Biografia di Beato Angelico
Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro (Vicchio, 1395 circa – Roma, 18 febbraio 1455),
detto il Beato Angelico o Fra' Angelico, fu un pittore italiano. A vent'anni entrò nel convento di
San Domenico di Fiesole. Tra il 1438 e il 1445 decorò con affreschi (completamente restaurati tra il
1975 e il 1983) il chiostro e le celle del convento (ora museo) di San Marco a Firenze. Fra il 1445 e il
1448 affrescò nel Vaticano una cappella distrutta nel 1540 circa, e, forse, anche il ciclo di San
Lorenzo e di Santo Stefano nella cappella di Niccolò V nello stesso palazzo, altrimenti datata nel
secondo soggiorno romano dell'artista. Nell'estate del 1447 iniziò, con Benozzo Gozzoli e altri, la
decorazione della volta della cappella di San Brizio a Orvieto, di cui dipinse solo due spicchi. Dal
1448 al 1450, Beato Angelico fu priore di San Domenico di Fiesole. Circa il 1452 doveva dipingere
gli armadî degli argenti per la Basilica della Santissima Annunziata di Firenze, commessigli da
Piero de' Medici nel 1448. Il secondo soggiorno romano fu forse assai breve, concluso dalla morte
nel febbraio del 1455. L'Angelico si formò sotto gli influssi di Lorenzo Monaco e della scuola di
miniatori fiorente nel convento di Santa Maria degli Angeli; ma fu anche a contatto col gruppo
degli innovatori quali Ghiberti, Brunelleschi e Donatello; a un iniziale influsso di Gentile da
Fabriano e di Masolino seguì un deciso orientarsi verso Masaccio, pur ritenendo il Beato Angelico
le proprie qualità più intime e autonome, in un processo di formazione lento e profondo. Nei
piccoli tabernacoli del museo di San Marco e particolarmente nella Madonna della Stella, la sua
arte è già pienamente formata con quella dolcezza d'ispirazione e con quella cristallina purezza di
concezione nella forma e nel colore che rimarranno sempre più tipiche in ogni altra opera
successiva. Seguono nella cronologia delle opere principali: il Giudizio Universale, l'Incoronazione
della Vergine, la Madonna dei linaioli (1433), la grande Deposizione dalla Croce (circa 1436) tutte
nel museo di San Marco, il polittico già a San Domenico a Perugia e ora nella Galleria Nazionale
dell'Umbria (1437 ca.). La stupenda serie degli affreschi del convento di San Marco, caratterizzata
da un'eccezionale semplicità, chiarezza delle forme e sapienza coloristica, culmina nella grande
Crocefissione della sala del Capitolo. Gli affreschi della cappella di Niccolò V in Vaticano sono
improntati a una solenne grandiosità, a un ampio respiro compositivo, ma non raggiungono la
purezza e l'intensità d'espressione proprie delle opere precedenti, forse anche perché dovuti in
parte ad aiuti. Numerosi furono infatti i collaboratori e i discepoli. La qualifica di beato
attribuitagli dalla tradizione gli è stata ufficialmente riconosciuta da Papa Giovanni Paolo II il 2
ottobre 1982 anche se, già dopo la sua morte, era stato chiamato Beato Angelico sia per
l'emozionante religiosità di tutte le sue opere che per le sue personali doti di umanità e umiltà. Il
frate domenicano cercò di saldare i nuovi principi rinascimentali, come la costruzione prospettica e
l'attenzione alla figura umana, con i vecchi valori medievali, quali la funzione didattica dell'arte e
il valore mistico della luce. Generoso e cordiale, umano e sobrio, fra Giovanni da Fiesole suscitò
l'ammirazione da parte di molti artisti, tra i quali Giorgio Vasari. Fu lui stesso ad aggiungere al suo
nome l'aggettivo "angelico", usato per la prima volta da Domenico Corella nel 1469 per descrivere
il carattere di un artista pieno di umanità e devozione. Il ritratto che Giorgio Vasari fa del Beato
Angelico nelle sue "Vite", dà l'opportunità di analizzare non soltanto le eccelse doti artistiche di
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questo immenso pittore, ma soprattutto le sue grandi qualità umane. Cento anni dopo la morte di
Beato Angelico, fu lui il primo a scriverne e ci riporta: "Se avesse voluto, avrebbe potuto vivere nel
mondo in modo molto agiato e diventare ricco grazie alla sua arte, poiché fin da giovane era già un maestro.
Invece, essendo devoto di natura, scelse di entrare nell'ordine domenicano”."Essendo non meno stato
eccellente pittore e miniatore che ottimo religioso, merita per l'una e per l'altra cagione che di lui sia fatta
onoratissima memoria". Vasari inoltre ci informa sul modo di dipingere dell'artista riferendoci di un
fare pittura quasi senza pentimenti: "Avea per costume non ritoccare né raccorciare mai alcuna sua
dipintura, ma lasciarle sempre in quel modo che erano venute la prima volta, per credere che così fusse la
volontà di Dio". Si narra inoltre che l'Angelico dipingesse in ginocchio non prendendo mai in mano
il pennello senza aver prima recitato una preghiera e nell'atto di dipingere i crocifissi o il volto
sofferente di Gesù durante la Passione, il suo animo fosse colmo di intensa commozione.
Era "humanissimo e molto sobrio", semplice nei suoi costumi e nel suo modo di fare e
pensare"humilissimo e modesto". Per l'arte non abbandonò mai la sua vocazione ed era solito dire
che "chi fa cose di Cristo, con Cristo deve star sempre". "Non fu mai veduto in collera tra i frati; il che
grandissima cosa, e quasi impossibile mi pare a credere: et soghignando semplicemente haveva in costume
d’amonire gli amici". "Potette comandar a molti, e non volle; dicendo esser men fatica, et manco errore
ubbidire altrui". Per nessuna delle circa duecento Vite di eccellenti pittori, scultori e architetti scritte
dal Vasari sono riportati tanti fatti e detti, oltremodo veritieri e documentati, come in quella del
Beato Angelico, nemmeno per il sommo Michelangelo. Come non commuoversi di fronte alle
opere di un padre "humanissimo", dall’umiltà tanto vera e profonda da renderlo persino
inconsapevole della sua stessa arte. Uomo pio, modesto e dedito ai doveri della vita monastica al
punto che "mai volle lavorare altre cose che di Santi", come avvenne quando papa Niccolò V lo
convocò in Vaticano per incaricarlo di affrescare la sua cappella privata e lì, nella corte
rinascimentale del Papa, il frate pittore non cambiò una virgola della sua condotta di vita che
l’austera regola del chiostro gli dettava. Si dice che il Papa, entrato in quella cappella ad opera
compiuta – la straordinaria Cappella Niccolina, dedicata alla vita e alla carità di san Lorenzo – ,
guardando quelle figure tanto vivide e presenti non poté trattenere le lacrime.
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