I SEGNI DEI TEMPI Accanto all`icona del pastore, che

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Lezioni per il PUF diocesano 2013/14 – “I SEGNI DEI TEMPI”- p.1
I SEGNI DEI TEMPI
Accanto all’icona del pastore, che risulta preminente e viene accolta in modo indiscusso
dai Padri conciliari, non pochi hanno voluto riconoscere nei testi conciliari un diverso
percorso che, a prescindere dall’immagine di pastore, orienta verso una più ricca prospettiva
legata all’attenta valutazione della condizione dell’uomo e del mondo contemporaneo,
chiamati a riconciliarsi con Dio e a ricostituire, insieme a lui, la piena comunione attraverso
la Pasqua di Cristo e l’azione animatrice dello Spirito Santo. Si tratta di un’interessante
visione prospettica, significata dall’espressione segni dei tempi, che pur presente solo in
tracce, tuttavia è destinata a crescere largamente e a portare abbondanti frutti negli anni
successivi al Concilio.
L’espressione segni dei tempi trova una relazione con Mt 16,1-4 (Sapete dunque
interpretare l’aspetto del cielo e non siete capaci di interpretare i segni dei tempi?) in cui
Gesù invita i suoi interlocutori a guardare in profondità, a saper discernere ciò che è
veramente essenziale, senza lasciarsi confondere da elementi fuorvianti. Sebbene Giovanni
XXIII avesse già utilizzato quest’espressione, il primo ad indicare i termini di questa
questione è stato M. D. Chenu1 che definisce i segni dei tempi come “fenomeni
generalizzati che abbracciano tutta una sfera di attività, e che esprimono i bisogni e le
aspirazioni dell’umanità di oggi”.
I diversi significati.
L’espressione segni dei tempi è diventata un elemento fondamentale per la Pastorale
della Chiesa. Come spesso avviene per le formule di moda anche l’espressione segni dei
tempi nell’uso ha subito cambiamenti e ha rischiato di perdere le sue valenze teologiche. I
diversi significati della formula suddetta, nell’uso corrente, oscillano tra un tipo sociologico
o antropologico e un altro di tipo teologico.
Nel primo senso (sociologico-antropologico) la formula indica quelle caratteristiche di
un periodo storico che lo distinguono dagli altri precedenti o successivi; designa quindi gli
elementi d’identificazione di una fase storica. In questo senso, ad esempio, oggi si parla
della globalizzazione, del mercato, delle reti planetarie di comunicazione, come dei segni
del nostro tempo. Come tale, propriamente, quest’uso non ha però valenze teologiche.
Il senso teologico della formula si riferisce, invece, ai «segni della presenza o del
disegno di Dio» (GS 11). L’azione di Dio, infatti, dove è accolta, consente lo sviluppo del
Regno nella storia, suscita cioè novità di vita, fa fiorire forme inedite di giustizia e di
fraternità. Questi eventi, segni di Dio che viene, quasi mai sono al centro dell’interesse
perché difficilmente visibili, e quando lo fossero, sarebbero disprezzati e contrastati, perché
non sintonizzati con le mode correnti.
Nell’uso conciliare la formula indica la situazione del mondo e l’azione di Dio in esso.
Infatti, sono considerati segni dei tempi:
- il rinnovamento liturgico: «l’incremento e il rinnovamento della liturgia è
giustamente considerato come un segno dei provvidenziali disegni di Dio nel nostro tempo»
(SC 43).
- il movimento ecumenico (UR 4).
- «il crescente e inarrestabile senso di “solidarietà” di tutti i popoli, che è compito dell’
apostolato dei laici» (AA 14).
- la libertà religiosa (DH 15).
1
Cf. M. D. CHENU, I segni dei tempi, in E. GIAMMANCHERI (ed.), La Chiesa nel mondo contemporaneo. Commento
alla Costituzione pastorale Gaudium et Spes, Queriniana, Brescia 1967, pp. 85-102.
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Sarebbe, perciò, inadeguato e insufficiente considerare segni dei tempi le tendenze
diffuse nella società o gli eventi della storia come tali. Essi, infatti, spesso contrastano la
volontà di Dio e sono conseguenza del rifiuto della sua Parola. Non sono, perciò, segni dei
tempi: le leggi del mercato, l’impero che si sta imponendo, alcune malattie, lo sfascio delle
famiglie, gli sconvolgimenti meteorologici, i danni ecologici ecc. Queste situazioni non
rivelano l’azione di Dio nella storia, bensì la resistenza degli uomini alla sua grazia. Non è
sufficiente il fatto che esse interpellino la Chiesa a prendere decisioni per diventare segni
dei tempi. I segni dei tempi sono, invece, presenza da riconoscere, grazia da accogliere,
potenza dello Spirito in azione. Dio non va nella direzione delle tendenze mondane, ma in
esse suscita resistenze e fa fiorire vita.
Spesso, però, i movimenti di resistenza e l’immissione di novità sorgono ai margini
della storia in luoghi solitari e non riconosciuti dai mezzi di comunicazione. Lo sguardo,
quindi, di chi vuole leggere i segni dei tempi deve rivolgersi sì alle situazioni del mondo, ma
per cogliervi l’azione soggiacente di Dio, che in qualche luogo marginale fa sbocciare in
creature fedeli nuove forme di vita.
I soggetti che discernono i segni dei tempi.
Il soggetto del discernimento è il popolo di Dio nella sua integralità, la chiesa intera
nella diversità dei suoi carismi. È quindi un discernimento comunitario che scopre i segni
dei tempi. La capacità di discernimento è fondata sull’azione dello Spirito nel cuore dei
credenti o in quello che il Concilio ha definito «il senso comune di fede».
La Costituzione sulla chiesa afferma: «La totalità dei fedeli, che hanno ricevuto
l’unzione dello Spirito santo (cfr. l Gv 2,20.27) non può sbagliarsi nel credere, e manifesta
questa proprietà che gli è particolare mediante il senso soprannaturale della fede in tutto il
popolo» (LG 12). Questo brano del Concilio è di una particolare importanza perché
richiama una verità spesso trascurata nella tradizione cattolica; lo stesso testo citato dalla
prima lettera di Giovanni è uno dei meno utilizzati nella tradizione teologica: «Voi avete
l’unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza»; «l’unzione che avete ricevuto da lui
rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi
insegna ogni cosa, è veritiera e non mentisce, così state saldi in lui, come essa vi insegna» (1
Gv 2, 20.27). Per alcuni aspetti i laici, coloro cioè che svolgono consapevolmente la
missione ecclesiale nell’ambito secolare, sono i più adatti a riconoscere i segni dell’azione
divina emergenti nell’ambito della storia. Per quanto riguarda il mondo secolare, infatti,
«dove specialmente i laici sono ministri della sapienza cristiana» (AA 14), il primo compito
spetta a loro. Per questi ambiti il Magistero ha la funzione di ascoltare, confrontare e
proporre ciò che emerge dalla loro esperienza. Il fine di questa ricerca è: «rispondere ai
perenni interrogativi dell’uomo sulla vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto»
(GS 4); è «capire la verità rivelata, approfondirla e presentarla in maniera più adatta» (GS
44).
Fondamento dell’ermeneutica dei segni dei tempi
Nel senso teologico, quindi, i segni dei tempi sono costituiti da quelle novità di vita che,
nel turbine della storia, la forza creatrice di Dio riesce a suscitare, là dove trova persone
fedeli, pronte ad accoglierla. Spesso si pensa che i segni dei tempi, in quanto indicazioni del
Regno che viene ed espressioni create dell’azione divina, siano avvolti di luce e chiaramente
visibili. In realtà non è così: nella maggioranza dei casi essi sono fasciati di negatività,
segnati dal rifiuto degli uomini, immersi nella sofferenza. Difficilmente, perciò, possono
essere riconosciuti come segni salvifici. Per questo la lettura dei segni, intesi in senso
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teologico, implica continui riferimenti al fondamento e richiede capacità profetiche sia in
coloro che sono coinvolti nei processi della storia, sia in coloro che li debbono riconoscere e
valutare. Il fondamento e la ragione della lettura dei segni dei tempi è l’incarnazione di cui
l’evento Cristo è il vertice storico e la cifra del suo sviluppo escatologico. Cristo è l’unico e
definitivo segno dei tempi e la fede in Lui è la condizione assoluta per una lettura dei segni
da parte della chiesa.
Solo alla luce della croce, dove un amore estremo illumina un’ingiustizia somma e il
Crocifisso costituisce l’ambito della presenza salvifica di Dio, è possibile capire come la
negatività della storia possa costituire lo sfondo oscuro per scorgere le tracce lievi della
presenza divina. Nella croce acquista quindi senso l’intreccio tra il negativo e il positivo
della storia e la lettura dei segni dei tempi diventa possibile.
La storia della teologia dei segni dei tempi.
Quello dei segni dei tempi è un problema antico. Il Vangelo stesso ne ha forgiato
l’espressione identificandola come un invito alla fede e alla vigilanza (cfr. Mt 16,4; Lc
12,54-56). Giovanni XXIII, nella sua profetica lettura della storia della Chiesa ne ha
riproposto con forza l’originario significato: «Facendo nostra la raccomandazione di Gesù
di saper distinguere i segni dei tempi, crediamo di scoprire, in mezzo a tante tenebre,
numerosi segnali che ci infondono speranza sui destini della chiesa e dell’umanità»2.
Quest’attenzione è stata per il Pontefice quasi un costante metodo di lavoro che trovò la sua
esplicitazione nell’enciclica Pacem in terris3.
Paolo VI riprende l’espressione nel suo primo documento ufficiale, l’Ecclesiam suam,
osservando che si deve «stimolare nella chiesa l’attenzione costantemente vigile ai segni dei
tempi e all’apertura continuamente giovane che sappia verificare tutto e ritenere ciò che è
buono».
Il Concilio non poteva non corrispondere con altrettanta chiarezza a quest’invito del
magistero e la risposta più chiara si può trovare nella costituzione Gaudium et Spes. Tre
brani del documento colpiscono in modo particolare:
«Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei
tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna
generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita
presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere
il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso
drammatico» (GS 4).
«Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del
Signore che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle
aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri
segni della presenza o del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e
svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell’uomo, orientando così lo spirito
verso soluzioni pienamente umane» (GS 11).
2
Giovanni XXIII, Humanae salutis, Documento di indizione del Concilio ecumenico Vaticano II, 25 dicembre
1961.
3
Questa enciclica sulla pace, scritta alcuni mesi prima della morte di Giovanni XXIII, ebbe un’eco mondiale. Al
termine di ogni capitolo il Papa propone una lettura dei segni dei tempi. In essa vengono indicati come segni dei tempi:
l’ascesa delle classi lavoratrici (n. 21), l’ingresso della donna nella vita pubblica (n. 22), la coscienza dell’ingiustizia
della discriminazione tra popoli dominatori e popoli dominati (n. 23).
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«È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello
Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro
tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita
sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta» (GS
44)4.
Elementi per una definizione.
Da questi dati la teologia ha moltiplicato i suoi studi, tanto da dover giungere a una
definizione di segni dei tempi e a una orientativa criteriologia per il loro riconoscimento.
Volendo sintetizzare l’insegnamento conciliare si potrebbero riconoscere due significati
particolari che vengono riferiti ai segni dei tempi:
1. Cristo e la Chiesa sono nel mondo i segni di Dio; sono essi, fondamentalmente, i
segni dei tempi, perché orientano la storia escatologicamente e danno pienezza e significato
al divenire storico.
2. Segni dei tempi sono anche tutti quei fatti storici, o aspirazioni degli uomini, che in
qualche modo determinano il progresso dell’umanità e orientano all’acquisizione di forme
di vita più umane.
Questi elementi possono permettere una definizione di segni dei tempi: essi sono quegli
eventi storici che riescono a creare consenso universale, nei quali il credente vede l’agire
di Dio nella storia e il non credente è orientato ad individuare scelte sempre più vere,
coerenti e fondamentali a favore di una promozione globale dell’umanità.
Soffermiamoci sui termini chiave di questa definizione:
1. Eventi storici: ciò significa che non ogni fatto può essere un segno dei tempi; evento
è ciò che è talmente inserito nella storia che ne costituisce una pietra miliare, un punto di
riferimento tale senza del quale la storia di un periodo, di un popolo, di una cultura non è
pienamente comprensibile.
2. Consenso universale: i segni devono essere in qualche modo catalizzatori; devono
rappresentare quindi un progressivo segno d’unità delle varie componenti umane e
prescindere dalle analisi d’interessi privati in vista del bene dell’umanità intera.
3. Credente: colui che è inserito nella comunità cristiana deve saper leggere nei segni
dei tempi una presenza particolare di Dio; egli è condotto dalla fede a identificare in Cristo
ogni espressione di amore che sia universale. Il credente darà un’interpretazione cristologica
ed ecclesiale del segno.
4. Non credente: se i segni creano un consenso universale, devono coinvolgere anche il
non credente nelle scelte concrete a favore dell’umanità. Nei segni dei tempi quindi il non
credente può essere spinto a percepire la verità dell’unico Dio che è frammentata in vario
modo nelle giuste aspirazioni degli uomini, e può quindi più facilmente compiere la scelta
di fede.
Conclusione: vedere, giudicare e agire.
L’attenzione ai segni dei tempi deve restare come un compito permanente della
comunità cristiana, di ogni singolo credente e di ogni uomo, perché mediante essi è
possibile percepire quanto di bello, buono e vero Dio compie ancora oggi nella storia
insieme con gli uomini. I segni dei tempi rivelano l’invito che la Chiesa rivolge al mondo,
4
Queste citazioni sono le più esplicite in proposito, ma si cfr. anche: PO 9; UR 4; AA 14.
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perché vive il presente intensamente, ma senza dimenticare di orientare lo sguardo nel
futuro.
Si comprende molto bene come allora la preoccupazione di Chenu, e di molti altri
teologi, sia quella di fuggire la sempre incombente tentazione di considerare la fede non un
evento salvifico, ma un desiderio fuori della storia. L’uomo, chiamato a far fruttificare il
dono di Dio, e a rispondere personalmente con il sì definitivo che altro non è che l’adesione
piena a Cristo, non può considerarsi in balia dell’irrazionale caso, ma vero artefice del
proprio destino e responsabile delle sorti del mondo e della storia: abbiamo così
l’atteggiamento di chi sa leggere nel presente, alla luce del passato, i segni di un futuro
nuovo che avanza, anche e soprattutto per l’opera dell’uomo che costruisce la storia, perché
legge i segni dei tempi, i segni della realizzazione di un progetto che germoglia nella storia
sua e del mondo intero.
Di fronte ad una simile prospettiva, l’uomo di fede dovrà necessariamente coltivare
alcuni aspetti: la capacità di vedere, cioè di saper riconoscere il segno in tutta la sua portata
simbolica; la capacità di giudicare, cioè di interpretare il fatto alla luce di un’antropologia
che metta l’uomo al centro del creato e della storia e alla luce della Parola di Dio; e infine,
la capacità di agire, di maturare atteggiamenti di vita capaci di trasformare la realtà e di
finalizzarla ad una salvezza più piena in cui si manifesterà la realtà dell’uomo creato ad
immagine di Dio.
Concludendo, si può dunque affermare che nell’agire pastorale viene ad aggiungersi
l’attenzione alla storia da parte della Chiesa, quale frutto dell’interpretazione dei segni dei
tempi operata dalla Chiesa per essere fedele alla sua missione. La Chiesa assume le
categorie storiche come luogo dove realizzare il compito affidatole da Cristo di annunciare a
tutti, alla luce della sua Pasqua di liberazione, il compimento del Regno di Dio. La storia
così perde il suo carattere negativo per assumere un carattere provvidenziale; diventa luogo
nel quale Dio parla, attraverso parole e segnali che attendono di essere decifrati da una
coscienza cristiana consapevole del fatto che non vi è storia degli uomini che non sia anche
storia di Dio.
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