A13 80 Giovanni Tondini Formazione e distribuzione della ricchezza nelle diverse scuole di pensiero economico Copyright © MMIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracne–editrice.it info@aracne–editrice.it via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma redazione: (06) 72672222 – telefax 72672233 amministrazione: (06) 93781065 ISBN 88–7999–914–1 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: dicembre 2004 Indice Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7 La scuola mercantilista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7 La critica di D. Hume all’impostazione mercantilista . . . . . . . . . . . . . .10 La scuola fisiocratica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .12 La scuola classica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .14 A. Smith . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15 D. Ricardo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19 K. Marx . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .22 La scuola marginalista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .24 La scuola keynesiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .27 Alcuni aspetti teorici della distribuzione della ricchezza nel XX secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .30 Cenni Bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .31 Introduzione Le opere dei due autori che sono alla base della scuola classica, A. Smith e D. Ricardo, delineano le caratteristiche essenziali dei due fondamenti della scienza economica: la formazione e la distribuzione della ricchezza. Infatti, A. Smith con la sua opera “An Inquiry into Nature and Causes of the Wealth of Nations”, pubblicata nel 1776, affronta il tema essenziale dell’indagine economica, che da più di due secoli aveva interessato il dibattito tra gli economisti. Quarantuno anni dopo D.Ricardo evidenziava un altro aspetto saliente dell’analisi economica, affermando che scopo dell’economia politica era la ricerca delle leggi che presiedono alla distribuzione della ricchezza (On the Principles of Political Economy and Taxation, 1817). Sulla base di queste indicazioni, delineate dai due fondatori della scuola classica, cercheremo in questo lavoro di ripercorrere la strada compiuta dagli economisti delle diverse scuole di pensiero, nell’affrontare queste due tematiche fondamentali della ricerca economica. La scuola mercantilista Ci possiamo subito chiedere perché gli economisti affrontano in maniera sistematica il tema della ricchezza delle nazioni a partire dal XVI secolo. E’ chiaro che le vicende storiche condizionano le riflessioni degli scienziati sociali, compresi gli economisti. A seguito delle esplorazioni geografiche e la nascita degli stati nazionali, dopo lo sgretolarsi della struttura imperiale di stampo medioevale, accompagnata dalla fine dell’unità non solo politica ma anche religiosa dell’Europa, si pone sempre più agli economisti la necessità di riflettere su come aumentare la ricchezza e la potenza degli stati che si vanno costituendo in quel periodo. Da qui parte la necessità di rispondere innanzitutto alla domanda: da cosa è data la ricchezza di una nazione? Confrontando con quanto sta succedendo in quegli anni, dove le grandi compagnie mercantili si arricchiscono, cioè “fanno soldi” attraverso il commercio internazionale, reso sempre più fiorente con le scoperte di nuovi continenti e di nuove rotte di navigazione, diventa dominante la convinzione che la ricchezza di una nazione dipenda dalla quantità di oro o di metalli preziosi che riesce a possedere. E allora sorge immediato il problema affrontato da A. Serra nel 1613 quando pubblica “Breve trattato della cause che possono far abbondare li regni d’oro e d’argento dove non sono miniere”. 7 L’analogia con le compagnie mercantili suggerisce che lo strumento da privilegiare non possa essere altro che il commercio internazionale. Tenendo presente che la circolazione monetaria all’interno dei paesi e sul mercato internazionale era basata prevalentemente sull’oro (Gold standard) era evidente che un saldo positivo della bilancia dei pagamenti1 faceva affluire al paese oro e quindi aumentava la quantità di moneta in circolazione2. In altre parole, più oro c’era più il “principe” poteva coniare moneta e con questa pagare una burocrazia presente su tutto il territorio e un forte esercito per difendersi dai nemici interni ed esterni. Si ponevano così le basi per aumentare la potenza del paese. Infatti, il nascente stato nazionale doveva rivendicare la sua autonomia rispetto al potere imperiale e nel contempo riaffermare la sua supremazia sui poteri territoriali inferiori, che tradizionalmente godevano di una forte autonomia, grazie alla struttura del potere feudale, che si era andata consolidando durante il periodo medioevale3. Una volta identificato nell’oro o nei metalli preziosi la ricchezza del paese e nel commercio internazionale lo strumento per aumentarne la quantità presente all’interno della nazione, tutta l’analisi mercantilista si concentra sui consigli da dare al “principe” al fine di aumentarne il tesoro 1 Potrebbe essere opportuno introdurre a questo punto un’analisi della struttura e della contabilità della bilancia dei pagamenti. Inoltre converrebbe soffermarsi sulle caratteristiche del gold standard e della stabilità del tasso di cambio, dovuta all’esistenza dei cosiddetti “punti dell’oro”. Volendo attualizzare queste tematiche si potrebbe accennare alla differenza fra il sistemi di pagamenti internazionali basato sul gold standard e quello che si è realizzato nel secondo dopoguerra e basato sul gold exchange standard. Interessante risulta inoltre il confronto fra la stabilità dei tassi di cambio nel gold standard e quella che si è realizzata nella seconda metà del secolo scorso. 2 Si è soliti distinguere due periodi della scuola mercantilista: quello bullionista e quello monetarista. Il primo pone l’accento sulla quantità di oro o di metalli preziosi presenti nel paese, mentre il secondo sottolinea la quantità di moneta che l’afflusso di oro può favorire e quindi la possibilità di compiere buoni affari, grazie al mantenimento a livelli piuttosto bassi del tasso di interesse, come aveva sottolineato Keynes nei primi decenni del XX secolo. “La moneta stimola il commercio”. Questa idea si afferma nella seconda metà del XVII secolo quando si arresta il secolare aumento dei prezzi e le diverse economie conoscono una certa depressione. Tra i sostenitori dell’impostazione bullionista possiamo ricordare Gerald de Malynes ( A Traestise of the Canker of England’s Common Wealth, 1603) e tra i sostenitori dell’approccio monetarista: Edward Misselden ( Free Trade or the Means to make Trade Flourish, 1622) e Thomas Mun ( A Discorse of Trade from England into the East Indies, 1621) 3 E’ opportuno un richiamo alla struttura piramidale del potere nel periodo medioevale, che vedeva al vertice l’imperatore e poi in via subordinata i re, i duchi, i conti e i marchesi, i valvassori e i valvassini. 8 (da qui il termine di cameralisti per indicare i mercantilisti tedeschi, dal nome della stanza del tesoro del principe detta Kammer) e arricchire così la nazione. In questo modo si passa da un’analisi di economia politica, tendente a vedere come stanno le cose, ad un analisi di politica economica, volta ad evidenziare gli strumenti da utilizzare per portare il paese a raggiungere l’obiettivo di aumentare la sua ricchezza4. Come sottolinea Fanfani (1939) i mercantilisti si caratterizzano per il volontarismo in economia, volto a garantire alla nazione il raggiungimento di tre massimi: un massimo di popolazione, un massimo di ricchezza e un massimo di potenza. Di conseguenza postulano una politica economica attiva a favore dell’incremento demografico; un aumento della popolazione tende a mantenere i salari a livelli di sussistenza, contribuendo in questo modo al contenimento del costo di produzione, indispensabile per tenere bassi i prezzi e vincere così, a parità di qualità, la concorrenza internazionale. Lo Stato interviene attivamente inoltre, per favorire le esportazioni e contenere le importazioni onde avere sempre un saldo attivo della bilancia commerciale e favorire così l’afflusso di oro nel paese. Un esempio di queste politiche di intervento è dato dalle politiche di dumping attuate dalla Repubblica veneta, a favore delle ceramiche di Bassano, o da parte della Francia a vantaggio delle porcellane di Limoges. In definitiva il raggiungimento del massimo di popolazione favoriva il raggiungimento del massimo di ricchezza e questo quello della potenza del paese. Se tutta la politica economica mercantilista è orientata a favorire un saldo attivo dei conti con l’estero del paese si capisce perché gli interventi dello Stato siano tutti rivolti a sostenere il settore manifatturiero a scapito del settore agricolo. In Francia nel XVII secolo questa politica viene realizzata da Colbert, ministro di Luigi XIV, e con il termine di “colbertismo” si indicheranno poi le politiche economiche adottate dai diversi paesi, volte a favorire il settore industriale. 4 Se non è stato fatto precedentemente occorre chiarire l’esistenza dei due aspetti della scienza economica: l’aspetto positivo e quello normativo. Il primo riguarda l’analisi della realtà economica così come essa si presenta e forma il corpo dell’economia politica. Ad esempio in un certo periodo l’economia politica analizzando il funzionamento di un sistema economico rileva ad esempio un tasso di disoccupazione del 10%, un tasso di inflazione del 3% e una situazione di squilibrio nei conti con l’estero. L’aspetto normativo o di politica economica ricerca gli strumenti più idonei per portare il sistema economico a raggiungere alcuni obiettivi di breve periodo, come la riduzione sia del tasso di disoccupazione che del tasso di inflazione e il pareggio dei conti con l’estero. 9 Negli anni trenta del secolo scorso Stalin attuò ad esempio politiche colbertiste, collettivizzando l’agricoltura con la costituzione dei kolchoz e dei sovchoz a danno dei piccoli proprietari terrieri (kulaki) e orientando tutti gli aiuti a favore del settore dell’industria pesante, al fine di aumentare la capacità difensiva del paese e di vincere il cosiddetto “ accerchiamento imperialista”. La critica di D. Hume all’impostazione mercantilista Per capire la critica che D. Hume (Political Discourses, 1752) muoverà alla scuola mercantilista, occorre ricordare la cosiddetta “rivoluzione dei prezzi”, che investì la Spagna nella prima metà del XVI secolo. Il massiccio afflusso di oro dalle colonie dell’America latina, contribuirono ad aumentare troppo l’offerta di moneta nel paese, favorendo così l’insorgere di un fenomeno inflativo di grande dimensioni, che portò nel giro di pochi decenni alla chiusura di molte aziende tessili, grazie alla concorrenza dei prodotti manifatturieri provenienti dalla Francia o dall’Italia meridionale. I fatti evidenziavano così il legame tra quantità di moneta e livello generale dei prezzi, legame che sarebbe poi stato formalizzato all’inizio del XX secolo da I. Fisher nella teoria quantitativa della moneta5, riassumendo così il pensiero condiviso dalla maggior parte degli economisti. Ed è proprio da tale impostazione che muove la sua critica D. Hume, il quale sottolinea ciò che i mercantilisti in parte già sapevano, edotti come abbiamo visto dall’esperienza spagnola, ma in parte non tenevano in grande considerazione a causa della tipicità della produzione agricola che formava ancora gran 5 A questo punto potrebbe essere importante richiamare per sommi capi la teoria quantitativa della moneta, ricordando che la sua prima formulazione si può far risalire a J.Bodin ( Réponse aux paradoxes de M. Malestroict touchant les fait de monnaies et l’enchérissement de toutes choses, 1568), condivisa anche da B. Davanzati ( Lezione delle monete, 1588) e A. Serra ( Breve trattato delle cause che posono far abbondare li regni d’oro e d’argento dove non sono miniere, 1613). Partendo dall’equazione dello scambio MV=PQ, M indica la quantità di moneta, V la velocità di circolazione della moneta, P il livello generale dei prezzi e Q la quantità di beni prodotti in un paese. L’equazione dello scambio in effetti sarebbe più corretto chiamarla identità, in quanto sta ad indicare che il valore di quanto viene acquistato attraverso lo scambio dev’essere uguale al suo valore monetario. Questa identità diventa un’equazione e quindi una vera e propria teoria quando si introducono le seguenti ipotesi: i) la velocità di circolazione della moneta sia nel breve periodo stabile; ii) la quantità di beni prodotta nel paese non vari, in quanto esso ha raggiunto la piana occupazione di tutte le risorse disponibili. Quest’ultima ipotesi è tipica della scuola marginalista, nel contesto della quale Fisher elaborò il suo contributo alla teoria monetaria ( The Purchasing Power of Money, 1911). 10 parte dei beni scambiati. Sarà proprio lo sviluppo dell’industria manifatturiera e la conseguente standardizzazione della produzione che farà emergere sempre più il ruolo dei prezzi per battere la concorrenza internazionale. Ecco perché negli anni cinquanta del XVIII Hume poteva evidenziare il meccanismo “flusso oro prezzi”, con cui criticava la politica economica mercantilista rivolta, come abbiamo visto, ad accumulare oro nel paese. Aumentando l’oro, aumentava la quantità di moneta, provocando un aumento dei prezzi all’interno del paese. In questo modo i beni perdevano di competitività sul mercato internazionale, provocando una diminuzione delle esportazioni ed un aumento dei beni importati, resi più convenienti proprio dall’inflazioni interna. L’avanzo della bilancia commerciale andava così sempre più riducendosi fino a diventare negativo. Di conseguenza l’oro che con una bilancia commerciale positiva entrava nel paese ora usciva, vanificando in tal modo gli sforzi del “principe” di accumulare oro nel paese. Se in una notte, diceva Hume, l’Inghilterra perdesse tutto il suo oro, non sarebbe una tragedia, perché la carenza di oro ridurrebbe la circolazione monetaria e di conseguenza il livello dei prezzi a tal punto che i beni inglesi diventerebbero così competitivi da aumentare le loro vendite sul mercato internazionale, mentre le importazioni da altri paesi si ridurrebbero, generando un forte attivo della bilancia dei pagamenti, che farebbe riaffluire l’oro nel paese. Come si vede il ruolo della politica economica viene drasticamente ridimensionato, anche perché l’oro, sostiene Hume, si distribuisce nei diversi paesi come un liquido in un sistema di vasi comunicanti6. 6 Hume si inserisce in quella corrente di pensiero che rimarca l’analogia della scienza economica con le scienze naturali. Come queste sono governate da meccanismi, che il ricercatore deve evidenziare, così lo scienziato economico deve scoprire i meccanismi che regolano la vita economica, ed una volta scoperti, cercare di rispettarli o di farli rispettare, perché il loro funzionamento risulta benefico per la società. Fanfani (1939) chiamerà questi economisti giusnaturalisti ottimisti, in contrapposizione ai giusnaturalisti pessimisti, i quali ritengono che il funzionamento dei meccanismi economici possa danneggiare almeno alcune classi sociali. In quest’ultima categoria si possono annoverare i socialisti della cattedra e K. Marx. 11 La scuola fisiocratica In questo nostro percorso di storia del pensiero economico incentrato sui due temi fondamentali dell’analisi economica, la formazione e la distribuzione della ricchezza, ci limitiamo alle grandi scuole di pensiero per cui non tratteremo di tutti quei personaggi, che hanno contribuito in qualche modo allo sviluppo della scienza economica. Così accenniamo solamente ai cosiddetti sincretisti italiani che nel settecento contribuirono non poco al progredire della nostra disciplina, come F. Galiani, A. Genovesi, G. Filangeri, G. Ortes, P. Verri e C. Beccaria. Così non si dovrebbe tralasciare di rilevare l’apporto che autori come W. Petty, J. Locke, P. Le Pesant de Boisguillebert, R. Cantillon diedero alla scienza economica, anticipando per certi versi gli aspetti più innovativi della Fisiocrazia. Questa scuola di pensiero si fa normalmente partire dal 1758, anno in cui F. Quesnay pubblica “Le tableau économique”. D’altra parte non si può capire fino in fondo il ruolo di A.Smith se non si parte da questa scuola di pensiero, che trova nel medico di corte francese il suo fondatore. Attorno a lui comunque scriveranno nell’Enciclopedia altri economisti, come Mercier de la Rivière, Dupont de Nemours, Riqueti de Mirabeau, Turgot, Condillac ed altri che vanno a formare la setta degli economisti. Ed è proprio dalla lettura delle voci economiche dell’enciclopedia che A. Smith, nei tre anni che trascorre in Francia come istitutore di un nobiluomo inglese, apprenderà così bene l’economia, da diventarne alla fine il padre fondatore. F. Quesnay è il medico di Madame de Pompadour, favorita di Luigi XV, e come medico cerca di interpretare il funzionamento di un’economia alla stregua del corpo umano. La ricchezza per Quesnay è come il sangue che circola e porta la vita alle cellule di tutto il corpo. L’importante è che il sangue arrivi al cuore e da questo venga mandato prima ai polmoni e poi a tutte le cellule. Ma cos’è per la fisiocrazia la ricchezza di una nazione? Non può più essere data dallo stock di oro e/o metalli preziosi, come nel mercantilismo, ma, riprendendo Cantillon nella sua opera “Essay de la nature du commerci en general” del 1755 “dal flusso dell’insieme dei nutrimenti, delle comodità, degli agi della vita che si traggono dalla terra e che prendono forma attraverso il lavoro dell’uomo”7. Occorre qui sottolineare come si passi da un concetto di stock ad un concetto di flusso, compiendo una vera e propria rivoluzione nell’analisi economica del concetto di ricchezza. Solo che tale rivoluzione resta a metà, perché si limita a valorizzare esclusivamente il lavoro applicato al settore 7 Cfr. Parisi, 2002, p. 47. 12 agricolo, ritenuto l’unico settore veramente produttivo. E’ questo concetto di produttività limitata alla quantità e non anche alla qualità, che caratterizza tutta l’impostazione fisiocratica. Infatti, nell’agricoltura da un chicco di grano si ottengono alla fine del processo produttivo un numero superiore di chicchi a seconda della fertilità del terreno e della qualità della semente. Se il settore agricolo risulta quindi produttivo, di contro il settore manifatturiero appare sterile, perché incapace di accrescere la quantità del prodotto finale rispetto a quanto utilizzato come input. In sostanza solo il settore agricolo è in grado di produrre un sovrappiù (surplus). Per capire fino in fondo il funzionamento del sistema economico secondo la fisiocrazia occorre ricordare che nella vita economica operano sostanzialmente tre gruppi di operatori: gli agricoltori, senza distinguere tra lavoratori salariati e imprenditori agricoli; questi ultimi anticipano il capitale circolante (avances annuelles) prendendo in affitto le terre dai proprietari fondiari, i quali concorrono alla produzione migliorando la fertilità dei terreni attraverso i loro investimenti (avances foncières, cioè le anticipazioni fondiarie). Questi ultimi costituiscono il secondo gruppo. Infine abbiamo i lavoratori del settore manifatturiero. Visto come si forma la ricchezza, Quesnay affronta il problema della sua distribuzione. Come il sangue deve affluire al cuore, così il surplus generato dal settore agricolo deve affluire al cuore del sistema, che è il settore agricolo. Infatti, se il surplus andasse al settore sterile, cioè al settore manifatturiero, il sistema economico rischierebbe di non svilupparsi, come invece avverrebbe se esso andasse al settore agricolo. Quesnay attribuisce all’aristocrazia e all’alto clero, cioè ai proprietari terrieri, il ruolo di distributori della ricchezza. Essi hanno diritto a percepire una rendita, da qui il nome di rentiers, per remunerare i capitali investiti nel miglioramento fondiario dei loro terreni. Tale rendita verrà da loro spesa per l’acquisto sia dei beni agricoli che dei beni manifatturati. Anche gli agricoltori, salariati ed imprenditori, dovranno spendere parte della loro ricchezza per comperare beni del settore sterile, che vede così affluire le remunerazioni delle due classi appena citate. A loro volta però i lavoratori del settore manifatturiero dovranno acquistare i prodotti agricoli, che servono sia per l’alimentazione che per la trasformazione manifatturiera. Il sistema economico può riprendere il processo produttivo in un periodo successivo se le materie prime agricole vengono garantite. Comunque solo se al settore agricolo rimarrà tutto il surplus, tale settore potrà svilupparsi a vantaggio di tutti il sistema economico. Diventa cruciale allora rastrellare il surplus dal settore sterile e riportarlo al settore produttivo per eccellenza, cioè al settore agricolo. Ma per far questo occorre che il sistema dei prezzi risulti alla fine 13 tutto sbilanciato a favore di quest’ultimo. Quesnay, chiama le bon prix tale sistema di prezzi e delinea alcune strategie per garantirne l’attuazione. Innanzitutto i fisiocrati favoriscono l’apertura dell’economia al commercio internazionale. Con la massima di Gournay: “laissez faire et laissez passer les marchandises”, che diventerà il cavallo di battaglia del liberismo, spingono alla liberalizzazione degli scambi internazionali. Occorre ricordare che nella seconda metà del settecento l’agricoltura francese conosce un consistente progresso, propiziato dall’introduzione delle nuove tecniche agricole della rotazione dei terreni. Questo permette di ottenere prodotti di ottima qualità e a basso prezzo. Ora il confronto internazionale favorirebbe la lievitazione dei prezzi dei prodotti agricoli, avvicinandosi così al bon prix, senza con questo perdere di competitività rispetto ai prodotti inglesi o tedeschi, che risultavano di qualità inferiore. In secondo luogo i fisiocrati propongono una riforma fiscale, che in un primo momento sembrerebbe penalizzare i proprietari fondiari, in quanto propongono l’introduzione di un’imposta unica sulla terra, che dovrebbe essere pagata proprio da questi ultimi. Tale riforma, andando a semplificare il sistema tributario, attraverso l’eliminazione dei numerosi balzelli che gravavano sulla popolazione, non ultima l’odiata tassa sul macinato, veniva accolta positivamente dall’opinione pubblica. Tuttavia anche in questo modo si favoriva una struttura dei prezzi tutta sbilanciata a favore del settore agricolo, perché la traslazione d’imposta spostava l’onere tributario dai proprietari terrieri agli affittuari e da questi ai consumatori attraverso l’aumento dei prezzi delle derrate agricole, giustificato dall’aumento dei costi dovuti agli affitti più onerosi che gli imprenditori agricoli dovevano pagare ai rentiers8. La scuola classica Di questa scuola analizzeremo tre autori che hanno contribuito a focalizzare le tematiche relative alla formazione e distribuzione della ricchezza. Se A. Smith, come abbiamo in precedenza rilevato, risolve una 8 Per attualizzare quanto detto finora sulla fisiocrazia si potrebbe accennare all’esperienza cinese di questo secondo dopo guerra. In un’economia pianificata, con un sistema di prezzi amministrati, Mao scelse negli anni cinquanta del secolo scorso di puntare tutto sullo sviluppo del settore agricolo, mantenendo remunerativi i prezzi delle derrate agricole e penalizzando la produzione industriale. Solo dopo l’avvento al potere di Den Xiao Ping e la sconfitta della banda dei quattro (comprendente tra gli altri la vedova di Mao) la Cina riprende il suo processo di sviluppo industriale, attraverso le cosiddette quattro modernizzazioni. 14 volta per sempre il problema di identificare nel lavoro in generale la causa della ricchezza delle nazioni, D. Ricardo porrà al centro della sua analisi le problematiche relative alla distribuzione della ricchezza e le conseguenze che la scelta di una distribuzione rispetto alle altre genera sullo sviluppo economico di un paese. Il terzo autore è eterodosso rispetto agli altri esponenti della scuola classica, ma è importante perché utilizza gli strumenti analitici ricardiani per criticare il sistema capitalista. Ed è proprio per difendersi da tale attacco, che la scuola neo-classica cercherà di risolvere in maniera radicale il problema della distribuzione della ricchezza. A. Smith Nel 1759 A. Smith pubblica “Theory of the Moral Sentiments” (Teoria dei sentimenti morali), affrontando il problema di conciliare il self interest che muove l’operare dei cittadini e la possibilità di costituire una società, in cui cioè i cittadini collaborano tra loro. Il problema era diventato sempre più scottante da quando nel seicento T. Hobbes aveva definito l’uomo: “Homo hominis lupus” e aveva delineato il potere assoluto da attribuire allo Stato (Leviatano) al fine di garantire la sopravvivenza della vita sociale. Ora per Smith è la simpatia il collante di individui egoisti, in grado di permettere alla società di esistere e non venir distrutta dalle guerre intestine che la ricerca spasmodica del self interest inevitabilmente genera. Negli anni trascorsi in Francia, Smith legge l’Enciclopedia e assimila le tematiche economiche della fisiocrazia, ma non rimarrà legato alla visione piuttosto ristretta di questa scuola, in quanto cercherà di generalizzare i concetti fondamentali dell’analisi economica. Quando nel 1776 pubblica “Un’indagine sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni” sarà facile per lui generalizzare il fatto che tale ricchezza dipenda dal lavoro applicato nei diversi settori produttivi e non esclusivamente nel settore agricolo. Anche il problema della possibilità di esistenza di una società formata da individui egoisti trova la sua soluzione con la metafora della “mano invisibile”. “ Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse”9, in quanto ciascuno, seguendo il suo interesse viene quasi condotto “da una mano invisibile” a compiere l’interesse degli altri ancor meglio che se si dedicasse fin dal principio al benessere altrui.”Il miglior modo di conseguire il benessere generale è che ogni uomo ricerchi il proprio 9 Cfr. Smith, 1973, p.18. 15