TGE41304Gior17 ORT.qxp - Teatro Stabile di Genova

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ANNO V | NUMERO 17 | OTTOBRE | DICEMBRE 2004
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La Centaura
La Centaura
Festival Teatri d’Europa
Candido Soap Opera Musical
I mestieri del Teatro
Teatro e Università
Lo Stabile e la Città
Articoli di Franco Vazzoler
e Guido Davico Bonino
Conversazione con Ronconi
la locandina e la trama
Gli ospiti stranieri alla Corte
Lavaudant, Bausch, Nekrosius
Ripresa dello spettacolo
i protagonisti e le recensioni
Elettricista e fonico
intervista a Ciraulo e Torlai
Incontri nel foyer
presentazione di Salotti
Un teatro per Ivo Chiesa
Un viale per De Ceresa
L o s p e t t a c o l o d e l l o S t a b i l e a p r e a l l a C o r t e l a S t a g i o n e e i l F e s t i v a l Te a t r i d ’ E u r o p a
Melato donna e centaura
LUCA RONCONI
CARLO REPETTI
nizia una nuova stagione teatrale,
e inizia accompagnata dal grande
esito ottenuto dal 2004 di Genova
Capitale Europea della Cultura.
Anche il Teatro Stabile di Genova
vuole contribuire a questo obiettivo
e, grazie al fondamentale aiuto della Comunità Europea, può offrire
al pubblico un importante Festival
dei Teatri d’Europa, il primo
nella storia culturale della nostra
città, un Festival nel quale quattro grandi maestri del teatro internazionale proporranno quattro
differenti idee di spettacolo, di
cultura. E così, perché proprio il
viaggio è il tema principale di
“Genova 2004”, andremo in
viaggio da Vilnius a Wuppertal,
da Parigi a Genova.
Anche il nostro spettacolo La Centaura apre questo Festival e la stagione con un viaggio, un’avventura
nel teatro barocco, così ricco di suggestioni quanto poco conosciuto; un
viaggio che avvicina la Genova di
Rubens, di Via Garibaldi, dello
splendore seicentesco, alle immaginifiche storie di Giovan Battista Andreini; un viaggio che ci farà attraversare i mondi che costituivano
l’universo fantastico del barocco: la
commedia, la pastorale, la tragedia;
un viaggio che porta ancora una
volta a lavorare per noi le due massime espressioni del teatro italiano,
Luca Ronconi e Mariangela Melato.
Produrre questa Centaura (realizzata in collaborazione col Teatro
Metastasio), pensiamo anche sia
un’operazione perfettamente in linea con quelli che sono i compiti di
un Teatro Pubblico: proporre Teatro
d’Arte, cioè spettacoli realizzati al
livello più alto possibile in ogni loro
componente (dalla regia alla scena,
dagli attori alle luci e così via), ma
anche spettacoli che siano ricerca
dell’inconsueto, del particolare, dello
sconosciuto, del testo mai o raramente rappresentato (come in questo caso), spettacoli che oltre alla
ricerca del nuovo sulla scena, formino anche i protagonisti del domani:
nella Centaura lavorano infatti
ventiquattro attori, in maggioranza
giovani provenienti dalle tre maggiori scuole italiane, l’Accademia
d’Arte drammatica di Roma, la
Scuola del Piccolo di Milano e
quella dello Stabile di Genova.
I
(segue a pag. 5)
METTE IN SCENA IL
“MERAVIGLIOSO” BAROCCO
ariangela Melato è la protagonista di un viaggio fantastico nella
drammaturgia barocca, di una grande festa del teatro orchestrata con
giocosa libertà da Luca Ronconi. La Centaura di Giovan Battista Andreini,
prodotto dal Teatro di Genova in collaborazione con il Teatro Metastasio
- Stabile della Toscana, è lo spettacolo che giovedì 14 ottobre (ore 20.30
alla Corte) inaugura insieme la stagione dello Stabile e il Festival dei Teatri
d’Europa, organizzato nell’ambito delle iniziative per Genova Capitale
Europea della Cultura. La vicenda rappresentata ruota intorno a una vorticosa storia d’amore e pazzia, di genitori e figli, di fuga e incontri nella
selva dei Centauri, di violenza e gelosia, di mostruosi rispecchiamenti. Le
teatrali meraviglie di Andreini s’intrecciano nella storia di due sorelle - una
donna e l’altra centaura - entrambe interpretate da Mariangela Melato,
dando origine a un coinvolgente gioco di allegorie, d’iperboliche passioni, di agnizioni e di magie. Accanto a Mariangela Melato, recitano nello
spettacolo (in scena sino a giovedì 4 novembre) Roberto Alinghieri,
Riccardo Bini, Massimo Brizi, Sara Cianfriglia, Arianna Comes, Emilio
Dino Conti, Stefano Corsi, Giovanni Crippa, Pasquale di Filippo, Raffaele
Esposito, Ludovico Fremont, Luca Giordana, Alberto Giusta, Mario
Menini, Stefano Moretti, Enzo Paci, Flavio Parenti, Franca Penone,
Tea Sammarti, Marco Sciaccaluga, Simone Toni, Mariangeles Torres,
Antonio Zavatteri. Le scene sono di Margherita Palli, i costumi di
Gabriele Mayer, le musiche di Paolo Terni e le luci di Sandro Sussi.
M
La trama
COMMEDIA - ATTO I
Il primo atto è Commedia e si svolge nell’isola di Creta, poco lontano dal luogo in cui
Dedalo costruì il suo labirinto. I vecchi
Soliquio e Tritonio sono scontenti dei loro
figli, Lelio e Filenia, che si sono innamorati, rifiutando l’uno di sposare la ragazza
ricca sceltagli dal padre e l’altra essendo
fuggita di casa per seguirlo. Decidono di
farli rinchiudere in manicomio per rinsavirli. Poco lontano, Lidia, figlia del re di Rodi
Cercàso, racconta alla fida Bernetta la storia
della sua famiglia macchiata dalla nascita,
prima di lei, di una figlia centaura, creduta
frutto dell’adulterio della madre e ingiustamente abbandonata sulle acque. Lidia
racconta anche come, innamoratasi di
Fidimarte, lo abbia sposato contro il volere
del padre e sia con lui fuggita a Creta sotto
falso nome (in realtà si chiama Trinea), ma
come ora costui (che si fa chiamare
Capitan Rinoceronte) l’abbia lasciata sola
per andare alla guerra.
(segue a pag. 3)
Grandi eventi dai Teatri d’Europa
Festival per GeNova 04. Con Ronconi, Pina Bausch, Lavaudant e Nekrosius
a rappresentazione di La Centaura inaugura il primo Festival
Teatri d’Europa (14 ottobre-27
novembre), realizzato dallo Stabile
genovese con il contributo del Comitato GeNova04. Quattro grandi
spettacoli internazionali, tre ospiti
stranieri: Il giardino dei ciliegi (La
Cerisaie) di Anton Cechov con la
regia di Georges Lavaudant (9, 10,
11 novembre), Kontakthof mit
Damen und Herren ab 65 della più
grande coreografa contemporanea,
Pina Bausch (18, 20, 21 novembre),
e Amleto (Hamletas) di William
Shakespeare con l’acclamata messa
in scena di Eimuntas Nekrosius
(25, 26, 27 novembre). Per il pubblico genovese, una preziosa occasione culturale, che vedrà confrontarsi sul palcoscenico della
Corte quattro grandi registi e altrettanti centri di produzione fra i
più importanti e vitali d’Europa: lo
Stabile di Genova, il Théâtre de
l’Odéon di Parigi, il tedesco Tanztheater di Wuppertal e il lituano
Teatro di Vilnius. Al fine di agevolare al massimo la comprensione
degli spettacoli, Il giardino dei ciliegi
e Hamletas saranno rappresentati con
traduzione elettronica. Gli abbonati
dello Stabile possono liberamente
scegliere tutti gli spettacoli di prosa
del Festival Teatri d’Europa e assistere a quello di Pina Bausch con il
30% di sconto. (servizi a pagg. 4 e 5)
L
AL DUSE, «CANDIDO SOAP OPERA MUSICAL»
“Videoclip” illuminista
Rappresentata sul finire della scorsa
stagione come novità assoluta, torna
sul palcoscenico del Duse (23 novembre - 5 dicembre) la rivisitazione in forma di “soap opera musical”
del Candido di Voltaire, prodotta dal
Teatro Stabile di Genova nell’ambito delle attività per GeNova04. Lo
scrittore Aldo Nove e il regista-musicista Andrea Liberovici sono partiti dai contenuti «tremendamente attuali» del capolavoro della letteratura del Settecento per ricavarne una
sorta di grande “videoclip” illuminista. Candido e Cacambo, venditori
del Nulla per conto del potente manipolatore Pangloss, si avventurano
nel mondo contemporaneo. Sulla loro strada s’imbattono in guerre, fanno la conoscenza di un missile intelligente, vedono le conseguenze del
crollo delle ideologie, attraversano,
sempre virtualmente, i continenti.
Incontrano anche la Vecchia, sempre
alle prese con i lifting per ringiovanire, e la bella Cunegonda, anche lei
venditrice (dapprima del superfluo
e poi del proprio corpo), della quale
Candido s’innamora perdutamente.
Uno spettacolo ricco di ritmo e di
musica, caratterizzato da una struttura narrativa che vede interagire gli
attori in carne ed ossa con altri che
esistono solo in video. (continua a pag.6)
In alto: Mariangela Melato donna, nel ruolo di Lidia, e centaura, nel ruolo di Rosibea
A sinistra: la famiglia dei centauri: Arianna Comes (Crinea), Simone Toni (Plageone), Ludovico
Fremont (Efinoo). Sopra (in senso orario): scene di Kontakthof, Il giardino dei ciliegi, Hamletas
(foto Marcello Norberth)
Il Teatro della Corte intitolato a Ivo Chiesa
Con due cerimonie molto affettuose, il 21 settembre la città di Genova ha intitolato il Teatro della Corte a Ivo Chiesa e dedicato a Ferruccio De Ceresa un viale nei
giardini di Brignole. Con la moglie e il figlio di Chiesa, Laura e Massimo, e il fratello di De Ceresa, Bruno, erano presenti le autorità cittadine (il vicesindaco Ghio
e gli assessori Borzani del Comune e Castellani della Provincia), personalità delle
istituzioni (il giudice costituzionale Fernanda Contri) e dell’Università (il prof.
Buonaccorsi), il vicepresidente vicario Maurizio Scaparro e il vicepresidente teatro Enzo Gentile dell’Agis nazionale, il presidente dell’Antad Luca De Fusco con
molti direttori di teatri pubblici, il direttore dello Stabile genovese Carlo Repetti
con il condirettore Marco Sciaccaluga, tanti attori con in primo piano Mariangela
Melato ed Eros Pagni, i collaboratori e gli amici di sempre. (servizio a pag. 8)
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La Centaura
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«Tr a t u t t i n o n c 'è i l p i ù
stravagante di questo suggetto
i n t i t o l a t o L a Ce n t a u r a »
(ANDREINI)
« L' u n i o n e d e g l i o p p o s t i , d i r i s o
e p i a n t o, d i b a s s o e a l t o,
f a p e n s a re a l l e t r a g i c o m m e d i e
d i S h a ke s p e a re » ( V A Z Z O L E R )
Isabella Andreini
«Altro che di Centaura io non
poteva imporre il nome a quest'opra
con più corpi e mostruosissima
in sé stessa» ( A N D R E I N I )
«Andreini è davvero “peregrino” e
“stravagante”, due aggettivi che
hanno per radice quella del
viaggiare e vagare» ( D A V I C O B O N I N O )
Nel labirinto della Centaura
Giovan Battista Andreini e il gioco teatrale di Luca Ronconi
Il primo incontro di Ronconi con
Giovan Battista Andreini - nel 1972,
La Centaura: saggio con gli allievi
dell’Accademia d’Arte drammatica
- presenta un interessante collegamento con l’Orlando Furioso di cui
è poco posteriore. Da allora, nella
attività di Ronconi le “occasioni”
legate a Giovan Battista Andreini si
sarebbero moltiplicate: Le due comedie in comedia (Biennale Venezia,
1984); Amor nello specchio (Accademia, 1987); la lettura alla Sapienza
di Roma, nel 1989, di brani del
Convitato; infine Amor nello specchio
con Mariangela Melato (Ferrara,
estate 2002) davanti al Palazzo dei
Diamanti.
Dunque, Andreini è nel lavoro di
Ronconi, forse, l’autore italiano a
cui è tornato con maggiore assiduità, quasi con la volontà di trasformarlo in un “classico”. E non è da
trascurare il fatto che in questo
modo Ronconi abbia contribuito,
attraverso la scena, a stimolare gli
Andreini è l’autore italiano
cui Ronconi è tornato
con maggiore assiduità,
quasi con la volontà di
trasformarlo in un “classico”
studi su questo autore che oggi
appaiono, a livello scientifico, ormai
consistenti e maturi, anche se non
ancora definitivi. Non soltanto,
infatti, questi incontri con Andreini
(siano il saggio dell’Accademia o lo
spettacolo alla Biennale di Venezia)
consentono la scoperta di una grande drammaturgia italiana, sempre
trascurata, ma offrono una inedita
(almeno per le scene) lettura della
Commedia dell’Arte, guardando ad
essa, come osserva Ferdinando
Taviani, «alla luce della sua storia e
non del mito», senza lasciarsi
«incantare dalle maschere degli
Arlecchini», ma rifacendosi a «ciò
che davvero resta come reperto del
professionismo teatrale dei comici
dell’Arte: non l’idea vaga d’Improvvisazione, ma i libri in cui alcuni
comici di professione cercarono di
metamorfosare il loro sapere scenico». Così, dopo Amor nello specchio,
lo spettacolo di due anni fa a
Ferrara, proseguendo questa logica
- e grazie alla presenza di Mariangela Melato, che ne era stata la protagonista - il ritorno alla Centaura
realizza anche un “dittico”.
Edita a Parigi nel 1622 e dedicata a
Maria de’ Medici, La Centaura è
uno dei testi pubblicati durante la
tournée francese della compagnia
dei Fedeli, al servizio del duca di
Mantova. La compagnia in quell’occasione era per la seconda volta
in Francia, dopo il soggiorno del
1613-14, ma priva di alcuni attori
significativi: il co-direttore Pier
Maria Cecchini (Frittellino), la moglie Orsola Posmai (Florinda) e
Aniello Testa (Aurelio). È questa
compagnia che traspare, attraverso i
ruoli, dietro il sistema dei personaggi della Centaura: Giovan Battista è
Lelio, Capitan Rinoceronte è Girolamo Garavini, Bernetta è Urania
Liberati, Filenia il cui vero nome è
Florinda è la moglie di Giovan
Battista,Virginia Ramponi, e Lidia
è Virginia Rotari, che sposerà Giovan Battista dopo la morte della
Ramponi ed era da tempo sua
amante, in una sorta di ménage à
trois ufficializzato; i due vecchi
erano il veneziano Federico Ricci,
il Pantalone della compagnia (probabilmente Soliquio) e il bolognese
Giovanni Rivani, che recitava nel
ruolo del Dottore (qui Tritonio); a
Lorenzo Nettuni, chiamato Fichetto, potrebbe corrispondere il ruolo
di Fedele. Secondo Taviani «la presenza di nomi fissi della compagnia
dei Fedeli non basta a dimostrare
che La Centaura sia stata effettivamente rappresentata»; ma offre lo
stesso una immagine della compagnia e crea una omologia analogica
Comico e drammaturgo
di Guido Davico Bonino
fra il teatro e il libro, fa questo lo
specchio dell’altro, garantisce la
sopravvivenza dell’uno nell’altro.
La chiave per capire la struttura
della Centaura è quella non della
fusione dei generi, del loro mescolamento, ma piuttosto quello della
loro metamorfosi: per cui anche
l’atto comico e quello pastorale sia nello sviluppo della fabula (la
commedia non si chiude in alcun
modo, ma lascia aperto lo spazio
dell’avventura; il temporaneo lieto
fine della pastorale è incrinato dalla
notizia che Cercaso sta morendo),
sia nella compresenza di toni discordanti (il comico ridicolo, il
patetico, il luttuoso) - finiscono per
saggiare tutti i livelli e tutti i generi. Ecco allora il valore non classicistico dell’unione degli opposti, di
riso e pianto, di basso e alto, di tragedia e commedia che fa pensare
alle tragicommedie shakespeariane.
Anche se poi, a ben vedere, tutta
l’operazione drammaturgica di
gioco evidentemente parallelo degli
equivoci sulle persone) che dominano l’atto centrale fino alla scena
del rogo, dove gli equivoci (che
coinvolgono Tirsi e Filenia, ma
anche i genitori Soliquio e Tritonio)
continuano fino in punto di morte
e sono sciolti grazie al meccanismo
dell’agnizione. Se la reggia del terz’atto è l’emblema della politica del
“secolo di ferro”, l’arcadia-isola del
secondo atto è la terra di confine fra
un mondo selvaggio, primitivo e la
storia; e l’ospedale dei pazzi, intorno
a cui ruota il primo atto, allude alla
confusione di un mondo alla rovescia, in cui, nella chiave di una vorticosa comicità, non si distingue più
fra amore finto e amore vero, fra
pazzia vera e finzione della pazzia.
Giovan Battista Andreini, chi è costui? (…) Si potrebbe, sbrigativamente,
limitarsi a rispondere che è un attore-commediografo: uno di quegli interpreti-scrittori (…) alla cui rilettura, negli ultimi vent’anni, dobbiamo il
radicale ribaltamento della tradizionale (ed errata, almeno in grossa parte)
concezione della Commedia dell’Arte come commedia “all’improvviso”,
senza dunque un copione minuziosamente scritto in precedenza, e di
improvvisazione soprattutto mimico-gestuale-ginnico-coreutica, sulla base
di un’ispirazione grossamente popolare (quando
non oscena), comunque non colta e poco o nulla
“letteraria”. Ma forse sarebbe opportuno aggiungere che l’Andreini era figlio d’arte; che fu un
attore dalla vicenda biografica, e quindi dalla
esperienza culturale, europea; che fu uno scrittore (non solo per il teatro) di una versatilità
straordinaria. (…) Dal 1604 al 1651, tre anni
dunque prima di morire, Andreini (nato forse nel
1579) pubblica in undici città diverse (ci sono
Milano, Firenze, Bologna, Casale, Venezia, Ferrara, Mantova, Torino, Vicenza, Pavia, ma c’è anche
Parigi, città dove era tutt’altro che semplice pubblicare per uno straniero e per un attore) qualcosa come trentuno tra opere
e (chiamiamole così) operine. Ci sono anni particolarmente prolifici, come il
1623, in cui arriva a pubblicare cinque opere; ma ciò che colpisce non è la
quantità, semmai la varietà della sua adesione ai più disparati generi letterari. È, intanto, poeta: elegiaco-mitologico (Il pianto di Apollo, 1606), burlesco (L’olivastro, ovvero il poeta sfortunato, 1642), soprattutto sacro, nel
metro canonico del genere, l’ottava rima (La Maddalena, 1610; La divina
visione, 1623; Il Cristo sofferente, 1651): e ci sarebbe, tra l’altro, da chiedersi quanto vi sia di genuino, in lui, in codesta scelta preferenziale e quanto, invece, di tatticamente precostituito, per darsi un inattaccabile status
devozionale (chi scrive quelle ottave, non dimentichiamocelo, è pur sempre
un attore). Ma poi è, essenzialmente, un drammaturgo, che non si risparmia: ad esempio, nella cosiddetta poesia drammatica, d’occasione, se deve
“mettere in uso” la scrittura teatrale per celebrazioni civili, da quel Mincio
ubbidiente, del 1620, intermezzo drammatico con musiche, per l’inaugurazione di un’opera di ingegneria sul fiume omonimo, all’Arno festeggiante
del 1636. Ma anche quando si mette al tavolino libero da committenze,
implicite o esplicite, Andreini è davvero “peregrino” e “stravagante” (due
aggettivi-chiave, tra l’altro, nella poetica letteraria del secolo, che Giovan
Battista fa suoi, o parlando del proprio lavoro o sottointitolando singole
opere): due aggettivi che, ove appena si rifletta al loro etimo, hanno poi per
radice quella del viaggiare e vagare ovunque: e del traversare, così facendo,
tutti i generi teatrali dell’epoca. Una è tragedia in versi sciolti (Florinda,
1606); dieci sono propriamente le sue commedie (Lo Schiavetto; 1612; La
Venetiana, 1619; La Centaura, Amor nello specchio, La Sultana, Li duo
Lelii simili, La Ferinda, tutte del 1622; Le due comedie in comedia, del
1623; La Campanaccia, 1627; La Rosa, 1638); quattro sono commedie (o
tragicommedie) boschereccie (La Turca, 1611; Lelio bandito, 1620; La
Rosella, 1632, Li duo baci, 1634); un paio sono opere pastorali (L’Ismenia,
1639 e Lella piangente, 1644): ma prima sono venuti quella sorta di protomelodrammi, che sono le sacre rappresentazioni in versi, (con musiche
altrui) Maddalena e Adamo rispettivamente del 1617 e del 1613, la seconda divenuta celebre perché sembra che Milton ne abbia tratto qualche
spunto per il suo Paradiso perduto. (…)
Estratto dal saggio pubblicato nel volume edito da “Il Melangolo”
Franco Vazzoler
estratti dal saggio pubblicato nel volume edito
da “Il Melangolo” in occasione dello spettacolo
In alto: Mariangela Melato (Lidia) e Giovanni Crippa (Fidimarte)
A sinistra: Riccardo Bini (Re Cercàso), con Pasquale Di Filippo (Artalone) e Stefano Moretti (Perlino)
Andreini ha una dimensione metateatrale, come è evidente dal progetto stesso di una gabbia strutturale che basa i tre atti sui tre generi
teatrali, realizzando quella sorta di
“summa” dei tre generi codificati
dalla tradizione; e all’interno di
questa metateatralità si colloca l’esibizione dei meccanismi della
gemellarità e dei travestimenti (il
La chiave per capire
“La Centaura”
non è la fusione dei generi,
ma la loro metamorfosi
Gli spettacoli ospiti dal 15 ottobre al 9 gennaio
Ivanov
La vedova scaltra
di Anton Cechov
Duse 15 / 27 ottobre
di Carlo Goldoni
Duse 16 / 21 novembre
Il male di vivere di un novello
Amleto nella Russia di fine Ottocento.
Scritto da Anton Cechov a soli 27 anni,
Ivanov viene presentato in prima
nazionale nel nuovo allestimento
del Progetto URT, che lo ha realizzato
in collaborazione con il Teatro Stabile di
Genova. Lo spettacolo è diretto
e interpretato da Jurij Ferrini,
con attori quasi tutti formatisi alla
Scuola di Recitazione dello Stabile.
Martedì 19 ottobre (ore 17.30)
nel foyer della Corte, l’Associazione
per il Teatro Stabile di Genova organizza
un incontro con Jurij Ferrini
e gli attori della compagnia.
Interverrà il prof. Giampaolo Gandolfo.
La bella Rosaura si destreggia
tra quattro pretendenti di nazionalità
diversa. Una Commedia di Carattere
che preannuncia il capolavoro della
Locandiera. Regia di Marco Bernardi,
con Patrizia Milani e Carlo Simoni.
ottobre | dicembre 2004
Zio Vanja
di Anton Cechov
Corte 30 novembre / 5 dicembre
Per il grande drammaturgo russo di cui
ricorre quest’anno il centenario dalla
morte, la tragedia, o se si preferisce la
commedia dell’esistenza sta nell’essere
condannati al quotidiano e nel veder
tramontare i propri sogni col passare
del tempo. Con Alessandro Haber
e Manuela Mandracchia,
per la regia di Nanni Garella.
Il viaggio
di Fabrizio De André
di Pino Petruzzelli e Luigi Viva
Duse 7 / 12 dicembre
La vita e le opere
del cantautore genovese
raccontate da Mauro Pirovano
e Pino Petruzzelli, il quale sottolinea:
«I testi di Fabrizio De André
puoi leggerli anche senza
la musica e la voce dell’autore,
perché sono veri
e umani, intrisi
di un senso alto
della cultura popolare».
L’avaro
di Molière
Corte 9 / 19 dicembre
Un classico della storia del teatro
di tutti i tempi. Un capolavoro
capace di rivelare sempre qualcosa
di nuovo dell’umanità e del mondo.
Gabriele Lavia, protagonista e regista,
ha messo in scena uno spettacolo di
grande suggestione teatrale,
recentemente premiato agli Olimpici
del teatro per la regia
e come migliore spettacolo dell’anno.
Vecchi tempi
di Harold Pinter
Duse 14 / 23 dicembre
Due attrici (Galatea Ranzi
e Valentina Sperlì) e un protagonista
della scena italiana
(Umberto Orsini) alle prese con
i fantasmi del passato evocati da un
grande drammaturgo, sempre alla
ricerca di un senso della vita.
Un classico del teatro del Novecento,
per la regia di Roberto Andò.
e citazioni letterarie.
La risata come potente antidoto
contro violenze, intolleranze
e razzismi vecchi e nuovi.
Pigmalione
(My Fair Lady)
di George Bernard Shaw
Corte 28 dicembre / 9 gennaio
Oylem Goylem
di e con Moni Ovadia
Corte 20 / 23 dicembre
Umorismo e tradizione ebraica,
intelligenza colta
per uno spettacolo popolare.
Moni Ovadia e i suoi musicisti
usano con grande sapienza teatrale
le forme del cabaret classico:
brani musicali e canti si alternano
a storielle, aneddoti
La scommessa del professore
di fonetica: trasformare
in una dama dell’alta società
una fioraia dall’orribile pronuncia
cockney. Dal teatro di prosa
al musical hollywoodiano, e ritorno.
Una commedia che negli anni conserva
tutto il suo fascino.
Con Geppy Gleijeses, Marco Messeri,
Marianella Bargilli e Valeria Fabrizi.
Regia di Roberto Guicciardini.
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La Centaura
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CONVERSA ZIONE CON LUCA RONCONI, REGISTA DI “LA CENTAURA” IN SCENA AL TEATRO DELLA CORTE-IVO CHIESA
Un viaggio nella pura teatralità
Figure iperboliche, pluralità di generi, agnizioni: la metafora del mondo
Il titolo e il suo doppio
La Centaura è un titolo dalla doppia valenza. Non fa riferimento
solo alla Centaura come personaggio, ma sottolinea anche (come ben
puntualizza lo stesso Andreini) che
Centaura è la commedia stessa, composta com’è di più generi teatrali.
Vi si racconta una storia di figli
perduti, di genitori e di sorelle ritrovate, e lo si fa in varie forme che
attraversano tutta la vicenda, costruendo un tessuto drammaturgico
interessante, anche perché si esplica
sia nell’incontro con persone identiche a sé (e nello stesso tempo da
sé diverse), sia nel ricongiungimento finale, anche se in termini catastrofici, del rapporto genitori e figli.
Commedia metafisica
Si potrebbe dire che La Centaura è
piuttosto una commedia metafisica.
Si ponga attenzione, ad esempio,
alla scena sesta del terzo atto in cui
Lucrenio e Fermino riassumono la
vicenda e parlano del rapporto tra il
male del mondo e la provvidenza
divina. Si tratta di una scena marginale dal punto di vista narrativo, ma
fondamentale per la comprensione
del testo. In modo coerente con lo
spirito controriformista, Andreini
porta in primo piano l’idea provvidenziale che infine “tutto si converte al bene”. Poco importa, in fin dei
conti, che Andreini affermi questo
per convinzione personale o, come
è legittimo pensare, per opportunismo: il fatto è che il suo teatro partecipa di questa idea provvidenziale, dove, infine, tutti i contrari si
risolvono.
suggerire che la realtà sia pura rappresentazione, pura teatralità, che
abbia per destinatario uno spettatore trascendente.
Spirito barocco
Il nostro non è uno spettacolo barocco nel senso scenografico del termine. Sarebbe sbagliato attendersi
questo.Del resto,se ben si leggono le
didascalie dello stesso Andreini, si
scopre che anche lui non aveva affatto in mente uno spettacolo costruito su effetti speciali meravigliosi. Si
limita solo a indicare una semplice
attrezzeria teatrale e invita lo spettatore a collaborare con la sua fantasia alla
situazione,piuttosto che aspettarsi l’esibizione scenografica del meraviglioso. In questo senso, il nostro non è
certo uno spettacolo di figuratività
barocca, anche se sarà sicuramente
uno spettacolo di spirito barocco.
Viaggio nel teatro
La Centaura può essere raccontata
come il viaggio (o se si preferisce la
fuga) di un gruppo di persone - gli
amanti e i loro famigliari - attraverso altri mondi in cui incontrano anche delle figure parallele. E questo
tema si salda con l’altra struttura del
viaggio proposta dal testo in quanto
percorso lungo i tre generi dominanti nel teatro del tempo: la Com-
doppio (o del sosia) e quello dell’agnizione. La Commedia non è più
quella che intendiamo oggi, la
Pastorale non sappiamo più neppure
che cosa sia e lo spirito della Tragedia se ne è scappato via già da
tempo dai nostri palcoscenici; ma il
viaggio teatrale che ci propone
Andreini ha ancora molti motivi per
essere fatto.
Personaggi iperbolici
I personaggi della Centaura sono figure iperboliche, personaggi estremi. L’ambito primordiale della loro
esistenza è l’impersonalità della
passione e non l’individualità della
psicologia. Sono personaggi attraversati dalle passioni. Ci sono
pochissimi sentimenti, ma una fortissima passionalità. E allora si capisce anche perché alcuni personaggi
siano centauri: nella loro componente bestiale c’è una parte significativa della natura umana.
I luoghi e la scena
Il luogo centrale del primo atto di
La Centaura è un manicomio, da cui
i personaggi escono ed entrano
come da una specie di mondo insano, dove i genitori sono corrotti o
ottusi, comunque sempre oppressivi,
e dove il rapporto coniugale è inesorabilmente contrassegnato dal-
Metafora del mondo
La Centaura propone la teatralità
come una specie di categoria eterna. Fa riferimento a un’idea di teatro diversa dalla nostra. Per noi, il
teatro è la rappresentazione di un
fatto di fronte a una società, con
Andreini invece si ha sempre l’impressione che il teatro del mondo sia
una rappresentazione fatta per un
occhio superiore, anzi che anche il
mondo rappresentato sia tutto in
funzione di questo occhio superiore. Il teatro diventa così metafora del
mondo, piuttosto che suo specchio.
Lungi dall’essere un riflesso della
realtà, il teatro di Andreini sembra
Scena corale nel manicomio di Stillino (Riccardo Bini, al centro)
media (l’evasione), la Pastorale (l’approdo) e la Tragedia (la conclusione).Tanto è vero che questo viaggio
- attraverso tre luoghi, ma anche tre
vortici che risucchiano i personaggi
al loro interno - porta ben presto in
primo piano due temi che appartengono alla tradizione più classica
del teatro: vale a dire, quello del
l’infedeltà: pur rappresentata comicamente, la famiglia esce alquanto
malconcia dal primo atto, e in
generale da tutta La Centaura. Nel
secondo atto, quello denominato
“Pastorale”, il primato della natura
crea l’attesa di una settecentesca Arcadia rasserenante, laddove invece,
pur sempre con divertimento, ci si
trova gettati in un mondo di bestialità, di violenza, d’incesti, di aggressioni e di omicidi. Nel terzo atto,
infine, la scena diventa non solo il
luogo dell’Inganno,della Bugia e dell’Adulazione (come sottolinea l’allegoria iniziale),ma soprattutto il luogo del lutto, più simile a un “Trauerspiel” che a una vera Tragedia.
Con più specifico riferimento alla
cultura italiana, potrei poi aggiungere
che la vera figura teatrale che attraversa come un filo invisibile tutti e
tre i “generi” che compongono La
Centaura sia quella del melodramma.
Teatro come gioco
In un periodo in cui l’elemento
ludico sembra essere fuggito dal palcoscenico del mondo, mi piace
ricordare a me stesso e agli altri che
il teatro non cessa di essere un gioco.
È quest’una delle cose che apprezzo
di più nel teatro barocco e in particolare in quello di Andreini: il ritrovarvi quell’elemento di gioco troppo spesso perduto.Attenzione, però:
il gioco non va confuso con il disimpegno, perché in qualche modo
è sempre la via attraverso la quale si
esprime una visione del mondo.
Lo spettatore
La Centaura chiede allo spettatore
un preciso ruolo. Quello dello spettatore, appunto: un occhio posto al
di fuori dell’azione. Il principio di
identificazione è estraneo alla
Commedia dell’Arte. Quando parlo del teatro come gioco, intendo
anche che lo spettatore è invitato a
partecipare al gioco, non a identificarsi con i personaggi, i quali in
questo tipo di teatro sono sempre
in funzione del gioco e mai si propongono come specchio degli spettatori. Ogni gioco ha delle regole
alle quali bisogna attenersi: chi non
lo fa corre il rischio di perderne il
contatto, ma tutti gli altri possono
trarne, come dice anche Andreini,
“diletto e conoscenza” (lui preferisce parlare di “edificazione”), giungendo a scoprire che il barocco spirito ludico, lungi dall’essere inutile
e vacuo, è in grado di sortire esiti
emozionanti.
estratti dalla conversazione
a cura di Aldo Viganò
pubblicata nel volume edito da “Il Melangolo”
Il teatro di Luca Ronconi nel Foyer della Corte
RASSEGNA VIDEO - INGRESSO LIBERO
In occasione della messa in scena di La Centaura lo Stabile di Genova propone nel foyer del Teatro della Corte una rassegna video di spettacoli diretti da Luca Ronconi. 1/10 (ore 16): L’affare Makropulos; 6/10 (ore
14.30): Lolita; 8/10 (ore 16): Infinities; 13/10 (ore 16): Le rane;
15/10 (ore 14.30): Il lutto si addice ad Elettra; 20/10 (ore 16):
Amor nello specchio; 22/10 (ore 16): Le baccanti; 27/10: (ore 15):
Quel che sapeva Maisie; 29/10 (ore 16.30): Prometeo incate nato.
L A TR AMA (continua da pagina 1)
Ora, però, dopo tanto soffrire, Lidia confessa di essersi innamorata a prima vista proprio di
quel Lelio, che ritroviamo rinchiuso in manicomio con Filenia, a fingere di essere pazzi pur
di stare insieme. Intanto, Fidimarte torna dalla guerra pentito di aver abbandonato l’amata sposa e decide di verificare se anche lei lo ami ancora, facendole pervenire una lettera in
cui dichiara di essersi innamorato di una Principessa straniera. Dapprima, Lidia s’infuria; poi
risponde alla missiva, confessando a sua volta il nuovo amore per Lelio, la qualcosa manda
in bestia Fidimarte e lo induce a escogitare la vendetta. Conosciuto Lelio, pertanto, gli
espone il piano: lui organizzerà la fuga di Filenia e Lelio dal manicomio, purché Lelio finga
di corrispondere all’amore di Lidia e la convinca a partire con loro, permettendo così a lui
di trarre vendetta della moglie adultera. La realizzazione del piano, spinge i vecchi Soliquio
e Tritonio a organizzare anche loro una barca per inseguire i figli, al fine di riportarli a casa.
PASTORALE - ATTO II
Il secondo atto è Pastorale e si svolge in una selva in riva al mare di Creta. Qui il centauro Plageone sta litigando con la moglie Rosibea, alla presenza dei figli Crinea e Efinoo.
Plageone e Rosibea sono cresciuti come fratelli, dopo che il padre di lui la trovò sull’acqua abbandonata in una cassetta. Saputa la verità, si sono sposati e lei ha partorito dapprima un figlio dalle sembianze umane, che Plageone crede il frutto dell’adulterio e che
ha fatto scappare di casa con le sue violenze; cosa che Rosibea non gli perdona, tanto
più che ora gli rimprovera anche le attenzioni per la ninfa Filli. La lite sta degenerando,
quando interviene a rappacificare la famiglia il mago Astianante che, facendo apparire
in cielo un segno divino, rivela l’innocenza di Rosibea essendo lei la figlia centaura del
re di Rodi Cercàso. Intanto, su quegli stessi lidi viene gettata la barca di Soliquio e
Tritonio. Quest’ultimo, in preda a un terribile mal di mare confessa la propria colpa, con
sistente nell’aver un giorno rubato le due figlie di nome Florinda del re di Cipro, di averne persa una durante la fuga da un attacco dei turchi e di essere l’altra Filenia. Sentito
questo, ora Soliquio non considera più Filenia un malpartito per il suo Lelio. Lì arrivano
anche, una dopo l’altra, l’imbarcazione che porta Lelio con Lidia e Filenia, e quella del
loro inseguitore Fidimarte. Inizia così il balletto degli equivoci e delle agnizioni, perché
in quella selva vivono anche Filli (sorella gemella di Filenia) e Tirsi (fratello gemello,
creduto perduto, di Lelio) i quali sono cresciuti credendosi fratelli, eppur si amano.
Mentre le coppie dei fratelli, ingannati dalle somiglianze, s’intrecciano in amplessi
amorosi e Soliquio e Tritonio, non essendo riconosciuti dal doppio dei loro rispettivi figli,
pensano che questi siano ancora adirati con loro, Lidia viene raggiunta da Fidimarte che
con ira la ferisce, e lei si può salvare solo per l’intervento di Efinoo e di Rosibea, con conseguente agnizione delle due sorelle. Arriva la notizia che Tirsi e Filli, scoperti dagli abitanti del posto in flagrante incesto sono stati condannati al rogo. In realtà, si tratta di
Tirsi e Filenia, e la girandola delle agnizioni coinvolge tutti: Soliquio e Tritonio, il pastore Clonico creduto padre di Tirsi e Filli, anche Filli e Lelio diventati ormai amanti.
Intervengono anche i centauri e i riconciliati Lidia e Fidimarte. Il clima di festa è incrinato solo dall’annuncio che su quei lidi è sbarcato re Cercàso, ormai gravemente malato.
TRAGEDIA - ATTO III
Il terzo atto è Tragedia e si svolge in una reggia di Creta, dove Cercàso è stato convinto a trasferirsi dal suo reggente Artalone. L’allegoria di Adulazione, Inganno e Bugia
introduce il personaggio di Artalone, ambizioso reggente di dieci regni, compreso Rodi
e Cipro, che attende con impazienza di succedere a Cercàso. Si aprono le porte ed entra
Cercàso sul letto di morte, fatto oggetto d’ingannevole adulazione e cordoglio da parte
di Artalone, al quale consegna una carta che lo dichiara erede di Rodi e, se non si
faranno vive le sorelle figlie dell’antico re, anche di Cipro. Artalone già tripudia, ma
giunge notizia che Cercàso è morto dopo aver riconsegnato Cipro alle ricomparse due
Florinde (eredi legittime di quel trono) e di aver nel contempo riabbracciato Rosibea e
perdonato Lidia. In una scena a parte, Lucrenio e Fermino parlano del rapporto tra il
male del mondo e la provvidenza divina. Alla presenza di tutti si svolgono i solenni
funerali di Cercàso. Durante la cerimonia, si manifestano prodigi che annunciano disgrazia e morte, per esorcizzare i quali il sacerdote chiede sacrifici. Con l’aiuto del coppiere Bibieno, Artalone avvelena tutti i convenuti. Scoperto, è ferito a morte da
Plageone e Rosibea. Prima di spirare, racconta la propria storia, da cui Rosibea e
Plageone apprendono con orrore che egli è il loro figlio d’aspetto umano. Rosibea e
Plageone si suicidano. La centaurina Crinea viene incoronata regina di Rodi.
GENEALOGIA
REGNO DI RODI
Re Cercàso
Trinea
detta Lidia
(umana)
sposa di
Fidimarte
e innamorata di
Lelio
Rosibea
(centaura)
sposa di Plageone
(centauro)
da loro nascono
Artalone (umano)
Crinea (centaura)
Efinoo (centauro)
REGNO DI CIPRO
Re Teucro
padre di due gemelle
Florinda 1
(detta Filenia)
Florinda 2
(detta Filli)
entrambe rapite da Tritonio
e di lui credute figlie
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Grandi spettacoli stranieri pe
L A
R A S S E G N A ,
Fra ottobre e novembre 2004, a inaugurare la stagione del Teatro Stabile di
Genova è il Festival Teatri d’Europa, quattro grandi spettacoli provenienti da quattro nazioni della nuova Europa: Francia,
Germania, Lituania e, naturalmente,
Italia. È la prima volta che Genova e il suo
Teatro Stabile promuovono un Festival
internazionale di prosa, e di così alto
livello, e questo avviene in stretta collaborazione con il Comitato Genova 2004,
significativamente nel periodo conclusivo
dell’anno in cui Genova è Capitale Europea della Cultura. Il Festival si apre con
una produzione del nostro Teatro Stabile,
per la regia di Luca Ronconi, protagonista
Mariangela Melato, Grifo d’argento della
città di Genova: un modo, credo, opportuno per sottolineare ancora una volta la
dimensione davvero europea della cultura della nostra città, cultura della quale i
teatri sono, da oltre mezzo secolo, il
momento di più alta, costante espressione. Che sia dunque di buon auspicio per il
futuro di Genova questo Festival, nuovo
dialogo dei genovesi con i grandi artisti
d’Europa.
Giuseppe Pericu
Sindaco di Genova
Presidente del Comitato Genova 2004
A P E R T A
D A
“ L A
C E N T A U R A ” ,
P R O P O N E
C E L E B R I
A L L E S T I M E N T I
D A
G E O R
Fra i ciliegi di Cechov
con l’Odéon-Théâtre d’Europe
La rassegna degli spettacoli stranieri
al Festival Teatri d’Europa si apre con
un capolavoro del teatro moderno.
Quattro frammenti temporali,
apparentemente semplici e quotidiani.
Uno per atto e per stagione. L’ultima opera
teatrale di Anton Cechov, scritta nello stesso
anno della sua morte avvenuta esattamente
cento anni fa, è la sinfonia, in quattro
movimenti, di un lungo addio a un giardino
dei ciliegi da tutti amato. Per Ljubov
Andreevna, la proprietaria che torna a casa
dopo una sventurata storia d’amore,
quel giardino rappresenta l’innocenza dell’infanzia e la sua vendita la fine di tutto.
Per Lopachin, il figlio di contadini arricchito,
l’unico personaggio che non è stregato da
quel posto, esso significa solo la ricchezza
e il riscatto sociale, da conquistare anche a
colpi di accetta. E tra questi due estremi,
tra la bellezza sterile o il tesoro
da corrompere, anche tutti gli altri personaggi
della commedia - il fratello di Ljubov, Leonid
Gaiev, la sua figlia naturale Ania e quella
adottiva Varia, i pochi conoscenti che ancora
vivono con loro e intorno a loro - portano in
sé il proprio giardino dei ciliegi, perduto il
quale la casa si spopola e la vita li disperde.
Prodotto in occasione del centenario della
morte di Cechov, lo spettacolo del Théâtre de
l’Odéon, una delle più significative realtà della
scena parigina, viene presentato con
traduzione elettronica simultanea tramite
sottotitoli. Entusiastica l’accoglienza
del pubblico e della stampa internazionale.
La bella regia di Georges Lavaudant tiene in bilico due
estremi - il versante commedia e quello più esplicitamente
drammatico – entro i quali si ha il piacere di ritrovare
un’interpretazione composta, scorrevole, energica e
caratterizzata da una forte poesia». (LE MONDE)
«Ciascuno qui raggiunge la perfezione e sviluppa tutte
le potenzialità ideali del proprio personaggio». (LE FIGARO)
«Con grazia celestiale, uno spazio scenico dal candore
immacolato, risplendente di piena luminosità come il colore di
un gabbiano o della neve, incanto di una dimora familiare che
ormai sta per cessare di esistere». (LA TERRASSE)
WUPPE
PARIGI
LAVAUDANT
CO R T E 9 , 1 0 , 1 1 N O V E M B R E
GENOVA
Il giardino
dei ciliegi
La Cerisaie
di Anton Cechov
traduzione di André Markowicz e Françoise Morvan
regia
scene e costumi
luci
suono
con
Gaiev
Iascia
Duniascia
Epichodov
Ania
Trofimov
Piscik
Varia
Firs
Ljubov
Lopachin
Carlotta
e
capo stazione
un viandante
Georges Lavaudant
Jean-Pierre Vergier
Georges Lavaudant
Jean-Louis Imbert
Gilles Arbona
Joseph Menant
Elise Berthelier
Hervé Briaux
Laurence Cordier
Olivier Cruveiller
Pascal Elso
Aline Le Berre
Philippe Morier-Genoud
Sylvie Orcier
Patrick Pineau
Marie Trystram
Jean-Marie Boeglin
Bernard Vergne
LO SPETTACOLO È SOTTOTITOLATO IN ITALIANO
«Una messa in scena fremente di vita». (LA CROIX)
RONCONI
Amleto principe dei ghiacci
una rock-star per William Shakespeare
Passione giovanile e distacco
ironico, grande ricchezza
figurativa e assoluta precisione
stilistica: è tra questi estremi che
il lituano Eimuntas Nekrosius
(uno dei maggiori registi del
teatro contemporaneo) dà vita
alle parole di Shakespeare come
se fossero pronunciate per
la prima volta. E il grande
lampadario di ghiaccio, che
sovrasta la scena gocciolando per
tutto lo spettacolo, diventa
l’emblematico segno di un
allestimento dalla grande forza
teatrale, pieno di vitalità e di
feroce disperazione, con splendido
protagonista un attore - Andrius
Mamontovas - notissimo in
patria per i suoi trascorsi da
rock-star. Come accade con le
favole antiche, la storia di Amleto
è nota a tutti, ma l’emozione
torna inesorabilmente
a rinascere, come se fosse nuova,
a ogni ben fatta rappresentazione
sul palcoscenico.
«Shakespeare bisogna leggerlo con
attenzione, tutte le risposte sono lì,
nel testo», annota il regista
Nekrosius. «La scelta delle materie
prime che ho usato in questo
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F I R M A T I
spettacolo - il ghiaccio, e poi l’acqua
e il fuoco - è molto semplice e logica.
Da dove arriva lo spettro del padre
di Amleto che noi
abbiamo considerato un vero
e proprio deus ex machina?
Dal profondo, dal freddo.
Questo ci ha suggerito
il ghiaccio, che poi si scioglie
a poco a poco al fuoco della
vendetta e torna a essere acqua…
Tutto molto semplice.
L’arte non è una cosa complicata».
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5
per il Festival Teatri d’Europa
E O R G E S
L A V A U D A N T
( F R A N C I A ) ,
P I N A
B A U S C H
( G E R M A N I A ) ,
E I M U N T A S
N E K R O S I U S
( L I T U A N I A )
Affascinante Pina Bausch
VILNIUS
il Teatro-Danza racconta l’amore over 65
NEKROSIUS
PPERTAL
BAUSCH
Kontakthof mit Damen und Herren ab 65 è la nuova versione,
completamente rivisitata, di un classico della grande coreografa
tedesca Pina Bausch, mitico punto di riferimento di tutto
il teatro-danza contemporaneo. Kontakthof significa letteralmente
“luogo di contatti”, punto d’incontro, ed è uno spettacolo
ricco di gioia di vivere che parla delle relazioni umane,
della sofferenza e della gioia che animano il corpo in movimento.
I protagonisti sono ballerini over 65 di Wuppertal
(città dove Pina Bausch ha il suo “Tanztheater”),
che consegnano allo spettatore la testimonianza
dell’avventura emotiva che caratterizza la vita
di ogni essere umano, raccontata attraverso le variazioni
dei mille modi seduttivi dell’amore.
mit Damen und Herren ab 65
«L’espressione più compiuta delle riflessioni della coreografa sull'eterno tema degli
scontri amorosi, della lotta tra uomo e donna» (PANORAMA)
uno spettacolo di Pina Bausch
«Un incontro indimenticabile. Uno strappo violento che scardina il modo precedente di accostarsi a uno spettacolo teatrale, chiedendo a chi assiste una presenza partecipe senza via di scampo» (GRAZIA)
«Una festa degli occhi e dell'intelligenza» (L’UNITÀ)
CO R T E 2 5 , 2 6 , 2 7 N O V E M B R E
Hamletas
di William Shakespeare
traduzione di Aleksas Churginas
con
Claudio
Gertrude
Amleto
spettro del padre di Amleto
Orazio
Ofelia
Laerte
Polonio
attori
Eimuntas Nekrosius
Nadezda Gultiajeva
Faustas Latenas
Romas Trejnis
Audrius Jankauskas
Vytautas Runsas
Dalia Storyk
Andrius Mamontovas
Vitas Petkevicius
Salvijus Trepulis
Viktorija Kuodyte
Kestutis Jakstas
Povlas Budrys
Algirdas Dainavicius
Vladimiras Jefremovas
Gabrielia Kuodite
musicista Tadas Sumskas
LO SPETTACOLO È SOTTOTITOLATO IN ITALIANO
Kontakthof
«Potente ed energica capofila del genere teatro-danza - è stato scritto - Pina Bausch
è riuscita a modificare gli orizzonti culturali ed estetici della danza del nostro tempo,
guadagnandosi non solo una schiera di imitatori, ma un pubblico insospettabile: forse
il pubblico più largo e nuovo che qualsiasi altro coreografo di oggi abbia attirato a sé»
«Festosa e tragicomica cerimonia dedicata al corteggiamento» (FAMIGLIA CRISTIANA)
regia
scene e costumi
musiche
luci
CO R T E 1 8 , 2 0 , 2 1 N O V E M B R E
(con Signore e Signori oltre i 65)
regia e coreografia Pina Bausch
scene e costumi Rolf Borzik
assistente alla regia Rolf Borzik
Marion Cito, Hans Pop
direzione Josephine Ann Endicott
e supervisione delle prove Beatrice Libonati
supervisione rappresentazioni Bénédicte Billiet
assistente Robert Sturm
preparazione alle prove Ed Kortlandt
costumi ricreati da Marion Cito
assistenti costumista Petra Leidner, Birgit Stoessel
cura dei testi Beatrice Libonati
con
Jakob Andersen, Rosemarie Asbeck, Lore Duwe-Scherwat, Jutta Geike,
Inge Glebe, Günther Glörfeld, Peter Kemp, Gerd Killmer, Anke Klammer,
Werner Klammer, Thea Koch, Dieter Linden, Ernest Martin, Heinz Meyer,
Brigitte Montabon, Renate Nickisch, Heinz Nölle, Klaus Rubert, Edith
Rudorff, Bärbel Sanner-Egemann, Hannelore Schneider, Margarita
Schwarzer, Alfred Siekmann, Ursula Siekmann, Reiner Strassmann,
Margret Thieler
musiche Charlie Chaplin
Anton Karas, Juan Llossas,
Nino Rota, Jean Sibelius e altri
direttore tecnico Manfred Marczewski
direttore luci Jo Verlei
(segue da pag. 1)
Il nostro impegno per questa Centaura e per i tre spettacoli stranieri
diretti da Pina Bausch, Georges
Lavaudant e Eimuntas Nekrosius,
a cui si affianca un Otello giapponese, proseguirà durante tutta la stagione con le altre nostre produzioni
(Chi ha paura di Virginia Woolf?
con l’inedita coppia Melato-Lavia,
la novità Galois, e L’illusion comique con Pagni diretto da Sciaccaluga) e con l’ospitalità.
Il Duse aprirà con Ivanov di
Cechov diretto da un altro “figlio”
di questo Teatro, Jurij Ferrini, e un
nostro spettacolo, La vita di Galileo Galilei di Bertolt Brecht per
la regia di Massimo Mesciulam e
Alberto Giusta, sarà presente nel
Festival della Scienza.
Insomma, a noi pare di aver fatto il
possibile per offrire agli spettatori
occasioni stimolanti e vitali.
Ora chiediamo anche al pubblico
genovese di essere curioso di fronte
alle nostre proposte: la vitalità e la
forza culturale di una città infatti
non dipende solo da chi produce
cultura ma anche, e forse soprattutto, dalla curiosità dei suoi abitanti.
Carlo Repetti
Shakespeare con gli occhi a mandorla
Al Duse un “Otello” messo in scena - con sottotitoli - da una compagnia giapponese
Otello, ovvero William Shakespeare messo in scena alla giapponese. L’occasione è
ghiotta per tutti gli appassionati di teatro, che hanno pochissime occasioni per sapere quanto accade sui palcoscenici dell’Estremo Oriente. In che modo si rispecchia il
pubblico del Sol Levante nella storia del Moro di Venezia? E gli attori come recitano
quelle passioni che sembrano così legate alla cultura occidentale? Chi sono per loro i
turchi che assediano l’isola di Cipro? Chi è Iago, “malvagio senza motivazione”? In
un‘epoca di globalizzazione anche culturale, il regista Ion Caramitru promette un Otello capace di essere fedele al testo scespiriano, ma nello stesso tempo di interpretarlo
con sguardo teso a coniugare tradizione giapponese e fermenti della scena contemporanea. E da qui emerge un altro forte motivo d’interesse per la venuta al Teatro Duse
di questa compagnia giapponese. «La guerra - dice il regista - è il tema centrale del
nostro allestimento. Tanto è vero che nel nostro Otello accade che, anche quando arriva la pace, la guerra torna a presentarsi sotto forma della lotta per la conquista di Eva.
Tutti i soldati, a Cipro, fanno sogni erotici a proposito di Desdemona. Non vi tornano in
mente le immagini di Marilyn Monroe che fa visita ai soldati americani in Vietnam?
Otello è la tragedia del nostro tempo, con tutte le sue passioni e quelle guerre sofisti-
cate, nelle quali l’odio tra le razze e le religioni resuscitano gli antichi conflitti che sembravano definitivamente spenti dalla civiltà». Ci sono davvero molti
motivi per essere curiosi di uno spettacolo che s’annuncia tutto da scoprire e da godere.
Interpreti e personaggi: Rikiya Koyama (Otello),
Mitsutaka Tachikawa (Iago), Motonobu Hoshino (Brabanzio e Graziano),Shigehiro Tanaka (il Doge e Lodovico),
Goki Ogawa (Roderigo), Ryutaro Nishikawa (Montano),
Shinia Honda (Cassio), Atsuko Ogawa (Desdemona),
Konomi Tsuboi (Emilia), Kanako Obayashi (Bianca).
Regia Ion Caramitru; costumi Natsumi Toyama, Nao
Furusawa; luci Ryuichi Okino; musiche Kei Wada; produzione Kikuo Yamazaki; direttore artistico Seiya Tamura.
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Candido
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Tor na al Duse «Candido Soap Opera Musical»: r ivisitazione di Voltaire, secondo Andrea Liberovici e Aldo Nove
“Videoclip” illuminista
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Il quartetto degli interpreti
è straordinario. Un successo
che più vivo non si potrebbe
(Il Lavoro-Repubblica)
Avventure su avventure,
ritmi esilaranti: la faccenda
si sviluppa sui ritmi di
un’epica contemporanea
(Corriere della Sera)
Spettacolo gradevole e di
Il 30 novembre, alle ore 10, Liberovici
e gli attori della compagnia saranno
alla Facoltà di Lettere (Aula N, via
Balbi 4) per un incontro con gli studenti, a cura di Eugenio Buonaccorsi.
successo, dal ritmo fluente e
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Il Teatro Stabile di Genova partecipa alla seconda edizione del
Festival della Scienza sia con una propria messa in scena (Vita
di Galileo Galilei di Bertolt Brecht), sia ospitando al Duse una
rassegna di spettacoli provenienti da altre realtà teatrali. Messo
in scena nello scorso gennaio in forma di esercitazione da
Massimo Mesciulam e Alberto Giusta, Vita di Galileo Galilei
viene ora riproposto al nuovo Teatro della Gioventù di via
Cesarea (martedì 2 novembre alle ore 20.30 e nelle mattinate
seguenti sino a venerdì 5 novembre, alle ore 10.30) con l’interpretazione dello stesso Mesciulam, di Andrea Nicolini e di attori diplomati della Scuola di Recitazione dello Stabile di Genova. A partire da giovedì 29 ottobre prende il via al Duse
(sempre alle ore 20.30) un programma comprendente La
musica ai tempi di Leonardo (29/10: concerto con strumenti disegnati da Leonardo), Ambrossia (30 e 31/10: spettacolo con e sulle bolle di sapone), Sylvatica (2 e 3/11: tra scienza e danza), Scienza magica (4 e 5/11: esibizione di tre celebri illusionisti), Scienza e coscienza (6/11: tra scienza e musica), Il canto delle stelle (7/11: il firmamento fa spettacolo).
scorrevole. Risata liberatoria
(Il Giornale)
Il venerdì precedente, 26/11 (ore 21),
il Cineclub Lumière organizza una
serata dedicata a Candido che si apre
con la proiezione di 500.000 leoni.
Le ultime di J.W. Ovvero J.W., realizzato da Liberovici, su sceneggiatura
sua e di Nove, con Funari nel ruolo del
protagonista. Nella seconda parte della
serata, al termine della rappresentazione di Candido al Duse, interverranno
anche gli attori dello spettacolo.
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Ivan Castiglione (Candido), Caterina Guzzanti (Cunegonda), Fabrizio Matteini (Cacambo), Tea Sammarti (la Vecchia) e Gianfranco Funari (Pangloss), insieme a tanti altri
che, come Funari, appaiono solo in
video, sono i protagonisti di uno
spettacolo multimediale (parole, musica, video) firmato da Andrea Liberovici (regia e musica) e Aldo Nove
(coautore del testo) che si avvale
delle sonorità “dal vivo” eseguite da
un’orchestra composta da Gloria
Clemente, Francesco Carpena, Roberto Fatticcioni, Davide L’Abbate,
Pietro Sinigaglia. Le scene sono di
Paolo Giacchero e i costumi di Silvia Aymonino. Sandro Sussi firma le
luci e Francesca Camponero i movimenti coreografici.
Il Festival della Scienza a Teatro
Colpi di genio e lampi di
trash. Ribaldo “soap musical”
che calza sul nostro presente
come l’ironia di Voltaire
Alcuni momenti dello spettacolo Candido Soap Opera Musical. Al centro, la compagnia al completo con
Andrea Liberovici e Aldo Nove
(Il Secolo XIX)
A UN’AMICA DEI TEATRI GENOVESI
La scomparsa di Laura Carlomagno priva tutti i teatri di Genova di un’amica
generosa e appassionata: sempre presente agli appuntamenti che contano,
disponibile a dare aiuto disinteressato soprattutto ai giovani. Per molti
anni, Laura Carlomagno è stata una figura onnipresente nella vita teatrale
cittadina. Giunta a Genova per matrimonio, dopo una lunga permanenza a
Londra, ha iniziato subito a lavorare per i maggiori teatri della città, dal
Carlo Felice allo Stabile, dove ha svolto numerose funzioni: da direttrice di
sala a responsabile della promozione. Ritiratasi a vita privata nel 1996, ha
continuato a essere vicina al mondo del teatro, aiutando con la sua presenza e con i suoi consigli anche il Teatro della Tosse, l’Archivolto e il Cargo.
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I m e s t i e r i d e l t e a t r o : i n c o n t ro c o n S t e f a n o C i r a u l o, r e s p o n s a b i l e d e g l i e l e t t r i c i s t i , e C l a u d i o To r l a i , f o n i c o d e l Te a t ro S t a b i l e d i G e n ova
Effetti e suoni davvero speciali
I l n o s t ro v i a g g i o a l l a s co p e r t a d e i m e s t i e r i c h e s i s vo l g o n o d i e t ro l e q u i nte d e l p a l co s ce n i co
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s t i d e l l o S t a b i l e e, s p e s s o, c re a a n c h e e f f e t t i s p e c i a l i p e r g l i s p e t t a co l i . C l a u d i o To r l a i , i nve ce, l avo ra co m e f o n i co a l l o S t a b i l e d a l 1 9 8 7 , d o p o e s s e re s t ato p e r q u at t ro a n n i i m p i e g ato
co m e te c n i co i n u n’i m p re s a ; m a l a p a s s i o n e p e r g l i e f f e t t i s o n o r i e p e r l e te c n o l o g i e l e g ate a l
s u o n o e a l l a m u s i c a l ’ h a co l t i vat a f i n d a ra g a z zo, q u a n d o f a ce va p a r te d i u n g r u p p o m u s i c a l e
Luce ed effetti speciali
Fonica ed effetti sonori
Le richieste stravaganti di registi e scenografi non lo preoccupano. Anzi: «Più sono stravaganti,
più richiedono ingegno e più danno
soddisfazione» spiega Stefano
Ciraulo, responsabile degli elettricisti del Teatro di Genova e
anche creatore di effetti speciali per molti spettacoli di produzione dello Stabile. Ed è proprio in questa seconda attività
che gli capita di trovarsi di fronte a richieste stravaganti appunto, o alla necessità di soddisfare,
in poco tempo, esigenze di scena con soluzioni ingegnose e,
possibilmente, poco costose. «La
passione per l’illuminotecnica, l’elettronica, l’hi-fi, per gli effetti speciali ce l’ho fin da ragazzino» racconta. «Quando ero alla scuola
STEFANO CIRAULO
media i professori di applicazioni
tecniche mi portavano in giro per le
classi a far vedere le mie invenzioni. Ho iniziato a lavorare in teatro,
perché me lo aveva chiesto un amico
che faceva parte di una compagnia
di dilettanti e, dopo altre esperienze, sono arrivato allo Stabile, che
mi ha dato la possibilità di crescere
professionalmente».Adesso Ciraulo è responsabile della manutenzione degli impianti elettrici
e, quindi, di tutto ciò che riguarda la loro efficienza e la
loro conformità alle norme di
sicurezza, e anche degli interventi di adeguamento e innovazione necessari, sul palcoscenico e in sala. «Il mio compito è
anche quello di studiare dove sistemare gli apparecchi e come utilizzarli al meglio durante uno spettacolo e poi - aggiunge - quando me
lo chiedono, realizzo apparecchiature per creare effetti speciali, piccole
invenzioni o particolari sonorizzazioni della sala. Per esempio - racconta - una volta, per l’allestimento di Suzanna Andler, ho imbottito con 500 piccoli altoparlanti le
Ministero Beni e Attività Culturali
soci fondatori
COMUNE DI GENOVA
PROVINCIA DI GENOVA
REGIONE LIGURIA
socio sostenitore
poltrone del teatro Duse per dare a
ogni spettatore la sensazione di
ascoltare “in diretta” e quindi di
spiare una telefonata della protagonista». Recentemente Ciraulo
ha progettato anche un impianto per cercare di risolvere un
difetto acustico nella parte centrale del Teatro della Corte,
installando 50 diffusori di piccole dimensioni distribuiti in
platea e in galleria. Nel campo
degli effetti speciali, invece, le
sue creazioni sono estremamente varie, sia dal punto di
vista tecnico che della fantasia.
«L’invenzione che forse mi ha dato
più soddisfazione - racconta - è
stata quella di un pappagallo radiocomandato, su un trespolo, che avevo
creato per Re Cervo. Era un pappagallo che muoveva ali, collo, becco
e che parlava. Dopo aver realizzato
il corpo dell’animale e il sistema di
radiocomando, un giorno avevo
lasciato il pappagallo sul trespolo
perché la scenografa doveva completarlo, ma mi ero dimenticato di “spegnerlo” e così, mentre la scenografa
gli metteva le piume, il pappagallo
ha iniziato a muoversi. La scenografa si è spaventata ed è venuta
subito da me a raccontarmi quello
che era successo e che non riusciva a
spiegarsi…». Per L’imbalsamatore,
invece, Ciraulo aveva creato una
serie di meccanismi radioco-
Un pappagallo
radiocomandato e un
drago a tre teste
mandati in grado di disintegrare, ogni sera, per effetto di una
pozione sbagliata, il corpo imbalsamato di Lenin, cominciando dai piedi fino alla testa. Fra le
sue invenzioni gli piace ricordare poi tre teste di un drago che,
dopo essere state tagliate in
volo, cadevano sul palcoscenico
e cominciavano a muoversi da
sole, e l’orologio di un metro e
mezzo di diametro, creato assieme alla scenografa di Roberto
Zucco: un orologio funzionante
con lancette che, però, a un
certo punto impazzivano e
facevano scorrere dieci ore in
pochi secondi. Nel finale dei
Reverendi, invece, è stata particolarmente apprezzata la “sua”
turboelica che, attraverso diffusori sonori distribuiti in tutto il
teatro, provocava l’effetto della
messa in moto e del decollo di
numero 17 • ottobre-dicembre 2004
Edizioni Teatro Stabile di Genova
Piazza Borgo Pila, 42 • 16129 Genova
www. teatrostabilegenova.it
Presidente Avv. Giovanni Salvarezza
Direzione Carlo Repetti e Marco Sciaccaluga
Direttore responsabile Aldo Viganò
Collaborazione Annamaria Coluccia
Segretaria di redazione Monica Speziotto
Autorizzazione del Tribunale di Genova
n° 34 del 17/11/2000
partner della stagione
Progetto grafico:
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art: Bruna Arena, Genova (009/04)
Stampa: Ortolan, Opera (MI)
un elicottero che faceva tremare
la sala e volare alcuni fogli di
carta dal palco verso il pubblico.
A volte gli capita anche di dover
utilizzare, per la scena, oggetti o
apparecchiature che esistono
già, ma che hanno normalmente un uso diverso da quello per
cui devono essere impiegati in
teatro. «In questi casi - racconta la cosa più difficile è spiegare ai fornitori che cosa mi serve e che cosa
devo farne e far capire che i tempi di
consegna devono essere tassativi,
perché quell’oggetto serve prima
che lo spettacolo vada in scena. Per
chi non conosce questo mondo non
è facile capire tutto questo».
Cinquanta casse acustiche
per una cavalcata
Da ragazzo, quando negli anni
‘80 faceva parte di un gruppo
musicale genovese, pensava che
da grande avrebbe fatto il cantante. La sua vita, però, ha preso
poi un’altra direzione e, invece
di lavorare con la sua voce, adesso cerca di far sentire al meglio
le voci e i tanti altri suoni e
rumori che fanno parte di uno
spettacolo. È il compito di
Claudio Torlai, fonico del Teatro
Stabile di Genova, dove lavora
dal 1987. «Mi occupo di tutti gli
effetti sonori di uno spettacolo spiega - dai rumori, alle voci, alle
composizioni musicali». Il che
significa non solo curare la fonica in senso stretto - e cioè far sì
che la resa acustica sia la migliore possibile, che i microfoni
sistemati in sala e quelli utilizzati eventualmente dagli attori
funzionino perfettamente - ma
anche cercare suoni e rumori
particolari richiesti dal regista
per soddisfare esigenze sceniche. «Una volta, quando stavamo
allestendo Roberto Zucco, sono andato apposta in questura per registrare il rumore di uno sparo di pistola - racconta - ma dopo ci siamo accorti che quel suono non corrispondeva affatto a quello che gli
spettatori sono abituati a sentire nei
film e che, se lo avessimo utilizzato in scena, non lo avrebbero riconosciuto e, quindi, non si sarebbe ottenuto l’effetto voluto. Il rumore che
tutti conosciamo lo abbiamo ottenuto, invece, con due pezzi di legno e
un lungo riverbero…». Ricerche e
scoperte come questa contri-
buiscono a rendere la fase di
allestimento di uno spettacolo il
momento più interessante del
lavoro. «Discutere con i registi può
essere molto interessante», afferma
Torlai. «Per esempio con Langhoff
si fa un lavoro bellissimo, molto stimolante, anche se molto stressante.
Per Lotta di negro e cani ricordo
che mi aveva chiesto di riprodurgli
il rumore del vento. Io gli ho registrato il rumore di un po’ di venti
ma lui, dopo aver ascoltato, mi ha
detto che quelli erano venti siberiani, mentre gli serviva un vento africano. E aveva ragione, perché dopo
mi sono reso conto che il rumore dei
venti caldi è effettivamente diverso
da quello dei venti freddi». Adesso
le nuove tecnologie e internet,
in particolare, aiutano notevolmente questo lavoro di ricerca,
Teatro e Università
«Il teatro fa male? Fascinazione e negazione del teatro» è il titolo del ciclo d’incontri organizzato tra ottobre e marzo
nel foyer della Corte, con il coordinamento di Marco Salotti e la partecipazione di altri insegnanti dell’Università di
Genova. Un’occasione per riflettere, in compagnia degli studenti e di quanti vorranno partecipare (l’ingresso è libero)
sulla funzione e il ruolo del teatro in rapporto alle esigenze e alle aspettative dell’epoca e della società.
Il tabacco fa male? domandava il titolo di un monologo di Cechov. La risposta è oggi scontata, basta leggere invece che
fumare un pacchetto di sigarette. Alla domanda il teatro fa male? la risposta deve essere più articolata, perché dall’antichità al medioevo, dall’età barocca al secolo dei lumi, dal romanticismo al novecento non sempre la risposta è stata automaticamente scontata. Il teatro fa bene, anzi fa benissimo, soprattutto nei giorni nostri così bisognosi di un’ecologia dello
spettacolo. Certo il teatro è stato espressione della polis, festa e liturgia sacra, pulpito laico e divertimento, altare per gli
eroi e pedana borghese, gradinata per l’anima del popolo e tribuna dell’identità culturale… Ma il teatro è stato anche condannato come uno strumento del demonio, un commercio con il Maligno, una “dolce perversione”, un luogo insano per la
salubrità dell’anima e del corpo. Persino la maschera di Arlecchino puzza di zolfo. E Dioniso è il dio dell’ebbrezza e dell’invasamento. Il suo passaggio provoca il ribaltamento di tutti i valori sino al teatro-peste di Artaud. Nel 1697 viene demolito il teatro romano di Tordinona per “l’inconvenienza di un teatro stabile nella città santa”. Esultano gli animi più devoti allo spirito della Controriforma, ma anche le prostitute del centro di Roma, perché è stato distrutto un luogo di sleale concorrenza. Insomma la scena non ha avuto nei secoli vita facile e spesso gli uomini di teatro, da quelli più fragilmente esposti (come i comici dell’arte) a quelli già celebrati dai contemporanei (come Voltaire e Diderot) sono stati costretti a difendere l’illusione necessaria, o almeno benefica, dello spettacolo. Giovan Battista Andreini, autore della Centaura, che aveva
scomodato San Tommaso per difendere l’arte comica viene bollato come “un grande ignorante dei nostri tempi”in un trattato del 1604 contro le commedie lascive. Le accuse contro il teatro nell’età della Controriforma riprendono argomentazioni già sviluppate da Lattanzio, da Tertulliano, da Crisostomo e da altri scrittori della cristianità latina. La messinscena della
Centaura di Andreini, scritta “ per edificazione e per diletto”, è stata il punto di partenza per una riflessione sul secolare processo di accusa e di difesa nei confronti del teatro. Una polemica che si manifesta clamorosamente anche nel periodo
dell’Illuminismo con la celebre lettera di Rousseau contro la dimensione ludica del teatro, luogo inquinante della società.
Voltaire, Diderot e gli Enciclopedisti sono avvertiti: niente teatri nell’incontaminata Ginevra! Docenti e studenti della
Facoltà di Lettere dell’Università di Genova, registi e attori dello Stabile di Genova si incontreranno nel foyer della Corte per
presentare, attraverso la conoscenza storico-scientifica e l’esperienza della scena, la seducente ambiguità del teatro, le
opposte prospettive della sua fascinazione d’arte e della sua negatività. Il calendario degli incontri che si estendono dal
mese di ottobre a marzo, prevede l’intervento di docenti di storia del teatro, di letteratura cristiana antica, di letteratura
francese moderna, di drammaturgia del teatro greco. Gli incontri Teatro-Università raccolgono e sviluppano un’occasione
offerta da due spettacoli prodotti dallo Stabile che si pongono su una non casuale linea di continuità. La Centaura di
Andreini e L’illusion comique di Corneille sono anche un manifesto drammatizzato sull’arte della scena, sul suo eterno gioco
di finzione e realtà, sulla sua effimera e insieme forte resistenza della fantasia. Da un simbolico bestiario del teatro, più che
il gabbiano di Cechov utilizzato da Stanislavskij per il Teatro d’Arte di Mosca, bisognerebbe scegliere il centauro di Andreini:
un “monstrum”, ovvero un prodigio. Marco Salotti
CALENDARIO DEGLI INCONTRI (date da definirsi)
Marzo 2005:
Il passaggio di Dioniso nelle Baccanti
a cura di Margherita Rubino
(Teatro e drammaturgia dell’Antichità)
Maschera e personaggio nel teatro greco
a cura di Margherita Rubino
con Valeria Manari (scenografa e costumista)
Corneille e L’illusion comique
a cura di Pier Luigi Pinelli (Lingua e letteratura francese)
con Marco Sciaccaluga (regista)
Rousseau contro l’Enciclopedia
a cura di Pier Luigi Pinelli
Ottobre 2004:
Da La Centaura a Lolita nella messinscena di Ronconi
a cura di Franco Vazzoler (Letteratura teatrale italiana)
e Marco Salotti (Storia e critica del cinema)
Novembre 2004:
Giovan Battista Andreini e la difesa del teatro.
Edificazione, diletto e commedia lasciva
a cura di Franco Vazzoler
e Sandra Isetta (Letteratura cristiana antica)
Teatro e Controriforma.
Da Tertulliano alla dolce perversione del Seicento
a cura di Sandra Isetta
A L T R I
I N C O N T R I
A
D I C E M B R E
E
G E N N A I O
S O N O
D A
D E F I N I R S I
CLAUDIO TORLAI
perché molti suoni e rumori si
trovano già registrati. A volte,
però, non basta aver trovato il
suono giusto, perché bisogna
anche riprodurlo con effetti
particolari. Come per il Tito
Andronico «quando - ricorda avevamo sistemato cinquanta casse
acustiche in platea per riprodurre il
rumore di una cavalcata con il suono
di corni inglesi in sottofondo».
Durante l’allestimento bisogna
tenere conto, poi, anche di una
serie di fattori che nelle repliche
con il pubblico modificano la
resa acustica. «La presenza degli
spettatori in sala e il calore che “producono” cambiano moltissimo i
suoni, e il fonico deve tenerne
conto», spiega Torlai. «Purtroppo la
postazione del fonico, in teatro, di
solito è la peggiore dal punto di
vista acustico e, quindi, durante le
prove bisogna entrare e uscire continuamente per ascoltare, cambiare
qualcosa se serve, riascoltare».
Accanto ad una parte più creativa, che può essere anche molto
stressante quando non si riesce a
trovare quello che il regista
cerca, il fonico ha poi una serie
di compiti che richiedono
grande precisione e professionalità. «C’è chi dice che il fonico sia
un attore in più e in un certo senso
è così», spiega Torlai. «Durante uno
spettacolo, infatti, è compito suo far
sentire al momento giusto un rumore previsto dal copione, una voce
fuori campo, uno stacco musicale.
Servono molta freddezza e concentrazione, perché basta distrarsi un
attimo per fare subito non uno, ma
tre o quattro errori di seguito».
a cura di Annamaria Coluccia
ottobre | dicembre 2004
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12-10-2004
14:37
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8
A Ivo Chiesa e Ferruccio De Ceresa
I N T I T O L AT I
ottobre | dicembre 2004
IL
T E AT RO
DELLA
C O RT E
E UN VIALE NEI GIARDINI DI
BRIGNOLE
La targa stradale dedicata a De Ceresa e quella che nel foyer intitola a
Ivo Chiesa il Teatro della Corte sono
state scoperte con due cerimonie
distinte in una bella mattinata di settembre. Sulla prima, posta sotto un
grande platano, è inciso solo il nome
completo dell’attore genovese che ha
iniziato la carriera a Genova e vi è
tornato, dopo tante esperienze nazionali,legando il suo nome allo Stabile, insieme con la moglie Elsa
Albani (scomparsa da poco e promotrice di questa cerimonia). E sulla
lapide di marmo posta al centro del
foyer della Corte si legge: “A Ivo
Chiesa direttore per 45 anni del
Teatro Stabile di Genova da lui portato ai massimi livelli artistici, diffondendo in Italia e nel mondo cultura
e civiltà, la Città dedica questo
Teatro”. La figura di De Ceresa è
stata ricordata con belle parole dal
fratello Bruno e quella di Chiesa da
Maurizio Giammusso, autore del
volume sul cinquantenario dello
Stabile, mentre interventi semplici
e commossi sono stati fatti, tra gli
altri, da Massimo Chiesa, Mariangela Melato, Eros Pagni, Maurizio
Scaparro e Carlo Repetti.