REPORT PER MEETING A PARIGI DEL 04

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REPORT PER MEETING A PARIGI DEL 04-05.02.2011
PREMESSA
Dopo l’incontro di Vilnius il CS si è incontrato altre cinque volte.
Al primo incontro (10.11.2010) si è discusso sullo stato delle Associazioni Alzheimer presenti sul
territorio provinciale, sottolineando per quella di Ravenna l’immobilismo, la mancanza di progetti a
sostegno delle famiglie e dei malati (solo convegni ed eventi pubblici), la presenza di risorse
economiche non utilizzate, lo scarso attivismo dei soci e delle socie a differenza di quanto succede a
“La rete magica” di Forlì. A seguito della discussione e del confronto avvenuto, due circolanti, da
poco socie dell’associazione ravennate, hanno deciso di partecipare attivamente alle riunioni
cercando di promuovere più presenza e maggiore attività.
Nello stesso incontro si è deciso di invitare, quale esperta, la Dr.ssa Patrizia Casetti (Responsabile
ambito non autosufficienza Azienda Servizi alla Persona Comuni di Ravenna Cervia e Russi) a
presentare al gruppo i servizi esistenti sul territorio spiegandone il funzionamento e le modalità
d’accesso, avendo attenzione anche alle trasformazioni da questi subite negli ultimi anni sia per
migliorie apportate che per contenimento della spesa pubblica.
Nell’incontro successivo (24.11.2010) la Dr.ssa Casetti ha esposto quanto richiesto, da cui è
derivato che le modifiche più significative apportate ai servizi sono state:
o raggruppare in un unico SPORTELLO SOCIALE tutte le funzioni di interfaccia con i
cittadini, quali: informazione sulle opportunità/offerte della città, integrazione sociosanitaria, appuntamenti coordinati al fine di eliminare l’accesso a più e diversi sportelli e
ridurre l’impegno delle famiglie/pazienti nel gestire il percorso socio-sanitario (gli sportelli
sociali aperti sono attualmente in tutto 10);
o rafforzamento delle funzioni dell’ASSISTENTE SOCIALE, in funzione della lettura del
bisogno sia del paziente che della famiglia;
o creazione di corsia preferenziale per casi d’emergenza;
o la logica sottesa i servizi è quella di tenere gli anziani il più possibile a casa propria dando
supporto alla famiglia, e di inserire in strutture residenziali protette solo i gravissimi o quelli
la cui famiglia non può garantire la presenza;
o rafforzamento delle DIMISSIONI PROTETTE, ossia nel trasferimento ospedale-casa viene
in precedenza organizzato il rientro attraverso il sostegno alla famiglia con i servizi
territoriali; per carenza di risorse economiche è attualmente possibile dare supporto solo ad
anziani gravi;
o servizi di CENTRO DIURNO aperto tutto l’anno anche nei giorni festivi; non c’è una reale
richiesta di centri notturni;
o conservazione di posti in strutture protette per RICOVERI DI SOLLIEVO, a favore di
necessità familiari;
o per le badanti sono stati istituiti corsi di formazione su diritti e doveri, “Badarsi a vicenda”,
che danno luogo a certificazioni;
o è attivo da alcuni anni uno sportello provinciale (CAAD) che dà informazioni sui contributi
pubblici e presta consulenza per l’adattamento dell’ambiente domestico in funzione delle
necessità derivate da patologie invalidanti, fra cui anche l’Alzheimer;
o sul territorio dell’ASP Ravenna, Cervia, Russi sono presenti 643 posti letto in strutture
residenziali e 50 posti letto per ricoveri temporanei; in base ai parametri regionali ed in
relazione ai posti convenzionabili mancano 17 posti letto.
[si allega stampa delle slides utilizzate per la presentazione]
Nei successivi incontri (17.11.2010 – 01.12.2010 – 11.01.2011) abbiamo lavorato rileggendo
quanto prodotto, su di questo abbiamo riflettuto insieme e costruito le conclusioni intermedie che di
seguito si riportano.
CONCLUSIONI INTERMEDIE
Abbiamo individuato 4 argomenti o macrocategorie in cui far confluire i nodi emersi nei passati
incontri, queste sono:
a. FAMIGLIA – FAMILIARE
b. MALATO – MALATTIA
c. SERVIZI
d. TRASVERSALE
Tale suddivisione ci è servita per riflettere sull’insieme di ogni singolo argomento, e per trovare
soluzioni o dare indicazioni in relazione alle necessità emerse.
a. FAMILIARE
Domande: qual è l’impatto in ambito familiare? Quali sono le modalità di adattamento da praticare?
Esiste un metodo per affrontare l’impatto?
Nodi emersi:
1. Non riconoscere – rimuovere il problema
2. Difficoltà a gestire l’emozione (quanto incide sullo stato di salute di chi si occupa del
parente?)
3. La malattia, in modo particolare l’Alzheimer, distrugge una famiglia se non è coesa (quali
squilibri comporta?)
4. Fino a che punto dobbiamo essere presenti
5. Fino a che punto dobbiamo rispettarci
6. Quanto un’esperienza di dolore e di cura incide sul cambiamento anche profondo della
nostra vita?
7. Imparare ad essere le sentinelle della nostra ed altrui vita (rispetto a cosa? Che ricadute
aspettarsi nei confronti della società?)
8. Chi ha deciso di fare da sola, dedicandosi completamente alla cura, più che richiedere
assistenza ha necessità di accompagnamento, ossia di qualcuno che si metta in ascolto e
sappia indirizzare
9. Badanti: occorrerebbe un registro delle badanti formate dai servizi sociali e sanitari, che
venissero valutate e supervisionate, che si inserissero nella famiglia con un percorso di
accompagnamento, e che fossero in parte pagate dal servizio pubblico (ad es., con assegno
di accompagnamento o con l’esonero dal versamento dei contributi)
10. Il familiare può prendere decisioni per il parente malato? Ed in modo particolare, quando il
parente ha una qualche forma di demenza, può sostituirsi ad esso? Solitamente è il medico
che decide, o indirizza fortemente, verso alcune decisioni soprattutto nei casi di pericolo di
vita
11. Non si possono giudicare le scelte compiute dalle famiglie (RSA o casa), perché sono
molteplici e differenziate le realtà
Riflessioni: sulla famiglia si riversa, come un ciclone improvviso, il problema della malattia.
Quando si passa dalla fase dell’osservazione a quella dell’ipotesi sulla gravità del male, il parente
più direttamente interessato/coinvolto (anche quando ci sono più figli il peso ricade quasi sempre di
più su uno, in modo particolare sulla figlia femmina), si disorienta e gli atteggiamenti più frequenti
sono la rimozione o il rifugio in una sorta di rassegnazione/fatalismo. Si cerca poi un orientamento
e si avverte il bisogno di un responsabile del caso che viene abitualmente individuato nel medico di
base, che spesso si fa carico di decidere e di orientare nelle decisioni, sulla base delle conoscenze
che ha del malato e delle dinamiche familiari, sempre che le conosca bene entrambe (negli ultimi
anni si è avvertito un decadimento qualitativo nel rapporto medico di base-paziente-famiglia).
In questa fase si pone il problema di come riorientare il rapporto con il familiare malato, come
comunicare le informazioni e le decisioni.
Inizia un periodo delicato per la famiglia, i cui equilibri vengono messi a dura prova. La coesione
fra i membri e la solidarietà vanno mantenute, a tal fine opera soprattutto chi si fa carico in prima
persona del malato. A tal fine, invece, sarebbe auspicabile che si mettesse sotto esame la famiglia
stessa ed il suo grado di adattabilità al problema.
Gli anziani, infatti, chiedono molto ed è bene porsi le domande di quanto si deve e si può dare e di
quel che è necessario preservare per il proprio equilibrio personale, ma anche per assicurarsi una
qualità di vita che consenta di progettare un futuro e garantire una continuità di cura.
Organizzare l’assistenza non è facile, sia che si decida di ricorrere alle badanti (con tutti i problemi
relativi al reperimento di persone affidabili e al rapporto da gestire con persone per lo più straniere),
sia a strutture pubbliche.
In ogni caso le scelte dei familiari non possono essere giudicate, perché ogni esistenza è una storia a
se stante, ed in ogni famiglia esistono legami la cui complessità va capita, interpretata ed aiutata a
trovare la soluzione più giusta nel migliore dei modi possibili.
La parola IMPREVISTO usata da una circolante sul tema della gestione del tempo e della cura nei
confronti del proprio genitore, ha fatto scaturire un’ulteriore interessante riflessione.
Quando un proprio familiare è malato Alzheimer si convive continuamente con l’imprevisto,
soprattutto quando la malattia è ancora in uno stadio iniziale. Da una parte, perché un inizio di
Alzheimer implica che la persona è ancora autonoma o quasi in vari atti della vita quotidiana e a
sprazzi, assolutamente non prevedibili, è “presente” e capace di svolgere inaspettatamente le
mansioni a cui era abituata nei tempi e nei modi giusti, mentre altre volte compie queste mansioni in
momenti delle giornata non adeguati. Dall’altra, anche se a vederlo il malato non manifesta in modo
eclatante sintomi di malattia, è sconsigliabile e pericoloso lasciarlo da solo anche per tempi brevi e
non è sempre facile organizzarsi fra operatore pagato (badante) e familiari per mantenere questa
continuità di controllo. Infatti, non c’è la possibilità di programmare nulla insieme al malato anche
per tempi brevi (10 minuti), poiché ciò che si concorda, anche se condiviso, potrebbe essere
dimenticato quasi subito. Tutto questo è complicato dal fatto che il malato non comprende la
preoccupazione o il desiderio dei familiari che lui non sia mai lasciato a casa da solo, e ciò crea
come minimo malumore e risentimento. Questo stato delle cose produce l’impossibilità da parte del
familiare di programmare impegni a lunga o breve scadenza, nel senso che la probabilità che si
debba rinviare un impegno preso già da tempo cresce in modo esponenziale.
Nelle prime fasi della malattia i medici non riconoscono una ‘percentuale’ di invalidità sufficiente a
richiedere aiuti economici o permessi temporanei retribuiti dal lavoro che possono essere utili per
far fronte alle assenze (previste o improvvise) di chi segue il malato.
Questa considerazione ha rafforzato l’idea della necessità di attivare ‘servizi leggeri’ sul territorio,
quali ‘centri di riferimento’ ai quali rivolgersi per avere coperture di assistenza rapida o
programmata a breve tempo.
b. MALATO - MALATTIA
Domande: quando e come inizia il percorso diagnostico? Come si decide? A chi tocca la decisione?
Nodi emersi:
1. Quanto chiedono, anche in termini di obbedienza o con ‘giochi’ ricattatori, i genitori anziani
ai figli
2. Spesso, anche anziani/e in grado di decidere per sé, scelgono di affidarsi ad altri: figli/e,
medici, amici. Cosa comporta tale affidamento ‘cieco’ in termini di responsabilità etiche e di
organizzazione della propria ed altrui vita?
Riflessioni: l’allarme sulla malattia viene dato dai familiari che abitualmente si rivolgono al medico
di base. Questi ultimi possono essere tempestivi, ma in qualche caso si trincerano in un distacco che
può generare conflittualità.
La diagnosi della malattia risulta difficile e, in qualche caso, non se ne è colta la gravità, perché non
sempre è chiara la demarcazione fra Alzheimer ed altro tipo di demenza, e un relativo percorso
terapeutico.
L’informazione seria ed ampia su questo tema può avere la funzione di far acquisire conoscenza per
discriminare tra razionalità ed emozionalità, e, capite, creare le condizioni per le decisioni più
adeguate per chi rimane coinvolto dal problema e desidera pianificare il proprio futuro non solo
giornalmente.
Un’altra considerazione scaturita è stata di ordine quantitativo:
c. Servizi – n° 12 nodi
a. Familiari/Famiglia – n° 11 nodi
d. Trasversali – n° 4 nodi
b. Malato/Malattia – n° 2 nodi
Il numero ridotto di nodi individuati nell’argomento Malato-Malattia, ci ha fatto comprendere come
sia difficile trovare le parole dirette per parlarne. Non a caso i due nodi cruciali presenti in ‘b’
dicono della relazione/responsabilità attualizzata alla nostra odierna vita di SG, che sono in stretta
correlazione con i punti 4 e 5 di ‘a’ (relazione con l’altro – messa in gioco di sé), e con i punti 1-3-4
di ‘d’ (in termini di qualità di vita altrui e propria).
c. SERVIZI
Domande: quando entrano in gioco le strutture sanitarie? Come muoversi? Cosa abbiamo trovato
sul territorio rispetto alle nostre esigenze, non solo sul piano pratico ma anche umano? Cosa
vorremmo che cambiasse nei servizi sul territorio?
1. Si è rilevata la difficoltà di ascolto dei reali problemi dei familiari, anche a causa dei tagli
economici nei servizi pubblici, per cui gli operatori sono in numero minore, ma con un
numero di casi sempre maggiore.
2. Emerge con forza la necessità di avere un “Responsabile del caso” che sappia seguire,
indirizzare ed ascoltare (possibili figure individuate: medico di base, specialista, assistente
sociale)
3. Le strutture residenziali sono purtroppo in numero non sufficiente, specie quelle
convenzionate che garantiscono maggiore qualità di servizio. E’ difficoltoso comunque
accettarle sia da parte dei familiari che degli utenti. Rimane comunque prioritario, qualora si
arrivi alla scelta dell’inserimento, il potere del diritto d’opzione, ovvero la possibilità di
scelta della struttura valutata dalla famiglia come quella più idonea ai bisogni dell’anziano.
4. Gli operatori delle strutture sanitarie (specialisti, medici di base) propongono percorsi
terapeutici, rieducativi o di mantenimento che mal si conciliano per orari e spazi di vita (non
idonei) all’organizzazione della quotidianità; inoltre, spesso, vengono spiegati con poca cura
e chiarezza
5. Gli/le assistenti sociali dovrebbero essere più preparati, anche teoricamente, ad
accompagnare la famiglia durante il percorso della malattia.
6. Ciò che di meglio avviene nei servizi (sanitari e sociali) è dovuto all’eccellente qualità dei
singoli e non alla capacità dell’organizzazione nel suo complesso, manca delle volte la
relazione fra i diversi reparti e fra le diverse figure sociali e sanitarie coinvolte
7. I servizi di assistenza domiciliare non riescono a coprire le necessità degli anziani;
dovrebbero essere riqualificati ed essere in qualche modo risorse a disposizione delle
famiglie, come supervisione di altre figure non professionalizzate inserite (vedi badanti).
8. La Regione, e a cascata i vari enti coinvolti, non si rendono conto che dando sostegno alle
famiglie (in massima parte le donne) risparmierebbero sia in termini economici diretti (rette
in RSA, ricoveri ospedalieri, ecc) che in termini di strutture ed organizzazione sociosanitaria
9. In Emilia Romagna è l’unità di assistenza geriatrica che, dopo la valutazione, indirizza la
famiglia a individuare il servizio più adatto ai bisogni dell’anziano: per la residenza in RSA
(ma qui mancano molti posti letto, tant’è che le graduatorie sono nutrite e le attese lunghe),
o per strutture intermedie (centri diurni), o per restare in famiglia con assistenza domiciliare
10. Occorre un supporto psicologico alla famiglia che inserisce un anziano in casa protetta.
11. Occorre che esista una rete sufficiente di servizi estremamente flessibili, sia pubblici che
privati in grado di garantire l’accoglienza degli anziani che ne hanno bisogno e che
garantiscono le risposte che servono.
Premessa necessaria è che esiste un problema di consapevolezza/conoscenza della questione da
parte dei cittadini e del sistema sanitario, soprattutto in termini di garanzia di cura (psico-fisica ed
affettiva) quotidiana all’anziano/a malato. Per cui, il cittadino si trova improvvisamente proiettato in
una realtà che deve rapidamente apprendere senza una guida univoca (da autodidatta), ed il sistema
sanitario, che poco conosce le reali necessità dei familiari coinvolti, appresta servizi essenzialmente
di natura sanitaria.
Nel nostro territorio per carenza di posti in strutture residenziali o semi-residenziali convenzionati,
per carenza di servizi di ‘pronto intervento’ leggero (ricoveri di sollievo, supporto giornaliero a
chiamata, concertazione dei tempi di cura e di assistenza, ecc) nei confronti delle famiglie, la
maggior parte degli anziani non autosufficienti è seguito dalle famiglie che, non a caso, hanno
sviluppato un ‘servizio’ alternativo chiamato volgarmente ‘badantaggio’ pagato dalle stesse
famiglie.
Ciò non toglie che i familiari richiedano una maggiore e più qualificata presenza di assistenza nei
confronti del parente malato, oltre che nei confronti delle necessità espresse dallo stesso nucleo
familiare. Una figura sicuramente importante in questo processo assistenziale dovrebbe essere
l’assistente sociale, vista come colei che potrebbe possedere una conoscenza olistica dell’intero
nucleo familiare, malato compreso, dando così risposte, suggerimenti, assistenza mirata non solo al
caso sanitario, ma anche a chi quotidianamente presta la sua presenza/assistenza all’anziano.
Gli operatori delle strutture sanitarie propongono percorsi terapeutici, rieducativi o di mantenimento
che mal si conciliano per orari e spazi di vita all’organizzazione della quotidianità.
I servizi di base alla cura domiciliare potrebbero essere figure di garanzia e supervisione della
qualità di vita e salute dell’anziano e del nucleo familiare.
Nell’ambito della cura domiciliare potrebbe essere attivato un servizio a rotazione nell’arco della
settimana, composto da diverse figure professionalizzate che, anche per poche ore al giorno,
svolgessero assistenza/intrattenimento/riabilitazione.
Non mancano certo aspetti positivi attribuibili più all’eccellente qualità dei singoli che alle capacità
dell’organizzazione nel suo complesso.
Altro scoglio che le famiglie incontrano è quello dell’informazione sulle procedure, sui documenti
da esibire, sui possibili finanziamenti da richiedere, ecc. Per questo aspetto potrebbe essere utile la
figura di un ‘facilitatore’ che spieghi, informi, aiuti ed indirizzi.
d. TRASVERSALE
1. Difficoltà nell’organizzazione dell’assistenza (dove risiede la difficoltà? Nel nostro
tempo/cura, nella nostra impreparazione e/o nei servizi?)
2. Difficoltà di rapporto con le badanti (per disonestà? O quali altri motivi?)
3. Imparare a fare sistema fra famiglie ed operatori
4. Qualità della vita, questo è il nodo cruciale. Occorrerebbe un coinvolgimento diretto nel
processo decisionale della triade medico-paziente-familiari
La questione badanti presenta un doppio fronte: di garanzia del lavoro e rispetto delle lavoratrici, di
qualità della relazione ed assistenza degli anziani. Per entrambi questi motivi risulta necessario
avere un ‘registro’ di persone formate all’assistenza, che sappiano la lingua italiana (per migliorare
il rapporto con gli anziani), che abbiano un’idea dello stile di vita di coloro che assisteranno.
Si è collocata in quest’argomento anche la riflessione sull’ambiente domestico. La casa può
diventare un luogo se non ostile per l’anziano con Alzheimer, quanto meno non sicuro e produttore
di confusione.
Man mano che la malattia progredisce diventa, quindi, indispensabile adattare la casa ai bisogni
dell’anziano.
L’adattamento richiede che la casa non venga snaturata da quegli elementi di finitura, oggetti,
colori, odori, ecc. che ne caratterizzano lo spazio e ne definiscono il rapporto affettivo e di
riconoscibilità da parte dell’anziano, ma richiede che venga resa usabile in sicurezza ed autonomia.
Gli elementi a cui prestare maggiore attenzione in sintesi sono:
o tappeti su cui è possibile inciampare o scivolare,
o pavimenti su cui è possibile scivolare,
o spigoli ed angoli su cui è possibile urtare anche violentemente,
o percorsi interni all’abitazione resi complessi dalla distribuzione delle funzioni e degli arredi,
o fenomeni di abbagliamento sia con luce naturale che artificiale,
o specchi e/o superfici riflettenti che possono generare ansia da non riconoscimento,
o decori e/o ombre riportate che possono produrre fenomeni di errata lettura delle superfici,
o suppellettili ed attrezzature casalinghe che impropriamente usate possono essere pericolose,
o rampe di scale e/o gradini sparsi che possono intralciare o impedire la mobilità e dare luogo
anche a fenomeni di incertezza e paura,
o colori complementari che possono essere confusivi,
o odori diversi dall’usuale,
o suoni ripetuti e/o rumori molesti che possono agitare,
o mobili usati impropriamente che possono dar luogo a situazioni di insicurezza.
Come diceva la Dr.ssa Casetti nel suo intervento, a Ravenna, come nella altre province della nostra
regione, è presente un Centro per l’Adattamento dell’Ambiente Domestico (il cui acronimo è
CAAD) che fornisce informazioni e presta consulenze alle famiglie che hanno in carico persone con
disabilità, fra cui gli anziani. L’attività del Centro è quella di fornire indicazioni su come intervenire
per adattare la casa ai mutati bisogni, e quali fonti di finanziamento pubblico esistono a livello
nazionale e locale per eseguire gli interventi necessari.
Il Centro è un utile luogo di supporto, ascolto e consulenza, il problema è che i finanziamenti sono
scarsi e vengono erogati alle famiglie in tempi non corrispondenti alle emergenze che spesso si
riscontrano in seno alle famiglie.
Altro argomento scaturito durante la discussione dell’argomento ‘Trasversale’, è quello del rapporto
con i luoghi d’incontro fra familiari di genitori con Alzheimer.
Un luogo d’incontro per i familiari reputato molto utile è lo “spazio incontro” per i familiari
organizzato a cadenza mensile dal servizio sanitario locale. Qui si ha modo di condividere con altri
familiari le difficoltà che si incontrano nel gestire il malato e la vita quotidiana. Il supporto della
psicologa presente è utile per avere indicazioni ed indirizzi nelle azioni di cura da compiere, ma al
tempo stesso è un luogo dove è possibile creare dei circuiti di “amicizia” e supporto fra familiari,
sapendo che c’è qualcuno che capisce le tue difficoltà poiché sono anche le sue.
Al momento, ad esempio, si è costituito un gruppo di figli di malati di Alzheimer che intendono
attivarsi sia per incrementare i servizi validi già presenti, ma che per penuria di risorse economiche
possono coinvolgere ciclicamente solo un numero ristretto di malati, sia per presentare nuovi
progetti. Per quest’ultima attività (nuovi progetti), il gruppo formatosi si sta attivando per reperire i
finanziamenti necessari partecipando a bandi di Fondazioni bancarie o di altri Enti finanziatori, ed
al contempo cerca di stimolare l’attivo supporto dell’associazione Alzheimer presente in città.
Il gruppo formatosi è consapevole di essere un gruppo ‘evanescente’, nel senso che il procedere
della malattia verso una situazione peggiore, con tempi diversi per i diversi familiari, porterà a una
frequentazione discontinua e sempre più dilazionata nel tempo. A fronte di questa evanescenza è
maturata la determinazione di trovare il sistema e i modi per passare il testimone a che arriverà
dopo di noi, allo scopo di essere di aiuto per creare nel tempo una continuità dei servizi con un loro
incremento sia in quantità che in qualità.
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