RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTTICA E TECNICHE PER LA MISURA DEGLI IMPULSI Classificazione dei rivelatori ottici I rivelatori della radiazione ottica possono essere suddivisi in due gruppi: rivelatori a generazione di cariche e rivelatori a generazione di fononi. I primi si distinguono a loro volta in rivelatori ad effetto fotoelettrico, ossia quelli in cui l'energia dei fotoni è tale da estrarre degli elettroni da un conduttore, e rivelatori a generazione di cariche mobili, ossia quelli in cui l'energia dei fotoni è tale da generare coppie elettrone-lacuna in un semiconduttore. Questi rivelatori, detti anche rivelatori quantici, sono i più diffusi, in particolare nel campo del visibile e del vicino infrarosso, per le caratteristiche di elevata sensibilità e prontezza di risposta. I rivelatori a generazione di fononi trasformano l'energia della radiazione elettromagnetica in energia termica ossia in un innalzamento della temperatura di un opportuno materiale. Dalla misura della temperatura si risale all'intensità della radiazione incidente. Questi rivelatori sono in genere poco sensibili e piuttosto lenti ma caratterizzati da una risposta spettrale molto ampia ed uniforme. Inoltre, a differenza degli altri, non hanno bisogno di essere portati a temperatura bassa quando devono rivelare la radiazione nel campo del medio e lontano infrarosso. Si tenga comunque presente che la velocità dell'innalzamento della temperatura dipende dalla massa, quindi per realizzare rivelatori di questo tipo relativamente veloci si deve cercare di ridurne, per quanto possibile, le dimensioni. Rumore nei rivelatori ottici Nella rivelazione della radiazione luminosa il rumore è una fluttuazione casuale della misura che limita l'accuratezza con la quale si vogliono determinare le più piccole intensità ottiche o le loro variazioni. In un rivelatore si hanno due tipi di rumore: rumore termico (o Johnson) e rumore shot. Il rumore termico è quello generato per agitazione termica delle cariche e può essere schematizzato circuitalmente da un generatore di corrente il cui valore quadratico medio è dato da: 4KT∆ν i J2 = (1) R dove K è la costante di Boltzmann, T la temperatura in gradi Kelvin, ∆ν la larghezza di banda rispetto al segnale del circuito di rivelazione ed R il valore della resistenza equivalente parallelo dello stesso circuito di rivelazione. Il rumore shot è dovuto al modo casuale con cui gli elettroni sono emessi o generati ed è rappresentato circuitalmente da un generatore di corrente il cui valore quadratico medio è dato da: 1/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica is2 = 2ei ∆ν (2) dove e è la carica dell'elettrone, i è la corrente media del segnale e ∆ν la larghezza di banda rispetto al segnale del circuito di rivelazione. Questo tipo di rumore, a differenza del precedente, è presente anche quando la temperatura si avvicina allo zero assoluto in quanto prodotto dalle cariche generate dal segnale. Volere eliminare questo rumore significa eliminare la generazione delle cariche, ossia il segnale. In relazione a ciò si ha il limite quantico della rivelazione della radiazione: la sensibilità è condizionata dal principio di indeterminazione della meccanica quantistica. Si può dimostrare, ma è anche abbastanza intuitivo, che la potenza minima rilevabile è data da: hν∆ν Pmin = (3) η dove ν è la frequenza della radiazione luminosa, ∆ν la larghezza di banda del circuito di rivelazione ed η l'efficienza del fotorivelatore, ossia la frazione di cariche generate per fotone incidente. Ovviamente η è sempre minore di 1. Nella migliore delle ipotesi è uguale ad 1. Dall'esame della precedente si evidenzia che se η=1 è possibile rivelare l'energia (hν) dei singoli fotoni la cui distanza nel tempo è superiore all'inverso di ∆ν. E' ovvio che un sistema di rivelazione che ha una banda limitata a ∆ν non può risolvere eventi la cui separazione nel tempo è minore di ∆ν-1 secondi. Non è possibile rivelare una potenza inferiore a quella data dalla (3) per il semplice motivo che un valore inferiore potrebbe essere dovuto soltanto all'arrivo sul fotorivelatore di una frazione di fotone. Questo è in contraddizione con la meccanica quantistica: non esistono frazioni di fotone! Fotomoltiplicatore Questo dispositivo è in grado di rilevare la radiazione luminosa nel campo compreso fra il vicino infrarosso e l'ultravioletto (e oltre) ed appartiene alla categoria dei rivelatori quantici. Alla base del funzionamento del fotomoltiplicatore è l'effetto fotoelettrico: se un fotone possiede un'energia sufficiente, può far si che un elettrone venga estratto da un conduttore che prende il nome di fotocatodo. Il fotocatodo è la parte più critica del fotomoltiplicatore perché converte un flusso di fotoni in elettroni (e quindi in corrente) e determina la caratteristica di risposta spettrale del dispositivo. Il fotocatodo è costituito da materiali a basso lavoro di estrazione; più basso è questo lavoro e più grande è la lunghezza d'onda rilevabile. I materiali che si adoperano per il fotocatodo sono composti dell'argento, cesio, antimonio il cui lavoro di estrazione è di circa 1,5 eV contro i 4,5 eV tipico dei metalli. Si riescono a rivelare lunghezze d'onda sino a circa 1 µm. Si definisce efficienza quantica del fotocatodo la frazione di elettroni estratti per fotone incidente. 2/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica Nella figura 1 sono riportate le curve di risposta spettrale di vari fotocatodi. Nello stesso diagramma sono riportate le curve ad efficienza quantica (η) costante. Si osservi che l'efficienza quantica, e quindi anche la risposta, dipende fortemente dalla lunghezza d'onda. Fig. 1 Gli elettroni, emessi dal fotocatodo in ambiente vuoto, sono accelerati da un opportuno campo, verso un elettrodo a potenziale più alto rispetto al catodo e chiamato (primo) dinodo. Gli elettroni arrivando su questo elettrodo con un'energia cinetica di circa 100eV provocano un'emissione secondaria di coefficiente superiore ad 1. Tipicamente il coefficiente di emissione secondaria δ è dell'ordine di 5, ossia per ogni elettrone incidente vengono emessi 5 elettroni. Gli elettroni emessi da questo primo dinodo sono accelerati verso un secondo dinodo su cui arrivano sempre con un'energia di circa 100 eV grazie alla differenza di potenziale acceleratrice. E così via sino all'ultimo dinodo che prende il nome di anodo. Si ha quindi un processo di moltiplicazione di corrente. 3/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica Se δ è il coefficiente di emissione secondaria ed N il numero dei dinodi, il fattore di moltiplicazione della corrente fra catodo ed anodo è: G = δN (4) 6 Ad esempio, se δ=5 ed N=9, G ≈ 2·10 . La figura 2 schematizza un tubo fotomoltiplicatore e la figura 3 il modo di alimentare tramite un unico alimentatore ed un partitore resistivo tutti gli elettrodi del fotomoltiplicatore. Il partitore deve essere dimensionato in modo tale che i dinodi più vicini all'anodo devono, in presenza di segnale sul fotocatodo, essere alimentati da una corrente abbastanza elevata. Nel caso in cui si prevede che i segnali siano di tipo impulsivo si collegano in parallelo ai resistori dei condensatori per sopperire agli impulsi di corrente nei transitori. L'alimentatore deve fornire una differenza di potenziale dell'ordine del kV. Fig. 2 Fig. 3 La forma curva dei dinodi riduce la possibilità che gli elettroni compiano percorsi differenti. La differenza di percorso degli elettroni allunga il tempo di salita nella risposta del fotomoltiplicatore ad un segnale a gradino. Nella risposta del fotomoltiplicatore ad un gradino si possono distinguere due tempi: tempo di ritardo e tempo di salita. Il tempo di ritardo è dovuto al tempo impiegato dagli elettroni a compiere il percorso ed in genere ha poca importanza perché non pregiudica l'informazione. Il tempo di salita dipende, come già detto, dai differenti percorsi degli elettroni e determina una distorsione del segnale. In un buon fotomoltiplicatore il tempo di salita è dell'ordine del nanosecondo. Nei fotomoltiplicatori la rivelazione delle frequenze alte è limitata dalla trasparenza della finestra del fotocatodo. Il fotomoltiplicatore nel suo campo di risposta spettrale è uno strumento estremamente sensibile grazie all'amplificazione interna di corrente ed al basso rumore. Utilizzando particolari accorgimenti, come lunghi tempi di integrazione e raffreddamento del fotocatodo è possibile rilevare con il fotomoltiplicatore livelli di potenza dell'ordine di 10-18 W. Si tenga presente che il rumore prodotto nel fotocatodo è amplificato in pieno dall'insieme dei dinodi mentre il rumore introdotto dai vari dinodi è amplificato via via sempre meno a secondo della posizione del dinodo. 4/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica La potenza minima rilevabile, dovuto al rumore shot di generazione della cariche sul fotocatodo, è: hν∆ν Pmin = (5) η E' possibile realizzare una distribuzione continua di dinodi ricoprendo la superficie interna di un tubo di materiale isolante, ad esempio vetro, con uno strato resistivo. I tubi possono essere molto sottili, sistemati uno accanto l'altro ed alimentati in parallelo. In questo modo si è realizzata una struttura "Micro Channel Plate - MCP", rappresentata in figura 4. Fig. 4 Strutture di questo tipo trovano applicazione nella rivelazione di immagini di bassissima intensità e spesso sono utilizzate in campo astronomico. Rivelatori fotoconduttivi Un cristallo semiconduttore adatto ad assorbire la radiazione da rivelare è inserito in un circuito come quello riportato in figura 5. Fig. 5 La resistenza interna del semiconduttore diminuisce con l'assorbimento della radiazione e conseguentemente aumenta la tensione VL sulla resistenza di carico RL. Nell'ipotesi in cui la variazione del valore della resistenza interna del semiconduttore sia piccola rispetto al suo stesso valore (∆Ri/Ri <<1) la variazione della tensione VL è proporzionale all'intensità luminosa. 5/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica L'abbassamento della resistività è dovuto al fatto che i fotoni, se dotati di energia sufficiente, generano all'interno del semiconduttore coppie elettrone-lacuna. L'energia dei fotoni deve essere superiore all'energia di gap del semiconduttore. Questo determina un valore minimo per la frequenza rilevabile e massimo per la lunghezza d'onda: E hc ν min = G ; λ max = h EG Drogando opportunamente il semiconduttore si può fare in modo da ridurre l'energia di gap e quindi ridurre la frequenza minima (o aumentare la lunghezza d'onda massima) rilevabile. In questo caso infatti il livello di Fermi sia avvicina alla banda di conduzione, se il drogaggio è di tipo n, o alla banda di valenza, se il drogaggio è di tipo p. Con questa tecnica si possono rivelare segnali la cui lunghezza d'onda è dell'ordine dei 50µm, con l'accortezza di mantenere la temperatura del dispositivo bassa in modo tale che KT<<∆E. In questo caso si è sicuri che non si creano coppie elettrone-lacuna per effetto della temperatura. Quindi la temperatura deve essere tanto più bassa quanto più grande è la lunghezza d'onda da rivelare. In figura 6 sono riportate le curve di risposta di alcuni fotoconduttori commerciali (Santa Barbara Research Corp.) e le relative temperature a cui devono lavorare. Fig. 6 6/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica Il vantaggio dei rivelatori fotoconduttivi rispetto ai fotomoltiplicatori è la possibilità di rivelare lunghezze d'onda molto grandi, anche se in questo caso è necessario raffreddare il dispositivo. Nei rivelatori fotoconduttivi non è presente l'effetto moltiplicativo tipico dei fotomoltiplicatori. Anche nei semiconduttori sono presenti sia il rumore termico che il rumore shot. Quest'ultimo è doppio perché si deve considerare l'aleatorietà sia del processo di generazione delle cariche sia quello di ricombinazione. Quindi la potenza minima rilevabile è data da: 2hν∆ν Pmin = (6) η ossia doppia di quella (5) rilevabile con il fotomoltiplicatore. C'è però da dire che l'efficienza quantica dei fotoconduttori è in genere superiore (si può avvicinare ad 1) per cui i due effetti si compensano. Rivelatori a giunzione Questi rivelatori sono basati sulla generazione di coppie elettrone-lacuna nella giunzione p-n fra due semiconduttori. Fig. 7 Fig. 8 Fig. 9 In figura 7 è schematizzato il funzionamento privo di polarizzazione ed in figura 8 quello con polarizzazione inversa. In entrambi i casi i fotoni generano proporzionalmente una corrente, il cui andamento, per tre differenti valori di illuminazione, è riportato in figura 9. La teoria del comportamento delle giunzioni p-n nei semiconduttori anche in presenza di fotoni è stata studiata estesamente in altro corso. In figura 10 sono riportati i diagrammi che riassumono il funzionamento in assenza di polarizzazione ed in presenza di polarizzazione inversa della giunzione. Caratteristica di questi rivelatori è che è generata una corrente elettronica (se il circuito è chiuso) anche in assenza di polarizzazione. E' lo stesso principio di funzionamento delle celle solari. Il campo elettrico generato dalle cariche fisse porta via le cariche mobili verso le due differenti zone; in questo modo sui morsetti si può misurare una differenza di potenziale e, se il circuito si chiude su una resistenza, circola una corrente. Spesso si 7/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica preferisce polarizzare inversamente la giunzione per allargare la zona di svuotamento e quindi aumentare la probabilità di catturare fotoni. Fig. 10 La figura 11 evidenzia lo spostamento delle cariche generate dai fotoni nella zona di giunzione in presenza di polarizzazione inversa. Per aumentare ulteriormente la zona 8/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica di svuotamento si utilizzano spesso strutture (PIN) con un semiconduttore intrinseco fra i due semiconduttori drogati. Affinché la radiazione luminosa raggiunga la zona di giunzione è necessario che almeno uno dei due semiconduttori sia sottile e quindi semitrasparente, così come l'elettrodo. Fig. 11 Nella figura 12 sono riportate le tipiche strutture dei fotodiodi normali e di quelli PIN. Fig. 12 I fotodiodi sono in grado di rivelare fotoni la cui energia è superiore alla energia di gap del semiconduttore, quindi, in relazione al semiconduttore utilizzato, vanno bene dall'ultravioletto al vicino infrarosso; ossia approssimativamente lo stesso campo spettrale dei fotomoltiplicatori, ma senza l'effetto di moltiplicazione. Nei fotodiodi, a differenza dei fotomoltiplicatori, si può eliminare la finestra di protezione per eliminare l'assorbimento ma si deve tenere presente che via via che la frequenza della radiazione aumenta questa è assorbita sulla superficie più esterna del 9/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica semiconduttore e le coppie elettrone-lacuna non riescono a raggiungere la zona di giunzione (si tenga presente la "lunghezza di diffusione" delle cariche in un semiconduttore). Fotodiodi più adatti a rivelare l'ultravioletto devono avere lo strato semiconduttore esposto alla luce molto sottile e la finestra, se presente, deve essere trasparente a quelle lunghezze d'onda. La velocità di risposta dei fotodiodi è simile a quella dei fotomoltiplicatori (≈ 1ns). I fotodiodi presentano il vantaggio di non dovere essere alimentati o di essere alimentati con tensioni molto basse. Fotodiodi a valanga E' possibile ottenere un effetto moltiplicativo simile a quello dei fotomoltiplicatori polarizzando fortemente in modo inverso una giunzione p-n. Quanto si verifica nella giunzione è schematizzato in figura 12. Fig. 12 Non è però possibile raggiungere fattori moltiplicativi elevati (non più di 100) perché questo implicherebbe elevate correnti in zone localizzate della giunzione che porterebbero alla distruzione del dispositivo. I fotodiodi a valanga possono essere molto veloci (tempi di risposta del centinaio di picosecondi). Rivelatori ad effetto "photon drag" Questo rivelatori utilizzano un cristallo semiconduttore, ad esempio germanio, drogato in modo tale che siano presenti degli elettroni liberi, ossia drogato di tipo n. Al singolo fotone è associata non soltanto un'energia ma anche una quantità di moto: hν p= c Questa quantità di moto può essere ceduta dai fotoni agli elettroni liberi presenti nel semiconduttore. Per effetto del trasferimento della quantità di moto gli elettroni si 10/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica spostano verso la faccia del cristallo opposta a quella su cui incide la radiazione luminosa. Sistemando due elettrodi, anulari o semitrasparenti (deve passare la radiazione luminosa), e chiudendo il circuito su un resistore circola una corrente proporzionale al numero dei fotoni, quindi all'intensità luminosa, che raggiunge il cristallo. La caratteristica di questi rivelatori è che, non dovendo superare una barriera di potenziale (gli elettroni sono già liberi), sono in grado di rivelare lunghezze d'onda anche molto grandi. Inoltre questi rivelatori sono veloci e possono funzionare a temperatura ambiente, anche in presenza di lunghezze d'onda grandi. Lo svantaggio è è che sono poco sensibili per cui possono essere utilizzati soltanto nell'analisi degli impulsi generati dai laser. Rivelatori bolometrici Questi, come i successivi, appartengono alla categoria dei rivelatori a generazione di fononi. Nei rivelatori bolometrici la radiazione luminosa colpisce una superficie otticamente assorbente che si trova a stretto contatto di un resistore ad elevato coefficiente di temperatura. Dalla variazione del valore della resistenza si risale all'intensità della radiazione incidente. Rivelatori a termopila Nei rivelatori a termopila la radiazione luminosa colpisce una superficie otticamente assorbente che si trova a stretto contatto di una termocoppia. La differenza di potenziale generata dalla termocoppia è legata all'innalzamento della temperatura e quindi all'intensità della radiazione incidente. La termocoppia può essere realizzata in film sottile quindi avere una massa piuttosto ridotta così come il tempo di risposta. Le termopile sono frequentemente utilizzate in ottica per determinare l'intensità di fasci luminosi, anche di bassa intensità. Il funzionamento della termopila è basato sull'effetto Seebeck: in un conduttore i cui estremi si trovano a temperature differenti si ha una migrazione di elettroni dall'estremità più calda a quella più fredda e quindi si può misurare, a circuito aperto, una differenza di potenziale. Il coefficiente di Seebeck è definito come rapporto fra differenza di potenziale e differenza di temperatura (S=∆V/∆T). Questo coefficiente è non lineare, dipende dal materiale e dalla sua temperatura assoluta ed è dell'ordine di alcuni µV/°K. Riscaldando la zona di contatto fra due conduttori diversi, si generano in questi conduttori due forze elettromotrici di segno opposto ma di modulo differente, a causa dei differenti coefficienti di Seebeck. Nell'ipotesi in cui i coefficienti di Seebeck (Sb e Sa) dei due conduttori si possano ritenere costanti nell'intervallo di temperatura considerato, la differenza di temperatura fra le estremità calde e quelle fredde è data da: ∆T = ∆V/(Sb-Sa) 11/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica dove ∆V è la differenza di potenziale fra le estremità fredde dei due conduttori. Rivelatori piroelettrici Esistono cristalli, come il tantalato di litio (LiTaO3), la cui polarizzazione varia con la temperatura. Metallizzando due facce opposte di questi cristalli si ottiene un condensatore la cui capacità varia al variare della temperatura. Infatti durante la variazione della temperatura, per effetto della radiazione incidente sul cristallo, sono indotte delle cariche sulle facce del condensatore con un conseguente transitorio della corrente. Quindi i rivelatori piroelettrici registrano soltanto le variazioni di temperatura, ossia i transitori, che possono essere relativamente veloci se il dispositivo è realizzato con strati sottili e quindi di massa ridotta. Tecniche di misura degli impulsi La misura diretta della forma e della durata degli impulsi di breve durata è limitata (~100ps) dalla larghezza di banda (alcuni GHz) dei fotorivelatori e degli oscilloscopi. Per sopperire a questo inconveniente sono stati messi a punto strumenti e tecniche opportune. a) GENERAZIONE DI SECONDA ARMONICA (Second Harmonic Generation) L'impulso luminoso è diviso in due da un divisore di fascio, come mostrato in figura 12. I due fasci, dopo aver compiuto percorsi differenti, si ricombinano in un cristallo non lineare generando, se parzialmente o totalmente sovrapposti, un impulso a frequenza doppia (generazione di seconda armonica). E' necessario avere a disposizione un treno continuo di impulsi uguali perché per ogni differenza di percorso, dovuto alla possibilità di traslare finemente uno specchio, si deve determinare l'intensità di seconda armonica. Dalla larghezza della curva di intensità di seconda armonica in funzione della differenza di percorsi è possibile determinare, nota la velocità della luce, la durata degli impulsi. Fig. 12 12/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica Il prodotto di due impulsi identici distanziati nel tempo di τ (autocorrelazione) è sempre simmetrico rispetto a τ=0 quindi con questo metodo non è possibile determinare l'eventuale asimmetria degli impulsi. Affinché l'efficienza di generazione di seconda armonica sia elevata è necessario che si abbia l'eguaglianza della velocità di propagazione della fondamentale e della seconda armonica ("phase matching"). Questo può essere ottenuto, previa opportuna orientazione di un cristallo uniassico non lineare. Dall'osservazione della figura 12 è evidente la tecnica impiegata per ottenere due impulsi sovrapponibili con polarizzazione incrociata. Nella stessa figura si può notare la presenza di un filtro di blocco della fondamentale perché il fotorivelatore deve registrare esclusivamente l'intensità di seconda armonica. Il fotorivelatore, indicando la potenza media degli impulsi, deve essere lento, ossia comportarsi da integratore. b) FLUORESCENZA A DUE FOTONI (Two Photon Fluorescence) L'impulso luminoso è diviso in due da un opportuno divisore di fascio, così come nel metodo che utilizza la generazione di seconda armonica. I due impulsi viaggiano in direzioni opposte all'interno di una soluzione colorante in grado di assorbire, in certe condizioni, la radiazione luminosa e successivamente riemettere energia per fluorescenza. Il salto energetico del colorante è tale da non potere essere superato dall'energia associata ai fotoni, a meno che due di questi interagiscano nello stesso istante. Questo si verifica quando i due impulsi, che procedono in verso opposto, si sovrappongono (Figura 13). Fig. 13 In altri termini il colorante assorbe solo se l'intensità della radiazione è sufficiente. L'estensione della zona di fluorescenza dipende dalla durata dell'impulso: ad un 13/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica impulso largo corrisponde una zona estesa e viceversa. Dalla misura dell'estensione della zona fluorescente e nota la velocità della luce nel mezzo si risale alla durata dell'impulso. Anche questo metodo, essendo basato sull'autocorrelazione, non consente di individuare l'eventuale asimmetria temporale dell'impulso. Il vantaggio di questo metodo è che è possibile conoscere, almeno in linea di principio, la durata del singolo impulso senza dovere avere a disposizione un treno di impulsi. c) STREAK CAMERA (Figura 14) L'impulso luminoso è trasformato da un fotocatodo, simile a quello presente nei tubi fotomoltiplicatori, in una certa quantità di elettroni emessi nel tempo in proporzione all'intensità istantanea dell'impulso. Questi elettroni, accelerati da una griglia, raggiungono in tempi differenti uno schermo fluorescente. Una coppia di placche deflettrici, simili a quelle presenti nei tubi degli oscilloscopi a raggi catodici, alimentate da una rampa di tensione che inizia un istante prima che arrivi l'inizio dell'impulso, devia gli elettroni in modo tale da raggiungere lo schermo fluorescente in zone differenti dipendentemente dall'istante in cui l'elettrone è generato. Quindi l'evoluzione temporale dell'impulso è trasformata in un segmento più o meno esteso sullo schermo e la cui intensità, punto per punto dipende dal numero degli elettroni incidenti ossia dall'altezza dell'impulso in quell'istante. Fig. 14 Al fine di aumentare l'intensità della traccia luminosa sullo schermo fluorescente, immediatamente prima di questo è inserito un sistema amplificatore di elettroni a microcanale (MCP) simile a quello descritto nella trattazione dei fotomoltiplicatori. Si fa in modo che l'impulso luminoso colpisca il fotocatodo secondo un sottile segmento parallelo al piano delle placca deflettrici. Questo può essere fatto, dipendentemente dall'intensità dell'impulso, utilizzando una lente cilindrica o una sottile fenditura posta davanti al fotocatodo. 14/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica La variazione della differenza di potenziale fra le placche deflettrici deve essere estremamente rapida, se si vogliono analizzare impulsi molto stretti, e l'inizio della rampa deve essere ben sincronizzato con l'impulso. Questo metodo, a differenza dei precedenti, consente di individuale le possibili asimmetrie dell'impulso. Bibliografia - A. Yariv, Introduction to Optical Electronics - HRW - D. Meschede, Optics, Light and Lasers - Wiley-VCH - N. Menn, Practical Optics - Elsevier - E.P. Ippen, C.V. Shank, contribution to Ultrashort Light Pulses (S.L.Shepiro, ed.), Springer-Verlag 15/15 - RIVELATORI DELLA RADIAZIONE OTT... - C. Calì - DIEET-UNIPA (2008-Rev_14/15) – Pubblicato in www.dieet.unipa.it/cali/didattica