Trasporto e osservazione della radiazione e.m.

Fondamenti di
Astrofisica
Lezione 3
AA 2010/2011
Alessandro Marconi
Dipartimento di Fisica e Astronomia
Propagazione delle onde em: raggi
In generale si devono risolvere equazioni di Maxwell con condizioni al
contorno. Ma, quando
Lunghezze scala del sistema >> lunghezza d’onda
(approssimazione iconale)
Ampiezza e direzione onda sono costanti su scale >> lunghezza d’onda
(limite dell’ottica geometrica)
si può assumere che la radiazione viaggi lungo dei “raggi”.
I “raggi” sono curve che, punto per punto, sono tangenti a k, vettore d’onda.
I raggi sono anche perpendicolari, punto per punto, ai fronti d’onda.
Onda piana:
raggi paralleli tra
loro.
Onda sferica:
raggi lungo la
direzione radiale.
Condizioni non valide per interazione tra materia e
radiazione, ma valide per ambito astrofisico.
A. Marconi
Fondamenti di Astrofisica (2010/2011)
2
Luminosità e Flusso della radiazione
Sorgente astrofisica che emette energia dE in tempo dt.
La luminosità è la quantità di energia irraggiata nell’unità di tempo:
dE
L=
dt
[ erg s−1 , oppure L⊙ ]
la luminosità, e non l’energia irraggiata, è la
quantità che meglio caratterizza una sorgente
astrofisica.
Dato un elemento di superficie dA, attraversato da
una quantità di energia dE nel tempo dT posso
definire il flusso della radiazione come
dE
F =
dAdt
[ erg s
−1
cm
−2
]
dA
ovviamente bisogna considerare con segno opposto
la radiazione che entra o esce dalla superficie.
A. Marconi
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3
Relazione flusso - luminosità
Sorgente puntiforme che emette radiazione in modo isotropo (es. una stella);
è sorgente di onde sferiche, con luminosità L.
Nel tempo Δt irraggia energia ΔE = L Δt.
Dopo un certo tempo, questa energia attraversa
una superficie sferica di raggio r centrata sulla
sorgente, per cui il flusso attraverso quella
superficie è
r
∆E
L
F (r) =
=
2
4πr ∆t
4πr2
questa relazione è valida per ogni r, per la conservazione dell’energia (ovvero
se non ci sono processi di emissione o assorbimento della radiazione oltre a
quelli nella sorgente).
F dipende dall’inverso del quadrato della distanza dalla sorgente.
A. Marconi
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4
Luminosità e flusso specifici
L e F così definite sono quantità “bolometriche” ovvero integrate su tutto lo
spettro e.m.
E’ utile considerare le quantità specifiche, ovvero per unità di banda di
frequenza (o lunghezza d’onda):
dE
Lν =
dt dν
dE
Fν =
dA dt dν
ovviamente risulta
A. Marconi
[ erg s−1 Hz−1 ]
−2 −1
[ erg cm
s
L=
Hz
−1
]
F =
�
+∞
Lν dν
0
�
+∞
Fν dν
0
Lν
Fν (r) =
4πr2
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5
Luminosità e flusso specifici
Relazioni analoghe valgono per unità di banda di lunghezza d’onda ovvero
dE
Lλ =
dt dλ
dE
Fλ =
dA dt dλ
Lλ dλ = Lν dν
Fλ dλ = Fν dν
dove le relazioni con le quantità per unità di banda di frequenza si ottengono
banalmente dalla conservazione dell’energia.
Ad esempio nel caso del flusso si ha
� �
� dν �
c
�
�
Fλ = Fν � � = Fν (c/λ) 2
dλ
λ
dato che
A. Marconi
� �
� dν �
ν
c
� �=
� dλ � λ2 = λ
λFλ = νFν
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6
Intensità (brillanza) della radiazione
Il flusso è una misura dell’energia trasportata da tutti i raggi che attraversano
la superficie dA indipendentemente dalla direzione da cui provengono.
Come si caratterizza l’energia trasportata lungo un raggio ovvero lungo una
direzione definita?
Iν,perp
dE
=
dA dt dΩ dν
raggio
ale
dΩ
norm
Consideriamo tutti i raggi che attraversano dA
attorno alla normale alla superficie.
L’intensità specifica o brillanza è l'energia per unità
di tempo, superficie, angolo solido e banda di
frequenza, ovvero
[ erg cm−2 s−1 Hz−1 sterad−1 ]
[ erg cm−2 s−1 Hz−1 arcsec−2 ]
dA
dove “perp” ricorda che si considera solo la
radiazione lungo la perpendicolare alla superficie.
A. Marconi
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7
Intensità (brillanza) della radiazione
dove θ è l’angolo tra la direzione di
propagazione e la normale alla superficie.
norm
dE
Iν =
cos θdA dt dΩ dν
ale
In generale se dA non è perpendicolare alla direzione di propagazione la
definizione di intensità si generalizza come
θ
Questa definizione si spiega col voler
considerare la superficie “vista” dalla
radiazione nella sua propagazione.
cosθ dA è proprio la superficie proiettata
perpendicolarmente alla direzione di
propagazione.
dΩ
dA
Nel caso in cui cosθ = π/2, l’energia dE che
attraversa una superficie vista di “taglio” è
ovviamente 0.
A. Marconi
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Intensità (brillanza) della radiazione
norm
ale
raggio
norm
ale
dΩ
dA
A. Marconi
ϑ
dΩ
dA
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Relazione tra intensità e flusso
In base alle definizioni
dE = Iν cos θ dA dt dΩ dν = δFν dA dt dν
δFν = Iν cos θ dΩ
dove δFν è il contributo al flusso dato dalla radiazione lungo la direzione
considerata per Iν.
Per ottenere Fν occorre integrare su tutto l’angolo solido
Fν =
�
Iν (Ω) cos θ dΩ
4π
Iν = Iν (Ω)
per evidenziare la dipendenza
dalla direzione di propagazione
dΩ angolo solido e, rispetto a coordinate sferiche, vale dΩ = sin θ dθ dφ
A. Marconi
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Relazione tra intensità e flusso
Esempi:
Campo radiazione isotropo
Fν = I ν
�
cos θ dΩ =
Ω
Iν (Ω) = cost.
�
2π
dφ
0
�
π
dθ cos θ sin θ = 0
0
Se Iν (Ω) = cost. ma la radiazione proviene da un solo lato della superficie
dA (ad esempio, sulla superficie di una stella) allora
Fν = I ν
A. Marconi
�
cos θ dΩ =
Ω
�
2π
dφ
0
�
π/2
dθ cos θ sin θ = πIν
0
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Conservazione della Brillanza
1
2
dΩ1
R
s
dΩ2
dA1
dA2
Perché la brillanza è utile? Perché si conserva lungo la linea di vista
(in assenza di processi di emissione o assorbimento).
Lungo la direzione di propagazione, le superfici 1 e 2 sono attraversate
dalle quantità di energia
dE1 = Iν1 dA1 dt dΩ1 dν
dE2 = Iν2 dA2 dt dΩ2 dν
A. Marconi
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Conservazione della Brillanza
Consideriamo solo i raggi che attraversano 1 e 2:
l’energia si conserva ovvero dE1 = dE2
i raggi passanti per 1 che attraversano 2 sono quelli entro l’angolo solido
dΩ1 = dA2 /R
2
i raggi passanti per 2 che attraversano 1 sono quelli entro l’angolo solido
dΩ2 = dA1 /R
2
combinando queste tre relazioni con le espressioni per dE1 e dE2 si ottiene
Iν1 = Iν2
ovvero la conservazione della brillanza (in assenza di processi di emissione
o assorbimento lungo la direzione di propagazione).
La brillanza osservata è la stessa di quella emessa dalla sorgente.
A. Marconi
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Conservazione della Brillanza
1
2
dΩ1
R
dA1
A. Marconi
s
dΩ2
dA2
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L’osservazione delle sorgenti
Come si misurano Lν, Fν e Iν per una sorgente astronomica?
Vediamo come utilizzando i telescopi si ottengono le immagini e come da
queste si ricavino le quantità richieste.
Un sistema ottico costituito da un telescopio ed uno strumento ad esso
associato può essere schematizzato con una lente convergente con
lunghezza focale f (lunghezza focale di telescopio+strumento)
diametro D (diametro della pupilla d’ingresso che in genere corrisponde
al diametro dello specchi primario del telescopio ovvero superficie che
raccoglie radiazione).
O′
i
D
Per una lente convergente (f>0) vale
1 1
1
+ =
i
o
f
A. Marconi
F
f
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o
O
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L’osservazione delle sorgenti
Consideriamo due sorgenti
distinte all’infinito. Una nella
direzione dell’asse ottico della
lente (telescopio+strumento),
l’altra ad un angolo θ.
La distanza tra le due immagini
puntiformi è pertanto
l=θ×f
piano
focale
Se la sorgente si trova all’infinito (o→∞) i raggi sono paralleli e vengono
concentrati in un punto sul piano focale (i=f ).
F2
F
f
per cui da misurando l
sull’immagine e conoscendo f
posso ricavare θ.
ϑ
O→∞
ϑ
O2 → ∞
Sorgenti all’infinito (stelle) formano immagini puntiformi
sul piano focale del sistema telescopio + strumento
Noto f posso misurare le dimensioni angolari delle sorgenti estese o le
distanze apparenti tra sorgenti.
A. Marconi
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16
O′
piano
focale
Lenti convergenti
i
D
f
F2
F
F
o
f
O
ϑ
O→∞
ϑ
O2 → ∞
A. Marconi
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Occhio e telescopio rifrattore
Equivalenza tra occhi e sistema ottico appena
descritto.
cristallino
(lente)
retina
(rivelatore)
Occhio
A. Marconi
Il cristallino è una lente che forma le
immagini sul suo piano focale (retina).
Il cristallino ha la capacità di variare f per
riuscire sempre a “mettere a fuoco” le
immagini.
L’iride è un diaframma che regola le
dimensioni dell’apertura di raccolta della
luce (pupilla di ingresso).
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Occhio e telescopio rifrattore
Come mostrato in figura il telescopio rifrattore serve ad aumentare la
superficie di raccolta della radiazione.
E’ costituito da lente obbiettivo ed oculare con fuoco in comune.
Dimensioni obbiettivo determinano l’area di raccolta, mentre focale
dell’oculare determina l’ingrandimento dell’immagine finale.
La presenza dell’oculare è richiesta solo nel caso in cui si voglia
osservare con l’occhio al telescopio, altrimenti si può registrare
direttamente l’immagine formata sul piano focale della lente obbiettivo.
Fuoco comune
alle 2 lenti
Oculare
Obiettivo
Telescopio Rifrattore
A. Marconi
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19
Occhio e telescopio rifrattore
iride
(diaframma)
cristallino
(lente)
Fuoco comune
alle 2 lenti
Oculare
Obiettivo
retina
(rivelatore)
Telescopio Rifrattore
Occhio
A. Marconi
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20
Telescopi riflettori
rivelatore
sul piano focale
specchio primario concavo
(paraboloide)
Fuoco Primario
secondario convesso
(iperboloide)
rivelatore
sul piano focale
primario concavo
(paraboloide)
Fuoco Cassegrain
Innumerevoli vantaggi nell’utilizzo dei telescopi riflettori rispetto ai rifrattori
(alta efficienza di riflessione, possibilità di costruire specchi di oltre 10 m di
diametro, strutture più compatte ed economiche, ecc.)
Tutti i grandi telescopi di oggi sono riflettori.
A. Marconi
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21
Limite di diffrazione e seeing
Dimensioni finite della superficie di raccolta della radiazione (telescopi)
causano un fenomeno di diffrazione per cui una sorgente all’infinito genera
un’immagine non puntiforme con dimensione apparente pari a
θlim
λ
�
= 0.013��
D
�
λ
5000 Å
��
D
8m
�−1
θlim è il cosiddetto limite di diffrazione per un telescopio.
In realtà, nelle osservazioni da Terra non si ottiene mai il limite di diffrazione.
La turbolenza atmosferica degrada le immagini e si parla di “seeing”
riferendosi alle dimensioni delle sorgenti puntiformi osservate a Terra (θseeing)
Tipicamente θlim ~1′′ (da 0.3′′-0.4′′ nei siti migliori, a 5′′ ed oltre nei siti
peggiori).
Il seeing dipende dalla lunghezza d’onda:
θseeing ∼ λ
−1/5
Per esempio, 1′′ a 5000 Å, diventa 1′′(20000Å/5000Å)-1/5 = 0.8′′ a 2 μm.
A. Marconi
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22
Immagine come matrice di pixel
Per rivelare i fotoni sul piano focale si utilizzano di solito rivelatori
costituiti da m×n elementi fotosensibili ciascuno dei quali “conta” i fotoni
che cadono sulla sua superficie di raccolta.
Per ottenere immagine astronomica divido il piano focale in tanti elementi
di superficie detti “picture elements” (pixels) ed associo a ciascuno di
essi il numero di fotoni incidenti.
Un’immagine è una matrice m×n di numeri ciascuno dei quali è
direttamente proporzionale al numero di fotoni caduto sul dato pixel i,j.
Se le dimensioni dei pixel sono grandi rispetto al campo di vista o alle
dimensioni minime che il sistema ottico può rivelare, l’immagine ci
apparirà grossolana ed apparirà evidente divisione in pixels.
Criterio di massima per avere immagine ben campionata è che
l’immagine di una sorgente puntiforme cada su almeno 4 pixels.
Il seeing ha come effetto quello di sparpagliare la luce di una sorgente
puntiforme su un numero maggiore di pixel e quindi degrada l’immagine.
A. Marconi
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23
Immagine come matrice di pixel
y
pixel x,y (→Δω)
Δx
Δy
x
A. Marconi
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24
Effetto del numero di pixel
1024 × 1024
A. Marconi
128 × 128
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32 × 32
25
Effetto del seeing
In pratica è difficile
ottenere immagini al
limite di diffrazione con
telescopi da terra.
La micro-turbolenza
dell’atmosfera (“seeing”)
limita la qualità delle
immagini astronomiche.
Seeing “cattivo”
A. Marconi
Seeing “buono”
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26
I rivelatori (nel visibile)
I rivelatori utilizzati per la radiazione visibile sono di solito i Charge-Coupled
Devices (CCD), utilizzati anche nelle normali macchine fotografiche.
Caratteristiche importanti:
numero di pixels (es. m×n = 4000 x 3000 pix = 12 Mpix)
efficienza con cui vengono rivelati i fotoni (fotoni rivelati / fotoni incidenti)
Mosaico di 32 CCD
da 2000 x 4000 pixel
ovvero 256 Mpix
(OMEGACAM)
A. Marconi
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27
Misura di F (sorgente puntiforme)
Immagine di una stella (sorgente puntiforme) ottenuta con i seguenti
parametri caratterizzanti il sistema telescopio+strumento e l’esposizione:
telescopio diametro D;
tempo esposizione Δt;
filtro di larghezza Δν, centrato a ν;
efficienza η del rivelatore (n fotoni incidenti, ηn rivelati).
Il numero dei fotoni della stella registrati in totale sui
vari pixel del rivelatore è
Fν
π 2
∆N = η ×
× ∆ν × D × ∆t
hν
4
Fν è il flusso della stella a Terra unica incognita in quella relazione.
In pratica considero una sorgente di riferimento di cui conosco il flusso Fν,0 e
la osservo misurando ΔN0 per un tempo di esposizione Δt0, allora
Fν = Fν,0
�
∆N
∆t
��
∆N0
∆t0
�−1
2
La luminosità si può ottenere nota la distanza della sorgente Lν = 4π d Fν
A. Marconi
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28
Misura di F (sorgente estesa)
Se la sorgente è estesa (θ>θmin) e se un dato pixels corrisponde ad un
angolo solido ΔΩ sul cielo allora
Iν × ∆Ω
π 2
∆N = η ×
× ∆ν × D × ∆t
hν
4
dove Iν è l’intensità specifica media della regione
corrispondente al pixel in esame.
hν × ∆N
Fν
Iν =
=
2
η × ∆Ω × ∆ν × ∆t × π/4 D
∆Ω
Δy
Δx
∆Ω ∼ ∆x × ∆y
ovvero è pari al rapporto tra il flusso totale della sorgente estesa e le sue
dimensioni apparenti (angolo solido).
Nel calcolo di flusso e intensità non si è tenuto conto del fattore cosθ poiché
tutte le immagini vengono registrate in prossimità dell’asse ottico del
sistema ovvero la superficie di raccolta è perpendicolare alla direzione di
propagazione.
A. Marconi
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29
Sensibilità delle osservazioni
Il numero di fotoni prevenienti da una stella e registrati sul rivelatore deve
essere maggiore di un valore di soglia per poter “vedere” (rivelare) la stella
Lν
π 2
∆N = η ×
× ∆ν × D × ∆t > ∆Nmin
2
4π d hν
4
Se la stella ha Lν piccolo o è molto distante può non essere rivelabile. Per
osservarla si può aumentare:
η, ma in ogni caso η < 1 per cui ci sono pochi margini;
Δν, ma perdo informazione spettrale;
Δt, ma sono limitato dalla stabilità del sistema e dal tempo massimo
“ragionevole” che posso dedicare ad una sola immagine e generalmente
è difficile andare oltre 10 h (una notte);
D, diametro del telescopio è il fattore che mi permette il guadagno più
grande in termini di sensibilità delle osservazioni (flusso minimo che
riesco a rivelare)
Per osservare sorgenti più deboli è necessario costruire telescopi sempre
più grandi ed il guadagno è proporzionale a D2.
A. Marconi
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30
Occhio e telescopio
L’occhio è assimilabile ad un sistema telescopio+strumento con
diametro 0.5 cm;
tempi di esposizione Δt = 0.1 s.
Dato Feye come flusso limite rivelabile nella luce visibile (ovvero λ da 4000 a
7000 Å, con Δλ=3000 Å) si può facilmente vedere che un telescopio con la
stessa efficienza η e banda passante Δλ dell’occhio ha flussi minimi
rivelabili Flim pari a
D=5 cm,
Flim = 10-2 Feye per Δt = 0.1 s
D=5 cm,
Flim = 10-4 Feye per Δt = 10 s
D=500 cm, Flim = 10-8 Feye per Δt = 10 s
D=500 cm, Flim = 10-10 Feye per Δt = 1000 s
A. Marconi
Fondamenti di Astrofisica (2010/2011)
31
Dove costruire un telescopio
Perché gli osservatori sono costruiti in posti
remoti sulla cima delle montagne?
VLT - Paranal, Deserto di Atacama, Cile
(2635 m)
Keck - Mauna Kea, Hawai, USA (4200 m)
TNG - La Palma, Canarie (2400 m).
Per evitare l’inquinamento luminoso.
Per stare al disopra dello strato di inversione
(dove si formano le nuvole “basse”).
Per avere un’atmosfera secca
(minore assorbimento).
Per avere buon “seeing”.
A. Marconi
Fondamenti di Astrofisica (2010/2011)
32
Inquinamento luminoso
Keck, Hawaii
TNG, Canarie
VLT, Paranal
L’inquinamento luminoso è un problema
serio nelle aree densamente popolate!
A. Marconi
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33
Mauna Kea
(Hawaii)
Osservatorio più alto al mondo.
In cima ad un vulcano spento (4200m).
Atmosfera secca, Seeing eccezionale
Ben al di sopra dello strato di inversione
Paranal (Cile)
A 2635m nel deserto di Atacama.
Sito del Very Large Telescope
(European Southern Observatory).
Atmosfera eccezionalmente secca.
Seeing eccezionale.
Eccezionalmente buio (molto remoto).
Roque de los Muchachos (La Palma)
Nell’isola di La Palma
(Canarie), in cima ad un
vulcano spento (2500m).
Sede del Telescopio
Nazionale Galileo (TNG).
Telescopio Nazionale
Galileo (TNG)
I Telescopi moderni
Sono fatti con specchi di diametro
fino a 8 - 10 metri.
Sono in progettazione telescopi
di 30-45 metri di diametro.
Very Large Telescope
4 specchi da 8 metri di
diametro (Paranal, Cile).
I Telescopi moderni
Keck Telescope
2 specchi da 10 metri
di diametro (Mauna
Kea, Hawai).
TNG, Canarie: 3.6 m
VLT, ESO, Chile: 4 x 8m
LBT, Arizona,
USA: 2 x 8m
Astronomia oltre la banda ottica
Integral
(Gamma)
XMM-Newton
(X)
Fuse
(UV)
VLT
(Opt/NIR)
Spitzer
(mid/far-IR)
Herschel
Planck
(far-IR/submm) (micro-onde)
VLA
(radio)
L’atmosfera terrestre è opaca per gran parte dello spettro elettro-magnetico.
L’astronomia da terra è possibile solo nel visibile, nel vicino infrarosso e
nelle onde radio.
Le osservazioni nel lontano IR, nell’UV, nei raggi X e Gamma devono essere
fatte dallo spazio.
Il Telescopio Spaziale Hubble
Hubble Space
Telescope (HST)
progetto congiunto
NASA + ESA,
2.5m di diametro,
funziona nell’UV, ottico
e vicino IR
Il futuro: JWST
James Webb Space
Telescope (prima noto
come Next Generation
Space Telescope)
Ottimizzato per
l’infrarosso.
Specchi primario da
6.5 m (~7 volte la
capacità di raccolta di
HST).
Programmato per il
2015 (??)
Il futuro: ELT
Extremely Large Telescope
Ottico ed infrarosso, specchi da 45 m di diametro (~2000 segmenti!).
Oltre 30 volte la capacità di raccolta dei telescopi più grandi esistenti.
VLT