Boezio e il De Institutione Musica

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Emanuele Stracchi
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Boezio e il De Institutione Musica
Tratti sul pensiero del “nume tutelare” della musica nel Medioevo
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C’è sempre una domanda basilare, riposta implicitamente tra le
pagine di un buon testo di storia della filosofia medievale. Per quale
motivo il filosofo Severino Boezio - nato da nobile famiglia a Roma
intorno al 476 - fu così importante per le generazioni successive? Perché
parlarne oggi? Il suo nome è uno dei più citati all’interno dei trattati
dell’Età di Mezzo, soprattutto per aver commentato Platone ed
Aristotele: ciò rende Boezio un pensatore vitale per i teorici medievali.
Tra le sue opere la più significativa è l’ultima, la Consolatio
Philosophiae, ma nella sua speculazione teorica Severino Boezio si
occupa anche di ars musica e getta le basi per l’estetica musicale
medievale. Scritto un secolo dopo il De musica libri sex di Agostino,
inerente la metrica del linguaggio, il De institutione musica è composto
da Boezio con lo scrupoloso intento di tradurre in latino il grande patrimonio della teoria musicale grecoromana: il trattato di cui stiamo parlando è l’unico pervenuto dalla tarda latinità.
Lo studioso Enrico Fubini ha affermato che se si scorrono i trattati musicali redatti lungo l’arco del
Medioevo si avverte un senso di iterazioni teoriche, nonostante tutti i mutamenti e i miglioramenti raggiunti,
poiché le definizioni riecheggiano le stesse del filosofo romano, preso come modello standard come una specie
di “nume tutelare della musicologia”. Il motivo di tale importanza è la fortunatissima suddivisione tripartita, con
la quale Boezio divide la musica in mundana, humana e instrumentalis: per il filosofo, né l’esecutore né il
compositore possono essere definiti veri “musici”, in quanto il primo è legato alla pura tecnica strumentale,
mentre il secondo perviene ai suoi risultati in virtù di alcune predisposizioni naturali. Soltanto chi il teorico può
essere considerato “vero musico”, secondo una definizione cara a Platone, in quanto non è distratto dalla prassi
esecutiva e non è indotto istintivamente al comporre. Il teorico, indagatore dei fenomeni, dispone di una totalità
di pensiero e ragione, conoscendo le regole matematiche che governano il mondo sonoro.
Il De Institutione è composto da cinque libri, ma la ricca trattazione è incompleta nell’ultimo libro; l’autore
scrive intorno al 500 ed espone le teorie classiche pitagoriche, quelle di Platone, di Aristosseno e di Tolomeo
discutendo la loro validità e plasmando un pensiero ibrido capace di unificare le tradizioni contrastanti, con lo
scopo principale di “tenere vivo, tra il V e il VI secolo dopo Cristo, lo spirito della romanità nei decenni in cui
l’Impero, declinato in Occidente, lasciava il posto alle nascenti monarchie romano-barbariche sui territori delle
antiche provincie”, come spiega lo studioso Massera. Meditare su problemi antichi: una condizione che il
filosofo appena venticinquenne ripropone a se stesso nel tentativo di dare contenuto a una materia molto
complessa. Finestra aperta verso la conoscenza delle dottrine greco-romane sull’armonia, questo saggio è il
manifesto col quale Boezio mostra un vivo e marcato sentimento verso la disciplina musicale.
Il De Institutione va conosciuto perché grazie ad esso tutta la sapienza teorico-musicale dell’antichità è stata
trasmessa all’Età di Mezzo e al Rinascimento, dando il principale oggetto di discussione e confronto sull’ars
musica. Il trattato si rivelerà fondamentale per lo sviluppo della musica corale, specialmente durante la rinascita
carolingia, come base speculativa per la creazione dell’octoechos, cioè i modi gregoriani, e di conseguenza per
la sistematizzazione della pratica vocale e dell’organizzazione dei canti dal IX secolo in poi. Studiarlo significa
avere in mano la chiave interpretativa di tantissima musica corale composta seguendo quelle basi teoriche.
Osservando la struttura generale dell’opera, il De Institutione è soprattutto un trattato di armonia paragonabile a
molti altri trattati dell’antichità classica. Cecilia Panti ha riassunto con notevole efficacia alcuni punti del
trattato. In quest’opera si stabilisce “che la musica è la scienza del numero relazionato al suono, e che la
consonanza, cioè la fusione armonica dei suoni, è l’oggetto indagato nella scienza musicale. Il numero è infatti
inteso come il principio fondante dell’organizzazione razionale del mondo, e la conoscenza scientifica è tale se
la mente riesce a cogliere gli aspetti numerici che stanno alla base del manifestarsi delle cose sensibili. Dunque
anche il mondo dei suoni, nella sua pluralità e diversità di espressioni, può essere indagato scientificamente.”
Inoltre, Boezio si riferisce alla filosofia platonica, ponendo in background la dottrina etico-pedagogica di
Platone. La musica è un dato connaturato alla natura dell’uomo dal momento che gli esseri hanno la facoltà
percettiva: l’uomo percepisce la musica con i sensi, può ragionarci sopra in maniera razionale e per questo la
musica può essere definita come una scienza. Boezio è convinto del grande potere educativo della musica e si
lascia ispirare . Quindi, “il fenomeno fisico del suono e della musica è solo un aspetto di ciò che la musica è
realmente. Musica è infatti la totalità dei fenomeni naturali nei quali sono presenti ordine e armonia, a
cominciare dall’espressione più alta di tale ordine, cioè il moto regolare dei cieli.” Quando Boezio sostiene che
“tres esse musicas”, afferma che la musica del cosmo (mundana), dell’uomo (humana) e degli strumenti
(instrumentalis), cioè tre diverse realtà, sono aggregate dal grande potere dell’armonia. La musica humana è
l’armonia dell’anima e del corpo, riflesso dell’armonia cosmica, secondo le dottrine esposte da Platone.
“Armonia” è una parola chiave. Per il filosofo romano la musica dei corpi celesti che viene indagata dal teorico
(mundana) presenta un rapporto armonico tra i suoni corrispondente all’ordine razionale che determina il moto
dei pianeti e anche la realtà terrena presenta armonia fra le sue componenti, poiché i quattro elementi che
formano ogni sostanza materiale sono in equilibrio e in proporzione.
Il continuo richiamo ai principi morali si ricollega alla questione che la modalità gregoriana - come illustra
un altro studioso, Michele Chiaramida - si è configurata come ricerca sul potere “emozionante” dei modi
gregoriani, trovando naturale origine nell’antichità greco-romana, secondo la triangolazione cronologica
Pitagora-Platone-Boezio. La concezione etico-musicale nell’Età di Mezzo è caratterizzata dal sapere greco
filtrato attraverso il pensiero dei Padri della Chiesa e l’attributo di scientia alla disciplina musicale deriva dal
riferimento all’autorità di pensatori indiscussi. I teorici dell’età carolingia partirono dalle premesse culturali
gettate da Boezio e credettero ad ogni sua singola parola. Ma l’opera di Severino Boezio non è stata scevra di
errori. Oltre all’attacco rivolto ad Aristosseno, rivelatosi poi erroneo dalle indagini della moderna fisica acustica,
a causa delle ambiguità terminologiche nel De institutione ci sono stati purtroppo numerosi abbagli nell’uso dei
significati concettuali, al momento della transizione dal sistema greco a quello ecclesiastico degli otto modi. Nel
saggio Opus Alienum di Chiaramida si illustrano le inesattezze e i fraintendimenti: a titolo d’esempio, il filosofo
romano fa uso del termine latino modus accanto a quello greco tonus per indicare indifferentemente le ottave di
trasposizione; i medievali applicarono questa struttura alle harmoniæ, convinti di ricostruire meticolosamente
gli antichi modi greci. In realtà, il sistema fu completamente distorto.
Il peso di un pensatore come Boezio in ogni caso è arrivato quasi inalterato sino a noi. Perfino il compositore
Luciano Berio lo ricorda nel suo brillante testo intitolato Un ricordo al futuro, il saggio tratto dalle Lezioni
americane tenute alla Harvard negli anni Novanta. All’interno del capitolo Formazioni il Maestro cita
apertamente il filosofo romano, a proposito del problema sul Testo musicale, in relazione alla pratica e alla
teoria compositiva. Per Berio, il filosofo concepisce la musica come un testo “silenzioso” e come uno dei
principali strumenti della speculazione filosofica: la musica è “armonica” perché governata dai numeri e le leggi
dell’universo posseggono anch’esse una natura squisitamente musicale. La musica, strumento di conoscenza, è
il sentiero più sicuro per giungere alle corde dell’anima più profonda poiché si passa attraverso l’udito,
orientando la condotta umana. Berio intende sottolineare questo valore morale, il sostrato fondante la musica è
un qualcosa che riflette l’armonia dell’universo, l’armonia dell’anima, l’armonia delle voci e degli strumenti. Il
compositore di fatto loda l’intento di Boezio nel voler creare una dimensione teoretica in parallelo ai dati
empirici della musica. Assimilare “in anticipo” l’esperienza sonora, significa condizionarne l’elaborazione e lo
sviluppo. Una prospettiva moderna e futuristica, che ci fa cogliere l’importanza e la necessità dello studio
analitico di un autore latino come Severino Boezio ancora nei nostri tempi postmoderni.
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