LO STATO Università degli Studi di Milano-Bicocca Corso di Scienza della Politica ! ! ! A cura di: Vergani Jacopo, Masnari Fabio, Papykin Artëm TRATTAZIONE Introduzione allo Stato! Rassegna storica! Stato moderno! Stato sociale COS'È LO STATO? Lo Stato può definirsi come organizzazione di una comunità, in grado di prendere delle decisioni, in ultima istanza sovrane, in nome della comunità, sia nei confronti dei membri o dei gruppi interni a essa, sia nei confronti di altre comunità; è un ente dotato di potestà territoriale, esercitata a titolo originario, in modo stabile ed effettivo e in piena indipendenza da altri enti.! Alla parola Stato afferiscono due concetti diversi:! Stato-comunità: è formato dal popolo, stanziato su un territorio definito, che è organizzato attorno a un potere centrale (comunemente chiamato "Stato-nazione"); questo concetto è largamente impiegato nel campo delle relazioni internazionali;! Stato-apparato (o "Stato-organizzazione"): quel potere centrale sovrano, stabile nel tempo e impersonale (poiché esiste indipendentemente dalle singole persone che lo fanno funzionare), organizzato in possibili differenti modi, che detiene il monopolio della forza e impone il rispetto di determinate norme nell'ambito di un territorio ben definito; il termine è usato soprattutto nell'ambito del diritto internazionale. Tipicamente uno Stato è regolato da una Costituzione e da un ordinamento giuridico che definiscono i limiti dell'agire dei componenti dello Stato stesso nonché dei suoi cittadini.! Per Weber per Stato si deve intendere "un'impresa istituzionale di carattere politico in cui l’apparato amministrativo avanza con successo una pretesa di monopolio della coercizione della forza legittima in vista dell’attuazione degli ordinamenti".! Un'altra definizione è tentata da Tilly: "Un’organizzazione che controlla la popolazione occupante un determinato territorio costituisce uno Stato se e in quanto:! si differenzia rispetto ad altre organizzazioni che operino sul medesimo territorio;! è autonoma;! è centralizzata;! le sue parti componenti sono formalmente coordinate le une con le altre". RASSEGNA STORICA Il concetto e il termine stesso di Stato sono relativi a una particolare strutturazione del potere politico, come meccanismo centralizzato di sovranità territoriale, che in quanto tale appartiene a un’esperienza storica che si forma e si evolve in tempi relativamente recenti, a partire grosso modo dal 16° secolo. Infatti sia nella civiltà greca che nella romana il concetto di Stato non è definibile.! Si fa risalire a Machiavelli l’invenzione della parola nella sua accezione moderna, distinta da status in quanto ceto o condizione sociale, e correlata con la figura del Principe. Il Principe è la metafora delle grandi monarchie accentratrici che si legittimano sulla forza e sulla separazione della politica dall’etica e dalla religione. Per la fondazione dello Stato tutto è lecito, forza, astuzia, crudeltà. Ma una volta che lo Stato c’è, allora bisogna governarlo con spirito repubblicano (la repubblica romana è il modello da imitare), ossia con assoluto rispetto delle leggi, della libertà, della sicurezza dei cittadini. Grave errore è per il governante la violazione della legge, e la legge è, classicamente, anche educatrice dei cittadini. Il cittadino virtuoso è il cittadino probo, disposto a rinunciare al suo utile privato per il bene comune. Il cittadino tuttavia non partecipa al governo dello Stato, perché governare è affare di pochi, ma fruisce della sicurezza. Accanto alle buone leggi Machiavelli vuole le buone armi, milizia cittadina e non mercenaria. In seguito le teorie contrattualistiche, che sono alla base delle prime concettualizzazioni dello Stato moderno, presentano un’ambivalenza originaria: da un lato giustificano la nascita dello Stato assoluto, dall’altro si pongono come fondamenti di legittimazione del potere "limitato", che prelude alla nascita del costituzionalismo liberale. Il potere politico non emana dal sovrano, ma dalla società nel suo insieme, e il sovrano deve esercitarlo nel rispetto delle comunità minori che popolano la società.! Le teorie costituzionaliste nascono dal pensiero illuministico (cioè quello della moderna società borghese) che pone l’accento sulla società anziché sullo stato, sul lavoro produttivo anziché sulla politica: per il politico illuminista lo stato deve invece favorire il progresso dell’industria, il crescere della ricchezza, il commercio e i traffici; le forme di governo possono essere varie, e accettabili e criticabili a seconda del loro assolvere o meno di tali funzioni. L’Illuminismo è in questo antipolitico poiché rifiuta la concezione di Machiavelli che ritiene essenziale la forza e l’espansione dello stato.! Sia per Rousseau che per Kant lo Stato si fonda sulla sovranità del popolo e sulla divisione degli organi del potere. Accanto al potere sovrano o legislativo si trovano il potere esecutivo e quello giudiziario. Ma il potere esecutivo, cioè il governo, è sottoposto non solo alle leggi, che sono naturalmente opera del sovrano-legislatore, ossia del popolo, ma anche al controllo politico da parte di questo, che può deporlo o può riformare il tipo di amministrazione. Potere legislativo e potere esecutivo devono essere distinti; se sono nelle stesse mani si ha il dispotismo. Autonomo è anche il potere giudiziario, con giuria popolare nei tribunali. Secondo Hegel invece, teorico dell’etica, non è possibile uno Stato ideale, ma vi è uno stato moderno (quello in cui viveva) che deve rispecchiare effettive tendenze, in conformità con la concezione hegeliana della filosofia, come comprensione di una razionalità realizzata. Tale Stato è una monarchia costituzionale ereditaria, fondata sulla distinzione dei poteri. I poteri sono il potere legislativo, il potere governativo, il potere del sovrano. Nel potere del sovrano i poteri distinti si raccolgono in unità individuale. In realtà il monarca ha il potere di grazia e quello di nominare e revocare quanti ricoprono gli uffici più importanti dello Stato. Solo simbolicamente esso è l’organo delle decisioni ultime, perché in uno Stato bene ordinato il monarca sanziona dei contenuti anteriormente elaborati. L’autentico potere è quello dei funzionari, dei componenti il potere governativo, che accedono agli uffici a seconda delle loro attitudini.! Una visione differente è quella del socialismo. Infatti, non allo Stato ma essenzialmente alla società volgono la loro attenzione gli scrittori socialisti, i quali non riconoscono allo Stato una funzione autonoma, perché lo considerano uno strumento al servizio degli interessi predominanti nella società. Essi valutano lo Stato sotto un duplice profilo: nello Stato esistente vedono un semplice mezzo per la conservazione di un assetto sociale ingiusto, e dunque un fattore di oppressione; nello Stato futuro, cioè quello della società giusta da essi voluta, vedono un garante e un coadiutore di questa società. Alla politica subentra l’amministrazione, la società può fare da sé e farà da sé. Per Marx lo Stato è sempre uno strumento di oppressione: lo è lo Stato borghese perché serve soltanto all’esercizio del dominio, ma lo è anche lo Stato che seguirà alla rivoluzione (la dittatura del proletariato) perché opprimerà i nemici della rivoluzione. Tuttavia quest’ultimo Stato è democratico perché la dittatura è di classe e di maggioranza. L’idea dello Stato a servizio della società e garante della libertà del singolo torna negli sviluppi del pensiero liberale. L’importante è che lo Stato intervenga il meno possibile, che il singolo abbia una sufficiente sfera di liceità, non solo per le sue iniziative economiche, per il suo utile, ma anche per lo svolgimento della sua personalità culturale-morale. È necessario che la sovranità sia limitata, cioè si arresti di fronte ai diritti dell’individuo. Constant non ha difficoltà a rilevare che negli Stati moderni il popolo, che interviene a intervalli per eleggere i suoi rappresentanti, è sovrano solo in apparenza. L’importante è che in esso l’individuo possa operare e realizzarsi liberamente, possa perseguire le sue passioni, godere i suoi agi privati.! Una forte enfatizzazione dell’ufficio dello Stato e della stessa maestà dello Stato si è avuta nei teorici dello Stato autoritario, i quali hanno sostenuto che la società moderna ha bisogno di uno Stato forte e presente in tutti gli aspetti della vita dei cittadini. Per molti versi questi teorici riprendono le dottrine controrivoluzionarie anti-illuministiche e criticano individualismo e democrazia. Il singolo non ha alcun senso fuori dello Stato, e lo Stato ha una sua etica, ha fini propri di ordine nazionale e di ordine economico. Lo Stato non è un ente politicamente neutro, ma deve avere una sua ideologia e una sua politica assunta come giusta, perché ritenuta conforme agli interessi di tutto il popolo, perché volta verso l’ordine e la disciplina sociale di contro al "disordine" democratico. Sono perciò considerate inammissibili le libertà tradizionali (di stampa, di associazione ecc.) e si pensa a forme di partecipazione di tipo emotivo (raduni, acclamazioni, dedizione alla causa nazionale). Al contrario una concezione democratica dello Stato si ha in alcuni teorici che risolvono l’idea dello Stato in quella del diritto. Lo Stato altro non è che l’ordinamento giuridico: un insieme di norme, naturalmente valide ed efficaci. Il più tipico rappresentante di questo punto di vista è Kelsen. Egli distingue due forme di Stato, quella democratica e quella autocratica: nella prima i cittadini concorrono alla creazione dell’ordinamento giuridico, nella seconda ne sono esclusi.! In conclusione, giungendo ai giorni nostri, si parla sempre più spesso del rapporto stato-diritto e in particolare riguardo al diritto internazionale. Gli stati pur essendo enti complessi – apparentemente assimilabili alle persone giuridiche di diritto civile – sono in realtà ciò che le persone fisiche sono per il diritto interno: persone "date" o "reali", costituenti la base sociale della comunità internazionale, così come gli individui sono base sociale delle comunità nazionali; in tale accezione, lo Stato è un ente non determinato ma presupposto dal diritto internazionale, e la cui persona materiale consiste in un’organizzazione governativa indipendente, il popolo e il territorio configurandosi quali elementi esterni, sebbene collegati, alla persona dello Stato e di essa non costitutivi ma, al più identificativi. Le relazioni tra gli stati danno luogo alla Comunità internazionale; ed ogni stato è automaticamente soggetto del diritto internazionale (personalità internazionale), qualità che gli deriva non da un atto costitutivo della personalità, come è per le persone giuridiche di diritto interno, ma dalla mera esistenza (principio di effettività). Desuete sono infatti le teorie secondo cui lo Stato acquisterebbe personalità internazionale in conseguenza del riconoscimento da parte di altri Stati (riconoscimento di Stati e di governi). STATO MODERNO Pierangelo Schiera sostiene che lo "Stato moderno europeo" ci appare come una formula di organizzazione del potere storicamente determinata e, in quanto tale, caratterizzata da connotati che la rendono peculiare e diversa da altre forme, pure storicamente determinate e, al loro interno, omogenee di organizzazione del potere. L'elemento centrale di tale differenziazione consiste, senza dubbio, nel progressivo accentramento del potere secondo una istanza, sempre più ampia, che finisce col comprendere l’intero ambito dei rapporti politici. Da questo processo, fondato a sua volta sulla concomitante affermazione del principio della territorialità della obbligazione politica e sulla progressiva acquisizione della impersonalità del comando politico scaturiscono i tratti essenziali di una nuova forma di organizzazione politica.! Gli elementi essenziali contenuti in questa definizione sono:! Territorialità del comando. Il processo di costruzione dello Stato comprende, innanzitutto, un processo di accorpamento territoriale. Nel corso di una lunga e travagliata evoluzione, non solo i signori feudali, ma anche le chiese dovettero subordinarsi, almeno per quanto riguarda il potere temporale allo Stato. Le trasformazioni socio-economiche insieme alla rottura dell’unità politico-religiosa posero le basi per emergere di un nuovo soggetto, che si affermerà infatti con la perdita del potere temporale della chiesa e l’emergere di un potere sovrano. Il processo di costruzione degli Stati prevede la concentrazione del potere su uno specifico territorio. La stessa nozione di confine, come demarcazione netta tra due aree, è un concetto moderno, differente da quella medievale che prevede aree di "marca" dove molteplici sovrani potevano esercitare potere. Monopolio della forza legittima. L’accentramento del potere comprende, inoltre, l'attribuzione ad un’unica istanza del potere di usare la forza per difendere la comunità politica da attacchi esterni e per mantenere l’ordine interno, quando tale istanza può valersi del monopolio degli strumenti di potere a tali fini necessari. Nella classica definizione di Weber, l’elemento fondamentale che caratterizza lo Stato è il monopolio della forza legittima: si ha uno Stato quando un soggetto politico di carattere istituzionale è capace di rivendicare con successo, per la sua direzione amministrativa, il monopolio della forza legittima. L’obbedienza allo Stato è legata, in ultima analisi, al controllo della forza necessaria a sanzionare le violazioni. Il controllo della forza (o violenza) legittima è infatti l'elemento essenziale di quelle che vengono definite come forme minime di Stato, dove allo Stato è demandato il compito di garante dell’ordine pubblico. La burocrazia pubblica, all’inizio la Polizia, è lo strumento che permette di stabilire e mantenere questo controllo.! Impersonalità del comando. Nello Stato moderno, l’obbedienza al dominio politico non è tuttavia dettata tanto dalla paura della punizione, quanto da un senso di obbligazione morale, con un riconoscimento da parte di chi è soggetto a comando della legittimità del potere che viene esercitato. La legittimazione del sovrano viene dall’esistenza di una serie di regole riconosciute: l'uso della forza è controllato dalla legge. STATO SOCIALE Nel corso del XX secolo, i diritti sociali sono diventati, a poco a poco, parte integrante dei diritti di cittadinanza. Proprio nel secolo che si è appena concluso, si è assistito così alla evoluzione del Welfare State, o Stato sociale, alla cui base c’è proprio il concetto di cittadinanza sociale, come diritto per i cittadini di raggiungere un certo standard di vita indipendentemente dalla loro posizione sul mercato.! Il Welfare State cominciò ad essere identificato con l'espansione di servizi pubblici, l'imposta progressiva, la difesa dei diritti dei lavoratori, il minimo vitale, le pensioni, la politica di piena occupazione. Lo Stato sociale si presenta, dunque, come momento culminante della estensione dei diritti di cittadinanza. Se le leggi sui poveri rappresentano i primi sforzi di costruzione degli Stati nell'Europa del XVI secolo, il Welfare State accompagna la trasformazione degli Stati assolutisti in democrazie di massa. Mentre lo Stato liberale assegnava prevalentemente agli individui il compito di assistenza, il Welfare State comporta invece un'assicurazione obbligatoria, insieme al riconoscimento di una certa responsabilità da parte dello Stato. Fra i principali elementi del nuovo sistema vi sono l'universalità delle prestazioni e la partecipazione dei beneficiari al finanziamento del sistema. Il budget di spesa sociale degli Stati è tendenzialmente cresciuto dagli anni sessanta alla metà degli anni novanta, spesso più che raddoppiando di valore. I diritti sociali sono stati interpretati come un prodotto dello sviluppo della borghesia. Nell'analisi del Welfare State, alcuni studiosi sottolineano una sorta di logica interna al processo di industrializzazione, considerando servizi e sussidi come prodotti collaterali dello sviluppo economico, che li rende non solo possibili ma anche necessari. Se la crescente produttività permette di investire più risorse per il benessere dei cittadini, la riduzione di fonti di solidarietà (come la famiglia allargata o la chiesa), la maggiore longevità legata alla ricchezza, l’urbanizzazione, lo sviluppo tecnologico, il bisogno di forza lavoro qualificata sono tutti elementi che premono per un maggiore intervento dello Stato.! Simile è l'ipotesi marxista che sia il capitalismo avanzato a richiedere che lo Stato si faccia carico della riproduzione sociale, a fini sia di accumulazione sia di legittimazione: la "riproduzione sociale" include il bisogno di formare lavoratori salariati motivati e capaci, il bisogno di permettere agli impiegati e alle loro famiglie un consumo adeguato di beni e servizi per la riproduzione quotidiana e generazionale, il bisogno di preservare l’ordine politico-economico di fronte ad un possibile scontento rispetto al destino degli emarginati, degli invalidi, malati e anziani, che sono necessariamente presenti nelle economie di mercato, ma che non possono essere prese in carico dalle famiglie. Secondo un’altra interpretazione, invece, lo sviluppo del Welfare State è stato determinato dalla lotta delle classi più deboli sul mercato, potendo essere spiegato a partire dalla forza dei sindacati e dei partiti della sinistra, e in particolare del potere che essi sono riusciti a gestire. La creazione di potenti organizzazioni sindacali è stata definita come una precondizione per ridurre le divisioni interne ai lavoratori ed accrescere il loro potere, mettendoli in grado di sfidare il funzionamento delle democrazie capitaliste. Secondo questa ipotesi, Welfare State forti sono stati storicamente costruiti da partiti politici di sinistra in alleanza con le organizzazioni dei lavoratori. È soprattutto quando la classe operaia, attraverso i suoi partiti, conquista un accesso diretto alle istituzioni che lo Stato può essere trasformato in uno strumento di redistribuzione di beni e servizi e di regolamentazione delle condizioni di lavoro.! Le ultime trasformazioni nel mondo occidentale, guidate dal crescente turbo-capitalismo, stanno disgregando i vecchi fondamenti dello stato sociale, portando alla formazione di uno stato in cui è il mercato (riprendendo la teoria della mano invisibile smithiana) a guidarne scelte politiche, economiche, amministrative e militari, con la creazione di cittadini sempre meno tali ma sempre più "consumatori globali". Alcuni economisti, come Carlo Pelanda, hanno teorizzato e auspicato la nascita di uno "Stato della Crescita" in cui le garanzie passive del welfare state vengano sostituite in investimenti sulla persona, intesa come formazione del capitale umano.