Formazione e distribuzione della ricchezza nelle diverse scuole di

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A13
80
Giovanni Tondini
Formazione e distribuzione
della ricchezza
nelle diverse scuole
di pensiero economico
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I edizione: dicembre 2004
Indice
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7
La scuola mercantilista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7
La critica di D. Hume all’impostazione mercantilista . . . . . . . . . . . . . .10
La scuola fisiocratica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .12
La scuola classica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14
A. Smith . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15
D. Ricardo
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19
K. Marx . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .22
La scuola marginalista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .24
La scuola keynesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .27
Alcuni aspetti teorici della distribuzione della ricchezza
nel XX secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .30
Cenni Bibliografici
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .31
Introduzione
Le opere dei due autori che sono alla base della scuola classica, A. Smith
e D. Ricardo, delineano le caratteristiche essenziali dei due fondamenti della
scienza economica: la formazione e la distribuzione della ricchezza. Infatti,
A. Smith con la sua opera “An Inquiry into Nature and Causes of the Wealth
of Nations”, pubblicata nel 1776, affronta il tema essenziale dell’indagine
economica, che da più di due secoli aveva interessato il dibattito tra gli
economisti. Quarantuno anni dopo D.Ricardo evidenziava un altro aspetto
saliente dell’analisi economica, affermando che scopo dell’economia politica
era la ricerca delle leggi che presiedono alla distribuzione della ricchezza
(On the Principles of Political Economy and Taxation, 1817). Sulla base di
queste indicazioni, delineate dai due fondatori della scuola classica,
cercheremo in questo lavoro di ripercorrere la strada compiuta dagli
economisti delle diverse scuole di pensiero, nell’affrontare queste due
tematiche fondamentali della ricerca economica.
La scuola mercantilista
Ci possiamo subito chiedere perché gli economisti affrontano in maniera
sistematica il tema della ricchezza delle nazioni a partire dal XVI secolo. E’
chiaro che le vicende storiche condizionano le riflessioni degli scienziati
sociali, compresi gli economisti. A seguito delle esplorazioni geografiche e
la nascita degli stati nazionali, dopo lo sgretolarsi della struttura imperiale di
stampo medioevale, accompagnata dalla fine dell’unità non solo politica ma
anche religiosa dell’Europa, si pone sempre più agli economisti la necessità
di riflettere su come aumentare la ricchezza e la potenza degli stati che si
vanno costituendo in quel periodo. Da qui parte la necessità di rispondere
innanzitutto alla domanda: da cosa è data la ricchezza di una nazione?
Confrontando con quanto sta succedendo in quegli anni, dove le grandi
compagnie mercantili si arricchiscono, cioè “fanno soldi” attraverso il
commercio internazionale, reso sempre più fiorente con le scoperte di nuovi
continenti e di nuove rotte di navigazione, diventa dominante la convinzione
che la ricchezza di una nazione dipenda dalla quantità di oro o di metalli
preziosi che riesce a possedere. E allora sorge immediato il problema
affrontato da A. Serra nel 1613 quando pubblica “Breve trattato della cause
che possono far abbondare li regni d’oro e d’argento dove non sono
miniere”.
7
L’analogia con le compagnie mercantili suggerisce che lo strumento da
privilegiare non possa essere altro che il commercio internazionale. Tenendo
presente che la circolazione monetaria all’interno dei paesi e sul mercato
internazionale era basata prevalentemente sull’oro (Gold standard) era
evidente che un saldo positivo della bilancia dei pagamenti1 faceva affluire
al paese oro e quindi aumentava la quantità di moneta in circolazione2. In
altre parole, più oro c’era più il “principe” poteva coniare moneta e con
questa pagare una burocrazia presente su tutto il territorio e un forte esercito
per difendersi dai nemici interni ed esterni. Si ponevano così le basi per
aumentare la potenza del paese. Infatti, il nascente stato nazionale doveva
rivendicare la sua autonomia rispetto al potere imperiale e nel contempo
riaffermare la sua supremazia sui poteri territoriali inferiori, che
tradizionalmente godevano di una forte autonomia, grazie alla struttura del
potere feudale, che si era andata consolidando durante il periodo
medioevale3.
Una volta identificato nell’oro o nei metalli preziosi la ricchezza del
paese e nel commercio internazionale lo strumento per aumentarne la
quantità presente all’interno della nazione, tutta l’analisi mercantilista si
concentra sui consigli da dare al “principe” al fine di aumentarne il tesoro
1
Potrebbe essere opportuno introdurre a questo punto un’analisi della struttura e della
contabilità
della bilancia dei pagamenti. Inoltre converrebbe soffermarsi sulle
caratteristiche del gold standard e della stabilità del tasso di cambio, dovuta all’esistenza
dei cosiddetti “punti dell’oro”. Volendo attualizzare queste tematiche si potrebbe
accennare alla differenza fra il sistemi di pagamenti internazionali basato sul gold
standard e quello che si è realizzato nel secondo dopoguerra e basato sul gold exchange
standard. Interessante risulta inoltre il confronto fra la stabilità dei tassi di cambio nel
gold standard e quella che si è realizzata nella seconda metà del secolo scorso.
2
Si è soliti distinguere due periodi della scuola mercantilista: quello bullionista e quello
monetarista. Il primo pone l’accento sulla quantità di oro o di metalli preziosi presenti
nel paese, mentre il secondo sottolinea la quantità di moneta che l’afflusso di oro può
favorire e quindi la possibilità di compiere buoni affari, grazie al mantenimento a livelli
piuttosto bassi del tasso di interesse, come aveva sottolineato Keynes nei primi decenni
del XX secolo. “La moneta stimola il commercio”. Questa idea si afferma nella seconda
metà del XVII secolo quando si arresta il secolare aumento dei prezzi e le diverse
economie conoscono una certa depressione. Tra i sostenitori dell’impostazione
bullionista possiamo ricordare Gerald de Malynes ( A Traestise of the Canker of
England’s Common Wealth, 1603) e tra i sostenitori dell’approccio monetarista: Edward
Misselden ( Free Trade or the Means to make Trade Flourish, 1622) e Thomas Mun ( A
Discorse of Trade from England into the East Indies, 1621)
3
E’ opportuno un richiamo alla struttura piramidale del potere nel periodo medioevale,
che vedeva al vertice l’imperatore e poi in via subordinata i re, i duchi, i conti e i
marchesi, i valvassori e i valvassini.
8
(da qui il termine di cameralisti per indicare i mercantilisti tedeschi, dal
nome della stanza del tesoro del principe detta Kammer) e arricchire così la
nazione.
In questo modo si passa da un’analisi di economia politica, tendente a
vedere come stanno le cose, ad un analisi di politica economica, volta ad
evidenziare gli strumenti da utilizzare per portare il paese a raggiungere
l’obiettivo di aumentare la sua ricchezza4.
Come sottolinea Fanfani (1939) i mercantilisti si caratterizzano per il
volontarismo in economia, volto a garantire alla nazione il raggiungimento
di tre massimi: un massimo di popolazione, un massimo di ricchezza e un
massimo di potenza. Di conseguenza postulano una politica economica
attiva a favore dell’incremento demografico; un aumento della popolazione
tende a mantenere i salari a livelli di sussistenza, contribuendo in questo
modo al contenimento del costo di produzione, indispensabile per tenere
bassi i prezzi e vincere così, a parità di qualità, la concorrenza
internazionale. Lo Stato interviene attivamente inoltre, per favorire le
esportazioni e contenere le importazioni onde avere sempre un saldo attivo
della bilancia commerciale e favorire così l’afflusso di oro nel paese. Un
esempio di queste politiche di intervento è dato dalle politiche di dumping
attuate dalla Repubblica veneta, a favore delle ceramiche di Bassano, o da
parte della Francia a vantaggio delle porcellane di Limoges.
In definitiva il raggiungimento del massimo di popolazione favoriva il
raggiungimento del massimo di ricchezza e questo quello della potenza del
paese.
Se tutta la politica economica mercantilista è orientata a favorire un saldo
attivo dei conti con l’estero del paese si capisce perché gli interventi dello
Stato siano tutti rivolti a sostenere il settore manifatturiero a scapito del
settore agricolo. In Francia nel XVII secolo questa politica viene realizzata
da Colbert, ministro di Luigi XIV, e con il termine di “colbertismo” si
indicheranno poi le politiche economiche adottate dai diversi paesi, volte a
favorire il settore industriale.
4
Se non è stato fatto precedentemente occorre chiarire l’esistenza dei due aspetti della
scienza economica: l’aspetto positivo e quello normativo. Il primo riguarda l’analisi della
realtà economica così come essa si presenta e forma il corpo dell’economia politica. Ad
esempio in un certo periodo l’economia politica analizzando il funzionamento di un
sistema economico rileva ad esempio un tasso di disoccupazione del 10%, un tasso di
inflazione del 3% e una situazione di squilibrio nei conti con l’estero. L’aspetto
normativo o di politica economica ricerca gli strumenti più idonei per portare il sistema
economico a raggiungere alcuni obiettivi di breve periodo, come la riduzione sia del
tasso di disoccupazione che del tasso di inflazione e il pareggio dei conti con l’estero.
9
Negli anni trenta del secolo scorso Stalin attuò ad esempio politiche
colbertiste, collettivizzando l’agricoltura con la costituzione dei kolchoz e
dei sovchoz a danno dei piccoli proprietari terrieri (kulaki) e orientando tutti
gli aiuti a favore del settore dell’industria pesante, al fine di aumentare la
capacità difensiva del paese e di vincere il cosiddetto “ accerchiamento
imperialista”.
La critica di D. Hume all’impostazione mercantilista
Per capire la critica che D. Hume (Political Discourses, 1752) muoverà
alla scuola mercantilista, occorre ricordare la cosiddetta “rivoluzione dei
prezzi”, che investì la Spagna nella prima metà del XVI secolo. Il massiccio
afflusso di oro dalle colonie dell’America latina, contribuirono ad aumentare
troppo l’offerta di moneta nel paese, favorendo così l’insorgere di un
fenomeno inflativo di grande dimensioni, che portò nel giro di pochi decenni
alla chiusura di molte aziende tessili, grazie alla concorrenza dei prodotti
manifatturieri provenienti dalla Francia o dall’Italia meridionale.
I fatti evidenziavano così il legame tra quantità di moneta e livello
generale dei prezzi, legame che sarebbe poi stato formalizzato all’inizio del
XX secolo da I. Fisher nella teoria quantitativa della moneta5, riassumendo
così il pensiero condiviso dalla maggior parte degli economisti. Ed è proprio
da tale impostazione che muove la sua critica D. Hume, il quale sottolinea
ciò che i mercantilisti in parte già sapevano, edotti come abbiamo visto
dall’esperienza spagnola, ma in parte non tenevano in grande considerazione
a causa della tipicità della produzione agricola che formava ancora gran
5
A questo punto potrebbe essere importante richiamare per sommi capi la teoria quantitativa
della moneta, ricordando che la sua prima formulazione si può far risalire a J.Bodin ( Réponse
aux paradoxes de M. Malestroict touchant les fait de monnaies et l’enchérissement de toutes
choses, 1568), condivisa anche da B. Davanzati ( Lezione delle monete, 1588) e A. Serra (
Breve trattato delle cause che posono far abbondare li regni d’oro e d’argento dove non sono
miniere, 1613). Partendo dall’equazione dello scambio MV=PQ, M indica la quantità di
moneta, V la velocità di circolazione della moneta, P il livello generale dei prezzi e Q la
quantità di beni prodotti in un paese. L’equazione dello scambio in effetti sarebbe più corretto
chiamarla identità, in quanto sta ad indicare che il valore di quanto viene acquistato attraverso
lo scambio dev’essere uguale al suo valore monetario. Questa identità diventa un’equazione e
quindi una vera e propria teoria quando si introducono le seguenti ipotesi: i) la velocità di
circolazione della moneta sia nel breve periodo stabile; ii) la quantità di beni prodotta nel
paese non vari, in quanto esso ha raggiunto la piana occupazione di tutte le risorse
disponibili. Quest’ultima ipotesi è tipica della scuola marginalista, nel contesto della quale
Fisher elaborò il suo contributo alla teoria monetaria ( The Purchasing Power of Money,
1911).
10
parte dei beni scambiati. Sarà proprio lo sviluppo dell’industria
manifatturiera e la conseguente standardizzazione della produzione che farà
emergere sempre più il ruolo dei prezzi per battere la concorrenza
internazionale. Ecco perché negli anni cinquanta del XVIII Hume poteva
evidenziare il meccanismo “flusso oro prezzi”, con cui criticava la politica
economica mercantilista rivolta, come abbiamo visto, ad accumulare oro nel
paese. Aumentando l’oro, aumentava la quantità di moneta, provocando un
aumento dei prezzi all’interno del paese. In questo modo i beni perdevano di
competitività sul mercato internazionale, provocando una diminuzione delle
esportazioni ed un aumento dei beni importati, resi più convenienti proprio
dall’inflazioni interna. L’avanzo della bilancia commerciale andava così
sempre più riducendosi fino a diventare negativo. Di conseguenza l’oro che
con una bilancia commerciale positiva entrava nel paese ora usciva,
vanificando in tal modo gli sforzi del “principe” di accumulare oro nel paese.
Se in una notte, diceva Hume, l’Inghilterra perdesse tutto il suo oro, non
sarebbe una tragedia, perché la carenza di oro ridurrebbe la circolazione
monetaria e di conseguenza il livello dei prezzi a tal punto che i beni inglesi
diventerebbero così competitivi da aumentare le loro vendite sul mercato
internazionale, mentre le importazioni da altri paesi si ridurrebbero,
generando un forte attivo della bilancia dei pagamenti, che farebbe riaffluire
l’oro nel paese. Come si vede il ruolo della politica economica viene
drasticamente ridimensionato, anche perché l’oro, sostiene Hume, si
distribuisce nei diversi paesi come un liquido in un sistema di vasi
comunicanti6.
6
Hume si inserisce in quella corrente di pensiero che rimarca l’analogia della scienza
economica con le scienze naturali. Come queste sono governate da meccanismi, che il
ricercatore deve evidenziare, così lo scienziato economico deve scoprire i meccanismi che
regolano la vita economica, ed una volta scoperti, cercare di rispettarli o di farli rispettare,
perché il loro funzionamento risulta benefico per la società. Fanfani (1939) chiamerà questi
economisti giusnaturalisti ottimisti, in contrapposizione ai giusnaturalisti pessimisti, i quali
ritengono che il funzionamento dei meccanismi economici possa danneggiare almeno alcune
classi sociali. In quest’ultima categoria si possono annoverare i socialisti della cattedra e K.
Marx.
11
La scuola fisiocratica
In questo nostro percorso di storia del pensiero economico incentrato sui
due temi fondamentali dell’analisi economica, la formazione e la
distribuzione della ricchezza, ci limitiamo alle grandi scuole di pensiero per
cui non tratteremo di tutti quei personaggi, che hanno contribuito in qualche
modo allo sviluppo della scienza economica. Così accenniamo solamente ai
cosiddetti sincretisti italiani che nel settecento contribuirono non poco al
progredire della nostra disciplina, come F. Galiani, A. Genovesi, G.
Filangeri, G. Ortes, P. Verri e C. Beccaria.
Così non si dovrebbe tralasciare di rilevare l’apporto che autori come W.
Petty, J. Locke, P. Le Pesant de Boisguillebert, R. Cantillon diedero alla
scienza economica, anticipando per certi versi gli aspetti più innovativi della
Fisiocrazia. Questa scuola di pensiero si fa normalmente partire dal 1758,
anno in cui F. Quesnay pubblica “Le tableau économique”. D’altra parte non
si può capire fino in fondo il ruolo di A.Smith se non si parte da questa
scuola di pensiero, che trova nel medico di corte francese il suo fondatore.
Attorno a lui comunque scriveranno nell’Enciclopedia altri economisti, come
Mercier de la Rivière, Dupont de Nemours, Riqueti de Mirabeau, Turgot,
Condillac ed altri che vanno a formare la setta degli economisti. Ed è proprio
dalla lettura delle voci economiche dell’enciclopedia che A. Smith, nei tre
anni che trascorre in Francia come istitutore di un nobiluomo inglese,
apprenderà così bene l’economia, da diventarne alla fine il padre fondatore.
F. Quesnay è il medico di Madame de Pompadour, favorita di Luigi XV,
e come medico cerca di interpretare il funzionamento di un’economia alla
stregua del corpo umano. La ricchezza per Quesnay è come il sangue che
circola e porta la vita alle cellule di tutto il corpo. L’importante è che il
sangue arrivi al cuore e da questo venga mandato prima ai polmoni e poi a
tutte le cellule. Ma cos’è per la fisiocrazia la ricchezza di una nazione? Non
può più essere data dallo stock di oro e/o metalli preziosi, come nel
mercantilismo, ma, riprendendo Cantillon nella sua opera “Essay de la
nature du commerci en general” del 1755 “dal flusso dell’insieme dei
nutrimenti, delle comodità, degli agi della vita che si traggono dalla terra e
che prendono forma attraverso il lavoro dell’uomo”7.
Occorre qui sottolineare come si passi da un concetto di stock ad un
concetto di flusso, compiendo una vera e propria rivoluzione nell’analisi
economica del concetto di ricchezza. Solo che tale rivoluzione resta a metà,
perché si limita a valorizzare esclusivamente il lavoro applicato al settore
7
Cfr. Parisi, 2002, p. 47.
12
agricolo, ritenuto l’unico settore veramente produttivo. E’ questo concetto di
produttività limitata alla quantità e non anche alla qualità, che caratterizza
tutta l’impostazione fisiocratica. Infatti, nell’agricoltura da un chicco di
grano si ottengono alla fine del processo produttivo un numero superiore di
chicchi a seconda della fertilità del terreno e della qualità della semente. Se
il settore agricolo risulta quindi produttivo, di contro il settore manifatturiero
appare sterile, perché incapace di accrescere la quantità del prodotto finale
rispetto a quanto utilizzato come input. In sostanza solo il settore agricolo è
in grado di produrre un sovrappiù (surplus).
Per capire fino in fondo il funzionamento del sistema economico secondo
la fisiocrazia occorre ricordare che nella vita economica operano
sostanzialmente tre gruppi di operatori: gli agricoltori, senza distinguere tra
lavoratori salariati e imprenditori agricoli; questi ultimi anticipano il capitale
circolante (avances annuelles) prendendo in affitto le terre dai proprietari
fondiari, i quali concorrono alla produzione migliorando la fertilità dei
terreni attraverso i loro investimenti (avances foncières, cioè le anticipazioni
fondiarie). Questi ultimi costituiscono il secondo gruppo. Infine abbiamo i
lavoratori del settore manifatturiero.
Visto come si forma la ricchezza, Quesnay affronta il problema della sua
distribuzione. Come il sangue deve affluire al cuore, così il surplus generato
dal settore agricolo deve affluire al cuore del sistema, che è il settore
agricolo. Infatti, se il surplus andasse al settore sterile, cioè al settore
manifatturiero, il sistema economico rischierebbe di non svilupparsi, come
invece avverrebbe se esso andasse al settore agricolo. Quesnay attribuisce
all’aristocrazia e all’alto clero, cioè ai proprietari terrieri, il ruolo di
distributori della ricchezza. Essi hanno diritto a percepire una rendita, da qui
il nome di rentiers, per remunerare i capitali investiti nel miglioramento
fondiario dei loro terreni. Tale rendita verrà da loro spesa per l’acquisto sia
dei beni agricoli che dei beni manifatturati. Anche gli agricoltori, salariati ed
imprenditori, dovranno spendere parte della loro ricchezza per comperare
beni del settore sterile, che vede così affluire le remunerazioni delle due
classi appena citate. A loro volta però i lavoratori del settore manifatturiero
dovranno acquistare i prodotti agricoli, che servono sia per l’alimentazione
che per la trasformazione manifatturiera. Il sistema economico può
riprendere il processo produttivo in un periodo successivo se le materie
prime agricole vengono garantite. Comunque solo se al settore agricolo
rimarrà tutto il surplus, tale settore potrà svilupparsi a vantaggio di tutti il
sistema economico. Diventa cruciale allora rastrellare il surplus dal settore
sterile e riportarlo al settore produttivo per eccellenza, cioè al settore
agricolo. Ma per far questo occorre che il sistema dei prezzi risulti alla fine
13
tutto sbilanciato a favore di quest’ultimo. Quesnay, chiama le bon prix tale
sistema di prezzi e delinea alcune strategie per garantirne l’attuazione.
Innanzitutto i fisiocrati favoriscono l’apertura dell’economia al
commercio internazionale. Con la massima di Gournay: “laissez faire et
laissez passer les marchandises”, che diventerà il cavallo di battaglia del
liberismo, spingono alla liberalizzazione degli scambi internazionali.
Occorre ricordare che nella seconda metà del settecento l’agricoltura
francese conosce un consistente progresso, propiziato dall’introduzione delle
nuove tecniche agricole della rotazione dei terreni. Questo permette di
ottenere prodotti di ottima qualità e a basso prezzo. Ora il confronto
internazionale favorirebbe la lievitazione dei prezzi dei prodotti agricoli,
avvicinandosi così al bon prix, senza con questo perdere di competitività
rispetto ai prodotti inglesi o tedeschi, che risultavano di qualità inferiore.
In secondo luogo i fisiocrati propongono una riforma fiscale, che in un
primo momento sembrerebbe penalizzare i proprietari fondiari, in quanto
propongono l’introduzione di un’imposta unica sulla terra, che dovrebbe
essere pagata proprio da questi ultimi. Tale riforma, andando a semplificare
il sistema tributario, attraverso l’eliminazione dei numerosi balzelli che
gravavano sulla popolazione, non ultima l’odiata tassa sul macinato, veniva
accolta positivamente dall’opinione pubblica. Tuttavia anche in questo
modo si favoriva una struttura dei prezzi tutta sbilanciata a favore del settore
agricolo, perché la traslazione d’imposta spostava l’onere tributario dai
proprietari terrieri agli affittuari e da questi ai consumatori attraverso
l’aumento dei prezzi delle derrate agricole, giustificato dall’aumento dei
costi dovuti agli affitti più onerosi che gli imprenditori agricoli dovevano
pagare ai rentiers8.
La scuola classica
Di questa scuola analizzeremo tre autori che hanno contribuito a
focalizzare le tematiche relative alla formazione e distribuzione della
ricchezza. Se A. Smith, come abbiamo in precedenza rilevato, risolve una
8
Per attualizzare quanto detto finora sulla fisiocrazia si potrebbe accennare all’esperienza
cinese di questo secondo dopo guerra. In un’economia pianificata, con un sistema di prezzi
amministrati, Mao scelse negli anni cinquanta del secolo scorso di puntare tutto sullo sviluppo
del settore agricolo, mantenendo remunerativi i prezzi delle derrate agricole e penalizzando la
produzione industriale. Solo dopo l’avvento al potere di Den Xiao Ping e la sconfitta della
banda dei quattro (comprendente tra gli altri la vedova di Mao) la Cina riprende il suo
processo di sviluppo industriale, attraverso le cosiddette quattro modernizzazioni.
14
volta per sempre il problema di identificare nel lavoro in generale la causa
della ricchezza delle nazioni, D. Ricardo porrà al centro della sua analisi le
problematiche relative alla distribuzione della ricchezza e le conseguenze
che la scelta di una distribuzione rispetto alle altre genera sullo sviluppo
economico di un paese. Il terzo autore è eterodosso rispetto agli altri
esponenti della scuola classica, ma è importante perché utilizza gli strumenti
analitici ricardiani per criticare il sistema capitalista. Ed è proprio per
difendersi da tale attacco, che la scuola neo-classica cercherà di risolvere in
maniera radicale il problema della distribuzione della ricchezza.
A. Smith
Nel 1759 A. Smith pubblica “Theory of the Moral Sentiments” (Teoria
dei sentimenti morali), affrontando il problema di conciliare il self interest
che muove l’operare dei cittadini e la possibilità di costituire una società, in
cui cioè i cittadini collaborano tra loro. Il problema era diventato sempre più
scottante da quando nel seicento T. Hobbes aveva definito l’uomo: “Homo
hominis lupus” e aveva delineato il potere assoluto da attribuire allo Stato
(Leviatano) al fine di garantire la sopravvivenza della vita sociale. Ora per
Smith è la simpatia il collante di individui egoisti, in grado di permettere alla
società di esistere e non venir distrutta dalle guerre intestine che la ricerca
spasmodica del self interest inevitabilmente genera.
Negli anni trascorsi in Francia, Smith legge l’Enciclopedia e assimila le
tematiche economiche della fisiocrazia, ma non rimarrà legato alla visione
piuttosto ristretta di questa scuola, in quanto cercherà di generalizzare i
concetti fondamentali dell’analisi economica.
Quando nel 1776 pubblica “Un’indagine sulla natura e sulle cause della
ricchezza delle nazioni” sarà facile per lui generalizzare il fatto che tale
ricchezza dipenda dal lavoro applicato nei diversi settori produttivi e non
esclusivamente nel settore agricolo.
Anche il problema della possibilità di esistenza di una società formata da
individui egoisti trova la sua soluzione con la metafora della “mano
invisibile”. “ Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio
che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del
proprio interesse”9, in quanto ciascuno, seguendo il suo interesse viene quasi
condotto “da una mano invisibile” a compiere l’interesse degli altri ancor
meglio che se si dedicasse fin dal principio al benessere altrui.”Il miglior
modo di conseguire il benessere generale è che ogni uomo ricerchi il proprio
9
Cfr. Smith, 1973, p.18.
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