Newsletter medico-legale
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a cura di Marco Bottazzi e Gabriele Norcia della Consulenza medico-legale Inca Cgil
Numero 36°/2008
Malattia mentale e lavoro: linee diagnostico valutative in ambito INPS (1)
L’INPS ha pubblicato in questi giorni un interessante volume curato dai colleghi Cattani e
D’Acquarica del Coordinamento medico-legale nazionale dal titolo: “Malattia Mentale e
Lavoro: linee diagnostico-valutative medico legali nell’ambito delle invalidità
pensionabili”.
Da questo interessante volume riprendiamo i capitoli dedicati alla valutazione in tema di
invalidità ed inabilità (curati dai colleghi D’Acquarica e Cupido) in quanto utili alla nostra
attività di tutela.
Il disturbo mentale incide fondamentalmente sulla vita di relazione della persona e sulle
sue abilità sociali, ecco perché la riduzione della capacità lavorativa generica, attitudinale
o specifica difficilmente potrà essere desunta dall’entità
delle menomazioni in via
“diretta” ma potrebbe essere desunta dal danno relazionale causato dalle tube
psicopatologiche.
Considerazione questa che ha portato il Martini nel 1999 ad affermare la sostanziale
inapplicabilità alle malattie mentali dei più utilizzati baremes, scarsamente idonei alla
valutazione del deficit funzionale psichico.
Nella stima di una invalidità di natura psichica, affermano gli Autori, l’utilizzo rigido di
gradi percentuali standardizzati è ancora meno auspicabile che per invalidità derivanti da
patologie di altri organi o apparati.
Per la valutazione medico legale in ambito previdenziale INPS viene fatto riferimento nei
lavori contenuti nel più recente volume curato dall’INPS alla sussistenza di alcune
determinanti quali:
1) permanenza che deve essere intesa non come permanenza della malattia ma bensì dello
stato invalidante con riferimento, dunque, alla globalità dello stato delle funzioni psichiche
del soggetto, tenendo sempre presenta la possibilità di un adattamento o riadattamento
lavorativo pur in presenza di uno stato di infermità psichica invariato.
L’invalidità di origine psichica può essere considerata permanente quando, nonostante le
cure più opportune, non può emendarsi totalmente o ridursi al di sotto di quei limiti che
consentono una qualche produttiva attività lavorativa”, e proseguono affermando che: “il
concetto di permanenza non presuppone che la malattia psichiatrica debba essere sempre
presente agli stessi livelli, può anche essere discontinua o caratterizzata da crisi
intermittenti, come ad esempio negli episodi ricorrenti della depressione maggiore, purché
la frequenza, la pericolosità e/o l’intensità di queste crisi, oppure i loro postumi,
impediscano o limitino grandemente l’esercizio di una attività lavorativa continuativa”.
Molto importante appare , poi, la constatazione che l’entità della riduzione funzionale può
essere condizionata dalle cure mediche, le quali, a loro volta, possono incidere esse stesse
in modo variabile sulla capacità lavorativa.
Pertanto il medico legale, basandosi sull’inquadramento diagnostico e quindi sulla
prognosi, dovrà valutare la probabile durata della malattia, la possibilità di una remissione
in tempi rapidi, se la condizione invalidante conseguente al disturbo può essere
considerata stabile oppure suscettibile di ulteriori cambiamenti .
Vanno anche considerati gli effetti della terapia, un paziente psicotico può manifestare
solo un lieve disturbo del pensiero mentre assume la terapia, salvo dare manifestazioni di
incoerenza ideativi molto più gravi se le cure vengono interrotte e questo non è
improbabile laddove non vi sia una rete familiare o sociale di supporto. Vanno dunque
valutate le prestazioni dell’individuo sia in presenza che in assenza di trattamento e la
compliance del soggetto al trattamento stesso.
Inoltre gli Autori richiamano i valutatori a non irrigidirsi in una grossolana distinzione tra
nevrosi e psicosi in quanto a fronte di persone con psicosi gravi ma stabili ed
adeguatamente inserite in contesti lavorativi ben accetti, si possono incontrare soggetti
affetti da disturbo ossessivo compulsivo, nevrosi isterico dissociativa, anoressia, bulimia
che presentano significative limitazioni in fondamentali aspetti della vita quotidiana e
lavorativa, a tal punto da giudicare adeguato il riconoscimento di una invalidità.
2) emendalibilità ed orientamento prognostico: in generale una patologia può essere
definita “emendabile” quando si può prevedere con ragionevole sicurezza la guarigione o
almeno un significativo miglioramento entro un lasso di tempo breve e comunque non
indefinito. Il miglioramento potrà essere conseguito sia per una evoluzione spontanea del
processo morboso sia mediante trattamento terapeutico che non deve avere caratteristiche
di pericolosità e deve essere accattato con il consenso dell’assicurato.
Stante questa definizione gli Autori forniscono alcune esemplificazioni d4el concetto di
emendabilità in ambito psichiatrico:

la prognosi dei disturbi dell’area nevrotica o anche dell’area psicotica, quando
scatenati da eventi particolarmente stressanti o da sostanze esogene ovvero disturbi
dell’adattamento, disturbi post-traumatico da stress non cronicizzato, sindrome
ansioso-depressiva, manifestazioni deliranti acute reattive a d eventi stressanti
ecc.) è generalmente favorevole con trattamenti farmacologici e psicoterapeutici
appropriati e tempestivi e, possibilmente, con l’allontanamento dalla situazione
stressante;

nei disturbi psichiatrici maggiori (psicosi schizofrenica, psicosi maniacodepressiva, paranoia, parafrenia e demenze) è intrinseca una processsualità
morbosa che compromette progressivamente ed irreversibilmente le funzioni
psichiche superiori e la personalità di base; pertanto contrariamente ai disturbi
dell’area nevrotica, l’emendabilità non può essere presa in considerazione e, in
presenza di un miglioramento della patologia psichiatrica, questo va considerato
come remissione e non come guarigione.
Strettamente connesso al concetto di emendabilità e quindi di permanenza vi è quello della
prognosi ovvero la “previsione” dell’evoluzione del processo morboso, previsione che si
basa su fattori che definiscono sia la natura che la gravità della malattia. L’orientamento
prognostico comprende sia la previsione sulla guaribilità o meno della malattia, sia la
durata nel tempo, sia le possibili recidive della patologia stessa. Questa previsione, che si
fonda sull’esperienza statistica di casi clinici e su ragionamenti di tipo deduttivo, è
ovviamente soggetta a possibilità di errore ed è legata alle conoscenze scientifiche del
momento.
Successivamente all’inquadramento diagnostico dell’infermità psichica risultano essere
molteplici gli aspetti prognostici da considerare, in particolare per quanto concerne la
valutazione del danno deve essere effettuata non solo la previsione di eventuali
miglioramenti o peggioramenti clinici ma anche e soprattutto la previsione della
sussistenza della perdita totale o della riacquisizione di una capacità funzionale e quindi di
una relativa capacità di lavoro, di qualità della vita di relazione ecc.
Appare utile ricordare che nelle malattie psichiatriche di tipo cronico come la psicosi, è
usato il termine di remissione in luogo del termine guarigione, in quanto è acquisito che
per queste patologie non è possibile una totale restituito ad integrum delle funzioni
psichiche e la stessa remissione può essere prevedibile a breve oppure a lungo termine a
seconda dei fattori eziologici evidenziati.
Una depressione reattiva o un disturbo dell’adattamento con umore ansioso e depresso che
subentra a seguito di una condizione stressante (malattie organiche,m crisi coniugali,
perdita del lavoro, ecc.) può essere una malattia autolimitantesi che guarisce con il venire
meno della situazione stressante; viceversa una depressione endogena tende ad avere nel
tempo un decorso cronico per la ciclica ricorrenza degli episodi depressivi e per la non
sempre adeguata risposta terapeutica.
Quello che deve essere sempre presente al valutatore è che la prognosi può variare in
soggetti pure accomunati da una stessa diagnosi, configurandosi alti gradi di invalidità
anche in molte forme di nevrosi. Infatti nel campo molto vasto delle nevrosi (ansiosodepressive, neurastenico ipocondriache, post traumatiche) si configurano disturbi
sostanzialmente riferibili a disordini funzionali, non dipendenti da lesioni organiche
cerebrali, ed è sempre presente un conflitto interiore che rappresenta il nucleo
psicopatologico dal quale derivano i sintomi che attengono alla sfera emotivo-affettiva.
In questi casi l’orientamento prognostico è più favorevole ma non si può tralasciare il fatto
che in presenza di fattori prognostici particolarmente sfavorevoli, si possa sempre
verificare una strutturazione della nevrosi, connotata da una scarsa sensibilità alla terapia.
Nella depressione reattiva vi sono sempre una o più cause alla base dello stato depressivo;
tale stato generalmente persiste sino a quando il tempo non attenua l’evento o la causa
venga rimossa o accettata il che però non sempre avviene.
Nella depressione endogena si ha uno stato di vera e propria malattia, non dipendente da
precisi fattori etiologici, caratterizzata da episodi ricorrenti distimici, nei quali la
sintomatologia depressiva si riacutizza, gli intervalli tra periodi liberi nel tempo tendono a
durare sempre meno. Per questo la depressione endogena ricorrente ha una prognosi
sfavorevole quasi aprioristicamente, perché nel tempo tende ad aggravarsi e ad investire
tutta la sfera emozionale, conseguentemente essa condiziona sempre in modo rilevante le
capacità socio-lavorative di chi ne è affetto.
Nei casi di disturbi psichici per i quali è riconoscibile una patologia cerebrale organica
(demenze, sclerosi multipla, immunodeficienza acquisita con lesioni cerebrali) la prognosi
è più sfavorevole in quanto la terapia ha effetti solo parzialmente contenutivi dei sintomi.
La schizofrenia presenta una discreta variabilità nel suo decorso, che può essere
positivamente modificata da adeguati mezzi terapeutici e da misure assistenzialiriabilitative personalizzate al singolo caso. Infatti, più che la precisa terapia appare
importante la sinergia fra terapia farmacologica e supporto psico-socio assistenziale. Per i
soggetti affetti da schizofrenia sono considerati fattori prognostici favorevoli: un inizio
acuto, una personalità premorbosa non patologica, buone condizioni familiari ed
ambientali, una precedente attività lavorativa discretamente stabile, un quadro clinico
ricco di sintomi di tipo affettivo. Tra i fattori prognostici sfavorevoli invece sono da
considerare: un inizio di malattia lento ed insidioso, un disturbo di personalità preesistente
(ad es. disturbo schizotipico o schizotimico), un ambiente familiare disturbato ed ostile,
l’isolamento sociale ed una attività lavorativa discontinua ed improduttiva. Pur con tutte le
limitazioni che una tale esemplificazione può comportare, in linea di massima si può
affermare che tra gli schizofrenici circa il 25% può giungere ad una remissione con
inserimento sociale accettabile, un altro 25% ha una remissione parziale con
sintomatologia psicotica residua, mentre il rimanente 50% va incontro ad una
cronicizzazione con diverso grado di compromissione della personalità, dell’efficienza
sociale e lavorativa o a deterioramento con ridotte prestazioni intellettuali e grossolana
incapacità di adeguamento alle situazioni di vita.
Tutta la documentazione citata può essere richiesta alla Consulenza MedicoLegale Nazionale via e-mail all’indirizzo [email protected]