3-2016 - Studio Amministrazioni condominiali

ALAC INFORMA N. 3/2016
Associazione Liberi Amministratori Condominiali
ALAC INFORMA N. 3/2016
A cura del Centro Studi ALAC Ravenna
Sommario:
Impianti comuni: La richiesta resta elevata anche se contraria al risparmio energetico
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Dichiarazioni 2016. Le indicazioni della circolare delle Entrate su 730 e Unico:
Apertura sulla detrazione per il recupero edilizio
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Condominio e Servitù
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3
Il Rendiconto (o bilancio) condominiale a seguito della Riforma
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5
Infiltrazioni. Non vale la regola generale applicabile al lastrico solare:
Se il “pozzetto” perde tutti pagano i danni
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7
Comunicazioni. Sarà possibile affittarli alle società telefoniche
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8
L’incidenza dei costi. Un decreto impone calcoli che scoraggiano l’intervento
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ALAC INFORMA N. 3/2016
Impianti comuni:
La richiesta resta elevata anche se contraria al risparmio energetico
Distacco dal centralizzato sempre più difficile
Molti dubbi dopo la legge 220 e le pronunce della Cassazione.
Il «distacco» piace ancora molto. Nonostante l’approssimarsi della scadenza dell’obbligo di installare i
contabilizzatori di calore, che renderanno più individuale il consumo, la Cassazione e la legge (da ultimo la
riforma del 2012) si sono assiduamente dedicate al problema.
Anzitutto va richiamata l’attenzione sull’articolo 4 del Dpr 59/09 che afferma «in tutti gli edifici esistenti con più di
quattro unità abitative e in ogni caso per potenze nominali del generatore di calore dell’impianto centralizzato
maggiore o uguale a 100 kW è preferibile il mantenimento di impianti centralizzati laddove esistenti». La
norma precisa anche che le cause tecniche o di forza maggiore per ricorrere a eventuali interventi finalizzati alla
trasformazione dei centralizzati in impianti con generatore di calore separata per singola unità abitativa devono
essere dichiarate nella relazione di cui al successivo comma 25 dello stesso Dpr 59/09, cioè nella relazione
attestante la rispondenza delle prescrizioni per il contenimento del consumo di energia degli edifici e relativi
impianti termici che, come prescritto dall’articolo 28, comma 1, della legge 10/91, il proprietario dell’edificio deve
depositare presso le amministrazioni competenti insieme alla denuncia dell’inizio dei lavori relativi alle opere di
cui agli articoli 25 e 26 della stessa legge n. 10/91.
Nonostante tale esplicita dichiarazione legislativa di preferenza per il centralizzato, una successiva pronuncia della
Cassazione (5331/2012) riaffermava il principio secondo cui «il Condomino può legittimamente rinunciare all’uso
del riscaldamento centralizzato e distaccare le proprie diramazioni della sua unità abitativa senza necessità di
autorizzazione e approvazione degli altri Condomini. Fermo restando il suo obbligo di pagamento delle spese per la
conservazione dell’impianto, è tenuto a partecipare a quelle di gestione se e nei limiti in cui il suo distacco non si
risolve in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri Condomini». Veniva così
affermato con questa pronuncia anche un altro principio: quello della possibilità del rinunciante a distaccarsi ,
anche in presenza di aggravi di spesa per gli altri utenti, previo accollo di tale maggior onere derivante dal distacco.
Tali principi, ispirati come già detto a un evidente favore per il “distaccante”, sembrano poi, sostanzialmente anche
se non completamente, recepiti dalla legge 220/2012 che, modificando l’articolo 1118 del Codice civile, quarto
comma, statuisce che : «il Condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di
condizionamento se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri o aggravi di spesa per gli altri Condomini. In
tal caso il rinunciante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria
dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma».
Molti punti della norma sono tuttavia parsi subito poco chiari dando luogo a sostanziali contrasti interpretativi.
In primo luogo ci si è chiesti e ci si chiede se l’aggettivo «notevoli» si riferisca solo agli squilibri o anche agli
aggravi di spesa: se l’aggettivo si riferisce solo agli squilibri, interpretazione che sarebbe preferibile alla luce
dell’uso del disgiuntivo “o” anziché della congiunzione “e”, si arriverebbe a un’interpretazione che rende di fatto il
distacco irrealizzabile o difficilmente realizzabile, poiché un aggravio qualsivoglia deriva sempre e comunque dal
distacco del singolo.
Resta anche un altro dubbio sostanziale: se possa trovare applicazione anche oggi l’orientamento della Cassazione,
formatosi quando non esisteva alcuna norma sul distacco, sul fatto che, in presenza di aggravi di spesa per gli altri
condòmini, il distacco stesso possa ritenersi legittimo qualora l’aspirante ”distaccante” si accolli l’aggravio, di
qualunque entità esso sia, notevole o minimo.
Va infine aggiunto che nel frattempo molte legislazioni regionali (per esempio la legge della Regione Piemonte
13/2007), accogliendo il suggerimento del legislatore del 2009 e mostrando di aderire in modo netto e
incondizionato all’orientamento contrario all’installazione di impianti autonomi individuali (in quanto contrari alla
finalità del risparmio energetico e del contenimento dei consumi), hanno emanato normative che vietano tale
installazione quando le unità immobiliari nel Condominio siano superiori a un certo numero , di volta in volta
diverso, a seconda della legislazione regionale.
(Fonte Il Sole24Ore – Vincenzo Nasini)
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Dichiarazioni 2016. Le indicazioni della circolare delle Entrate su 730 e Unico:
apertura sulla detrazione per il recupero edilizio
Sconto per il mini-condominio
Bonus 50-65% ai proprietari per le parti comuni anche senza codice condominiale.
Anche nei condomìni minimi, senza codice fiscale, si potranno effettuare interventi edilizi e di riqualificazione
energetica su parti comuni, consentendo ai relativi condòmini di beneficiare delle rispettive detrazioni del 50%
(36% dal 2017) e del 65 per cento. È questo uno dei chiarimenti contenuti nella circolare dell’agenzia delle Entrate
2 marzo 2016, n. 3/E.
Si ha un Condominio quando, in un edificio con più unità immobiliari, più persone sono ciascuna proprietaria di
parte delle suddette unità, in via esclusiva. L’assemblea condominiale deve nominare un Amministratore, solo
quando i condòmini sono più di 8, cioè quando non si ha un cosiddetto “Condominio minimo” (cioè non superiore
a otto condòmini).
Sostituti d’imposta:
Tutti i condomìni, poi, sono sostituti d’imposta e devono trattenere la ritenuta d’acconto del 4% sui corrispettivi
dovuti per prestazioni relative a contratti di appalto di opere o servizi effettuate nell’esercizio di impresa (articolo
25-ter, Dpr n 600/1973). Questa ritenuta non viene applicata nei casi di spese sulle parti comuni, detraibili al 3650% per i lavori edili e al 65% per gli interventi del risparmio energetico qualificato, in quanto si applica solo la
ritenuta dell’8%, trattenuta dalle banche e da Poste italiane Spa, all’atto dell’accredito del pagamento.
Quindi, tutti i condomìni devono obbligatoriamente dotarsi di un proprio codice fiscale. Ciò vale anche per i
“condomìni minimi”, indipendentemente dalla circostanza che, in questi casi, non sia necessario nominare un
amministratore. Il codice fiscale del condominio deve essere utilizzato anche per la corretta intestazione delle
fatture delle spese e delle utenze per le parti comuni. Anche in caso di manutenzione ordinaria (o di categorie edili
superiori) e di risparmio energetico qualificato sulle parti comuni, le fatture “devono essere intestate al
Condominio” (circolare 24 febbraio 1998, n. 57/E, paragrafo 6), utilizzando il suo codice fiscale.
Pagamenti con detrazioni:
Secondo la circolare 21 maggio 2014, n. 11/E, risposta 4.3, anche in assenza dell’Amministratore del Condominio
(condomìni minimi), nei bonifici rilevanti per le detrazioni del 36-50% per i lavori sulle parti comuni (oltre che per
quelli per il risparmio energetico qualificato, detraibili al 65%), è necessario indicare non solo il codice fiscale
dell’eventuale condòmino che ha effettuato il pagamento, al posto dell’Amministratore (circolare n. 57/E/1998), ma
anche quello del Condominio. E anche i «documenti giustificativi delle spese relative alle parti comuni» devono
essere sempre «intestati al Condominio» (circolare n. 57/E/1998).
Il nuovo chiarimento:
Con la recente circolare 2 marzo 2016, n. 3/E, risposta 1.7, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che non è più
necessario che nella causale del bonifico venga indicato anche il codice fiscale del Condominio, nelle ipotesi in cui
i condòmini, non avendo l’obbligo di nominare un amministratore, non abbiano provveduto all’apertura di un
codice fiscale del Condominio. Questa agevolazione vale solo per i condomìni minimi, cioè quelli senza
Amministratore perché composti da un numero non superiore a otto condòmini. In assenza di codice fiscale, quindi,
per beneficiare della detrazione per gli interventi edilizi e per gli interventi di riqualificazione energetica realizzati
su parti comuni di un Condominio minimo, i condòmini potranno inserire nei modelli di dichiarazione le spese
sostenute, utilizzando il codice fiscale del condòmino che ha effettuato il relativo bonifico (e non quello del
condominio, perché inesistente). In caso di controllo, il contribuente sarà tenuto a dimostrare che gli interventi sono
stati effettuati su parti comuni dell’edificio. Inoltre, se si avvale dell’assistenza fiscale, deve esibire al Caf o
all’intermediario abilitato anche un’autocertificazione che attesti la natura dei lavori effettuati e indichi i dati
catastali delle unità immobiliari facenti parte del Condominio.
(Fonte Il Sole24Ore – Luca De Stefani.)
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Condominio e Servitù
Tradizionalmente considerati istituti incompatibili dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, più di recente la
stessa S.C. ha fatto applicazione dell’istituto delle servitù prediali ad un caso di vedute in ambito condominiale.
Brevemente, anche per una maggiore chiarezza, giova individuare e chiarire cosa siano le servitù prediali.
L’art. 1027 c.c. recita “la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo
appartenente ad un altro proprietario” ed ancora l’art. 1028 c.c. chiarisce che “l’utilità può consistere anche nella
maggiore comodità o amenità del fondo dominante. Può del pari essere inerente alla destinazione industriale del
fondo”. Dunque elementi distintivi sono: l’esistenza di due fondi distinti, la proprietà dei quali è in capo a due
differenti soggetti e l’utilità (da intendersi nel senso di cui al citato art. 1028 c.c.) del peso gravante sul fondo
servente a favore del fondo dominante.
Tra i modi di costituzione delle servitù l’art. 1031 c.c. prevede che le stesse possano costituirsi coattivamente (per
legge ex art. 1032 c.c.), volontariamente (per contratto o per testamento ex art. 1058 c.c.), per usucapione (art. 1061
c.c.) o per destinazione del padre di famiglia (art. 1062 c.c.).
Terreno di dibattiti, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, era per vero, la configurabilità di servitù a favore di
unità immobiliari in proprietà esclusiva ed a carico delle parti comuni: dovendo sussistere il rapporto di
strumentalità / accessorietà tra i due fondi nettamente separati, l’uno a servizio dell’altro, ed appartenenti a due
proprietari diversi, si tendeva ad escludere la ricorrenza dell’istituto in ambito condominiale.
Si argomentava, infatti, che l’istituto delle servitù prediali risultasse incompatibile con la disciplina del condominio
in base alla considerazione per la quale la comproprietà delle parti comuni in capo ad ogni singolo Condomino, in
virtù del legame indissolubile tra queste e la proprietà esclusiva, non consentirebbe di configurare quella
distinzione tra fondo servente e fondo dominante indispensabile per la sussistenza di un diritto di servitù.
Tale impostazione è stata superata e la giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere ammissibile la costituzione di
servitù prediali sulle parti comuni del Condominio a favore dei piani o porzioni di piani di proprietà esclusiva
purchè il Condomino utilizzi le stesse, modificandone la destinazione e conseguendo un vantaggio ulteriore e
diverso per il piano o per l’appartamento di sua proprietà rispetto all’utilitas propria del bene, che si
ripercuote in una limitazione al diritto che gli altri hanno di usare e di godere del bene: l’ampliamento della utilità –
costituendo un tipico peso imposto ad esclusivo vantaggio di un altro fondo – configura una vera e propria servitù
ex art. 1027 c.c. (Cass. 6550/2010).
Ma la tematica delle servitù in materia condominiale non si esaurisce all’ambito dei rapporti tra proprietà esclusive
e beni comuni, manifestando le sue peculiarità applicative al Condominio anche riguardo alle opere sorte in epoca
anteriore alla costituzione del Condominio stesso.
In una tale evenienza, in caso di contestazione circa la legittima presenza di tali opere, rileva la loro anteriorità
rispetto alla costituzione del Condominio: qualora motivo della doglianza fosse il mancato rispetto delle distanze
legali, la preesistenza dell’opera al Condominio fa sì che venga in rilievo una servitù costituitasi per destinazione
del padre di famiglia essendo però necessario, ai fini della predetta modalità di costituzione, che: 1) i due fondi
appartenuti in origine allo stesso proprietario siano da lui posti in una situazione di oggettiva subordinazione o di
servizio, atta ad integrare di fatto il contenuto di una servitù prediale, 2) tale situazione persista o perduri nel
momento in cui i due fondi cessano di appartenere al medesimo proprietario, 3) esistano opere visibili e permanenti
evidenzianti, in termini univoci, la relazione di asservimento.
Sussistendo tale elementi, le singole unità immobiliari saranno gravate da una servitù e conseguentemente non
potrà ottenersi la rimozione dell’opera ad esse preesistente seppur posta in violazione delle distanze legali, fintanto
non intervenga una delle cause di estinzione della servitù di cui agli artt. 1072 e s.s. c.c..
E’ quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con una recente sentenza (Cass. n. 6923/2015) con cui viene risolta
una questione afferente alla richiesta di chiusura di finestre per asserita violazione delle norme in materia di
distanze legali. La S.C. riconoscendo la sussistenza di una servitù costituitasi per destinazione del padre di famiglia,
cassa la sentenza di secondo grado con cui i giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, avevano accolto
la predetta richiesta di chiusura di due finestre aperte sul prospetto sud del corpo di fabbrica del comprensorio
immobiliare della Cooperativa costruttrice del plesso condominiale, in quanto non rispettose delle distanze legali.
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Il fabbricato era stato progettato con reciproche limitazioni di vedute e distanze e la Cooperativa edilizia, a richiesta
di uno dei potenziali acquirenti (in seguito divenuto proprietario e condomino), aveva aperto delle finestre sul
corpo di fabbrica. L’apertura delle vedute avveniva, quindi, nel momento in cui la Cooperativa era ancora l’unica
proprietaria degli appartamenti, in seguito acquistati con la stipula di mutui individuali.
Pertanto le predette vedute preesistevano alle compravendite ed alla costituzione del Condominio, con la
conseguenza che al momento dell’alienazione degli appartamenti e del venire ed esistenza della realtà
condominiale, sussisteva l’asservimento a carico delle singole unità immobiliari nei confronti di quanto realizzato
dalla Cooperativa edilizia nel momento in cui era l’unica proprietaria degli appartamenti, ovvero le vedute in
questione.
Si era cioè costituita a carico dei singoli appartamenti una servitù per destinazione del padre di famiglia ex art.
1062 c.c. vista la sussistenza delle opere (le vedute) al momento dell’alienazione dei fondi (id est le singole unità
immobiliari) da parte dell’originario proprietario (la Cooperativa edilizia).
I giudici di legittimità puntualizzano che “ (Omissis)…2.1.- Il secondo motivo censura la sentenza laddove aveva
escluso la legittimità delle vedute costituite, in applicazione dell'art. 1062 cod. civ., per destinazione del padre di
famiglia secondo quanto era stato dedotto con l'appello, tenuto conto che le stesse erano state realizzate quando la
Cooperativa era l'unico proprietario dell'edificio.
2.2.- Il motivo è fondato. Occorre premettere che, in tema di Condominio degli edifici l'applicabilità delle norme
sulle distanze legali trova limite per la ipotesi di opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione del
condominio, atteso che in tale caso l'intero edificio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere
nel suo assetto liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in vista delle future vendite dei
singoli piani o porzioni di piano, con la conseguenza che queste comportano, da un lato, il trasferimento della
proprietà sulle parti comuni (art. 1117 cod. civ.) e l'insorgere del Condominio, e dall'altro lato, la costituzione in
deroga (od in contrasto) al regime legale delle distanze di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità
immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti, in base a uno schema assimilabile a quello dell'acquisto
della servitù per destinazione del padre di famiglia (Cass. 139/1985).
La sentenza non ha tenuto conto che, al momento in cui la Cooperativa, originario unico proprietario dell'edificio,
aveva assegnato gli appartamenti acquistati in proprietà dalle parti in causa con la stipula del mutuo individuale,
l'apertura delle vedute in questione era stata già realizzata (circostanza pacifica in causa), sicché al momento in
cui con la alienazione delle singole unità immobiliari era sorto il Condominio - esisteva l'asservimento a carico
dell'appartamento dell'attrice determinato dalla presenza delle vedute in questione; pertanto, la costituzione della
servitù avrebbe trovato fonte - in virtù della mera esistenza delle opere - nella destinazione del padre di famiglia ex
art. 1062 cod. civ., dovendo qui ricordarsi che, ai fini della costituzione della servitù per destinazione del padre di
famiglia è necessaria la sussistenza dell'opera di asservimento, visibile e permanente, nel momento
dell'alienazione dei fondi da parte dell'unico originario proprietario.
Evidentemente del tutto irrilevante è la situazione dei luoghi prevista dalla progettazione, in assenza di una
specifica previsione nel singolo atto di acquisto volto ad escludere la servitù di veduta, così come la eventuale
circostanza che sia stato il convenuto a richiedere la realizzazione delle finestre quando la Cooperativa era
comunque ancora proprietaria degli appartamenti delle parti.
Il ricorso incidentale che ha a oggetto la liquidazione del danno conseguente alla ritenuta illegittimità delle
aperture è assorbito per effetto della relativa caducazione della sentenza, che va cassata in relazione al motivo
accolto, con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale dichiara inammissibile il primo assorbito l'incidentale cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione
della Corte di appello di Napoli”.
(Avv. Tiziano Dozza)
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Il rendiconto (o bilancio) condominiale a seguito della Riforma
La riforma del Condominio, operata attraverso la Legge n. 220/2012, ha, tra gli altri elementi, anche inciso sugli
obblighi contabili posti a carico dell'Amministratore del Condominio. Tali obblighi, tutti previsti a tutela dei
proprietari immobiliari, afferiscono non solo alle modalità di gestione dei beni condominiali di cui all’art. 1117
c.c., ma, anche alla gestione delle somme sia in entrata che in uscita e delle modalità di descrivere l’uso di detti
introiti (il c.d. rendiconto).
È stato infatti inserito l’art. 1130 bis c.c. secondo il quale “il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e
di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle
eventuali riserve che devono essere espressi in modo da consentire l'immediata verifica. Si compone di un registro
di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione
anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti. L'assemblea condominiale può, in qualsiasi momento o per
più annualità specificamente identificate, nominare un revisore che verifichi la contabilità del Condominio. La
deliberazione è assunta con la maggioranza prevista per la nomina dell'Amministratore e la relativa spesa è
ripartita fra tutti i Condomini sulla base dei millesimi di proprietà. I Condomini e i titolari di diritti reali o di
godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo e
estrarne copia a proprie spese. Le scritture e i documenti giustificativi devono essere conservati per dieci anni
dalla data della relativa registrazione.”.
Nella medesima riforma viene, inoltre, imposto all’Amministratore di “far transitare le somme ricevute a
qualunque titolo dai Condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del Condominio, su
uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al Condominio; ciascun condomino, per il tramite
dell'Amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione
periodica.”(art. 1129, comma 7, c.c), con l’ulteriore precisazione per cui la violazione di tale obbligo, costituendo
una grave irregolarità, poterebbe comportare la revoca dello stesso Amministratore (ex art. 1129 comma 12 n. 3
c.c.).
È proprio il conto corrente condominiale il mezzo previsto dal legislatore della riforma per verificare e ricostruire
la contabilità del Condominio.
La ratio di tali innovazioni è da rintracciare nella primaria necessità di impedire la commistione – confusione dei
due patrimoni; quello del singolo Amministratore e quello proprio del Condominio, rappresentato dalle somme di
appartenenza dei singoli proprietari e gestite, per loro conto, dall’Amministratore stesso.
Secondo quanto disposto dal succitato art. 1130 bis c.c. il “nuovo” rendiconto condominiale deve contenere tutte le
voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del Condominio, i fondi
disponibili e le eventuali riserve, voci che devono essere inserite in modo tale da consentire una loro agevole ed
immediata verifica da parte dei Condomini. In altre parole, il rendiconto condominiale può essere definito come il
documento che individua e descrive, anche in termini contabili, l’attività compiuta dall’Amministratore durante il
corso dell’anno, in modo da consentire ai singoli proprietari di controllare l’operato dello stesso.
Appare evidente che, per quanto appena detto, nel rendiconto non potranno, o meglio non dovranno, essere inserite
operazioni mai eseguite dell’Amministratore; ciò in ottemperanza al principio di veridicità secondo il quale il
rendiconto deve essere reale e deve rappresentare la situazione reale del condominio. Vieppiù, non dovranno
trovare ivi ingresso nemmeno dati ”putativi” o “virtuali” o situazioni non realmente effettuate.
Per la redazione del “nuovo” rendiconto peraltro, sembra dover trovare applicazione il c.d. principio di cassa: ossia
dovranno essere inserite solo le spese effettivamente sostenute e le entrate effettivamente riscosse (Cass. civ. sez.
III, 9 maggio 2011 n. 10153). Infatti, inserire un’operazione non realmente effettuata nel registro di contabilità
(1130 comma 8 c.c.) , significherebbe avere uno “scostamento” tra il registro di contabilità e il conto corrente
condominiale (sul quale appunto devono transitare tutte le operazioni in entrate e in uscita).
Il rendiconto condominiale deve essere redatto annualmente (art. 1130 co. 1 n. 10) e si caratterizza per essere un
documento complesso, composto da un registro di contabilità, da un riepilogo finanziario, nonché da una nota
sintetica esplicativa della gestione con l'indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti.
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Nel registro di contabilità devono essere annotate, in ordine cronologico, entro 30 giorni dalla loro effettuazione, le
singole operazioni effettuate dall’Amministratore; con la conseguenza che la sua puntuale redazione consente di
ricostruire la gestione contabile del Condominio semplicemente incrociando lo stesso con i dati del conto corrente
Il riepilogo finanziario è, appunto, una “sintesi” dei fondi e delle riserve, nonché di tutte le altre informazioni
(debiti e crediti verso terzi e verso i proprietari) che non possono essere inserite nel registro contabilità in quanto
non effettuate.
L’ultimo documento previsto dal legislatore è la relazione sintetica dell’Amministratore, documento con finalità
precipua di “spiegare” il rendiconto.
Redatto il documento di rendiconto e sottoscritto, l’Amministratore di Condominio ha l’obbligo di convocare
l'assemblea per l’approvazione entro centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio.
È opportuno sottolineare che, approvare il rendiconto significa anche ratificare l’operato dell’Amministratore, con
la conseguenza che, soprattutto in caso di gestioni “poco trasparenti”, i singoli proprietari non potranno, dopo
l’approvazione, più contestare nulla all’Amministratore.
La sanzione per la violazione di questo ultimo obbligo, anche solo per un anno, è ex art. 1129 comma 12 la
possibilità di revoca giudiziale dell’Amministratore, oltre alla possibilità di insorgenza in capo al medesimo di
responsabilità contrattuale con conseguente obbligo al risarcimento del danno.
È proprio sulla base del combinato disposto di cui agli artt. 1130 e 1129 comma 12 c.c. che si innesta il decreto del
Tribunale di Taranto del 21 settembre 2015, con il quale il tribunale Ionico ha decretato la revoca giudiziale
dell’incarico ad un Amministratore di Condominio il quale aveva presentato all’assemblea, oltre i termini stabiliti
per legge per la loro approvazione, i rendiconti di gestione di due annualità sotto forma di un unico documento
cumulativo, approvato poi dall’assemblea stessa.
Sottolinea il tribunale come la circostanza che l’assemblea abbia approvato i rendiconti non salvi l’Amministratore
dalla possibile revoca giudiziale, qualificando il ritardo nella presentazione come grave irregolarità: “la circostanza
che pur se in ritardo l’assemblea abbia approvato i due rendiconti non esclude la gravità della violazione
addebitata all’Amministratore resistente e la conseguente ricorrenza del presupposto per la sua revoca giudiziale”.
Tale decisione si fonda sul dato normativo espresso all’art. 1129 c.c., il quale attribuisce legittimazione attiva a
proporre l'azione in discorso al singolo condomino, con la conseguenza che, anche laddove la volontà della
maggioranza assembleare fosse quella di approvare l'operato dell'amministratore, ciò non potrebbe in ogni caso
escludere di per sé la sussistenza dell'illecito e la sua gravità.
Si motiva a riguardo che: “quando ci si trova di fronte a delibera assembleare che approvi rendiconti pluriennali,
non osservandosi la regola della necessaria annualità del rendiconto, si ritiene che si configuri una forma di
nullità e non di semplice annullabilità della delibera”, ciò quindi, a rimarcare la gravità della violazione, anche
quando sia avvenuta con riferimento ad un solo esercizio.
Nonostante quanto finora detto, a parere della scrivente, il vizio di nullità comminato, nel decreto di cui in
commento, per l’ipotesi di mancato rispetto del termine annuale nella presentazione del rendiconto condominiale
appare eccessivo.
Infatti, ferma l’innegabile dimensione annuale dell’esercizio di gestione di un condominio, è altrettanto pacifica la
necessità di continuità temporale nella gestione economica. Di conseguenza, ciò porta a ritenere che alcune delle
gravi irregolarità di cui al già più volte richiamato art. 1129, comma 12 c.c., non debbano necessariamente
comportare l’automatica configurazione di una ipotesi di revoca dell’Amministratore, soprattutto in quelle
fattispecie ove sia intervenuto ex post un avvallo da parte dell’assemblea dei Condomini, dovendosi diversamente
procedere caso per caso alla singolare valutazione della violazione.
(Avv. Tiziano Dozza)
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Infiltrazioni. Non vale la regola generale applicabile al lastrico solare
Se il «pozzetto» perde tutti pagano i danni
La responsabilità va attribuita alla mancata cura delle parti comuni
Se l’infiltrazione è causata dall’ostruzione di un pozzetto, i danni non possono essere addebitati al titolare del
lastrico solare. Questo chiarimento è stato dato dal Tribunale di Milano (sentenza 487/2016) e merita un
approfondimento per distinguere le parti edilizie chiamate in causa e le diverse responsabilità di condòmini e
Condominio.
Le gronde, i pluviali e i doccioni hanno il compito di raccogliere l’acqua piovana che scende sulle coperture degli
edifici per limitare gli effetti di dilavamento sulle pareti esterne, proteggendole e conservandole. Se non ci fosse
questo sistema di raccolta si potrebbe determinare un danneggiamento delle finiture esterne delle pareti a causa
della penetrazione d’acqua.
Il canale di gronda, generalmente, si trova sul bordo esterno della copertura, al termine dello sporto di gronda. In
alcuni casi però, specie negli edifici moderni, che non presentano sporto di gronda, può trovarsi all’interno rispetto
al profilo della copertura.
Il pluviale è parte integrante dei sistemi di raccolta delle acque meteoriche: anch’esso può essere all’esterno degli
edifici, oppure nascosto all’interno dello spessore dei muri. In quest’ultimo caso, sarà molto difficile, per non dire
impossibile, ispezionare il pluviale in caso di intasamento. Il pluviale è costituito da un condotto che può essere di
vari materiali (metallico, plastico o di laterizio) e può essere incassato nelle murature o ancorato alle stesse. Nella
sua parte iniziale, il pluviale è inserito nella grondaia o in un bocchettone presente nella terrazza o lastrico solare
localizzato sul pavimento o sul parapetto.
Il pozzetto serve alla raccolta di acque meteoriche provenienti da colonne pluviali. Il doccione è la parte finale del
tubo o canale di scarico esterno di una grondaia. È più frequente in palazzi antichi ed è spesso decorato con figure
fantastiche o mostruose.
Le gronde, i pluviali, i pozzetti e i doccioni di scarico delle acque meteoriche del tetto di uno stabile condominiale
costituiscono bene comune, atteso che, svolgendo una funzione necessaria all’uso comune (in quanto «servono
all’uso e al godimento comune»), ricadono tra i beni che l’articolo 1117 del Codice civile include tra le parti
comuni dell’edificio. Pertanto, se il danno provocato a unità immobiliari proviene da parti o servizi comuni
dell’edificio (come ad esempio il tetto o i lastrici), e ciò sia stato accertato con una perizia, è il Condominio a dover
rispondere dei danni.
Ne consegue che il Condominio risponde dei danni che siano derivati al singolo condòmino o a terzi per difetto di
manutenzione del lastrico solare. A tal fine i criteri di ripartizione delle spese necessarie non incidono sulla
legittimazione del condominio nella sua interezza e del suo Amministratore, comunque tenuto a provvedere alla
conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, ai sensi dell’articolo 1130 del Codice civile.
Tale regola si completa in ragione della qualità del bene da cui si prova essere stati causati i danni. Il terrazzo,
molte volte di uso esclusivo dell’appartamento che lo circonda o dell’appartamento posto all’ultimo piano,
rappresenta la copertura dell’intero stabile, definendosi, pertanto, quale lastrico solare con conseguente onere
dell’intero Condominio di provvedere alla manutenzione straordinaria dello stesso, (articolo 1126 del Codice
civile). In senso conforme si pone anche la recentissima Sentenza del Tribunale di Milano, sezione X, n. 487/2016
(giudice estensore Adriana Cassano Cicuto). In questo caso il condòmino dell’appartamento sottostante faceva
richiesta di risarcimento danni nei confronti del condomino dell’appartamento sovrastante, dotato di una terrazza a
livello di proprietà esclusiva, a seguito di copiose infiltrazioni d’acqua ma il Tribunale respingeva la domanda per
carenza di legittimità passiva.
Circa l’individuazione delle cause e, segnatamente, ai fini della ripartizione della responsabilità secondo le regole
di giudizio sopra richiamate, all’esito dell’istruttoria, doveva escludersi l’apporto causale del convenuto, in quanto
titolare esclusivo del lastrico solare ed esclusivo utilizzatore. In primo luogo veniva considerata la relazione del Ctu
che affermava che le cause delle infiltrazioni lamentate dall’attrice erano riconducibili all’intasamento dei pozzetti
posti alla base dei pluviali per l’accumulo di fogliame con conseguente impossibilità di drenare tutta l’acqua
piovana.
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Con ciò si escludeva la responsabilità del proprietario esclusivo del terrazzo, in quanto sia l’ostruzione del
fogliame, ragionevolmente, aveva determinato una intasamento non certo attuato dal convenuto, sia perché i
pozzetti non erano nemmeno nella disponibilità materiale e raggiungibili dallo stesso.
Inoltre la Consulenza Tecnica esperita, accertava che tutta l’acqua che cadeva sul terrazzo di proprietà del
convenuto veniva convogliata tramite un sistema di pendenze verso canaline disposte in fila continua sul suo
perimetro esterno.
Ciò è bastato a rendere illogica la ricostruzione di chi chiedeva i danni, che addebitava la causa delle infiltrazioni a
un asserito intasamento delle canaline per mancata pulizia del piano sovrastante a opera del titolare del terrazzo.
Terrazzo, gronde e i pozzetti , ha detto il giudice, erano in ogni caso di proprietà condominiale e i pozzetti
risultavano essere la vera causa degli allagamenti, mentre appariva del tutto inverosimile la ricostruzione del
danneggiato che voleva sostenere l’intasamento simultaneo di tutte le canaline presenti sul terrazzo.
(Fonte Il Sole24Ore – Luca Bridi)
Comunicazioni. Sarà possibile affittarli alle società telefoniche
Spazi per la fibra ottica agevolati in condominio
Per gli Amministratori e i condòmini si fa strada una nuova opportunità: è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale
n.57 del 9 marzo il Dlgs 33/2016 «Attuazione della direttiva 2014/61/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 15 maggio 2014, recante misure volte a ridurre i costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad
alta velocità», che completa l’attuazione della direttiva 2014/61/Ue (già avviata con la legge 164/2014).
Inserendo nel Dpr 380/2001 l’articolo 135-bis, dove sono definite regole per l’infrastrutturazione digitale degli
edifici, nelle nuove costruzioni e in determinate tipologie di ristrutturazioni è imposta la realizzazione di una
«infrastruttura fisica multiservizio passiva» interna e di accessi all’edificio per agevolare la realizzazione di
impianti di comunicazione elettronica. La novità si applica a tutti gli edifici (nuovi o già esistenti) dotati (o che si
doteranno) di questa infrastruttura, definita nel luglio 2015: si tratta di scatole e tubi dove collocare i cavi che le
società telefoniche posano per realizzare i collegamenti sino ai singoli appartamenti. Come nella direttiva, sono
considerati sia gli ambiti pubblici, sia gli edifici privati. In particolare, per gli edifici dotati di infrastruttura ai sensi
del Dpr 380/2001, il proprietario o il Condominio, ove costituito (equiparabile a gestore di infrastruttura fisica),
potrà mettere l’infrastruttura a disposizione degli operatori di rete, potendo (dovendo) soddisfare «tutte le richieste
ragionevoli di accesso presentate secondo termini e condizioni eque e non discriminatorie, anche con riguardo al
prezzo». Tutti i condomìni, quindi, rientrano in queste possibilità, compreso il pagamento di un fee da parte delle
società telefoniche se useranno quelle infrastrutture. Quanto pagare lo deciderà l’Agcom.
Per i condomìni che ne siano sprovvisti esiste quindi la possibilità, con una spesa ragionevole, di realizzare queste
infrastrutture (tubi e scatole come adeguati spazi installativi ma volendo anche l’impianto in fibra ottica passivo,
pronto all’uso). Per gli edifici già esistenti può essere complicato predisporrli, a meno di non sfruttare spazi già
esistenti come i vecchi canali per la spazzatura ormai chiusi, ma più semplice è predisporre la sola fibra ottica (per
poi poterla affittare a canoni interessanti). Oppure, se si prospettano 4-5 abbonamenti, l’impianto può essere
regalato dalla società telefonica. Insomma, ci sono ampi margini per una trattativa che l’Amministratore potrebbe
condurre.
È anche prevista l’identificazione degli edifici «predisposti alla banda larga» con l’etichetta rilasciata da tecnici
abilitati , come previsto dalle guide Cei 306-2 e 64-100/1,2,3 (integrate nella GT-Cei 306-22).
Inoltre, ai fini dei permessi edilizi, «le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione
elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultralarga, effettuate anche
all’interno di edifici, da chiunque posseduti, non costituiscono unità immobiliari ai sensi dell’articolo 2 del decreto
del Ministro delle finanze 2 gennaio 1998, n. 28, e non rilevano ai fini della determinazione della rendita catastale».
(Fonte Il Sole24Ore)
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L’incidenza dei costi. Un decreto impone calcoli che scoraggiano l’intervento
Occorre la diagnosi energetica
Le difficoltà per chi intende abbandonare l’impianto centralizzato sono aumentate di recente con la normativa
contenuta nel decreto dello Sviluppo economico del 26 Giugno 2015 intitolato che, all’allegato 1, punto 5.3.
prevede che , «nel caso di ristrutturazione o di nuova installazione di impianti termici di potenza tecnica monomiale
del generatore maggiore o uguale a 100 kW e anche nel caso di distacco dall’impianto centralizzato di un solo
utente/condomino deve essere eseguita una diagnosi energetica dell’edificio e dell’impianto che metta a confronto
le diverse soluzioni impiantistiche compatibili e la loro efficacia sotto il profilo dei costi complessivi, cioè
investimento, esercizio e manutenzione».
La disposizione introduce importanti elementi di novità rispetto al passato. Infatti, chi intenda distaccarsi dovrebbe
preventivamente far eseguire a sue spese una diagnosi energetica (quindi non una mera perizia tecnica). Questa
diagnosi (che deve riguardare non solo l’impianto ma anche l’edificio) avrebbe lo scopo di rendere evidente quanto
il distacco possa incidere sui costi complessivi e se esso possa determinare o meno disfunzioni nell’impianto o
spese eccessive per gli altri Condomini. La norma precisa anche che la diagnosi energetica deve considerare una
serie di soluzioni alternative come ad esempio quella dell’impianto centralizzato dotato di caldaia a condensazione
con contabilizzazione e termoregolazione del calore per singola unità abitativa.
Il problema è, però, come possa un decreto ministeriale, norma secondaria, legittimamente introdurre modifiche di
questa portata a una norma primaria quale l’articolo 1118, comma 4 del Codice civile, che non fa il benché minimo
riferimento a diagnosi energetiche obbligatorie e tanto meno a diagnosi aventi a oggetto non solo l’impianto, ma
addirittura l’intero edificio e introducendo quindi a carico dei cittadini obblighi e oneri non previsti dalla normativa
primaria.
Va poi evidenziato che alcuni problemi in materia di distacco possono sorgere anche alla luce della nuova
normativa contenuta nel Dlgs 102/2014. Secondo calcoli recentemente effettuati, la riqualificazione del
centralizzato richiede a ogni condòmino investimenti inferiori a quelli necessari per operare il distacco e per la
realizzazione dell’autonomo.
Al costo per l’investimento bisogna inoltre aggiungere la partecipazione alle spese condominiali per la
qualificazione del centralizzato, che fanno ulteriormente salire il costo complessivo della soluzione dell’impianto
autonomo. Circostanze che sembrano rendere il distacco meno conveniente, senza tener conto delle spese per le
valvole termostatiche e la contabilizzazione, alle quali il distaccante dovrà comunque partecipare, come in genere a
tutte le spese di messa a norma e straordinaria manutenzione e conservazione.
(Fonte Il Sole24Ore – V. Na.)
Alac Ravenna augura
a tutti i soci
Buona Pasqua
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