Der Erste Weltkrieg an der Grenze – La Grande Guerra ai confini

Convegno annuale dell’Arbeitskreis Historische Friedensforschung –
Centro di competenza Storia regionale
Der Erste Weltkrieg an der Grenze –
La Grande Guerra ai confini
1. Gli spazi della guerra e i loro confini:
Secondo Christoph Nübel (Berlino) la potenza di fuoco raggiunta dai nuovi armamenti influenzò
radicalmente sia il terreno di battaglia che la dislocazione delle truppe, la cui libertà di movimento
venne molto limitata. Risultò impossibile operare manovre tattiche allo scoperto. Nasce così la
guerra di trincea[1].
 Gundula Gahlen (Berlin) Esperienze di confine e di spazio di combattenti tedeschi in
Romania 1916-1918
Per la prima volta nella storia la popolazione civile è pienamente coinvolta nelle operazioni belliche
e ne prende attivamente parte. Il fronte rumeno ad esempio fu innanzitutto un conflitto di confine
tra rumeni, ungheresi, bulgari e tedeschi, dato che minoranze etniche appartenenti a ognuna delle
parti in causa vivevano in ciascuno dei territori contesi. In questa frammentazione etnico-territoriale
si insinua la sensazione della minoranza come potenziale pericolo in quanto spia del nemico, da
tenere sorvegliata ed eventualmente da reprimere[2].
 Hannes Leidinger (Wien) Il confine russo-austriaco come spazio percettivo nelle fonti
iconografiche imperial-regie 1914-1918
Una delle testimonianze primarie lasciateci dalla guerra al fronte sono le fonti iconografiche. Della
guerra in Galizia ad esempio ci sono pervenute moltissime fotografie e filmati che non sempre
hanno fini propagandistici. Il più delle volte si tratta di fotografie amatoriali scattate per
documentare l’andamento della guerra, raccontare la vita dei soldati in trincea e immortalare
paesaggi. A queste fotografie e cartoline è contrapposto il materiale fotografico raccolto
dall’esercito tedesco sul fronte baltico. Dal confronto emerge chiaramente l’intento dei fotografi
germanici non di documentare, bensì di trasmettere l’idea di un paesaggio selvaggio e incolto, di un
territorio che deve essere conquistato e civilizzato sull’esempio di quanto fatto da Carlo Magno con
i sassoni e dai cavalieri teutonici con le popolazioni pagane. I fini propagandistici di queste
immagini sono chiarissimi. Esse non servono a raccontare in patria quanto accade al fronte, bensì
seguono l’intento di promuovere l’idea di una missione civilizzatrice da parte della Germania, piena
di rimandi nazionalistici e razziali sulla superiorità degli imperi centrali rispetto agli slavi[3].
 Werner Suppanz (Graz) “Ciò che non è ungherese, non è paese confinante ma è proprio
stiriano”. I volantini di guerra “Heimatgrüße” come mezzo di costruzione dello spazio e del
confine
Un'altra importante testimonianza è costituita dai cosiddetti “Heimatgrüße”, i volantini che
venivano stampati sia per i combattenti al fronte che per i lettori in patria. Recentemente il sito
Europeana 1914-1918[4] ha raccolto e reso consultabili tutti i volantini e immagini raccolti in
quattro anni di guerra. L’intento di questi volantini era quello di mantenere vivo e rafforzare il
legame degli uomini al fronte con la loro “Heimat”. Nell’impero Asburgico ad esempio,
quest’operazione era gestita da associazioni come i “Vereine für Heimatschutz”. Da questi volantini
traspare l’ambivalenza ma al contempo l’interdipendenza tra fronte, visto come realtà prettamente
maschile da conquistare, e la patria, una realtà femminile, una madre fedele da difendere. Il
totalizzarsi della guerra offre l’occasione per rafforzare il sentimento nazionale e veicolare l’idea di
una guerra dei tedeschi contro i non tedeschi[5].
2. Gli spazi di occupazione e i loro confini
 Christian Westerhoff (Stuttgart) Percezione e politica. L’importanza degli stereotipi
nazionali nella politica tedesca della forza-lavoro e dell’occupazione in Polonia e Lituania
Quest’area tematica si è aperta con l’intervento di Christian Westerhoff sulla percezione politica e
l’importanza degli stereotipi nazionali nella politica tedesca della forza-lavoro e dell’occupazione in
Polonia e Lituania. Mentre la prima veniva percepita come un continuum territoriale del suolo
tedesco e i suoi abitanti come assimilabili alla cultura mitteleuropea, l’area baltica veniva percepita
come “terra incognita”, come una colonia da esplorare e conquistare. Questi presupposti
determineranno differenti politiche di occupazione nelle due aree. Mentre il territorio polacco sarà
gestito da un’amministrazione civile, le regioni baltiche, in quanto aree di operazioni militari,
saranno soggette a un’amministrazione militare sotto la quale l’economia e la società locale saranno
interamente messe a servizio della guerra[6].
 Gustavo Corni (Trento) I confini dell’occupazione. L’occupazione austro-germanica del
Friuli e del Veneto orientale 1917-1918
In seguito alla sconfitta di Caporetto, l’intero Friuli e gran parte del territorio Veneto si trovarono
sotto l’occupazione dell’Austria-Ungheria. A una prima fase di saccheggi incontrollati, seguirono
tentativi di razionalizzare lo sfruttamento intensivo delle risorse del territorio e della popolazione.
Tuttavia in seguito alla crisi in madrepatria, le truppe austroungariche si trovarono senza alcun
rifornimento dalle retrovie, per cui negli ultimi mesi di guerra il carattere di rapina dell’occupazione
si accentuò.
 Petra Svoljšak (Ljubljana) La politica etnica dell’occupazione italiana nei territori occupati
sloveni (1915-1917)
La politica di occupazione italiana nei territori sloveni nei primi mesi di guerra viene vista fin da
subito come un periodo preparatorio per la futura annessione dei territori “irridenti” nel regno
d’Italia. Qui il problema dell’identità nazionale è centrale, poiché fin da subito ai sospetti di
spionaggio nutriti nei confronti della popolazione seguirono ordini di evacuazione, internamenti e
arresti, fucilazioni e due decimazioni della popolazione civile. Per alcuni settori della vita pubblica,
in rispetto alla convenzione dell’Aja, venne mantenuta l’amministrazione austriaca, tuttavia nel
settore scolastico, toponomastico ed economico vennero introdotti provvedimenti volti
all’italianizzazione di questi territori[7].
3. Realtà regionali di confine
 Bernhard Liemann (Münster/Gent) Rifugiati e contrabbandieri. Passaggi di confine tra
Belgio, Olanda e Germania 1914-1918
Per tutto l’arco del conflitto l’Olanda riuscì faticosamente a mantenere la propria neutralità, pur
trovandosi tra il Reich tedesco e il Belgio occupato. Per assicurarsi un controllo ferreo sui suoi
confini, il governo olandese potenziò i controlli e le norme che regolamentavano le sue frontiere,
introducendo massivamente documenti di identità, passaporti, lasciapassare e permessi di
esportazione. Per la popolazione del confinante Belgio, i Paesi Bassi rappresentavano un’isola di
pace e sicurezza. Coloro che abitavano sul confine approfittarono di questa situazione per fare
grossi profitti. Nonostante i controlli rigorosi, negli anni si svilupparono delle vere e proprie reti
transazionali di contrabbando di generi alimentari, giornali e benzina.
 Wolfgang Weber (Dornbirn) Un neutrale, tre amici, quattro confini: il Vorarlberg nella
prima guerra mondiale
Il Vorarlberg fu dal 1861 un territorio autonomo della monarchia asburgica amministrato
congiuntamente con la contea tirolese da un governatore che risiedeva a Innsbruck. Essendo una
realtà di confine tra quattro regioni, essa vide mutare negli anni di guerra le sue politiche di
frontiera. Sul confine interno con il Tirolo fu istituita una pattuglia di controllo, incaricata di far
attendere fino a dieci giorni per accertamenti e controlli coloro che volevano passare dall’Arlberg.
La frontiera con il Lichtenstein fu parzialmente chiusa dalle autorità del principato, nonostante un
accordo di libero scambio firmato nel 1852, poiché i contadini lichtensteinesi avevano provocato
una forte crisi economica interna. Essa fu causata dalla vendita dei loro prodotti a prezzi maggiorati
presso il vicino mercato austriaco di Feldkirch. Ciò causò un conseguente aumento dei prezzi anche
nel principato che portò all’impoverimento di molte famiglie. La frontiera con il Reich tedesco
invece, importantissima per i rifornimenti alimentari, fu chiusa dalle autorità del Vorarlberg solo nel
momento in cui, negli ultimi anni di guerra, emissari di movimenti rivoluzionari provenienti dalla
Baviera furono arrestati presso Bregenz. Per ultima la frontiera con la neutrale Svizzera restò molto
permeabile lungo tutto il conflitto, non solo per consentire ai lavoratori o contadini austriaci di
recarsi oltreconfine per curare i loro interessi, ma anche per effettuare scambi di prigionieri e
infiltrare spie.
 Martin Zückert (München) I Carpazi come spazio di confine. Percezione e conseguenze
dell’inverno di guerra 1914-15 nella regione montuosa del nord dell’Ungheria
I Carpazi rappresentano un’area montuosa di estrema importanza dal punto di vista strategico. Il
controllo dei passi avrebbe permesso all’esercito austro-ungarico di organizzare la riconquista a est
della Galizia, per contro all’impero zarista di invadere la grande pianura danubiana a ovest. Più che
i combattimenti furono le condizioni climatiche estreme a causare la morte di migliaia di soldati su
entrambi i fronti. La complessità etnico-religiosa e politica di questa regione ha fatto sì che le
conseguenze della guerra, che lasciò profonde cicatrici sia sul territorio che tra la popolazione, si
perdessero tra le pieghe della grande storia. A differenza del fronte alpino, dove a ricordo degli
scontri sorsero monumenti e luoghi della memoria, la scomparsa dei due attori principali di questo
conflitto, la Russia zarista e l’impero asburgico, determinò una sorta di oblio dei fatti che qui si
svolsero.
4. Etnicità e identità nel contesto delle regioni di confine
 Volker Prott (Tübingen) Un problema “assolutamente irrisolvibile”: la regione di confine
dell’Alsazia Lorena nella prima guerra mondiale
A partire dal 1° agosto 1914 il Kaiser diede mano libera alle autorità militari tedesche di iniziare la
germanizzazione coatta dei territori dell’Alsazia-Lorena. La lingua francese fu vietata nei luoghi
pubblici. Chi era sospettato di rappresentare una potenziale minaccia venne preso in consegna o
deportato in Germania. Questa politica portò presto a un’esasperazione degli animi e scavò un
profondo solco tra la popolazione e le autorità tedesche. Per contro l’occupazione francese
dell’Alsazia superiore non si fondava sulla dicotomia tedesco-nemico, francese-amico. Essa era tesa
a distinguere tra popolazione residente e persone germanofone di recente immigrazione. Esse erano
sì guardate con sospetto, ma ci si impegnò prima di tutto ad accattivarsi la loro fedeltà piuttosto che
accentuare il loro sospetto nei confronti della nuova amministrazione. Questo spiega anche perché
la Francia riuscì a ricostituire l’unità nazionale in un’epoca caratterizzata da forti spinte nazionaliste
nei territori persi nel 1871.
 Marco Mondini (Trento) Fratelli irredenti, sudditi fedeli o nemici. La Grande Guerra e la
doppia militarizzazione del Trentino
La storia del Trentino tra 1914 e 1918 è caratterizzata da un’ambiguità di fondo. Provincia
compattamente italofona, e considerata dalle autorità centrali di Vienna come terreno di possibili
manifestazioni ostili all’ingresso in guerra (o quantomeno di probabili fratture nel consenso e nella
risposta della popolazione maschile alla chiamata alle armi), il Trentino risponde al contrario alla
crisi di luglio del 1914 con disciplina, anche se senza alcun entusiasmo. Il tasso di renitenza, anche
tra i lavoratori all’estero, è bassissimo e quello di diserzione pressoché nullo. Fanno eccezione i
fuoriusciti in Italia, una comunità di alcune migliaia di individui, in parte tradizionalmente residenti
nel Regno d’Italia per questioni di lavoro, in parte comunità militante di irredentisti. Tuttavia, a
fronte dei 55.000 italofoni arruolati nell’Esercito Comune e nella Landwehr, gli irredentisti non
rappresentano che un’esigua minoranza. Tuttavia è alla visibilità e alla minaccia (del tutto virtuale)
rappresentata da quest’esigua minoranza che, paradossalmente, guardano le autorità asburgiche
dopo il 24 maggio 1915. La comunità italofona del Trentino (che aveva fino ad allora dato alla
monarchia oltre 10.000 giovani vite di caduti o dispersi sul fronte galiziano) viene percepita come
un’entità compattamente sospetta e potenzialmente traditrice. La militarizzazione del Trentino, con
il conferimento dei pieni poteri all’autorità militare e la sospensione delle garanzie civili, comporta
l’assunzione che ogni civile di lingua italiana, indipendentemente dalla sua collocazione politica,
costituisca una minaccia: di qui la deportazione coatta di una massa di circa 75.000 individui (più o
meno un quinto della popolazione), in larga parte costituita da donne, bambini, anziani e inabili al
servizio militare, nell’interno della monarchia. I destini delle vittime di questo esodo forzato sono
diversi: gli abili al lavoro verranno impiegati come manodopera a basso costo per sostenere la
traballante economia di guerra austro-ungarica, gli inabili sono raccolti in ampi campi di
concentramento (pur essendo teoricamente liberi). Un segmento più piccolo di alcune migliaia di
maschi adulti, sostanzialmente tutta la classe dirigente italofona della provincia, viene internato,
sorte a cui sfuggono fortunosamente pochi anche tra i rappresentanti eletti al Parlamento. Comune a
tutti è la deliberata volontà da parte delle autorità politiche e militari preposte alla deportazione di
disperdere per quanto possibile le comunità d’origine. Valli e villaggi vengono frammentati e
avviati in distretti diversi, e talora anche i nuclei familiari subiscono una forzosa e spesso violenta
separazione: il tratto caratteristico della militarizzazione asburgica nel Trentino del 1915-1918 è
dunque lo sradicamento delle popolazione, la disgregazione delle sue reti sociali e l’applicazione
rigorosa di una politica punitiva. D’altra parte un’esperienza non del tutto dissimile appartiene
anche ai residenti rimasti nelle porzioni di territorio conquistate dall’esercito italiano tra il maggio
1915 e la primavera 1916. Nonostante i toni della mobilitazione culturale e l’icona, ampiamente
diffusa in Italia, di una marcia trionfale nelle terre “irredente” liberate, i rapporti tra esercito e
italiani delle nuove province non furono semplici. In parte ciò discese da una militarizzazione del
territorio estremamente rigida e non dissimile da quella esperita dagli altri distretti rientranti nella
vasta “zona di guerra” proclamata nel maggio 1915, in parte dalla diffidenza dei comandi militari
italiani nei confronti degli ex sudditi austro-ungarici. La spia più evidente di questa non felice
“doppia militarizzazione” fu il processo di deportazione che anche i trentini “liberati” dovettero
subire, particolarmente nel momento in cui l’esercito italiano si ritirò dai territori conquistati, nella
primavera 1916 e soprattutto nell’autunno 1917. 35.000 trentini italofoni furono “evacuati” e
trasferiti nell’interno del Regno d’Italia. A loro vanno aggiunte le molte migliaia di prigionieri già
appartenenti all’armata austro-ungarica catturati in Russia e parzialmente liberati, in base ad un
accordo tra governo zarista e italiano, già dal 1915. I “nuovi italiani” liberati, in tutto circa 10.000,
affrontarono un complesso itinerario di ritorno, nel corso del quale sperimentarono diversi
mutamenti di status (da prigionieri “austriaci” a italiani liberati a soldati italiani), ma questo non
garantì loro una identità stabile: arrivati nella Penisola, alcune migliaia furono internate nei campi
di detenzione del sud e dell’Asinara, riservati ai prigionieri di guerra austriaci, prima di essere
infine riconosciuti come “nuovi cittadini”.
 Ota Konrad/Rudolf Kucera (Prag) Violenza ed etnicità tra monarchia e repubblica. La
regione di confine boema di Reichenberg/Liberec 1914-1920
 Christoph Brüll (Lüttich) “Tedesco-prussiano” e “vallone”: sulle problematiche identitarie
della “Malmedyer Wallonie” nella prima guerra mondiale
 Stephan Lehnstaedt (Warschau) Nuove minoranze per l’Impero? Le potenze centrali e le
etnie nel Regno di Polonia
 Andrzej Michalczyk (Bochum) Nazionalizzazione e politicizzazione delle masse in un’era
pericolosa. Esperienze e vita quotidiana nella società dell’Alta Slesia 1914-1921
 Deniza Petrova (Berlin) Spazio, confini e popolazione della Dobrugia nella prima guerra
mondiale
5. Pace e guerra nelle esperienze e nell’immaginazione di regioni di confine
 Matteo Ermacora (Venezia) Pace, guerra, disincanto in una regione di confine. Friuli
1914-1917
1. L’intervento si propone di ricostruire lo «spirito pubblico» nella regione di confine del Friuli
(all’epoca provincia di Udine), divenuta nel primo conflitto mondiale territorio «retrovia» del
fronte, con particolare attenzione al tema della «pace». L’analisi si dipana dall’agosto-settembre
1914 fino alla rotta di Caporetto (ottobre 1917). Da questo momento in poi la provincia diventa
territorio occupato e poi «liberato», situazione che apre una serie di problemi, in larga parte inediti,
rispetto alla prima fase del conflitto. In una regione di confine come quella friulana, con una forte
interdipendenza con gli Imperi Centrali in virtù di imponenti flussi migratori, i riflessi dello scoppio
del conflitto europeo si fecero sentire sin dall’agosto del 1914; il rientro degli emigranti costituì una
sorta di epocale «cesura» per l’equilibrio economico, generando un vero e proprio «trauma» cui la
popolazione reagì con tumulti ed agitazioni, di per sé inediti, conseguenza di uno stato di profonda
crisi che metteva in dubbio l’esistenza e il futuro di vasti segmenti della popolazione. La presenza
socialista tra i lavoratori diede alla rabbiosa protesta non solo simboli e parole nuove («pane e
lavoro» «pace»), ma anche un’inedita capacità di organizzazione e di proposta derivante dal lungo
percorso organizzativo. 2. L’avvio della guerra pone alcuni problemi relativi alle fonti. Le voci delle
classi popolari (“Il Lavoratore Friulano”, socialista, ma anche il cattolico “Il Corriere del Friuli”)
vengono silenziate o pesantemente censurate; la militarizzazione del territorio, la normativa di
guerra, la mobilitazione militare ed economica di fatto soffocarono qualsiasi voce dissonante, così
come il ravvio dell’economia regionale in seguito alle necessità delle truppe riuscirono ad attenuare
la disoccupazione dilagante e a sanare la crisi dell’anno della neutralità. Una guerra dunque
condivisa o subita? Il nuovo equilibrio si ruppe, con modalità e tempi diversi tra il 1916-1917,
quando la massiccia presenza dell’esercito, la lunghezza del conflitto iniziarono a intaccare lo
spirito pubblico, forse prima in città (Udine, Pordenone) che in campagna, dove la società era
fortemente femminilizzata e sottoposta a una intensa mobilitazione nei lavori agricoli con il
supporto di parroci e grandi proprietari terrieri. La stampa, le sentenze dei tribunali (Pretura di
Udine, Tribunale di Udine), i diari dei parroci devono essere rilette alla luce del mutamento della
mentalità di operai e contadini, per evidenziare l’emergere di (flebili) voci di aperto dissenso (pur
significative in una «regione-caserma») e più ampiamente dei segnali di nervosismo che si
manifestano nella popolazione mano a mano che la guerra procedeva. 3. L’ipotesi che si vuole
verificare è la seguente: più che da un’acculturazione politica (presente tra gli operai militarizzati al
fronte o nelle fabbriche ausiliarie all’interno del paese), in questa regione prevalentemente rurale, il
desiderio di pace – o meglio – la stanchezza della guerra traggono origine dalla presenza
«ingombrante» dell’esercito, e dalla concorrenza tra esercito e popolazione per le risorse locali;
limitazioni alla circolazione, fruizione ed espropriazione degli spazi, la contesa e sfruttamento
intensivo delle risorse diventano motivi di scontro e nel contempo «spie» importanti di dissenso e di
desiderio di pace altrimenti poco evidente e/o censurato dalle principali fonti di informazione
improntate allo sforzo patriottico. In quali occasioni nasce il dissenso? Con quali «tempi» si
manifesta la stanchezza nelle diverse categorie sociali? Quanto sono importanti la dimensione
temporale (la lunghezza del conflitto), la dimensione dello «spazio/risorsa contesa» e quella
«politica»? Il desiderio di pace – pace immaginata, poco esplicitata appare formalizzata sotto forma
di stanchezza, di fuga, di nervosismo. 4. Un altro versante di indagine è dato dalle percezioni e dalla
circolazione delle «voci» e delle notizie che dal fronte giungevano nelle retrovie; le comunità della
provincia si trovarono isolate rispetto al fronte e al paese, e nello stesso tempo protagoniste di un
continuo sconvolgimento sociale, determinato da soldati, viaggiatori, curiosi. Nell’impossibilità di
esprimersi senza incorrere nei provvedimenti repressivi, sono i soggetti «esterni» alle comunità –
profughi dell’Isontino, soldati, operai che giungono da «fuori» - a manifestare la stanchezza per il
conflitto oppure ancora le donne, categoria apparentemente marginale della «società in guerra». In
questa prospettiva è importante individuare e articolare le espressioni del dissenso femminile,
dall’accoglienza e rifugio dei disertori dall’aperta agitazione (ad es. rifiuto alla coltivazione, rifiuto
dei sussidi presso i municipi). Nell’impossibilità di un’aperta protesta – come avvenne all’interno
del Paese – il carico di tensioni si manifestò nella forma di paure e di «false notizie», come nel caso
dell’esplosione del deposito di munizioni di San Osvaldo, alla periferia di Udine, avvenuto
nell’agosto del 1917, evento in grado di generare diversi episodi e «psicosi» collettive che trovano
fertile diffusione tra la popolazione provata dallo sforzo bellico.
 Tina Bahovec (Klagenfurt) “Noi non desideriamo solo la pace tra gli Stati ma anche la
riconciliazione dei popoli”. Discorsi pacifisti in Carinzia/Koroška 1917-1920
 Werner Wintersteiner (Klagenfurt) Spazi e sogni di confine. Confini di guerra immaginari
e reali nell’area alpino-adriatica
[1]
https://www.unibz.it/it/public/research/zefuer/Documents/AbstractBbel.pdf
[2]
https://www.unibz.it/it/public/research/zefuer/Documents/Abstract_Gahlen.pdf
[3]
https://www.unibz.it/it/public/research/zefuer/Documents/Abstract_Leidinger.pdf
http://www.europeana19141918.eu/da/europeana/record/9200231/BibliographicResource_2000092034267
[4]
[5]
https://www.unibz.it/it/public/research/zefuer/Documents/Abstract_Suppanz.pdf
[6]
https://www.unibz.it/it/public/research/zefuer/Documents/Abstract_Westerhoff.pdf
[7]
https://www.unibz.it/it/public/research/zefuer/Documents/Abstract_Svoljsak.pdf