De Anima e parva naturalia - Appunti del prof. Armando

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Fisica e metafisica
La Fisica, in 8 libri, tratta della teoria del movimento e della suddivisione del cosmo, mosso dal
Primo Motore, ossia Dio; a quest'opera si appaia il trattato in 4 libri Sul cielo, insieme alla
Meteorologia, ugualmente in 4 libri. Dedicati a problemi generali inerenti la biologia sono il Su
generazione e corruzione, in 2 libri, e il trattato in 3 libri Sull'anima.
Alla zoologia Aristotele dedica vari trattati, in cui le osservazioni competenti e dirette derivano dal
suo interesse per l'anatomia comparata e dalle vaste raccolte inviategli da Alessandro dalla
spedizione asiatica: opera principale di questo gruppo è la Storia degli animali, in 10 libri (ma
forse gli ultimi 4 sono spuri), seguita e completata da Sulle parti degli animali (4 libri), Sul
movimento degli animali,
Sull'andatura degli animali e l'ampio Sulla generazione degli animali (5 libri).
Una serie di brevi opere è raccolta sotto il titolo latino di Parva Naturalia, ossia "piccoli scritti
naturali", e comprende opuscoli sulla sensazione, sulla memoria, sui processi onirici, sulla
respirazione e sulle fasi della vita.
Seguiva, nell'edizione antica, una raccolta di scritti sulla "filosofia prima", che proprio per la
posizione nell'edizione completa degli scritti di Aristotele (metà tà physikà, "dopo le opere di
fisica") prende il nome di Metafisica. L'opera, in 13 libri, è una congerie di lezioni tenute da
Aristotele sui princìpi primi e sulla sostanza: dopo un'introduzione sul pensiero precedente, una
sorta di "storia della filosofia" cui è legata la trattazione di cosa sia la filosofia "prima" (I-V), segue
la trattazione della sostanza (VI-VIII) e quella di Dio come motore immobile (IX-XIII).
Ordinamento del corpus aristotelico
Il corpus di Aristotele curato da Andronico risulta organizzato, allora come
oggi, nei seguenti gruppi di opere:
1) gli scritti logici, noti a partire dal VI secolo d.C. con il nome complessivo di
Organon: Categorie, Dell’interpretazione, Primi Analitici, Secondi Analitici,
Topici, Confutazioni sofistiche;
2) gli scritti ‘metafisici’ (l’espressione tà metà phusiká, «le dottrine che vanno
oltre il sapere fisico-scientifico», si deve ad Andronico), riuniti sotto il titolo
complessivo di Metafisica, 14 libri che non formano in realtà un trattato
unitario e che furono redatti in periodi assai diversi;
3) scritti di scienze naturali: Fisica (i cui 8 libri non costituiscono un trattato
unitario, ma la raccolta artificiosa di operette per lo più autonome), Sul cielo,
Sulla generazione e sulla corruzione, Meteorologia;
4) scritti zoologici: Ricerche sugli animali, Parti degli animali, Sulla generazione
degli animali, Sulla locomozione degli animali, Sul moto degli animali;
5) scritti psicologici: in particolare il trattato in tre libri Sull’anima;
6) scritti psico-fisiologici noti come Parva naturalia: Sul senso e sui sensibili,
Sulla memoria, Sul sonno, Sui sogni, Sulla divinazione nel sonno, Sulla
lunghezza e la brevità della vita, Sulla vita e sulla morte, Sulla respirazione;
7) scritti di filosofia pratica: in particolare i 10 libri dell’Etica Nicomachea e gli 8
libri della Politica (di paternità discussa i sette libri dell’Etica Eudemea e i 2 libri
della Grande Etica);
8) scritti di estetica letteraria: la Poetica (un libro; si discute ancora
sull’esistenza in antico di un ‘secondo libro’ dedicato alla commedia e al
comico) e la Retorica.Accanto a queste opere, sono giunti sotto il nome di
Aristotele un numero consistente di scritti che si possono attribuire talvolta alla
scuola peripatetica, talaltra forse a deliberate falsificazioni: basti ricordare i
trattati Sul cosmo, Sui colori, Sulle piante, Sulle linee indivisibili, Sulle posizioni
e i nomi dei venti, Sull’economia, Sulle virtù e i vizi; opere senz’altro extraaristoteliche, ma di notevole rilevanza, sono il trattato Su Melisso, Senofane e
Gorgia (prezioso per le testimonianze relative all’eleatismo) e la Retorica ad
Alessandro (da attribuirsi probabilmente ad Anassimene di Lampsaco, seconda
metà del IV secolo a.C.).Risale infine al 1890 la scoperta del papiro contenente
la Costituzione degli Ateniesi, importantissimo trattato sulla storia delle
istituzioni attiche che faceva parte di un progetto peripatetico comprendente la
raccolta delle politêiai greche (cioè delle costituzioni, delle leggi, delle norme
istituzionali relative alla maggior parte delle poleis greche): si tratta di un testo
fondamentale per la conoscenza della storia di Atene.
Non minore importanza ebbero le ricerche documentarie condotte da Aristotele
e dai suoi allievi sulle Liste dei vincitori olimpici e dei vincitori pitici, nonché
sulla Didaskalíai relative ad Atene (elenchi cronologici dei vincitori negli agoni
drammatici, con corredo di altri dati circostanziali): le une e le altre dovettero
costituire un documento di primaria importanza per i filologi alessandrini e per
le loro ricerche in àmbito cronografico e storico
Partiamo proprio dai Parva Naturalia che, composti in una fase intermedia, rivestono assieme agli
altri scritti di filosofia della natura appartenenti all’ultimo periodo ateniese, come il De generatione
et corruptione, la Historia animalium o il De partibus animalium, un ruolo storico molto importante.
Gli studi condotti sulla biologia, la genetica, la fisiologia degli animali, la meteorologia, infatti,
costituiscono la testimonianza del un nuovo interesse per la ricerca sperimentale e per la raccolta di
dati empirici, che hanno portato allo sviluppo di una nuova concezione della scienza.
Sotto il profilo della dottrina etica e psicologica, i riflessi della metafisica
aristotelica si traducono in una teoria dell’anima come organizzazione
gerarchica di facoltà (dalla vegetativa alla razionale, attraverso la sensitiva),
che prevede peraltro l’elaborazione di una psicologia della percezione, di una
dottrina dei desideri o appetiti, e in una teoria della prassi che parte dal
fondamento di un moderato eudemonismo e che si risolve in un’esaltazione
della razionalità come base della morale (e della stessa prassi politica, di cui
Aristotele, perfezionando e mitigando Platone, fornì la prima teoria compiuta, e
con essa un insieme di tecnicismi terminologici destinati a lunghi fortuna). Di
straordinaria importanza anche il contributo di Aristotele e dell’aristotelismo nel
campo della biologia, della zoologia, della fisiologia, al punto che le nozioni
aristoteliche costituirono una sorta di ‘enciclopedia scientifica’ per tutta
l’antichità e il medioevo, e che la stessa idea di ‘ricerca scientifica’ globalmente
intesa si può ritenere – come giudicano molti studiosi contemporanei – una
vera e propria ‘scoperta’ di Aristotele e del Liceo.
Abbiamo poi un nuovo salto, perché Aristotele passa al mondo del vivente. L'introduzione a questa
sfera è costituita dal famoso scritto De anima, insieme ai cosiddetti Parva naturalia, piccoli scritti
hanno anch'essi di carattere introduttivo. In questo insieme di scritti Aristotele tratta delle funzioni
vitali in generale, e discute dei cinque sensi dell'essere vivente sotto l'aspetto fisiologico. Solo allora
seguono i veri e propri scritti biologici e zoologici, con la grande raccolta di dati delle Historia
animalium, che trattano delle caratteristiche delle più diverse specie animali: sono state contate
cinquecentocinquanta specie prese in considerazione da Aristotele. Abbiamo quindi lo scritto
intitolato Le parti degli animali (De partibus animalium), dedicato allo studio dei tessuti e degli
organi degli esseri viventi. Segue poi lo scritto De generatione animalium, sulla riproduzione degli
esseri viventi, in cui si trattano questioni di embriologia e di genetica. Manca la botanica, su cui non
si trova nulla negli scritti di Aristotele che ci sono stati conservati; ma Teofrasto, l'allievo di
Aristotele, si è occupato molto di questo campo. E se si mette insieme tutto ciò che Aristotele ha
scritto e tutto ciò che Teofrasto gli aggiunge ad integrazione, avremo per intero ciò che anche noi
oggi intendiamo con il concetto di natura
1. De Somno et vigilia
Partiamo proprio dai Parva Naturalia che, composti in una fase intermedia, rivestono assieme agli
altri scritti di filosofia della natura appartenenti all’ultimo periodo ateniese, come il De generatione
et corruptione, la Historia animalium o il De partibus animalium, un ruolo storico molto importante.
Gli studi condotti sulla biologia, la genetica, la fisiologia degli animali, la meteorologia, infatti,
costituiscono la testimonianza del un nuovo interesse per la ricerca sperimentale e per la raccolta di
dati empirici, che hanno portato allo sviluppo di una nuova concezione della scienza.
Iniziamo ora dall’opera De Somno et vigilia (6), che contiene affermazioni molto utili a
comprendere le definizioni che Aristotele fornisce sul sonno. Il filosofo reputa il sonno e la veglia,
poiché sono opposti, appartenere alla medesima parte dell’animale e considera il sonno come una
privazione della veglia. Infatti, scrive al passo 454a, che possiamo riconoscere con lo stesso criterio
quando un individuo è sveglio o dorme:
"In realtà riteniamo che sta sveglio chi ha le sensazioni e che chiunque sta sveglio percepisce
qualunque stimolo gli venga dall’esterno o si formi in lui. Ora, se lo stato di veglia in nient’altro
consiste che nell’esercitare le sensazioni, è chiaro che con quella parte di anima con cui hanno le
sensazioni gli animali sono svegli quando sono svegli, e dormano quando dormono."
Proseguendo l’esame del testo, dal passo 454 b al passo 455 b 20, risulta evidente che il filosofo
considera il dormire una necessità degli animali in genere. Ogni essere che veglia, infatti, deve
avere la possibilità di dormire, dal momento che non è possibile che resti sempre in attività.
Ugualmente nessun animale può sempre dormire.
Interessante è, poi, la definizione del sonno come affezione della parte sensitiva:
"Dunque che tutti gli esseri viventi partecipano del sonno è chiaro da queste considerazioni.
L’animale, infatti, è definito dal possesso della sensazione, e diciamo che il sonno è in qualche
modo l’immobilità e quasi la paralisi della sensibilità, mentre la veglia ne è lo scioglimento e la
liberazione. (…) Poiché è impossibile nel modo più assoluto che un animale mentre dorme eserciti
qualsivoglia sensazione, è chiaro che nello stato chiamato sonno tutti i sensi si trovano nella stessa
condizione. (…)E’ chiaro quindi per molte ragioni che il sonno non consiste in ciò che i sensi
stanno inattivi e non se ne fa uso, o che non sono in grado di sentire. (…)Il sonno sopraggiunge
quando l’impossibilità di usare i sensi colpisce non un sensorio qualunque, né per un motivo
qualunque, ma, come s’è detto adesso, l’organo primario (il tatto) mediante il quale uno sente tutte
le cose."
Nell’ultima parte del testo, dove si afferma chiaramente che il sonno ha per scopo quello di
preservare la vita animale, è interessante vedere come il filosofo consideri il sonno prodotto
dall’evaporazione dovuta al cibo.
"In realtà si produce il sonno quando l’elemento corporeo viene trascinato in alto dal calore
attraverso le vene fino alla testa. (…)L’animale si sveglia quando la digestione è terminata, quando
cioè il calore che in grande quantità era stato concentrato dalle regioni vicine entro un piccolo
spazio prevale e il sangue più corposo è separato da quello più puro. (…)
Si è detto, dunque, qual è la causa del sonno: esso consiste nella recessione in massa compatta
dell’elemento corporeo trascinato in alt dal calore naturale verso l’organo sensoriale primario – e
che cos’è il sonno – esso è la paralisi dell’organo sensoriale primario che lo rende incapace di agire
e che si produce necessariamente in vista della conservazione dell’animale (perché non può esistere
l’animale se non si realizzano le condizioni che lo rendono tale): ora il riposo lo conserva."
. De Anima
Quasi tutti gli studiosi concordano, infatti, nel ritenere questo testo testimonianza di una dottrina
molto distante da quella esposta nei dialoghi giovanili.
Lo scopo del è quello di considerare e conoscere la natura e l’essenza dell’anima, e successivamente
tutte le caratteristiche che le competono.
Nel secondo libro, dopo un’introduzione e un’analisi storico-critica delle dottrine dei predecessori,
che vengono inizialmente riportate e poi criticate, troviamo la definizione di anima.
Afferma Aristotele che ""l’anima è sostanza (ousia), nel senso che è forma (eidos) di un corpo
naturale che ha la vita in potenza. Ora tale sostanza (ousia) è atto (entelecheia), e pertanto l’anima è
atto (entelecheia) del corpo che s’è detto" (9).
"Perciò l’anima è atto (entelecheia) primo di un corpo naturale che ha la vita in potenza" (10).
L’anima, quindi, spiega il filosofo, "è sostanza (ousia) nel senso di forma (kata ton logon), ovvero è
essenza (to ti en einai) di un determinato corpo" (11).
Da queste citazioni si intuisce chiaramente che la psicologia del De Anima è caratterizzata da una
concezione ileomorfica, che cioè concepisce l’anima e il corpo come la forma e la materia di
un’unica sostanza, cioè appunto del vivente. Aristotele, infatti, non concepisce l’unione dell’anima
col corpo come un’unità accidentale, quale può essere quella del pilota con la nave, ma come
un’unità sostanziale. Il corpo, dunque, non sussiste indipendentemente dall’anima, benché rimanga
ugualmente reale la distinzione tra l’anima, come principio formale, efficiente e finale, e il corpo,
come entità materiale e strumentale. Il vivente è un essere ed una sostanza unitaria, e l’anima è la
sua forma o principio vivificatore, ovvero è il principio dell’organizzazione e del funzionamento del
corpo. Dal momento che è forma del composto vivente, l’anima è inseparabile dal corpo e cessa di
esistere con la dissoluzione di quest’ultimo. In tal modo ogni tipo di dualismo di genere pitagoricoplatonico tra l’anima e il corpo, presente nella fase giovanile, viene negato e superato.
Dopo aver ribadito che l’essere animato si distingue dall’inanimato per il fatto che vive, Aristotele
ammette l’esistenza di tre distinte specie di anima, che sono definite dalle loro rispettive e peculiari
facoltà: l’anima nutritiva, propria delle piante, l’anima sensitiva, propria degli animali, e l’anima
intellettiva, propria dell’uomo. Il rapporto che vige fra questi tre tipi di anima è quello di una
successione, secondo il quale l’anima inferiore è contenuta potenzialmente in quella superiore,
poiché quest’ultima, oltre ad essere in grado di svolgere le funzioni che le sono proprie, è capace di
adempiere anche quelle dell’anima inferiore.
A questo punto, però, al dualismo tra anima e corpo presente nelle opere giovanili se ne sostituisce
uno nuovo, quando Aristotele passa alla trattazione del processo conoscitivo: quello dell’anima,
forma immanente e corruttibile del corpo, e dell’intelletto separato ed eterno. Oggetto della
conoscenza intellettuale, infatti, sono le essenze intelligibili ed eterne, che presuppongono
l’esistenza di un intelletto attivo, immutabile, eterno e separato, contenente in atto le essenze
intelligibili e separate. Con questa teoria, quindi, Aristotele non solo riafferma il suo platonismo, ma
ripropone altresì la questione dell’immortalità dell’anima.
Nel secondo libro è data una prima definizione dell'anima come "forma di un corpo naturale che
abbia la vita in potenza". Essa viene determinata ulteriormente come "principio attivo di un corpo
naturale organico": definizione in cui è messa in rilievo la capacità dell'anima di adempiere varie
funzioni. L'anima dunque, fatta eccezione, sembra, per l'intelletto, che non è facoltà che muova il
corpo, non può separarsi dal corpo, suo organo. Procedendo poi a distinguere le varie funzioni, o
potenze dell'anima, si deve prima riconoscere quella vegetativa, che nelle piante si trova da sola; poi
quella sensitiva che negli animali si aggiunge alla prima; infine, quella intellettiva che negli uomini
s'aggiunge alle due precedenti. Non si tratta però (tranne, forse, per l'anima intellettiva) di parti
separabili: esse si distinguono solo concettualmente e le superiori presuppongono le inferiori.
Aristotele suddistingue l'anima vegetativa in nutritiva e generativa: per quest'ultima gli esseri
inferiori partecipano a ciò ch'è eterno e divino realizzando l'unità della specie. Segue la trattazione
di problemi particolari sulla nutrizione, ereditati dalla filosofia presocratica, come quello se la
nutrizione si attui dai contrari o dai simili, e una complessa analisi della funzione sensitiva. Per
questa dottrina, sia il senziente che il sensibile vanno distinti in attuali e potenziali: dissimili fra loro
quando non sono ancora giunti all'atto, senziente e sensibile si assimilano nell'attualità. Quanto ai
sensibili, essi sono distinti in "per sé" e "accidentali". I sensibili "per sé" si suddividono in "comuni"
(moto, quiete, numero, grandezza, ecc.) e "propri" (colore, sapore, odore, ecc.): su questi ultimi è
impossibile l'errore, essi sono sempre veri. Dopo aver esaminato in particolare i cinque sensi,
Aristotele tratta della natura della sensazione in genere, dicendo che il senso riceve le "forme
sensibili" senza la materia, come la cera riceve l'impronta dell'anello senza ricevere la materia di cui
esso è composto: tesi coerente al fondamentale dualismo della posizione aristotelica, e qui affermata
per evitare il pericolo dell'eraclitismo: se noi, sentendo, fossimo uniti anche materialmente col
sentito, saremmo, col cangiar delle sensazioni, continuamente distrutti e rifatti. Segue
l'importantissima trattazione (la cui fonte risale al Teeteto) del cosiddetto senso comune, a cui
ciascun senso particolare si riferisce e che ha la funzione di sentir di sentire", e anche di giudicare e
unire sensazioni diverse, come quando sentiamo che qualcosa che è bianco è anche dolce. Dal senso
deriva un'altra funzione, intermedia al senso e al pensiero: l'immaginazione. L'intelletto, è pensato,
analogamente al senso: vi sono gli intelligibili, v'è l'intelletto che pensa e che è, in potenza, gli stessi
intelligibili: non ne ha però alcuno in atto, prima di pensarli, "come una tavoletta non ancora
scritta". Segue, nel celebre e tormentatissimo cap. V, la distinzione dell'intelletto in attivo e passivo:
il primo sarebbe appunto "una certa luce" capace di far passare l'intelletto passivo (o possibile) dalla
potenza all'atto di conoscere: e mentre l'intelletto passivo è corruttibile, esso soltanto sarebbe
separato, impassibile, immisto, immortale ed eterno. L'intelletto sarebbe perciò tanto l'attualità
raggiunta dal pensiero, quanto l'energia che porta il pensiero stesso dalla potenza all'atto, equivoco
che determinò tante divergenze tra i commentatori. Segue la trattazione della funzione locomotrice,
spiegata con una collaborazione dell'intelletto in quanto pratico e dell'appetito; in quell'animale
perfetto che è l'uomo, da un fine generale dato dalla tendenza si conclude, per la mediazione della
fantasia deliberativa, alla concreta azione. L'opera si chiude dopo aver trattato della distribuzione
delle varie potenze dell'anima nei viventi
In De anima, III, Aristotele studia tre operazioni sensibili : percezione dei sensibili comuni,
appercezione, discriminazione, cui la critica si riferisce come alla teoria del `senso comune',
identificando la aisthèsis koinè del De anima con la koinè dunamis dei Parva naturalia. Ma le due
espressioni denotano aspetti ben diversi : la prima indica una capacità posteriore alla divisione della
percezione nei cinque sensi, mentre la seconda è una capacità anteriore e radicale della percezione.
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