PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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DARIO – SPETTACOLO PICASSO
DESNUDO
MILANO - SETTEMBRE 2012
(copertina 1 – copertina 2)
MUSICA
Scenografia: su due grandi schermi fondoscena
vengono proiettate le immagini dei dipinti che
illustrano le situazioni.
Entra in scena Dario Fo.
(imm.1)
PEZZO DA AGGIUNGERE: Sia chiaro, non è
stato facile, se pur aiutato da allievi portentosi,
realizzare un numero così alto di falsi; abbiamo
dovuto inventarci una notevole mestiere nel
falsificare quelle opere. Abbiamo capito che gli unici
formidabili imitatori del vero, fra tutti i mestieri, sia
senz’altro quello dei politici . Gli unici che riescono a
falsificare perfettamente la realtà senza farsi scoprire,
sono loro ??? ??? ??? non è una dote.
DARIO: Su internet, agli inizi di agosto, è apparsa la
notizia che a Milano nel prossimo mese di settembre
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verrà allestita una mostra di Picasso proveniente dal
Museo Nazionale Picasso di Parigi. Non è passata
una settimana e agli uffici del Palazzo Reale dove è
in programma l’allestimento, sono giunte a valanga la
bellezza
di
centocinquantamila
prenotazioni
d’ingresso alla mostra.
E’ un fatto veramente eccezionale! A mia volta, negli
stessi giorni, mi è capitato un altro fatto
imprevedibile - per quanto mi riguarda - cioè mi si è
proposto, da parte dell’Assessorato alla Cultura di
Milano, leggi Stefano Boeri, di presentare (imm.2) le
duecento e più opere esposte alla mostra e
commentare la storia e la genialità di questo
irripetibile personaggio che è Picasso. Abbiamo
scritto il testo, abbiamo già provato con il pubblico lo
spettacolo, ma all’improvviso è sorto un ostacolo:
con tutto che noi, come compagnia teatrale si stia
lavorando nell’ambito della mostra, a vantaggio
dell’esposizione stessa, ecco che rischiamo di
rimanere bloccati per il fatto che gli eredi di Picasso,
attraverso la loro Agenzia, pretendono che vengano
corrisposte delle quote sui diritti d’autore per le
immagini proiettate durante questa lezione-spettacolo
e introdotte libro che contiene il testo.
E’ assurdo, ma come si dice proprio in teatro, ad un
folle assurdo si risponde con una trovata da follia,
cioè voi, che da questa nostra conferenza non potete
trarre che vantaggio, ci imponete una tassa sull’uso
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delle opere originali e noi le opere le facciamo tutte
false, originali s’intende, falsi d’autore!
Quindi le immagini che vedrete proiettate sono per
almeno il 40% falsi d’autore. Sono sicuro che
nell’aldilà, in questo momento, Picasso se la sta
ridendo come un matto...
Ma andiamo a torniamo alla mostra e alla lezione su
Picasso Desnudo!
Non è certo un compito da poter svolgere a cuor
sottile: Picasso non è soltanto un artista eccezionale,
è una leggenda. Un personaggio fuori norma che in
novant’anni di vita è riuscito a inventarsi un numero
incredibile di vite diverse, come in un’enorme favola.
Un lavoro come questo bisogna però sperimentarlo...
e ho pensato proprio a voi, cittadini della mia Milano,
perchè mi aiutiate a verificare e capire dove questo
mio discorso risulti agile e piacevole e quanto rischi
di apparire un erudito bla bla bla. autentico o fasullo.
Naturalmente vi aiuteremo proiettando un notevole
numero di dipinti, ritratti e autoritratti di Picasso, tutti
immancabilmente falsi! rielaborati! (imm.40)
Aiutateci con la vostra attenzione e con la vostra
fantasia... conosciuta e apprezzata in tutto il pianeta.
(scoppia in una risata)
Dunque andiamo senz’altro a cominciare...
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(fig.50)
Come frontespizio alla storia di Pablo Picasso
abbiamo scelto questa sua dichiarazione: “Sono
venuto al mondo nel 1881, in ottobre, e devo dirlo
ero un bimbo molto dotato nella pittura! Ho avuto
difficoltà a farmi conoscere all’inizio, come succede
a ogni giovane che intraprenda il cammino dell’arte.
Poi, sempre con fatica mi sono fatto apprezzare,
quindi più tardi ho compiuto la più importante delle
mie azioni: ho inventato Picasso. (imm.51)
Sono stato fortunato, la sorte mi ha regalato come
primo insegnante di pittura nientemeno che mio
padre, (ancora imm. RAGAZZINO IMM. 53 imm.60) don Josè, professore all’Accademia di Belle
Arti in Malaga. Ero ancora un ragazzino quando mio
padre rimase letteralmente sconvolto nello scoprire
una mia pittura - di cui lui stesso mi aveva dettato il
tema - un dipinto di fattura talmente straordinaria da
mandarlo in crisi. Nello stesso giorno mio padre
decise di regalarmi la sua tavolozza, le tele e i colori
e da allora non dipinse più.
Da subito ho imparato ad amare i grandi pittori
antichi, specie quelli del mio Paese. (imm.69 (imm.70): Velazquez, El Greco e Goya (imm.71),
quest’ultimo famoso per la Maja Vestida e la Maja
Desnuda. A proposito di questo stupendo doppio
ritratto di donna mi sono subito chiesto: ‘Ma perché,
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dopo aver dipinto questa sua innamorata dolcemente
sdraiata su una chaise-longue, indossante un abito
così raffinato, Goya l’ha poi spogliata nuda nello
stesso atteggiamento mostrandola così a tutta la città?
E’ semplice, Francisco amava questa donna più
d’ogni altra creatura al mondo, quindi l’ha mostrata
ignuda non perché volesse vendicarsi e punirla per
essere stato tradito e abbandonato, proprio come
pensano stupidamente certi eruditi commentatori, ma
per farle un grande dono: (imm.72) denudarla perché
ognuno potesse rendersi conto per intero di quanto
fosse impossibile non perdere la testa per lei’.
(indicando la proiezione) Non capita tutti i giorni di
incontrare Venere in persona!
A proposito di opere sublimi Pablo soleva ripetere un
paradossale concetto: “La mediocrità di un pittore la
si misura osservando come faccia propria l’opera di
un grande artista. Quasi sempre il pittore in questione
dichiara di non copiare l’opera del grande maestro
ma di ispirarsi a lui. Ed è qui la stupida banalità,
infatti un pittore di grande qualità – e scusate se io mi
permetto di pensare di essere uno di quelli – non si
limita mai a tradurre l’emozione che gli procura un
grande maestro, ma si prende tutto intero il suo
dipinto: colori, forme, linguaggio, e si porta via anche
la cornice se scopre che è di valore.”
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E’ noto che il suo primo periodo pittorico è detto blu
(imm. 80 – 80 bis), (imm. 80 TRIS) periodo durante
il quale ritrasse una popolazione ai margini della
società: personaggi del circo, giocolieri e attori di
strada. (imm.81) Bimbi che imparano dalle madri
l’arte dell’acrobazia e che si lanciano rotolando
nell’aria con leggerezza ed eleganza straordinarie
(imm.82).
Ecco che qui avremmo bisogno di qualcuno che
questo mondo lo conosca veramente a fondo,
avendolo vissuto fin dalla nascita, e questo qualcuno
è senz’altro Franca, figlia d’arte, maestra e
depositaria dell’antico Teatro all’italiana. Franca!
ENTRA FRANCA
FRANCA: Picasso amava molto lo spettacolo, in
particolare il teatro satirico, come quello proveniente
dalla Commedia dell’Arte (imm.90 – imm. 90 bis).
Non a caso il personaggio che Pablo ha fatto
fisicamente e spiritualmente proprio, è Arlecchino.
(imm.91)
Conosciamo decine, anzi centinaia di disegni e suoi
dipinti in cui Picasso si ritrae addobbato di questa
maschera di servo furbo, spietato e candido insieme
(imm.92) una maschera di cui egli conosce tutti i
paradossi e i lazzi: le giullarate, gli sberleffi, lo
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sghignazzo e soprattutto l’insulto al potere. (imm.93imm. 94).
E qui avremmo bisogno del commento fatto e
eseguito da qualcuno che sia dentro anima e corpo
nella
Con Dario abbiamo voluto condurre una indagine, e
in biblioteche diverse, a cominciare da quelle della
Romagna dove ci trovavamo a provare, abbiamoo
scoperto che i dipinti, le statue, le incisioni sul tema
di Arlecchino eseguite da Picasso in 70 anni e più,
sorpassano il numero di 300: (imm. 95 – imm. 96)
un’enormità! Alcuni grandi suoi dipinti in particolare
illustrano canovacci dei comici italiani famosi, come
quello in cui Arlecchino recita la parte del sensale di
matrimoni. Una storia che con la compagnia di
famiglia, la compagnia Rame, abbiamo messo in
scena più di una volta.
La trama è semplice e giocosa. Pantalone, ricco
mercante veneziano, si è pazzamente innamorato di
Isabella, che da ragazza era proprio il mio
personaggio, giovane ospite di casa che a sua volta è
innamorata di Flavio, ‘bello figliolo’, primogenito di
Pantalone. Costui quando scopre che Flavio gli sta
portando via la donna amata, impazzito di gelosia
scaccia di casa il giovane contendente (imm.97), suo
figlio, obbligandolo a raggiungere l’Università di
Bologna, e così se lo toglie dai piedi. Arlecchino,
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naturalmente, come tutti i servi della tradizione sta
dalla parte dei giovani innamorati e riesce a far
trangugiare immediatamente a Pantalone una pozione
magica. Una volta assunto quell’intruglio il vecchio
mercante si innamorerà della prima femmina che
transiterà davanti ai suoi occhi e dimenticherà
all’istante Isabella. Ma destino vuole che davanti a sé
appaia non una femmina ma lo stesso incantatore:
Arlecchino!, che accidentalmente indossa un costume
da donna. Pantalone sotto incantesimo si getta
affascinato verso Arlecchino (imm.98),
DARIO: Bella donna che tu sè!
FRANCA: E così dicendo lo solleva fra le braccia
urlando
DARIO: “mia sei, adorata signora!”.
FRANCA: Lo zanni si divincola
DARIO: “còsa ch’el fà siòr dotór, l’è mato!” “Bella
creadùra tè vòjo mastecàre tutta desnùda!”
FRANCA: L’oggetto del desiderio fugge inseguito,
inciampa,
rotola
travolto
dall’impeto
dell’appassionato Pantalone che ad ogni costo lo vuol
far suo. L’amato fuggente si arrampica su un albero
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(imm. 99) dove viene raggiunto da Brighella, il servo
raziocinante che cerca di tranquillizzare il violentato
DARIO: Arlekìn, tranquilate! ‘Sta metamòrfosi che
t’è capitat da omo in fèmena, l’è ‘na gran fortùna. E
Arlekìn de contra: e soprattutto convincerlo di quanto
questa metamorfosi da maschio a femmina debba
essere accolta da lui, Arlecchino, come uno
straordinario colpo di fortuna. “Ma che fortuna?! Me
cojòn! L’è fortuna forse farse sbusetàr le ciàpe
‘me ‘na putàna?” – e Brighela ghe slofa de bòto –
“Arlekìn, vardémose bèn in te i ògi. Chi sèt ti?
L’ùltemo dei desperàt! Un strasciùn malarbèto!
Sémper in ziérca de magnà! Afamà pì d’un càn
randàzzo. Catàt a pesciàdi d’ogne cùsinier! Biastemà
fin de l’ùltimo servidór. E all’improvìsa, incó, par
meravigióso incantamento, tèl chì, un Arlekìn amàt e
sbasücà, lèca-lèca à la fulìa. Ma te se réndet cunto:
sèm arivà adiritùra a un padrón inamuràt à la folìa del
so’ servidór! Ma quando mai l’è capitàt al mund?!
L’è ‘na meravégia!”
“Eh sì - replica Arlecchino, sconvolto – maravégia
d’un mato! A l’è proprio ‘na folìa! Quel lì me vor far
el servìssio, cumpàgn de ‘na ziuvénca, giàmbe per
aria e cùl al vento, muntà ‘me ‘na cavra!”.
“E ti dighe de no, ma dólzo! Impara a stopàrlo come
se fa coi cavrón in calór ‘sto sacripante! Daghe mièl e
sale in quantità... e ogni tanto un lecadìn! La vostra
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ressìproca matamòrfosi, tì vedarà, se intorsicarà
cumpàgn d’un melùn riempiegnì de parsùto e la
tua sarà ‘na vida de fa’ negòtt con la panza sémper
impiegnìda de vìn e salàm!”
Arlecchino si convince e si mette alla prova. Danza
con il suo padrone innamorato. (imm.100) Accetta
tenerezze e riceve regalie preziose, manciate di
denaro, anelli, collane e bracciali da odalisca. Isabella
e Flavio si ritrovano a loro volta sconvolti: hanno sì
guadagnato la libertà d’amarsi, ma non possono
accettare quel connubio da incantamento triviale e
tutto il denaro di famiglia sperperato. Bisogna
intervenire facendo bere al vecchio pretendente una
pozione d’antidoto. In che consiste? Si tratta dello
stesso liquido che lo ha incantato: bevuto una
seconda volta, farà tornare Pantalone normale.
Inquadratura su Dario “Sarebbe a dire - esclama
Isabella - che lo rivedremmo di nuovo innamorato
pazzo di me!?” “No no no! - Brighella la rassicura Niente pagùra, ol retornarà in te la norma, ma castrà
‘me un vitelón!”
Ma ecco che all’istante Arlecchino si rifiuta. “No,
ma niànca morto! No’ torno indré nemanco se me
cusiné ‘me ’n ’aròsto sul fògo dei purscèi. Cosa ghe
guadagni mì? Quando l’è comensàda sta metamòrfosi
con incatamento, viàltri dòi cigulàvi felìz ‘me dòi
fringuèli e adès, de bòto, vi fèit catàr de la bona
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moralità! L’è miga par caso che gh’avé timór de
pèrdeghe l’entréga eredità del vègio incujunàt? E mi?
A l’estànte dovarìa returnà indrìo a la miseria de
sémper, ai pesciàdi in te le ciàpe, senza respècto de
sòrta de ognùn? No! Mi quel respècto che me sòn
guadagnàt m’el vòjo mantenìr san e tüto insèmbia a
l’amor e à la degnità. Sigùro, ho descovèrto che per
un omo, la degnità l’è tüto, sovratùto ‘ndel particolàr
mùment che sé ghe descòvre trasfurmàt in fèmena!”.
La compagnia dei comici allontana di forza
Arlecchino che scalcia come un ciuco impazzito.
Intanto si preparano i bicchieri e li si riempiono di
spumante, tutti salvo che per il boccale offerto a
Pantalone che conterrà la solita bevanda con
l’incantesimo. Il mercante innamorato sta per portare
il proprio bicchiere alle labbra ma ecco che
Arlecchino con gesto rapido afferra il boccale e
trangugia il beverone a gran velocità. “Pitòsto ‘sta
malarbèta porsión me la sgòrgolo tüta mi’, capita
quel che capita, no’ m’importa!”.
Beve e quindi immediatamente spalanca gli occhi e
urla: “Maledisiùn! No’ ghe végo più! Orbo son
deventà de entrambi i ögi!”. Tutti i personaggi della
commedia sentendosi responsabili di quel disastro si
fanno in là, sul fondo. Arlecchino spalanca di nuovo
gli occhi e grida: “Ghe végo! I mè ögi i véghe de
nòvo! Dio che calór che me sento ‘gnir adòso!”. In
quel momento una deliziosa capretta (imm.101)
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attraversa la scena e Arlecchino le va incontro ed
esclama: “Maravegiósa criadùra, che te spónti
deréntro el méo sguardo. Inamorò col còre tüto in
tòchi, me sento devànti a tì!” Si china verso la tenera
capretta, la solleva tenendola stretta fra le braccia
(imm.102) La sbaciucchia con passione mentre
quella bela quasi cantando e Arlecchino,
annodandosela intorno al collo come uno scialle
prezioso esclama: “Ooh, che roba maravegiósa
sentìrse inamorò come un cavròn in calór!”.
BUAAAAAH (imm.103)
Picasso è informato anche del fatto che Arlecchino,
nelle sue infinite metamorfosi, non si limita a recitare
il pagliaccio sguaiato e bugiardo, ma si trasforma
nell’acrobata del medico volante (imm. 104),
nell’avvocato arraffatutto, nel Tartufo di Molière e
nel Don Giovanni sciupafemmine (imm.105 –
imm.106).
Egli è cosciente che se mette a confronto la sua
propria vita con quella di Arlecchino, si accorgerà
che la maggior parte delle sue storie con donne
(imm.107) di cui è stato amante, sposo, innamorato
per sempre o per una notte e via, sembrano tratte di
peso dalla Commedia dell’Arte. (imm.108 )
Le ha amate tutte e spesso le ha travestite da
saltimbanchi, danzatrici, ninfe e divinità. (imm.109)
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Picasso si trova spesso come davanti alla porta
girevole di un Grand Hotel: entra solo, esce
accoppiato, rientra con un’altra femmina e sorte con
due nuove innamorate.
Eccole: la donna di Maiorca (imm.132), stupenda, la
donna nuda (imm.133) di cui si tace il nome, Olga
Koklova (imm.134) ritratta decine di volte in diversi
atteggiamenti e situazioni, madame Cañals (imm.
135), moglie splendida di un notevole pittore di cui
Picasso si era pazzamente innamorato, innamorato
della moglie, non di lui!, e per finire la signora H.B.
(imm.136) ricchissima... soprattutto di capelli, come
potete vedere!
Ma stiamo attenti a non crearci l’idea di un
personaggio esclusivamente preso per le femmine.
Picasso era anche quello che si dice un uomo
civilmente e socialmente impegnato. “Raccontate
uomini la vostra storia – ripeteva con Savinio
(imm.193) - siate testimoni implacabili del vostro
tempo, del diritto per ognuno alla libertà, ed ogni
ingiustizia denunciatela fino a sgolarvi!”.
Naturalmente entrambi - Picasso e Savinio - nel loro
comportamento davanti ai grandi e spesso orrendi
momenti della storia, non si tirarono mai indietro.
Basti ricordare con che slancio furente e indignato
Picasso dipinse nel 1937 la grande tela dedicata alla
strage di Guernica. (imm.200)
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Naturalmente il pittore ha evitato di cadere nella
retorica illustrativa del dramma: non ci sono gli
Stukas dei bombardieri tedeschi in picchiata, né
granate a grappoli né esplosioni, ma una parete di
casa che crolla, piedi di uomini e cavalli che si
muovono correndo, tremende grida di donne che
spalancano le braccia disperate, animali colpiti che
stramazzano, bambini uccisi fra le braccia della
madre, uomini rovesciati al suolo ormai senza vita e
lo slancio di una donna che regge una lampada che
proietta luce fra le tenebre della morte.
Guernica è la pittura che Picasso riuscì a far diventare
memoria di tutte le violenze e i massacri del suo
tempo.
Lo stesso discorso va fatto per la grande tavola di
compensato dipinta per la fucilazione di innocenti
avvenuta in Corea (imm.210) negli anni Cinquanta
per mano di un plotone di esecuzione degli Stati
Uniti, dove le vittime sono rappresentate, donne e
bambini ignudi, proprio come l’innocenza. In quel
caso l’idea compositiva di Picasso si rifà chiaramente
al massacro, avvenuto all’inizio dell’800 dipinto da
Francisco Goya (imm.210 - imm. 211) che testimonia
la strage della popolazione spagnola da parte
dell’esercito francese.
(imm.212) I fucili posti in primo piano da Picasso
nella sua narrazione sono macchine da guerra da
fantascienza e anche l’atteggiamento meccanico dei
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militari americani allude ad un’ammucchiata di robot,
automi della morte, evidentemente privi di ogni
dimensione umana.
(imm.213) Queste due opere, accompagnate dai
conseguenti abbozzi preparatori, furono mostrate al
Palazzo Reale di Milano nel 1953, accolti da una
straripante presenza di pubblico.
Naturalmente sul coinvolgimento umano e civile di
Picasso, in più di un’occasione e con coerenza totale
durante tutta la sua vita, si è tentato da parte dei soliti
pompieri culturali, di svicolare assicurando che
quelle opere del grande maestro dovevano essere lette
come una civile esortazione alla pace, solo alla pace
contro ogni sorta di conflitto. Quelle colombe
(imm.220) che Picasso ha dipinto sospese in un cielo
lugubre durante il periodo della cosiddetta guerra
fredda, secondo alcuni conformisti erano la
dimostrazione che Picasso tendeva a rimanere fuori
dai coinvolgimenti morali di parte. (imm.221)
Insomma, qui i pompieri moderati ribadiscono con
foga che Pablo, come tutti i grandi artisti, deve essere
visto e catalogato come uomo di pace, estraneo ad
ogni coinvolgimento estremista della politica.
E’ la solita ballata ipocrita di un’arte che deve volare
alta (imm.222) e fuori d’ogni impegno diretto alla
vita sociale e politica. Insomma, procuriamoci tutti
un bel cervello vuoto, privo d’ogni contaminazione di
parte. Il mondo delle idee è pericoloso: crea fanatici
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del pensiero. Meglio starsene fuori e vedere ogni
dramma come pupazzi e spaventapasseri che si
agitano sbattendo le braccia mossi dal vento del
nulla.
Siamo nel 1907, Pablo a Parigi, (IMM. ex 230 –
Demoiselles D’Avignon) vive un’esperienza di
surrealismo espressionista. E’ quello il tempo in cui
conosce Duchamp, Villon, Braque, Picabia e molti
altri artisti compreso qualche italiano coi quali,
analizzando le composizioni pittoriche di Cézanne
(imm.233) e soprattutto dell’arte africana (imm.235),
AGGIUNGERE OPERA sviluppano una specie di
frammentazione di volumi geometrici che vanno
componendosi in forme dinamiche.
Matisse, che non era tenero con i surrealisti,
osservando uno di questi dipinti eseguito da Braque
esclama con una certa ironia: “Bella questa specie di
cubettismo!”. (imm.236)
Venutolo a sapere, Braque e Picasso esclamano quasi
all’unisono: “Grazie Matisse, con questo tuo gioco a
sfottò ci hai dato una grossa idea, chiameremo questa
nostra pittura Cubismo”.
E Duchamp ci mette un carico da undici: “Per
ringraziarti, caro Matisse ti faremo un ritratto tutto
cubetti, cubettini e cubacchi - e mantennero la
promessa, eccola!”. (imm.237)
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Ma a parte le frecciate e il sarcasmo, quel movimento
destò uno straordinario interesse, specie presso alcuni
importanti collezionisti. All’inizio però i seguaci del
naturalismo
espressionista
reagirono
con
atteggiamenti di sdegno.
“Ma che è quella? Nient’altro che una provocazione
mercantile, tanto per stupire, épater le couille”...
Come dire, per incantare i coglioni!”
Gertrude Stein, (imm.240) bellissima donna, una
delle più colte fra gli innovatori... si dice fosse
l’amante di Picasso, e c’è da crederci poiché il grande
maestro non ha mai scelto come amante una donna
che non fosse almeno affascinante... La Stein
dichiarava che con il cubismo (imm.242 – 243)
l’incorniciatura della vita andava a pezzi, e
finalmente colori e composizioni potevano muoversi
liberi oltre la dimensione del quadro, annotazione
veramente intelligente!
Pur operando distanti l’uno dall’altro in diversi
atelier, Picasso e Braque riuscivano a realizzare opere
tanto simili che si sarebbero dette composte a quattro
mani dai due artisti. (imm.248)
Però c’era un inciampo cromatico e Duchamp fu il
primo ad accorgersene: quella pittura viveva di un
croma neutro, privo di una luce che proietti ombra e
movimento. (imm.249) “Stiamo dipingendo corpi
senza ragione e anima – affermava - una pittura
estremamente decorativa, elegante, anche raffinata se
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volete, ma ogni quadro sembra più un paradossale
armadio con ante sfasciate, illogiche e senza storia.
L’uomo è uscito a prendersi un caffé ma ha perso la
strada e non torna più.”.
(stacco su immagine Dario)
Di lì a qualche anno arrivò la grande guerra che
spazzò via all’istante ogni estetismo astratto e
monocromo.
Poi finì la guerra, ci fu il fascismo e un’altra guerra,
anche quella mondiale. Picasso non si mosse da
Parigi e visse con difficoltà la situazione della
Francia occupata dai nazisti.
Nel ’46, appena finito quell’ultimo conflitto, molti
giovani pittori partirono da Milano per Parigi, per
incontrare e conoscere il grande maestro spagnolo.
A quel tempo avevo appena vent’anni e a mia volta,
con alcuni compagni d’Accademia, decidemmo di
andare da lui, in Francia, per sollecitarlo, perché
venisse a Milano.
Eravamo decisi ed emozionati al tempo, non capita
tutti i giorni di andare a visitare un monumento
vivente.
In coro lo invitavamo a scendere da noi: “Ci fareste
un gran regalo Maestro e sarebbe per ognuno una
straordinaria iniezione di coraggio e fiducia!”.
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Picasso si diceva lusingato e prometteva che appena
gli si fosse aperto uno spazio di tempo disponibile, ci
avrebbe accontentati.
Passavano le settimane, i mesi, ma della visita che ci
aspettavamo da Picasso nessuna notizia. Scrivemmo
più di una lettera ma ricevemmo solo laconiche
risposte dai suoi collaboratori: “Abbiate pazienza, fra
poco arriveremo.”. Ma noi pazienza non ne avevamo
più, anzi quando si sparse la voce che Roma, in
particolare Cinecittà, era riuscita a convincere Pablo
a raggiungerli di lì a qualche settimana, esplose una
vera e propria bagarre di rabbia indicibile.
Ci fu una riunione nell’Aula Magna di Brera,
(imm.255) mai vista una folla del genere, gente che
s’ammucchiava e sbaccagliava disperata. Morlotti era
fra di noi il più saggio e accorto e disse: “E’ inutile
tutta questa caciara. E’ evidente che Picasso ha
preferito Roma a noi. Forse nel ritorno può darsi che
si fermi a darci un saluto.”. Quella non era acqua
fresca, ma una tanica di benzina buttata sul fuoco,
tant’è che qualcuno fuori di testa propose: “E se lo
andassimo a rapire?” “Sì, il Picasso rapito! - sbottò
Peverelli – Che idea, io mi prenoto per il ruolo di
palo.”. Tutti risero più per la stizza che per la battuta.
Parzini rispose seccato: “C’è poco da sfottere, la
soluzione c’è ed è questa lettera che abbiamo
ricevuto dal suo ufficio. Terremo buona solo la busta;
per il contenuto basta riscriverlo da capo,
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pressappoco così: (imm.256) cari amici, saprete che
sto per giungere a Roma ma ho pensato che,
transitando da Milano, giacché verrò in treno, potrei
fermarmi per abbracciarvi e stare un poco con voi. Il
giorno che mi andrebbe a pennello, scusate ma un
pittore si scopre sempre, sarebbe l’ultimo fine
settimana di questo mese, fra quindici giorni circa.
Un abbraccio, Pablo”.
Un gruppo fra i convenuti se ne andò a dir poco
schifato: “Ma sono pagliacciate, andiamo!”. Ma i
molti che restarono si diedero un gran da fare per
metter giù la lettera cercando di imitare la scrittura di
Pablo. Poi fotografammo la missiva e la facemmo
circolare fra le varie testate di giornali.
Qualche cronista fanatico dello scoop, fregandosene
di verificare, pubblicò la notizia: “Pablo Picasso
prossimamente a Milano per un vernissage della
mostra di sue incisioni (IMM. 258 NUOVA INSERIRE IMMAGINI) alla nuova Galleria
Manzoni”. La mostra si inaugurava davvero, ma è
chiaro che la notizia della sua venuta era
completamente falsa. Altri giornali hanno ripreso il
lancio dell’evento e, come se non bastasse, un
mercante mai identificato, aveva confermato,
assicurando la visita del Maestro.
A nostra volta abbiamo deciso di cavalcare la tigre
dell’immaginifico: “Lo faremo arrivare qui per
davvero! Picasso sarà a Milano in carne ed ossa!”
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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La nostra chiave di volta era Otello, (imm.262) un
anziano bidello dell’Accademia di Brera, un
brianzolo assistente al calco dell’atelier di Marini: era
il sosia di Pablo sputato. Un uomo sui cinquant’anni,
di bassa statura, ben piazzato con il cranio ornato di
pochi capelli bianchi e la faccia identica a quella del
maestro malagueño. Insomma, una fotocopia vivente!
È deciso: cerchiamo di convincere Otello a prestarsi
al gioco. Risposta: “Mì Picasso?! Ma sì matt?!”
Riuscì a convincerlo Olga, (IMM.262 BIS, IN
REALIZZAZIONE) una stupenda allieva e modella
di Manzù: “Se accetti ballerò tutta la sera con te!”
“Affare fatto!”
Per colmo di fortuna, Otello aveva lavorato a
Marsiglia per dieci anni da ragazzo e parlava un
francese quasi perfetto. Diamo la conferma a radio e
giornali: Picasso arriverà con il treno delle 11.30 in
Centrale, via Mentone. Lo faremo arrivare (imm.263)
abbigliato con il suo solito trench bianco e la sua
immancabile valigia, anche lei bianca.
Siamo alla stazione Garibaldi un’ora prima e
facciamo salire il sosia accompagnato da Alik
Cavaliere, Morlotti e Bobo Piccoli, sul treno che va a
Rho. I quattro scendono alla stazione stabilita e
attendono il rapido da Mentone che fermerà, come di
regola, a quello svincolo di quattro linee.
Alla stazione Centrale, binario dieci, c’è una folla
incredibile: giornalisti, fotografi, cineoperatori,
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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studenti, artisti, intellettuali… c’è perfino una
bandiera rossa, che sventola… per Picasso!
Ecco il treno, la folla va incontro all’artista.
“Sarà sui primi vagoni o più in fondo?”
Scendono i viaggiatori.
“Avete visto Picasso in qualche vagone?”
“Picasso?!”
Ci guardano come una massa di deficienti.
Sono quasi scesi tutti. Picasso non si vede.
“Eccolo!”
“Sì, è lui. (imm. 265) Si è sporto da un finestrino!” saluta e poi scompare. È sceso sull’altro marciapiedi.
“Che originale!”
La gente sale sui vagoni per poi ridiscendere dall’alta
parte. È sparito!
“Di sicuro si è infilato in un sottopassaggio!”
I fotografi e i giornalisti si danno a rincorrerlo. Una
voce grida: “Calma, non è fuggito! È che la folla gli
crea panico. Se lo volete incontrare tranquillo, venite
tutti questa sera al salone dei Filodrammatici, a
fianco della Scala. Ci sarà un rinfresco e una
tranquilla conferenza stampa.”
Il salone dei Filodrammatici (imm.268) in restauro
era una specie di impianto scenico che serviva da sala
prove. Lo stavano ristrutturando perciò era ingombro
di tralicci e centine di sostegno e mancava
assolutamente del soffitto. Insomma, era veramente
un salone all’aperto. Ma quelle strutture a colonnati
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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funzionavano a meraviglia per sostenere un decor
scenografico davvero sconvolgente. Per arricchirlo
avevamo coinvolto gli allievi di scenografia e
decorazione e i tecnici del Piccolo Teatro. Con un
camion avevamo fatto portare in quel salone scene di
spettacoli fuori repertorio e dal vecchio magazzino
della Scala eravamo riusciti a recuperare enormi
statue in cartapesta e perfino un leone e due cavalli
rampanti. (imm.269) Il montaggio è stato laborioso,
ma eccitante. Si è brigato tutta una notte.
Con un gruppo di attori e qualche sceneggiatore di
film si è poi abbozzata una scaletta delle situazioni da
rappresentare.
La sera, i primi ad arrivare sono stati i musicisti del
Santa Tecla (imm.270) e la Lambro Jazz Band. Si
sono sistemati su una specie di palco mentre ancora si
stavano approntando le luci. Tutti commentavano
dell’arrivo di Picasso alla stazione: erano in molti a
non immaginare si trattasse di una beffa!
Gli scenografi e i decoratori, fra di loro mi par di
ricordare ci fosse anche Enrico Baj, stavano intanto
pitturando i cavalli, il drago e le statue in oro e
argento. Fra gli altri eravamo riusciti a ingaggiare il
gruppo di clown del Circo Togni. Finalmente
comincia ad arrivare la gente. Noi si metteva a posto
le sedie in un ordine davvero caotico. La Lambro
Jazz Band apre con un pezzo famoso, è un blues:
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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“Tutti i figli di Dio hanno le scarpe”. (canta a ritmo
di blues)
In ritardo stanno entrano anche i camerieri per il
rinfresco.
“Ma chi paga tutta ‘sta roba?” chiedo io.
Mi fanno il nome di due grossi collezionisti.
“Hanno coinvolto anche l’ufficio pubblicitario della
Pirelli!”
Non ci credo... me lo giurano!
C’è più gente del previsto… belle signore in gran
pompa. In molti hanno disertato la prima del Lirico.
Ecco Ghiringhelli, il direttore della Scala ridotta dai
bombardamenti ad un rudere e Schwarz, il principe
dei mercanti d’arte con tutta la sua corte.
Il pubblico non ha ancora preso posto che, sostenute
dalle bande, hanno inizio le entrate comiche
(imm.273): lassù appeso ai tralicci un clown truccato
da imbianchino in tuta, grida: “Aiutooo, sto
cadendo!”. Si lascia scivolare giù per un cavo e
comincia ad oscillare in modo sconnesso. Precipita!
No, si è abbrancato ad una centina. Degli acrobati,
travestiti da pompiere, montano scale che vanno a
pezzi. TUM TUM TUM, uno spettacolo! I Vigili del
Fuoco si salvano aggrappandosi a funi che li fanno
danzare qua e là. Urla di signore spaventate.
Ora anche la band del Santa Tecla s’è unita alla
Lambro Jazz in un sound frenetico. Le giravolte, gli
scontri e le stcentrate creano scompiglio.
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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Qualcuno chiede a gran voce: “Scusate ma quando
arriva Picasso?” (imm.275)
“Sarà qui a momenti. Intanto lei balli signora!”
Suona una sirena e si spalanca un portale: dal fondo
entra un vigile in moto che impone silenzio. “Cos’è
‘sto bordello? Siamo pazzi? Avete il permesso per lo
spettacolo? E chi è il capocomico, l’impresario? Si
può sapere cosa ci fate qui?”
“Aspettiamo Pablo Picasso!”
“Pablo viene qua?!”. E il vigile motorizzato manda
un urlo e fa ruggire il motore ROAAAAR!, quindi si
lancia in un carosello a gran velocità ed esce con la
sirena accesa gridando: “Pablo! Pablo! Arriva
Pablo!” ROAAAAR!
L’orchestra sta andando su di giri. Intanto entrano in
scena cinque imbianchini che pretendono di ultimare
il loro lavoro. (imm.278) Anch’io faccio parte della
squadra di quei clown spennellatori. Andiamo
trascinando un enorme telone sotto il quale
costringiamo il pubblico ad infilarsi come si fa coi
mobili in caso di sbiancamento dei locali. Due
anziane signore chiedono a gran voce: “Ma quando
arriva Picasso?”
“Arriva, arriva!”
Ora gli imbianchini si lanciano i secchi l’un l’altro,
UAH UAH s’annaffiano con sbroffate di pittura.
Spaventato dalle grida e dai tonfi, il pubblico tira di
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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qua e di là il gran telone finché, strappo dopo strappo,
non viene ridotto a brandelli.
Qualche coppia danza. (imm.279) E altri chiedono:
“Ma quando arriva Picasso?”. “Arriva, arriva!”
Un altoparlante avverte: “Attenzione, arriva
Picasso!”
L’orchestra suona una marcia trionfale. Petardi
esplodono fra le gambe delle danzanti. Eccolo là! In
mezzo al fumo appare la sagoma di Otello, (imm.279
bis) sempre con il suo trench bianco.
Applausi.
“Ma è proprio lui!”
Otello sta per parlare: “Mes amis, je suis ravì d’être
ici…”, ma si trova avvolto da uno sfumazzo denso e
puzzolente. Tossisce.
“Mon dieu, quelle bagarre!”. E quindi all’istante
inizia a parlare in dialetto lombardo stretto: “Ma se
po’ minga respirà in ‘sta fuméra e per el calùr peu
che ven föra. Gh’é de stciopà!” Così dicendo si toglie
il trench e rimane seminudo ma con le mutande. imm.
280
“E’ lui, è proprio Picasso! L’ho visto fotografato in
quella mise un sacco di volte!”
Picasso riprende a parlare tenendo un microfono
vicino alla bocca: “Me piàse ‘sta Milan l’è proprio
‘na folìa de stciopà! Sun cuntént de ves chi!”.
Scoppiano altri petardi e anche un fuoco d’artificio.
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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Un botto esplode proprio fra le gambe del falso
Picasso della Brianza, che esclama: “Eh no, cassoo!
Me vorsì brusà i cujùni?!” (imm.282)
Alcuni signori scattano a gran voce: “Ma per Dio, è
tutta una presa per il sedere, si son fatti gioco di noi!
Una beffa indegna.”
“Zitti, non si offende un ospite così riguardevole!”
Una splendida signora inzuppata d’acqua colorata
esclama: “Stupendo! Una festa così me la ricorderò
finché campo!” E un vecchio signore esplode a tutta
voce: “Io non so se quello sia o no il vero Pablo, ma
che sia o non sia a me va bene anche così, viva
Pablo!”
E un’ultima voce tonante grida: “Ma quello è Picasso
o no?”
Tutto il coro dei clown (imm. 282 bis) sbotta: “Sì, è
lui, è l’unico Picasso al mondo, gli altri sono tutti
fasulli!” (canta) Che festa!
(copertina 1 – copertina 2)
__________________________________________
SECONDO TEMPO:
[Musica]
(copertina 1 – copertina 2)
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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La beffa organizzata a Milano con la messa in scena
della partecipazione del falso Picasso ai
Filodrammatici, di fronte alla Scala, avveniva più di
tre anni prima che si realizzasse al Palazzo Reale la
grande retrospettiva del 1953, (TAV. 290) cioè
sessant’anni fa, e che proveniva dalla Galleria
Nazionale d’Arte Moderna in Roma, dove furono
presentati 137 dipinti più numerose sculture e opere
grafiche e ceramiche. Per di più a Milano le opere
esposte al Palazzo Reale in quell’occasione erano più
numerose in conseguenza dell’intervento diretto di
Picasso che riuscì a far esporre anche la grande tela
di Guernica che venne spedita per via aerea da New
York; insieme a Guernica era anche presentato il
Massacro in Corea la grande tavola, come ho già
detto, nella quale era raccontata la fucilazione di un
gruppo di innocenti contadini; a Roma quest’opera
non fu presentata, pare per l’intervento di Giulio
Andreotti (TAV. 295) che vietò l’esposizione per non
offendere l’alleato americano. “Sì, abbiamo
verificato, e siamo certi che fosse stato proprio lui, il
Divo Giulio a mettere in atto quel veto di alta
piaggeria politica. Ma quell’Andreotti lo troviamo
dappertutto, in ogni tempo, proprio eterno e puntuale
come la morte!”
Ancora a Milano, furono esposti altri quadri che
Picasso aveva fatto arrivare da musei di Mosca e
Barcellona.
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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Ma perchè? Come mai tanta generosità verso la
nostra città?
Di certo a Milano (TAV. 300 – tavola nuova con il
tram) rispetto a Roma, Picasso ne era ben cosciente,
si respirava tutt’altra aria, non era ancora intossicata
dallo smog, sia industriale che politico. Nel
dopoguerra la nostra città godeva di un fermento
civile e culturale di straordinario peso e Picasso ne
era bene al corrente. Un giornale della sera, mi pare
si chiamasse Milano Notte, assicurava inoltre che
quando Pablo seppe della messa in scena dei
Filodrammatici (TAV. 305) con bande, clown e la
presenza di un sosia che lo impersonava fra lo
stupore e il divertimento di tutti i presenti anche
quando avevano scoperto della finzione, aveva
esclamato: (TAV. 310) “Ma è una messa in scena
degna di un Pantagruel! Che spasso! Bisogna proprio
che mi decida ad andarci in questa città, (TAV. 311
nuova) e con una grande esposizione! Gente con
tanto spirito bisogna proprio premiarla!” (TAV. 312)
Di certo come osservavano cronisti presenti
all’esposizione, grazie alle molte opere aggiunte
rispetto all’edizione romana questa di Milano
appariva molto più impegnata, specie sul piano della
denuncia civile; insomma, come dichiarava più di un
visitatore: “E’ un’esposizione proprio di sinistra!”.
Guernica, (IMM. 313) in particolare, aveva assunto
per i giovani artisti del Nord un assoluto valore
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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emblematico, poiché a Milano si era fatto di Picasso
e di questo suo quadro una vera e propria bandiera
del loro impegno d’avanguardia, in presa diretta con
l’attualità storica e sociale, non più verista e
naturalista, e in opposizione all’astrattismo
formalista.
(RIPRESA SU DARIO)
Ma non va dimenticato che Picasso aveva creato con
il linguaggio delle sue opere una forma di realismo
post-cubista inaccettabile che entrava in forte
contrasto con la linea ufficiale del PCI che si era
allineata ai dettami del realismo socialista sovietico
dogmatizzato da Zhdanov e ribadito anche da
Togliatti. Questo atteggiamento crea un forte
conflitto fra gli intellettuali italiani di sinistra che in
gran numero erano per la completa libertà
d’espressione e di pensiero.
Ma ecco che poco prima della mostra di Picasso a
Milano, nel marzo ‘53 si riunisce in Italia il Comitato
Centrale per una cultura libera, moderna, nazionale
che all’istante neutralizza tutte le imposizioni
dogmatiche provenienti dall’Unione Sovietica e da
qualche dirigente politico nostrano.
A ‘sto punto Picasso, applaudito da tutto il
movimento democratico di sinistra, viene eletto come
principale punto di riferimento per lo sviluppo di un
nuovo linguaggio dell’arte. Così si rende omaggio al
più grande pittore dei tempi nostri, il “compagno”
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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Picasso che si era iscritto al Partito Comunista
Francese nel 1944.
In quel tempo stavo terminando l’Accademia, avevo
poco più di vent’anni e più volte mi era capitato di
partecipare a Brera ad eccezionali dibattiti, proprio
sulla questione dell’autonomia espressiva. Se ne
parlava anche in centri di cultura che nascevano uno
appresso all’altro nella città; non si affrontava solo il
tema delle arti figurative ma si coinvolgevano anche
il cinema, la musica e soprattutto il teatro che aveva
nel Piccolo e nella Scala i suoi centri d’azione.
Da tre anni esatti personalmente avevo cominciato ad
occuparmi anche di teatro, (TAV. 315) in particolare
quello satirico e grottesco. Proprio al Piccolo, con
Parenti, Durano e Jacques Lecoq avevamo formato
un gruppo di commedianti con l’intento di mettere in
scena uno spettacolo di azione totale quindi legato
alla pantomima, nella quale appunto Jacques Lecoq
era il nostro maestro. Il tema doveva essere
assolutamente quello dell’attualità, raccontato con
brevi scene, rapide e stilisticamente rigorose, dove
oltre alle parole, ridotte al minimo indispensabile,
venivano inseriti il mimo appunto, la danza, il canto
e, soprattutto, l’acrobazia. Con noi il costume era
unico, una specie di salopette nera che veniva
indossata anche dalle attrici (TAV. 320) fra le quali
in primo piano c’era anche Franca.
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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I temi erano quelli del lavoro, dello sfruttamento e
degli incidenti nei cantieri, la cultura dominante, la
politica, l’input della chiesa in ogni frangente della
società, la questione femminile e la sessualità
nell’amore.
Proprio nel tempo in cui si provava la messa in scena,
ci capitò con la compagnia al completo – eravamo
esattamente tredici più i tecnici e il suggeritore - di
visitare la mostra di Picasso al Palazzo Reale e con
tutto che personalmente conoscevo le immagini
studiate sulle foto dei testi stampati, l’impatto con le
tele originali fu straordinario.
Dopo due ore che si era in visita ai saloni, ci
rendemmo conto che avevamo percorso solo un
quinto della mostra. Dovemmo tornare un’altra volta
e, in quell’occasione, ci accorgemmo che molti temi
del nostro spettacolo erano già raccontati sui dipinti
di Picasso e sulle incisioni e sui suoi disegni.
Decidemmo allora di studiare con più attenzione la
sintesi e lo svolgimento gestuale di quelle pitture per
trarne uno stile più incisivo e originale. E’ lì che a
nostra volta scoprimmo il legame che il maestro di
Guernica aveva con la rappresentazione teatrale,
(TAVOLA DA COPERTINA “PUPAZZI” TAV. 325
e sull’altro proiettore 326) sia nel modo con cui
impostava le composizioni, che per l’uso
spregiudicato della prospettiva e dello scorcio, per
non parlare di quello della luce. Di questo nostro
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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intento di rifarci a Picasso non ne parlammo con
nessuno, ma per meglio realizzarlo acquistammo tutte
le riproduzioni che trattavano di quella mostra e le
immagini di dipinti presenti in vari musei.
Il debutto del nostro spettacolo che aveva per titolo Il
dito nell’occhio avvenne alla fine di maggio di quello
stesso anno, proprio al Piccolo Teatro. Strehler e
Grassi, che ne erano i direttori, ci avevano offerto di
recitare su quel palcoscenico per tutto il mese, ma lo
spettacolo ebbe più successo di quanto si sperasse.
Dopo una settimana tutto il mese di maggio risultava
esaurito; quindi Grassi ci allungò il periodo fino a
tutto giugno. Ancora, dopo venti giorni, ci
rinnovarono il contratto fino a tutto agosto. Vennero
a vederci da ogni angolo della Lombardia, facemmo
una breve pausa e recitammo in altri due teatri di
Milano, fra i quali il Carcano e il Puccini. Poi
cominciammo la tournèe, tutto andava come a
Milano, esauriti uno dietro l’altro... quanto la nostra
compagnia dovesse a Picasso e al clima che si era
formato nella città non saprei proprio dimostrarlo, ma
di certo noi in quel 1953 siamo partiti proprio con il
vento in poppa e con tante vele da sembrare un
bragozzo impazzito. (TAVOLA 328)
Per festeggiare tanta fortuna Franca ed io abbiamo
deciso di sposarci e fare un figlio subito! Come si
dice... la fortuna bisogna coltivarla e applaudirla,
sempre!
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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____________________________________________________________________
L’abbiamo già detto: Picasso aveva una certa
attenzione particolare per la sessualità. (imm. 330)
Tutte le storie del teatro, della pittura e dei romanzi
famosi dove apparivano accoppiamenti appassionati e
fuori dal comune, lo coinvolgevano fino alla follia.
(imm. 335) Conosceva a memoria la Celestina di
Rojas, capolavoro teatrale del ‘500, ridondante di
prostitute, lenone, amplessi paradossali comprati ed
organizzati come in una kermesse erotica. Queste
vicende lo conducevano a dipingere, disegnare,
incidere giorno e notte. Perfino i Tre Moschettieri
(imm. 340) lo sollecitavano a mettere su carta e tela i
famosi spadaccini che duellano tenendo fra le braccia
donne ignude, sventolate come trofei.
Egualmente era coinvolto dal Don Chisciotte (imm.
345 - imm. 350) che scambia prostitute con regine e
che nella sua follia, rimane infilzato dalle pale di un
mulino a vento (imm.355) che lo fa roteare nell’aria
abbracciato alla sua sgualdrina incoronata.
I bordelli (imm. 360) l’abbiamo già detto, li
rappresenta ad ogni occasione, con prostitute d’ogni
razza, forma ed età.
Un giorno scopre un dipinto di Ingres, (imm. 365) il
famoso pittore neoclassico della fine del Settecento
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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che dedica un quadro a Raffaello, appassionatamente
abbracciato alla sua modella, la Fornarina. All’istante
Picasso si entusiasma per questa inconsueta storia
d’amore e comincia a leggere cronache fantasiose che
raccontano dei due amanti; (imm. 370) sono veri e
propri feuilleton [INIZIO RIPRESA DARIO SU
TUTTI E DUE GLI SCHERMI] carichi di colpi di
scena, tipo la bravata di Benvenuto Cellini che spara
un colpo di cannone contro Carlo III di Borbone
proprio nell’istante in cui sta attraversando il Tevere
sulla sua carrozza: PAM!, lo becca con una palla di
bronzo e lo ammazza pure! O storie come quella di
Giovanni da Gravedona un personaggio un po’ pazzo
e autolesionista che alla maniera di Van Gogh si
mozzò un orecchio per farne dono alla sua amata “Ti
piace cara? L’ho tagliato di fresco per te. Puoi
metterci un orecchino se vuoi!”
(imm. 375 - imm.380) Ma ecco che a Pablo capita fra
le mani anche un altro testo su Raffaello,
completamente originale: le cronache di Giulio
Romano, il più importante fra i suoi aiuti; qualche
ricercatore assicura invece si tratti di Peplo
fiorentino, altro suo allievo e collaboratore; a parte la
discussa provenienza letteraria, Picasso all’istante si
trova
dinanzi
un
Raffaello
assolutamente
imprevedibile: prima di tutto un uomo di coraggio e
determinazione inconsueti, che attacca vescovi e
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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cardinali, principi e baroni accusandoli di ruberie e
intrallazzi ignobili... Che tempi di infame corruzione
erano quelli! Menomale che viviamo in un’altra
epoca, finalmente civile e democratica, con un Papa
vero pastore d’anime. Dicevo che, Raffaello, non
risparmia nemmeno la figura del Pontefice, che
pubblicamente denuncia per aver fatto sradicare le
pietre e i sampietrini della vie principali di Roma, per
servirsene nella costruzione di un proprio palazzo;
Raffaello ci appare quindi come un uomo di grande
correttezza e onestà, che però sorprende ognuno per
l’altra faccia della sua personalità: quella di un
erotismo sfrenato al limite dell’osceno.
Il Maestro di Urbino è uno che sa quanto vale e
pretende che tutti lo apprezzino, (imm.385) a
cominciare proprio dalle ragazze, dalle dame, dalle
modelle, dalle prostitute, che per lui vanno via tutte
di testa. Il cronista che per evitare contestazioni
chiameremo l’anonimo infatti testimonia che quando
a Roma, a Carnevale, il carro sul quale stavano
vocianti le ragazze da marito transitava sotto le
finestre del palazzotto di Raffaello, tutte quelle donne
in coro eseguivano una serenata di sperticati elogi al
giovane pittore, un canto che diceva:
“Bello figliolo che tu se’, Raffaello,
come te mòvi appresso a lu Papa
quanno sorte a passaggiare,
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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tu se’ l’àgnolo Gabriele,
ìllo pare lo tòo camarière.
Dòlze creatura con ‘sto cuòrpo tuo che pare in danza,
(imm.390)
comme me vorrìa rotolar co’ te
panza panza dentro lu vento,
appesa alle labbra tue da non staccàrme mai uno
momento:
Raffaello méttime dinta ‘na tua pittura
dove ce sta ‘no retràtto de te tutto intero
così de notte ce se potrebbe cerca’
e infrattàti nell’oscuro facce l’amore.
Si nun me voi amà, Raffaello dòlze, canzéllame da la
tua pittura,
méjo morì se non son tua.”
Bella!
E a ‘sto punto Picasso, estasiato, (imm.395) comincia
ad incidere su una lastra la scena degli abbracci fra le
donne ammaliate e il meraviglioso pittore, che viveva
la sua vita con una voracità sconvolgente.
Quando morì Raffello aveva appena trentasette anni.
Si racconta che per il dolore a Roma anche i
sanpietrini si staccarono rotolando fuori dal selciato,
e mezza città urlando piangeva disperata.
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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Ancora il cronista testimonia che il giovane di
Urbino, oltre ad essere uno fra i più grandi maestri
del dipingere e costruttore di palazzi e cattedrali, era
un musico finissimo e componeva ballate per le sue
donne servendosi di una viola tonda.(imm. 400)
Sollecitato da quell’immagine, Picasso, in un altro
disegno ecco che trasforma la Fornarina in una viola
da gamba con Raffaello che la cinge fra le braccia e
ne trae suoni amorosi.
Pablo legge la cronaca tutta d’un fiato e si butta ad
illustrare come in un grande fumetto le avventure dei
due amanti. L’artista crea immagini in bianco e nero
profondo, situazioni di una storia in cui Raffaello e la
sua donna litigano, (imm. 405) lanciando calci e
rovesciandosi l’un l’altro sul letto e per la stanza,
mentre lui continua nello stesso tempo a ritrarla.
(imm. 410 – imm. 415)
Ma poi subentra il grottesco ed ecco che da dietro i
tendaggi (imm. 420) spunta il viso sconvolto di un
Papa guardone con la sua papalina in testa, tanto per
non dare nell’occhio. Da sotto il letto fa capolino la
faccia di Chigi, il banchiere suo mecenate: che si
gode la scena ululando come un bracco in amore.
Ma ecco che a ‘sto punto esplode il dramma per
Raffaello: Chigi, in un impeto di possesso lo ha
letteralmente sequestrato. Pretende che, come da
contratto, il maestro sia presente a tempo pieno
nell’esecuzione delle pitture del suo palazzo, a
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cominciare dal Trionfo di Galatea. Ma non aveva
fatto i conti con la strabordante passione che proprio
in quel tempo aveva travolto Raffaello per la
Fornarina.
Di certo i due innamorati erano entrati in una crisi
disperata. La ragazza aveva urlato: “Basta, per te
sono ormai diventata solo una modella, (imm.425)
che a tempo debito si può sbattere sul letto tanto per
rilassarsi un po’ fra una pennellata e l’altra. Io voglio
un amore normale, magari fra l’erba di un prato...
anche di notte con il trillar dei grilli”.
Ormai Picasso è diventato parte del testo. Fra una
pagina e l’altra disegna una sequenza surreale,
(imm.427) dove la Fornarina va dondolandosi come
un’acrobata su un’altalena appesa fra gli alberi, e lui
la insegue abbrancato a un rampicante. Cambio di
scena e la Fornarina, sempre nuda, che minaccia il
suo amante: “Sai cosa ti dico: (imm.428) piuttosto
che continuare a fare la bambola a tutto servizio torno
a fare la putt… pardon... la mondana volante…
(imm.429) e mi faccio pagare! Un giorno con uno,
un giorno con l’altro e con te e con i tuoi colori,
pennelli, cartoni e tele ho chiuso!!!”. E così dicendo
esce sbattendo la porta. Ma subito rientra... s’era
dimenticata d’essere completamente nuda.
Ripresa su Dario?
Raffaello rimasto solo è abbattuto, perdipiù ora è
prigioniero del suo mecenate e spera che
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l’arrampicarsi sui ponteggi e stendere colore lo
distragga dal suo dramma, ma quella terapia non
funziona. Se ne accorge anche il Chigi, suo mecenate,
che si rende conto che dopo la lite con la Fornarina,
Raffaello sta dipingendo sì, ma di malavoglia,
silenzioso e ingrugnito. Il banchiere indaga... anzi
ordina a un suo segretario di indagare. Costui,
ricevuto l’ordine, si avvicina a Raffaello e gli dice:
“Maestro, io devo andare in città, passo dal mercato
grande. Se vi occorresse qualcosa non fate
complimenti… Ve lo procuro in giornata.”.
Raffaello si illumina all’istante: “Avrei una lettera da
consegnare. Qui c’è l’indirizzo, tenete, non parlatene
con nessuno.”.
E il segretario: “Sarò una tomba con le ali...volevo
dire con i piedi, insomma!”.
Appena l’uomo di fiducia torna, il banchiere lo tira
dentro una stanza e chiede: “Com’è andata?”.
“Il maestro mi ha consegnato una lettera da portare a
una sua signora.”.
Il banchiere incalza: “La Fornarina, immagino…”.
“Sì, lei.”.
“E non mi dirai che ti sei permesso di aprire la
missiva e di leggertela?!”.
“Signore, io ho imparato tutte le buone maniere da
voi… Certo che l’ho aperta e l’ho letta anche!”.
“Bravo! Così si fa fra signori. Cosa diceva la
lettera?”.
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“Il Maestro si dichiarava disperato: ‘Amore mio, tu
sei il mio respiro, senza di te mi sento soffocare,
senza il tuo viso, il corpo tuo, le mie mani vuote
cercano il tuo ventre e i tuoi seni…’”.
“Ma che l’hai imparata a memoria?”.
“No, la conoscevo già, il Maestro l’ha copiata da una
lirica dell’Ariosto! ‘Non so se sto vivendo in un
sogno disperato o in una vita...’”.
“Basta! Basta! Mi vuoi recitare tutto l’Ariosto?!
Dimmi piuttosto... lei come ha reagito? Eri lì quando
l’ha letta?”.
“Un po’ in disparte ma presente. Non ho capito il suo
commento. Piangeva troppo e singhiozzava. Però ha
scritto una lettera...”.
“Un’altra lettera? Per te?”.
“No da consegnare al maestro! L’ha incollata dentro
una busta e ci ha messo pure della lacca!”.
“Ma che è, una lettera papale? Quindi non hai potuto
aprirla?”.
“Perché no? Mi è bastato intingerla nell’acqua
bollente... la lacca si stacca subito, sbirci cosa dice la
lettera e poi riattacchi!”
“Bravo, sei proprio un gentiluomo… E che dice lo
scritto?”.
“Minaccia in quella lettera che si butterà dalla
finestra se lui non torna!”.
“Esagerata: la solita sceneggiata!”.
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“Non credo... era smorta come non l’avevo vista
mai!”.
“Ho capito: fai preparare la carrozza e con molto tatto
vai da lei e portamela qua. Possibilmente vestita… Se
si è già buttata dalla finestra… non portarla.”.
Detto fatto, non passa manco un’ora che la Fornarina
arriva a palazzo. Entra per il retro, dove sta la
scuderia.
Il banchiere prima sistema la figliola poi va nella
stanza del Trionfo di Galatea, Raffaello è lassù sul
ponteggio alto.
Sale fino a lui e gli dice: “Ascolta, amico mio, hai
una faccia che non mi piace. Prenditi una pausa…
forse la camera che ti ho procurato non è la più
adatta, soprattutto con lo stato d’animo che ti ritrovi.
Vieni… c’è una camera che ho fatto preparare per te
che dà sul pergolato, adornata di fiori appena colti, e
con un letto dove ci si potrebbe far capriole, tanto è
morbido e grande!”.
Prendendolo sotto braccio lo accompagna alla stanza.
Davanti alla porta se ne va e lo lascia solo.
Raffaello spalanca le ante e di fronte a lui nuda in
piedi sul letto c’è Margherita, la Fornarina.
(imm.433) Entrambi all’unisono mandano un grido di
gioia. Aaaahhhh!!! Si lanciano uno nelle braccia
dell’altra, (imm.434 – imm. 435) si rotolano fino a
cadere dal letto… Il resto ce lo racconta ancora
Picasso con i suoi disegni, che ha dedicato a questo
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incontro durato due giorni e due notti, salvo le pause
pranzo sotto il pergolato, un’intera suite pittorica con
centinaia di immagini. (imm.437) Picasso s’è lasciato
andare a raccontare amplessi erotici esasperati, da
follia… roba da denuncia immediata! (imm.438)
Quindi mi spiace ma non ve le possiamo mostrare...
neanche le nostre copie false. Ci sono anche dei
ragazzini... Beh, solo qualcuna ma così… un po’
veloce… Sono proibiti i gemiti! (imm.439) Chiudete
gli occhi! E’peccato... (imm.340) Niente commenti
per favore! Genitori, fatevi spiegare i momenti più
interessanti dai vostri ragazzini che sanno tutto!
___________________________________________
(stacco su immagine Dario intera + primo piano
Dario sull’altro schermo)
Ci siamo dimenticati di ricordare come Picasso,
durante l’ultima guerra, si ritrovò a vivere situazioni
difficili e pericolose a Parigi. I nazisti che avevano
occupato la Francia controllavano ogni sua azione:
bloccarono anche una sua mostra e perseguitarono i
suoi amici fraterni, sospettati di far parte della
resistenza.
Dalla Spagna alcuni federali franchisti (TAV
500)insistevano nell’invitare il Maestro a tornare in
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patria, come del resto erano riusciti a convincere altri
noti pittori e artisti andalusi, della Galizia e catalani,
come per esempio Salvador Dalì, (TAV. 505) che
accettò le offerte del regime e ottenne protezione e
grandi onori da Franco in persona; Picasso nemmeno
rispose a quelle sollecitazioni, ripeteva ad ognuno
che sarebbe tornato al suo Paese solo dopo la fine
della dittatura e la caduta di Francisco che egli
chiamava il boia di Spagna. (ancora immagine
Franco TAV. 507)
(PRIMO PIANO DARIO – E INQUADRATURA
INTERA)
Terminato il conflitto la fama di Picasso invase tutto
il pianeta, a cominciare dagli Stati Uniti.
Indubbiamente Pablo era diventato l’icona di se
stesso. Sulla sua vita e le sue opere furono scritti e
stampati migliaia di testi in tutte le lingue del mondo.
Si girarono addirittura dei film con lui che recitava il
proprio personaggio.
Ma fra i numerosi elogi di critici entusiasti della sua
genialità, cominciarono a spuntare anche alcuni
detrattori, ricercatori eruditi che con spietata ferocia
lo descrissero come un satrapo egoista ed erotomane
fino alla follia e soprattutto un egocentrico travolto
dal suo smisurato successo. Quei soloni facevano
inoltre pesanti ironie sul suo essere un personaggio
pago della propria ricchezza e sul denaro che nelle
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aste i collezionisti offrivano per una sua opera: a New
York furono pagati 94 milioni di dollari per una sua
tela con una suonatrice di mandòla (TAV. 510) che
accompagna una danzatrice, ma di dove sia finita in
realtà quest’opera non abbiamo documentazione,
quindi ci siamo permessi di ricostruire il dipinto
basandoci su qualche bozzetto originale, sia chiaro è
sempre un falso, ma d’autore! Chi lo vuole acquistare
alzi la mano, approfittatene, questa copia di Picasso
la vendiamo con uno sconto notevole, in cambio di
un solo barile di benzina! No? E’ troppo?! Va bene,
andiamo avanti!
Nessuno ha mischiato tecniche e ingredienti
(TAV.520) come è riuscito a Picasso, il quale ha
dipinto usando ogni mezzo sia cromatico che
plastico: cartoni spezzati, pezzi di metallo, chiodi,
lamiere traforate, vernici, smalti, colori per vetro,
incisioni, sbruciacchiature, getti di fuoco, stracci di
tessuto, dalla seta alla canapa, cocci di terracotta. Si
può ben dire che è riuscito ad anticipare l’uso
nell’arte figurativa di tutto ciò che abbiamo visto
usare nell’ultimo secolo, perfino l’encausto, cioè a
dire produrre un’opera con un forno infuocato dietro
una parete appena affrescata.
Al tempo in cui venne presentata la mostra a Milano,
il cronista di un giornale conservatore sorprese
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Picasso in un grande negozio di elettrodomestici
intento ad acquistare oggetti di grande dimensione:
un’enorme graticola, due grattugie, un colabrodo, una
pentola a pressione, uno sparachiodi, due tritacarne,
un potente frullatore, un frammentore meccanico e
una gigantesca pattumiera.
“Servono per una cucina aziendale, immagino?” lo
provoca il giornalista reazionario che l’aveva seguito.
“No, per un’opera d’arte da esporre al Palazzo Reale
di Milano! Se viene a visitarla domani la trova già
montata”. (TAV. 525)
Picasso la sera stessa si era messo all’opera.
Cominciò con il montaggio a incastro dei vari pezzi,
con un saldatore elettrico li fissò uno all’altro in una
progressione monumentale, alla maniera di un
palazzo futurista, quindi alla base dell’opera scrisse:
Allegoria drammatica di una struttura bancaria al
servizio dei risparmiatori. Cittadini, cascateci prego!
La truffa è aperta. (TAV. 526)
Ma torniamo a parlare di donne.
Dopo la guerra, con tutte le relazioni che
ricominciavano a vivere, Picasso riprese a tessere
relazioni amorose a dir poco multiple: prendeva,
lasciava, ricuciva, disfava finché non gli capitò di
imbattersi (TAVOLA 530) in una giovane attrice di
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molto talento, Ametille Frasseneux, che recitava il
comico e il tragico con la stessa facilità, incantando
tutti.
Si innamorò di Pablo ma ad un certo punto scoprì che
quel inarrivabile genio capace di struggenti dolcezze
sapeva all’improvviso trasformarsi in una specie di
Caterpillar delle passioni con irresponsabilità a suo
dire criminale.
Al colmo delle umiliazioni Ametille, l’attrice, lo
lasciò su due piedi e si trovò senza mezzi, (ANCORA
TAV. 530 - TAV. 535) sola con un bimbo di pochi
anni avuto da Pablo, senza lavoro in quanto rimasta
fuori completamente dal giro del teatro. (RIPRESA
DU DARIO) Ma non si lasciò abbattere: decise di
reagire scrivendo la cronaca degli amori di Picasso e
delle sue donne in dieci puntate, da pubblicare su un
giornale di notevole tiratura a mezzo fra lo
scandalistico e il satirico.
Riuscì ad ottenere un contratto con gli editori del
feuilleton. Il compenso era notevole. Nel contratto
l’autrice si impegnava a mai fare i nomi reali dei
protagonisti, compreso il suo, salvo quello di Picasso;
ma si doveva indovinare facilmente che i fatti e le
situazioni messi in scena erano del tutto autentici.
Eccovi una delle prime puntate:
‘C’è un vecchio detto che minaccia chi troppo
facilmente gioca con le commedie:
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Attento a te, che spudoratamente spesso manipoli
inventando false passioni, soprattutto amori con
figliole, e con troppa leggerezza le metti in scena. Ti
può capitare di vivere un inatteso rovesciamento e da
gabbatore bugiardo ti ritroverai gabbato e sfottuto a
tua volta.
Picasso di certo non conosceva questa massima
spietata. Quando si mise in testa di sedurre Geltrude,
(TAV. 540) la ragazzina dell’Accademia di Pittura
che per caso incontrò a Montmartre, la invitò nel suo
studio; fra l’altro Pablo ne utilizzava ben tre di atelier
solo a Parigi (TAV. 545) nei quali invitava a
spogliarsi modelle di professione e occasionali.
Inoltre, proprio in quel tempo, l’artista si trovava a
vivere una relazione molto seria con Ametille,
(TAV. 550 - SULL’ALTRO ancora tav due facce
TAV. 555) attrice e pittrice di talento che gli aveva
dato da poco un figlio, il cane non era suo! Picasso,
proprio come nelle pochade all’italiana, (TAV. 560)
aveva scelto un appartamento esattamente situato di
fronte alla casa che divideva da anni con Ametille,
l’attrice, così gli bastava uscire dal suo letto, scendere
le scale, attraversare la strada e risalire per un’altra
rampa... ed eccolo entrare in un altro appartamento
per gettarsi su un nuovo letto fra le braccia di una
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nuova amante già calda e appassionata. (RIPRESA
SU DARIO)
Ma ahimé entra in scena il solito impiccione... come
si dice, un amico fidato, il quale parlando con
l’attrice da poco madre le spiffera quello che sa della
nuova tresca con la ragazzina dell’Accademia. Non
solo ma le confida anche che la nuova musa che non
ha ancora diciassette anni molto probabilmente è già
rimasta a sua volta incinta. L’attrice fulminata da
cotanta notizia su sollecitazione del chiacchierone
sbircia dalla finestra, tenendosi nascosta dietro una
tenda e, puntando l’attenzione sull’appartamento di
fronte, scorge una giovane donna che attraversando le
varie stanze si incontra - con chi? - ma con Pablo
Picasso in persona!, che l’abbraccia e se la
sbaciucchia. Ametille sviene franando al suolo come
fulminata. (TAV. 565)
Nello stesso istante squilla il telefono, l’impiccione
afferra il ricevitore e risponde:
“Pronto, chi è? - quindi ponendosi discosto a bassa
voce – Pablo! Oh Pablo, è successo un disastro qui!
Qui a casa tua! Vieni subito! Sei nudo?! Ma vestiti e
vieni! Subito, pianta lì la ragazza! E chi se ne frega se
si dispera!”.
L’attrice come nei drammi sconvolgenti ritorna in sé
(TAV. 570) e quasi immediatamente si lancia verso
la finestra, per fortuna già spalancata, con slancio da
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saltatrice acrobatica con l’intento di gettarsi nel vuoto
ma è bloccata dall’impiccione che nello scontro si
becca una ginocchiata tremenda nel basso ventre,
ululato ed esplosione in lacrime; solo ora l’infame
chiacchierone si rende conto del disastro che ha
combinato e dopo essersi affacciato alla finestra
inventa lì su due piedi che si è sbagliato: “Ma no,
adesso che guardo bene (TAV. 573) non è una sua
amante quella ma è la figlia!”
“La figlia di chi?”
“Di Pablo! La conosco da un sacco di tempo... come
ho potuto confondermi, disgraziato! Quella figliola
che ha sbaciucchiato non è un’amante ma è Geltrude,
nata da una sua relazione con Marie-Thérèse sedici
anni fa. Per di più, mi viene in mente adesso che
quella casa in cui si sono pocanzi incontrati, fra
l’altro, non è di Picasso ma del suo gallerista che
gliel’ha prestata solo per oggi!”
L’attrice afferra per le spalle il fabulone e lo scuote:
“Tu mi stai mentendo per salvare il tuo amico
puttaniere! Ma perchè - chiede - Pablo e la fanciulla
si incontrano di nascosto, in una casa prestata dal
gallerista?”
“Per il semplice fatto – gli risponde l’impiccione con
l’aria più sincera di questo mondo – che la madre di
lei non vuole assolutamente che il padre, Pablo, la
incontri e nello stesso tempo lei, la figlia, si è
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innamorata follemente del padre e non può fare a
meno di frequentarlo”.
Scena seconda: ecco che in quel momento entra in
scena il grande pittore (TAV. 575) che ancora non sa
nulla di cosa è avvenuto nella scena precedente e
l’attrice lo accoglie piangendo e ripetendo fra i
singhiozzi: “Non dovevi farmi una cosa simile,
perchè mi hai tenuto nascosto il fatto di tua figlia?!”
“Di che?! - dice Picasso sorpreso – Mia figlia?!”
“Non mentire, ti prego, so già tutto!”
“Ma di cosa sai tutto?”
Ed ecco che prende la parola l’impiccione: “Pablo, è
inutile che tentiamo di nasconderlo, stiamo parlando
di tua figlia Geltrude!”
“Figlia Geltrude?!” - chiede stupido Pablo.
“Ma sì, scusami ma ho dovuto dire la verità ad
Ametille, ti ha visto che la sbaciucchiavi da questa
finestra, là di fronte, nell’appartamento al terzo
piano!”
Picasso balbetta impacciato ma cerca di stare al gioco
e subito, a sua volta, improvvisa: “Sì, hai ragione,
non volevo che tu venissi a sapere di quest’altra mia
figlia, anche perchè è una cosa che mi sconvolge ogni
volta...”
“Perché ti sconvolge?!”
“Perchè la poverina è sorda...”
“Sorda?!”
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“Sì sorda e muta. Ed è così penoso il comunicare a
gesti con lei davanti ad estranei!”
“Ah io sarei un’estranea?!”
“Sì insomma... non sei sua parente stretta, non
sapresti cosa dire... dal momento che non ti può
sentire!”.
“E tu scusa come fai a comunicare con lei?”.
“Ma io ho imparato l’alfabeto dei gesti, il linguaggio
dei segni insomma...”
“Oh, davvero?! E da quando conosci questo
linguaggio?”.
“Da sempre, io avevo un fratello sordomuto...”.
“Oh che guaio!”.
“...quindi in casa si parlava tutti a gesti e articolando
la bocca senza far sortir parola...”.
“Non lo sapevo... non me ne avevi mai parlato!”.
“Le cose tristi di una famiglia è meglio non metterle
in giro!”
Proprio nel momento in cui si sente nella stanza
appresso venire il gemito di un bimbo, (TAV. 580)
Ametille esclama: “Oh mio dio, il mio piccolo, mi
ero dimenticata della poppata!” e rapida se ne va dal
bambino. (583 da rifare)
Si spalanca la porta d’ingresso e fa la sua apparizione
un personaggio inatteso, è il gallerista di Picasso.
“Pablo, cosa sta succedendo?”
“Niente, perché?”
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“Sono stato nell’appartamento qui di fronte, che ti
avevo prestato, e ho trovato una ragazzina seminuda
in lacrime, disperata che gridava: ‘Pablo mi ha
lasciata qui da sola, senza neanche darmi una
spiegazione!”
“Disperata?!” dice Pablo.
L’impiccione a ‘sto punto entra di nuovo in gioco,
afferra le mani di Jacques Benièrs il gallerista,
spostando a lato Picasso e sibilandogli: “Lascia
parlare me!”
Quindi riprende: “Caro Jacques, ti devo dare una
notizia molto seria, Pablo ne ha combinata una delle
sue, bisogna salvarlo: ha messo incinta una
minorenne!”
“E’ quella che io ho incontrato poco fa
nell’appartamento?!”
“Sì, è lei!”
“Mio dio! – esclama davvero preoccupato il gallerista
– Cosa succede adesso? Cosa si può fare?”
“Devi stare al gioco... quella figliola per tutti deve
essere la figlia di Pablo”
“La figlia? Avuta con chi?”
“Con la sua prima donna, Marie-Thérèse, sedici anni
fa”
“Ma lei, la ragazzina, sa di dover recitare la parte
della figlia?”
“No, non ancora, oltretutto è difficile comunicare con
lei, dal momento che è sordomuta”
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“Davvero?! Non mi sembrava che lo fosse. Quando
l’ho incontrata gridava, parlava con una tale
aggressività...”
“Sì, ogni tanto torna in sè, ma dura poco”
In quel momento rientra nella stanza Ametille, (TAV.
585) l’attrice, che tiene il bimbo in braccio e lo
allatta. Subito si rivolge a Jacques Benièrs: “Ma tu,
Jacques, lo sapevi che Pablo ha una figlia di
diciassette anni?”
“Come no?!” (Lui indugia un poco)
Pablo entra in battuta e esclama: “Ma certo che lo sa,
le ha fatto anche da padrino al battesimo!”
“E sai anche che è sordomuta?”
“Certo che lo sa!”
“Lascia parlare lui per favore!”
“Sì, sì, lo so, so tutto della sordomuta...”
E l’attrice di rimando: “E sai anche che è incinta?”
“E’ incinta?! No, questo non lo sapevo, non me l’ha
detto... sai, col fatto che parla a gesti...”
“Come non lo sapevi?! - lo blocca l’impiccione – ti
ho pur detto che aveva una relazione con un suo
amichetto...”.
“L’amichetto l’ha messa incinta?!”.
“Eh sì!”
“E chi è?!”
“E chi deve essere?! Un sordomuto come lei...”.
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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“Ah no, questa no! Questa poi è troppo!” esclama il
gallerista.
Il bambino piange di nuovo e la madre dondolandolo:
“Sì, sì, sì, scusami piccolo caro... aspetta che ti do
l’altro seno... prendi, prendi. Aspettatemi un attimo,
devo cambiarlo, torno subito!”
Esce l’attrice madre e dalla porta principale entra la
ragazzina, sempre seminuda, che si copre a malapena
con uno scialle. (RIPRESA SU DARIO?)
Picasso la blocca e dice tutto teso: “Perchè sei qui?!
Ti ho detto che non dovevi mai salire in questa casa!”
“Mi dispiace ma io voglio che tutto sia messo in
chiaro! Voglio parlare con Ametille”
“Non puoi!” esclama l’impiccione.
“Perchè non posso?”
“Perchè sei sordomuta! A meno che non accetti di
parlare con gesti e facendoti intendere muovendo la
bocca senza proferir parola. E ricordati che tu non sei
l’amica di Pablo, ma sua figlia!”
“Io sono sua figlia?! Ma dico siete tutti impazziti?!”
L’attrice sta rientrando in scena. Pablo blocca la
giovane Geltrude. “State tutti al gioco per carità!”
Ametille scorge la ragazza coperta solo dallo scialle
ed esclama: “Sei la figlia di Pablo! (TAV. 590 SU
UN PROIETTORE – SULL’ALTRO 593) Oh che
piacere conoscerti! Peccato che non mi riesca di
comunicare con te!”
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(TAV. 595) E tutti quanti all’unisono cominciano a
muovere le mani, gesticolando e mimando
espressioni incomprensibili; come in una danza
ognuno sorpassa l’altro nella pantomima emettendo
suoni gutturali. Si ode il pianto del bambino che
sovrasta ogni chiacchiericcio. E’ il caos. Fine del
dramma.
Del suo modo di amare e di essere amato abbiamo
già lungamente trattato, fin troppo forse, ma val la
pena di accennare, seppur brevemente, ad un suo
comportamento nei riguardi di Jacqueline, l’ultima
delle sue mogli. (imm 655 – imm. 656)
Si erano sposati in segreto: racconta un suo amico
pittore che mentre Jacqueline e Pablo stavano
provando un passo di flamenco nello studio della loro
villa in Provenza (imm. 658) la radio diede la notizia
del loro matrimonio segreto. Picasso si levò urlando e
ridendo: “Oddio! Ci hanno scoperti! (ride) Che si fa
ora?! Si festeggia! Champagne prego!”. E così corse
a spalancare un frigorifero, ne cavò una bottiglia e a
gran velocità la stappò con l’uscita fragorosa del
tappo che raggiunse il soffitto schizzando qua e là
come in un gioco di ping-pong. Jacqueline aveva già
procurato i bicchieri e Picasso versava lo spumante
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annaffiando tutti gli amici che accorrevano per quel
fracasso!
“Evviva gli sposi!” - esclamò la signora.
Jacqueline si tolse velocemente l’abito (imm.660) e
rimase coperta solo della sua lunga sottoveste bianca,
molto trasparente, proprio da novella sposa!
“Evviva la regina!” - brindò Picasso.
Il maestro aveva già superato i settant’anni e di colpo
si scopriva completamente legato a questa donna
come un acrobata retto per i piedi dalle sole mani di
Jacqueline che teneva in quel momento in gioco tutta
la sua vita.
Picasso non aveva mai provato una sensazione
simile. (imm. 662) Riusciva a rimanere per ore
seduto o sdraiato accanto a lei a parlare e farsi
coccole. La forza di Jacqueline, oltre che nella
bellezza, stava nell’essere una donna di altissima
cultura e che buttava subito in grottesco ogni
situazione seriosa e magniloquente.
Può sembrare una facile retorica amorosa ma “con
Jacqueline – confidava Pablo Picasso – mi ritrovo
sempre privo di spazi e tempi vuoti. Ho perso perfino
l’interesse a corteggiare altre femmine e soprattutto
mi capita di non provare più la solita passione
incontenibile nel dipingere tutto quello che mi passa
per la testa... e vi assicuro che il mio cranio
assomiglia sempre più alla Gare du Nord all’ora di
punta!”. (RIPRESA SU DARIO)
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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“Quel pomeriggio ero stato a trovare Matisse nel suo
atelier sulla costa in Provenza e l’avevo sorpreso
intento a montare alcune grandi foto su un’ampia
tavola. Erano state eseguite da un famoso
documentarista subacqueo. Matisse, ritagliando e
incollando, ne aveva tratto una composizione di pesci
tropicali in un fondale di coralli. Mi apparve
un’immagine portentosa. ‘Ne farò un enorme dipinto!
- commentò Matisse – ma mi occorreranno parecchi
giorni di lavoro.’
“Tornai a casa - racconta Picasso - a Vauvenargues,
con quelle immagini che galleggiavano nel mio
cervello e nei miei occhi.”
Al mattino Pablo si svegliò che era da poco spuntato
il sole, si era d’estate. Jacqueline era andata a trovare
sua sorella ad Avignone. Sarebbe tornata la sera,
forse. Entrò in cucina e sul grande tavolo di pietra
bianca, presso il forno, vide gettati alla rinfusa
grappoli di pesci straordinari, (imm. 665) era
sicuramente la spesa del cuoco per il grande pranzo
del venerdì. C’era uno zattarone color arancio (è una
specie di branzino delle profondità), pesci azzurri di
grande dimensione che sbattevano ancora la coda
tentando di respirare e un mazzo di anguille, anche
loro ancor vive. Per concludere nel mezzo ci stava un
grosso pesce nero e blu con le branchie gialle.
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“Accidenti! – esclamò Picasso – Questo è un dono
stupendo della fortuna! Se mi do da fare riesco a
dipingere quella composizione di pesci prima che ci
riesca Matisse!”
Poi si guardò intorno e urlò: “Per dio! Ma non c’è
nessuno qua? Si lascia il pesce fresco ai quattro venti
senza ghiaccio?!” ma non ebbe alcuna risposta.
Andò nello studio al piano di sopra. Afferrò lo
scatolone dei colori e dei pennelli, si guardò intorno
alla ricerca di una tela grande ma non la trovò. C’era
qualche tavola ma non gli interessava, voleva una tela
di almeno un metro e mezzo per novanta. Scese
nell’atrio del salone, vide appeso al muro centrale il
grande ritratto di Jacqueline, (imm. 655) finalmente
una tela!, la staccò e con quella raggiunse di nuovo la
cucina. Stese sul tavolone colori e pennelli, quindi
appoggiò di sguincio il quadro con la stupenda faccia
di Jacqueline che pareva lo guardasse piena di
terrore.
Stese alcuni colori direttamente su un grande piatto,
quindi cominciò a dipingere coprendo qua e là il viso
della sua donna. (imm. 666 NUOVA TAVOLA DA
FARE PARTENDO DA 655 ), su uno schermo sull’altro imm.665) Il pesce arancio gli nascose gli
occhi, gli altri pesci cancellarono capelli, collo e
mani. Spuntarono pesci dipinti per tutta la tela e il
fondo del tavolo bianco ora si era trasformato in
azzurro.
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Si staccò di qualche metro per osservarlo meglio,
tornò, capovolse il quadro, lo aggiustò, stese un rosso
fosforescente lungo il ventre di un’anguilla.
“AHAH – rise – voglio vedere la faccia di Matisse
quando scoprirà che gli ho fregato l’idea!”
In quell’istante sentì la voce di Jacqueline che
entrava per il gran portone, rideva con delle sue
amiche. Picasso abbandonò il quadro sul gran tavolo
e scese incontro alla sua donna. Jacqueline stava nel
salone con le sue ospiti e diceva ad alta voce:
“Eppure era qui, sono sicura... chi ha spostato il mio
ritratto?!”( imm.667)
Picasso era entrato e si bloccò all’istante. (imm. 669)
“Non saprei” – disse sottotono.
E Jacqueline: “Volevo farlo vedere alle mie amiche.
Chi l’ha spostato?”
“Io - dichiarò deciso Picasso – me ne sono servito per
una natura morta splendida, ma non preoccuparti
oggi stesso ti rifarò il ritratto. Avevo proprio bisogno
immediato di una tela...” (imm.672)
“Cosa?! Hai dipinto sulla mia faccia?! Me l’hai
cancellata?!”
“Ma non ti preoccupare – ripeteva il maestro come un
ragazzino colto in fallo – mezz’ora e il tuo ritratto
sarà qui di nuovo, identico!”
“Noooooo – Jacqueline scoppiò in lacrime – non si
può fare una cosa del genere! Quelli erano i più begli
occhi che ho avuto, e anche il sorriso... è l’unica volta
PICASSO DESNUDO – TEATRO DAL VERME – 17 - 19 SETTEMBRE 2012
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che l’ho visto riprodotto così somigliante, nessuno mi
aveva né fotografata né dipinta così felice!”
Jacqueline esplose in un grido terrificante, come la
stessero per squarciare.
“Calma! – urlò a sua volta Picasso – si risolve subito,
vieni con me in cucina!” - e quindi disse al cuoco che
finalmente s’era fatto vivo: “Nel mio studio c’è una
grande bottiglia con dell’acquaragia, portala quaggiù!
Dopo un attimo Picasso con un grande pennello stava
stendendo acquaragia leggera mista ad olio sul
quadro dipinto di fresco con i pesci che come per
incanto si scioglievano e colavano sul tavolo grande.
Tutto il colore della natura morta si stava dissolvendo
e sotto si vedeva apparire come su una lastra
fotografica l’immagine di Jacqueline che cresceva di
tono e presenza attimo per attimo. Picasso con un
grande strofinaccio toglieva l’ultima pittura fresca,
quindi come un prestigiatore alla fine dell’esercizio
sollevava il ritratto della sua donna, lo sbatteva in
aria gridando: “Et le voilà, les jeux sont faits!”
(imm.675)
Jacqueline afferrò il dipinto e scoppiò in lacrime
ridendo. I due si abbracciarono. “Dio! – esclamò
Picasso – che rischio ho corso! Sono sicuro che per la
mia follia ho rischiato di essere non ucciso, ma
abbandonato come un cane lungo la superstrada
d’estate!”
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E, cosa mai vista al mondo, abbracciando Jacqueline
Picasso scoppiò in lacrime senza sapersi trattenere.
MUSICA
(copertina 1 – copertina 2)
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