07/03/12, n° 1 Il metodo, la conoscenza e Platone Il concetto di

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07/03/12, n° 1
Il metodo, la conoscenza e Platone
Il concetto di “metodologia” rimanda al concetto di metodo, e l'idea che il metodo sia un qualcosa
di proprio delle scienze risale ai tempi dell'antica Grecia
Il termine metodo deriva dal greco meta odos, “percorso attraverso”, una strada ovvero per
arrivare a una conoscenza fondata; per conseguire questo obiettivo, bisognerà muoversi in un
modo ordinato e regolato. La conoscenza fondata, nel pensiero classico, è dotata di due principali
caratteristiche: è conoscenza di cose necessarie (che non possono essere diverse da come sono)
ed è conoscenza universale (non subisce dunque mutamenti).
La conoscenza scientifica è conoscenza sicura, che non dà adito a incertezze, che scioglie dubbi.
Platone identifica due forme di conoscenza: la doxa e l'episteme.
La doxa è la conoscenza comune, che ognuno si costruisce in base all'esperienza dei sensi; è
dunque una conoscenza imperfetta, proprio perché basata sulle cose del mondo, che sono
mutevoli e suscettibili di differenze interpretative soggettive.
L'episteme è invece la conoscenza perfetta, ed è universale e necessaria, perché non costruite
sull'esperienza sensibile ma sul mondo delle idee.
Il mondo delle idee non è considerato da Platone come interno al mondo della conoscenza
sensibile; in tale mondo, infatti, sono presenti forme pure ed assolute, che consentono alla
conoscenza di divenire fondata e valida, perché basata proprio su uno sguardo della mente.
E' dunque già presente nel filosofo greco l'idea che la conoscenza scientifica sia ciò che più si
avvicina all'episteme, e il suo scopo è di raggiungere la verità,
Questo determinismo nella natura entra in crisi nei primi anni del '900.
Gnoseologia, epistemologia, metodologia
 La gnoseologia è una disciplina filosofica che si occupa del conoscere come tipo di attività,
e opera a un livello di pensiero astratto.
 L'epistemologia è invece una disciplina filosofica che si occupa della dei fondamenti, della
natura, dei limiti e delle condizioni di validità della conoscenza scientifica. Tale disciplina si
interroga sui requisiti che la conoscenza deve avere per essere conoscenza scientifica; è
una disciplina prescrittiva, in quanto indica cosa bisogna fare per ottenere una conoscenza
che possa essere considerata scientifica, e normativa, poiché indica il modo con cui operare
per raggiungere tale conoscenza.
L'epistemologia fornisce quindi delle regole molto generali, dei principi, che dovrebbero valere in
qualunque ricerca scientifica.
 La metodologia è una disciplina formale che si occupa di regole procedurali.
Va considerata come una partizione interna all'epistemologia. E' anzi l'epistemologia applicata a
singole discipline scientifiche, una riflessione sulle attività che mettono in cambio gli scienziati per
arrivare a conclusione scientifiche. Si occupa dunque di regole, e confina con altre discipline che
allo stesso modo si occupano di regole: la distinzione tra la metodologia e queste altre discipline,
basata essenzialmente sulla portata di queste regole, è spesso non facile da cogliere. Le regole che
la metodologia fornisce sono da considerarsi come delle procedure.
 A un livello più basso di astrazione, si colloca la tecnologia di ricerca, che fornisce tecniche
proprie di specifici campi di ricerca.
 Vi sono poi degli strumenti, al livello più basso di astrazione, caratterizzati dalla loro grande
specificità.
Metodologia come disciplina formale e alcuni tipi di scienza
La metodologia è una disciplina formale. Non mira infatti a giudicare e valutare il contenuto di
verità o falsità degli asserti, ma si occupa invece dei criteri in base a cui accettare o rifiutare un
certo enunciato; si occupa dunque piu' della forma più che del contenuto.
Nel 1612, Galileo Galilei scrisse il suo Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua, o che in
quella si muovono, in cui, appoggiandosi alla teoria di Archimede, dimostrava che i corpi
galleggiano o affondano nell'acqua in base al loro peso specifico, e non in base alla forma o alla
dominanza di un tale elemento o di un altro, come sosteneva l'aristotelico Buonamici.
Quel che è più interessante è che Galileo, in questo scritto, gioca non sul piano della verità o falsità
delle affermazioni di Buonamici; contesta non tanto i suoi asserti, quanto piuttosto la forma del suo
ragionamento.
Le discipline che studiano la scienza possono essere divise in alcune categorie; vi sono discipline
etico-politiche, che si interrogano sulla legittimità di un'etica della scienza; quelle che studiano la
scienza come un fenomeno sociale; ed infine discipline gnoseologiche, che studiano le scienze dal
punto di vista della loro capacità di produrre conoscenza valida e fondate.
Le discipline gnoseologiche sono diverse da quelle etico-politiche, perché sono interessate ai soli
aspetti cognitivi. Sono inoltre diverse anche dalle discipline che studiano la scienza come un
fenomeno sociale, poiché non sono interessate a una valutazione sociale dei contenuti cognitivi ma
solo ai criteri che portano ad accettare o a respingere i contenuti. Non ci si occupa dunque di
verità o falsità, ma solo dei criteri in base a cui vi può essere verità o falsità. Più' che di verità o
falsità, si dovrebbe inoltre parlare di ammissibilità o non ammissibilità.
Galileo Galilei
Galileo Galilei non fu un teorico o un filosofo del metodo, ma piuttosto un suo applicatore. Lo
scienziato costruì il suo metodo in itinere, lo concettualizzava mentre lo applicava.
La figura di Galilei si distacca con forza dalla figura del tipico scienziato aristotelico; Galileo, in
primo luogo, scriveva in italiano volgare, e non in latino. Fu colui che aprì la scienza moderna,
imprimendo un segno di forte discontinuità con il passato, ma restando comunque un caso sui
generis nella storia della scienza: fu infatti uno scienziato inventore, uno scienziato creativo;
differente dunque da scienziati insigni anche posteriori come Bacone.
Per Bacone, la scienza si occupa infatti di applicare delle regole, per Galileo, di inventarle.
Bacone: gli idola
Bacone fu un filosofo del metodo, e non un ricercatore. La conoscenza scientifica può essere
migliorata. Tra i suoi maggiori contributi, va ricordato quello a proposito degli idola, che vanno
considerati come degli errori nel conoscere.
 Idola tribus: errori propri dell'uomo in quanto tale, in quanto specie (per esempio,
l'impazienza);
 idola specus: errori derivanti dalla soggettività, dall'educazione dell'uomo. Sorge così l'idea
per cui va considerato negativo il fatto che lo studioso entri nel processo di ricerca come un
uomo, come una persona. Lo scienziato deve far parlare i fatti, e non deve farsi influenzare
da relazioni, da religioni, da ideologie, ecc.
 idola fori: errori derivanti dal linguaggio, dalla vita sociale. Gli scienziati non devono farsi
trascinare dalle consuetudini, dai modi socialmente accettati e corretti di porre i problemi.
L'abitudine linguistica, in particolare, maschera e detta conformismo.
 Idola theatri: errori nella conoscenza derivanti da dottrine filosofiche del passato. Gli
scienziati devono dunque porsi in modo critico rispetto alla tradizione, e non con
quell'acquiescenza che aveva caratterizzato gli studiosi post-aristotelici, che preferivano
credere in Aristotele piuttosto che in ciò che vedevano.
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Bacone: il metodo
Tutto inizia con la raccolta dei dati. Ciò può sembrare un'ovvietà a noi, ma ai tempi di Bacone l'idea
che la scienza fosse un'avventura empirica, che si misurava sull'esperienza sensibile, era un'idea
stravagante, originale, incompatibile con la tradizione platonica ed aristotelica
Dopo aver raccolto i dati, essi vanno per Bacone vanno sistematizzati secondo regole precise; tutto
il lavoro di Bacone consiste anzi nel teorizzare tali regole.
 Innanzitutto bisogna catalogare, fare un elenco di tutti i casi in cui si verifica l'effetto
osservato, costruendo così la tavola delle presenze.
 Poi bisognerà costruire una tavola delle assenze, un elenco dunque di tutti i casi in cui, pur
dandosi condizioni simili alle precedenti, l'effetto non si verifica (sole / stella).
 Poi andrà costruita una tavola gradu, una tavola dell'intensità di tutti i casi in cui si verifica
l'effetto.
Innanzitutto, dunque, ciò che conta per Bacone è procedere ordinato e seguire pedissequamente
le regole teorizzate; solo dopo aver fatto tutto questo lavoro d catalogazione si potrà costruire una
prima vendemmia. In seguito si potranno controllare le ipotesi, oppure rifare l'esperimento che
porterà a individuare la vera causa.
Questo procedimento è costruito in modo totalmente meccanico e autosufficiente; non c'è un solo
elemento che faccia centro sulla creatività o sulla personalità del ricercatore. Non c'è bisogno di
intelligenza o cervelli in questo metodo: esso livella gli ingegni e basterà solamente seguire regole.
La scoperta si configura dunque in Bacone come risultate dell'applicazione di regole. Dai dati stessi
uscirà fuori l'ipotesi, che poi andrà controllata.
Importante è anche la nozione di esperimento in Bacone. Questo scienziato fu infatti il primo che
teorizzò l'importanza dell'esperimento nella ricerca. Un esperimento è la possibilità di mettere a
prova empirica le ipotesi; è sempre possibile, poiché sempre è possibile scoprire la verità o la
falsità delle ipotesi, ed è sempre risolutivo, in grado quindi di farci capire la strada giusta.
Tutto questo procedimento serve a individuare la verità, che si configura come unico scopo della
scienza. Fino a Weber, l'idea dominante a tale proposito è stata proprio, infatti, che la scienza sia il
luogo del sapere sicuro, fondato, inevitabile, vero, e per molti secoli tale concezione rimarrà asse
portate della cultura occidentale; la verità è possibile, è unica, e può sempre essere colta e
scovata.
Questa è l'idea di metodo scientifico di Bacone, e rimarrà tale più o meno fino a Durkheim.
Una delle convinzioni fondamentali, in Bacone, è che sia possibile parlare di fatti del tutto
indipendenti da interessi, strategie e soggettività del ricercatore. I fatti sono come tessere di un
puzzle, con una forma che non dipende dal ricercatore; costui dovrà solo trovare il posto giusto
della casella, senza interpretare nulla, ma impegnandosi per scoprire la verità. Per questi
intellettuali, c'è un'incrollabile convinzione che esistano fatti indiscutibili, veri, considerati come la
filigrana del mondo, totalmente indipendenti dai valori e dalle credenze dei ricercatore. Solo
seguendo i fatti io potrò arrivare a formulare un'ipotesi probabile.
In Bacone, osservando i fatti, essi stessi costringeranno il ricercatore a costruire un'ipotesi; se
costui sarà capace di ascoltarli, i fatti parleranno attraverso di lui, suggerendogli un'ipotesi.
Il tentativo di Bacone è dunque di indicarci una ricetta per scoprire la verità, in tutti i campi
possibili. Per arrivare alla verità, bisogna svolgere tutto questo percorso, così meccanico e freddo,
così poco dipendente dal ricercatore, e tutto consistente nell'applicazione di regole, ascoltando la
voce dei fatti e non interferendo minimamente con essi. Per questo Bacone mette in guardia
contro gli errori nel processo di conoscenza.
Immanuel Kant (1724-1804)
L'indirizzo di pensiero di Immanuel Kant si chiama criticismo. Critica è parola che viene dal greco, e
vuole dire esame, valutazione, considerazione attenta. Kant dà questo nome al suo indirizzo di
pensiero perchè la sua idea fondamentale è che nell'apprestarsi a discutere di scienza e
conoscenza bisogna preliminarmente sottoporre a critica le possibilità e i limiti del conoscere
umano.
Laddove Bacone e la filosofia legate a costui credevano che la scienza, dalle infinite possibilità,
non fosse dotata di limite alcuno, dalle infinite possibilità, in Kant ci sono dei limiti nella scienza e
nella possibilità di conoscere. Kant concorda con Bacone sul fatto che tutta la conoscenza inizi
dall'esperienza, ma fa notare come da questo non consegua direttamente che tutto derivi
dall'esperienza. La caratteristica della scienza è quella di affermare giudizi universali e necessari;
per essere ritenuta scienza, dunque, la conoscenza deve possedere tali requisiti.
Per approfondire il problema, Kant costruisce la sua teoria del giudizi; esistono due tipi di giudizi:
 Giudizi analitici. “Analitico” proviene dal greco analuo, che significa sciogliere negli elementi
costitutivi, portare allo scoperto ciò che già c'è, esplicitare proprietà che sono già implicite
nell'oggetto in cui parlo. I giudizi analitici, dunque, sono quei giudizi in cui il predicato è già
implicito nel soggetto.
Il fondamentale vantaggio dei giudizi analitici è che sono universali e necessari.
Lo svantaggio è che non dicono nulla di nuovo: non sono ampliativi di conoscenze.
Questi tipi di giudizi fanno capo a una concezione razionalistica della scienza, per cui dai
presupposti si possono ricavare tutte le implicazioni
I giudizi analitici sono a priori, rispetto all'esperienza; è parte del concetto la sua implicazione.
 Giudizi sintetici. Il termine “sintetico” deriva dal greco sintheo, aggiungo. I giudizi sintetici
son quelli che aggiungono qualcosa all'oggetto di cui si parla, degli attributi nuovi, non
impliciti nell'idea del soggetto. Tali giudizi si rifanno a una concezione empirista: il sapere
scientifico parte dalla conoscenza empirica.
Vantaggio dei giudizi sintetici è che dicono qualcosa di nuovo, aggiungono qualcosa al patrimonio
di conoscenze preesistente.
Svantaggio è non sono universali e non sono necessari.
I giudizi sintetici sono a posteriori, rispetto all'esperienza; non posso dire che il concetto ha tale
implicazione se non ho verificato tale esperienza.
Kant cerca di combinare queste possibilità, questi due tipi di giudizi: l'ambizione è di costruire
giudizi sintetici a priori: universali, necessari e ampliativi di conoscenze.
Il mondo empirico è il mondo dell'accidente, di ciò che si dà, non il mondo dell'universalità e della
necessità; queste caratteristiche sono infatti conferite ai nostri giudizi dal nostro intelletto e dalla
nostra mente.
L'intelletto degli uomini da sempre possiede certi modi standard, come dei programmi di un
computer, e elabora i dati secondo tali modi. Il fatto che questi modi sono comuni a tutti gli uomini
fa si che a tutti i giudizi sintetici vadano attribuite le caratteristiche di universalità e necessità.
L'esperienza fornisce quindi il contenuto della nostra conoscenza, ma la forma della conoscenza è
universale ed necessaria ed è data dalle categorie trascendentali del nostro intelletto.
La rivoluzione copernicana di cui Kant si vanta è questa: non è la nostra mente che si modella
passivamente sulla realtà, ma è il contrario: il nostro cervello, attraverso le categorie
trascendentali, dà le forme universali e necessaria uguali per tutti, e l'esperienza si modella in
queste forme strutturate dal nostro cervello.
In Bacone, in principio sono i dati, e tutto deriva dal capire la logica di tali dati, a cui l'uomo deve
adeguarsi. In Kant, la nostra mente non è l'elemento passivo su cui la natura lascia il suo segno,
ma è la natura stessa che si modella e prende forma dentro le categorie della nostra mente; la
mente dell'uomo dà senso alla realtà empirica.
Se conoscere significa far affluire l'esperienza nelle forme dell'intelletto, ne deriva che non abbiamo
possibilità di descrivere il mondo per come è; possiamo descriverlo sono nella misura in cui esso
stesso, come lo esperiamo, si incontra con le categorie trascendentali. La realtà empirica che
conosciamo è dotata di ordine, logica e senso non perché la possiede di per se, ma perché il
nostro intelletto che gli da senso. Quindi, nn possiamo pensare di descrivere e cogliere il vero
modo di essere degli oggetti, ma solo il modo con cui si incontra con il modo di funzionare del
cervello.
La scienza, in Kant, è scienza di fenomeni. Fenomeno vuol dire ciò che si manifesta, ciò che appare
dall'incontro da realtà empirica e le categorie trascendentali: solamente questo potremo capire.
Non abbiamo possibilità di cogliere le cose nel mondo nel modo unico in cui sono, ma solo nel
modo in cui interagiscono con le nostre categorie trascendentali. Il noumeno, la cosa in sé, forse
esiste da qualche parte, ma in ogni caso possiamo coglierla non del tutto ma solo nel modo in cui
si incontra con le categorie trascendentali.
C'è un limite, dunque, alla conoscenza; possiamo cogliere solo il fenomeno, e non il noumeno.
Non è giustificata la pretesa di arrivare al livello assoluto delle cose, all'unico vero modo di darsi
delle cose. Kant imprime dunque una profonda cesura col passato, con Bacone e i suoi successori.
Tutto cil che possiamo cogliere è l'interazione tra il mondo empirico e le categorie trascendentali.
Solo questo possiamo studiare; rimarrà sempre fuori il modo assoluto, quello che è al di là
dell'interazione con noi.
Noi conosciamo il fenomeno solo nel modo in cui esso si incontra con noi; non possiamo
conoscerlo per come non si incontra con noi, e questo è il noumeno.
Le categorie son comune a tutti gli uomini, non sono in questione le capacità interpretative del
singole uomini. Il fenomeno è diverso dal noumeno per tutto il genere umano; le categorie sono
innate.
Positivismo: definizione, tesi fondamentali, metodo, confronti
Il positivismo nasce come orientamento nel 1840 con i libri di Comte, ma questo termine è usato
anche prima di Comte, da Saint Simon.
In Comte, positivo designa ciò che è:
 Reale. Reale vuol dire effettivo e sperimentale, in opposizione a metafisico ed astratto. La
sociologia di Comte non vuol essere una conoscenza di astratti principi, ma nasce con l'idea
di avere compiti molto concreti ed effettivi, con la pretesa di migliorare la condizione
dell'uomo e della società. E' carica di una tensione utopica formidabile.
La sociologia nasce col compito di trovare una conoscenza concreta che funga da base per la
riforma: il principe non può più decidere da solo, ma servono dati sulla società.
L'idea che la scienza possa arrivare a migliorare la vita degli uomini in società è un'idea nuova, ai
tempi dei positivisti. In passato, non era pensabile che i progressi scientifici migliorassero la vita
delle persone. La scienza è chiave dell'interpretazione della società e la chiave per il miglioramento
complessivo della società stessa, applicando criteri scientifici la società arriverà a mete scientifiche
e più desiderabili.
 Utile. Serve una conoscenza che non sia mera riflessione o speculazione; deve andare al
nocciolo dei problemi, colpendo le esigenze reali.
 Certa. Questo è forse l'imperativo che i positivisti vogliono perseguire: la conoscenza deve
farci capire quale è la decisione giusta. Non servono più dibattiti tra opposte idea, ma si
tratta di elaborare la conoscenza che supporti le decisioni necessarie.
 Precisa.
 Utile a costruire. Non interessa lo scetticismo inconcludente, che non può fare uscire gli
uomini dalla situazione reale. La sociologia nasce con un profondo senso di impegno.
Comte cerca di definire un tipo di conoscenza nuova, carica di responsabilità sociali. L'intellettuale
non può più rispondere solo a se stesso, ma deve caricarsi di una responsabilità sociale. Deve
operare per il miglioramento della società. Si sentono sacerdoti di un'epoca nuova, migliore.
Tesi fondamentali del positivismo:
 Si parla innanzitutto dello scientismo positivista. E' convinzione assoluta, anche se più o
meno forte nei singoli autori, che l'unica forma di conoscenza che serve all'uomo è la
conoscenza scientifica. Tutto ciò che non è conoscenza scientifica è aria fritta, non serve
all'uomo. Da una parte quest'impegno è rigoroso, dall'altra parte è doloroso: tutto ciò che
che non è conoscenza scientifica è da buttare.
 Inoltre, il positivismo è caratterizzato da una concezione meccanica nell'uomo. Il mondo è
visto come un'enorme meccanismo. Questa è un'idea molto forte, perché se il mondo è un
meccanismo, ne deriva che è possibile smontarlo pezzo per pezzo, in modo che tutto sia
conoscibile; non possono esserci misteri, tutto è perfettamente spiegato e regolato. Non ci
saranno nel meccanismo zone d'ombra se non provvisorie: prima o poi, si arriverà a
conoscere tutto. Si ha dunque un'idea fortissima di un'onnipotenza della scienza.
 Questo mondo è dominato da leggi necessarie. Comte è convinto del meccanismo
rigidissimo che chiamerà le leggi probabilistiche vergognosa aberrazione dell'intelletto
umano. Ogni elemento è determinato dalla logica immanente.
Il positivismo, sebbene inventò una scienza nuova, non portò avanti una riflessione specifica sul
metodo di questa scienza; questo perché si riteneva che il metodo della scienza fosse unico, e
fosse quello delle scienze naturali. Quindi la nuova scienza potrà arrivare a conquistare risultati
semplicemente usando il metodo delle scienze naturali.
Si può dunque parlare di una fisica sociale, con la stessa garanzia metodologica e consapevolezza
di poter arrivare a risultati validi.
Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità
è l'incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro, Imputabile a se stesso è
questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d'intelligenza, ma dalla mancanza di
decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere
aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell'Illuminismo.
'Illuminismo offre a tutti la libertà di pensare con la propria testa ma da ogni parte si ode gridare:
"Non ragionate ma obbedite". "L'Ufficiale dice: - Non ragionate, ma fate esercitazioni militari. -
L'impiegato di finanza: - Non ragionate, ma pagate! - L'uomo di chiesa: - Non ragionate, ma
credete!". È infatti nell' "uso privato" della ragione che un ufficiale deve obbedire senza discutere e
un cittadino non può rifiutarsi di pagare le tasse nell'interesse superiore della disciplina e dello
Stato.
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13/03/12, n° 3
Elementi di contatto e divergenza tra positivismo ed illuminismo
Elementi di contatto:
 Entrambe i movimenti condividono la fiducia nella ragione, tanto dal punto di vista quasi
astratto dell'aiuto che essa può dare nello sviluppo della conoscenza, quanto dal punto di
vista fortemente concreto dell'ausilio che essa può dare per costruire le premesse di una
società migliore.
 Ne consegue che entrambe i movimenti rifiutano ogni forma di sapere non verificabile, che
non sia possibile controllare concretamente. Vi è un rifiuto comune, dunque, della
metafisica.
La parola 'metafisica' ha un'origine casuale: l'ordinatore arabo degli scritti di Aristotele mise in fila i suoi
scritta, e mise prima i libri che si occupavano di fisica, e poi quelli che si occupano di questioni astratte, e li
chiamo appunto metafisica, dopo la fisica, e in quanto tale astratta, poco suscettibile di applicazioni
concrete.
In illuminismo e positivismo la conoscenza ha una responsabilità di essere pubblico, ed in quanto
tale deve essere controllabile.
 Entrambi hanno un orientamento anti-religioso. L'illuminismo è una rivolta contro le false
credenze della religione, contro la tradizione bigotta e i pregiudizi; anche il positivismo
possiede questa caratteristica.
 Entrambi hanno un orientamento anti-individualista. Non sono mai interessati alla sorta dei
singoli individui; fuoco della loro attenzione sarà sempre posto sui grandi insiemi di
individui. Nelle sue analisi sul suicidio, Durkheim lo studierà come caratteristica del gruppo,
e non come motivazione individuale.
 Inoltre, Illuminismo e positivismo hanno in comune un'altro aspetto: base della conoscenza
sono i dati, ovvero i fatti, che costituiscono dei frammenti di realtà indiscutibile, che il
ricercatore deve solamente subire, e non interpretare. Il ricercatore positivista e
l'intellettuale illuminista non sentono su di se il compito di interpretare la realtà, ma solo
quello di ricomporla. I fatti sono il dato primo, in senso cronologico (Bacone pone all'inizio
del suo percorso le osservazioni), ma anche dal punto di vista logico, poiché essi
suggeriscono le ipotesi; vengono prima anche come importanza, e verranno considerati
come divini, dato che sono la verità e superano l'individuo. Ne deriva che si può solo
ascoltare la voce del dato.
La verità esiste, ha un fondamento assoluto esterno all'individuo, e bisogna scoprirla, ovvero far
vedere qualcosa che già esiste, anche se l'individuo non la coglie.
Per cogliere, basta seguire alcune regole certe e facili, così sufficienti a se stessi che basta seguirle
per distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato; il ricercatore non c'entra, deve solo ascoltare
la voce della natura. Il suo compito a quello si limita, non deve metterci nulla di sua: anzi, questo
rappresenta l'errore dell'idola specus.
Vi sono anche elementi di diversità tra illuminismo e positivismo.
 Orientamento empirista e orientamento realista.
Nel XII secoli si verificò la disputa degli universali, basta su una questione precisa: che cosa
implica un termine generale, come “cavallo”? Indico qualcosa di concreto, oppure no? Nel
momento in cui uso tale termine come significato singolare di un preciso cavallo, allora vi è una
chiara funzione. Ma se si usa tale espressione come categoria di classe potenzialmente infinita; se
lo uso in quest'ultimo termine, questo termine ha ancora la capacità di designare qualcosa di
empirico, oppure no?
Si aprirono a questo punto due scuole di pensiero.
◦ Per una scuola, quella dei nominalisti, sostanzialmente empirista, il significato dei
termini esiste se questi termini hanno una referenzialità empirica precisa e specifica;
sono quindi le cose del mondo sensibile a giustificare le mie esperienze. L'empirista
giustifica dunque le sue espressioni esclusivamente in base al fatto che ne fa
esperienza sensibile.
◦ Per i realisti, esiste comunque un livello di realtà a di là dell'esperienza che ne si fa,
dell'esperienza empirica: espressioni usate in termini astratti rinviano a oggetti che
hanno una loro realtà anche oltre quella empirica di cui facciamo esperienza. Realismo
ed empirismo saranno da allora in poi due posizioni teoriche confliggenti, il realista si
impegna a un livello di esistenza al di là dell'esperienza del mondo sensibile: esiste un
livello di verità al di là di quella sensibile. C'è un fondo di realtà al di là dell'esperienza
che tale esperienza è così. Gli oggetti non sono in un certo modo perché così sembrano,
ma perché lo sono.
Mentre dunque un empirista giustifica le proprie convinzioni sulla base dell'esperienza e solo di
questa, un realista giustifica la stessa esperienza chiamando in un causa un livello assoluto,
ontologico che spiega il darsi dell'esperienza.
Nell'illuminismo è presente un orientamento empirista; molto spesso il positivismo avrà invece un
orientamento realista.
 Entrambe gli orientamenti esaltano fortemente il ruolo della ragione, ma in direzioni
diverse. La ragione, per l'Illuminismo, è centrale dal punto di vista della sua valenza critica,
della sua capacità di sottoporre ad analisi e debellare gli errori e le superstizioni; è uno
strumento vivo ed attivo; interpretazione laica della ragione.
Per i positivisti, la ragione servirà più che come strumento critico, come via per riprodurre e
riproporre certezze assolute, e quindi non così distanti della vecchia metafisica; sacralizzazione
della ragione.
Elementi di contatto e divergenza tra positivismo ed romanticismo
Elementi in comune tra positivismo e romanticismo:
 Abbagnano ha parlato del positivismo come del romanticismo applicato alla scienza. In
effetti, spesso gli intellettuali positivisti attribuiscono alla scienza un potere talmente
sovrumano da pensare che proprio abbiano una visione romantizzata, lirica, più
sentimentale che alla ragione della scienza.
 Uno dei punti fermi tanto del pensiero romantico quanto di quello positivista è l'idea di
totalità, dotata di un'immanente capacità di sviluppo, vita e crescita. Entrambe i movimenti
intendono l'oggetto come capace di una crescita continua.
Il motivo del progresso come caratteristica costitutiva del mondo e del mondo sociale è in realtà un
elemento romantico che il positivismo condivide (basti pensare a paralleli tra legge dei tre stati
comtiana e dialettica hegeliana).
Uno dei punti di contatto tra i due orientamenti è proprio, dunque, l'idea del progresso, che il
positivismo applicata alla scienza, e il romanticismo applica al suo oggetto, comunque lo interpreti.
Punti in contrasto con il romanticismo:
 Molto spesso, nei libri il romanticismo è considerato come una reazione all'illuminismo; ciò
è falso, non solo perché molta produzione romantica e positivista è contemporanea ma
anche per altre questioni.
 Il romanticismo insiste sulle categorie del vivere, del sentimento, dell'affettività; il
positivismo tutt'altro.
La scienza nel positivismo
Per Bacone, la scienza muove da fatti che possiedono la caratteristica di essere in sé stessi
indubitabili e sicuri; sono come sono indipendentemente dal ricercatore. Questi fatti vanno
osservati secondo precise regole; in questo modo si possono articolare delle ipotesi.
Il positivismo incorpora nella sua concezione della scienza questi motivi baconiani.
Tutto comincia, per i positivisti, dall'osservazione. Il primus è dato quindi dai fatti, che conducono
alle ipotesi, ci sarà la fase sperimentale e poi ci sarà un'ipotesi vera, probabilmente più ampia
dell'ipotesi iniziale.
Quest'idea di scienza stata dominante fino all'epistemologia post-empirica, fino agli anni '60 del '900. Uno
dei motivi di crisi della scienza contemporanea sarà proprio questo: l'idea che si possa parlare di dati
assoluti, definitivamente, intrinsecamente veri, che si possa prescindere completamente dall'interpretazione
dei ricercatori. Se la verità esiste in un modo solo, non è questione d'interpretare la verità, ma solo di farla
vedere.
La scienza, dunque, nel positivismo, si basa sui fatti, padroni del proprio significato, esistenti
indipendentemente dal ricercatore, e da ciò che costui ama, odia, crede; deve essere libera dalla
sua soggettività ed ideologia.
 La scienza consiste in un processo che parte dall'osservazione di alcuni casi ed estende le
proprietà rilevate a casi sempre più ampi.
 Esiste sempre la possibilità di una verifica sperimentale, che consente di verificare se
l'ipotesi è vera o falsa. L'esperimento è una struttura sempre possibile e sempre capace di
sciogliere ogni ambiguità.
 La scienza è una attività differente dal conoscere (Platone).
 C'è distinzione netta tra fatti e teoria. La nozione di teoria è una nozione moderna, che oggi
si usa in modo più ampio di come la si usava tra i positivisti, che la utilizzavano pochissimo.
Teoria è una conoscenza congetturale, incerta. I positivisti non pensano di costruire teorie,
che sono di fatto interpretazioni, ma di scoprire le leggi, la verità, il modo in cui le cose
davvero stanno. Nella scienza moderna, invece, si ha un capovolgimento di questi termini:
esiste anche un'influenza dei nostri atteggiamenti e sentimenti che ci porta ad individuare i
fatti; basti pensare all'attenzione selettiva. Non esistono, nella scienza moderna, non
esistono fatti in sé: non solo un margine d'interpretazione è inevitabile, poiché non siamo
passivi spettatori del mondo, ma è anzi quella che dà significato.
Le teorie, dunque, non sono molto amate dai positivisti, e sono un prodotto tardo. Non è
ammissibile l'idea che noi, come essere attivi, diamo forma ai fatti: i fatti esistono di per sé.
 La scienza è un'impresa cumulativa (motivo romantico): si andrà sempre avanti nella
scienza. Anche questo punto sarà criticato dalla filosofia della scienza moderna.
Auguste Comte
Tesi fondamentali di Auguste Comte:
 L'unica conoscenza valida è quella scientifica, e quindi l'unica conoscenza possibile ed utile
all'uomo è quella che ha caratteristiche di certezza, l'unica che sia elaborata razionalmente
a partire dall'esperienza, escludendo qualsiasi riferimento a istanze non controllabili, come
astrattismo e metafisica.
 Il modo di procedere tipo di un sociologo è quello storico-comparativo. Il sociologo
costruisce dunque le sue inferenze confrontando gruppi umani di tipo diverso.
Questo è abbastanza divergente con le indicazioni positivistiche classiche sulla necessità di
utilizzare l'approccio delle scienze naturali nelle scienze sociali, e una volontà forse di trovare un
metodo diverso, proprio e specifico della sociologia. Qui, dunque, Comte non ricalca precisamente
l'ortodossia positivista: la sociologia ha bisogno di una sensibilità diversa da quella propria delle
scienze naturali.
Comte, comunque, non fa ricerca.
 La legge dei tre stadi richiama l'idea della totalità necessariamente avanzante, motivo
romantico. Lo sviluppo umano, applicato a qualunque disciplina e scienza passa attraverso
tre tipi di sensibilità ed approccio: lo stato teologico, quello metafisico e quello positivo, ed
essi sono in ordine di crescente complessità e consapevolezza.
◦ Nello stato teologico “tutto cil che accade viene riportato all'azione di esseri
sovrannaturali”, è lo stato infantile dell'umanità e dei suoi sistemi di pensiero.
◦ Nello stato metafisico vengono presupposte forze astratte, capaci di produrre tutti i
fenomeni.
◦ Lo stato positivo è caratterizzato da una rinuncia alla ricerca di nozioni assolute per
dedicarsi invece allo studio delle leggi: tutto ciò è contraddittorio.
Da una parte Comte dichiara infatti che lo spirito positivo, finalmente affrancato da teologia e
metafisica, potrò rinunciare alla vana ricerca delle nozioni assolute; dall'altra parte, però, fa
riferimento tutto sommato ad un altro tipo di assoluto, un catechismo positivista dogmatico.
14/03/12, n° 4
(Altre tesi fondamentali di Auguste Comte)
Le opere principali sono il Corso di filosofia politica, iniziato negli anni '30 dell'800, che in qualche
modo lancia l'orientamento positivista nell'Europa. La seconda opera molto importante di Comte è
il Sistema di politica positiva; interessante è la scaletta dei titoli: questa seconda opera è una teoria
dell'azione politica.
Un'altra opera minore ma interessante è il Catechismo positivista.
Altre tesi fondamentali di Auguste Comte:
 La legge dei tre stati non è così innovativa; innovativo e moderno è però il modo in cui essa
viene applicata. Lo sviluppo non riguarda solo il progresso generale del conoscere umano
(in questo caso saremmo ancora nell'ambito di Giambattista Vico), ma anche ogni disciplina
scientifica, che, dopo una fase di infanzia ed una di maturità, arriverà infine ad una fase
pienamente empirica, ovvero positiva, affrancata da teologia e metafisica.
Questo modello può funzionare da criterio per valutare il grado di maturità di una scienza; ogni
scienza ha avuto una sua dinamica interna, un suo passato (l'astrologia è la fase metafisica
dell'astronomia), e tali dinamiche son diverse per ogni disciplina.
La sociologia non è arrivata alla fase positiva, e il compito che Comte si prefigge non è solo di
“crearla”, ma di portala a una fase di piena maturità empirica.
 In Comte, scienza è conoscenza di leggi; in questo, viene ripreso il modello generale del
positivismo, un modello meccanicistico e deterministico. E' interessante il fatto che Comte
non segua gli sviluppi della scienza probabilistica, di Bernoulli o Laplace: la nozione stessa
di legge probabilistica che oggi è ritenuta inevitabile in ogni scienza viene completamente
rifiutata dallo studioso. Le leggi sono così importanti in Comte perché:
◦ consentono di cogliere le connessioni tra i fenomeni;
◦ esprimono un ordine naturale assoluto, nell'ambito di un interesse filosofico conoscitivo.
In questo senso, le leggi sono l'alfabeto, il codice del meccanismo del mondo.
Conoscere le leggi vuol dire dunque conoscere il mondo nella sua costitutiva completezza: esse
consentono di cogliere le connessioni tra singoli fenomeni, ma anche la logica di insieme del
mondo.
◦ Vi è anche un interesse di tipo operativo. La conoscenza delle leggi consente la
previsione, ed essa è un'arma decisiva all'interno della conoscenza operativa, concreta,
utile a costruire del positivismo.
 D'altra parte, la tradizione antica, soprattutto aristotelica, aveva dipinto la scienza come
conoscenza delle cause. Comte, unico tra i positivisti, rifiuta con ostinazione questo
riferimento alla nozione di causa.
Nel pensiero antico, caratteristiche fondamentali del legame causale erano tre:
◦ indica un legame necessario tra qualcosa che chiamiamo causa e qualcosa che
chiamiamo effetto;
◦ questo legame necessario è un legame che esiste in natura, indipendentemente dal
ricercatore, che dovrà solo scoprirlo, e non interpretarlo, ed è dunque un legame di
natura ontologica;
◦ tale legame ha una chiara impronta deterministica: si può affermare che A è causa di B
se vi è un rapporto del tipo che se è dato A, sempre e necessariamente sarà dato B.
Questa idea di causa domina la cultura occidentale fino ad un fondamentale saggio di Hume del
1739. Hume distingue (riprendendo Liebniz) due diversi tipi di situazioni: le relazioni tra idee e le
materie di fatto o verità di fatto.
◦ Le relazioni tra idee, simili ai giudizi analitici di I. Kant, sono quelle che si possono
portare alla luce senza bisogno di esperienza, attraverso il puro ragionamento; per
esempio, il teorema di Pitagora.
Queste relazioni tra idee si costruiscono in base al teorema di non contraddizione, cardine di tutta
la logica occidentale: non si può predicare di uno stesso oggetto la proprietà A e la proprietà nonA.
Le relazioni tra idee sfociano in proposizioni la cui negazione è logicamente impossibile; vi è una
differenza tra errore logico ed errore di fatto, empiricamente constatabile (tutti i registratori sono
pesanti, questo è leggero: errore logico, non serve pesarlo → Galileo).
Esempio: A > B > C => A > C; non ho bisogno di prove empiriche, è solo ragionamento. E' una
relazione tra idee. Negare tale affermazione implica un errore logico. Poiché non dipende
dall'esperienza, sarà sempre vera questa affermazione in tutti i modi possibili, con il suo carattere
di necessità.
◦ Le materie di fatto sono quelle basate non sulla logica ma sull'esperienza. Queste
affermazioni riguardano tutte il mondo empirico. Negare questo tipo di affermazioni non
comporta alcun errore logico, non comporta contraddizioni, ma solo la messa in
evidenza di un falso empirico.
Se pure questa affermazione è vera, non ha comunque in sé alcuna necessità universale, non
pretende di essere vera in tutti i mondi possibile: è vera solamente qui ed ora, in modo
accidentale. Ogni cosa che è può non essere, può essere diversa.
Non basta l'intelletto per le verità di fatto, è comunque necessario il riferimento all'esperienza.
Sono, più o meno, i giudizi sintetici di Kant.
La causa, per Hume, non è mai una relazione tra idee; può essere colta solamente a posteriori,
dopo aver fatto esperienza dell'oggetto in questione. Essa può essere valutata ed affermata
solamente in base all'esperienza, in base a cui è possibile formulare relazioni di causa ed effetto.
Ne consegue che il rapporto di causa ed effetto non può essere valutato a priori, non ha una
giustificazione razionale (biglie/biliardo: imparo che c'è un esito, ma gli altri non sono logicamente
contraddittori. La prima biglia si sposta a causa dell'urto: questo può essere affermato solo dopo
aver visto ciò, dopo averne fatto esperienze. Ne consegue che la nozione di causa non ha
giustificazione razionale, deriva solo dall'esperienza, che è mutevole, universale, non necessaria).
La causa, quindi, non è un'affermazione, una qualifica o proprietà che possa essere stabilita per
via razionale, non ha un tale fondamento. Deriva solo dal fatto che diamo per scontato che il
mondo sia sempre uguale a se stesso, dalla nostra aspettativa che anche la prossima pallina
colpita metterà in moto la prima; deriva da un belief, da un'aspettativa psicologica di prevedibilità,
ma di questo non vi è giustificazione. Il fatto che il sole sia sorto fino ad oggi non consente la
giustificazione logica del fatto che sorgerà anche domani: questo riposa non su una necessità
logica ma su un bisogno psicologico, su una credenza.
Putman, autore moderno, porta avanti un simile ragionamento: “Non si può derivare un deve da
un è”; da uno stato di fatto non si può derivare uno stato di dover essere, di necessità.
In sostanza, Hume tratta la nozione di causa come una necessità psicologica, e non come un fatto
internamente costitutivo alla struttura del mondo. Questo era assolutamente nuovo al suo tempo
nell'ambito della filosofia della scienza.
A questo problema cercherà di rimediare Kant, che tratterà la causa come una delle categorie
trascendentali; proverà a recuperare il carattere di necessità ed universalità nella nozione di causa
(che non può derivare dall'esperienza) fondandolo sul fatto che uno dei modi standard del nostro
intelletto è la causalità. Noi elaboriamo i dati del mondo attraverso il modo della causalità, e solo in
questo senso possiamo parlare di una necessità della causa.
Comte, nella sua intolleranza per queste discussione astratte, decide che la nozione causa è
inaffermabile, ed è quindi preferibile la nozione di legge, che già esiste sul piano empirico ed è
controllabile; mentre tutti questi discorsi sulla causa come aspettativa o come bisogno del nostro
intelletto sono a suo parere fuorvianti astrattezze, sofisticherie in cielo.
E' molto più affidabile e semplice da praticare l'idea di una scienza che cerca concrete legge,
piuttosto che cause, la cui nozione era oggetto di un intricato e metafisico dibattito.
 L'empirismo tradizionale è impossibile perché non possono darsi osservazioni del tutto prive
di teoria. Nel modello tradizionalmente positivista i dati, per esistere in quanto tali, non
hanno bisogno di alcuna teoria, né del ricercatore. Comte si distacca vistosamente su
questo punto, mostrando una sua grande modernità: è assolutamente impossibile pensare
qualcosa come dato, senza alcun criterio di scelta o preselezione. Non si può solamente
osservare, se non dopo aver deciso ciò che bisogna osservare, e questo costituisce una
scelta che supera il piano puramente descrittivo; questa preselezione è motivata da
un'ipotesa. Prima di tutto, dunque, vi è una zona opaca che induce ad osservare alcune
cose piuttosto che ad altre: vi sono meccanismi di attenzione selettiva, di elaborazione
selettiva, ecc ecc, e Comte lo ha capito, sebbene in modo piuttosto confuso, già nel 1800.
L'osservazione pura è un mito, e i dati non saranno mai indipendenti dal ricercatore, non saranno
mai tessere di un puzzle; il ricercatore non è un filtro passivo, ma è attivo in quanto mette in atto
un'opera di selezione, e questo risente di scelte ed investimenti di valore.
 Non è possibile parlare astrattamente della conoscenza, ma possiamo parlare solo della
conoscenza possibile per una data disciplina in un dato tempo, visto che ogni disciplina ha
la sua modalità di sviluppo particolare. Questo costituisce la transizione tra gnoseologia e
metodologia. Non si può porre un problema generale della validità dei giudizi della
conoscenza, perché questa validità dipende dallo stato in cui ogni disciplina si trova.
Anche questo è un aspetto di grande modernità in Comte.
 Altra tesi importante in Comte è quella dell'unificazione della scienza. Questa non è un'idea
originale dello studioso, e rimarrà nella cultura fino al circolo di Vienna.
Basti pensare all'enciclopedia di Diderot e d'Alambert, o a Leonardo da Vinci, scultore, architetto,
pittore, ingegnere, chimico. E' il prototipo del detentore de sapere universale. Col crescere delle
specializzazioni questo ideale di sapere enciclopedico ed universale necessariamente si deteriora: a
un certo punto della cultura occidentale la conoscenza si frantuma. I positivisti sono tormentati da
questo problema per cui nell'edificio del sapere alcune stanze non si parlano, per cui il sapere si
stia sgretolando in mille rivoli ognuno dei quali ha una sua autonomia; vi è un grande desiderio di
tornare ad una ricomposizione del sapere encliclopedico, trovare il modo per cui le varie
specializzazioni riescano a ricostruire quel tessuto unitario di metodi, linguaggi ed osservazioni.
Un sapere globale è per Comte l'unico in grado di affrontare la complessità del mondo; più il
sapere globale si sgretola meno si potrà capire l'universale.
 Questo lo conduce a una classificazione generale delle scienze: esistono scienze
fondamentali e scienze non fondamentali, ordinate in base alla complessità dell'oggetto (→
rivedere), per cui la sociologia è il massimo compimento del sapere, il grado massimo della
conoscenza positiva, anche perché Comte fa all'interno di questa affermazione delle
asserzioni importanti: gli strumenti elaborati dalle scienze più semplici possono essere
utilizzati dalle scienze più avanzate. La sociologia è il coronamento del sapere perché può
utilizzare tutti questi strumenti e queste conoscenze messe in campo dalle scienze più
semplici, realizza l'integrazione di tutte le scienze esistenti.
 La scienza è base del progresso e strumento di miglioramento sociale. E' però dotata di
alcune zone d'ombra pericolose, e Comte le mette in luce. Il sistema di politica positiva ha
lo specifico scopo di trasformare la filosofia in religione. Per l'Illuminismo la ragione è
un'istanza critica per uscire dal coro, perché ognuno aude sapi; nel positivismo, la scienza
si propone di arrivare a una concezione totalizzante della vita e della sociologia: “Il futuro
regime sociologico, quando arriverà, abolirà la libertà di critica”. Questo è coerente: se
attraverso la scienza scopriamo la verità assoluta, allora qualunque deviazione da tale
strada sarà errore. Esiste solo una visione del mondo e della vita giusta, in nome della
scienza: tutto il resto sarà abolito. E' la dimostrazione di un passaggio da una intenzione
utopica straordinariamente generosa, per cui si vuole migliorare la società trovando una
scienza che ci permetta di trovare le giuste soluzioni, si trasforma nel suo opposto: esiste
solo una versione giusta di tutta, e ogni critica è errore; va stroncato ciò che non è
ortodossia.
John Stuart Mill (1806-1873)
Stuart Mill è stato il logico del positivismo, ed autore del Sistema di logica razionacinativa ed
induttiva, un'opera amplissima.
 Comte, come è stato visto, rifiuta la praticabilità di un empirismo radicale, poiché esistono
dei meccanismi di preselezione, Stuart sostiene la posizione radicalmente contraria: tutte le
verità sono di origine empirica. Anche le basi della logica non derivano dal nostro
ragionamento, ma dal mondo, attraverso l'esperienza, da cui tutto è appreso. Non è
dunque vero che il teorema di Pitagora si può costruire solamente immaginandolo, ma anzi
è solo guardando qualcosa che si approssima a un triangolo rettangolo che è stato possibile
costruire in teorema.
 Il procedere della scienza è un'inferenza ampliativa, che parte dall'osservazione di alcuni
casi, ne scopre la regola, ed estende quella regola anche ai casi non visti, giungendo ad
osservazioni vere.
L'induzione vale perché la natura è stabile ed ineccepibili son le leggi che la regolano: non è vero
che non possiamo sapere se domani il sole sorgerà, come sosteneva Hume. Questo è il criterio in
base a cui si può applicare l'induzione: se potessimo conoscere tutte le leggi del mondo saremmo
in grado di sapere le caratteristiche complete dei nostri discendenti tra migliaia di anni.
Fenomenismo, empirismo radicale, inizio empirico di ogni conoscenza, negazione di un'autonomia
del razionalismo. Non si da il caso che rompe la regola.
19/03/12, n° 5
John Stuart Mill: tesi fondamentali
 Comte, come abbiamo visto, sostiene che la scienza è conoscenza di leggi, piuttosto che di
cause; Stuart Mill opera una revisione da questo punto di vista. Secondo lo studioso, non
c'è bisogno di pensare che la nozione di causa abbia bisogno di una giustificazione
filosofica: essa si impara osservando, in quanto è una nozione fisica, non metafisica.
Da una parte viene rifiutato il discorso scettico humiano sulla causa come bisogno psicologico,
dall'altra l'argomentazione kantiana che vedeva nella causa una categoria trascendentale. Causa è
un fatto fisico che si impara vivendo, e in questo modo rientra perfettamente nella tradizione
induttivista.
Stuart Mill non teorizza consapevolmente due tipi di causa, ma probabilmente non si accorge di
parlare della nozione di causa con definizioni totalmente diverse.
◦ Causa A. La causa nasce ed è imparata dall'osservazione: è descrittiva, e quindi
deterministica. Quando si dice che A è causa di B, si intende come A l'evento che
sistematicamente e sempre precede B in ordine cronologico. A è evento antecedente
rispetto a B a condizione che abbia due caratteristiche e proprietà:
▪ che sia invariabile. Un antecedente A è invariabile se impariamo dall'osservazione
che esso sempre e sempre nello stesso modo precede B, se la successione è
regolare e costante; l'idea di successione regolare e costante non è però sufficiente.
▪ che sia incondizionato. Perché la successione regolare e costante sia pensabile
come causale, occorre che l'antecedente non dipenda, a sua volta, da altri fattori,
ma che sia appunto incondizionato (correlazioni spurie).
In questo senso, i legami causali possono essere scoperti mediante osservazione.
Questo modo di concepire la causa di Mill richiede almeno tre condizioni, praticamente
inapplicabili:
▪ è possibile individuare l'evento B come stato puntiforme in una successione di
eventi? L'evento B si configura più probabilmente come un processo che uno stato
puntuale.
▪ Possiamo pensare di individuare tutti gli antecedenti di B? E' probabilmente un
compito infinito. Se anche si scegliessero gli antecedenti più significativi, questo
porterebbe a un processo di scelta incompatibile con le premesse empiriste di Stuart
Mill.
Tipica dei positivisti in generale è l'idea di un mondo fatto di esperienze composto da elementi
distinti, chiari, netti, senza zone di contaminazione, vaghezza, sovrapposizione.
◦ Causa B. La causa è l'insieme dei fenomeni antecedenti che fungono da condizione per
il prodursi dell'evento. Si parte dalla costatazione che la sequenza osservata non è di
solito tra elementi singoli, ma da un elemento effetto e un grappolo di eventi-cause.
Vi è dunque linearità, ma fino a un certo punto, nell'intersecarsi tra questi due tipi di cause. Si ha
un effetto B e un insieme di cause A: “vera causa è il complesso di questi antecedenti”.
Mills sostiene anche che non è giustificato chiamare vera causa solo uno di questi antecedenti,
proprio perché vera causa è l'insieme di essi. Succede spesso che il ricercatore all'interno di questo
insieme di elementi antecedenti tenda a privilegiarne uno e che tratti questo come causa.
Da una parte dunque Mill è ancorato alla cultura intellettuale empirista settecentesca, che gli fa
immaginare la causa nella maniera A, ma dall'altra parte fa da guardaportone per una fase di
pensiero diverso, nuovo.
Emergono quindi tre punti di differenza tra il modello A e B di causa:
◦ il legame non è pensato uno-ad-uno ma uno-a-molti: l'antecedente non è un altro stato
puntiforme, ma un insieme di stati; questo rende più facile l'analisi. Questo passo
infrange l'idea di una assoluta monocausalità, e apre a consapevolezze molto maggiori
e moderne;
◦ c'è un elemento di scelta, incompatibile con il puro descrittivismo e determinismo che
caratterizzano la concezione A. Quando si ammette che il ricercatore ha un spazio di
interpretazione, si è già molto avanti rispetto alla pura registrazione dell'esistente del
modello A di causa; il ricercatore comincia a contare, comincia ad assumere un ruolo
attimo e non più di mero registratore passivo dei fatti.
◦ il cambiamento più significativo è però un altro. Nel modo B si parla di complesso, ma
anche di condizioni che rendono possibile l'evento. Si passa da una nozione
deterministica e necessaristica della causa ad una invece in termini probabilistici,
passando oltre la nozione meccanicistica tipica del positivismo; è quindi chiaro che c'è
travaglio in questo passaggio, un po' farraginoso. Si inaugura un nuovo modo di
ragionare, che in questa fase è ancora mescolato con il primo. Se c'è A, allora B ci può
essere, ma non vi è necessariamente. La nozione di condizione, dunque, per il prodursi
di B, è profondamente diversa dalla nozione per cui, dato A, si ha necessariamente che
B si produca.
 Stuart Mill precisa dei modelli specifici, che non hanno sostanzialmente oggi una rilevanza. Ne
progetta cinque, e di questi solo uno ha un qualche interesse:
◦ modello della concordanza: se due o più fenomeni hanno in comune solo una caratteristica,
allora quell'elemento comune è la causa del fenomeno (rappresentazione puntiforme della
realtà);
◦ modello della differenza: se un esempio in cui un fenomeno si verifica ed uno in cui non si
verifica hanno in comune tutte le circostanze tranne una, allora quella circostanza che cambia è
legata causalmente;
◦
metodo delle variazioni concomitanti: questo sarà ripreso concettualmente da Durkheim. E'
l'idea che sta alla base dei coefficienti di associazione, sgombrato dall'aspetto causale;
◦
metodo dei residui: l'esperienza è composta da frammenti isolati ed autonomi.
Emile Durkheim
Durkheim lavora in un periodo particolare della storia francese, quello intorno al 1870, della
gravissima sconfitta della Prussia sulla Francia. Questo è un periodo di grande crisi economica,
ideologica, culturale; la Comune di Parigi costò all'epoca centomila morti, e la guerra con la Prussia
comportò la fine della Prima Internazionale: l'ideale di una fratellanza internazionalista di classe
andò in frantumi quando gli operai francesi accettarono di lottare contro gli operai prussiani.
La Francia perse l'Alsazia e della Lorena, che diventarono parte del Primo Reich; Durkheim,
alsaziano, percepì questa come una sconfitta personale.
Questo spiega molto; il compito che Durkheim si prefigge, in linea con gli obiettivi “ricostruttivi” del
positivismo, è quello di contribuire a rimettere in sesto moralmente la Francia. Vuole aiutare il suo
paese a ritrovare il senso di solidarietà e dell'agire comune di un paese in crisi terribile. Questa è la
ragione intima e fondamentale che guidano lo studioso nel suo costruire una certa immagine di
scienza sociale. Si tratta di una vera e propria missione: scriverà di aver bisogno di un pulpito
come Notre Dame per predicare le sue idee.
Durkheim è un sociologo dell'ordine, nel senso di una ricostruita armonia ed unità, di repubblica, di
sentire comune, e si carica di questa impresa con una fortissima tensione.
Tesi fondamentali:
 La sociologia ha una fondazione empirica. Comte non ha mai parlato del fatto che la
sociologia abbia bisogno di essere empirica, né ha mai parlato della necessità di una
ricerca; la sua legge dei tre stati è una generalizzazione filosofica, non la trae da ricerche, e
allo stesso modo Stuart Mill.
La sociologia per Durkheim ha bisogno di essere empirica perché c'è necessità di trovare strumenti
di azione sociale e di controllo ed informazioni perché il governo borghese laico possa governare al
meglio. Dunque, il fondamento empirico della sociologia nasce da necessità eminentemente
pratica.
La sociologia di cui c'è bisogno non è quella di Comte e Spencer, poiché essi sono filosofi che non
indicano mai come ricercare, come concretamente procedere nella valutazione delle osservazione:
non dicono nulla del come fare, poiché tale problema non si sono posti. Sono dei professori che
hanno solo teorizzato dall'altro, mai scesi sul campo.
La sociologia è dunque una scienza di cose e non di idee; in questo modo Durkheim si configura
come molto vicino a Bacone, per cui la scienza parte non dalle idee ma dalle cose. Comte e
Spencer han fatto una sociologia tutta di idee, e non di cose.
 Uno degli avversari polemici di Durkheim è il contrattualismo. Il contrattualismo era una
corrente filosofica, legata a Rousseau e Hobbes, per cui vi sarebbe, all'inizio, una serie di
patto tra società e individui, in base a cui gli individui rinunciano volontariamente a una
parte della loro libertà per ricevere i benefici che l'associazione produce. La società nasce
dunque da questa sorta di accordo, per cui gli individui, all'inizio liberi, rinunciano a una
parte della loro libertà per beneficiare di ciò che lo stato può dare in termini di sicurezza, di
servizi e così via.
Durkheim rinuncia a questa idea, in primo luogo, perché il positivismo un orientamento antiindividualista, collettivista. Si deve lavorare al benessere collettivo. Nel contrattualismo vi è una
sorta di parità tra collettività e individui, mentre in Durkheim la società è un primus: bisogna
ritrovare un comune sentire, e non andare dietro alla felicità di ciascuno.
 Durkheim si scaglia anche contro l'utilitarismo. Questo è un'idea filosofica per cui l'utilità si
pone a fondamento dell'azione sociale. Durkheim vuole costruire una solidarietà morale,
non basata su convenienza ed utile, ma che coinvolga profondamente il soggetto in quanto
parte di una totalità.
 Date queste intenzioni ricostruttive e questo orientamento anti-contrattualista ed antiutilitarista, bisogna fondare empiricamente la sociologia specificando con rigore oggetto,
metodo ed obiettivi.
Durkheim: l'oggetto della sociologia
Specificare l'oggetto della sociologia vuol dire individuare una precisa categoria di cose di cui la
sociologia si deve occupare, ovvero i fatti sociali. La sociologia non si può o non si deve occupare
di qualunque accadimento sociale, ma soltanto di quel particolare tipo di accadimento sociale che
prende il nome di fatto. Un fatto sociale è:
◦ esterno all'individuo;
◦ dotato di un potere di imporsi rispetto all'individuo: è superiore e sovraordinato,
cogentemente, all'individuo.
I fatti sociali sono quegli elementi strutturali indipendenti dall'individuo ma che forniscono la griglia
all'interno di cui l'individuo si muove, e a lui si impongono in modo coercitivo, esercitando una
capacità di orientamento.
Non tutto ciò che succede è società. Il tasso di suicidi è un fatto sociale, poiché ogni paese
europeo tende ad avere nel tempo il medesimo tasso di suicidi; in quanto non muta nel tempo,
può essere considerato una caratteristica strutturale di quel paese, ed in questo senso può essere
oggetto di sociologia. In questo appare l'anti-individualista di Durkheim, interessato a scoprire le
leggi sociali di tale fenomeno e non alle singolari circostanze di ogni suicidio.
Un fatto sociale può essere:
◦ normale, quando è prevalente dal punto di vista statistico;
◦ patologico, se appartiene alla minoranza.
Questo può essere inteso come un monumento al conformismo. In effetti, Durkheim è stato
interpretato anche in questa linea, soprattutto da parte del funzionalismo: il sociologo dell'ordine è
il sociologo della normalità.
Questo stesso elemento può essere però interpretato anche in un altro modo. L'acquisizione
fondamentale è che nulla è a priori normale o patologico: è ciascuna società che è legislatrice di se
stessa, e decide per se stessa cosa è normale o cosa non lo è; questa è un'apertura al relativismo
culturale che nessun altro sociologo dell'epoca ha saputo vedere. Se non c'è nulla che in principio è
normale, nulla è allora sacro è di per sé: è accettabile perfettamente che altre società organizzino
le loro preferenze in modo diverso. Oltre i valori di una società esistono i valori altrettanto legittimi
di un'altra società.
Anche dagli storicisti e dai critici dei positivisti verrà ignorata.
Durkheim: il metodo della sociologia
 Il secondo problema è come la sociologia devi occuparsi dei fatti sociali; Durkheim se ne
occuperà nella sua opera Regole del metodo sociologico. I fatti sociali vanno studiato come
se fossero cose. Questo vuol dire ripetere quelle convinzioni riguardo all'assoluta prevalenza
del dato; i fatti sociali sono cose perché esistono indipendentemente dal ricercatore,
indipendentemente dalle persone ed hanno un potere per cui prevalgono su di esse, hanno
una propria logica. Ciascun fatto sociale parla il proprio linguaggio ed esiste di per sé, ed è
innegabile. Sono cose perché esistono prima di me e hanno un potere su di me; vanno
studiati esattamente con la stessa impassibilità e freddezza e mancanza di coinvolgimento
intellettuale con cui vengono studiate le scienze naturali.
20/03/12, n° 6
Durkheim: il metodo della sociologia
 Bisogna scartare le prenozioni, ovvero tutto quello che si sa del particolare oggetto di cui ci
si occupa: bisogna fare tabula rasa di tutto quello che sa o si presume di sapere; questo
ricorda la disciplina degli errori di Bacone. Il ricercatore non deve intervenire come persona
all'interno del processo di ricerca; il soggetto è di per sé fonte di parzialità conoscitiva,
mentre è necessario perseguire la verità. Le conoscenze precedenti del ricercatore sono
fonte di distorsione, e vanno quindi dimenticati. Il ricercatore deve essere quindi
deumanizzato e destoricizzato e intervenire come ordinatore.
Durkheim è dunque fautore di quel modello metodologico baconiano/positivista per cui per arrivare
al risultato e alla scoperta è necessario applicare regole, ascoltando la voce dei dati che già di per
sé contengono la verità. Il ricercatore deve solo mettere ordine in quello che potrebbe sembrare
un coro disordinato.
La teoria, ammesso che arrivi, verrà solamente dopo i dati. Bisogna osservare ciò che è, e non c'è
nulla a cui bisogna consentire di orientare la nostra osservazione. Si profila l'idea che l'oggettività
della conoscenza sia declinabile in termini di corrispondenza: la conoscenza è oggettiva quando è
la trasposizione della verità, di ciò che è in realtà. Si ha dunque, in Durkheim come nel positivismo,
un rifiuto della concezione della teoria nella sua congetturialità.
 Per Durkheim, occorre una fondazione induttiva dei concetti. E' necessario far parlare la
società, il gruppo che sto studiando: nulla è metafisicamente di partenza normale o
patologico, è volta per volta che si definisce. Bisogna ritagliare i concetti a misura della
cultura di cui ci si occupa, senza sovrapporre a tale gruppo le mie idee (analisi del delitto).
Durkheim: il metodo della sociologia
 L'obiettivo della sociologia è mettere in chiaro le relazioni causali che legano
reciprocamente i fatti sociali. Viene dunque tirata fuori la nozione di causa.
Durkheim intende la nozione di causa nel senso classico del termine, nel senso precedente a tutte
le critiche di Hume, ecc.
Relazione causale è relazione necessaria, universale, data, realistica, ontologica. Queste relazioni
causali legano reciprocamente le cose e hanno lo stesso carattere di queste cose. Il mondo non va
interpretato, ma è attraverso un lavoro di svelamento che si mettono in luce tali relazioni causali,
preesistenti e indipendenti dal ricercatore. Anche Durkheim, come Comte, mostra disprezzo per le
disquisizioni filosofiche intorno al concetto di causa: la nozione di causa ha un fondamento
materiale e fisico, e non è possibile dubitarne.
 L'obiettivo è attrezzare la sociologia alla ricerca empirica, e “Il Suicidio” è il banco di prova
di questo suo proposito. Può sembrare che il suicidio, in quanto esito più assolutamente
personale di ciascun individuo, sia il meno studiabile tra i fatti sociali; ma è proprio per
questo che Durkheim lo sceglie, per poter dimostrare che attraverso la sociologia è
possibile studiare anche simili fenomeni.
Questo apre una divaricazione che da allora in poi sarà sempre presente nelle scienze sociali:
◦ da una parte, vi saranno studiosi sempre disposti a mettere in evidenza dati strutturali,
ovvero caratteristiche che si riferiscono agli insiemi (approccio olistico). Il sociologo
deve occuparsi di ciò che accomuna, delle uniformità;
◦ dall'altra parte, alcuni sociologi tenderanno a mettere in evidenza i dati di
individuazione e i fatti di differenziazione, di ciò che è fondamentale per il soggetti; il
sociologo deve occuparsi dell'individuazione di ciascuno.
Durkheim, come detto, studia il suicidio in quanto caratteristica strutturale della società. Lo
studioso si concentra sui tassi di suicidi, e mostra che tale tasso rappresenta una grandezza
costante nelle varie nazioni che compongono a suo tempo l'Europa.
 Per studiare i fatti sociali, bisogna utilizzare il metodo delle variazioni concomitanti di Stuart
Mill. Per stabilire se A è causa di B, bisogna osservare sistematicamente tutti i casi in cui A
precede B; tuttavia la successione regolare e costante non è uguale alla nozione di causa.
Bisogna in seguito arrivare ad individuare le relazioni stabili.
 Statera sostiene che Durkheim sviluppa una serie di riflessioni che appartengono ad ambiti
di discorso diversi, che trovano però una forte intersezione e saldatura. Lo studioso fa
riferimento ad un livello epistemologico, quando sostiene che si può avere conoscenza
valida a due condizioni:
◦ che muova da sensazioni relative ad oggetti stabili;
◦ che riguarda il soggetto studiato, che deve essere passivo;
A livello metodologico, stende alcune regole:
◦ per produrre conoscenza buona in sociologia, devo scegliere oggetti stabili: le cose
sono stabili, e i fatti sociali sono cose. Non si può studiare qualunque avvenimento
sociale, ma solo quelli che hanno la caratteristica della stabilità: ovvero, i fatti sociali. Al
contrario, i fatti individuali sono mutevoli ed incostanti;
◦ per produrre conoscenza buona in sociologia, il percipiente deve essere passivo: per
questo, bisogna scartare le prenozioni.
Lo studioso fa però anche considerazioni a livello di teoria sociale:
◦ Se un fatto è normale, e la società è integrata, il fatto tende alla cristallizzazione (e non
è casuale che Durkheim utilizzi lessico appartenente alle scienze naturali), tende a
diventare fatto sociale, strutturale, stabile: esistono effettivamente i fatti sociali, esiste
qualcosa a cui applicare le regole metodologiche, ed applicandole arriverò ad una
buona conoscenza.
Il disegno durkheimiano è dunque ben integrato e saldato. Lo studioso vuole ricostruire una
nazione, e cerca dunque di individuare elementi forti su cui costruire una società, una solidarietà, e
ne deriva che non sono degni di attenzione fatti mutevoli ed effimeri.
 Nelle opere più tardi, Durkheim aggiungerà altre caratteristiche alla nozione di fatto sociale,
per esempio la desiderabilità. Il fatto sociale non è soltanto più una struttura arcigna ed
esterna cogente verso l'individuo, ma anche qualcosa verso cui l'individui ha un
atteggiamento affettivamente positivo, in una sorta di ambivalenza.
Questo deriva chiaramente, ancora una volta, dalla missione di ricostruzione che Durkheim si pone
nei confronti della sua patria.
La sociologia tedesca a fine '800
Il positivismo avviene in Francia (Comte, Saint-Simon), in Gran Bretagna (Spencer, Stuart Mill), ma
anche in Italia. In Germania, non vi fu nulla che può essere considerato affine al positivismo;
l'unica scienza sociale sviluppatasi in quest'area era la storiografia, un'analisi che tendeva ad
inquadrare storicamente dati sociali ai fini di un'analisi appunto storica. Una storiografia di questo
tipo non era mai entrata in sintonia con l'orientamento positivista. Quando questa scienza nuova,
la sociologia positivista, comincia ad occupare significativamente lo spazio intellettuale europea, in
Germania si sviluppa una sorta di reazione ad essa, perché si era sviluppata una tradizione diversa:
o doveva respingere questa nuova scienza, oppure, come succederà, reinterpretarla in base alla
propria cultura.
La sociologia tedesca avrà una configurazione diversa da quella positivista; quest'ultima è orientata
a studiare i dati superindividuali e collettivi, mentre la tedesca, proprio sulla base del retroterra
orientato verso l'individualità storica, tenderà a concepire subito la sociologia non come ricerca
delle grandi leggi generali, ma piuttosto come ricerca delle singole attribuzioni di senso del singolo
autore: basti pensare alla dicotomia società/comunità di Toennies, e di come l'autore mostra come
questi due modi di agire siano diversi.
La scienza nuova positivista si differenziava, secondo i suoi autori, per l'oggetto, ma non per il
metodo, che sarebbe stato quello attraverso cui venivano studiate le scienze naturali.
Il conflitto tra questi due modi di intendere le scienze sociali esplode, e questa è la prima
occasione in cui sorge un vero dibattito sulla metodologia delle scienze sociali.
Dilthey
Dilthey nel 1883 scrive la sua Introduzione alle scienze dello spirito. Questa data viene indicata
come l'inizio della disputa sul metodo.
Questo libro vuole, analogamente a quello che aveva fatto Kant, che si era occupato di scienze
naturali, comporre un'opera si occupi di scienze nuove, scienze sociali. Si parla dunque di un
ritorno a Kant: si tratta di lavorare, per queste scienze “dello spirito”, per individuare innanzitutto le
condizioni di validità della conoscenza di queste discipline; come Kant, dunque, vi è un approccio
criticista.
Dilthey vuole occuparsi di trovare il fondamento della validità delle scienze dello spirito. Questo per
una ragione fondamentale: lo studioso, e con lui tutta una serie di intellettuali, condividono l'idea
che scienza sia conoscenza indubitabile. Il problema dunque è di trovare un modo di avere
conoscenza indubitabile anche nelle scienze dello spirito; Kant ci ha indicato come fare per le
scienze naturali, ma adesso ci sono scienze nuove, ed anche per esse è necessario un lavoro di
fondazione, un lavoro critico, prima ancora di apprestarsi al lavoro sul campo di accumulazione di
conoscenza: davvero possiamo individuare una conoscenza che possieda caratteri di universalità e
necessità nelle scienze dello spirito? I positivisti hanno dato per scontato che fosse possibile
perseguire una conoscenza universale e certa nella sociologia, applicando il metodo della scienza
naturale, mentre gli storicisti tedeschi problematizzano e tematizzano questa questione. Occorre
dunque ritornare, in un certo modo, a Kant; Dilthey si pone un compito nuovo, che i positivisti non
avevano voluto porsi.
Se da una parte vi è esigenza, per Dilthey, di tornare al criticismo kantiano, dall'altra parte questo
ritorno a Kant non può svolgersi negli stessi termini kantiani: non è questione di categorie
trascendali, ma subito si innesta una fondamentale critica a Kant. Lo studioso criticista è partito da
una rappresentazione dimezzata ed inattuale all'uomo, pensandolo come soltanto ragione,
intelletto. L'uomo è sentimento, volontà; sono le parole, ora rivendicate, prima considerate come
peccato mortale! Da Bacone in poi si è pensata alla soggettività del ricercatore come qualcosa da
rifuggire completamente. Adesso, l'uomo è desiderio di azione, non solo testa.
E' in nome di questa idea che scatta la polemica. I positivisti sbagliano a rappresentare il processo
di ricerca come se fosse possibile chiudere la porta di fronte a queste componenti fondamentali
dell'uomo, come il desiderio di vita, la volontà, l'affetto, l'emozione (→ vitalismo); il vivere è visto
come insieme di tutte le facoltà che compongono l'uomo, non è uno schemino puntiforme, ma una
congerie disordinata di pensieri, affetti pulsioni.
Gli storicisti usano per indicare la nozione di esperienza usano un termine diverso da quello prima
indicato per identificare pura esperienza di cose; si parla di esperienza vissuta, e non come fatto
puramente cognitivo ed osservazione distaccata. Vi è partecipazione di ogni fibra del nostro essere,
e non più staccato ed esterno di qualcosa che non sono io; l'individuo entra in gioco come persone
attiva ed intera, e non come osservatore passivo, esterno e distaccato.
Esistono due forme di esperienze (?!), quella che coinvolge l'individuo e quella semplicemente
empirica, due modi fondamentalmente diversi di porsi il problema della conoscenza. Vi è dunque
una differenza ontologica tra due gruppi di scienze, che ha a che fare con il fatto che questi due
tipo di scienza di occupano di oggetti diversi: una si occupa della natura, l'altra della cultura, dei
valori. Da una parte le scienze dello spirito, dall'altra le scienze della natura, che si divaricano in
modo insanabile. Non vi è nulla da dirsi, perché trattano di oggetti totalmente diversi.
Le scienze della natura trattano del mondo fisico, ma non è il mondo della piena autenticità
dell'individuo; tale mondo è quello in cui il soggetto manipola emozioni e sentimenti, affetti e
passioni, il nostro vero mondo, per Dilthey, è quello sociale. La scienza della natura è la scienza del
conoscere ciò che ci è profondamente alieno (acquario), per cui si provano sentimenti di
differenza, estraneazione. Il mondo del pieno essere dell'individuo è il mondo dello spirito, ed è di
quel mondo che si è pienamente cittadini.
Nelle scienze della natura vi è separazione tra soggetto studiante ed oggetto studiato, ma nelle
scienze dello spirito tale divisione viene meno, perché si studia ciò che si è; c'è una continuità
fondamentale tra il soggetto e l'oggetto, è il soggetto che conosce se stesso ed il suo mondo.
Mentre lo studio della natura è uno studio che, in quanto studio di ciò che è estraneo, deve essere
faticosamente raggiunto a suon di ragionamento, nel campo delle scienze dello spirito entra in
campo una facoltà diversa, quella del sentire. Sentire significa provare una sensazione di verità
fortissima, incontrollabile. Il mondo delle scienze della natura implica la facoltà del sapere, quello
della scienza della natura la facoltà del sentire.
Ci sono due fondamentali tipi di scienza, diverse, perché diverso è l'oggetto, ed incomunicabili tra
di loro. Questo oggetto trascina con se anche una differenza metodologica. Non è vera quindi la
convinzione positivista sul monismo metodologico: le scienze della loro natura hanno un loro
metodo, quello della spiegazione, per cui si costruiscono faticosamente dall'esterno inferenze; il
metodo delle scienze della natura è il comprendere, che ci appartiene in quanto esseri completi e
non solo ragione e si base sul sentire, mettendo in campo tutte le facoltà dell'uomo.
Si vorrà e potrà capire, con la spiegazione, solo le motivazioni individuali.
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