I prospettografi: dalla storia alla scuola1 Michela Maschietto Dipartimento di Matematica – Università di Modena e Reggio Emilia Questo articolo è centrato sulla prospettiva dal punto di vista storico e didattico. In una prima parte, si presentano alcuni elementi del percorso storico che ha portato all’affermarsi delle regole della prospettiva e ai principi della geometria proiettiva mediante lo studio e l’evoluzione degli strumenti, i prospettografi, per il disegno in prospettiva. Parecchi strumenti sono stati ricostruiti ed esposti nella mostra Perspectiva Artificialis; alcuni sono riportati in questo articolo. Uno di questi strumenti, simile al vetro di Dürer, è stato poi usato in un esperimento didattico nella scuola elementare con l’obiettivo di introdurre il modello albertiano di piramide visiva. Le fasi fondamentali di questo esperimento saranno illustrate e analizzate nella seconda parte. Si mostrerà in particolare come l’introduzione e l’uso del prospettografo permette l’emergere e il consolidamento dei significati matematici. Introduzione La prospettiva e i primi elementi di geometria proiettiva possono essere introdotti in modi diversi e a livelli scolastici diversi. In questo articolo, si presentano due modi per avviare alla prospettiva. Il primo modo è frutto dello studio delle origini e dello sviluppo della prospettiva. Il filo conduttore è quello degli strumenti, i prospettografi, che hanno caratterizzato il percorso storico. Questi strumenti sono stati ricostruiti con finalità didattica dal gruppo di Modena per avviare appunto un discorso storico. Presenteremo alcuni di questi prospettografi nella prima parte dell’articolo. I prospettografi trovano ‘naturale’ collocazione in un ambiente ampio, come ad esempio una mostra, aperta alle visite delle classi. Ma la situazione può essere rovesciata: non più una collezione di strumenti ma l’esplorazione di uno o due oggetti, non più un grande spazio ma lo spazio della classe. Il problema didattico è allora quello di capire quali strumenti introdurre in classe, quale lavoro con essi e con quale gestione, quale concettualizzazione per gli allievi. Questo porta al secondo modo d’introdurre la prospettiva. Alcune fasi di un esperimento didattico condotto nella scuola elementare sono presentate nella seconda parte. I prospettografi nella storia In ogni epoca, la rappresentazione dello spazio mediante disegni su superfici piane o curve oppure mediante apparati tridimensionali presenta aspetti complessi e contradditori. La prospettiva di cui ci siamo occupati, chiamata artificiale in contrapposizione alla prospettiva naturale o teoria della visione, ebbe origine nel Quattrocento e si sviluppò pienamente nei due secoli successivi. Così la definiscono Alberti (De Pictura, 1435)2: pittura non è altro che intersecazione della piramide visiva, seconda data distanza, posto il centro e costituiti i lumi, in una certa superficie con linee e colori artificiosamente rappresentata 1 Questo contributo presenta parte di una ricerca in didattica della matematica condotta in collaborazione con Maria G. Bartolini Bussi, Maria Alessandra Mariotti, Franca Ferri, nell’ambito del progetto PRIN_COFIN 03 2003011072. La parte storica è basata sul catalogo virtuale della mostra Perspectiva Artificialis, realizzato da Maria G. Bartolini Bussi, Michela Maschietto, Associazione Macchine Matematiche. http://www.mmlab.unimore.it 2 Alberti Leon Battista (1535). De Pictura. e Leonardo da Vinci3: prospettiva non è altro che vedere un sito dietro un vetro piano e ben trasparente, sulla superficie del quale siano segnate tutte le cose che gli stanno dietro: le quali si possono condurre per piramidi al punto dell’occhio ed esse piramidi si tagliano su detto vetro. La nascita della prospettiva artificiale fu legata da una parte ad una profonda trasformazione nel modo di considerare lo spazio (da “spazio di corpi”, a “luogo che esiste prima dei corpi che stanno in esso, e perciò nel disegno deve essere definito per primo”), dall’altra ai problemi pratici sorti durante l’attività concreta di pittori, scenografi, intarsiatori, architetti, ecc. La trasformazione favorita dello sviluppo della prospettiva artificiale segnò il passaggio dalla cultura medievale a quella rinascimentale. Nel suo sviluppo la prospettiva artificiale si presentò come intreccio indissolubile di riflessioni rigorose e di pratiche empiriche: vi hanno contribuito non solo pittori, scenografi, intarsiatori, ma anche ingegneri, geografi, militari. Le prime “macchine per disegnare” fecero la loro apparizione durante il XV secolo: esse sfruttavano non solo le precedenti e numerose sperimentazioni sulle ombre e sulla propagazione della luce, ma anche le conoscenze acquisite nell’uso di svariate tecniche “per misurare con la vista” (con l’uso di strumenti come, ad esempio, il quadrante geometrico o il bastone di Giacobbe). Gli strumenti prospettici inizialmente incorporavano in modo diretto la definizione di pittura di Alberti sopra riportata, che ha come scopo la degradazione dell’oggetto sul quadro. La base della piramide è là descritta come una finestra: dove io debbo dipingere scrivo uno quadrangolo di retti angoli quanto grande io voglio, il quale reputo essere una finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto. La finestra (il vetro), su cui si disegna per trasparenza l’immagine dell’oggetto (l’oggetto degradato), incorpora in modo diretto l’idea di intersecazione. Più oltre, Alberti introduceva uno strumento (velo) che consentiva di rilevare punto per punto le forme da mettere in prospettiva disegnandole non direttamente sul velo ma su un foglio quadrettato. I prospettografi si caratterizzarono inizialmente soprattutto come strumenti dimostrativi per illustrare i principi base della prospettiva centrale. Testimoniavano il raggiungimento di una tappa fondamentale nell’elaborazione di una teoria geometrica della pittura. Malgrado qualche diffidenza (come quella espressa da Leonardo nel Trattato della Pittura), queste macchine hanno giocato un ruolo importante anche nella produzione di opere d’arte. “Lo strumento prospettico per eccellenza”, descritto per la prima volta da Dürer4 nella sua Geometria insieme al vetro e alla griglia (quest’ultima aveva probabilmente tratto origine dall’attività dei cartografi) e perfezionato in seguito da Danti, “si può considerare lo sportello, che per la prima volta traduce meccanicamente tutti i parametri della costruzione prospettica: l’occhio che è un chiodo, il raggio visivo che è un filo, e il quadro che è un piano descritto dall'intersezione di due fili all'interno di un telaio”5. Fra i motivi dell’enorme fortuna riscossa dai prospettografi vi era senza dubbio il fatto che le regole geometriche su cui si basava la realizzazione di uno scorcio (per esempio, la “costruzione legittima” o quella che utilizza il “punto di distanza”) risultavano di difficile impiego quando il soggetto da ritrarre si presentava complesso. Nel caso di paesaggi, 3 Leonardo da Vinci (circa 1490). Trattato della Pittura. Dürer A. (1525). Underweysung der Messung mit Zirkel und Richtscheit, Nuremberg (Géométrie, traduzione francese a cura di J. Peiffer, Paris: Seuil, 1995). 5 Camerota, F. (2002). Nel segno di Masaccio. Firenze: Giunti. 4 animali, figure umane o corpi con superfici curve, tali regole imponevano di tracciare una gran quantità di “linee morte”; si aumentavano così i tempi di esecuzione e si sporcava eccessivamente il quadro. Nel loro complesso, i prospettografi (impiegati anche in astronomia, nell’arte militare e nei rilevamenti topografici) esemplificano assai bene l’integrazione tra geometria, ottica e strumentazione esatta, l’accordo tra ragionamenti astratti e abilità pratica che furono caratteristiche importanti della rivoluzione scientifica. Non rispondevano soltanto ad esigenze pratiche, ma esaltavano l'importanza delle proporzioni e della matematica nel mondo naturale, inserendosi in una visione organica e unitaria del cosmo fondata appunto sulla geometria. Inoltre, contribuirono a configurare nuovi spazi per il pensiero matematico dando rappresentazioni concrete dell’infinito (con i “punti di concorso” e la “linea dell'orizzonte”), legate agli elementi impropri del piano. Lo stretto rapporto tra ricerca teorica e attività pratica (fondato inizialmente sull’interpretazione della prospettiva lineare come fondamento geometrico dell’arte) ebbe momenti di crisi che portarono alla separazione tra scienziati e sperimentatori. Il processo storico portò gradualmente verso l’automatizzazione delle operazioni prospettiche (limitata a quella parte della pittura che Piero della Francesca chiamava “disegno”). All’inizio del XVII secolo, le invenzioni di Cigoli e di Scheiner definirono ormai “i tipi principali di strumenti automatici per la prospettiva. Tutte le successive macchine per scorciare possono essere poste più o meno direttamente in relazione con queste due”6. Dopo la metà del XVII secolo, i prospettografi iniziarono a perdere d’interesse per gli artisti e ad essere sostituiti dalle camere oscure. Nei secoli XVII e XVIII l’attività degli sperimentatori riservò spazi sempre più ampi agli artifici, alle applicazioni bizzarre e curiose, tra cui anamorfosi, scenografia, raffigurazioni illusionistiche. Le opere a stampa sulla prospettiva comparvero abbastanza tardi in Italia (verso la metà del Cinquecento) e presentavano soprattutto consolidate pratiche di bottega, che avevano così la meglio sui nuovi metodi messi a punto dai geometri. Inoltre alcuni scienziati non riuscirono a raggiungere, nelle figurazioni esemplificative inserite nelle loro opere, il livello qualitativo e la capacità d’espressione degli incisori che illustravano i testi per un uso immediato. Dopo i testi classici di Leon Battista Alberti (De Pictura, 1435) e di Piero della Francesca (De Prospectiva Pingendi, 1472-1475 circa), si assistette ad una vasta produzione di trattati, suddivisi tra testi di tipo pratico (scritti da artisti con simpatie per la scienza, come Dürer) e testi più teorici e difficili, inaccessibili agli artisti e agli artigiani di bottega (come quelli di Commandino, Benedetti, Guidubaldo del Monte). Un testo equilibrato è quello nato dalla collaborazione ‘a distanza nel tempo’ tra Barozzi (architetto) e Danti (cartografo e matematico), Commentarji su Le due regole della Prospettiva Pratica di M° Jacomo Barozzi da Vignola (ed. Zannetti, 1583), redatto dallo stesso Danti. I prospettografi a cui sopra si accennava sono stati da noi ricostruiti sulla base delle indicazioni riportate nei trattati di prospettiva e di geometria. Nel prossimo paragrafo, ci soffermeremo su alcuni di questi strumenti. Alcuni prospettografi del Laboratorio delle Macchine Matematiche I modelli che saranno presentati appartengono alle collezione Perspectiva Artificialis del Laboratorio delle Macchine Matematiche7 del Dipartimento di Matematica dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Questi strumenti, così come quelli della collezione Theatrum Machinarum, sono stati ricostruiti con finalità didattica per avviare un discorso storico sulla 6 7 Kemp, M. (1994). La scienza dell’arte, Giunti. Sito web: http://www.mmlab.unimore.it prospettiva ed introdurre allo studio matematico delle proiezioni centrali. L’attività riguardante i modelli delle due collezioni (Bartolini Bussi & al., 2004a, 2004b) presenta due componenti: la prima concerne l’allestimento di mostre, la seconda riguarda la ricerca in didattica della matematica, di cui alcuni elementi saranno presentati nel paragrafo successivo. Il catalogo virtuale della mostra Perspectiva Artificialis contiene non solo le descrizioni degli strumenti, ma anche le simulazioni8 del loro funzionamento, realizzate con software di geometria dinamica (come per esempio Cabri II) e/o con il software Cinema4D. Il vetro di A. Dürer Nel suo trattato sulla geometria, Dürer descrive quattro strumenti per il disegno in prospettiva, in cui riprende i riferimenti al vetro e al velo (griglia o reticolato) e all’oculare per fissare la posizione dell’occhio. Per quanto riguarda il vetro, dopo una serie minuziosa di istruzioni per fabbricarsi in proprio lo strumento, Dürer conclude: Tenendo un occhio saldamento appoggiato all’oculare, ricalca sul vetro, mediante un pennello, ciò che vedi all’interno della cornice. Poi, potrai riportare il disegno sulla superficie che avrai scelto per il tuo quadro. Questo modo di operare conviene a tutti coloro che vogliono fare il ritratto di qualcuno senza essere fiduciosi nella loro abilità. Fig. 1: il vetro di Dürer Sul vetro del modello (Fig. 2) sono state disegnate le immagini prospettiche del cubo e della scacchiera presenti: guardando dall’oculare si vede la perfetta sovrapposizione tra i disegni e gli oggetti reali. Fig. 2: modello del Laboratorio Fig. 3: frame dell’animazione (PL) Lo sportello di Dürer e le modifiche segnalate da Danti Il modello precedente presenta due vincoli importanti per il suo utilizzo: l’oculare deve essere sempre in posizione accessibile al pittore che guarda dal foro e il braccio del pittore definisce la distanza tra l’oculare e il quadro. Il primo vincolo è risolto con la materializzazione dei raggi visivi mediante fili tesi. È quanto viene realizzato con lo sportello. 8 Nel seguito le animazioni saranno contrassegnate dalle iniziali degli autori: Luisa Porretta (PL) e Elisa Quartieri (QE). Lo sportello fu probabilmente un’invenzione di Dürer, che fornisce indicazioni precise sul modo d’uso: Appoggia il liuto, (…), alla distanza prestabilita dal quadro, e fai attenzione: deve restare immobile per tutto il tempo che ti servirà. Domanda al tuo assistente di mantenere teso il filo passante per il chiodo (all'altra estremità c'è un contrappeso) e di portarlo a contatto con i punti principali del liuto. Quando egli si ferma su uno di questi punti (tenendo teso il filo) tu sposta gli altri due fili (quelli fissati per uno dei capi alla cornice del quadro) tendendoli in modo che si incrocino col suo. Fig. 4: lo sportello di Dürer Lo sportello, su cui può essere fissato un foglio, rappresenta il quadro, mentre i due fili, perpendicolari tra loro, individuano il quadro virtuale; quando lo sportello viene chiuso, su di esso si disegna il punto d'intersezione dei due fili e il raggio visivo. Fig. 5: modello del Laboratorio Fig. 6: frame dell’animazione (QE) Nel suo trattato, Danti individua un punto debole dello sportello prima descritto, segnalando al tempo stesso una possibile alternativa rappresentata da un nuovo strumento, il prospettografo dell’Abate di Lerino: quando il filo radiale tocca i fili trasversali, li può spingere, e spostarli dal loro giusto sito, e farci commettere errore non piccolo. Ma quando invece dei fili si adoperano i due regoli e il traguardo, l'errore commesso potrà essere assai minore, e perciò ho sempre giudicato esser questo l'ottimo tra tutti gli sportelli Fig. 8: modello del Laboratorio Fig. 7: il prospettografo dell’Abate di Lerino Fig. 9: frame dell’animazione (PL) Il prospettografo di Jacopo Barozzi Nei Commentarji , Danti precisa che: Questo strumento, del quale ho trovato uno schizzo (senza scrittura alcuna) fra i disegni del Vignola, lo voglio descrivere qui affinché si consideri la varietà degli strumenti derivati dallo sportello … Il prospettografo è costituito da due aste graduate (l'orizzontale è fissa, la verticale è mobile) che individuano il quadro virtuale. Attraverso un oculare, l'artista prende di mira il punto da disegnare: con un sistema di fili e carrucole sposta l'asta verticale (e il traguardo scorrevole su quest'ultima) fino a sfiorare il raggio visivo. Detta poi le coordinate del punto, lette sulle aste graduate, all'assistente, che le usa per segnare il punto sul quadro reale, dotato di griglia. Fig. 11: modello del Laboratorio Fig. 10: il prospettografo di Barozzi Fig. 12: frame dell’animazione (QE) Questo prospettografo introduce l’idea di coordinate per individuare i punti da riportare sul disegno ed evidenzia la separazione dei ruoli tra il pittore, che mira e sceglie i punti, e l’assistente, che prende nota senza dover necessariamente vedere l’oggetto reale. Il prospettografo di Cigoli – Niceron Nella Prospettiva pratica (1612), Cardi (detto il Cigoli) affronta la questione relativa al disegno di oggetti non geometrici. Ciò lo porta gradualmente a definire una “terza regola” fondata sull'uso metodico e consapevole degli strumenti ed a costruire una macchina flessibile e pratica, ma provvista anche di un alto grado di precisione. Lo strumento fu conosciuto in Europa soprattutto attraverso l’opera di Niceron. Sebbene lo strumento sia di uso tutt’altro che semplice, “esso è il primo che abbia la pretesa di fornire un sistema di disegno ‘automatizzato’: esso consente di effettuare una sola operazione per ottenere la trascrizione diretta di un oggetto sul foglio da disegno, così come appare sul piano dell’intersezione”9. 9 Kemp, M. op. cit. Due aste rigidamente collegate formano tra loro un angolo (scelto ad arbitrio) e scivolano lungo una guida orizzontale. La prima asta percorre il foglio su cui si disegna e sorregge una matita collegata (mediante fili) a una sferetta mobile lungo la seconda asta che, trascinata dalla prima, descrive il quadro virtuale. Spostando la matita il disegnatore pilota il sistema delle due aste e la sferetta, in modo da far scorrere quest’ultima sul contorno dell'oggetto da ritrarre visto attraverso un oculare, che è ricopiato Fig. 13: il prospettografo di Cigoli-Niceron sul foglio. Fig. 14: modello del Laboratorio Fig. 15: frame dell’animazione (QE) Il prospettografo di Scheiner L'idea fondamentale di Scheiner10, astronomo tedesco, è l'uso di un parallelogramma articolato per ingrandire o diminuire proporzionalmente immagini bidimensionali. Nel prospettografo, l’utilizzo del parallelogramma porta a suddividere il piano di lavoro in due parti: occorre che il piano KHNQ sopra cui lavoriamo deve esser in parte reale e fisico, come in LQNO, in parte solo razionale e matematico, come in KLOH. Reale in quella parte che deve esser toccata dalla penna, razionale in quella che dall'indice. Il parallelogramma è montato verticalmente su una tavola di legno, sorretto da un perno AC fissato in C (centro di rotazione) e dotato di un indice MC (l’indice è un puntale secco, non scrivente, destinato a seguire il contorno dell’oggetto da riprodurre) e di una penna BP che traccia il disegno. Durante la deformazione del parallelogramma (che l’operatore muove pilotando la penna BP), i punti C, I, P restano allineati (le distanze CP e CI fissano il rapporto di ingrandimento). 10 Scheiner, Ch. (1631). Pantographice seu ars delineandi, Roma. Fig. 16: il prospettografo di Scheiner Fig. 17: modello del Laboratorio Fig. 18: frame dell’animazione (QE) I prospettografi nella scuola Si è precedentemente accennato a due attività con gli strumenti: oltre all’allestimento di mostre, vi è la ricerca in didattica della matematica. Essa è centrata sullo studio della mediazione degli strumenti nella costruzione di significati matematici e s’inserisce all’interno di un progetto di ricerca per l’innovazione condotto da alcuni anni in stretta collaborazione da due gruppi di ricerca, quello di Siena (prima Pisa) e quello di Modena. Le basi di questa ricerca si trovano nell’esperienza della complessità epistemologica della geometria in una dialettica tra realtà sensibile, modelli matematici ed uso di artefatti. L’obiettivo dell’esperimento, condotto nella scuola elementare, è la conquista da parte degli allievi del modello albertiano di pittura come “intersecazione della piramide visiva”. Nel progetto sono stati considerati tre componenti: La componente storico-culturale, per descrivere le caratteristiche degli strumenti tecnici e psicologici che hanno la potenzialità di creare “forme nuove di un processo psichico culturalmente fondato” (Vygotskij, 1987); La componente didattica, per descrivere il modo di progettare, implementare e analizzare i processi di mediazione dell’artefatto; La componente cognitiva, per descrivere i processi degli allievi in atto nelle varie attività. Per quanto riguarda gli artefatti culturali, sono state individuate tre tipologie (Wartofsky, 1979): artefatto primario, che corrisponde all’oggetto tecnico direttamente usato per scopi intenzionali (ad esempio compasso, prospettografi, curvigrafi, …); artefatto secondario, che corrisponde a ciò che viene usato nel mantenimento e nella trasmissione di specifiche competenze tecniche acquisite (ad esempio scrittura, schemi, tecniche di calcolo, trattati d’uso, …); artefatto terziario, che corrisponde ad un sistema di regole formali che hanno perso l’aspetto pratico (ad esempio le teorie matematiche). Il processo di mediazione di cui ci si occupa ha inizio durante le fasi di attività con un artefatto e si fonda sulle sue potenzialità evocative rispetto ai significati che sono obiettivo dell’insegnamento della matematica. L’ipotesi di partenza è che gli aspetti, pratico, rappresentativo e teorico sono (almeno potenzialmente) incorporati nell’attività con un artefatto, che, in questo modo, è potenzialmente dotato di polisemia (in accordo con Engestroem, 1990). Con l’introduzione di un artefatto in classe e la successiva discussione matematica (Bartolini Bussi et al., 1995) per individuarne la funzione, l’insegnante può creare nuove situazioni problematiche che portano all’articolazione di voci diverse e all’accessibilità di nuovi significati (obiettivo didattico dell’attività proposta). Tutto ciò crea le condizioni per l’appropriazione degli artefatti terziari storicamente legati agli artefatti primari e secondari. Quanto finora presentato è stato alla base di un esperimento a lungo termine nella scuola elementare svolto durante le classi quarta e quinta. L’esperimento didattico Il percorso didattico sperimentato è composto di numerosi passi che descriveremo brevemente nel seguito. Precisiamo solo che i passi 1 e 2 sono stati compiuto al termine della classe quarta, mentre tutti gli altri sono stati svolti durante la classe quinta. Come artefatto primario è stato scelto un prospettografo ispirato al vetro di Dürer ma con qualche differenza, mentre la scelta degli artefatti secondari è caduta su testi estratti dai citati trattati di Piero della Francesca, Leon Battista Alberti e Dürer, ricchi di intrecci tra regole per la costruzione di prospettografi e di regole d’uso con giustificazioni del corretto funzionamento. Ecco i passi del percorso: 1. Esplorazione dell’artefatto primario. Il modello (Fig. 19) presenta un traliccio cubico e la sua immagine prospettica disegnata su una lastra di plexiglas posta tra l’oggetto e il supporto su cui si trova l’oculare. La differenza sostanziale rispetto al modello di vetro di Dürer (fig. 2) è data dalla presenza di tre fori anziché di uno solo come oculare. Questo permette di attirare l’attenzione sull’importanza del punto di vista: solo guardando dal foro centrale si vede la perfetta coincidenza tra disegno e traliccio. Fig. 19: prospettiva di un traliccio cubico 2. Disegni individuali del prospettografo. 3. Interpretazione degli artefatti secondari: durante una discussione, si chiede agli allievi di interpretare alcune frasi estratte da trattati di pittura. 4. Costruzione di una tabella di invarianti nel passaggio dalla realtà alla sua rappresentazione bidimensionale (Bartolini Bussi, 1996). 5. Focus sulle trasformazioni di forme rettangolari e costruzione delle definizioni di diversi tipi di quadrilateri. 6. Progettazione di un nuovo strumento per il disegno prospettico: gli allievi lavorano in piccoli gruppi, poi un portavoce per gruppo presenta alla classe il lavoro svolto. 7. Redazione di un testo individuale sul progetto del passo 6. 8. Redazione di un testo individuale sulla piramide visiva: la citazione di Alberti sulla piramide visiva (discussa collettivamente al passo 3) viene riproposta come soggetto di un elaborato individuale. 9. Esplorazione ed uso di un nuovo artefatto: viene introdotto in classe un modello di piramide visiva. Segue una discussione. 10. Redazione di testi individuali sul modello di piramide visiva. 11. Visione di quattro animazioni fotorealistiche di prospettografi conosciuti e non: sono state proposte alcune animazioni diverse del vetro di Dürer (per esempio, Fig.3) e la simulazione del prospettografo dell’Abate di Lerino (Fig.9). 12. Redazione di un testo individuale sulle animazioni visionate. Ogni allievo ha scelto una delle animazioni proposte e ha ricevuto dall’insegnante la stampa di un frame dell’animazione (per esempio, Fig. 3 o Fig. 9). 13. Visita guidata alla mostra Perspectiva Artificialis allestita a Modena (maggio 2003, visita virtuale: http://www.mmlab.unimore.it). 14. Redazione di un testo individuale sulla visita alla mostra: ogni allievo ha descritto uno prospettografo visto alla mostra. 15. Pubblicazione su una rivista on-line di un testo sull’esperienza con i prospettografi redatto dagli allievi. Analizzeremo nel seguito alcuni passi del percorso proposto, mettendo in evidenza gli elementi matematici che via via emergono, come l’interazione con gli artefatti permette l’emergere di tale elementi e come sono poi utilizzati e/o richiamati dagli allievi. Dalla scoperta del prospettografo ai manuali di pittura La prima fase del percorso (passi 1 e 2, classe quarta) è stata dedicata all’introduzione in classe del prospettografo mediante una discussione matematica collettiva (Bartolini Bussi, 1996) e la sua successiva rappresentazione individuale. Nel passo 1, gli allievi hanno avuto l’opportunità di osservare e di usare l’artefatto (Fig. 20 e Fig. 21): si sono in tal modo individuate le caratteristiche fondamentali del prospettografo, come mette in evidenza il seguente estratto di discussione: Alessia: Tu metti l’occhio dentro (ride), cioè lo metti vicino a quel buco e dopo tu vedi quello che c’è dentro in prospettiva. Federica: La prospettiva è quello che si vede, … Ale B.: E’ come tu vedi un solido. Assia: Una cosa, qualunque cosa… Giacinto: Da qualunque punto di vista. Maruan: Sì, ma serve un occhio solo, sennò vedi normale. Fig. 20: un momento dell’esplorazione Fig. 21: un momento dell’esplorazione Successivamente (passo 2) gli allievi hanno disegnato individualmente il prospettografo. I disegni si possono raggruppare in quattro tipologie: riproduzione dell’azione di usare il prospettografo; riproduzione del prospettografo con etichette per gli elementi di base (Fig. 22); riproduzione di parti (pezzi isolati) del prospettografo; riproduzione del prospettografo così com’è visto dal rispettivo banco. Fig. 22: disegno del prospettografo con etichette Dopo i primi passi centrati sul prospettografo e compiuti alla fine della classe quarta, gli allievi incontrano i trattati di pittura all’inizio della classe quinta (il prospettografo non è più presente in classe). In un’attività di discussione matematica, l’insegnante propone l’interpretazione di alcune frasi, tra cui quella di Alberti: “Sarà adunque pittura non altro che intersecazione della piramide visiva”. Come si è accennato precedentemente, l’analisi intende mostrare l’articolazione tra artefatto primario (il prospettografo) ed artefatto secondario (i testi scelti) in un compito di interpretazione da parte degli allievi. Durante la discussione, gli allievi intrecciano riferimenti al prospettografo e alle frasi in esame: in tal modo i termini della matematica e della pittura si alternano nella costruzione del discorso, in cui s’instaura un dialogo tra il referente concreto e il modello matematico, evocato da alcune parole chiavi, come il termine “piramide visiva”. Questa discussione è possibile in quanto gli allievi trovano nella precedente esperienza con il prospettografo un repertorio comune a cui fare riferimento per affrontare l’attività proposta. Dopo un breve scambio di battute sulla forma di una piramide ed il riferimento alle piramidi d’Egitto, la discussione si centra sulla parola “piramide”, il cui significato deve essere interpretato nel contesto della frase (ad un certo momento l’insegnante disegna alla lavagna una piramide), come l’estratto di discussione evidenzia: 1.Ale B.: Se è a base triangolare ne ha 4, se è a base quadrata ne ha 5 per forza. Dipende dalla base. Quella di cui parliamo qua, per me, è a base o quadrata o rettangolare, perché c’immaginiamo un quadro o un pezzo di vetro e la punta dei triangoli arriva all’occhio. 2.Feder: Sì, ma quella di Leon Battista Alberti non è un solido vero è un solido immaginario, che si forma mentre tu guardi. Noi non lo vediamo, lo vediamo solo se ci pensiamo, se lo vogliamo vedere. Ad esempio adesso lo vediamo perché l’abbiamo appena letto. 3.Assia: Certo che è immaginario, altrimenti ti farebbe male e poi non ti farebbe neanche vedere. 4.Voci: T’immagini un solido che ti arriva in un occhio! (Molta gestualità anche di tipo comico. Momento di confusione e di scherzi sulla piramide visiva cui partecipa tutta la classe). [...] 5.Anna: Non è nient’altro che intre, inter, … intersecazione (legge) della piramide visiva, che è quella forma che si forma tra la cosa che guardiamo e l’occhio con cui guardiamo. [...] 6.Daniele: Secazione forse vuol dire l’azione di segare. L’azione della sega: seca – azione. 7.Assia: Segare può anche voler dire tagliare. Tra le cose tagliate, oppure tra le cose segate. 8.Ale B.: Oppure segare tra, cioè tu fai un taglio, seghi la piramide visiva. Se seghi la piramide visiva tu ottieni la pittura. 9.Luca: Come si fa a segare la piramide visiva che è un solido che non esiste? 10.Ale B.: Allo stesso modo di come te lo immagini. Se tu lo vedi perché lo immagini, così puoi anche segarlo. Bisogna lavorare con la mente. 11.Elisab: È come lavorare con la fantasia: tu ti devi immaginare le cose e poi ti sembrano vere. 12.Marcel:Non è come con la fantasia! È come con la mente, perché devi segare bene dove vuoi tu per disegnare quello che vuoi fare. 13.Feder: Sì va beh, comunque te lo devi immaginare. Io ho capito una cosa se la seghi vicino all’oggetto hai un’immagine grande, se la seghi vicino all’occhio hai un’immagine più piccola. In questo estratto, si può vedere come dopo alcuni interventi, si presenta l’interpretazione dell’espressione “piramide visiva” con vertice nell’occhio (#1: Ale.B.). L’ambiguità del termine “piramide” è ben presente nell’estratto: fino ad allora era utilizzato per riferirsi ad oggetti concreti come le piramidi dell’Egitto o i modelli di solidi, mentre ora può indicare oggetti immaginari (#2: Federica). Il testo proposto evoca dunque una nuova piramide, che è un modello astratto della visione (immagine pensata: “che si forma mentre tu guardi”). La dialettica tra il livello astratto (del modello) e quello concreto (del solido) si sviluppa nello scherzo. Tuttavia, ad un certo punto, l’evocazione dell’azione del segare (#6: Daniele) sposta l’attenzione sul piano fisico e concreto generando conflitto per il riferimento alla piramide visiva come modello astratto. La necessità di elaborare e quindi di risolvere il conflitto tra la piramide immaginata e l’azione concreta del segare porta gli allievi ad introdurre un nuovo significato relativo al suo modello ideale (#12: Marcel). Questo significato diventa allora disponibile ed operativo (13: Feder): esso potrà allora essere assunto come significato geometrico. Tre mesi dopo questa discussione, la frase di Alberti è stata riproposta agli allievi (passo 8): ogni allievo doveva commentare tale frase, anche con l’ausilio di disegni. L’analisi dei protocolli (alcuni esempio nelle figure Fig. 23 e Fig. 24) dei bambini mostra l’appropriazione degli elementi fondamentali del modello matematico: l’uso di un solo occhio, i raggi visivi sono retti e costituiscono gli spigoli della piramide visiva, la relazione tra le dimensioni delle immagini prospettiche di un oggetto e la distanza tra l’oggetto e l’occhio sono esplicitate, l’invarianza della forma delle immagini prospettiche quando la piramide visiva è secata da piani paralleli è evidenziata. In molti protocolli si possono individuare due parti: una prima parte costituita dalla descrizione della piramide, realizzata con testo scritto e disegni; una seconda parte dove gli allievi commentavano la frase proposta. È interessante confrontare i disegni degli allievi con un storico (Fig. 25) che presenta la stessa ambiguità tra caratteristiche reali e virtuali della piramide visiva. Fig. 23: Ale B. Fig. 24: Elisabetta Fig. 25: Abraham Bosse, Manière Universelle de M. Desargues (1647) Dal reale al virtuale: le animazioni dei prospettografi Consideriamo ora il passo 12, in cui si chiede agli allievi di scegliere e poi descrivere una delle animazioni fotorealistiche di prospettografi visionate durante la lezione precedente (passo 11). Agli allievi viene solo data la stampa di un fermo-immagine dell’animazione scelta e la seguente consegna “Descrivi la macchina rappresentata nell’immagine ed il suo funzionamento. Ti puoi aiutare con disegni significativi”. Molti allievi scelgono un nuovo strumento, il prospettografo dell’abate di Lerino (Fig. 8, chiamato in classe sportello di Danti). Le analisi dei protocolli evidenziano come le animazioni di nuovi strumenti possono essere compresi quando gli allievi hanno già familiarità con strumenti simili e hanno discusso sul modello matematico soggiacente, come appare dai protocolli prima esaminati. Riportiamo come esempio il testo di Giacinto, in cui egli spiega il funzionamento identificando l’“intersecazione” della piramide visiva nel foglio posto sul piano mobile del prospettografo. Lo sportello Danti serve per disegnare in prospettiva figure geometriche piane e solide. La macchina che ho scelto è formata da questi materiali: oculare mobile, base, oggetto da copiare, piano rialzato con foglio, aste mobili [n.d.a: ogni termine è accompagnato dal rispettivo disegno] Il funzionamento della macchina di Danti è: tu devi mettere l’occhio nell’oculare, poi devi vedere il vertice che deve corrispondere all’incrocio delle assi, dopo alzi il piano rialzato, poi fai un punti[no] all’incrocio delle asticelle e così lo fai con tutti i vertici che puoi disegnare, infine unisci i punti e ti viene la figura che hai voluto disegnare. Secondo me il foglio è l’intersecazione. La piramide visiva, in particolare l’“intersecazione”, è anche evocata da Lorenzo (Fig. 26), che ha scelto un’animazione del vetro di Dürer. Il confronto tra il commento alla frase di Alberti e quello all’animazione, mostra una stretta corrispondenza tra gli elementi dei due commenti. Inoltre, questo protocollo evidenzia l’ambiguità, precedentemente accennata, tra referente concreto e modello astratto in quanto Lorenzo considera i raggi visivi che partono dall’oculare (nell’animazione, vedi Fig. 3) come fili immaginari legati al vertice del cubo (oggetto da disegnare in prospettiva). Figura 26: una parte della descrizione di Lorenzo del vetro di Dürer Nelle loro spiegazioni, gli allievi evocano quindi elementi presenti sia nelle discussioni precedenti sia nei loro elaborati. Essi costituiscono un repertorio che permette d’interpretazione di nuovi strumenti, dando senso ad oggetti come le animazioni virtuali, che presentano un sistema di rappresentazione diverso da quelli noti e usati. Conclusioni In questo articolo, sono stati presentati alcuni elementi che hanno contribuito allo sviluppo della geometria proiettiva. Il filo conduttore della lettura di tale percorso storico è l’evoluzione degli strumenti progettati e realizzati per il disegno in prospettiva. Uno di questi strumenti (o meglio, una sua variante) è stato usato in un esperimento didattico nella scuola elementare per introdurre il modello albertiano di pittura come “intersezione della piramide visiva”. Anche se la presenza di un artefatto in una classe non determina meccanicamente il modo in cui è attualmente usato e concepito dagli allievi, essa può richiamare, attraverso l’uso e rispetto agli scopi di una certa attività, un sapere significativo dal punto di vista educativo. L’insegnante, introducendo un artefatto in una discussione matematica, per interpretarne la funzione o per risolvere uno specifico problema, ne sfrutta la polisemia potenziale creando nuove situazioni problematiche e concedendo tempo per l’articolarsi delle voci, ovvero per rendere accessibili i nuovi significati che sono obiettivo didattico dell’attività. L’analisi delle attività ha in effetti evidenziato l’emergere di più voci; in particolare si possono individuare: 1. la voce dell’utente; 2. la voce del costruttore; 3. la voce della macchina: descrizione del funzionamento dello strumento pensato come parzialmente distaccato dall’intervento dell’operatore. Questa voce è di passaggio fra gli artefatti secondari e gli artefatti terziari, ed è più vicina agli uni o agli altri a seconda del livello di “fisicità”: ad esempio le animazioni fotorealistiche sono molto più vicine all’oggetto reale rispetto alle animazioni realizzate con Cabri II (che non sono state usate nell’esperimento), che sono molto più schematiche; 4. la voce della teoria: evocazione del modello matematico della piramide visiva, o di altri fenomeni modellizzabili nello stesso modo (come la produzione di ombre), generalizzazione rispetto all’inevitabile scelta di casi particolari dello strumento; questa è la voce degli artefatti terziari. Ad esempio, nelle rappresentazioni del prospettografo (passo 2), i disegni che riproduco l’azione di usare il prospettografo evidenziano la voce dell’utente: enunciazione dello scopo per il quale è stata costruita la macchina e del suo modo d’uso, cioè del suo funzionamento in presenza dell’uomo (artefatto primario). Invece, le riproduzioni del prospettografo con etichette per gli elementi di base e riproduzione di parti (pezzi isolati) del prospettografo rappresentano la voce del costruttore: descrizione delle varie componenti dello strumento, rivolgendo l’attenzione al materiale di cui è composto e al modo di costruzione, cioè alla collocazione spaziale delle singole parti (artefatto secondario). In questo percorso, il vetro di Dürer può così essere interpretato come artefatto primario per realizzare disegni “simili alla realtà”, e fornire una base strumentale di riferimento per l’interpretazione dei testi scelti (artefatti secondari) e di conseguenza per la costruzione di un modello esplicativo per la rappresentazione prospettica. Il prospettografo può, infine, essere inteso come evocatore di una teoria geometrica, basata sull’idea di trasformazione e di invarianti (artefatto terziario). Bibliografia Bartolini Bussi M.G., Mariotti, M.A. & Ferri F. (2005). 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