cf. Plutarco, Vita di Pericle
32.1: «Diopeithes redasse un decreto in virtù del quale erano perseguiti coloro che non riconoscevano i culti divini, o tenevano insegnamenti riguardo a τὰ μετάρσια, che vuol dire: i fatti del cielo,
puntando a colpire Pericle a causa di Anassagora» (καὶ ψήφισμα Διοπείθης ἔγραφεν
εἰσαγγέλλεσθαι τοὺς τὰ θεῖα μὴ νομίζοντας ἢ λόγους περὶ τῶν μεταρσίων διδάσκοντας
ἀπερειδόμενος εἰς Περικλέα δι Αναξαγόρου τὴν ὑπόνοιαν). Per una discussione cf. anche Gemelli
Marciano (2006).
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portare indicazioni più pertinenti e circostanziate. Di qui il tentativo di rilettura che segue.
Socrate in Metafisica Alpha, 987b1-6
(a) Σωκράτους δὲ περὶ μὲν τὰ ἠθικὰ πραγματευομένου (b) περὶ δὲ τῆς ὅλης φύσεως οὐθέν, (c)
ἐν μέντοι τούτοις τὸ καθόλου ζητοῦντος (d) καὶ περὶ ὁρισμῶν ἐπιστήσαντος πρώτου τὴν
διάνοιαν. (e) ἐκεῖνον ἀποδεξάμενος (f) διὰ τὸ τοιοῦτον ὑπέλαβεν (g) ὡς περὶ ἑτέρων τοῦτο
γιγνόμενον καὶ οὐ τῶν αἰσθητῶν· ἀδύνατον γὰρ εἶναι τὸν κοινὸν ὅρον τῶν αἰσθητῶν τινός, ἀεί
γε μεταβαλλόντων.
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(a) Socrate occupandosi di etica, (b) e per nulla della natura in generale, (c) in queste cose però
cercava l’universale e (d) per primo aveva soffermato l’attenzione sulla definizione. [Platone]
(e) facendo sua quella pratica, (f) la fece portare <solo> su enti diversi che non quelli sensibili,
per un motivo di questo tipo: (g) che è impossibile che la definizione comune porti su alcuno
degli enti sensibili, almeno in quanto questi mutano sempre. 14
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Se ci chiediamo quale sia il valore sistematico di questo passo, esso risulta assai ricco di indicazioni, parte dirette, parte indirette. Se invece ci chiediamo quale ne sia il
valore documentario, l’analisi non consente di trarre che pochissimi elementi positivi,
che potrebbero ridursi alla sezione (d), ove la pratica della definizione è ricordata, forse
facendo sintesi dell’esperienza dei dialoghi, ma non meno probabilmente sulla scorta di
Senofonte, Mem. 1.1.11 s.
Più nel dettaglio:
(a) l’apparente banalità di questa prima affermazione non deve far perdere di vista che,
se Aristotele ragiona dall’interno di una tripartizione della filosofia in etica fisica e
matematica, sovrappone etichette di per sé estranee a Socrate. Lo scopo nondimeno
è puntato diretto a difendere Socrate dalle accuse con le quali era condannato. Ora,
tale difesa può facilmente attingere dalla precedente letteratura, in part. dai Memorabilia 1.1.11 s. che comporta una lista di concetti etici che Socrate cercava di definire, indicandone il ti (estin): pio, empio, giusto, ingiusto, coraggio, viltà….
(b) Qui la fonte pare essere soprattutto l’Apologia, il testo che più nettamente impone
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14 Sono rilevanti le precedenti premesse (987a29 s.): Μετὰ δὲ τὰς εἰρημένας φιλοσοφίας ἡ
Πλάτωνος ἐπεγένετο πραγματεία, τὰ μὲν πολλὰ τούτοις ἀκολουθοῦσα, τὰ δὲ καὶ ἴδια παρὰ τὴν τῶν
Ἰταλικῶν ἔχουσα φιλοσοφίαν. ἐκ νέου τε γὰρ συνήθης γενόμενος πρῶτον Κρατύλῳ καὶ ταῖς
Ἡρακλειτείοις δόξαισ, ὡς ἁπάντων τῶν αἰσθητῶν ἀεὶ ῥεόντων καὶ ἐπιστήμης περὶ αὐτῶν οὐκ
οὔσησ, ταῦτα μὲν καὶ ὕστερον οὕτως ὑπέλαβεν· Σωκράτους... Qui la traduzione di Ross per queste
premesse e la sezione in esame: «After the systems we have named, came the philosophy of Plato,
which in most respects followed these thinkers, but had pecullarities that distinguished it from the
philosophy of the Italians. For, having in his youth first become familiar with Cratylus and with the
Heraclitean doctrines (that all sensible things are ever in a state of flux and there is no knowledge
about them), these views he held even in later years. Socrates, however, was busying himself about
ethical matters and neglecting the world of nature as a whole but seeking the universal in these
ethical matters, and fixed thought for the first time on definitions; Plato accepted his teaching, but
held that the problem applied not to sensible things but to entities of another kind-for this reason,
that the common definition could not be a definition of any sensible thing, as they were always
changing. Things of this other sort, then, he called Idea».
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La figura di Socrate in Aristotele, Metafisica Alpha e My
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un rifiuto degli interessi naturalistici, dei quali tuttavia lo stesso Socrate si ricorda
nel Fedone. La denegazione dell’Apologia a questo riguardo può essere stata una
reazione non tanto e non solo alle accuse al processo, ma al ricordo delle Nuvole di
Aristofane, che fanno ostacolo al configurarsi della figura di Socrate come
spoudaios piuttosto che come phaulos.
(c) Questo è un punto da indagare: l’identificazione dell’“universale”, καθόλου, come
oggetto della definizione, è indubbiamente aristotelica; ma che uso fare di questa affermazione? Forse è un’inferenza da (d). Significativo appare l’uso della congiunzione, là dove dice: τὸ καθόλου ζητοῦντος (d) καὶ περὶ ὁρισμῶν ἐπιστήσαντος
πρώτου τὴν διάνοιαν. Si tratta di un καί in qualche modo epesegetico, come il seguito confermerà: tale, più precisamente, che ciò che segue non solo spiega ma legittima quanto precede.
(d) Qui è attribuita a Socrate, la pratica della definizione. Il punto è incontestabile di
per sé. Più precisamente, Aristotele concorda al riguardo con Senofonte, v. supra,
(a).
(e) Il ritornare del filo del discorso su Platone ci ricorda che qui Aristotele sta parlando
di Socrate in modo strumentale, per mostrare che cosa da lui Platone avesse preso,
(f) e per poi identificare l’errore che allontana Platone da Socrate ma anche e soprattutto da Aristotele – è lui infatti a giudicarlo un errore: il separare le idee, come enti intelligibili, dagli enti sensibili.
(g) Qui Aristotele ricostruisce come verosimile la motivazione per la separazione degli
oggetti di scienza dalla realtà sensibile. Che di ricostruzione (e non di citazione) si
tratti (nonostante i paralleli platonici che si potrebbero apportare) pare indicato
dall’uso di τοιοῦτον. Ciò che così A. dice è preparato dalla sua annotazione sul discepolato di Platone presso l’eracliteo Cratilo, che si leggeva nelle righe precedenti,
cfr. supra, 987a30-31.
Il più sicuramente socratico degli elementi in esame risulta pertanto il punto (d) confermato per esempio dalla pratica dei dialoghi giovanili di Platone.
La maggior parte di questi elementi, compreso quest’ultimo, hanno parallelo in Metafisica My, l’altro libro che contiene due passi rilevanti, in quanto strettamente connessi
a questo di Alpha. I paralleli saranno evidenziati con gli stesso indicatori alfabetici inseriti già supra fra parentesi. Il passo più prossimo a questo nel contenuto si trova nel
capitolo 9, e non è errato guardarlo per primo tanto più che si ritiene che il libro My
abbia natura composita, di modo che il capitolo 9 potrebbe essere scritto prima del capitolo 4:
Aristotele, Metafisica My 1086a37-b
τὰ μὲν οὖν ἐν τοῖς αἰσθητοῖς καθ’ ἕκαστα ῥεῖν [1086b1] ἐνόμιζον καὶ μένειν οὐθὲν αὐτῶν, τὸ
δὲ καθόλου παρὰ ταῦτα εἶναί τε καὶ ἕτερόν τι εἶναι. τοῦτο δ’, ὥσπερ ἐν τοῖς ἔμπροσθεν
ἐλέγομεν, ἐκίνησε μὲν Σωκράτης διὰ τοὺς ὁρισμούς, οὐ μὴν ἐχώρισέ γε τῶν καθ’ ἕκαστον· καὶ
τοῦτο ὀρθῶς ἐνόησεν οὐ χωρίσας. δηλοῖ δὲ ἐκ τῶν ἔργων· ἄνευ μὲν γὰρ τοῦ καθόλου οὐκ
ἔστιν ἐπιστήμην λαβεῖν, τὸ δὲ χωρίζειν αἴτιον τῶν συμβαινόντων δυσχερῶν περὶ τὰς ἰδέας
ἐστίν.
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[gli Accademici] (g) ritenevano che gli individui che rientrano negli enti sensibili siano soggetti al divenire, e che nessuno di essi permanga identico, e (f) che l’universale esista al di fuo-
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ri, come diverso da ciascuno di essi. (e) A ciò, come abbiamo detto in precedenza, (d) diede
l’avvio Socrate, per mezzo delle definizioni. Non le separò però dagli individui. E pensò bene,
nel non separarli. Ciò è chiaro di fatto: infatti da una parte, senza l’universale non è possibile
avere scienza, ma è il separare le idee è la causa delle difficoltà che si manifestano al riguardo.
Aristotele, Metaphysica My 1078b
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Qui si nota che i punti caratteristici della seconda parte del passo precedente sono ripresi in senso inverso, ma sempre in collegamento reciproco, indizio forse di una certa
reversibilità dei nessi logici qui stabiliti da Aristotele. Il resto, può essere teoria positiva
propria di Aristotele.
E veniamo con questo al passo di My 4, forse il più ricco ad ogni riguardo. Anche
qui evidenzierò con indicatori alfabetici gli elementi comuni con i precedenti.
Σωκράτους δὲ περὶ τὰς ἠθικὰς ἀρετὰς πραγματευομένου καὶ περὶ τούτων ὁρίζεσθαι καθόλου
ζητοῦντος πρώτου (τῶν μὲν γὰρ φυσικῶν ἐπὶ μικρὸν Δημόκριτος ἥψατο...) ἐκεῖνος δ᾿ εὐλόγως
ἐζήτει τὸ τί ἐστιν· συλλογίζεσθαι γὰρ ἐζήτει, ἀρχὴ δὲ τῶν συλλογισμῶν τὸ τί ἐστιν·
διαλεκτικὴ γὰρ ἰσχὺς οὔπω τότ᾿ ἦν ὥστε δύνασθαι καὶ χωρὶς τοῦ τί ἐστι τἀναντία ἐπισκοπεῖν,
καὶ τῶν ἐναντίων εἰ ἡ αὐτὴ ἐπιστήμη· δύο γάρ ἐστιν ἅ τις ἂν ἀποδοίη Σωκράτει δικαίως, τούς
τ᾿ ἐπακτικοὺς λόγους καὶ τὸ ὁρίζεσθαι καθόλου· ταῦτα γάρ ἐστιν ἄμφω περὶ ἀρχὴν ἐπιστήμης)·
– ἀλλ᾿ ὁ μὲν Σωκράτης τὰ καθόλου οὐ χωριστὰ ἐποίει οὐδὲ τοὺς ὁρισμούς· οἱ δ᾿ ἐχώρισαν...
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(a) Socrate si occupava delle virtù etiche (c) e per primo riguardo ad esse aveva cercato di dare
una definizione universale. [Quanto alle realtà fisiche (b), aveva in parte cominciato Democrito...] (d) Quanto a lui [i.e. Socrate], con buona ragione, cercava il ‘che cos’è’: infatti cercava di
ragionare per sillogismi, e il principio dei sillogismi è il ‘che cos’è’. (...)
Sembrano infatti due i contributi originali che è giusto attribuire a Socrate: i ragionamenti induttivi e (c-d) il definire in modo universale. Questi due presi insieme pressappoco costituiscono il principio di una scienza15. Socrate però non considerava che gli universali fossero separati, né che lo fossero le definizioni. (f) Costoro invece li hanno separati.
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(a) Riprende il concetto di Alpha, con più preciso riferimento forse al testo di Senofonte, come il seguito – al punto (d) – suggerisce.
(b) Il punto (b) di Alpha – la negazione (se non è anzi denegazione) di interessi naturalistici – sparisce, nonostante potesse trarre facile occasione di richiamo dall’inciso riguardante i primordi della pratica della definizione in Democrito. Questo potrebbe
confermare la marginalità e l’occasionalità di quel punto (b). Resta implicito, ma relativamente chiaro, che, se pure praticò la definizione, Socrate non la praticò sulle
realtà fisiche.
(c) Il punto (c) è qui di particolare interesse perché conferma l’ipotesi, prospettata interpretando il passo di Alpha, che il concetto di universale non sia da considerare
come un contributo socratico ulteriore e separato, ma sia un’inferenza operata da
Aristotele sul modo in cui Socrate praticava la ricerca delle definizioni. Ora infatti
-------------------------------------------Cf. Crubellier (1994).
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dice “definire in modo universale” (ὁρίζεσθαι καθόλου) come se le due caratteristiche andassero insieme.
(d) Questo punto (d), che torna sul concetto di definizione, è estremamente significativo, ma difficile: precisa, amplia, approfondisce la portata metodologica della pratica
socratica della definizione, vista dal punto di vista della teoria aristotelica della
scienza. Ciò (specie se questa interpretazione della pratica socratica può considerarsi
implicita anche nella rassegna di Alpha) basta ampiamente a giustificare la presenza
di Socrate in questa rassegna di opinioni, nonostante non proponga in proprio una
teoria dei principi. I contorni della teoria in questione possono, peraltro, non essere
chiarissimi, là dove dice: δύο... τις ἂν ἀποδοίη Σωκράτει δικαίως, τούς τ᾿
ἐπακτικοὺς λόγους καὶ τὸ ὁρίζεσθαι καθόλου. Tanto più che, come bene osserva
Giannantoni, il modo verbale ottativo vi mostra anche un margine di esitazione da
parte della voce narrante; e forse anche, con questo, di produttiva innovazione.
Ne propongo, nondimeno, un tentativo di interpretazione, che potrà essere migliorato in fase di discussione. Alla pratica della definizione dell’universale, è affiancato il
tentativo di ragionare per sillogismi, che a monte a sua volta richiede (specie – precisa in
un inciso Aristotele, 1078b22 s. – in una fase relativamente arretrata di sviluppo della
dialettica, incapace di indagare i contrari senza il ti estin) la definizione dell’essenza, del
ti estin. Pertanto (sebbene il sillogismo costituisca il paradigma di un modo deduttivo di
ragionamento) la formazione in sé di sillogismi richiede definizioni generali, per formare
la coppia di premesse accomunate da un termine medio. Questo, almeno se la nozione di
sillogismo può essere intesa in senso stretto (il che non è sicuro). Se questa spiegazione,
o una non troppo diversa da questa, è corretta, i due progressi fondamentali che infine
Aristotele riconosce a Socrate – il metodo induttivo e la definizione dei termini universali – risultano forse implicarsi reciprocamente. Ciò rinforza il carattere speculativo di
queste considerazioni aristoteliche: tanto vi è in esse di Aristotele, che non molto potrebbe restare come peculiare di Socrate.
Come si può vedere, questi testi ulteriori della Metafisica non aggiungono, quanto a
Socrate, informazioni ulteriori rispetto a quelle già note; ma aiutano a precisare
l’interpretazione del passo di Alpha e il valore che in esso assume la figura di Socrate.
Qui Aristotele non ricostruisce una vicenda storica ma costruisce per sé i punti di
appoggio per fondare la propria teoria generale della conoscenza vincolandolo al magistero autorevole di Socrate, prima delle deviazioni più problematiche che su quella stessa
base erano state intraprese da Platone e più precisamente dai fautori della teoria delle
idee.
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