GENERE E RAPPRESENTANZA POLITICA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Assessorato all'emigrazione, solidarietà internazionale, sport e pari opportunità Ufficio per le Politiche di Pari Opportunità Via Jacopo Aconcio, 5 - 38100 Trento Tel. 0461.493156 - Fax 0461.493157 e-mail: [email protected] www.pariopportunita.provincia.tn.it PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO GENERE E RAPPRESENTANZA POLITICA PARI OPPORTUNITÀ TRA DONNE E UOMINI NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE 2005 2 Osservatorio per le politiche di pari opportunità Assessorato alle Pari Opportunità © Provincia Autonoma di Trento Assessorato all'emigrazione, solidarietà internazionale, sport e pari opportunità Progettazione e coordinamento dott.ssa Lucia Trettel Ufficio per le politiche di pari opportunità dott.ssa Francesca Alioli Ufficio per le politiche di pari opportunità GENERE e rappresentanza politica : pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive. Trento : Provincia Autonoma di Trento. Giunta, 2005 (stampa 2006). 47 p. ; 24 cm. (Osservatorio per le politiche di pari opportunità ; 2) In testa al front.: Provincia autonoma di Trento, Assessorato alle pari opportunità 1. Donna - Attività politica - Trentino - 2004-2005 Indagine statistica 2. Donna - Attività politica - Italia 3. Rappresentanza politica I. Trento (Provincia). Assessorato all'emigrazione, solidarietà internazionale, sport e pari opportunità 323.34 PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Assessorato alle Pari Opportunità GENERE E RAPPRESENTANZA POLITICA PARI OPPORTUNITÀ TRA DONNE E UOMINI NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE Giunta della Provincia Autonoma di Trento Osservatorio per le politiche di pari opportunità Trento 2005 PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Assessorato all'emigrazione, solidarietà internazionale, sport e pari opportunità Osservatorio per le politiche di pari opportunità GENERE E RAPPRESENTANZA POLITICA 2 PARI OPPORTUNITÀ indice TRA DONNE E UOMINI NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE 1. Prefazione 5 2. “Donne in politica: l'importanza ed il dovere di esserci”: gli incontri sul territorio trentino, 9 a cura di Barbara Poggio 3. La rappresentanza politica “femminile” in Italia, 34 di Marilisa D'Amico 4. Genere e cittadinanza, 39 di Alisa Del Re 3 1. Prefazione di Iva Berasi Assessore provinciale alle pari opportunità La questione della scarsa presenza femminile nei luoghi di decisione politica è un dato che, a sessant’anni dall’acquisizione del diritto elettorale da parte delle donne, è sintomo di una sconfitta per la stessa democrazia e lascia aperto il problema del riequilibrio della rappresentanza e della realizzazione di una democrazia effettiva e non dimezzata. La sottorappresentanza delle donne nelle assemblee legislative nazionali costituisce un aspetto sorprendente, comune alla vita politica delle democrazie occidentali. È però importante ricordare che l’attenzione nei confronti della composizione per genere delle assemblee elettive è un dato abbastanza recente; il movimento per il diritto di voto delle donne, infatti, aveva posto l’attenzione sulla questione dell’elettorato attivo, considerando l’elettorato passivo come una sua conseguenza ovvia ed inevitabile. Solo a partire dalla fine degli anni ottanta ha iniziato a muoversi un interesse particolare per il fenomeno della sottorappresentanza delle donne nei parlamenti e nei consigli, interesse che si riallaccia direttamente al concetto di una democrazia piena. Ma perché è importante agire per promuovere le pari opportunità tra donne e uomini nella rappresentanza politica? Una risposta chiara ed esauriente è quella elaborata da Anne Phillips, che attraverso il concetto di politica della presenza ci spiega perché è importante se i nostri rappresentanti sono uomini oppure donne. Se la rappresentanza politica si basasse solo sui programmi e sulle idee, chi sono i nostri rappresentanti sarebbe meno rilevante rispetto a cosa essi rappresentano; ma in questo caso ci dovremmo aspettare di trovare pressoché lo stesso numero di uomini e di donne tra gli eletti. Questa situazione, di fatto, non corrisponde alla realtà. Le idee e le modalità di gestire il mandato elettorale risultano inevitabilmente legate all’esperienza, che fissa dei limiti a ciò che possiamo immaginare o che riteniamo essere prioritario. Il peso dell’esperienza gioca un ruolo fondamentale dal quale non è possibile prescindere. Prefazione La politica della presenza può essere così spiegata: di fatto, i nostri rappresentanti al momento dell’elezione hanno dei mandati da rispettare ma essi hanno anche una certa dose di autonomia. È per via di questo ruolo giocato dall’elemento personale, individuale e culturale, che diviene importante chi sono i nostri rappresentanti. Il fatto di incrementare il numero di donne nei luoghi della decisione, che di per sé non costituisce garanzia di un reale cambiamento in politica, ne diviene tuttavia una condizione necessaria. La questione della partecipazione politica delle donne ha assunto nuovo vigore anche nella nostra provincia in coincidenza con le elezioni comunali svoltesi la scorsa primavera. La previsione di quote nelle liste di candidati, per cui nessuno dei due sessi poteva essere rappresentato in misura superiore ai 2/3 del numero massimo di candidati spettanti a ciascuna lista, ha portato dunque ad un buon risultato. In 154 comuni le quote sono state rispettate; un segnale positivo arriva anche dall’incremento del numero di comuni in cui, andando oltre le prescrizioni delle quote, le donne in lista superavano il 40%. Questi comuni, solo 4 nelle tornata elettorale precedente, sono stati 17 nel 2005. È necessario però sottolineare che nei restanti 51 comuni, considerando il totale delle liste, non è stata rispettata la quota del 30% di candidature femminili (e ciò a causa della possibilità, di fatto, di bypassare la norma). Il numero di donne elette alle ultime elezioni comunali ha subito un incremento significativo: ci sono infatti 247 donne in più nei consigli e la presenza femminile costituisce ora il 24% del totale degli eletti, mentre nella precedente tornata elettorale la percentuale si fermava al 16%. Il sistema di quote sperimentato sembra dunque aver funzionato bene consentendo di incrementare la presenza di donne nei consigli comunali. Ma, e questo è un dato altrettanto interessante, dall’analisi dei dati è stato possibile osservare che l’aumento del numero di donne elette è da attribuire quasi esclusivamente al maggior numero di donne presenti in lista. Infatti, la proporzione delle donne elette rispetto a quelle presenti in lista è rimasta pressoché la stessa (nella scorsa tornata elettorale era del 26%, mentre nel 2005 è stata del 25%). L’incremento della presenza femminile è da collegarsi pertanto all’aumento delle donne candidate piuttosto che a significative Prefazione modifiche nella propensione media a “votare donna”. Si può senz’altro dire, quindi, che il sistema delle quote si è rivelato uno strumento efficace ai fini di un consistente riequilibrio della presenza di genere nella rappresentanza, ma da solo non sembra essere sufficiente per un significativo cambio di rotta della politica . In questo sembrano dunque persistere delle difficoltà di matrice culturale che impediscono un’equa rappresentanza tra i generi nei luoghi decisionali e che non consentono un percorso realmente paritario verso la rappresentanza. Proprio per intervenire sul rafforzamento della presenza delle donne ma anche sulle competenze che le stesse ritengono necessarie per muoversi con maggior sicurezza nel mondo della politica, l’Assessorato alle pari opportunità della Provincia Autonoma di Trento ha iniziato oramai da tempo un’azione di sostegno e sensibilizzazione sul territorio trentino, che ha coinvolto in prima persona le donne ma che ci auspichiamo abbia ripercussioni di portata più ampia. In particolare, nell’autunno del 2004 è stata lanciata l’iniziativa “Donne in politica: l’importanza e il dovere di esserci” che, in più edizioni, ha visto la realizzazione di incontri sul territorio finalizzati a creare momenti di riflessione comune sul significato e sul valore della politica, sulle modalità di partecipazione e sulle possibili strade da percorrere per essere presenti nel terreno politico non in termini minoritari o come “specie protetta”, ma con autorità e capacità di influenza. Questo volume è nato a partire dall’analisi dei questionari compilati da 266 persone (in grande maggioranza donne) coinvolte negli incontri sul territorio, a rappresentare una nuova tappa dell’impegno dell’Assessorato nella promozione e sostegno delle donne in politica. Il volume, che rientra nella collana di pubblicazioni dell’Osservatorio per le politiche di pari opportunità, vuole essere uno strumento utile per chiunque sia interessato, a vario titolo, al tema della partecipazione delle donne alla politica e alla realizzazione di una democrazia piena. Oltre alla presentazione dell’indagine svolta, il volume si completa con ulteriori interventi di taglio politologico e giuridico che offrono spunti ed approfondimenti particolarmente interessanti. 2. “Donne in politica: l’importanza ed il dovere di esserci”: gli incontri sul territorio trentino A cura di Barbara Poggio Questo rapporto si basa sui dati raccolti attraverso questionari somministrati a conclusione di due successivi cicli di incontri sulla cittadinanza attiva delle donne (cfr. appendice 2), realizzati nella prima edizione in sette differenti comuni della Provincia di Trento (Ala, Cles, Mezzocorona, Cavalese, Telve Valsugana, Tione e Trento) e nella seconda edizione in altri dieci differenti comuni del territorio trentino (Breguzzo, Rovereto, Pergine, Arco, Pieve di Ledro, Malé, Cembra Sardonico, Tonadico e Trento). L’iniziativa è stata promossa dall’Assessorato alle pari opportunità della Provincia Autonoma di Trento, insieme con la Commissione provinciale Pari Opportunità e l’Associazione A.d.ele (Associazione donne elettrici) partendo dalla consapevolezza dell’ancora scarsa presenza della componente femminile nei luoghi istituzionali e decisionali pubblici provinciali al fine di fornire alle donne interessate un’occasione di riflessione condivisa sul significato e sul valore della politica e sulle effettive possibilità e modalità di partecipazione. Gli incontri della prima edizione sono stati realizzati nei mesi di ottobre e novembre 2004. Le tematiche affrontate hanno riguardato in particolare il tema dell’autostima, dell’amministrazione dell’ente pubblico e la questione del rapporto tra genere e potere. Gli incontri della seconda edizione sono invece stati realizzati nei mesi di febbraio e marzo del 2005 e hanno affrontato il tema degli strumenti della partecipazione alla vita politica, con una particolare attenzione al coinvolgimento e alla presenza delle donne. Tabella 1 Partecipanti agli incontri della prima edizione di “Donne in politica” LUOGOTot. Questionari Ala Cavalese (Predazzo, Tesero) Cles Mezzocorona Telve Tione (Condino, Breguzzo) Trento Totale 24 6 6 6 23 8 44 115 Tabella 2 Partecipanti agli incontri della seconda edizione “Donne in politica” LUOGO Tot. Questionari Breguzzo Rovereto Trento Pergine Arco Pieve di Ledro Malè Cembra Sarnonico Tonadico-Primiero Totale 15 16 10 9 18 18 10 16 6 33 151 Entrambe le edizioni hanno suscitato forte interesse e partecipazione da parte della cittadinanza. Nel primo caso sono state coinvolte almeno 115 persone, nel secondo almeno 1511 (tab. 1), in forte prevalenza donne. L’iniziativa ha inoltre rappresentato una significativa opportunità per costruire e rafforzare sul territorio una rete di donne impegnate nel contesto della politica, a partire dal riconoscimento della rilevanza della costruzione di network sul territorio per l’accesso e l’affermazione ai contesti della politica. 1. Il campione I dati che saranno presentati in questo rapporto fanno dunque riferimento ad un questionario somministrato nelle diverse sedi ad un campione complessivo di 266 soggetti tra gli intervistati della prima e della seconda edizione, di cui oltre il 90% è composto da donne2, di età compresa tra i 16 e i 70 anni3. La classe di età maggiormente rappresentata è quella compresa fra i 41 e i 50 anni (37,0%). Nel 2005 questa classe di età è stata ancora più numerosa rispetto alla precedente edizione (40,2% rispetto al 32% del 2004), a differenza della classe tra i 51 e i 60 anni, che ha rappresentato nell’ultima edizione il 18% circa delle partecipanti, a fronte di un 25% del 2004. L’età media si assesta intorno ai 44 anni4. 1 I dati si riferiscono al numero di questionari raccolti, che si presume inferiore al numero complessivo di persone coinvolte dall’iniziativa. 2 Vista la quasi assoluta prevalenza di donne nell’analisi non verrà effettuata una disaggregazione dei dati per genere e il commento ai dati sarà declinato al femminile, privilegiando il principio della dominanza. 3 Ringrazio Annalisa Murgia e Claudia Leonarduzzi che hanno collaborato all’analisi dei dati. 4 Nella tabella n. 1 in appendice 2 sono riportati i dati concernenti l’età delle partecipanti nelle due differenti edizioni. 10 Tra le rispondenti il livello di scolarità è piuttosto elevato: quasi il 60% possiede un diploma o una qualifica professionale, il 22,2% possiede una laurea o un diploma universitario e il 4,6% ha conseguito una specializzazione post-laurea oppure ha svolto il dottorato, mentre solo il 13,4 % ha un titolo di studio inferiore alla scuola dell’obbligo o non ha alcun titolo di studio. Le persone occupate sono circa il 60%, mentre le rimanenti si suddividono tra pensionate (14%), casalinghe (10% circa), persone in cerca di occupazione (2,5%) e studentesse (4,1%). Va evidenziata le percentuale contenuta di donne in condizione di casalinga. Da rilevare però il fatto che le casalinghe sono maggiormente rappresentate nella seconda edizione (12,6%), rispetto alla precedente edizione in cui si attestavano intorno ad un esiguo 4,3%. Anche il numero di studentesse partecipanti è lievemente cresciuto, dato che permette di avanzare l’ipotesi che l’interesse alla politica coinvolga donne in differenti posizioni e non esclusivamente le donne lavoratrici5. Tra coloro che sono occupate, oltre la metà si trova in una condizione di lavoro dipendente (di cui circa il 10% occupa la posizione di dirigente, oltre il 50% occupa una posizione impiegatizia e solo il 5% svolge l’attività di operaia), il 15% circa si dichiara imprenditrice o libero professionista e il 4% lavoratrice autonoma. Si noti che nella seconda edizione la quota di rispondenti che svolgono un lavoro dipendente (meno del 50%) risulta più circoscritta, anche se sempre rilevante, rispetto a quella del 2004 (quasi 60%), mentre è aumentato il numero di persone che afferma di essere una libera professionista (21% a fronte di un 9% del 2004) o di svolgere un lavoro di tipo autonomo (6% nel 2005 contro un 2% nel 2004)6. Figura 1 Distribuzione per età meno di 30 anni 13.2% 31-40 anni 22.6% oltre i 60 anni 6.4% 51-60 anni 20.9% 41-50 anni 37.0% 5 Nella tabella n. 2 in appendice n. 2 sono riportati i dati scorporati delle due edizioni. 6 Nella tabella n. 3 in appendice 2 sono riportati i dati relativi alla posizione professionale nella prima e nella seconda edizione. 11 2. Interesse e partecipazione al mondo della politica Complessivamente le rispondenti presentano valori altamente significativi rispetto al grado di interesse alle vicende della politica e al livello di informazione. Circa il 60% legge spesso i giornali e gli articoli politici (60,9%), discute spesso di politica all’interno della famiglia (64%) e quasi nove rispondenti su dieci seguono con una certa frequenza le trasmissioni politiche alla televisione. Sebbene in misura più contenuta rispetto ai dati relativi all’interesse e al livello di informazione, anche la partecipazione attiva ad iniziative ed attività pubbliche appare significativa, in quanto dichiara di partecipare a manifestazioni pubbliche la metà delle intervistate (il 14,6% spesso e il 32,1% qualche volta) e altrettante sono effettivamente impegnate in attività politiche sindacali, di partito, di movimento o associative (il 26,4% partecipa “spesso” e il 24% “qualche volta”). Rispetto alle risposte fornite su tali tematiche non vi è stato uno scostamento significativo tra i due cicli di incontri7. Una più incisiva azione in termini di motivazione, sensibilizzazione, formazione e costruzione di network sembrerebbe dunque poter rappresentare una strada da percorrere al fine di facilitare la traduzione di un interesse condiviso in una pratica attiva. Tabella 3 Interesse e partecipazione ad attività politiche (%) o s es Sp Discutere di politica con familiari /amici 64,0 30,5 4,2 1,3 Leggere articoli/giornali di carattere politico 60,9 32,2 5,3 1,6 Seguire alla tv trasmissioni di carattere politico 40,7 46,6 10,4 2,3 Partecipare a manifestazioni di carattere politico 14,6 32,1 33,1 20,2 Partecipare attivamente all’attività di partiti/sindacati/movimenti politici/associazioni 26,4 24,0 24,8 24,8 7 Nella tabella n. 4 in appendice n. 2 sono riportati i dati scorporati delle due edizioni. 12 e nt he lc a me i a a t r Ma Quvol Ra 3. La presenza delle donne in politica Quasi tutte le rispondenti concordano nell’affermare che il numero di donne presenti in politica dovrebbe essere più elevato (93%). In particolare un aumento della presenza delle donne in politica comporterebbe un miglioramento per il 94% delle rispondenti. Solo 8 persone su 263 affermano che non cambierebbe nulla e 4 dichiarano di non averci mai pensato, mentre solo una ritiene che ci sarebbe un peggioramento. Le ragioni di tale miglioramento sarebbero rappresentate per la maggior parte di coloro che hanno risposto dal fatto che la presenza delle donne porterebbe nell’arena politica nuove prospettive rispetto a quelle attualmente dominanti (tab. 4). Una quota quasi altrettanto significativa di risposte sottolinea l’esistenza di una specifica sensibilità femminile nei confronti di particolari problemi, che il questionario non declina, ma che probabilmente si riferiscono ad alcune aree culturalmente più vicine all’esperienza delle donne. Circoscritto è invece il numero di rispondenti che sottolineano una maggiore capacità delle donne nell’agire politico. Il confronto in base all’età mostra che sono soprattutto le rispondenti più giovani a sottolineare l’importanza della presenza delle donne in quanto portatrici di nuovi punti di vista, mentre sono le donne in età più avanzata ad enfatizzare una differente e maggiore sensibilità delle donne rispetto a particolari problemi (fig. 2). Anche per quanto riguarda queste tematiche non vi sono scostamenti rilevanti rispetto ai dati rilevati nelle due edizioni8. Sembra tuttavia confermato il permanere di significative riserve e pregiudizi sociali nei confronti delle donne che ricoprono ruoli in ambito politico. Quasi l’80% di coloro che hanno risposto sostiene infatti che non le sostengono, il 37% che i cittadini non hanno fiducia nelle donne e il 44% ritiene che le donne non siano ritenute capaci9. Tabella 4 Perché una maggiore presenza delle donne in politica porterebbe dei miglioramenti (%) Portatrici di nuovi punti di vista Maggiore sensibilità per certi problemi Maggiori capacità Altro Totale % 49,6 46,2 2,0 2,2 100,0 8 Nella tabella n. 5 in appendice n. 2 sono riportati i dati scorporati delle due edizioni. 9 Va tuttavia evidenziata l’elevata percentuale di persone che non rispondono alle domande relative all’atteggiamento dei cittadini nei confronti delle donne, che va dal 33,5 al 45,5%. 13 Figura 2 Miglioramenti in politica grazie alla presenza delle donne per classi di età >50 anni 35-50 anni <35 anni 0% 20% 40% Portatrici di nuovi punti di vista Maggiore sensibilità per certi problemi 60% 80% 100% Maggiori capacità Altro 4. Opinioni sul rapporto tra donne e politica Una delle domande presenti nel questionario chiedeva agli intervistati di prendere posizione rispetto ad una serie di affermazioni relative al rapporto tra donne e politica, alcune delle quali richiamavano convinzioni e luoghi comuni ancora piuttosto diffusi tra la popolazione (tab. 5). Nel complesso le affermazioni che raccolgono il maggior grado di adesioni sono quelle che riguardano la scarsa attenzione e in molti casi l’ostilità che il mondo politico dimostra nei confronti della componente femminile: tre rispondenti su quattro sono molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione che ai partiti non interessa coinvolgere le donne e poche meno considerano l’attuale mondo politico ostile alle donne (67,7%). Anche nel caso poi che le donne vengano candidate alle elezioni, sostengono sei intervistate su dieci, è probabile che non vengano elette, anche se non è chiaro se questo sia dovuto ad uno scarso sostegno in campagna elettorale o ad un atteggiamento di scarsa fiducia nei confronti delle donne da parte degli elettori. La distanza che separa le donne dalla politica è legata per molte rispondenti da un lato al fatto che le donne non condividono il modello di politica dominante, ovvero quello praticato dagli uomini (ne è molto o abbastanza convinto il 64,5% del campione) e dall’altro al fatto che le donne pensano di non essere portate per la politica (56,9%). Ciò che le persone intervistate sottolineano in questa ultima risposta è la mancanza di fiducia nelle proprie capacità che sembra caratterizzare le donne, mentre invece una quota significativamente più circoscritta sottoscrive (e solo in parte) l’affermazione che le donne non sono interessate alla politica (35,5%) e pochissimi ritengono che le donne non siano all’altezza dei compiti richiesti dall’impegno politico (2,3%). Un’analisi a parte merita il problema rappresentato dai tempi della politica, considerati dal 14 54,4% del campione poco o per nulla compatibili con quelli delle donne. E’ interessante tuttavia notare che nel 2004 il 21,8% delle rispondenti si era dichiarato “molto d’accordo” con l’affermazione secondo cui i tempi della politica non sono compatibili con quelli delle donne, a differenza dell’edizione recentemente conclusasi, in cui solo il 7,9% ha dato la medesima risposta. In maniera speculare, cresce invece dal 18,9% al 26,4% la quota di coloro che si Tabella 5 Grado di accordo con alcune affermazioni do or Pe d’ r n ac ie co n rd te o d’ ac c o Po c o M d’ olt ac o co rd A d’ bba ac s co tan rd za o diffuse sul tema ‘donne e politica’ Ai partiti non interessa coinvolgere più donne 22,1 53,0 17,0 7,9 Per una donna in gamba non esistono particolari difficoltà a entrare nel mondo politico 27,9 29,8 34,5 7,8 Le donne non condividono il modello di politica praticato dagli uomini 19,8 44,7 27,3 8,2 L’attuale mondo politico è ostile alle donne 18,1 49,6 26,0 6,3 I tempi della politica non sono compatibili con quelli delle donne 13,9 40,5 22,6 23,0 Anche se le donne si candidano, poi non vengono elette 14,6 49,6 26,7 9,1 Le donne pensano di non essere portate per la politica 11,5 45,4 26,1 17,0 Alle donne non interessa la politica 2,3 33,2 38,7 25,8 Le donne non sono all’altezza dei compiti che l’impegno politico richiede 0,8 1,5 18,8 78,9 15 dichiarano “per niente d’accordo” rispetto alla stessa affermazione. Si rileva di conseguenza un maggior numero di persone che ritengono che la difficoltà di dialogo tra donne e politica non risieda tanto nei tempi femminili, ma piuttosto sia legato ad altri fattori, primo fra tutti il disinteresse, se non l’ostilità, da parte dei partiti nel coinvolgere più donne al loro interno. E’ maggiore anche la percentuale di intervistate che in questa edizione sostiene che, nonostante tutto, per una donna in gamba non esistano particolari difficoltà a farsi strada nel mondo politico (61% rispetto al 54% del 2004)10. Il confronto tra le risposte offerte da soggetti di età diverse mette in luce un maggiore ottimismo tra le rispondenti più giovani, sia rispetto alla rappresentazione delle donne (di cui si riconosce un più alto grado di interesse per la politica), sia rispetto alle effettive opportunità di affermarsi. Tra le aventi meno di 35 anni il 39% si dichiara “per niente d’accordo” con l’affermazione secondo cui le donne non sono interessate alla politica, a fronte di un 25,8% tra chi ha tra i 35 e i 50 anni e un 19% tra chi ha superato i 50. Sono ancora soprattutto le giovani donne a ritenere che per le “donne in gamba” non esistano particolari difficoltà per affermarsi in politica (37,5%, contro un 29,4% tra le 35-50enni e un 17,7% tra le rispondenti oltre i 50 anni). Le giovani donne sembrano inoltre meno convinte della presenza di diversi modelli di cultura politica legati all’appartenenza di genere, dell’esistenza di una ostilità di fondo o comunque di una sorta di disinteresse da parte del mondo politico nei confronti delle donne e del fatto che anche quando si candidano, le donne non vengono elette. Tra le aventi meno di 35 anni non vi Figura 3 Motivazioni dell’abbandono della attività politica da parte delle donne TEMPI E CONCILIAZIONE AUTOSTIMA MANCANZA DI SOSTEGNO DISCRIMINAZIONE NON CONDIVISIONE MODELLO DOMINANTE MANCANZA DI FORMAZIONE 0% 20% 40% 60% 80% 100% Prima scelta Seconda scelta Terza scelta Non scelto 10 Per un confronto tra le risposte fornite nell’edizione del 2004 e in quella del 2005 si veda la tabella n. 6 riportata nell’appendice n. 2. 16 è nessuna che aderisce a quest’ultima affermazione dichiarandosi “molto d’accordo”, diversamente dalle rispondenti tra i 35 e i 50 anni (15,3%) e tra chi ha più di 50 anni (24,2%). Alle intervistate è stata inoltre offerta la possibilità di indicare liberamente le principali ragioni che possono portare una donna a rinunciare ad un progetto di attività politica (fig. 3). La motivazione maggiormente segnalata riguarda la difficoltà di conciliare i tempi della politica con quelli della famiglia e in molti casi anche del lavoro: per le donne che hanno responsabilità familiari e lavorative, quella politica diventa infatti la terza presenza e non sempre è facile o possibile trovare un equilibrio, sebbene precario, tra queste tre dimensioni. La seconda ragione individuata è legata alla carenza di autostima che sembra caratterizzare le donne e che le porta a sminuire le proprie capacità e competenze. Si sottolinea poi una generale mancanza di sostegno da parte dei vari contesti di riferimento (i partiti, le famiglie, la cittadinanza), ma anche una mancanza di solidarietà tra le stesse donne. Lo stesso peso viene attribuito al problema della discriminazione da parte degli uomini, che rappresenta la ragione principale di rinuncia per una donna all’attività politica per circa il 9% delle rispondenti. Viene infine segnalata la scarsa identificazione delle donne nei modelli politici dominanti, prevalentemente maschili e pochissime persone indicano il minor grado di formazione politica delle donne. Concentrando l’attenzione sulle risposte provenienti da coloro che dichiarano di aver rinunciato ad un progetto di partecipazione politica (un terzo delle rispondenti), si osserva che le prime due indicazioni vengono confermate: resta infatti prioritario il problema della conciliazione dei tempi, seguito dal problema della scarsa fiducia nelle proprie capacità. Il terzo fattore critico è invece rappresentato dal non riconoscersi nel modello culturale dominante nel mondo della politica. 5. Quali azioni per incentivare la partecipazione delle donne Una volta individuati i principali fattori che sembrano ostacolare l’accesso delle donne al mondo della politica, sono state proposte alle rispondenti una serie di possibili soluzioni e/o iniziative per incentivare il coinvolgimento e la partecipazione politica delle donne, chiedendo loro di individuare delle priorità (fig. 4). L’opzione che raccoglie la maggior parte dei consensi (sia complessivamente che come prima scelta) è quella relativa all’esigenza di offrire percorsi di formazione politica (sia in termini di acquisizione di conoscenze che di sviluppo di competenze). Segue (per numero complessivo di scelte) l’esigenza di creare reti locali di sostegno per le donne, anche se l’azione che raccoglie la seconda maggior quota di prime scelte riguarda il rafforzamento dell’autostima e della sicurezza delle donne, che risponde all’esigenza emersa in precedenza, laddove una consistente quota di rispondenti riteneva che le donne pensano di non essere portate per la politica (il 56,9% si era dichiarata “molto” o “abbastanza d’accordo” con questa affermazione). Minori preferenze raccolgono soluzioni mirate a sensibilizzare cittadinanza e partiti. E’ interessante sottolineare che tra un’edizione e l’altra è cresciuta in maniera considerevole la percentuale di persone che ritengono l’introduzione delle quote una possibile azione per sostenere le donne in politica (quasi il 40% nel 2005, a fronte del 26% nel 2004)11. 11 Per un confronto tra i dati relativi al 2004 e quelli relativi al 2005 si veda la tabella n. 7 in appendice 2. 17 Figura 4 Azioni ritenute utili per sostenere la presenza delle donne in politica FARE FORMAZIONE POLITICA (CONOSCENZA, COMPETENZE) CREARE RETI LOCALI DI SOSTEGNO PER LE DONNE RAFFORZARE L’AUTOSTIMA E LA SICUREZZA DELLE DONNE SOLLECITARE I PARTITI PER FAVORIRE LE CANDIDATURE DI DONNE SENSIBILIZZARE LA CITTADINANZA FISSARE UNA QUOTA MINIMA DI CANDIDATURE PER IL SESSO MENO RAPPRESENTATO 0% 20% 40% 60% 80% 100% Prima scelta Seconda scelta Terza scelta Non scelto A sottolineare la rilevanza di una formazione di tipo tecnico sono soprattutto le rispondenti più giovani, nella cui esperienza il percorso formativo assume una rilevanza più significativa rispetto alle generazioni precedenti, anche in relazione alle aspettative di carattere professionale. Sono invece le donne meno giovani a segnalare maggiormente l’esigenza di un intervento formativo finalizzato a rafforzare l’autostima e la sicurezza delle donne, ma anche l’opportunità di azioni di sensibilizzazione o di sostegno a favore della componente femminile. Di fronte a questi dati vale tuttavia forse la pena di ricordare come varie ricerche abbiano dimostrato che le donne che oggi accedono alla politica (ma più in generale al mondo delle professioni) siano mediamente più preparate e formate rispetto alla componente maschile e come questo, pur rappresentando una condizione necessaria, non rappresenti tuttavia una condizione sufficiente per riconoscere e non mettere in discussione le proprie competenze e per farsi strada e ottenere gli adeguati riconoscimenti12. 12 Cfr. Pescarolo, A. “Donne e uomini nella politica”, Firenze, Consiglio Regionale della Toscana, 2001; Bison, I. Pisati, M. e Schizzerotto, A. “Disuguaglianze di genere e storie lavorative”, in Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, a cura di S. Piccone Stella e C. Saraceno, Bologna, Il Mulino, pp. 253-279,1996. 18 6. Proposte di approfondimento L’ultima parte del questionario si concentrava sulle indicazioni rispetto ad eventuali ulteriori momenti formativi, proponendo alle rispondenti di indicare quale argomento meritasse un maggior approfondimento, potendo scegliere tra il tema dell’autostima, quello dell’amministrazione dell’ente pubblico e la questione del rapporto tra genere e potere (fig. 5). Alle partecipanti al ciclo di incontri è stato inoltre chiesto di segnalare eventuali altre tematiche di interesse (tabella 9). Se nel 2004 era prevalso l’interesse per l’amministrare, nel 2005 il tema più indicato per ulteriori approfondimenti è stato quello relativo all’autostima (45,3) seguito da quello concernente all’amministrare (40,3). Questa inversione di tendenze può essere probabilmente ricondotta al fatto che il tema dell’autostima, diversamente da quanto accaduto nel 2004, non è stato oggetto di discussione nel ciclo di incontri del 2005, e che quindi le partecipanti hanno espresso la necessità di riprenderlo in considerazione13. Figura 5 Indicazioni per eventuali approfondimenti dei temi trattati: seconda edizione AMMINISTRARE: COS’È CHE “GENERE” DI POTERE AUTOSTIMA: CONVINCERSI DI ESSERE CAPACI 0% 20% 40% 60% 80% 100% Figura 6 Indicazioni per eventuali approfondimenti dei temi trattati: PRIMA edizione AMMINISTRARE: COS’È CHE “GENERE” DI POTERE AUTOSTIMA: CONVINCERSI DI ESSERE CAPACI 0% 20% 40% 60% 80% 100% Più importante Mediamente importante Meno importante Non scelto 13 Nella tabella n. 8 in appendice n. 2 sono riportati i dati scorporati delle due edizioni. 19 Sembra dunque che la richiesta prioritaria sia quella di acquisire una maggiore autostima, in modo da possedere una maggiore sicurezza per la partecipazione all’attività politica: viene nuovamente confermata l’esigenza di rafforzare la fiducia nelle proprie capacità e di convincersi di avere le competenze adeguate per entrare con successo nel mondo della politica. Già nelle precedenti domande, alla richiesta di indicare le azioni ritenute maggiormente utili per sostenere la presenza delle donne in politica, le intervistate avevano espresso come seconda scelta (di poco superata dalla necessità di formazione) il rafforzamento dell’autostima. All’invito a proporre eventuali altre tematiche da approfondire, le persone che hanno risposto (solo il 33% del totale) hanno reagito suggerendo una molteplicità di percorsi. Nella tabella 6 vengono individuate alcune categorie di sintesi delle diverse indicazioni raccolte (presentate per esteso nell’appendice 1). Tabella 6 Indicazioni di possibili tematiche da approfondire (%) 2004 Dato 2005 complessivo Le donne e la politica 34,8 31,5 33,3 Amministrare 26,1 34,2 29,8 Autostima e comunicazione 15,2 13,3 14,3 8,7 10,6 9,5 Nuove generazioni e politica non presente 5,2 2,4 Altro 15,2 5,2 10,7 Totale 100,0 100,0 100,0 Costruzione di reti In primo luogo emergono le richieste di approfondimento rispetto al tema della presenza delle donne in politica, che vanno dalla riflessione sull’apporto specifico che la donna può dare alla politica, alla considerazione dei possibili interventi mirati a favorire l’equità tra donne e uomini nei contesti politico-istituzionali, ad una analisi più generale dei modelli culturali di genere nella politica, ma anche nella società. Seguono le proposte di approfondimento di questioni relative all’attività dell’amministrare, come il funzionamento dell’amministrazione pubblica, la rappresentanza partitica e il diritto pubblico in generale (istituzioni nazionali e locali). Occorre tuttavia evidenziare il fatto che nell’edizione del 2005 si è riscontrato un maggior interesse rispetto ai temi dell’amministrazione in confronto a quelli riguardanti il rapporto tra donne e politica, probabilmente maggiormente approfonditi nel corso dell’iniziativa. Inoltre, seppure in misura più contenuta, vengono segnalate la tematica dell’autostima – nello specifico espressa 20 dal desiderio di imparare a parlare in pubblico e di vincere le proprie paure – e del networking, ovvero dell’opportunità di costruire reti tra donne o di sostegno alle donne. Nell’edizione del 2005 emerge inoltre la necessità di approfondimenti formativi che mettano al centro della discussione il rapporto tra politica e nuove generazioni (5,2%), che parte probabilmente dal desiderio di ricostruire un interesse e un coinvolgimento dei giovani al discorso politico, che contribuisca all’individuazione di nuove forme e modalità del fare politica e della partecipazione democratica. Appendice 1 - Tematiche proposte per possibili approfondimenti Le donne e la politica ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Come conciliare lavoro e politica Come fare a far votare le donne Come coinvolgere le donne in politica Complementarietà con il genere maschile in politica Donne e politica nel passato Donne e politica nel passato e prospettive per il futuro Emancipazione delle donne in politica e in generale e delega del lavoro di cura Importanza della collaborazione tra uomo e donne in politica Modo femminile di pensare i rapporti sociali in politica Rapporto tra donne e politica Il ruolo delle donne oggi in politica Valori e potere in politica: come coinvolgere le donne Come convincere il territorio del valore della donna in politica, aiutare le donne Come coordinare impegni lavorativi e familiari, come amministrare, crescita e sviluppo Come possono entrare forze nuove in politica: la politica femminile come professione Confronto tra le realtà in cui la presenza femminile è alta e quelle in cui è bassa: tesi equità Cos’è veramente la vita politica? cos’è per la donna? Cosa noi donne possiamo portare alla ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ politica visto che non dobbiamo né vogliamo emulare gli uomini Donne e lavoro Laboratori creativi e supporto alle donne già in politica L’educazione dei bambini e i meccanismi inconsci che ripetono le dinamiche del sistema sociale Promuovere la necessità di essere attive Psicologia maschile/femminile - informazione politica/ informazione & politica Rafforzare l’idea di uguaglianza e pari opportunità Rendere visibile l’importanza del ruolo della donna Sentire l’esperienza di una donna in politica Studio della società che cambia in favore della presenza delle donne in politica, corsi di formazione Studio di meccanismo per costringere i partiti a introdurre le donne nelle liste e a sostenerle Amministrazione e normative ■ ■ ■ ■ Aggiornamento sulle normative provinciali e regionali Amministrazione locale e partecipazione Come operare per essere buone amministratrici Comprensione del bilancio 21 ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Conoscere gli organismi istituzionali e il bilancio Funzionamento della gestione amministrativa Gestione dell’amministrazione Corsi sulla legislazione specifica del contesto locale La riforma istituzionale Organizzazione comunale per le donne Organizzazione interna al comune Strategie di governance a livello locale Corsi sul tema amministrativo Approfondire i tre temi svolti con particolare attenzione alla formazione in materia istituzionale Aspetti giuridici ed economici dell’amministrare Burocrazia: come funziona, servizi al cittadino e alle imprese, formazione continua Comunità e bene comune, storia/ economia internazionale Conoscenze tecniche sull’amministrazione Corsi di legislazione - sull’ordinamento dei Comuni - sulla gestione provinciale e sulle competenze Formazione politica Formazione politica, rete territoriale possibile per unificare donne e politica, responsabilità politica Imparare a conoscere i meccanismi della politica Legislazione nei principali ambiti dell’amministrare, urbanistica, industria, commercio, cultura ecc. Nozioni legislative Tematiche amministrative in politica, cos’è un’interrogazione o una mozione, saper intervenire Autostima e comunicazione ■ ■ ■ 22 Come prepararsi a parlare di fronte a un pubblico Comunicazione in contesti istituzionali Educazione al confronto politico ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Modelli comunicativi in politica Comunicazione nelle politiche pubbliche Autostima Incontro alla pari tra uomini e donne, capacità di parlare in pubblico, vincere le paure Parlare in pubblico Rafforzare l’autostima e la partecipazione Saper parlare, riuscire a farsi capire Strategie comunicative e di mediazione Tecniche di comunicazione, ruolo della donna nelle istituzioni Costruzione di reti ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Come creare gruppi di supporto alle donne Modelli partecipativi e reti tra donne Strategie relazionali e di sostegno nel gruppo amministrativo Rete di sostegno e tempi politici Fare seminari o piccoli gruppi con confronti tra donne amministratrici, incontri con i partiti Forme della partecipazione democratica, costruzione di “reti”, forme alternative di fare politica Incontrare le donne di vari partiti su problemi e temi sociali insieme Interventi politici fatti attraverso i comitati, i gruppi di pressione ecc. Nuove generazioni e politica Altro ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ ■ Classi deboli ed emarginazione Inquinamento, viabilità, vivibilità Approfondimento culturale generale Il campo sociale La politica come arte del compromesso? Lavoro, razzismo, politica L’utopia di credere nel benessere collettivo e nella sua possibilità di essere perseguito Mobbing Nuovi modi di fare politica Appendice 2 – Risultati dei questionari somministrati disaggregati per anno di edizione Tabella 1 Distribuzione per età nelle due edizioni % 2004 2005 Meno di 30 anni 13 13,1 31 – 40 anni 23 22,6 41 – 50 anni 32 40,2 51 – 60 anni 25 18,3 7 5,8 100,0 100,0 Oltre i 60 anni Totale Tabella 2 Distribuzione per posizione professionale nelle due edizioni % 2004 2005 Occupato/a 60 51,7 In cerca di occupazione 2,6 2,0 13,9 14,6 Casalinga 4,3 12,6 Studente 2,6 4,6 Altra condizione 5,2 6,6 11,3 7,9 Pensionato/a Non risponde 23 Tabella 3 Distribuzione per posizione professionale nelle due edizioni % 2004 2005 Dipendente 56 46 Imprenditore/trice o libero/a professionista 21 9 Lavoratore/trice autonomo/a 2 6 Altro 2 4 19 35 100,0 100,0 Non risponde Totale Tabella 4 Interesse e partecipazione ad attività politiche (%) SPESSO 2005 % 2004 QUALCHE RARAMENTE VOLTA 2004 2005 2004 2005 2004 MAI 2005 2004 2005 Discutere di politica con familiari /amici 64,0 63,8 30,7 29,5 3,5 4,7 0,0 2,0 Leggere articoli/giornali di carattere politico 66,7 54,4 25,4 36,7 2,6 7,5 1,8 1,4 Seguire alla tv trasmissioni di carattere politico 40,4 40,8 49,1 44,9 9,6 10,9 0,9 3,4 Partecipare a manifestazioni di carattere politico 16,7 13,1 28,9 33,1 36,0 31,0 16,7 22,8 Partecipare attivamente ll’attività di partiti/sindacati/ movimenti politici /associazioni 26,1 26,6 26,1 22,4 23,4 25,9 24,3 25,1 24 Tabella 5 Perché una maggiore presenza delle donne in politica porterebbe dei miglioramenti (%) % 2004 2005 Portatrici di nuovi punti di vista 47,3 51,1 Maggiore sensibilità per certi problemi 45,5 46,8 Maggiori capacità 3,6 0,7 Altro 0,9 1,4 100,0 100,0 Totale 25 Tabella 6 Grado di accordo con alcune affermazioni diffuse sul tema ‘donne e politica’ (%) % 2004 2005 2004 2005 2004 2005 2004 2005 Ai partiti non interessa coinvolgere più donne 28,2 17,9 47,3 57,1 15,2 18,6 9,8 6,4 Per una donna in gamba non esistono particolari difficoltà a entrare nel mondo politico 25,5 29,6 28,6 31,0 37,5 32,4 8,9 7,0 Le donne non condividono il modello di politica praticato dagli uomini 24,5 16,3 36,8 50,4 28,8 26,2 9,9 7,1 L’attuale mondo politico è ostile alle donne 23,6 14,3 45,1 52,9 23,9 27,9 8,0 5,0 I tempi della politica non sono compatibili con quelli delle donne 21,8 7,9 36,9 42,9 22,5 22,9 18,9 26,4 Anche se le donne si candidano, poi non vengono elette 17,3 12,8 47,3 51,1 28,6 25,5 7,1 10,6 Le donne pensano di non essere portate per la politica 12,7 9,9 47,7 44,0 24,3 27,7 15,3 18,4 Alle donne non interessa la politica 1,8 2,1 37,5 30,1 36,6 40,6 24,1 27,3 Le donne non sono all’altezza dei compiti che l’impegno politico richiede 0,9 0,7 1,8 1,4 18,6 19,0 78,8 78,9 Molto d’accordo Abbastanza d’accordo Poco d’accordo Per niente d’accordo 26 Tabella 7 Azioni ritenute utili per sostenere la presenza delle donne in politica % 2004 Fissare una quota minima di candidature per il sesso meno rappresentato 2005 2004 2005 2004 2005 2004 2005 11,8 16,5 5,3 7,9 9,2 13,7 73,7 61,9 Sensibilizzare la cittadinanza 2,7 9,4 9,3 Sollecitare i partiti per favorire le candidature di donne Rafforzare l’autostima e la sicurezza delle donne 20 11,6 4 3,6 6,7 13,7 21,3 10,8 25 27,3 68 71 68 71,9 25 20,9 7,9 7,9 40,8 43,9 Creare reti locali di sostegno per le donne 15,8 12,9 28,9 Fare formazione politica (conoscenza, competenze) 8 23 23,7 24,5 31,6 39,6 34,7 30,2 21,3 20,1 13,3 11,6 30,7 38,1 Prima scelta Seconda scelta Terza scelta Non scelto Tabella 8 Indicazioni per eventuali approfondimenti dei temi trattati % 2004 2005 2004 2005 2004 2005 2004 2005 Autostima: convincersi di essere capaci 28,7 45,3 Che “genere” di potere 16,5 12,9 20,9 33,8 30,4 34,5 32,2 18,8 Amministrare: cos’è 32,2 40,3 23,5 28,1 20,9 18,7 23,4 12,9 20 18 16,5 23 34,8 13,7 Più importante Mediamente importante Meno importante Non scelto 27 Appendice 3 – Il questionario “Donne in politica: l’importanza e il dovere di esserci” Data: Luogo dell’incontro: 1. Facendo riferimento al suo interesse per la politica, indichi, per cortesia, con quale frequenza compie le seguenti attività: Mai Raramente Qualche volta Discutere di politica con familiari /amici Leggere articoli/giornali di carattere politico Seguire alla tv trasmissioni di carattere politico Partecipare a manifestazioni di carattere politico Partecipare attivamente all’attività di partiti/ sindacati/movimenti politici/associazioni/ … Spesso 2. Secondo lei, il numero di donne attualmente in politica dovrebbe essere (1 sola risposta):¨ va bene così più elevato più basso non so/ non ci ho mai pensato 3. Secondo lei, una maggior presenza femminile nei luoghi decisionali potrebbe comportare dei cambiamenti nella qualità delle decisioni politiche? (1 sola risposta) vai alla domanda 3.1 ci sarebbero dei miglioramenti vai alla domanda 3.2 no, non cambierebbe nulla 28 ci sarebbero dei peggioramenti vai alla domanda 3.3 non so/ non ci ho mai pensato vai alla domanda 4 3.1 No, non cambierebbe nulla. Perché? (1 sola risposta) non c’è alcuna differenza tra le decisioni prese da uomini e da donne anche se ci fossero più donne, a loro sarebbero destinati i posti privi di reale potere anche se ci fossero più donne, non avrebbero l’autorevolezza di imporre il loro punto di vista altro: ________________________________________ 3.2 Ci sarebbero dei miglioramenti. Perché? (1 sola risposta) le donne sono portatrici di nuovi punti di vista le donne hanno una maggiore sensibilità di fronte a certi problemi le donne hanno più capacità degli uomini altro: _____________________________________ 3.3 Ci sarebbero dei peggioramenti. Perché? (1 sola risposta) le donne sono meno esperte degli uomini a gestire il potere le donne hanno meno capacità degli uomini le donne dedicherebbero meno tempo degli uomini agli impegni politici altro: ________________________________________ 29 4. Secondo lei, qual è, in generale, l’atteggiamento dei cittadini nei confronti delle donne che partecipano alla vita politica? (1 risposta per ogni coppia di affermazioni) 5. i cittadini hanno fiducia oppure i cittadini non hanno fiducia i cittadini le sostengono oppure i cittadini non le sostengono i cittadini le ritengono capaci oppure i cittadini non le ritengono capaci Di seguito vengono riportate alcune affermazioni sul tema ‘donne e politica’. Per ciascuna di esse potrebbe indicare il suo grado di accordo/disaccordo? Poco Abbastanza Molto d’accordo d’accordo d’accordo d’accordo Alle donne non interessa la politica Le donne pensano di non essere portate per la politica Le donne non sono all’altezza dei compiti che l’impegno politico richiede I tempi della politica non sono compatibili con quelli delle donne Anche se le donne si candidano, poi non vengono elette Ai partiti non interessa coinvolgere più donne L’attuale mondo politico è ostile alle donne Le donne non condividono il modello di politica praticato dagli uomini ¨ Per una donna in gamba non esistono particolari difficoltà a entrare nel mondo politico 30 Per niente 6. Secondo lei, che cosa si dovrebbe fare per sostenere la partecipazione delle donne in politica? (al massimo 3 risposte in ordine di importanza: 1= più importante, 2=mediamente importante, 3=menO importante) fissare per legge una quota minima di candidature per il sesso meno rappresentato fare formazione politica (conoscenze, competenze) rafforzare l’autostima e la sicurezza delle donne (empowerment) sensibilizzare la cittadinanza creare reti locali che sostengano le donne che vogliono partecipare alla vita politica sollecitare i partiti al fine di favorire le candidature delle donne altro: _____________________________________________ 7. Secondo lei, una donna che vuole entrare in politica ma poi rinuncia a questo progetto, per quali ragioni giunge a tale decisione? Indichi, per cortesia, le tre ragioni che lei ritiene più verosimili. a. _______________________________________________________________________ b. _______________________________________________________________________ c. _______________________________________________________________________ 7.1 A lei è mai successo? (solo per le donne) Sì No 31 8. Secondo lei, quali sono i temi degli incontri per cui sarebbe interessante un approfondimento? (al massimo 3 risposte in ordine di importanza: 1= più importante, 2=mediamente importante, 3=meno importante) Autostima: convincersi di essere capaci Amministrare: cos’è Che “genere” di potere 9. Quali altre tematiche le interesserebbE approfondire? _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________________________________________________ __________________________________________________________________________ Dati individuali 10. Sesso M F 11. Età _____ 12. Titolo di studio nessun titolo/ licenza elementare/ licenza di scuola media inferiore qualifica professionale/ diploma di scuola media superiore laurea/ diploma universitario dottorato di ricerca/ specializzazione post-laurea 32 13. Condizione occupazionale Occupato/a vai alla domanda 13.1 In cerca di occupazione Pensionato/a Casalinga Studente Altra condizione 13.1 In quale posizione occupazionale si trova? (solo per chi è occupato) Dipendente vai alla domanda 13.2 Imprenditore/trice o libero/a professionista Lavoratore/trice autonomo/a Altro 13.2 Lei è alle dipendenze come… (solo per chi è alle dipendenze) Dirigente/direttivo/quadro Impiegato/a Operaio/a Altro ____________________ 33 3. La rappresentanza politica “femminile” in Italia di Marilisa D’Amico Ordinario di Diritto costituzionale nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università statale di Milano L’Italia è fra i Paesi europei e mondiali con una delle percentuali più basse di donne in Parlamento. La storia degli ultimi anni ha vissuto alterne vicende: da un lato sono state varate leggi tendenti a garantire una quota minima di candidati donne, dall’altro sono intervenute alcune sentenze della Corte costituzionale non del tutto coerenti fra loro; da ultimo è stato modificato l’art. 51 Cost. che ha consentito un primo provvedimento in tema di elezioni europee. Nel 1993, con la legge n. 81, il legislatore aveva pensato di risolvere il problema della bassa percentuale di donne nelle Assemblee elettive, introducendo, per la prima volta, le cd. “quote” in merito alle elezioni dei rappresentanti negli enti locali. Per le elezioni regionali e comunali si prescriveva che nelle liste i candidati dello stesso sesso non fossero inseriti in misura superiore ai due terzi, con ciò sostanzialmente riservando un terzo dei posti disponibili al sesso sottorappresentato. Per le elezioni nazionali, invece, veniva introdotta l’alternanza obbligatoria di uomini e donne nelle liste per il recupero proporzionale previsto dalla legge elettorale per la Camera dei deputati. Questa serie di interventi legislativi sono stati censurati da una sentenza della Corte costituzionale, la n. 422 del 1995, con la quale il giudice costituzionale ha chiarito che, in via generale e senza alcuna eccezione, in materia elettorale debba trovare applicazione soltanto il principio di eguaglianza formale (artt. 3, 1 comma, e 51, comma 1, Cost.) e che qualsiasi disposizione tendente ad introdurre riferimenti “al sesso” dei rappresentanti, anche se formulata in modo neutro, sia in contrasto con tale principio. Nonostante l’oggetto specifico della questione di costituzionalità sollevata di fronte al Giudice delle leggi riguardasse esclusivamente la normativa relativa all’elezione degli enti locali, la Corte, attraverso l’applicazione dell’art. 27, comma 2, l. n. 87 del 1953 (dichiarazione di illegittimità consequenziale), è giunta all’annullamento di tutte le norme presenti nell’ordinamento miranti, sia pur con tecniche diverse, a riequilibrare la presenza di uomini e donne nelle Assemblee elettive. In particolare, la decisione della Corte risulta assai significativa in quanto colpisce la disposizione inserita nella legge per l’elezione della Camera dei deputati, che come già chiarito, prevedeva il meccanismo di ‘alternanza’ nell’indicazione dei candidati. A conferma della posizione rigorosa assunta dalla Corte, venivano colpite anche le norme previste per le Regioni a statuto speciale. L’interpretazione della Corte, di per sé discutibile, anche alla luce di argomenti testuali (molti autori non sono d’accordo sul significato da attribuire all’art. 51 Cost.), non soltanto 34 determinava l’illegittimità di tutte le disposizioni in materia, ma rendeva impossibile, a Costituzione invariata, per il legislatore ordinario introdurre norme di qualsiasi tipo miranti a favorire l’accesso delle donne alle competizioni elettorali. Tuttavia la Corte, dimostrando di non sottovalutare l’importanza del problema, aveva espressamente dichiarato che opportune misure di sostegno nei confronti del sesso sottorappresentato, avrebbero potuto essere assunte liberamente dai partiti politici. Per superare l’ostacolo posto dalla Corte agli interventi legislativi ordinari, fu necessario avviare un laborioso processo di revisione dell’art. 51 della Costituzione, conclusosi soltanto molti anni dopo con l’approvazione della costituzionale n. 1 del 2003. Con tale intervento è stato aggiunto un secondo periodo al comma 1 dell’art. 51 Cost.: “A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Nel medesimo senso, prima della modifica dell’art. 51 Cost., sono intervenuti due altri importanti provvedimenti del legislatore costituzionale, che hanno ulteriormente mutato il quadro costituzionale di riferimento. Si tratta, da una parte, dell’art. 2 della legge cost. 31 gennaio 2001, n. 2, il quale prevede espressamente che “al fine di conseguire “l’equilibrio della rappresentanza dei sessi”, la legge regionale “promuove condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali”; dall’altra, dell’art. 117, comma 7, che introduce una disposizione analoga, volta ad impegnare il legislatore regionale a rimuovere “ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica” e a promuovere “la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”. Anche a livello internazionale si è cercato di porre rimedio al problema della sottorappresentanza femminile; l’art. 23 della Carta di Nizza, approvata il 7 dicembre 2000, sancisce infatti, al comma 2, che “il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”. In questo rinnovato contesto si inserisce la sent. n. 49 del 2003, in occasione della quale la Corte ha modo di tornare sul problema delle cd. “quote rosa”, cioè di disposizioni in materia elettorale volte a favorire una maggiore presenza delle donne nelle Assemblee elettive. L’occasione per il nuovo intervento del Giudice costituzionale è stata offerta dall’impugnazione effettuata dal Governo di una legge della Regione Valle d’Aosta. Curioso è il fatto che tale impugnazione sia stata avanzata dal medesimo Governo che aveva presentato il disegno di legge di modifica dell’art. 51, Cost. (il cui testo della relazione di accompagnamento espressamente si riferiva alla necessità di “di mettere un cappello alle quote”), in corso di approvazione al momento del ricorso stesso. Oggetto del giudizio sono state alcune disposizioni, in particolare l’art. 7, comma 1, e 2, comma 2 della deliberazione legislativa della Regione Valle d’Aosta, adottata ai sensi dell’art. 15, comma 2, dello statuto speciale, in base alle quali, a pena di invalidità, le liste dovevano essere formate da “rappresentanti di entrambi i sessi”. Un simile intervento, finalizzato a garantire una tutela minima (la sola necessaria presenza di candidati di entrambi i sessi, per ipotesi anche uno solo del sesso sfavorito) è stato impugnato non per “difetto”, bensì perché contrastante con i principi rigorosi della decisione costituzionale n. 422 del 1995. 35 Il Governo promotore della revisione dell’art. 51 Cost., in sostanza, sostiene dinanzi alla Corte che la materia elettorale non debba contenere misure che riguardino “il sesso” dei rappresentanti, tutte incostituzionali in relazione al principio di eguaglianza formale. La decisione della Corte, che ‘salva’ la norma valdostana, sembra porsi in netta discontinuità rispetto all’orientamento precedentemente assunto con la sent. n. 422 del 1995, al punto che, forse, non è fuori luogo parlare di vera e propria decisione overruling. La Corte, infatti, avrebbe tranquillamente potuto fare riferimento al quadro costituzionale già mutato e alla revisione dell’art. 51 Cost. che si stava perfezionando (si sarebbe conclusa a marzo, e il nuovo articolo sarebbe entrato in vigore a giugno), nonché all’art. 23 della Carta di Nizza, Carta già applicata dalla Corte costituzionale e anche da giudici comuni in altre occasioni. Al contrario, il Giudice costituzionale affronta il cuore del problema, ribaltando il ragionamento della sent. n. 422 del 1995: secondo la Corte la disposizione impugnata, introducendo un riferimento neutro (“ambo i sessi”) ed incidendo soltanto sulla formazione delle liste, non violerebbe gli artt. 3 e 51 Cost. Essa, infatti, inciderebbe soltanto sull’accesso alla competizione elettorale, non toccando né l’eleggibilità, né la candidabilità dei singoli candidati. Inoltre, proprio perché attinente soltanto alla formazione della lista, la disposizione in esame non sarebbe idonea a stabilire un vincolo fra elettori ed eletti, vincolo che sarebbe escluso dal principio della rappresentanza unitaria, classicamente inteso. La Corte, contrariamente a quanto aveva fatto nel 1995, introduce una differente valutazione fra misure costituzionalmente legittime, in quanto incidenti soltanto sulla formazione delle liste e in quanto formulate in modo neutro (che potremmo definire “riserve di lista”), che espressamente qualifica come strumenti diversi dalle azioni positive, e misure più forti, che garantiscano non solo una parità o un riequilibrio nei punti di partenza, bensì, propriamente, il risultato medesimo (azioni positive o quote in senso vero e proprio), che invece sarebbero lesive dei principi costituzionali. Con la sent. n. 422 del 1995, invero, la Corte aveva formulato un giudizio sostanzialmente opposto sulle norme volte a garantire una significativa presenza di candidati appartenenti ad entrambi i sessi. In quella circostanza la formulazione neutra delle norme era stata ritenuta insufficiente a porla al riparo dal vizio di incostituzionalità. La volontà del legislatore era stata indubbiamente quella di favorire in maniera consistente la candidatura del sesso sottorappresentato (quello femminile). Nella sent. 49 del 2003, al contrario, la Corte ha dato un peso determinante al contenuto minimo e al riferimento neutro rispetto al sesso, con ciò salvando le disposizioni che “stabiliscono un vincolo non già all’esercizio del voto o all’esplicazione dei diritti dei cittadini eleggibili, ma alla formazione delle libere scelte dei partiti e dei gruppi che formano e presentano le liste elettorali, precludendo loro (solo) la possibilità di presentare liste formate da candidati tutti dello stesso sesso”. E’ sicuramente molto significativo che la Corte costituzionale abbia voluto ragionare sul problema a mente sgombra da riferimenti al nuovo contesto costituzionale e che abbia utilizzato tali riferimenti solo come argomentazione di sostegno e in un secondo momento. Ancor più significativo che il Giudice costituzionale si sia riferito alla legge cost. n. 2 del 36 2001, riguardante le Regioni a statuto speciale, al nuovo art. 117, comma 7, riguardante le Regioni a statuto ordinario e, genericamente, agli indirizzi degli organi dell’Unione europea, senza citare direttamente la Carta di Nizza. È assente, dunque, nella decisione qualsiasi accenno alla revisione dell’art. 51 Cost., in procinto di approvazione; in questo modo la Corte costituzionale sembra aver voluto rimandare l’esame del problema riguardante l’esatta interpretazione del nuovo testo dell’art. 51 Cost.. Rimane quindi aperta la questione sull’effettiva portata innovativa della disposizione ora indicata: essa potrebbe sia rendere necessaria una tutela minima del genere discriminato nella competizione elettorale (almeno un candidato di entrambi sessi), sia, in maniera più estensiva, implicare la necessità di una vera e propria riserva di quota a favore del sesso che si ritiene, in un determinato momento, sfavorito. Significativo è che la Corte, richiamando nuovamente l’importanza del ruolo dei partiti politici in questo settore (i quali però, finora, in genere non hanno mostrato grande propensione ad intervenire spontaneamente in questo senso), arrivi però a ritenere ammissibile un intervento autoritativo del legislatore finalizzato ad imporre a tali soggetti particolari vincoli nella formazione delle liste da presentare agli elettori. La Corte dunque, rigettando la questione, modifica profondamente la propria giurisprudenza sul tema della legittimità di norme che abbiano la finalità di riequilibrare la rappresentanza politica dal punto di vista “sessuale”: nella decisione, come si afferma al punto n. 5 della motivazione, vengono ritenute legittime norme in cui il “vincolo resta limitato al momento della formazione delle liste, e non incide in alcun modo sui diritti dei cittadini, sulla libertà di voto degli elettori e sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella competizione elettorale, né sul carattere unitario della rappresentanza elettiva”. Vale la pena soffermarsi ancora sull’importanza della nuova formulazione dell’art. 51 Cost., il quale, come già ricordato, inserisce un’importante specificazione del principio di uguaglianza sostanziale sancito in via generale dall’art. 3, comma 2, Cost.. Va sottolineata, tuttavia, anche la potenziale ambiguità della norma: si parla di provvedimenti, e non di leggi; si parla di promozione, e non di diritto. E’ evidente, però, che al di là dei rilievi formali, la norma costituzionale riformata consente interventi legislativi in materia elettorale che la Corte costituzionale riteneva impossibili nella sent. n. 422 del 1995: vero è che la successiva pronuncia (n. 49 del 2003), resa in un momento nel quale la revisione dell’art. 51 Cost. non era ancora stata completata, ritiene legittime le cd. “quote di lista”, così modificando il precedente rigido orientamento; tuttavia è chiaro che la modifica dell’art. 51 Cost. rende molto più sicuro l’intervento del legislatore. Non a caso, all’indomani della modifica costituzionale, è stata emanata la legge 8 aprile 2004, n. 90 (“Norme in materia di elezioni dei membri del Parlamento europeo e altre disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell’anno 2004”), il cui art. 3 introduce disposizioni in materia di pari opportunità. Esso prescrive che le liste aventi un medesimo contrassegno debbano essere formate in modo che “nessuno dei due sessi” possa essere rappresentato “in misura superiore ai due terzi dei candidati”. Interessante notare che il secondo e il terzo comma dell’art. 3 introducono una penalizza- 37 zione economica per i partiti che non rispettino tale proporzione (in particolare si tratta di una riduzione del rimborso per le spese elettorali) e un incentivo per i partiti che “abbiano avuto proclamata eletta una quota superiore ad un terzo dei candidati di entrambi i sessi” (la ripartizione della somma derivante dalla riduzione di cui al comma 2). Con tale norma si introduce un meccanismo nuovo, che non prevede soltanto una penalizzazione per la mancata presentazione in lista, ma addirittura un incentivo per i partiti in cui le donne riescano anche ad essere elette: è noto che il grosso problema delle quote di lista è che non basta introdurre le donne alla competizione elettorale; occorre che esse siano anche in grado di vincere, per giungere ad una effettiva modificazione della composizione delle Assemblee elettive. Merita da ultimo evidenziare come il tema della rappresentanza di genere e della parità di accesso alle cariche elettive siano stati tenuti in particolare considerazione a livello regionale: in molti dei nuovi statuti regionali, approvati definitivamente o ancora in itinere compaiono apposite disposizione volte a garantire le “pari opportunità” (Statuto della Regione Toscana) o la “parità” tra uomini e donne nell’accesso alle cariche pubbliche (Statuto della Regione Puglia). In questo mutato quadro non può che apparire stonata la ‘bocciatura’ dell’emendamento presentato durante l’esame del disegno di legge di riforma del sistema elettorale, in senso proporzionale, per le Camere (A. C. 2620, approvato dalla Camera il 13 ottobre 2005). L’emendamento intendeva predisporre un meccanismo che obbligasse i partiti a inserire all’interno delle liste, che per altro risultano essere immodificabili da un eventuale voto di preferenza espresso dagli elettori, una quota di donne, e cioè almeno una ogni tre candidati: di fatto, si trattava di una norma molto blanda, che non sanciva l’inammissibilità delle liste che non rispettassero la previsione, bensì soltanto sanzioni di tipo economico. Il modo in cui è avvenuta la bocciatura da parte della Camera dei deputati, la quale, a voto segreto, ha rigettato questa norma conferma le perplessità sulla formulazione dell’art. 51 Cost., il quale, consentendo, ma non obbligando, il legislatore a introdurre norme in materia elettorale che favoriscano o garantiscano la presenza femminile nelle Assemblee elettive, si presta formalmente ad una interpretazione riduttiva, contraria alle proprie intenzioni (il Governo, infatti, ha cambiato la Costituzione “per introdurre le quote”). Significativa, comunque, a riprova della difficoltà culturali, in un Paese come il nostro, di introdurre strumenti a tutela di una maggiore presenza femminile nei luoghi della politica, che chi si appresta a modificare la legge elettorale si rifiuti di introdurre una norma che sarebbe molto appropriata per il tipo di sistema che si vorrebbe scegliere. E’ noto infatti, ma questo sarebbe capitolo di un diverso scritto, che i sistemi proporzionali sono quelli più favorevoli alla presenza di norme che garantiscano una certa percentuale di donne in lista, a differenza dei sistemi maggioritari, per i quali risulta più difficile la previsione di percentuali femminili, dal momento che nel singolo collegio candidare una donna equivale a non candidare un uomo. La natura del sistema elettorale, però, soltanto in Italia non muta alcunché riguardo all’atteggiamento del mondo politico rispetto al problema della (inesistente) rappresentanza “femminile”. 38 4. Genere e cittadinanza di Alisa Del Re Docente di Politica sociale e di pari opportunità nell’Unione Europea, Università di Padova Introduzione Non sempre è chiaro di cosa si voglia parlare quando si uniscono due termini come genere e cittadinanza. Essi non vengono spesso coniugati insieme. Nella loro storia autonoma essi sono l’uno polisemico e l’altro neutro con contenuti indefiniti. Nella polisemia di genere il significato d’uso più frequente e comune è quello di condizione femminile. E non è il senso più corretto dell’espressione. Per questo sono necessarie alcune precisazioni. Anche il termine cittadinanza richiede una definizione iniziale, una dichiarazione di intenti per chiarire di cosa si sta parlando. Solo dopo queste puntualizzazioni sarà possibile parlare della relazione che esiste tra genere e cittadinanza nelle nostre moderne democrazie. Dimensione di genere La dimensione di genere fa riferimento al modo sessuato con il quale gli esseri umani vivono socialmente e si percepiscono tra loro: nella società convivono due sessi e il termine « genere » segnala questa duplice presenza. Si tratta di un termine non univoco, binario: gli uomini, come le donne, costituiscono il genere. Il concetto di genere, a differenza di quello di condizione femminile, non si limita a segnalare una esperienza di subordinazione, o oppressione, delle donne rispetto agli – e da parte – degli uomini, ma pone in modo radicale la questione della costruzione sociale della appartenenza di sesso. Inoltre esso nega la possibilità che la condizione femminile – i modi concreti in cui si danno esperienze e collocazioni sociali di donne, inclusa la subordinazione o l’oppressione – possa venir analizzata in modo isolato, separato da quella maschile1. Troppo spesso (e le stesse ricercatrici non sfuggono a questo equivoco) le analisi che affermano di trattare il genere tendono a concentrarsi sulla situazione delle donne, cancellando, o ignorando ciò che riguarda il rapporto tra i sessi. Spesso il genere (che è un rapporto) è confuso con una delle sue parti (le donne) e limitato a questo. A giustificare ciò sta la scarsa riflessione sulla non inclusione delle donne nel discorso politico. Al massimo si pensa alle donne come un fattore «aggiuntivo», con una problematica ridotta alle procreazione e al lavoro di cura, come se la collocazione esclusivamente riproduttiva delle 1 Piccone Stella S., Saraceno C. (1996) “Introduzione. Storia di un concetto e di un dibattito” in Piccone Stella S., Saraceno C. (a cura di) Genere, Bologna , il Mulino, pp. 7-38. 39 donne non determinasse anche molte delle discriminazioni e delle disparità in altri ambiti delle relazioni sociali. Vi è poi la connotazione «visuale», che ha alte valenze simboliche: le donne come corpo « altro », che rappresenta il diverso, mentre la norma è il corpo maschile. In politica – che è anche rappresentazione – questa alterità del corpo viene accettata con difficoltà. Prendere in considerazione il tessuto sociale in un’ottica di genere permette – o dovrebbe permettere - di rendere visibili le disuguaglianze tra i sessi, soprattutto sul terreno politico e per quanto riguarda la cittadinanza e i diritti che ne conseguono. E’ importante evitare che queste disuguaglianze siano considerate una realtà data, valida per sempre: questo tipo di lettura obbliga coloro che attuano le politiche a situare le disuguaglianze nel loro contesto e a coglierne i cambiamenti2. La cittadinanza dei diritti Storicamente l’acquisizione della cittadinanza ha avuto un percorso diverso per donne e per uomini, a causa di una disuguaglianza patente di genere socialmente determinata. Questo ha ancor oggi una forte rilevanza, soprattutto quando viene affermata un’indifferenza di genere nell’universalizzazione dei diritti. Non è quindi solo questione di sapere chi è il cittadino; è anche questione, ed è forse la cosa più importante, di sapere quali sono i diritti del cittadino e per quanto ci riguarda più direttamente fino a che punto essi abbiano una dimensione sessuata, siano quindi detenibili e spendibili da uomini e donne, e dai diversi gruppi sociali. Mi riferisco in particolare alle tesi di T.H. Marshall. Egli ha proposto una nozione di cittadinanza che si articola attorno a tre componenti: i diritti civili, politici e sociali, la cui realizzazione corrisponde a tre periodi storicamente determinati (XXVIII secolo per i diritti civili, XIX per i diritti politici e XX per i diritti sociali)3. Secondo Marshall questi tre tipi di diritti si sono susseguiti ed hanno finito per costituire la struttura della cittadinanza moderna, in una tensione evolutiva verso l’uguaglianza di tutti i cittadini. Anche se si possono avanzare riserve nel confronti di questa teoria, c’è un’idea che per me conserva tutta la sua validità: la cittadinanza si costituisce con dei diritti concreti e storicamente quantificabili; essi non sono separati, né subordinati gli uni agli altri, ma si articolano semplicemente tra loro nel tempo. A questo titolo, i diritti sociali che, nella sequenza marshalliana, appaiono per ultimi, sono dei diritti universali e fondanti come gli altri, e costituiscono perciò una dimensione essenziale della cittadinanza. Lo Stato sociale democratico è il coronamento e la sintesi del lungo percorso nella storia moderna della cittadinanza. Questo tipo di approccio rompe così con l’accezione liberale più ristretta che limita la cittadinanza al solo riconoscimento dei diritti civili e politici. Un’accezione riduttrice, come sottolineano diversi autori - particolarmente 2 Gaspard F. Heinen J. (2002) “Introduction à “L’égalité, une utopie?”, Cahiers du Genre n. 33., pp. 5-16. 3 Nel 1949, in una serie di conferenze date a Cambridge in onore di Alfred Marshall e pubblicate in seguito in Citizenship and Social Class (1964), T.H. Marshail formulò e rese pubblica la sua teoria sulla cittadinanza nei termini più completi. 40 Ralph Darendorf e Jurgen Habermas4 - e che può dimostrarsi fatale per la democrazia, nella misura in cui essa riduce l’ampiezza della maggior parte dei diritti sociali che tendono ad eliminare le discriminazioni di classe e di sesso. Per Marshall la cittadinanza rappresenta l’insieme dei diritti e dei doveri - lo statuto - che conferisce la piena appartenenza ad una società data. Per definizione questo statuto è indipendente dalle contingenze dei mercato. La cittadinanza è dunque un concetto non economico, che definisce la posizione degli individui, qualunque sia il valore particolare attribuito al contributo di ciascuno al processo produttivo. In questo contesto dunque i diritti sociali non dovrebbero dipendere dal lavoro - e quindi dal salario - dei beneficiari. Il Welfare - lungi dall’essere mera assistenza ai bisognosi - è definito dall’organizzazione concreta e materiale dei diritti (effettività del diritto alla casa, alla cura, alla sopravvivenza, ecc.). Il principio dello Stato sociale trova, nel periodo che segue la conclusione della seconda guerra mondiale, la propria sanzione in alcune delle più significative carte costituzionali (all’articolo 38 della Costituzione italiana e all’articolo 20 della legge fondamentale tedesco-federale). Questo mostra come l’immagine inclusiva e progressiva della cittadinanza presentata da Marshall corrispondesse ad un sentire comune dell’epoca in Europa occidentale. Diversi tipi di obiezioni sono state rivolte alla teoria di Marshall, non sempre condivisibili, soprattutto se si colloca il suo intervento nel contesto storico che gli compete. Gli è stato rimproverato, ad esempio, di avere una visione acritica dello Stato sociale e di presentare la sua teoria come se si trattasse di un processo lineare in cui i diritti sociali incarnerebbero in un certo senso il coronamento della cittadinanza al di fuori da ogni conflitto5. Ma, al di là degli scritti femministi6, il dibattito suscitato dal pensiero di T. H. Marshall non ha per nulla posto l’accento sul fatto che il suo schema teorico rinvia ad una periodizzazione che riguarda esclusivamente gli uomini7. Senza contare che la tipologia che egli propone non è facilmente generalizzabile poiché essa si applica essenzialmente alla Gran Bretagna (sulla cui storia si fonda l’analisi empirica), è evidente che la sua analisi non tiene conto 4 Per Dahrendorf (Dahrendorf R. (1990) Reflections on the Revolution in Europe, London, Chatto) il rapporto conflittuale tra i beni e i servizi prodotti nella società e la titolarità d’accesso per la loro utilizzazione costituisce un elemento centrale per definire il contenuto della cittadinanza. Il periodo attuale è caratterizzato da una disponibilità di beni e servizi sempre più larga, parallelamente ad una riduzione dei diritti che permettono di beneficiarne. E’ dunque su questa contraddizione che deve svolgersi il dibattito sulla cittadinanza futura. Habermas, dal canto suo (Habermas J.(1992) “Ciudadanía y identidad nacíonal: Consideraciones sobre el futuro europeo” in Débats n. 39) critica il formalismo liberale (uguaglianza giuridica) al quale lo Stato sociale ha opposto la “materializzazione del diritto” (uguaglianza sostanziale), secondo un processo socioeconomico che ha finito per sconvolgere l’istituzione stessa dello Stato sociale. La critica di Habermas appare particolarmente pertinente per quanto riguarda i diritti di cittadinanza delle donne, sia perché pone il problema dell’autonomia della persona (indissociabile dall’autonomia civile e politica), sia perché rifiuta il “paternalismo” del Welfare, che si esprime con forme di controllo imposte all’individuo dallo Stato sociale. 5 Giddens A. (1981) A contemporary Critique of Historícal Materialism, London, MacMillan; Barbalet J. M. (1988/1992) Cittadinanza, diritti, conflitto e disuguaglianza sociale, Padova, Liviana. 6 Pateman C. (1989) The disorder of Women. Democracy, feminism and Political Theory, Oxford, Polity Press; Jenson J. (1992) The model citizen? Women in the New Europe, comunicazione presentata al Center for European Studies, Harvard; Del Re A. (1994) “Droits de la citoyenneté: une relecture sexué de T. H. Marshall, In Vogel-Polsky E. (a cura di) Manuel de resources sur les Women’s studies, Point d’appui Women’studies de l’ULB, Bruxelles, Services féderaux des Affaires scientifiques ; Marques Pereira B. (1996) « Cittadinanza e rappresentazioni : qualche annotazione per un’analisi comparativa » in Del Re A., Heinen J. (a cura di) Quale cittadinanza per le donne?, Milano, FrancoAngeli. 7 Tranne i lavori di David Held (Held D. (1989) Political Theory and the Modern State, Cambridge, Polity Press) per quanto riguarda ciò che lui chiama una concezione riduttiva della cittadinanza in Marshall, poiché non terrebbe in conto i diritti detti della quarta generazione, come la libertà riproduttiva. A questo proposito, vedere anche Tom Bottomore (Marshall T. H., Bottomore T (1992). Citizenship and Social Class, London Pluto Press). 41 della situazione specifica delle donne. Anche la periodizzazione adottata è contestabile, quando si fa una lettura sessuata della cittadinanza. Se è vero che per gli uomini, i diritti civili sono anteriori a quelli politici « universali » introdotti nel XIX secolo, e che questi precedono i diritti sociali che si sono concretizzati con la generalizzazione del Welfare, l’ordine è più o meno inverso per le donne. Molti dei diritti sociali che le riguardano più specificamente (in particolare la protezione della maternità e l’interdizione del lavoro notturno) sono stati instaurati prima che esse avessero diritto al voto, e molti dei diritti civili (particolarmente per le donne sposate) hanno continuato ad essere loro rifiutati fino agli anni 1970. Alcuni di questi diritti non sono d’altronde ancora loro riconosciuti, come il diritto all’integrità fisica (il riconoscimento della violenza sessuale coniugale non è ammesso nella legislazione di numerosi paesi sedicenti democratici - per esempio, in Germania, è stato riconosciuto per legge solo nel maggio 1996). Senza contare, come viene sottolineato da Carole Pateman8, che alcune dimensioni incluse da Marshall nella sua definizione di cittadinanza e delle categorie costitutive sulle quali essa si fonda, non sono neutre in termini di genere. Insistere, come fa Marshall, sul diritto al lavoro nel momento stesso in cui lo Stato sociale imponeva il modello dell’uomo capofamiglia e della donna-mogliedipendente, o ancora sulla responsabilità del cittadino di difendere il suo paese (his in inglese), è solo una maniera implicita di indicare che il cittadino è prima di tutto un uomo e che dunque è molto meno « universale » di quello che sembra. Il preteso universalismo della cittadinanza democratica marshalliana si frantuma di fronte alle critiche femministe (e anche del movimento afro-americano statunitense), che mostrano come esso sia tutt’altro che restio ad ospitare al proprio interno persistenti discriminazioni e meccanismi di dominio costruiti attorno agli elementi di “razza” o di “genere”. La critica femminista ha indicato in modo assai convincente come lo stesso sviluppo dei marshalliani diritti sociali di cittadinanza, lungi dal determinare un progressivo superamento della struttura originariamente patriarcale della cittadinanza, ha piuttosto assunto come scontata e confermato una divisione sessuale del lavoro all’interno della famiglia e della società che ha riprodotto per le donne lo status di cittadine di seconda classe. Per questo mi sembra importante ritornare sul dibattito in corso integrandovi la dimensione di genere. Per quanto riguarda i diritti politici, sarebbe utile definire il significato del loro pieno godimento, e quali siano i limiti della partecipazione alla definizione “dell’interesse comune” per cittadini e cittadine. Ciò richiede l’apertura di una discussione circa la forma della rappresentanza in senso paritario. Per quanto riguarda i diritti sociali, è importante sottolineare che, anche se questi ultimi non modificano di molto i rapporti di classe (hanno maggiore influenza sui meccanismi della distribuzione piuttosto che su quelli della produzione di merci), possono modificare i rapporti di sesso quando incitano le donne a svolgere un ruolo attivo nella contrattazione sociale. Le politiche del Welfare permettono – nonostante tutto - alle donne di assumere una pluralità di ruoli e rappresentano una condizione necessaria, benché insufficiente, per aumentare il loro potere politico nella 8 Cit. 1989 42 società9. E’ evidente che la presenza delle donne sul terreno politico non si riduce al solo ambito del Welfare. Tuttavia, quest’ultimo ha spesso dato loro la possibilità di formulare delle rivendicazioni sulle condizioni del loro lavoro, sia salariato sia gratuito di riproduzione degli individui. Le trasformazioni degli Stati sociali legate alla forte diminuzione delle spese statali, sensibile in tutta Europa, provocano una diminuzione dei diritti delle donne alla cittadinanza. I paesi dell’Europa centrale e orientale ne sono l’esempio estremo: il cambiamento di regime e la rimessa in discussione concomitante dei vantaggi sociali concessi nell’era del “socialismo reale” si accompagnano ad una vera e propria regressione dello statuto delle donne nella polís10. Comunque, a mio avviso, la pertinenza di molte critiche non toglie nulla all’interesse dell’approccio marshalliano su due punti fondamentali: la tipologia dei diritti e la nozione di “cittadinanza ideale”. Mi sembra che, in generale, l’articolazione che egli stabilisce tra i tre tipi di diritti che costituiscono la cittadinanza civili, politici e sociali sia utile per riflettere sullo statuto delle categorie di individui che non sono riconosciuti come cittadini in senso pieno. Questo è vero per gli immigrati che godono di diritti civili e sociali, ma non dei diritti politici o almeno molto raramente e, in questo caso, solo a livello locale (come, ad esempio, in Francia). E’ vero per le donne che, ancor oggi, dispongono di diritti civili incompleti, mentre i “loro” diritti sociali, lungi dal rispondere ad un processo di individuazione, sono spesso dei diritti indiretti che riguardano altri attraverso le donne (il diritto di occuparsi dei figli, dei malati ecc.). I diritti “politici” infine, per le donne, sembrano ridursi al diritto attivo di voto, con una forte riduzione pratica del diritto all’eleggibilità. Il secondo punto importante, nell’analisi di Marshall, è l’idea che ogni epoca produce una “immagine di cittadinanza ideale” che permette di misurare i risultati già acquisiti, e con il cui metro si definiscono le aspirazioni11. Beninteso, non esistono principi universali che determinino quali siano i diritti e i doveri in una società data (tranne forse i patti costituzionali), ma l’immagine in questione costituisce un motore per coloro che cercano di ottenere dei diritti che ancora non detengono e che desiderano essere riconosciuti come cittadini in senso pieno. Una specie di modello di cittadino, una figura emblematica che serve di riferimento ai gruppi che si mobilitano per conquistarsi dei diritti di cui sono stati privati fino a quel momento e che corrispondono alla base della “cittadinanza ideale”. Questo “modello” può servire anche per rimetterne in discussione la definizione, come hanno fatto, per esempio, i movimenti delle donne occidentali, denunciando i falsi universalismi sui quali si fonda il concetto stesso di cittadinanza, lottando non solo per l’uguaglianza giuridica e contro le leggi discriminatorie, ma anche per l’estensione dei diritti alla sfera personale e per rimettere in questione le categorie tradizionalmente accettate. Il “cittadino modello” è evidentemente un’immagine di riferimento cui attingere e che si presenta nella sua articolazione più ricca, non certo come un’imposizione coercitiva e statica di comportamenti. 9 Siim B. (1996) « Genere, potere e democrazia : elementi del dibattito scandinavo » in Del Re A., Heinen J. (a cura di) Quale cittadinanza per le donne?, Milano, FrancoAngeli. 10 Heinen J. (1996) « Sfera privata e sfera pubblica nell’Europa dell’Est” in Del Re A., Heinen J. (a cura di) Quale cittadinanza per le donne?, Milano, FrancoAngeli. 11 Cit. 1992 43 La cittadinanza politica Qualsiasi tentativo di affrontare il tema della cittadinanza politica e della conquista della cittadella del potere (maschile) in termini di differenza si scontra con quello che Carole Pateman ha chiamato il « dilemma di Wollenstonecraft »12. Alla base di questo dilemma sta il dato oggettivo dell’oppressione delle donne e si articola nelle seguenti alternative: ■ se si invoca una cittadinanza uguale a quella degli uomini, l’inclusione non avviene secondo un reale principio di uguaglianza perché il contenuto stesso della nozione di cittadinanza non è trasformato per includere sia l’esperienza storico-sociale delle donne che quella degli uomini13. ■ se invece, si vuole sottolineare la differenza femminile nelle capacità e nei bisogni, questa diversità viene compresa come devianza o mancanza, perché i gruppi privilegiati stabiliscono la norma, in relazione alla quale gli oppressi rappresentano l’eccezione. Da un lato quindi le donne devono far appello all’universalismo morale ed insistere sul fatto che non esistono differenze sostanziali tra donne e uomini che giustifichino la negazione di opportunità per il sesso femminile; dall’altro esse sentono l’esigenza di affermare le loro differenze che, nell’applicazione rigida del principio di uguaglianza formale, mettono le donne in una situazione di svantaggio rispetto agli uomini.Ciò conduce ad un double bind (doppio legame, doppia costrizione): il problema è che le misure che favoriscono un trattamento speciale, come le quote di partecipazione o le azioni positive, per un verso sono mezzi per contrastare la discriminazione che si nasconde nelle politiche di uguaglianza apparentemente neutrali nei confronti del gender; per un altro verso sono soluzioni insoddisfacenti (non a caso le proponenti in grande maggioranza le considerano temporanee) poiché irrigidiscono il sistema e rinforzano certi stereotipi sessuali che vedono le donne come bisognose di protezione. Eppure, se non si adotta alcuna misura di tutela o di azione positiva, le discriminazioni continuano a tenere le donne lontane dalla politica e, in generale, da tutti i posti decisionali. La situazione sembra inestricabile: da un lato le donne si richiamano a dei principi morali di tipo universale (diritti uguali per tutti), insistendo sul fatto che non esiste alcuna differenza sostanziale che giustifichi il rifiuto di accordare alle donne opportunità uguali a quelle degli uomini; dall’altro esse risentono la necessità di affermare le loro differenze, coscienti che un’applicazione rigida dell’uguaglianza formale sarebbe per loro svantaggiosa nei confronti degli uomini. 12 Pateman, C. (1992) “Equality, difference, subordination: the politics of motherhood and women’s citizenship” in Bock G., James S. Beyond Equality and Difference, New York, Routledge, pp. 17-31. 13 Lamoureux D. (1996) “Femminismo, cittadinanza, democrazia” in Del Re A., Heinen J. (eds) Quale cittadinanza per le donne? Milano, FrancoAngeli. 44 Argomenti per il riequilibrio della rappresentanza politica Vorrei ora analizzare gli argomenti maggiormente utilizzati nelle proposte e progetti di legge destinati a promuovere la rappresentanza equilibrata di uomini e di donne. I primi tre (utilizzati soprattutto per le quote) sono: l’argomento della proporzionalità, dell’utilità e della differenza. Si possono ritrovare questi argomenti nei discorsi pronunciati in occasione dell’incontro internazionale di Ginevra nel 1989 organizzato dall’Unione interparlamentare14, nelle prese di posizione della rete di esperti su “Le donne nei processi decisionali in sede pubblica e politica” (Commissione europea, 1994)15 e nella piattaforma d’azione uscita dalla Conferenza internazionale di Pechino nel 199516 . Il quarto argomento si fonda sulla realizzazione del diritto di parità come diritto umano, maggiormente presente nel dibattito pubblico francese e fondato sul riconoscimento della dualità del genere umano e sul diritto all’uguaglianza. L’argomento della proporzionalità lega l’importanza quantitativa delle donne nella popolazione all’idea di una rappresentanza politica proporzionale al loro numero. La legittimità democratica è così giustificata a partire da una visione estensiva e quantitativa piuttosto che in termini qualitativi. Parlare di numeri proporzionali comporta la consapevolezza della necessità di escludere parte dei candidati maschili a favore di candidati donna e immette quindi l’idea di concorrenza tra i sessi. Inoltre viene suggerita l’idea che il rappresentante debba possedere le caratteristiche dell’elettore. Cosa che sembrerebbe corrispondere a delle esigenze di ordine simbolico importanti per gli outsiders del sistema politico. In effetti costoro possono rivendicare la presenza di rappresentanti che non solo assicurino la difesa dei loro interessi ma permettano anche, attraverso le loro caratteristiche personali, l’identificazione e lo sviluppo della sensazione di essere presenti sulla scena politica. In questo modo può esprimersi l’esigenza di rappresentatività17. Questa esigenza è concepita come il riconoscimento della dualità del genere umano in politica. Un tale riconoscimento testimonierebbe la volontà manifesta di evitare qualsiasi tipo di interpretazione di tipo corporativo o di rappresentanza di gruppo sociale (e certamente non comunitarista). Tradurrebbe anche una rimessa in questione della neutralità simbolica del potere politico. Paradossalmente oggi è il monopolio maschile di questo potere che ne garantisce la neutralità simbolica18. Poiché in politica solo gli uomini appaiono come degli esseri neutri, asessuati. Le donne vengono sempre ricondotte al loro corpo, connotato in termini peggiorativi. Solo le donne rappresentano l’alterità. In questo senso la parità costituisce una rottura rispetto alla logica dell’assimilazione alla norma maschile. 14 Decauquier C. (1994) « Retour sur les arguments fondant la demande d’une représentation accrue des femmes en politique », Res Publica, vol.36, pp.119-127. 15 European Network of Experts « Women in Decision-Making » Created in the Framework of the Third Medium-Term community Action Programme on Equal opportunities for Women and Men (1994) Women in Decision-Making. Facts and Figures on Women in Political and Public Decision-Making in Europe, European Commission, Bruxelles. 16 Sawer M. (2000) « Parliamentary representation of Women : From Discourses of Justice to Strategies of Accountability », International Political Science Review, vol.21, n°4, pp.361-380. 17 Beccalli B. (1999) (a cura di) Donne in quota, Milano, Feltrinelli 18 Vogel J. (1996) « Parité et égalité », Cahiers du Gedisst, n°17, pp.1-32. 45 L’argomento utilitario sottolinea la mancanza di efficacia che rappresenta l’esercizio delle funzioni politiche che si priva delle competenze di una metà della società. Questo argomento anticipa l’effetto perverso, stigmatizzante che può essere usato dagli oppositori della parità quando denunciano il carattere di deroga al principio meritocratico nella concorrenza elettorale quando si usa la parità. Esso permette ugualmente di controbattere l’idea che i benefici ottenuti dalla parità si rivolgerebbero solo alle donne e di convincere coloro che sono sensibili alla necessità di rinnovamento del personale politico, della sua utilità a rispondere al disincanto degli elettori, all’astensione e alla volatilità crescente dell’elettorato. In questa prospettiva la parità o le quote rappresenterebbero una risposta alla crisi della rappresentanza politica. In realtà in questo caso non si tratta di una risposta, ma piuttosto dell’espressione di una delle sue possibili metamorfosi19. In effetti la parità potrebbe rientrare nella tematica della personalizzazione della scelta elettorale caratterizzata dal fatto che il o la candidato/a si presenta non solo come persona ma propone in più una linea di demarcazione o una differenza, in questo caso la differenza di genere. Tuttavia la parità lascia inalterato il meccanismo del governo rappresentativo: oggi come ieri la democrazia non è certo il governo del popolo. Inserendo la parità delle candidature maschili e femminili non si realizza una sorta di democrazia maggiormente partecipativa. Il governo rappresentativo è un governo di élites distinte e separate dalla massa della popolazione. In questa prospettiva la parità è l’espressione di una femminilizzazione delle élites che non modifica il principio distintivo dell’elezione e, in questo senso, ci si potrebbe chiedere se la parità potrebbe contribuire a risolvere il problema rappresentato dalla crisi della rappresentanza, cioè lo scarto che si è creato tra rappresentanti e rappresentati. L’argomento della differenza mette l’accento sul fatto che l’aumento del numero delle rappresentanti implicherebbe un cambiamento delle politiche pubbliche: le elette terrebbero maggiormente conto degli « interessi delle donne ». Questo argomento suggerisce ugualmente che un tale aumento modificherebbe i valori e i modi di condurre l’azione politica. Potrebbe evidentemente anche implicare una categorizzazione essenzialista degli uomini e delle donne. Il principio della rappresentanza delle donne in quanto tale modificherebbe l’idea che l’esercizio della cittadinanza politica corrisponda ad un neutro e quindi oscuri la diversità costitutiva delle donne. In questa prospettiva, la sfida politica consisterebbe nel fondare le richieste non solo sul numero delle rappresentanti ma soprattutto sulla qualità delle elette che dovrebbero essere impegnate in un’azione politica tesa a modificare i rapporti sociali di sesso, come è stato notoriamente il caso dei paesi nordici20. Si tratta di aver chiaro che non ci sarebbe nessuna garanzia assoluta in tal senso, anche perché funzionerebbe nella maggior parte dei casi solo come sanzione quando i/le candidati/e si presentassero alla rielezione. Tuttavia, l’argomento della differenza funziona per quanto riguarda l’uso che può essere fatto di queste nuove compe- 19 Manin B. (1995) Principes du gouvernement représentatif, Paris, Calmann-Lévy. 20 Bergqvist C. (a cura di) (1999), Equal Democracies ? Gender and Politics in the Nordic Countries, Oslo, Scandinavian University Press. 46 tenze, soprattutto se una massa critica di presenza femminile è raggiunta21. Un maggior numero di donne in politica può essere l’ingrediente di una trasformazione degli obiettivi della politica stessa. Senza dubbio le soluzioni proposte dalle rappresentanti in generale sono lontane dall’essere consensuali e spesso sono lontane dall’essere femministe. Ma è comunque certo che la femminilizzazione delle élites politiche rappresenterebbe una modificazione che non può essere ridotta al solo equilibrio della rappresentanza politica tra uomini e donne. Poiché la parità traduce un riconoscimento (e una trasformazione) dei rapporti sociali di sesso in politica. L’ultimo argomento, che però è anche una proposta, è quello della rivendicazione paritaria. Esso è stato al cuore del dibattito francese. La rivendicazione paritaria tenderebbe a erigere il principio di uguaglianza tra uomini e donne come diritto umano fondamentale. Qualunque sia la portata simbolica della parità, non si riduce quindi alla sola femminilizzazione delle élites. Poiché sul piano giuridico-politico la rivendicazione paritaria tende ad erigere il principio di uguaglianza di status tra donne e uomini a diritto fondamentale. Cioè che l’uguaglianza giuridica è enunciata in maniera globale, in quanto diritto umano, altrettanto fondamentale del diritto alla dignità o alla sicurezza. In questa prospettiva la parità acquista la legittimità di un interesse generale che rafforza la rivendicazione di un diritto effettivo all’eleggibilità. Il ricorso al discorso politico dei diritti umani e istituisce la parità come rivendicazione legittima formulata e sostenuta da attori legittimi, poiché questo discorso è un principio nello stesso tempo procedurale e sostantivo: procedurale nella misura in cui l’interazione politica nella democrazia rappresentativa si fonda sull’inclusione, sostantivo, poiché si tratta di un discorso politico che obbliga a fare emergere pubblicamente delle esperienze e delle prospettive specifiche, perché situate socialmente e storicamente, trascendendo la loro particolarità. In questo senso la parità possiede una portata che va ben al di là del suo valore strumentale: se essa è un mezzo efficace di condivisione del potere politico tra i sessi, traduce ugualmente una delle finalità maggiori della democrazia – il diritto all’uguaglianza di tutti gli esseri umani, donne e uomini. Vorrei concludere con una frase proprio di Eliane Vogel Polsky – nota giurista europea che per prima ha elaborato il principio della parità come diritto umano – per definire meglio la problematica esposta. Essa dice: “Rivendicare la parità come diritto umano permette di evitare sia una forma corporativa di rappresentanza degli interessi delle donne, spesso tutelata da una forma di femminismo di Stato sia una diluizione completa in un preteso mainstreaming che si riduce a moltiplicare delle strutture e delle procedure di consultazione all’ombra dei centri di potere reale”22. 21 Ovviamente si tratta di partire dalle considerazioni di Drude Dahlerup sulla soglia critica (che essa situa oltre la barriera del 40% di presenza femminile (Dahlerup D. (1988) “From a Small to a Large Minority: Women in Scandinavian Politics” in Scandinavian Political Studies, vol. 11, n°4), cioè la percentuale di presenza femminile al di sotto della quale non è possibile percepire una “presenza di genere” nelle pratiche politiche. Da un lato perché – per essere accettate e non considerate “difformi” - prevale l’omologazione al modello maschile, dall’altro perché prevale la “fedeltà al partito” al quale si deve la candidatura e l’elezione rispetto all’”appartenenza di genere” che può risultare, nei modelli culturali prevalenti per il personale politico, un elemento indebolente l’immagine politica. 22 Vogel-Polsky E. (1999) “La governance et les femmes” comunicazione presentata al Convegno “Femmes et governance” organizzato dalla Commissione Europea, Bruxelles, 3-4 marzo 1999, p. 18 47 Finito di stampare nel mese di gennaio 2006 Grafica: Prima Agenzia di Pubblicità - Trento 48