“Mobilit-Azione”, un mosaico drammaturgico Actore Alidos in scena col lavoro di Gianfranco Angei, urlo di protesta contro i mali della società di Sabrina Zedda CAGLIARI. Nella seconda metà dell’800 era con la loro pittura che gli espressionisti denunciavano la decadenza della società, attraversata da ipocrisie, vizi, ingordigia. Arte come strumento di giudizio critico e di ribellione, dunque. La stessa cosa fa oggi la storica compagnia Actores Alidos in “Mobilit-Azione. Esposizione di corpi d’attore in r/esistenza”, in scena sabato e domenica scorsi nel Teatro centrale Alidos di Quartu, e ancora oggi a Carbonia per la stagione del Cedac. Già presentato a Marsiglia nella prestigiosa cornice del Teatro Toursky, “Mobilit-Azione” è un grido d’allarme. Un invito a mobilitarsi perché crisi economica, mercificazione del mestiere dell’attore e continui tagli alla cultura stanno portando il teatro all’implosione. L’urlo di protesta il regista Gianfranco Angei lo costruisce con maestria nei dieci quadri che non sono solo quadri scenici: ciascuno di essi riproduce anche l’opera di un artista espressionista da cui si dipanano i temi trattati. Così, se lo spettacolo parte con le figure di un curatore d’aste, e di animali, ispirati all’opera di James Ensor e a testi di Nietzsche, davanti allo spettatore sfilano anche le grottesche scene di una scorpacciata ispirate all’illustratore Alfred Kubin, gli scheletri che tentano di riscaldarsi davanti alla stufa, ancora di Ensor, passando per l’opera “Umori corporali”, ispirata a Franz Marc, sino a Edvard Munch. Quadri in cui protagonisti sono sempre i corpi degli attori. Che non sono personaggi e non parlano, ma sono delle allegorie, delle trasfigurazioni a volte grottesche, a volte dissacranti, a volte umoristiche, degli uomini, degli artisti, delle contraddizioni della società. In questo spettacolo (che attinge anche dall’opera di Artaud) ci sono la guerra e il lutto delle vedove, e ci sono anche l’annientamento del lavoro dell’artista, sino alla malattia fisica e a quella mentale, espresse nelle parole pronunciate da Munch prima che prendesse vita “L’urlo”, la sua opera più conosciuta. Il risultato è un grande, bellissimo, «mosaico drammaturgico», per dirla con le parole di Gianfranco Angei, dove a unire ogni tassello è un titolo scritto nello stile del vecchio carosello. Il pubblico guarda ora affascinato ora incredulo questo lavoro onirico e dissacratorio che a volte prende per le budella e costringe a riflettere non poco. «Partendo dall’espressionismo volevamo fare uno spettacolo sui temi sociali più urgenti – spiega Gianfranco Angei– Parliamo anche dei tagli alla cultura che fanno fuori gli artisti. Quest’anno dal ministero abbiamo ottenuto un incremento dei contributi del 30 per cento. Ma la Regione è andata in controtendenza e ora i contributi sono dimezzati».