TEMA C1 - Dike Giuridica Editrice

TEMA C1
Premessi cenni sul sistema di responsabilità civile, il candidato si soffermi sul danno biologico e sul danno da perdita
della vita: evoluzione, estensione e quantificazione
di Marzia Aliatis
Schema preliminare di svolgimento della traccia:
– Introduzione sulla responsabilità aquiliana: dalla concezione sanzionatoria a quella riparatoria.
– Evoluzione del danno non patrimoniale sino agli approdi delle pronunce
a S.U. del 2008.
– Il danno biologico: evoluzione e criteri di liquidazione.
– Il danno biologico terminale ed il danno tanatologico.
– Revirement giurisprudenziale del 2014 e rimeditazione del sistema di responsabilità civile.
Dottrina
F. Caringella, Manuale di Diritto Civile.
G. Chiné-A. Zoppini, Manuale di Diritto Civile.
F. Gazzoni, Manuale di Diritto Civile.
C.M. Bianca, La tutela risarcitoria del diritto alla vita: una parola nuova della
Cassazione attesa da tempo, in Responsabilità Civile e Previdenza, fascicolo 2, 2014.
Giurisprudenza
Cass. Civ., Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361
La categoria generale del danno non patrimoniale, attinente alla lesione di
interessi inerenti la persona non connotati da valore di scambio, è di natura
composita e si articola in una pluralità di aspetti, quali il danno morale (da
intendersi nella duplice accezione di patema d’animo e di lesione alla dignità
o all’integrità morale), il danno biologico e il danno da perdita del rapporto
parentale o c.d. esistenziale.
Il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere all’esatta commisurazione del pregiudizio, sicché se ne impone la valutazione equitativa, da condursi con prudente e ragionevole apprezzamento di
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tutte le circostanze del caso concreto, dovendosi considerare in particolare
la rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e i vari
fattori incidenti sulla gravità della lesione e facendo ricorso a criteri idonei a
consentire la personalizzazione del ristoro, al fine di pervenire a una liquidazione equa, e cioè congrua, adeguata e proporzionata.
In virtù del principio dell’integralità del ristoro, la liquidazione del danno
non patrimoniale non deve essere puramente simbolica o irrisoria o comunque priva di correlazione all’effettiva natura o entità del danno, ma deve tendere, in considerazione della particolarità del caso concreto, alla maggiore
approssimazione possibile all’integrale risarcimento e deve comprendere
tutti gli aspetti della composita categoria del danno non patrimoniale, pur
evitando inammissibili duplicazioni, il giudice, nel liquidare il danno non patrimoniale, deve dare conto del particolare significato che ha attribuito al
danno morale, e cioè se lo abbia valutato non solo quale patema d’animo,
sofferenza interiore o perturbamento psichico, di natura meramente emotiva o interiore (danno morale soggettivo), ma anche in termini di dignità o
integrità morale e riconoscere il danno da perdita del rapporto parentale o
esistenziale in caso di sconvolgimento della vita subìto da uno dei coniugi
per la morte dell’altro.
Costituisce danno non patrimoniale altresì il danno da perdita della vita,
quale bene supremo dell’individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile
garantito in via primaria da parte dell’ordinamento, anche sul piano della
tutela civilistica.
Il danno da perdita della vita è altro e diverso, in ragione del diverso
bene tutelato, dal danno alla salute, e si differenzia dal danno biologico
terminale e dal danno morale terminale (o catastrofale o catastrofico) della
vittima, rilevando ex se, nella sua oggettività di perdita del bene principale
dell’uomo costituito dalla vita, a prescindere dalla consapevolezza che il
danneggiato ne abbia, e dovendo essere ristorato anche in caso di morte
cd. immediata o istantanea, senza che assumano pertanto al riguardo
rilievo la persistenza in vita all’esito del danno evento da cui la morte
derivi né l’intensità della sofferenza interiore patita dalla vittima in ragione
della cosciente e lucida percezione dell’ineluttabile sopraggiungere della
propria fine.
Il diritto al ristoro del danno da perdita della vita si acquisisce istantaneamente al momento della lesione mortale e, quindi, anteriormente all’exitus,
costituendo ontologica, imprescindibile eccezione al principio dell’irrisarcibilità del danno-evento e della risarcibilità dei soli danni-conseguenza, giacché
la morte ha per conseguenza la perdita non già solo di qualcosa bensì di
tutto; non solamente di uno dei molteplici beni, ma del bene supremo della
vita; non già di qualche effetto o conseguenza, bensì di tutti gli effetti e conseguenze, di tutto ciò di cui consta(va) la vita della (di quella determinata)
vittima e che avrebbe continuato a dispiegarsi in tutti i molteplici effetti suoi
propri se l’illecito non ne avesse causato la soppressione.
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Tema C1
Il ristoro del danno da perdita della vita ha funzione compensativa ed il
relativo diritto (o ragione di credito) è trasmissibile iure hereditatis.
Il danno da perdita della vita è imprescindibilmente rimesso alla valutazione equitativa del giudice. Non essendo contemplato dalle tabelle di
Milano, è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice di merito l’individuazione dei criteri di relativa valutazione che consentano di pervenire
alla liquidazione di un ristoro equo, non apparendo pertanto idonea una
soluzione di carattere meramente soggettivo, né la determinazione di un
ammontare uguale per tutti, a prescindere cioè dalla relativa personalizzazione, in considerazione in particolare dell’età, delle condizioni di salute e
delle speranze di vita futura, dell’attività svolta, delle condizioni personali e
familiari della vittima.
Cass. Civ., ordinanza 4 marzo 2014, n. 5056
Osserva il collegio che, con la sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014, questa stessa sezione ha affermato il principio secondo il quale deve ritenersi
risarcibile iure hereditario il danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni riportate a seguito di un incidente stradale.
Tale sentenza si pone in consapevole contrasto con la propria, precedente giurisprudenza, che più volte ha avuto modo di pronunciarsi in senso
opposto in subiecta materia.
Il principio, come è noto, era stato espressamente posto a fondamento
della decisione n. 372 del 1994 della Corte costituzionale (id., 1994, I, 3297),
che aveva escluso profili di illegittimità costituzionale dell’art. 2043 c.c., in
relazione al c.d. «danno biologico da morte», in dipendenza del «limite strutturale della responsabilità civile, nella quale sia l’oggetto del risarcimento
che la liquidazione del danno devono riferirsi non alla lesione per sé stessa,
ma alle conseguenti perdite a carico della persona offesa».
La giurisprudenza di questa sezione si è poi spinta, in tempi più recenti,
ad affermare la trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno
non patrimoniale consistito nella sofferenza morale provata tra l’infortunio
e la morte solo se, in tale periodo di tempo, la persona sia rimasta lucida e
cosciente.
Sul tema del danno da morte immediata una recente sentenza di questa
sezione ha affermato il principio che, «quando all’estrema gravità delle lesioni segua, dopo un intervallo di tempo brevissimo [...], la morte, non può
essere risarcito il danno biologico ‘terminale’ connesso alla perdita della vita
come massima espressione del bene salute, ma esclusivamente il danno
morale, dal primo ontologicamente distinto, fondato sull’intensa sofferenza
d’animo conseguente alla consapevolezza delle condizioni cliniche seguite
al sinistro».
Con ampia e articolata motivazione, la pronuncia 1361/14, cit., dopo un
lungo excursus sul panorama dottrinario e sui dicta di parte della giurisprudenza di merito, è pervenuta, dunque, ad una diversa conclusione, sulla
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premessa secondo la quale «la perdita della vita non può lasciarsi, invero,
priva di tutela (anche) civilistica», poiché «il diritto alla vita è altro e diverso
dal diritto alla salute», così che la sua risarcibilità «costituisce realtà ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità dei soli danniconseguenza».
Tale decisione, facendo proprie talune indicazioni provenienti da quella
parte della dottrina che, a vario titolo e con disparate argomentazioni, ritiene
risarcibile il danno c.d. tanatologico, ha così inteso superare il criterio dell’individuazione di un adeguato periodo di lucidità e di coscienza nella vittima
del sinistro ai fini dell’acquisizione al suo patrimonio di un diritto trasmissibile
iure successionis.
Il contrasto di giurisprudenza così generatosi, e la concorrente particolare importanza della questione induce, pertanto, il collegio a rimettere
gli atti del procedimento al primo presidente perché valuti l’esigenza di
investire le sezioni unite di questa corte, al fine di definire e precisare per
imprescindibili ragioni di certezza del diritto il quadro della risarcibilità del
danno non patrimoniale già delineato nel 2008, alla stregua degli ulteriori
contributi di riflessione, tra loro discordanti, offerti dalla sezione semplice
sul tema del diritto della risarcibilità iure hereditario del danno da morte
immediata.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 23 gennaio 2014, C-371/2012
Secondo l’esposizione del diritto italiano effettuata dal giudice del rinvio,
esso prevede, da un lato, all’articolo 2059 del codice civile, il fondamento del diritto al risarcimento dei danni morali derivanti dai sinistri stradali e,
dall’altro, all’articolo 139 del codice delle assicurazioni private, le modalità di
determinazione della portata del diritto al risarcimento per quanto riguarda
il danno biologico per lesioni di lieve entità causate, in particolare, da siffatti
sinistri.
Inoltre, in risposta alla richiesta di chiarimenti indirizzata dalla Corte al
giudice del rinvio in applicazione dell’articolo 101 del proprio regolamento
di procedura, detto giudice ha precisato che, come confermato dal governo
italiano in udienza dinanzi alla Corte, ai sensi del diritto italiano la responsabilità civile dell’assicurato a titolo di danni morali subiti da persone a
causa di un sinistro stradale non può eccedere gli importi coperti, in forza
dell’articolo 139 del codice delle assicurazioni private, dall’assicurazione
obbligatoria.
In tal senso, occorre considerare, da un lato, che tale normativa nazionale rientra nell’ambito del diritto nazionale materiale della responsabilità civile cui rinviano la prima e la seconda direttiva e, dall’altro, che
essa non è idonea a limitare la copertura della responsabilità civile di un
assicurato.
In secondo luogo, occorre verificare se tale normativa nazionale produca
l’effetto di escludere d’ufficio o di limitare in modo sproporzionato il diritto
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della vittima ad un risarcimento da parte dell’assicurazione obbligatoria della
responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli.
A tale riguardo, come rilevato dall’avvocato generale, dalla giurisprudenza ricordata (..) risulta che la prima e la seconda direttiva non impongono
agli Stati membri la scelta di un particolare regime per determinare la portata
del diritto della vittima ad un risarcimento a titolo della responsabilità civile
dell’assicurato.
In questo senso, tali direttive non ostano, in linea di principio, né ad
una legislazione nazionale che impone ai giudici nazionali criteri vincolanti
per la determinazione dei danni morali da risarcire né a sistemi specifici,
adeguati alle particolarità dei sinistri stradali, anche se tali sistemi comportano, per determinati danni morali, un metodo di determinazione della
portata del diritto al risarcimento meno favorevole alla vittima rispetto a
quello applicabile al diritto al risarcimento delle vittime di sinistri diversi da
quelli stradali.
Corte cost., 16 ottobre 2014, n. 235
Manifestamente non fondata è la censura di violazione dell’art. 3 Cost., in
entrambi i profili della sua declinazione. Quanto al primo, perché la prospettazione di una disparità di trattamento – che, in presenza di identiche
(lievi) lesioni, potrebbe conseguire, in danno delle vittime di incidenti stradali, dalla applicazione della normativa impugnata, in quanto limitativa
di una presunta maggiore tutela risarcitoria riconoscibile a soggetti che
quelle lesioni abbiano riportato per altra causa – è smentita dalla constatazione che, nel sistema, la tutela risarcitoria dei danneggiati da sinistro
stradale è, viceversa, più incisiva e sicura, rispetto a quella dei danneggiati in conseguenza di eventi diversi. Infatti solo i primi, e non anche gli
altri, possono avvalersi della copertura assicurativa, ex lege obbligatoria,
del danneggiante – o, in alternativa, direttamente di quella del proprio
assicuratore – che si risolve in garanzia dell’an stesso del risarcimento. Mentre, a sua volta, l’assunto per cui gli introdotti limiti tabellari non
consentirebbero di tener conto della diversa incidenza che pur identiche
lesioni possano avere nei confronti dei singoli soggetti, trascura di dare
adeguato rilievo alla disposizione di cui al comma 3 del denunciato art.
139, in virtù della quale è consentito al giudice di aumentare fino ad un
quinto l’importo liquidabile ai sensi del precedente comma 1, con «equo
e motivato apprezzamento», appunto, «delle condizioni soggettive del
danneggiato».
La lesione degli ulteriori parametri costituzionali ed europei evocati dai
rimettenti è duplicemente motivata: in ragione sia dalla non prevista (e quindi
a loro avviso esclusa) liquidabilità del danno morale, sia del “limite” apposto
dalla normativa impugnata alla integrale risarcibilità del danno biologico. In
relazione al primo dei due suindicati profili, la questione non è fondata per
erroneità della sua premessa interpretativa. È pur vero, infatti, che l’art. 139
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cod. ass. fa testualmente riferimento al “danno biologico” e non fa menzione
anche del “danno morale”. Ma, con la sentenza n. 26972 del 2008, le sezioni
unite della Corte di cassazione hanno ben chiarito (nel quadro, per altro, proprio della definizione del danno biologico recata dal comma 2 del medesimo
art. 139 cod. ass.) come il cosiddetto “danno morale” – e cioè la sofferenza
personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell’ipotesi in cui l’illecito configuri
reato – «rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente». La norma
denunciata non è, quindi, chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale,
il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell’ammontare del
danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione
del citato comma 3.
Anche in relazione all’ulteriore profilo del «limite» all’integrale risarcimento del danno alla persona – che i giudici a quibus addebitano alla norma
impugnata di avere illegittimamente introdotto in materia di microlesioni da
sinistro stradale – la questione, in relazione ai medesimi parametri di cui
sopra, non è fondata. Questa Corte (nella occasione, in particolare, della
denunciata previsione di limiti alla responsabilità del vettore aereo in tema
di trasporto di persone) ha già chiarito come non si configuri ipotesi di illegittimità costituzionale per lesione del diritto inviolabile alla integrità della persona ove la disciplina in contestazione sia volta a comporre le esigenze del
danneggiato con altro valore di rilievo costituzionale, come, in quel caso, il
valore dell’iniziativa economica privata connesso all’attività del vettore (sentenza n. 132 del 1985).
Il controllo di costituzionalità del meccanismo tabellare di risarcimento
del danno biologico introdotto dal censurato art. 139 cod. ass. – per il profilo del prospettato vulnus al diritto all’integralità del risarcimento del danno
alla persona – va, quindi, condotto non già assumendo quel diritto come
valore assoluto e intangibile, bensì verificando la ragionevolezza del suo
bilanciamento con altri valori, che sia eventualmente alla base della disciplina censurata.
Orbene, in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per
la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime
della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e
sostenibile dei premi assicurativi – la disciplina in esame, che si propone il
contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio
di ragionevolezza.
Infatti, l’introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno –
attinente al solo specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e coe-
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rentemente riferito alle conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza
medica in relazione ai primi (nove) gradi della tabella – lascia, comunque,
spazio al giudice per personalizzare l’importo risarcitorio, risultante dalla applicazione delle suddette predisposte tabelle, eventualmente maggiorandolo
fino ad un quinto, in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato.
Cass. Civ., Sez. III, 9 maggio 2011, n. 10107
Non è risarcibile il danno tanatologico, da perdita del diritto alla vita, fatto
valere iure successionis dagli eredi del de cuius, per l’impossibilità tecnica
di configurare l’acquisizione di un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di
un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare; e invero, posto
che finché il soggetto è in vita non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre,
sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è
in condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento finirebbe per assumere, in casi siffatti, un’anomala funzione punitiva, particolarmente percepibile
laddove il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi dai congiunti
o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato.
Cass. Civ., Sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402
Le tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psicofisica del Tribunale di Milano costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226
c.c., laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze che richiedano
la relativa variazione in aumento o in diminuzione, per le lesioni di lieve entità
conseguenti alla circolazione.
I relativi parametri sono conseguentemente da prendersi a riferimento
da parte del giudice di merito ai fin i della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella, di inferiore
ammontare, cui sia diversamente pervenuto, incongrua essendo la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una
liquidazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti
sproporzionata rispetto a quella cui si perviene mediante l’adozione dei parametri esibiti dalle dette tabelle di Milano.
Cass. Civ., Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408
Quante volte la lesione derivi dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti, il danno non patrimoniale da micro permanente non potrà che essere
liquidato, per tutti i pregiudizi areddituali che derivino dalla lesione del diritto
alla salute, entro i limiti stabiliti dalla legge mediante il rinvio al decreto annualmente emanato dal ministro delle Attività produttive (ex art. 139 comma
5), salvo l’aumento da parte del giudice, in misura non superiore a un quinto,
con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato (art. 139 comma 3).
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temi svolti di diritto civile
I valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati
dal tribunale di Milano, dei quali è già nei fatti riconosciuta una sorta di vocazione nazionale, costituiscono d’ora innanzi, per la giurisprudenza di questa
Corte, il valore da ritenersi “equo”, e cioè quello in grado di garantire la parità
di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non
presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l’entità.
Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972
Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge: a)
quando la risarcibilità è prevista in modo espresso; b) quando la risarcibilità
del danno in esame, pur non essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in
modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione.
La gravità dell’offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a
risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una
certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio
da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo
di tolleranza.
Il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva.
Al danno biologico va riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva. Il giudice dovrà, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere
ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite
dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.
Nel caso di danno da morte immediata o intervenuta a breve distanza
dall’evento lesivo, il giudice potrà correttamente riconoscere e liquidare il
solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima
di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia
rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine. Viene così
evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che
nega il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita e lo ammette
per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura. Una sofferenza psichica siffatta, di
massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile,
in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in
patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale,
nella sua nuova più ampia accezione.
Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione
di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve
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essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno
con l’evento dannoso, parlando di “danno evento”. La tesi, enunciata dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata infatti superata
dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003. È del pari da respingere la variante costituita dall’affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe
in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe
concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma
quale pena privata per un comportamento lesivo.
Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente
normativa (artt. 138 e 139 d.lgs. 209/2005) richiede l’accertamento medicolegale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correttamente si ricorre, ma
la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei
poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente
tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l’accertamento medico-legale,
non solo nel caso in cui l’indagine diretta sulla persona non sia possibile, ma
anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento
della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo, avvalersi
delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni.
Cass. Civ., Sez. III, 12 luglio 2006, n. 15760
La dottrina italiana ed europea che riconoscono la tutela civile del diritto
fondamentale della vita, premono per il riconoscimento della lesione come
momento costitutivo di un diritto di credito che entra istantaneamente come
corrispettivo del danno ingiusto al momento della lesione mortale, senza
che rilevi la distinzione tra evento di morte immediata o non immediata.
La certezza della morte, secondo le leggi nazionali ed europee è a prova
scientifica, e attiene alla distruzione delle cellule cerebrali e viene verificata attraverso tecniche raffinate che verificano la cessazione della attività
elettrica di tali cellule. La morte cerebrale non è mai immediata, con due
eccezioni: la decapitazione o lo spappolamento del cervello. In questo quadro anche il danno da morte, come danno ingiusto da illecito, è trasferibile
mortis causa, facendo parte del credito del defunto verso il danneggiante
e i suoi solidali.
Legislazione correlata
Costituzione: artt. 2, 32.
Codice civile: artt. 2043, 2059, 1226.
Artt. 138 e 138 d.lgs. 209/2005.
SVOLGIMENTO
La concezione tradizionale della responsabilità aquiliana, sulla base degli
insegnamenti del diritto romano e della unanime interpretazione dottrinale
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temi svolti di diritto civile
anteriore al codice civile del 1942, era concentrata sul dogma della funzione sanzionatoria della medesima, per cui alla violazione di un (preesistente) precetto, sorretta da volontà colpevole, doveva seguire una sanzione
per il trasgressore. Detta responsabilità da fatto ingiusto (contra ius) era
incentrata sul danneggiante e sul suo atteggiamento doloso o colposo, che
determinava l’offesa ad un diritto tutelato erga omnes da norme primarie,
poste a garanzia dei diritti assoluti, in una prospettiva analoga a quella
penalistica.
La distinzione concettuale tra culpa ed iniuria si deve infatti all’emanazione del codice civile e, con esso, all’introduzione dell’art. 2043 c.c., divenuta
norma cardine nel sistema domestico di responsabilità civile. Un fatto (o
un’omissione), per assurgere a fonte di responsabilità civile, deve avere carattere doloso o colposo e, al contempo, deve arrecare una lesione all’altrui
sfera giuridica. Pertanto, è il danno ad essere contra ius e non iure (in assenza di cause di giustificazione). In altri termini, l’ingiustizia non è più riferita
al fatto, bensì al danno, in una prospettiva incentrata sulla vittima dell’illecito
piuttosto che sul suo autore.
La concezione tradizionale della responsabilità civile ha tuttavia richiesto
molto tempo per essere definitivamente scardinata, in quanto l’art. 2043 c.c.
continuava ad essere inteso quale norma sanzionatoria (rectius, secondaria) rispetto ad obblighi e divieti posti dall’ordinamento. L’abbandono di tale
prospettiva ermeneutica è stato sollecitato dalla progressiva apertura della
giurisprudenza alla tutela aquiliana non solo per la lesione di diritti assoluti o
di credito, bensì anche per i pregiudizi ad aspettative e posizioni di fatto. Si è
così giunti ad una nuova concezione volta a riconoscere all’art. 2043 c.c. una
funzione precettiva, in quanto norma attributiva di un autonomo diritto soggettivo al risarcimento del danno subito nella propria sfera giuridica (norma
primaria). L’evoluzione verso la concezione riparatoria della responsabilità
civile può dirsi infatti culminata nella storica sentenza della Cassazione a
Sez. Un. 500/1999, con la quale, com’è noto, è stata riconosciuta la risarcibilità dei danni arrecati ad interessi legittimi.
Lo sviluppo giurisprudenziale volto ad individuare gli interessi meritevoli di tutela ex art. 2043 c.c. ha portato alla consacrazione dell’atipicità
dell’illecito aquiliano, poiché la configurabilità della responsabilità dipende
dall’ingiustizia del danno, a prescindere dalla qualificazione formale della
posizione giuridica vantata. La natura di clausola generale conferita all’art.
2043 c.c. impone al giudice di effettuare un giudizio di comparazione in
concreto degli interessi in conflitto e da tale bilanciamento è possibile selezionare quelli giuridicamente rilevanti. La tutelabilità di un interesse, pertanto, non costituisce il presupposto, bensì l’esito dello stesso giudizio di
responsabilità.
Poste tali premesse, occorre evidenziare che l’ingiustizia del danno concerne l’an della risarcibilità, ne costituisce cioè il prerequisito (il cd. danno
evento). Per il quantum è invece necessario rinviare alle categorie del dan-
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no patrimoniale e non patrimoniale, nonché alle conseguenti voci di danno
risarcibili (il cd. danno conseguenza).
Il concetto di danno non patrimoniale è stato a lungo concepito come
danno morale, quale sofferenza e turbamento psicologico dell’individuo a
causa del fatto illecito. Com’è noto, infatti, la «legge» cui rinvia l’art. 2059
c.c. è stata a lungo intesa come legge ordinaria, sicché il rimedio risarcitorio
veniva accordato quasi esclusivamente in ipotesi di reato, in forza dell’art.
185 c.p. (il cd. danno morale soggettivo). Il legislatore optò per la tipicità del
danno non patrimoniale (in contrapposizione all’atipicità di quello patrimoniale) sia perché, a livello ideologico, trattasi della monetizzazione di valori della
persona, sia a causa del difficile onere probatorio e dell’ardua quantificazione del risarcimento (senza dimenticare la logica prettamente patrimonialistica sottesa al modello tradizionale di responsabilità civile).
Tuttavia, in assenza di reato, un siffatto modello risultò del tutto insufficiente a fornire adeguata tutela, in particolare per i danni non riconducibili
al turbamento morale o psichico, in primis per il danno alla salute, fornito
di copertura costituzionale dall’art. 32 Cost. La giurisprudenza, avallata
dalla Corte costituzionale nel 1986 (sentenza n. 184), ha così adottato una
visione reddituale della salute, in pregiudizio della quale si verifica una
danno alla capacità lavorativa. Tramite questo escamotage ermeneutico si
è a lungo accordata piena ed incondizionata tutela alla salute, trattando la
relativa compromissione alla stregua di un danno patrimoniale, risarcibile
ex se (da qui l’elaborazione del cd. danno evento). Il risarcimento del danno biologico dunque, inizialmente era riconosciuto in base al combinato
disposto degli artt. 32 Cost e 2043 c.c., inteso quest’ultimo come norma
“in bianco”. Occorre attendere le celebri pronunce gemelle del 2003 per
chiarire che non è l’offesa all’interesse di rango costituzionale ad essere
risarcibile ex se, bensì le evenienze lesive che ne conseguono sugli aspetti
non patrimoniali del danneggiato. La rilettura del danno biologico in termini di danno conseguenza è stata consentita dalla nuova interpretazione
dell’art. 2059 c.c., “sede naturale” del danno non patrimoniale, il quale,
oltre alla legge, non può che rinviare altresì alla Costituzione ed ai diritti
fondamentali ivi previsti.
È doveroso sottolineare che lo stesso percorso è stato compiuto dalla
giurisprudenza in relazione ai pregiudizi non patrimoniali derivanti dalla
violazione di altri diritti inviolabili dell’uomo, per i quali il parametro costituzionale di riferimento è costituito dall’art. 2 Cost. Il fondamento della
risarcibilità del danno esistenziale è stato infatti rinvenuto inizialmente nel
combinato disposto degli artt. 2 Cost. (o altri parametri costituzionali, quale
l’art. 29 Cost.) e 2043 c.c. Con la completa rivisitazione del sistema della
responsabilità civile nel 2003, ogni pregiudizio di stampo non patrimoniale
derivante dalla lesione di valori inerenti alla persona è stato ricollocato
nell’ambito dell’art. 2059 c.c., alla luce della nuova lettura costituzionalmente orientata della norma.
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