macbeth il 18 brumaio di un bonaparte qualsiasi 1 Programma di sala Macbeth Da W. Shakespeare Versione di Nevio Gàmbula Personaggi e interpreti: MACBETH - Servitore dello stato, assassino e futuro Re di Scozia - Nevio Gàmbula | LADY MACBETH - Tentatrice mossa dal desiderio del potere - Cristina Fasoli | LE STREGHE - O della felicità dei corpi, al di là di ogni convenzione - Ernestina Poiega, Marina Zorzi, Sara Maccari | DUNCAN - Re di Scozia, garante delle convenzioni - Massimo Benettoni | BANQUO - Amico di Macbeth e fantasma dell’onestà - Leo Franceschetti | MACDUFF - Colui che agisce nell’ombra Francesco Maistri | MALCOM - Figlio di Duncan, ucciderà Macbeth prendendone il posto - Leo Franceschetti | CAPITANO - Uno dei tanti caduti per lo stato - Francesco Maistri | PORTIERE - Servitore fedele di ogni Re - Enrico Pasetto | LO SPETTRO DI CARLO MARX - Uno spettro si aggira per la scena - Federica Comper | TECNICO PARLANTE - Marco Cristani. Debutto: giugno 2002, Verona. È quello della crudeltà l’orizzonte nel quale questo nostro Macbeth vuole operare - una crudeltà, per dirla con Antonin Artaud, che ci renda guardinghi nei confronti del teatro e della vita. Con quel tanto di ironia - o di sarcasmo, se si preferisce - che ci impedisca di chiuderci in una serietà sterile ed abbracciare una dimensione ludica dello stare in scena. Ma la crudeltà è anche quella delle condizioni che spingono “il prode Macbeth” a farsi assassino per amor del potere (e dei 2 privilegi che questo comporta); così come è anche la base di ogni agire umano degradato alla ricerca di una posizione “che conta” ed incapace di rendersi conto quanto ciò comporti costringere altri a “vivere nell’oppressione”. Vogliamo anche, con questo nostro esperimento, stuzzicare la nostra “immaginazione aberrante”, facendola stridere con la logica del ragionamento rigoroso, al fine, invero un po’ presuntuoso, o per lo meno utopico, di liberare la comunicazione (il teatro è anche comunicazione) dai lacci della convenienza economica; e il nostro ricorrere ad un atteggiamento ludico, allora, che sfocia nella manipolazione per fini di divertimento dei codici e delle forme d’uso in teatro, si mischia con una sorta di atteggiamento aggressivo: “giocare è combattere”, diceva Wittegenstein. Ci interessa, insomma, con questo nostro Macbeth, lasciare affiorare una preoccupazione di ordine “politico”, da intendersi non già nel senso professionale del termine, semmai in un senso generalmente antropologico, di discorso pubblico, collettivo e civile. *** Il teatro è sempre scritto sulla sabbia - disse Peter Brook; e come ogni creatura di sabbia è destinato a perdersi: basta un colpo di vento, un passo distratto, una manata di bimbo. Ci interessa sperimentare la forza di quell'attimo in cui il teatro si incide sulla sabbia, quel momento, cioè, poco prima della dispersione, dove è ancora possibile, per lo spettatore-passante, accogliere un abbraccio o condividere una meraviglia. Ci interessa sperimentare la possibilità di creare un teatro che agisca come frizione: capace di generare energia umana, piacere, eccitazione, ma anche contrasto: dunque un teatro insieme aspro e vitale, scabro e incisivo, graffiante. Un teatro, quello che vogliamo sperimentare, 3 che riporti al centro della scena il corpo dell'attore, capace di evocare, con la vitalità del ritmo e il ribollire del senso, una carnalità priva di attenuazioni; capace, insomma, di lanciare segnali allarmanti insieme alla grazia e alla gioia di scoprire nuove visioni. Un teatro della gioia, ma anche dello spavento: la gioia di inventare sul silenzio e lo spavento per quanto di marcio si impone con brutalità nella sostanza del teatro (perché il teatro non può mai porsi fuori dal mondo). Un teatro che sia capace di esaltare, pur nella precarietà delle condizioni, il suo ruolo sociale liberatorio. 4 Rassegna stampa Musica e irrisione del potere di Raffaello Canteri Nevio Gàmbula ha presentato all’inizio di novembre al Teatro di Pedemonte il suo nuovo spettacolo: Macbeth. Il giovane attore e regista sardo che da qualche anno vive in Valpolicella e che l’anno scorso mi aveva molto favorevolmente impressionato con la proposta di un assolo – Calibano -, quest’anno si è presentato con una Compagnia di dieci attori alla loro prima esperienza teatrale nel celebre testo shakespeariano. Si entra in un teatro in cui sono state tolte le poltrone e al loro posto è stata imbandita una tavolata a ferro di cavallo. Tutti gli spettatori prendono posto sui lati, mentre gli attori recitano nel mezzo e sul palco. La vicenda: il re di Scozia riceve la notizia dei successi in battaglia di Macbeth, Macbeth ode le profezie delle streghe sul suo futuro, ne mette a conoscenza la moglie e, dopo un banchetto cui partecipano gli spettatori, lo uccide. Poi uccide Banquo, lady Macbeth muore, viene sconfitto… Gàmbula è una persona di grande rigore intellettuale oltre che teatrale. Presentando la messinscena aveva scritto esattamente ciò che mi sento ora di sottoscrivere: “…Assisterete ad uno spettacolo claudicante, zoppicante, sbilenco, fuori squadra, ma vitalissimo, dove dieci attori evocheranno, grazie all’utilizzo di un paesaggio di sonorità vocali teso e graffiante, un teatro non convenzionale, che si costituisce non per piacere a tutti i costi, ma per la necessità di stupire”. Non mi resta che sottolineare alcuni passaggi. Un teatro non convenzionale che si costituisce per la necessità di stupire. Questo obiettivo è stato raggiunto: operando sul testo un ardito 5 “taglieggiamento”, in maniera da ridurre la trama alla scheletrica rappresentazione della sua essenzialità sanguinolenta, violenta, folle, una sorta di erotismo perverso del potere, di orgasmo della sopraffazione; cercando per gli attori il gesto, la musica, l’atto che meglio evocasse lo stato dell’anima, in modo assolutamente indipendente dai riti della gestualità convenzionale; coinvolgendo gli spettatori nel banchetto del sangue e nella sua irrisione. Sonorità vocali. Non era facile, dato che Gàmbula ha lavorato con attori “improvvisati”. Mi ha detto che ci sono voluti quattro mesi di prove prima di passare alla scelta dei personaggi che ognuno avrebbe interpretato. Di fatto ha cercato di cucire le battute sulla misura vocale degli attori, realizzando quindi uno scontro di tonalità differenti - viscerali, gridate, sussurrate, cantate, marzialmente scandite, arlecchinescamente buttate lì – che evocano, ancora una volta evocano, l’idea di un concerto primitivo e selvaggio. Cage che registra i suoni della natura e ne fa musica. Sulla questione della musica voglio ritornare aprendo una piccola parentesi. Nevio Gàmbula ha annunciato per l’11 gennaio 2003 la presentazione di un altro spettacolo, “Hamletmascine” di Heiner Muller. Sono andato a rileggermi il testo così come era stato presentato negli anni Ottanta da “I Magazzini”. In un breve saggio il regista Federico Tiezzi cita un testo di Copeau per definire il proprio approccio al teatro: “…Ma è proprio l’essenza del dramma, all’origine, essere volta a volta parola e canto, poesia e azione, colore e danza, e per dirla con una sola parola, come facevano i Greci: musica. Ritrovare l’essenza del dramma è ritrovare questa musica…” Sono convinto che Gàmbula sottoscriverebbe queste parole di Copeau. Torno in argomento. Claudicante, fuori squadra. Se beffardamente lo prendo alla lettera, posso pensare all’evidente distonia tra il complesso degli attori 6 improvvisati e la disciplinata armonia dei gesti e della voce dello stesso regista-attore nella parte di Macbeth, posso pensare a certe coralità zoppicanti appunto, a qualche caduta di ritmo… Ma credo che l’affermazione vada presa in senso più ampio: come sconquassato, zoppicante tentativo di irridere il potere. “Non sono che un comico, ma mi approprio del diritto alla denuncia e alla ribellione”. Vitalissimo. Sì. Una vitalità che si comunica agli spettatori, ma che traspare anche dall’entusiasmo degli attori, che non sono andati sul palco per “dire” il teatro – come spesso capita – ma per farlo davvero, come capita raramente e felicemente. Il Dibattito - Idee per Verona, numero 8, novembre 2002 A cena dai Macbeth di Barbara Pianca Se uno è un attore professionista affermato e conosciuto, chi glielo fa fare di prendersi cura di un gruppo di attori non professionisti fino a farli recitare con lui! Eppure Nevio Gambula, attore professionista recentemente trasferitosi a Verona, si è messo in gioco senza timore. Ha chiamato un gruppo non professionista -abituato a recitare, in compagnie amatoriali, i soliti intramontabili pezzi dialettali del nostro teatro tradizionale- e li ha coinvolti in un percorso di formazione. Per quattro mesi Nevio ha insegnato loro le tecniche attoriali e li ha scaldati a tal punto che loro stessi gli hanno poi chiesto di mettere in piedi qualcosa insieme. E’ così che è nato il Macbeth di Nevio Gambula ( che ha riscritto il testo, ne è il regista e l’attore principale), uno spettacolo che la compagnia “Le trame di Calibano” porta in giro ormai da due anni continuando a riscuotere grande successo. Nevio ha riscritto 7 Shakespeare rinunciando ad alcuni dei moltissimi personaggi originari e dando ampio spazio alle streghe che restano in scena tutto il tempo e a tratti diventano le narratrici della storia. Soprattutto, la reinterpretazione e trasposizione dell’originale gioca su una nuova proposta di gestione degli spazi scenici. Ce lo spiega lo stesso Gambula: “Ho voluto modificare lo spazio teatrale, rompendo la rigidità del palcoscenico all’italiana che si basa sulla divisione tra palcoscenico e platea. Nel nostro spettacolo invitiamo gli spettatori al banchetto di Macbeth. Tutti si siedono lungo la tavolata sorseggiando buon vino e mangiando formaggi e salame della Valpolicella. Mettiamo anche frutta di stagione , quindi adesso è toccato alle castagne.” Il matrimonio tra cibo e teatro sta diventando di gran voga in quest’ultimo anno, e negli spettacoli sperimentali accade che qualche attore scenda tra il pubblico a fargli assaggiare primizie esotiche. “Ma la nostra idea risale a due anni fa, quando ancora nessuno ci aveva pensato. E poi per noi il cibo ha un significato allegorico. E’ un mezzo per far sentire il pubblico parte della corte.” E se all’inizio anche il pubblico veronese (per lo spettacolo messo in scena sui colli di Pedemonte il week-wnd passato) si è mostrato imbarazzato, dopo le esortazioni esplicite degli attori, dimenticano ogni timidezza ha iniziato a rimpinzarsi. Fino all’ultima scena, la gente attorno al tavolo ascolta, guarda, s’appassiona e .. mastica! “Volevo mutare la percezione dello spettatore circondandolo completamente di suoni. E siccome ci teniamo e ci divertiamo a scaldare il pubblico, quando loro al primo banchetto iniziano a mangiare ci prolunghiamo quanto serve in una pantomima volgare e dissacrante. Simuliamo, ma senza mai nemmeno toccarci, un’orgia e ruttiamo, ci lanciamo ossa di oliva.” Il Macbeth di Gambula stupisce anche per le scelte di 8 vocalizzazione spinta. I personaggi esasperano la dizione ed escono dai suoi schemi classici. Ma la trama rimane. Shakespeare non è stato tradito, è stato solo ripercorso, riproposto. Anche il Macbeth che ha calcato le scene del Teatro di Pedemonte a Verona è lo scellerato che lotta per il potere, per quel denaro che simbolicamente è rimasto dall’inizio alla fine sulla scena, dentro ad una sacca portata da un soldato al re. Nevio Gambula è orgoglioso del suo lavoro e dei progressi della sua ciurma. “Alcuni degli attori si sono rivelati bravissimi. L’attrice che recita mia moglie (perché Nevio è Macbeth nell’opera che lui dirige) è da sballo, eppure prima di questa prova aveva fatto solo la comparsa, aveva detto solo una piccola frase di fronte al pubblico.” E Marina Zorzi, la strega verde, è talmente brava che assieme a qualche altro seguirà Nevio anche nei suoi prossimi progetti. IN CITTA’ (Mestre), Dicembre 2002 Macbeth in salsa bangia-e-bevi di Eliana A. Marchese Chissà cosa avrebbe detto Shakespeare sentendo“Il carrozzone” come colonna sonora per il suo “Macbeth”. Il pezzo di Renato Zero ha scandito l’inizio e la fine del dramma messo in scena domenica sera dalla compagnia sperimentale “Le trame di Calibano”, della Valpolicella. Lo spettacolo (titolo completo: “Macbeth. Il 18 brumaio di un Bonaparte qualsiasi”) si è svolto nella Sala Polifunzionale dell’Opera Universitaria. Una rilettura basata soprattutto sulla mimica dei volti e del corpo, esasperata attraverso un vistoso trucco nero, anche intorno agli occhi dei personaggi maschili. Interpretazione esasperata, fatta di espressioni 9 inquietanti, di urla improvvise, di sguardi allucinati, di movimenti folli. Minimi i costumi: non veri travestimenti, ma accenni; tuniche lunghe per i personaggi femminili, corona e mantello per re Duncan, jeans e gilet per Macbeth. Il protagonista è stato interpretato da Nevio Gambula: ideatore, coordinatore e ottimo attore; tanto da creare contrasto, in alcune scene, con la minore ispirazione di altri interpreti meno calati nella parte. Originale la scelta dell’allestimento: il dramma non si è svolto sul palcoscenico (dove invece si trovavano le sei voci del coro), ma per terra. A fare da cornice, una lunga tavola imbandita attorno alla quale si sono seduti gli spettatori. Il pubblico è stato invitato ad un vero banchetto (con affettati, formaggio e un vino niente male) diventando così parte integrante della scena. Obiettivo dichiarato dello spettacolo era quello di stupire: e lo scopo è stato senz’altro raggiunto. Da notare alcune trovate interessanti: l’ingresso del pubblico, fatto entrare a spettacolo già iniziato. La canzone di Renato Zero, di cui prima si parlava. O Re Duncan che sputa sulla corona per pulirla con il mantello. Spettacolo non convenzionale, graffiante, coinvolgente. Era la seconda proposta (dopo lo splendido monologo “Natura morta in un fosso”) del festival “Officine dei Teatri”; la rassegna prosegue fino a giugno. Ad aprile sono previsti eventi presso la Galleria civica di arte contemporanea, la Sala polifunzionale dell’Opera universitaria ed il Teatro sperimentale, incontri, conferenze e mostre con artisti e docenti. In particolare, il 15 aprile un laboratorio/spettacolo sul tema della memoria, sotto la guida del prof. Marco Dallari, Università di Trento. L’Adige di Trento, Martedì 26 marzo 2002 10