TEMA C1 Premessi cenni sul sistema di responsabilità civile, il candidato si soffermi sul danno biologico e sul danno da perdita della vita: evoluzione, estensione e quantificazione di Marzia Aliatis Schema preliminare di svolgimento della traccia: – Introduzione sulla responsabilità aquiliana: dalla concezione sanzionatoria a quella riparatoria. – Evoluzione del danno non patrimoniale sino agli approdi delle pronunce a S.U. del 2008. – Il danno biologico: evoluzione e criteri di liquidazione. – Il danno biologico terminale ed il danno tanatologico. – Revirement giurisprudenziale del 2014 e rimeditazione del sistema di responsabilità civile. Dottrina F. Caringella, Manuale di Diritto Civile. G. Chiné-A. Zoppini, Manuale di Diritto Civile. F. Gazzoni, Manuale di Diritto Civile. C.M. Bianca, La tutela risarcitoria del diritto alla vita: una parola nuova della Cassazione attesa da tempo, in Responsabilità Civile e Previdenza, fascicolo 2, 2014. Giurisprudenza Cass. Civ., Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361 La categoria generale del danno non patrimoniale, attinente alla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da valore di scambio, è di natura composita e si articola in una pluralità di aspetti, quali il danno morale (da intendersi nella duplice accezione di patema d’animo e di lesione alla dignità o all’integrità morale), il danno biologico e il danno da perdita del rapporto parentale o c.d. esistenziale. Il ristoro pecuniario del danno non patrimoniale non può mai corrispondere all’esatta commisurazione del pregiudizio, sicché se ne impone la valutazione equitativa, da condursi con prudente e ragionevole apprezzamento di 1 temi svolti di diritto civile tutte le circostanze del caso concreto, dovendosi considerare in particolare la rilevanza economica del danno alla stregua della coscienza sociale e i vari fattori incidenti sulla gravità della lesione e facendo ricorso a criteri idonei a consentire la personalizzazione del ristoro, al fine di pervenire a una liquidazione equa, e cioè congrua, adeguata e proporzionata. In virtù del principio dell’integralità del ristoro, la liquidazione del danno non patrimoniale non deve essere puramente simbolica o irrisoria o comunque priva di correlazione all’effettiva natura o entità del danno, ma deve tendere, in considerazione della particolarità del caso concreto, alla maggiore approssimazione possibile all’integrale risarcimento e deve comprendere tutti gli aspetti della composita categoria del danno non patrimoniale, pur evitando inammissibili duplicazioni, il giudice, nel liquidare il danno non patrimoniale, deve dare conto del particolare significato che ha attribuito al danno morale, e cioè se lo abbia valutato non solo quale patema d’animo, sofferenza interiore o perturbamento psichico, di natura meramente emotiva o interiore (danno morale soggettivo), ma anche in termini di dignità o integrità morale e riconoscere il danno da perdita del rapporto parentale o esistenziale in caso di sconvolgimento della vita subìto da uno dei coniugi per la morte dell’altro. Costituisce danno non patrimoniale altresì il danno da perdita della vita, quale bene supremo dell’individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile garantito in via primaria da parte dell’ordinamento, anche sul piano della tutela civilistica. Il danno da perdita della vita è altro e diverso, in ragione del diverso bene tutelato, dal danno alla salute, e si differenzia dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale (o catastrofale o catastrofico) della vittima, rilevando ex se, nella sua oggettività di perdita del bene principale dell’uomo costituito dalla vita, a prescindere dalla consapevolezza che il danneggiato ne abbia, e dovendo essere ristorato anche in caso di morte cd. immediata o istantanea, senza che assumano pertanto al riguardo rilievo la persistenza in vita all’esito del danno evento da cui la morte derivi né l’intensità della sofferenza interiore patita dalla vittima in ragione della cosciente e lucida percezione dell’ineluttabile sopraggiungere della propria fine. Il diritto al ristoro del danno da perdita della vita si acquisisce istantaneamente al momento della lesione mortale e, quindi, anteriormente all’exitus, costituendo ontologica, imprescindibile eccezione al principio dell’irrisarcibilità del danno-evento e della risarcibilità dei soli danni-conseguenza, giacché la morte ha per conseguenza la perdita non già solo di qualcosa bensì di tutto; non solamente di uno dei molteplici beni, ma del bene supremo della vita; non già di qualche effetto o conseguenza, bensì di tutti gli effetti e conseguenze, di tutto ciò di cui consta(va) la vita della (di quella determinata) vittima e che avrebbe continuato a dispiegarsi in tutti i molteplici effetti suoi propri se l’illecito non ne avesse causato la soppressione. 2 Tema C1 Il ristoro del danno da perdita della vita ha funzione compensativa ed il relativo diritto (o ragione di credito) è trasmissibile iure hereditatis. Il danno da perdita della vita è imprescindibilmente rimesso alla valutazione equitativa del giudice. Non essendo contemplato dalle tabelle di Milano, è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice di merito l’individuazione dei criteri di relativa valutazione che consentano di pervenire alla liquidazione di un ristoro equo, non apparendo pertanto idonea una soluzione di carattere meramente soggettivo, né la determinazione di un ammontare uguale per tutti, a prescindere cioè dalla relativa personalizzazione, in considerazione in particolare dell’età, delle condizioni di salute e delle speranze di vita futura, dell’attività svolta, delle condizioni personali e familiari della vittima. Cass. Civ., ordinanza 4 marzo 2014, n. 5056 Osserva il collegio che, con la sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014, questa stessa sezione ha affermato il principio secondo il quale deve ritenersi risarcibile iure hereditario il danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni riportate a seguito di un incidente stradale. Tale sentenza si pone in consapevole contrasto con la propria, precedente giurisprudenza, che più volte ha avuto modo di pronunciarsi in senso opposto in subiecta materia. Il principio, come è noto, era stato espressamente posto a fondamento della decisione n. 372 del 1994 della Corte costituzionale (id., 1994, I, 3297), che aveva escluso profili di illegittimità costituzionale dell’art. 2043 c.c., in relazione al c.d. «danno biologico da morte», in dipendenza del «limite strutturale della responsabilità civile, nella quale sia l’oggetto del risarcimento che la liquidazione del danno devono riferirsi non alla lesione per sé stessa, ma alle conseguenti perdite a carico della persona offesa». La giurisprudenza di questa sezione si è poi spinta, in tempi più recenti, ad affermare la trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale consistito nella sofferenza morale provata tra l’infortunio e la morte solo se, in tale periodo di tempo, la persona sia rimasta lucida e cosciente. Sul tema del danno da morte immediata una recente sentenza di questa sezione ha affermato il principio che, «quando all’estrema gravità delle lesioni segua, dopo un intervallo di tempo brevissimo [...], la morte, non può essere risarcito il danno biologico ‘terminale’ connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute, ma esclusivamente il danno morale, dal primo ontologicamente distinto, fondato sull’intensa sofferenza d’animo conseguente alla consapevolezza delle condizioni cliniche seguite al sinistro». Con ampia e articolata motivazione, la pronuncia 1361/14, cit., dopo un lungo excursus sul panorama dottrinario e sui dicta di parte della giurisprudenza di merito, è pervenuta, dunque, ad una diversa conclusione, sulla 3 temi svolti di diritto civile premessa secondo la quale «la perdita della vita non può lasciarsi, invero, priva di tutela (anche) civilistica», poiché «il diritto alla vita è altro e diverso dal diritto alla salute», così che la sua risarcibilità «costituisce realtà ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità dei soli danniconseguenza». Tale decisione, facendo proprie talune indicazioni provenienti da quella parte della dottrina che, a vario titolo e con disparate argomentazioni, ritiene risarcibile il danno c.d. tanatologico, ha così inteso superare il criterio dell’individuazione di un adeguato periodo di lucidità e di coscienza nella vittima del sinistro ai fini dell’acquisizione al suo patrimonio di un diritto trasmissibile iure successionis. Il contrasto di giurisprudenza così generatosi, e la concorrente particolare importanza della questione induce, pertanto, il collegio a rimettere gli atti del procedimento al primo presidente perché valuti l’esigenza di investire le sezioni unite di questa corte, al fine di definire e precisare per imprescindibili ragioni di certezza del diritto il quadro della risarcibilità del danno non patrimoniale già delineato nel 2008, alla stregua degli ulteriori contributi di riflessione, tra loro discordanti, offerti dalla sezione semplice sul tema del diritto della risarcibilità iure hereditario del danno da morte immediata. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 23 gennaio 2014, C-371/2012 Secondo l’esposizione del diritto italiano effettuata dal giudice del rinvio, esso prevede, da un lato, all’articolo 2059 del codice civile, il fondamento del diritto al risarcimento dei danni morali derivanti dai sinistri stradali e, dall’altro, all’articolo 139 del codice delle assicurazioni private, le modalità di determinazione della portata del diritto al risarcimento per quanto riguarda il danno biologico per lesioni di lieve entità causate, in particolare, da siffatti sinistri. Inoltre, in risposta alla richiesta di chiarimenti indirizzata dalla Corte al giudice del rinvio in applicazione dell’articolo 101 del proprio regolamento di procedura, detto giudice ha precisato che, come confermato dal governo italiano in udienza dinanzi alla Corte, ai sensi del diritto italiano la responsabilità civile dell’assicurato a titolo di danni morali subiti da persone a causa di un sinistro stradale non può eccedere gli importi coperti, in forza dell’articolo 139 del codice delle assicurazioni private, dall’assicurazione obbligatoria. In tal senso, occorre considerare, da un lato, che tale normativa nazionale rientra nell’ambito del diritto nazionale materiale della responsabilità civile cui rinviano la prima e la seconda direttiva e, dall’altro, che essa non è idonea a limitare la copertura della responsabilità civile di un assicurato. In secondo luogo, occorre verificare se tale normativa nazionale produca l’effetto di escludere d’ufficio o di limitare in modo sproporzionato il diritto 4 Tema C1 della vittima ad un risarcimento da parte dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli. A tale riguardo, come rilevato dall’avvocato generale, dalla giurisprudenza ricordata (..) risulta che la prima e la seconda direttiva non impongono agli Stati membri la scelta di un particolare regime per determinare la portata del diritto della vittima ad un risarcimento a titolo della responsabilità civile dell’assicurato. In questo senso, tali direttive non ostano, in linea di principio, né ad una legislazione nazionale che impone ai giudici nazionali criteri vincolanti per la determinazione dei danni morali da risarcire né a sistemi specifici, adeguati alle particolarità dei sinistri stradali, anche se tali sistemi comportano, per determinati danni morali, un metodo di determinazione della portata del diritto al risarcimento meno favorevole alla vittima rispetto a quello applicabile al diritto al risarcimento delle vittime di sinistri diversi da quelli stradali. Corte cost., 16 ottobre 2014, n. 235 Manifestamente non fondata è la censura di violazione dell’art. 3 Cost., in entrambi i profili della sua declinazione. Quanto al primo, perché la prospettazione di una disparità di trattamento – che, in presenza di identiche (lievi) lesioni, potrebbe conseguire, in danno delle vittime di incidenti stradali, dalla applicazione della normativa impugnata, in quanto limitativa di una presunta maggiore tutela risarcitoria riconoscibile a soggetti che quelle lesioni abbiano riportato per altra causa – è smentita dalla constatazione che, nel sistema, la tutela risarcitoria dei danneggiati da sinistro stradale è, viceversa, più incisiva e sicura, rispetto a quella dei danneggiati in conseguenza di eventi diversi. Infatti solo i primi, e non anche gli altri, possono avvalersi della copertura assicurativa, ex lege obbligatoria, del danneggiante – o, in alternativa, direttamente di quella del proprio assicuratore – che si risolve in garanzia dell’an stesso del risarcimento. Mentre, a sua volta, l’assunto per cui gli introdotti limiti tabellari non consentirebbero di tener conto della diversa incidenza che pur identiche lesioni possano avere nei confronti dei singoli soggetti, trascura di dare adeguato rilievo alla disposizione di cui al comma 3 del denunciato art. 139, in virtù della quale è consentito al giudice di aumentare fino ad un quinto l’importo liquidabile ai sensi del precedente comma 1, con «equo e motivato apprezzamento», appunto, «delle condizioni soggettive del danneggiato». La lesione degli ulteriori parametri costituzionali ed europei evocati dai rimettenti è duplicemente motivata: in ragione sia dalla non prevista (e quindi a loro avviso esclusa) liquidabilità del danno morale, sia del “limite” apposto dalla normativa impugnata alla integrale risarcibilità del danno biologico. In relazione al primo dei due suindicati profili, la questione non è fondata per erroneità della sua premessa interpretativa. È pur vero, infatti, che l’art. 139 5 temi svolti di diritto civile cod. ass. fa testualmente riferimento al “danno biologico” e non fa menzione anche del “danno morale”. Ma, con la sentenza n. 26972 del 2008, le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ben chiarito (nel quadro, per altro, proprio della definizione del danno biologico recata dal comma 2 del medesimo art. 139 cod. ass.) come il cosiddetto “danno morale” – e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell’ipotesi in cui l’illecito configuri reato – «rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente». La norma denunciata non è, quindi, chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell’ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del citato comma 3. Anche in relazione all’ulteriore profilo del «limite» all’integrale risarcimento del danno alla persona – che i giudici a quibus addebitano alla norma impugnata di avere illegittimamente introdotto in materia di microlesioni da sinistro stradale – la questione, in relazione ai medesimi parametri di cui sopra, non è fondata. Questa Corte (nella occasione, in particolare, della denunciata previsione di limiti alla responsabilità del vettore aereo in tema di trasporto di persone) ha già chiarito come non si configuri ipotesi di illegittimità costituzionale per lesione del diritto inviolabile alla integrità della persona ove la disciplina in contestazione sia volta a comporre le esigenze del danneggiato con altro valore di rilievo costituzionale, come, in quel caso, il valore dell’iniziativa economica privata connesso all’attività del vettore (sentenza n. 132 del 1985). Il controllo di costituzionalità del meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico introdotto dal censurato art. 139 cod. ass. – per il profilo del prospettato vulnus al diritto all’integralità del risarcimento del danno alla persona – va, quindi, condotto non già assumendo quel diritto come valore assoluto e intangibile, bensì verificando la ragionevolezza del suo bilanciamento con altri valori, che sia eventualmente alla base della disciplina censurata. Orbene, in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l’interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi – la disciplina in esame, che si propone il contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio di ragionevolezza. Infatti, l’introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno – attinente al solo specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e coe- 6 Tema C1 rentemente riferito alle conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi (nove) gradi della tabella – lascia, comunque, spazio al giudice per personalizzare l’importo risarcitorio, risultante dalla applicazione delle suddette predisposte tabelle, eventualmente maggiorandolo fino ad un quinto, in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato. Cass. Civ., Sez. III, 9 maggio 2011, n. 10107 Non è risarcibile il danno tanatologico, da perdita del diritto alla vita, fatto valere iure successionis dagli eredi del de cuius, per l’impossibilità tecnica di configurare l’acquisizione di un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare; e invero, posto che finché il soggetto è in vita non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento finirebbe per assumere, in casi siffatti, un’anomala funzione punitiva, particolarmente percepibile laddove il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi dai congiunti o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato. Cass. Civ., Sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402 Le tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psicofisica del Tribunale di Milano costituiscono valido e necessario criterio di riferimento ai fini della valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., laddove la fattispecie concreta non presenti circostanze che richiedano la relativa variazione in aumento o in diminuzione, per le lesioni di lieve entità conseguenti alla circolazione. I relativi parametri sono conseguentemente da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fin i della liquidazione del danno non patrimoniale, ovvero quale criterio di riscontro e verifica di quella, di inferiore ammontare, cui sia diversamente pervenuto, incongrua essendo la motivazione che non dia conto delle ragioni della preferenza assegnata ad una liquidazione che, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, risulti sproporzionata rispetto a quella cui si perviene mediante l’adozione dei parametri esibiti dalle dette tabelle di Milano. Cass. Civ., Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408 Quante volte la lesione derivi dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti, il danno non patrimoniale da micro permanente non potrà che essere liquidato, per tutti i pregiudizi areddituali che derivino dalla lesione del diritto alla salute, entro i limiti stabiliti dalla legge mediante il rinvio al decreto annualmente emanato dal ministro delle Attività produttive (ex art. 139 comma 5), salvo l’aumento da parte del giudice, in misura non superiore a un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato (art. 139 comma 3). 7 temi svolti di diritto civile I valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal tribunale di Milano, dei quali è già nei fatti riconosciuta una sorta di vocazione nazionale, costituiscono d’ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi “equo”, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l’entità. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge: a) quando la risarcibilità è prevista in modo espresso; b) quando la risarcibilità del danno in esame, pur non essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione. La gravità dell’offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. Il danno non patrimoniale costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, all’interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva. Al danno biologico va riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva. Il giudice dovrà, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Nel caso di danno da morte immediata o intervenuta a breve distanza dall’evento lesivo, il giudice potrà correttamente riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine. Viene così evitato il vuoto di tutela determinato dalla giurisprudenza di legittimità che nega il risarcimento del danno biologico per la perdita della vita e lo ammette per la perdita della salute solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura. Una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione. Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve 8 Tema C1 essere allegato e provato. Va disattesa, infatti, la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso, parlando di “danno evento”. La tesi, enunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 184/1986, è stata infatti superata dalla successiva sentenza n. 372/1994, seguita da questa Corte con le sentenze gemelle del 2003. È del pari da respingere la variante costituita dall’affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo. Per quanto concerne i mezzi di prova, per il danno biologico la vigente normativa (artt. 138 e 139 d.lgs. 209/2005) richiede l’accertamento medicolegale. Si tratta del mezzo di indagine al quale correttamente si ricorre, ma la norma non lo eleva a strumento esclusivo e necessario. Così come è nei poteri del giudice disattendere, motivatamente, le opinioni del consulente tecnico, del pari il giudice potrà non disporre l’accertamento medico-legale, non solo nel caso in cui l’indagine diretta sulla persona non sia possibile, ma anche quando lo ritenga, motivatamente, superfluo, e porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo, avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni. Cass. Civ., Sez. III, 12 luglio 2006, n. 15760 La dottrina italiana ed europea che riconoscono la tutela civile del diritto fondamentale della vita, premono per il riconoscimento della lesione come momento costitutivo di un diritto di credito che entra istantaneamente come corrispettivo del danno ingiusto al momento della lesione mortale, senza che rilevi la distinzione tra evento di morte immediata o non immediata. La certezza della morte, secondo le leggi nazionali ed europee è a prova scientifica, e attiene alla distruzione delle cellule cerebrali e viene verificata attraverso tecniche raffinate che verificano la cessazione della attività elettrica di tali cellule. La morte cerebrale non è mai immediata, con due eccezioni: la decapitazione o lo spappolamento del cervello. In questo quadro anche il danno da morte, come danno ingiusto da illecito, è trasferibile mortis causa, facendo parte del credito del defunto verso il danneggiante e i suoi solidali. Legislazione correlata Costituzione: artt. 2, 32. Codice civile: artt. 2043, 2059, 1226. Artt. 138 e 138 d.lgs. 209/2005. SVOLGIMENTO La concezione tradizionale della responsabilità aquiliana, sulla base degli insegnamenti del diritto romano e della unanime interpretazione dottrinale 9 temi svolti di diritto civile anteriore al codice civile del 1942, era concentrata sul dogma della funzione sanzionatoria della medesima, per cui alla violazione di un (preesistente) precetto, sorretta da volontà colpevole, doveva seguire una sanzione per il trasgressore. Detta responsabilità da fatto ingiusto (contra ius) era incentrata sul danneggiante e sul suo atteggiamento doloso o colposo, che determinava l’offesa ad un diritto tutelato erga omnes da norme primarie, poste a garanzia dei diritti assoluti, in una prospettiva analoga a quella penalistica. La distinzione concettuale tra culpa ed iniuria si deve infatti all’emanazione del codice civile e, con esso, all’introduzione dell’art. 2043 c.c., divenuta norma cardine nel sistema domestico di responsabilità civile. Un fatto (o un’omissione), per assurgere a fonte di responsabilità civile, deve avere carattere doloso o colposo e, al contempo, deve arrecare una lesione all’altrui sfera giuridica. Pertanto, è il danno ad essere contra ius e non iure (in assenza di cause di giustificazione). In altri termini, l’ingiustizia non è più riferita al fatto, bensì al danno, in una prospettiva incentrata sulla vittima dell’illecito piuttosto che sul suo autore. La concezione tradizionale della responsabilità civile ha tuttavia richiesto molto tempo per essere definitivamente scardinata, in quanto l’art. 2043 c.c. continuava ad essere inteso quale norma sanzionatoria (rectius, secondaria) rispetto ad obblighi e divieti posti dall’ordinamento. L’abbandono di tale prospettiva ermeneutica è stato sollecitato dalla progressiva apertura della giurisprudenza alla tutela aquiliana non solo per la lesione di diritti assoluti o di credito, bensì anche per i pregiudizi ad aspettative e posizioni di fatto. Si è così giunti ad una nuova concezione volta a riconoscere all’art. 2043 c.c. una funzione precettiva, in quanto norma attributiva di un autonomo diritto soggettivo al risarcimento del danno subito nella propria sfera giuridica (norma primaria). L’evoluzione verso la concezione riparatoria della responsabilità civile può dirsi infatti culminata nella storica sentenza della Cassazione a Sez. Un. 500/1999, con la quale, com’è noto, è stata riconosciuta la risarcibilità dei danni arrecati ad interessi legittimi. Lo sviluppo giurisprudenziale volto ad individuare gli interessi meritevoli di tutela ex art. 2043 c.c. ha portato alla consacrazione dell’atipicità dell’illecito aquiliano, poiché la configurabilità della responsabilità dipende dall’ingiustizia del danno, a prescindere dalla qualificazione formale della posizione giuridica vantata. La natura di clausola generale conferita all’art. 2043 c.c. impone al giudice di effettuare un giudizio di comparazione in concreto degli interessi in conflitto e da tale bilanciamento è possibile selezionare quelli giuridicamente rilevanti. La tutelabilità di un interesse, pertanto, non costituisce il presupposto, bensì l’esito dello stesso giudizio di responsabilità. Poste tali premesse, occorre evidenziare che l’ingiustizia del danno concerne l’an della risarcibilità, ne costituisce cioè il prerequisito (il cd. danno evento). Per il quantum è invece necessario rinviare alle categorie del dan- 10 Tema C1 no patrimoniale e non patrimoniale, nonché alle conseguenti voci di danno risarcibili (il cd. danno conseguenza). Il concetto di danno non patrimoniale è stato a lungo concepito come danno morale, quale sofferenza e turbamento psicologico dell’individuo a causa del fatto illecito. Com’è noto, infatti, la «legge» cui rinvia l’art. 2059 c.c. è stata a lungo intesa come legge ordinaria, sicché il rimedio risarcitorio veniva accordato quasi esclusivamente in ipotesi di reato, in forza dell’art. 185 c.p. (il cd. danno morale soggettivo). Il legislatore optò per la tipicità del danno non patrimoniale (in contrapposizione all’atipicità di quello patrimoniale) sia perché, a livello ideologico, trattasi della monetizzazione di valori della persona, sia a causa del difficile onere probatorio e dell’ardua quantificazione del risarcimento (senza dimenticare la logica prettamente patrimonialistica sottesa al modello tradizionale di responsabilità civile). Tuttavia, in assenza di reato, un siffatto modello risultò del tutto insufficiente a fornire adeguata tutela, in particolare per i danni non riconducibili al turbamento morale o psichico, in primis per il danno alla salute, fornito di copertura costituzionale dall’art. 32 Cost. La giurisprudenza, avallata dalla Corte costituzionale nel 1986 (sentenza n. 184), ha così adottato una visione reddituale della salute, in pregiudizio della quale si verifica una danno alla capacità lavorativa. Tramite questo escamotage ermeneutico si è a lungo accordata piena ed incondizionata tutela alla salute, trattando la relativa compromissione alla stregua di un danno patrimoniale, risarcibile ex se (da qui l’elaborazione del cd. danno evento). Il risarcimento del danno biologico dunque, inizialmente era riconosciuto in base al combinato disposto degli artt. 32 Cost e 2043 c.c., inteso quest’ultimo come norma “in bianco”. Occorre attendere le celebri pronunce gemelle del 2003 per chiarire che non è l’offesa all’interesse di rango costituzionale ad essere risarcibile ex se, bensì le evenienze lesive che ne conseguono sugli aspetti non patrimoniali del danneggiato. La rilettura del danno biologico in termini di danno conseguenza è stata consentita dalla nuova interpretazione dell’art. 2059 c.c., “sede naturale” del danno non patrimoniale, il quale, oltre alla legge, non può che rinviare altresì alla Costituzione ed ai diritti fondamentali ivi previsti. È doveroso sottolineare che lo stesso percorso è stato compiuto dalla giurisprudenza in relazione ai pregiudizi non patrimoniali derivanti dalla violazione di altri diritti inviolabili dell’uomo, per i quali il parametro costituzionale di riferimento è costituito dall’art. 2 Cost. Il fondamento della risarcibilità del danno esistenziale è stato infatti rinvenuto inizialmente nel combinato disposto degli artt. 2 Cost. (o altri parametri costituzionali, quale l’art. 29 Cost.) e 2043 c.c. Con la completa rivisitazione del sistema della responsabilità civile nel 2003, ogni pregiudizio di stampo non patrimoniale derivante dalla lesione di valori inerenti alla persona è stato ricollocato nell’ambito dell’art. 2059 c.c., alla luce della nuova lettura costituzionalmente orientata della norma. 11