Tomaso Vecchi Memoria: ricordare il passato o predire il futuro?

La complessità della memoria
Tomaso Vecchi
Memoria: ricordare il passato o predire
il futuro?
Fin dai tempi più antichi, la memoria rappresenta una delle funzioni mentali
più importanti per capire i meccanismi psicologici che stanno alla base del
singolo individuo. Anzi, nel mondo greco e romano la memoria era usata
per definire ciò che l’uomo è. L’uomo è ciò che sa, ognuno di noi è la somma delle nostre conoscenze ed esperienze, ognuno di noi viene definito dai
propri ricordi. È facile capire l’importanza che la memoria ha assunto in
passato nel cercare di capire cosa sia l’uomo, come si possano definire le
sue capacità mentali. In un mondo dove non esisteva la possibilità di ricordare attraverso aiuti esterni – computer, libri o anche semplice appunti – le
conoscenze erano davvero ciò che l’individuo aveva di più prezioso, ciò
che lo differenziava dagli altri individui, ciò che separava il sapiente dall’ignorante, colui che sa da colui che ignora. L’importanza della memoria
nella vita di un individuo ha portato, naturalmente, a premiare nell’immaginario collettivo le persone che hanno avuto la possibilità di avere maggiori
esperienze, di acquisire conoscenze per poterle poi trasmettere ai propri
simili. Vecchiaia era sinonimo di saggezza, di uomo o donna che attraverso
la memoria possono consigliare e sapere cosa è meglio. Se l’uomo è ciò che
sa, se l’uomo è la sua memoria, allora il vecchio diventa il vecchio-saggio,
colui che ha più ricordi. Il vecchio diventa il libro vivente che trasmette le
conoscenze ai più giovani.
Questa visione dell’uomo si è mantenuta fino a oggi? È fin troppo facile
vedere come adesso la vecchiaia rappresenti un limite e non una ricchezza,
una fase della vita in cui invece di sommarsi le conoscenze che ognuno è
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stato in grado di apprendere, sono visibili solo i limiti del nostro corpo e della
nostra mente. La memoria non funziona più, non si ricorda bene il passato.
Forse addirittura non si ha bisogno di ricordare ciò che è successo e di trasmetterlo alle nuove generazioni. Perché il mondo cambia troppo tra una
generazione e l’altra e perché oramai un piccolo circuito elettronico non più
grande della nostra unghia ci permette di conservare più informazioni di
quelle che un individuo sarebbe in grado di apprendere in una vita intera.
Ma allora la memoria è inutile? Nel futuro della nostra specie vi sarà la perdita della memoria e questa funzione mentale andrà a ridurre sempre più la
sua importanza come ad esempio è successo per l’olfatto, per la nostra capacità di riconoscere e utilizzare gli odori? Forse sì, la capacità di ricordare
esattamente eventi e persone, luoghi ed esperienze si modificherà, perderà
sempre più la centralità che ha avuto in passato.
L’uomo, oggi, si può definire attraverso ciò che sa, ciò che ricorda? Cosa
sarà l’uomo del futuro, un insieme di conoscenze recuperate da un computer e poco più? È una visione arida, che ci spaventa, ma forse la speranza
che l’uomo continui a essere la somma dei propri ricordi, che le nostre
esperienze continuino a essere la guida dei nostri pensieri, viene proprio dal
cercare di capire meglio cosa sia la nostra memoria ed essere consapevoli
di una piccola verità che tutti abbiamo sperimentato nella nostra vita ma di
cui non riusciamo a essere pienamente consapevoli. La memoria non serve
per ricordare! Non solo la memoria permette di svolgere compiti molto più
complessi del semplice ricordo, ma è proprio un sistema che svolge una attività diversa. Lo scopo della memoria, la sua funzione nella nostra vita, non
è unicamente quella di ricordare il passato.
Ma allora, cos’è la memoria?
Cos’è la memoria
Cos’è la memoria e come possiamo interpretarla? Istintivamente, è facile
rispondere a questa domanda. La memoria è la facoltà cognitiva che ci permette di ricordare il passato. Noi immagazziniamo esperienze e ricordi e poi,
quando necessario, siamo in grado di ricordare, di recuperare ciò che abbiamo visto o sentito. Di rivivere una scena o immaginare la faccia di una
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persona che non vediamo da molto tempo. Ma è questa la memoria? E soprattutto: la memoria funzione davvero in questo modo?
Su questo punto si genera spesso un fraintendimento. Si tende a pensare
alla memoria come al ricordare più o meno esattamente ciò che è successo,
mentre invece la memoria è in realtà molto slegata dall’evento, da ciò che
noi vogliamo ricordare. Sebbene noi abbiamo l’impressione di ricordare il
singolo evento, cosa ci è successo, la nostra memoria funziona invece in un
altro modo. Ricordare è ricostruire i fatti sulla base delle nostre conoscenze, delle nostre informazioni, dei nostri valori e delle nostre credenze. Solo
in una percentuale infinitesima di casi ci si collega realmente all’evento in
quanto tale.
Questo avviene in parte per delle limitazioni oggettive, connesse al modo
in cui funziona il cervello. Non è infatti assolutamente possibile memorizzare gli eventi, non solo di una vita, addirittura di una giornata. Si tratta di
un compito oggettivamente impossibile, di una quantità di informazioni del
tutto superiore alla nostra capacità di ricordare. Per questo la memoria è
nella maggior parte dei casi una ricostruzione degli eventi, ovviamente non
veritiera senza che ciò implichi malafede. Si tratta infatti di un fatto non
volontario che si basa su un sistema valoriale – anche e prevalentemente su
base emotiva e motivazionale ! di valutazione del nostro agire nel mondo
che, per di più, non è dato una volta per tutte ma cambia continuamente
negli anni.
La memoria quindi serve a ricordare, certo questo è innegabile. Ma è la
natura del ricordo che cambia la sua essenza. Il ricordo si potrebbe definire
più correttamente come ciò che è ricostruito. Il ricordo viene dal passato, è
stato modificato dalle nostre esperienze e viene ricostruito nel presente. I
nostri ricordi sono il vissuto attuale di ciò che siamo stati, la memoria è il
sistema che ci permette continuamente di modificare i nostri ricordi e di
adattarli al presente. Il ricordo è mediato da ciò che in quel momento si è
diventati. Il ricordo non è collegato a come eravamo ma a come siamo. Quindi cambia, perché il “come siamo adesso” cambia negli anni e, a maggior
ragione, di fronte a eventi traumatici.
Queste considerazioni ci portano a cambiare completamente la prospettiva con cui noi valutiamo la memoria, la prospettiva con cui definiamo
l’evento stesso del ricordare. Una diversa visione della memoria diventa
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ancora più importante quando pensiamo a cosa serva davvero la nostra
memoria. Qual è la sua funzione nella nostra vita.
È davvero importante ricordare ciò che ci è successo nella nostra vita?
Ricordare particolari e dettagli, momenti specifici e sensazioni uniche? Sì,
lo è, in alcuni casi è davvero importante, ma se proviamo a pensare ai nostri
ricordi ci accorgiamo immediatamente di quanto ciò riguardi una parte limitatissima di ciò che abbiamo vissuto. Ricordiamo qualche istante e qualche
persona tra le milioni che abbiamo incontrato o visto. La memoria è anche
ricordo, è anche immagine precisa e fedele di qualche singolo istante della
nostra vita. Ma è una esperienza così rara, così poco rappresentativa di come
funziona la nostra memoria che spesso non viene neanche menzionata nei
testi che si occupano di spiegare come funziona questa funzione cognitiva.
Gli anglosassoni chiamano questo particolare aspetto della nostra memoria
come flashbulb memory, memoria che si accende come una lampadina, che
ci permette in un istante di dare luce ai nostri ricordi e di tornare esattamente al momento in cui li abbiamo vissuti. In questo periodo storico, molti
di noi ricordano esattamente il momento in cui hanno saputo del crollo delle
torri gemelle. Ricordano il luogo, il momento esatto e spesso anche le persone con cui erano, gli odori e le sensazioni che hanno provato in quel
momento. È un ricordo nitido e preciso, una lampadina che si accende. La
memoria però normalmente non funziona così. Solo in casi molto rari il
ricordo è precisione e dettaglio, vissuto stabile nel tempo e fotografia veritiera di ciò che ci è successo. Nella maggior parte dei casi non è così:
troppo dispendio di risorse cognitive e, in ultima analisi, del tutto inutile.
La memoria invece deve rielaborare i nostri vissuti, serve a modificare i nostri ricordi per poterli integrare tra loro e aiutarci a utilizzarli nella nostra
vita quotidiana. La memoria non è ricordo esatto, non è fedele trasposizione
di ciò che ci è successo. La memoria è una continua modificazione e trasformazione. Una continua ricostruzione di eventi passati per aiutarci a vivere il
presente e ipotizzare il futuro. La memoria si basa sulle nostre emozioni e
motivazioni che abbiamo avuto al momento dell’evento ma anche e soprattutto su ciò che proviamo al momento del ricordo. Questi vissuti modificano
continuamente i nostri ricordi e ciò che a noi pare vero forse non lo è.
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Verità o sincerità?
L’ultimo paragrafo ha probabilmente spaventato alcuni dei lettori. Ma allora i
miei ricordi sono falsi? Ciò che io ricordo non è davvero avvenuto? I nostri
ricordi sono una interminabile sequenza di menzogne e bugie? Naturalmente
non è così, ma per capire meglio queste affermazioni dobbiamo definire con
più precisione cosa si possa intendere con ricordo e separarlo dalla testimonianza e contemporaneamente capire la distanza che vi è tra i concetti di
verità e di sincerità.
La testimonianza è un tipo di ricordo che ci viene richiesto in situazioni
particolari, situazioni in cui si ha la necessità di ricostruire con estrema precisione un evento esterno. Spesso pensiamo alla testimonianza come a un
momento collegato a un processo, a una valutazione esatta di ciò che è avvenuto. La testimonianza non è però una funzione naturale del nostro cervello,
della nostra memoria. La memoria non è fatta per ricordare esattamente ciò
che è successo. Ne è capace, certo. Abbiamo visto come esistano i ricordi
flashbulb, precisi e immutabili; ma è un caso raro e ci sono delle condizioni
precise che permettono questa modalità di funzionamento. Condizioni legate
alla stato emotivo della persona, dove la sorpresa – intesa come emozione
primaria – sembra avere un ruolo preponderante. In tutti gli altri casi, la
memoria ricostruisce, modifica e plasma secondo l’esperienza passata e il
vissuto presente. La memoria umana non è fatta per la testimonianza. La
difficoltà che tutti abbiamo nel comprendere che la memoria non è fatta per
ricordare esattamente gli eventi ci porta anche a confondere due concetti che
tra loro sono molto lontani. Verità e sincerità.
Spesso, proprio dove viene richiesta una testimonianza, un resoconto
preciso e accurato, si tende a pensare che verità coincida con sincerità. Sono
invece due concetti molto distinti. La verità è la corrispondenza oggettiva
con l’evento passato, la sincerità è la volontà soggettiva di ricordare correttamente. In un’aula di tribunale spesso si valuta l’attendibilità di una testimonianza andando a considerare la sincerità del testimone. Ha dei motivi per
mentire? Questo però è solo il primo passo. Nel valutare la correttezza di
un ricordo, la sincerità del testimone potremmo definirla un prerequisito;
successivamente ciò che può essere considerato è invece quanto il nostro sistema cognitivo sia stato in grado di elaborare correttamente le informazioni,
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come si siano modificate nel tempo, quali fattori esterni possano aver contribuito a modificare il ricordo, quali emozioni erano o sono collegate adesso
a quel ricordo e via dicendo.
La sincerità soggettiva non porta quindi alla verità oggettiva. Potremmo
dire che la sincerità porta a un particolare tipo di verità, una verità legata al
presente che non necessariamente corrisponde alla verità dell’evento, a ciò
che abbiamo visto o ascoltato.
Chi lavora in abito clinico spesso ha ben presente la differenza tra verità
e sincerità. Il racconto del paziente è sincero, soggettivamente sincero, ma
quanto lontano dalla verità! È la verità del qui e ora, è la verità di ciò che il
paziente prova in questo momento. Non corrisponde alla verità del passato
ma è la verità del presente, la verità che deve essere utilizzata per modificare
la vita di oggi e non quella del passato.
La memoria quindi è una fonte continua di errori, errori involontari che
portano a confondere l’aspetto di correttezza della memoria con l’aspetto
della sincerità. Dal punto di vista cognitivo si tratta di due questioni assolutamente distinte. Una ha a che fare con un desiderio, quello di dire la verità;
l’altro con quanto il sistema cognitivo sia in grado di ricordare correttamente,
mentre noi sappiamo che vi è sempre una ricostruzione mediata dal nostro
sistema di conoscenze. La memoria non ha a che vedere con la sincerità,
funziona mediante rielaborazioni indipendenti dalla volontà, non consapevoli
né volontarie e, per di più, spesso transitorie. Ricordare è quindi (quasi)
sempre ricostruire: processo soggettivo e personale in cui la reinterpretazione
attuale di eventi passati gioca una ruolo fondamentale.
Come funziona la memoria?
Quando dimentichiamo un evento, ciò riguarda principalmente una particolare funzione della nostra memoria che si può definire memoria episodica.
La memoria episodica è caratterizzata in termini spazio/temporali: è cioè
vincolata a un determinato luogo e a un determinato momento. La dimenticanza è spesso legata a eventi di questo genere, e infatti ci accorgiamo di
aver dimenticato, ne siamo spesso consapevoli. Pensandoci bene, noi ci accorgiamo di dimenticare solo una percentuale molto piccola degli eventi
che viviamo, tutto il resto delle nostre giornate è del tutto assente dalla
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nostra memoria. Se proviamo a quantificare la quantità dei nostri ricordi, ci
accorgiamo che essi – normalmente – sommano a qualche secondo o minuto
di una nostra giornata, e tutto il resto del tempo scorre senza che vi sia la
necessità di ricordare ciò che è avvenuto.
Questa memoria dell’evento specifico si può considerare come una condizione particolare della dimenticanza. Quello che vediamo è in realtà la
nostra capacità di dimenticare più che quella di ricordare. È facile comprendere questo aspetto prendendo un giorno a caso della nostra vita: cosa ci è
successo il 21 marzo del 1995 o il 24 settembre del 2007? Impossibile ricordare: se ce lo avessero chiesto in quei giorni noi saremmo stati in grado
di raccontare le nostra giornata, ma a distanza di tempo tutto ciò è stato
dimenticato con grande efficienza da parte del nostro sistema cognitivo.
Anche la cosiddetta “amnesia infantile”, che riguarda i primi anni di vita,
si può ricondurre a questa incapacità di ricordare eventi specifici, in misura
maggiore per l’assenza nei bambini piccoli di quella memoria semantica,
memoria di conoscenze, che deve ancora formarsi. E che una volta sviluppata permetterà il ricordo di pochi eventi specifici attraverso la loro ricostruzione; permetterà di inserire il singolo ricordo in una rete semantica di
conoscenze e favorirne così il ricordo. Ed è importante anche in questo
caso non confondere la mancanza di un ricordo a lungo termine con l’impossibilità di ricordare nel suo insieme. Un bambino, anche molto piccolo,
ricorda molto bene ciò che gli è successo il giorno prima o anche qualche
mese prima. Tuttavia, a distanza di tempo, tutte queste informazioni saranno
completamente sparite dalla nostra memoria.
Perché quindi non riusciamo a ricordare? Come è possibile che anche
eventi molto importanti per la nostra vita vengano del tutto dimenticati? È
possibile dare una interpretazione cognitiva di questo fenomeno della dimenticanza? Tra le tante interpretazioni, lo studio dei meccanismi neurali che
permettono il formarsi di un ricordo, di ogni singolo ricordo, ci aiuta a comprendere meglio sia come si dimentica sia, in modo speculare, quali siano le
informazioni che vengono utilizzate quando noi ricordiamo, ricostruiamo.
Si è visto che c’è una particolare area del nostro cervello, l’ippocampo,
che è collegata al ricordo di un evento, alla nostra capacità di ricordare un
episodio specifico che abbiamo vissuto. Sapere questo però non spiega l’am-
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nesia infantile o perché di fronte a situazioni particolarmente traumatiche
possiamo perdere traccia di ciò che è avvenuto.
Pensiamo all’amnesia infantile. Per comprenderla, dobbiamo ricordare
due fatti: il primo che l’ippocampo, fino ai due anni di età, è una struttura
cerebrale non ben sviluppata. Il secondo aspetto è il fatto che al bambino
manca la cosiddetta memoria semantica, che ospita la maggior parte delle
nostre conoscenze, ed è questa la ragione per cui tutte le memorie episodiche
dei primi anni, che vanno a costituire la memoria semantica, vengono a
mancare. Ecco perché, in un’ottica evolutiva, al bambino non è funzionale
ricordare il singolo episodio mentre è necessario che i singoli episodi della
sua vita concorrano a formare l’insieme delle sue conoscenze future.
Per quanto invece riguarda il trauma e l’amnesia che ne può conseguire,
bisogna ricordare che nel corso di un’esperienza emotivamente rilevante si
liberano una gran quantità di ormoni steroidei. È interessante notare che
l’ippocampo è una delle aree che maggiormente assorbe gli ormoni steroidei
rilasciati in situazioni di stress. Quando ciò accade, quando cioè l’ippocampo
è, in senso chimico, saturato da queste sostanze, non riesce più a funzionare,
non riesce più a svolgere quel lavoro di mediazione neurale che sappiamo
essere alla base della formazione dei ricordi episodici. Se una quantità eccessiva di ormoni – come avviene in situazioni traumatiche – si lega all’ippocampo, questa struttura cerebrale può non riuscire più a funzionare e, di
conseguenza, non vi può essere ricordo. Certo, potrà poi esservi un ricordo
ricostruito sulla base di quello che sappiamo sia avvenuto, o di quello che
crediamo sia avvenuto.
Tutto è memoria?
Negli ultimi decenni, la ricerca psicologica si è fortemente indirizzata verso
il piano neurofisiologico. Lo studio del comportamento umano e dei fenomeni psichici che ne sono alla base non può più prescindere dalla conoscenza
della strutture anatomiche, dei meccanismi biochimici e dai processi neurofisiologici che ne sono strettamente correlati. Le prospettive future in questo
ambito sono enormi e ormai non è più possibile separare processi psichici e
strutture neurali. Nonostante questo vediamo che identificare la memoria,
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capire cosa sia la memoria in termini di strutture e meccanismi neurali sia
tuttora alquanto complesso.
Se alcune funzioni cognitive sono facilmente riconducibili a specifiche
aree cerebrali – pensiamo alla percezione visiva e in misura minore anche
al linguaggio – nel caso della memoria ciò non è possibile. Ogni processo
mentale richiede di fatto un coinvolgimento di conoscenze pregresse – riconoscere la bottiglia che vediamo sul tavolo o calcolare il resto del pane che
abbiamo appena comprato – ma ciò significa che tutto è memoria? È possibile tornare alla visione degli antichi per cui l’uomo è ciò che sa, l’uomo è la
sua memoria? Se riflettiamo su un piano filosofico, ogni uomo è il prodotto
delle proprie conoscenze ed esperienze. Il nostro comportamento è il risultato di una complessa interazione tra componenti fisiologiche e conoscenze
acquisite con l’esperienza. Se questa affermazione è facilmente condivisibile,
diventa molto più complesso identificare i cambiamenti e le regole di funzionamento del nostro sistema neurale che permettono la formazione dei
ricordi, e le strutture neurali che ne sono responsabili. Da un lato è quasi
impossibile definire in termini cerebrali una funzione complessa come la
memoria; contemporaneamente è possibile identificare la memoria come la
somma dei cambiamenti che in ogni istante avvengono nel nostro cervello.
Negli ultimi anni è diventata molto popolare la nozione di plasticità neurale. Plasticità intesa prevalentemente come capacità del nostro cervello di
modificarsi per fare fronte agli eventi esterni. Spesso ci si riferisce alla plasticità in relazione a eventi patologici che obbligano il nostro cervello a riadattarsi, per cercare di compensare le capacità cognitive che sono andate
perse. In un senso più ampio, però, la plasticità è la regola di funzionamento
di tutti i nostri processi mentali. Ogni singolo evento della nostra vita, anche
il più piccolo e insignificante, è stato percepito, analizzato ed è entrato a far
parte del nostro bagaglio di conoscenze: per fare questo ha dovuto, pur se
in misura impercettibile, modificare i meccanismi neurofisiologici del nostro
cervello. Se oggi avete visto per la prima volta la copertina di questo libro e
sarete in futuro in grado di riconoscerla vuol dire che il vostro cervello è
cambiato. Una piccola modificazione anatomica, fisiologica o biochimica,
ma il cervello è “diverso”. Se fosse esattamente identico a come era prima
che vedeste la copertina continuereste a non essere in grado di riconoscerla,
a non avere il “ricordo” della copertina.
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Anche l’ambito clinico non è poi così lontano da questa prospettiva. Si è
potuto vedere che il meccanismo entro cui agisce il processo terapeutico
basato sulla parola ! e quindi di fatto sulla reinterpretazione ! crea una modificazione nei legami sinaptici del tutto simile a quella che avviene con la
mediazione dall’esperienza o che in alcuni casi si verifica con i farmaci. La
cosa non dovrebbe sorprenderci. Cosa è più “esperienza” di un processo terapeutico? La terapia della parola può agire esattamente nello stesso modo
e determinare delle modificazioni stabili, nel lungo periodo, che fanno sì
che il soggetto trattato con la parola non manifesti più determinati sintomi.
Forse sono proprio questi cambiamenti a potersi definire memoria. La
memoria, più che una funzione unitaria, è invece l’insieme delle regole –
ancora in buona parte sconosciute – che permettono questi cambiamenti
cognitivi e neurofisiologici. Il cervello è plasticità, continua e inesauribile.
Ed è interessante notare come ciò che da sempre viene visto come stabile,
duraturo, cristallizzato, sia invece all’opposto un processo in continuo movimento. La dimenticanza o l’errore nel ricordo sono, paradossalmente, le
caratteristiche principali della nostra memoria. Per poter svolgere nel modo
migliore la propria funzione la memoria deve essere in grado di scartare, di
dimenticare la maggior parte delle informazioni con cui entra in contatto;
contemporaneamente, deve inserire ciò che invece va ricordato in una rete
semantica di conoscenze che, inconsapevolmente, modificherà il ricordo in
una interazione virtuosa tra conoscenze pregresse, evento da ricordare ed
emozioni e motivazioni associate al momento attuale. La memoria è un modificazione continua di conoscenze e strutture neurali, una rielaborazione
che permette di usare l’esperienza passata non per una sterile rievocazione,
ma per aiutare l’individuo a vivere il presente nel modo migliore.
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