OPERE IN PIETRE NATURALI
Andrea Boeri
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1.1. Definizione
La pietra naturale costituisce sin dall’antichità uno dei principali materiali da
costruzione a disposizione dell’uomo. L’architettura dei popoli antichi ne fece largo
uso, erigendo opere che talvolta, grazie alla durevolezza del materiale, sono tuttora
esistenti. Oggi, sebbene nell'uso corrente siano subentrati materiali più moderni ed
economici, conserva una sua validità architettonica ed è frequentemente utilizzata in
edilizia. E' considerata un materiale pregiato, con cui caratterizzare elementi
particolari delle costruzioni: si trova spesso nei rivestimenti esterni degli edifici, nelle
zoccolature a livello stradale, nelle fasce marcapiano, nelle soglie, nei davanzali, nei
balconi e nei rivestimenti dei portali. Negli ambienti interni è utilizzata per
pavimenti e rivestimenti.
Grazie alle caratteristiche di resistenza agli agenti atmosferici e di durevolezza, è
impiegata anche nelle pavimentazioni esterne di strade e piazze.
1.2. Classificazione
La classificazione del materiale lapideo deve necessariamente risalire all’origine
geologica, a cui è necessario fare riferimento per comprenderne le principali
caratteristiche.
Rocce endogene: formate dal raffreddamento e dal consolidamento di materiali
fusi o magmi (con fenomeno di cristallizzazione), si distinguono a loro volta in:
intrusive, a struttura cristallina, granulare. A questo gruppo appartengono i graniti,
composti essenzialmente da quarzo, feldspati e miche; la struttura normale e
granulare è molto variabile, sono resistenti, duri, durevoli, lucidabili. Il colore più
diffuso del granito è piuttosto chiaro, bianco talvolta macchiettato di grigio oppure
rosa macchiettato di nero.
Vengono impiegati come pietra concia, da taglio, decorativa, da costruzione; si
lavorano con relativa difficolta ottenendone gradini, pianerottoli, zoccolature,
contorni di aperture, davanzali, pilastri, colonne, mensole, cornici, soglie, lastre, ecc.
Appartengono a questo gruppo anche le sieniti, che, in quanta a resistenza e
durevolezza, offrono prestazioni analoghe a quelle dei graniti, i serpentini (colore
verde o rosso) usati a scopo decorativo, le oficalci (impropriamente dette marmi).
effusive o vulcaniche, a struttura parzialmente o prevalentemente amorfa (vetrosa),
come i porfidi, resistenti, duri, lucidabili, di difficile lavorazione; sono impiegati per
pavimentazioni, rivestimenti, decorazioni. Appartengono a questo gruppo anche i
basalti, di colore scuro ed utilizzati per pavimentazioni.
Rocce esogene (sedimentarie): possono formarsi da qualsiasi tipo di roccia e
derivano da fenomeni esogeni e di stratificazione, si distinguono in:
di deposito chimico: le rocce anidritiche, come i gessi, facilmente scalfibili; i
travertini, porosi ma durevoli; gli alabastri calcarei, che in spessori di pochi millimetri
sono traslucidi; i tufi calcarei, leggeri e spugnosi.
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organogene, stratificate: calcarei compatti (commercialmente detti marmi), lucidabili
e facilmente lavorabili.
clastiche, da cementazione di frammenti di rocce endogene, come i conglomerati,
le brecce (a componenti angolosi) e le puddinghe (a componenti arrotondati), le
arenarie (a componenti sabbiosi), le argille (a grana fine). Le arenarie in particolare
sono formate da sabbia e da piccoli frammenti a spigoli vivi, saldati da cemento
calcare, dolomitico, siliceo, bituminoso, argilloso, ecc.. Distinte con diverse
denominazioni, tra cui la pietra serena, sono pietre facilmente lavorabili, ma talvolta
gelive, e quindi da utilizzare con prudenza all' esterno. Si utilizzano come pietra da
taglio, concia, in lastre, ecc..
piroclastiche: come i tufi, poco resistenti, teneri e le pozzolane, incoerenti.
Rocce metamorfiche: nascono dalla trasformazione di qualsiasi roccia preesistente
che, sottoposta ad alto temperature ed elevate pressioni (statiche o dinamiche),
modifica la propria composizione chimica, con complessi processi mineralogici,
chimici e strutturali.
Possono essere anche "scistose", cioè presentare una qualsiasi tessitura orientata,
di origine metamorfica provocata dalle pressioni, che porta ad una facile divisibilità
della roccia in piani fra loro paralleli, come i gneiss, utilizzati come pietra da taglio,
per rivestimenti, scale, lastre, pavimenti, ecc..
Alla categoria delle metamorfiche appartengono i marmi propriamente detti, calcari
a grana cristallina, come lo zucchero, da cui prendono il nome "saccaroide".
Calcare saccaroide puro bianco è il "marmo statuario" delle cave di Carrara, di
grana uniforme; in altri marmi possiamo invece trovare porfiroblasti di calcite di
grosse dimensioni immersi in pasta marmifera a grana minuta. Sono utilizzati come
pietra decorativa, per rivestimenti, blocchi, lastre, ecc.
2.1.0. Requisiti
In generale i requisiti che l’opera in pietra naturale deve soddisfare sono molteplici,
comprendendo aspetti ambientali, estetici e prettamente prestazionali.
E' richiesto infatti un primo requisito di compatibilità ambientale e di integrabilità
con l’intorno, che è spesso un fattore determinante nella scelta di un materiale
lapideo. Alla salvaguardia ambientale si devono naturalmente accompagnare piena
fruibilità, sicurezza e facilita gestionale dell’opera, realizzabili soltanto con la
opportuna scelta della tipologia litoide soddisfacente le condizioni richieste. Tra gli
aspetti da considerare infatti il primo è la rispondenza del materiale lapideo ai
requisiti tecnici da soddisfare: pietre che non resistono al calpestio sono spesso
usate dove sarebbero sconsigliate; altre alterabili all’atmosfera salmastra sono
impiegate in località marine, dove, invece, un qualunque granito potrebbe
assicurare la inalterabilità desiderata.
Ci sono poi requisiti da richiedere alle singole classi di materiale, così
schematizzate:
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Pietre naturali e marmi: per qualsiasi lavoro vengano utilizzate non devono essere
gelive, igroscopiche o porose, quindi non devono assorbire acqua per capillarità ne
disgregarsi per il 9610. Devono essere compatte, omogenee, senza difetti. Il carico
di sicurezza a compressione in opera non dove mai superare il 20% del rispettivo
carico di rottura, non sono utilizzabili le pietre gessose ed in generale tutte quelle
che potrebbero subire alterazioni per l’azione degli agenti atmosferici o dell’acqua
corrente.
Inoltre le pietre ed i marmi, compatibilmente con la specie prescelta, devono essere
lucidabili in modo uniforme, mediante una serie di abrasivi sempre più dolci che
lascino vedere meglio macchie, venature, colorazioni.
Pietre da taglio: oltre ai requisiti precedenti, devono avere buona resistenza a
compressione e flessione, tenacità (resistenza agli urti), capacita di resistenza agli
agenti atmosferici e alle sostanze inquinanti, lavorabilità (attitudine ad essere
trasformate in blocchi squadrati, in lastre, colonne, capitelli, cornici) e lucidabilità.
Lastre per tetti e cornicioni: costituite da rocce impermeabili (poco porose),
durevoli ed inattaccabili al gelo, che si possano facilmente trasformare in lastre
sottili.
Lastre per interni: costituite da pietre di aspetto perfetto, lavorabili, lucidabili,
tenaci e resistenti all'usura.
Il rapporto requisiti/prestazioni relativo alle diverse utilizzazioni della pietra naturale
può essere orientativamente riassunto nello schema seguente, ove è classificata
l’importanza relativa dei requisiti tecnici dei materiali lapidei in relazione agli
impieghi in edilizia (*** molto importante; ** importante; * poco importante).
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2.1.1. Descrizione
Gli antichi romani distinguevano le pietre da costruzione in "lapides et marmora",
Con il termine pietra si indicavano quelle rocce adatte alle murature, impiegate
quasi con la medesima forma con cui i pezzi giungono dalle cave, solo sbozzati
oppure lavorati accuratamente con operazioni di taglio secondo la funzione o
l'aspetto esteriore dell’opera. La ruvidità della pietra non consente i trattamenti di
levigatura e di lucidatura che invece sono applicati al marmo, grazie alla sua grana
fine e cristallina. Per queste qualità il termine marmora indicava solo i calcari
metamorfici bianchi con cristalli aggregati in una struttura saccaroide, adatti alla
statuaria, ai fregi in rilievo o all’incrostazione dei pavimenti e dei rivestimenti
ornamentali, ma in seguito viene esteso a tutti i materiali lucidabili a prescindere
dalla durezza e dal colore.
La casistica dei paragoni tra le diverse rocce, illustrata nei trattati di architettura, si
basa soprattutto sul colore, sulla tessitura dei materiali lapidei e sulla presenza di
vene e discontinuità.
La classificazione commerciale moderna suddivide i materiali lapidei in quattro
raggruppamenti:
Marmo: roccia cristallina a grana più o meno fine, non molto dura (2-3 della Scala
Mohs), compatta e lucidabile, utilizzata tanto nell'esecuzione di parti decorative che
nella costruzione; alla categoria appartengono sia i calcari, le dolomie e le brecce
calcaree ornamentali lucidabili, che i marmi veri e propri, sempre di composizione
calcarea, con struttura ricristallizzata per metamorfismo e nelle varietà bianche,
bardiglio, gialle o rosate, caratterizzate anche da un assetto compatto, ma
finemente brecciato. Sotto la dizione commerciale di "marmi" si trovano dunque
numerose varietà di rocce, oltre ai marmi propriamente detti. Le sedimentarie
organogene sono dette "marmi" in quanto pietre ornamentali, lucidabili, calcaree
sebbene non di origine metamorfica; in colori monocromi e policromi, sono
utilizzate per decorazioni, rivestimenti, lastre, pavimenti e come pietra concia e da
taglio.
Altre pietre dette impropriamente marmi sono le brecce, rocce sedimentarie
clastiche i cui elementi sono cementati da calcite generalmente rossa o bruna ed i
serpentini, rocce metamorfiche composte, in gran parte, da un unico minerale, di
colore verde e screziate da chiazze.
Granito: roccia a cristalli ben visibili e perfettamente saldati tra loro in una struttura
granulare più o meno grossolana; sono per lo più di origine magmatica o derivano
da un metamorfismo molto spinto con elementi di elevata durezza (6-7 della Scala
Mohs).
Risultano molto compatti e resistenti, lucidabili solo con le tecniche moderne:
vengono impiegati nelle costruzioni e nella decorazione in forma di lastre.
Appartengono alla categoria i graniti veri e propri, di colore variabile dal grigio al
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rosso, secondo la composizione mineralogica, e altre rocce intrusive come la
diorite, la granodiorite, le sieniti, i gabbri.
Travertino: roccia sedimentaria di origine chimica e di colore bianco giallastro fino
al bruno chiaro, composta da carbonato di calcio. Solitamente non è lucidabile se
non alcune varietà che solo attualmente vengono così trattate dopo stuccatura. La
sua consistenza è tenera, ma abbastanza compatta, anche se la roccia è ricca di
vacuoli e di pori derivati dalla deposizione del calcare su piccoli rami o altre parti
vegetali che, una volta decomposte, vengono allontanate per dilavamento.
Nonostante la presenza della discontinuità, è molto resistente agli agenti
atmosferici e di facile lavorazione.
Utilizzato nella costruzione di piazza del Campo a Siena, di Palazzo Piccolomini a
Pienza, nel Colonnato di S. Pietro, nelle fontane di piazza Navona a Roma e, più
recentemente, nel Seagram Building a Manhattan, nel Palazzo della Società delle
Nazioni a Ginevra e nella stazione Centrale di Milano.
Pietra: roccia solitamente non lucidabile, impiegata nella costruzione o
nell’esecuzione di particolari decorativi. Alla categoria appartengono litotipi di
svariata composizione mineralogica e di diversa origine non inseribili negli altri
raggruppamenti, ma che qui vengono ulteriormente suddivisi in rocce tenere o
poco compatte e in rocce dure o compatte. Al primo gruppo appartengono i calcari
non lucidabili, le arenarie a cemento calcareo, le brecce, i conglomerati e le rocce
di origine piroclastica come i tufi e i peperini. Tra le varietà dure si annoverano
materiali usati per lo più a spacco naturale (quarziti, ardesie, gneiss e micascisti a
struttura tabulare) oppure rocce vulcaniche molto dure, usate nelle pavimentazioni
stradali, come il basalto e la trachite.
Attualmente circa il 90% dei materiali lapidei estratti è destinato ad essere lavorato
in lastre, mentre il restante viene rifinito in biocchi per opere di scultura o
architettura.
Negli interni il materiale lapideo è utilizzato in lastre e piastrelle per pareti e
pavimenti, soprattutto in edifici importanti o pubblici. Generalmente, all'interno,
non si verificano quelle condizioni di sollecitazione e di escursioni termiche presenti
all'esterno, per cui sono richieste minori garanzie comportamentali.
Negli esterni è utilizzato in molteplici tipologie di pavimentazioni (sotto forma di
ciottoli, opus incertum, lastre squadrate, ecc.,) ed in lastre come rivestimento per
facciate di edifici.
2.1.2. Materiali e principi costitutivi
E' utile, per poter utilizzare un tipo di pietra in modo conforme alle sue
caratteristiche prestazionali, conoscerne la natura chimica e mineralogica. Da essa
infatti si possono trarre importanti indicazioni relative alle proprietà del minerale in
oggetto, in quanto responsabile della maggior parte delle relative proprietà
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tecniche. In generale, infatti, le rocce endogene, a struttura cristallina od amorfa,
sono molto resistenti sia meccanicamente che dal punto di vista chimico, quindi
adatte per l' uso in ambiente aggressivo. Al contrario le rocce sedimentarie,
qualunque sia la loro specifica natura, non forniscono analoghe garanzie di integrità
comportamentale; sono più morbide ed indicate per usi ornamentali interni. Le
rocce metamorfiche presentano in genere caratteristiche intermedie ai due tipi
precedenti ed hanno un campo di applicazione molto vasto.
2.1.3. Criteri di produzione
Essendo un prodotto naturale, non necessita di operazioni di produzione, quanto di
estrazione e lavorazione. I metodi di estrazione variano secondo la tipologia litoide,
dall’uso del semplice escavatore, alle mine ed alle tecniche più moderne
(escavazione ad aria compressa, con filo elicoidale o diamantato, a fiamma e ad
acqua).
Il filo diamantato è attualmente il metodo di lavorazione migliore, utilizzato sia per il
taglio al monte che per il ritaglio delle bancate e riquadrature dei blocchi nei
piazzali. Dal blocco, attraverso successivi gradi di lavorazione effettuati in
laboratorio, si ottengono le lastre con il trattamento superficiale desiderato. Per la
movimentazione del materiale dalla cava al laboratorio e quindi ai cantiere si
utilizzano camion e treni.
2.1.4. Forma e dimensioni
Rivestimenti: sono costituiti da lastre piane di dimensioni variabili, in relazione alla
superficie a cui sono destinate.
Pavimentazioni: il materiale lapideo può essere utilizzato in varie forme e
dimensioni.
Le tipologie più comuni sono a lastre (con scansioni geometriche od a opus
incertum), a ciottoli (con eventuali riquadrature), a cubetti, gettato in opera con
pasta cementizia ed a ghiaietto.
2.1.5. Proprietà caratteristiche
Massa specifica: quoziente tra la massa di una roccia senza vuoti (ridotta in povere)
e la massa di un ugual volume d'acqua distillata a 4°C.
Massa di volume o massa specifica apparente: massa dell'unita di volume della
roccia asciutta.
Porosità assoluta o coefficiente di porosità: rapporto tra il volume dei pori (o vuoti)
e il volume totale della roccia allo stato naturale.
Resistenza all'urto: misurata dall'altezza da cui deve essere lasciata cadere una palla
di ghisa da 1 kg per rompere una lastra di roccia appoggiata orizzontalmente sulla
sabbia.
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Resistenza alla trazione: misurata (in N/cm2) dallo sforzo necessario a rompere un
provino di determinate forma e dimensioni.
Resistenza alla compressione: misurata (in N/ cm2) dal carico di rottura di un
determinato provino sotto lo schiacciamento. Il carico di sicurezza a cui possono
essere assoggettate le pietre nella costruzione è sempre molto basso (al massimo
un quinto) del carico di rottura.
Coefficiente di imbibizione: misura l’assorbimento d’acqua della pietra.
Modulo di elasticità: rapporto tra lo sforzo per unità di sezione e la corrispondente
deformazione relativa all'unita di lunghezza, è quindi un valore inversamente
proporzionale alla deformabilità del materiale.
Durezza: capacità di resistenza alla scalfittura (Scala di Mohs). Ha un solo valore per
rocce compatte ed omogenee; negli altri casi l’apparente durezza dipende dallo
stato di aggregazione, coesione e cementazione dei minerali componenti.
Resistenza all’usura: resistenza all’azione di abrasivi, misurata dallo spessore dello
strato abraso per attrito radente in determinate condizioni.
Divisibilità: attitudine a dividersi secondo direzioni particolari.
Lavorabilità: attitudine a lasciarsi forgiare in determinate forme e con determinati
caratteri di superficie. Varia con la direzione secondo cui si agisce sulla pietra; ad
esempio, il granito è facilmente lavorabile in una direzione detta verso, meno in una
normale alla prima, detta controverso, difficilmente lavorabile in una terza normale
alle altre due, detta trincante.
Durevolezza: attitudine a resistere alla degradazione causata dagli agenti
atmosferici.
Proprietà termiche: possono misurarsi il coefficiente di dilatazione, la conducibilità
termica, la resistenza al fuoco.
Colore: si distinguono rocce monocrome e policrome. Deve essere considerato che
il colore delle rocce ha una sua durevolezza e variabilità.
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2.1.6. Campi di utilizzazione
Marmi, graniti e pietre sono applicati spesso indifferentemente all'esterno e
all’interno.
In generale è consigliabile impiegare all’esterno il granito (o altre pietre vulcaniche),
all’interno il marmo (metamorfico) o le arenarie (sedimentarie), infatti i graniti, grazie
alla loro struttura compatta e resistente, contrastano bene gli agenti atmosferici,
l’inquinamento e le sollecitazioni intense. Fra tutte le rocce ornamentali il granito è
probabilmente quella che si presta alle applicazioni più svariate nell’edilizia,
presentando inoltre una notevole differenza di aspetto a seconda della finitura. I
marmi, in generale, hanno una resistenza all’usura minore; in compenso alcune
caratteristiche come le variegature e le colorazioni, li rendono adatti negli ambienti
interni. Inoltre, sottoponendoli a lucidatura, se ne possono valorizzare morbidezza e
contrasti cromatici.
E’ preferibile evitare l’accostamento di granito e marmo, in quanto le diverse
caratteristiche fisico-chimiche-meccaniche possono dare luogo a problemi di varia
natura.
2.1.7. Fornitura e deposito in cantiere
La fornitura ed il deposito in cantiere non necessitano di specifiche avvertenze, a
parte quelle dovute ai peso ed all’ingombro del materiale stesso; in particolare la
movimentazione delle lastre può presentare problemi ove sia forzatamente limitato
l’uso di mezzi meccanici. Il materiale, soprattutto se destinato ad ambienti interni e
quindi non necessariamente resistente, deve essere depositato in luogo riparato
dalie intemperie e dal gelo.
2.1.8. Tecniche di preparazione
Il materiale lapideo, prima dell'impiego, deve essere accuratamente pulito da terra
ed argilla occasionali. Per i rivestimenti in lastre è necessario che la superficie da
ricoprire sia liscia, compatta e resistente, in modo da permettere e sostenere la
posa in opera dei materiale.
Le prescrizioni antiche consigliavano di impiegare le pietre e i marmi almeno due
anni dopo l’estrazione, per fare perdere ai biocchi la cosiddetta acqua di cava e
rendere più compatta la struttura. Lo sbozzo preparatorio avviene il più delle volte
direttamente sul piazzale di cava e viene eseguito con attrezzi e sistemi diversi
secondo la natura del materiale. La tagliata a spacco, usata per il distacco dei grossi
blocchi dal fronte di cava, è impiegata anche per suddividerli in elementi minori: sul
masso sono praticati solchi e fori di piccolo diametro allineati lungo le fessure in
presenza di piani di discontinuità. Queste fenditure sono forzate con cunei di ferro o
di legno a punta ferrata; il legno secco, una volta bagnato, si gonfia fino a
provocare ii distacco delie parti.
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Nella squadratura dei blocchi si impiega lo scalpello partendo da uno spigolo reso
rettilineo con il riscontro di un regolo di legno.
Il compimento riassume una serie di operazioni che permettono la rifinitura
progressiva delle parti lapidee destinate a rimanere in vista. Spesso i piani trattati a
compimento formano fasce e corniciature che circondano superfici piane o in rilievo
lasciate appositamente a pelle grossolana, caratteristiche di molti paramenti a
bugnato sagomato.
Le lavorazioni superficiali sono effettuate con la martellina a due taglienti dentati
contrapposti (da 4 a 32 denti secondo l'effetto di finitura), battuta in direzione quasi
perpendicolare alle facce del concio. Per assicurare una granitura molto regolare e
una esecuzione più veloce si impiega il martello a bocciarda con la parte battente
suddivisa in rilievi piramidali che, sotto l'azione del colpo, provocano delle piccole
fratture di forma conica, responsabili a volte dell’accelerazione del degrado dei
materiali lapidei, causato dall’infiltrazione dell’umidità lungo le sottili cavillature che
si formano sulle superfici.
Accanto a queste lavorazioni il compimento prevede la spianatura delle facce in
vista, con sistemi che sono adoperati anche lungo i lati di giunzione quando è
necessario ottenere una perfetta aderenza tra gli elementi della muratura.
Si ottiene così una spianatura definita a pelle liscia; tale lavorazione viene
considerata già un buon grado di finitura per le arenarie, i calcari e le pietre dure a
granuli cristallini, mentre sui marmi rappresenta la fase iniziale delle operazioni di
levigatura e lucidatura. Le operazioni finali vengono eseguite solo su pannelli di
marmo da rivestimento, nelle pavimentazioni pregiate per interni e soprattutto nella
statuaria, dove è richiesta la completa eliminazione delle irregolarità e la formazione
di superfici lucenti. La levigatura consiste nell’impiego di abrasivi a grana sempre
più fine, strofinati sulle facce in vista nella medesima direzione. Per la lucidatura si
parte da queste superfici lisce, ma ancora opache, che vengono strofinate con
ossido di stagno o di piombo o, come nel caso dei marmi colorati, con ossidi di
ferro e terre abrasive rosse finche raggiungono il giusto grado di brillantezza.
2.1.9. Tecniche di realizzazione
Murature
Le pietre utilizzate nelle murature ordinarie sono ricavate dalle cave in pezzi di
forma irregolare, solitamente allungata a facce molto scabre e con dimensioni
disuniformi. Una certa regolarità viene data loro con una prima lavorazione, ma più
spesso vengono impiegate così come sono e collegate insieme a secco, cercando
di dare una certa orizzontalità ai corsi, oppure ricorrendo a un legante aereo o
idraulico per rendere il muro solidale. In questi casi l’assestamento avviene
disponendo il materiale di piatto e per corsi orizzontali in modo da alternare, come
nei muri a elementi regolari, blocchi posti per fascia e di punta con la precauzione
di sfalsare in ogni corso i giunti verticali tra il pietrame. La malta va usata con una
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certa abbondanza per circondare completamente le pietre ed evitare che si
tocchino, così da distribuire meglio il peso della muratura e impedire che si scarichi
solo sui pochi punti sporgenti dalle facce grezze. Tutti gli spazi vuoti vanno riempiti
con pietre più piccole fissate con malta, in particolare quelli presenti sul paramento
esterno, quando al termine della costruzione il muro deve essere intonacato. Per
assicurare stabilità alla muratura grezza, ogni tanto vengono intercalati in orizzontale
uno o più filari di conci ben squadrati, mentre gli angoli tra due muri, le testate e i
fianchi dei vani delle porte e delle finestre, sono irrobustiti con conci di forma
regolare, che vengono sovrapposti tra loro in modo da ammorsarsi con le altre parti
della costruzione. Talvolta si ricorre a strutture d’angolo e a piedritti in laterizio in
modo da formare murature miste, come quelle in pietrame listato, dove a distanza
di 1 - 1,5 metri si alternano agli elementi lapidei due o più corsi di mattoni.
Le murature in pietra da taglio sono le più pregevoli, realizzate con materiale
selezionato, ove la precisione delle dimensioni dei conci consente l’unione delle
parti con giunti sottilissimi.
Di norma i litotipi più compatti e duri sono destinati ai muri di fondazione, alle
cornici in aggetto, ai cantonali, alle colonne e ai pilastri mentre le strutture in
elevazione sono composte da pietre più leggere: talvolta però la difficoltà di
lavorazione fa preferire le rocce tenere e porose anche per le strutture di
fondazione in sostituzione di quelle più idonee, ma di consistenza dura.
Rivestimenti interni
I più comuni metodi di applicazione dei rivestimenti sono:
- posa in opera con imbottitura completa di malta e spinotti in acciaio;
- posa in opera su listelli di legno precedentemente ancorati alla struttura con
l’impiego di viti e bulloni a vista;
Nelle due tipologie principali:
ad elementi pre-lavorati: la posa avviene con l’uso di malta o collante specifico;
normalmente le dimensioni non sono molto rilevanti : 20 x 20 cm2; 20 x 30 cm2; 30 x
60 cm2. Gli elementi possono essere accostati senza soluzione di continuità o con
fughe.
a lastre: elementi realizzati in funzione del luogo in cui devono essere collocati e
dell'effetto estetico che si vuole ottenere; di dimensioni anche notevoli (50 x 100
cm2; 100 x 200 cm2.) con spessori che variano in funzione della superficie della
lastra.
La posa in opera si realizza con ili fissaggio dei manufatti sulle pareti grezze esistenti
(es. pilastro in cemento armato, muro in mattoni, ecc.); alle lastre vengono prima
fissati dei perni in acciaio o squadrette che servono per collegare ii pezzo alla
muratura, lasciando comunque uno spazio che viene successivamente riempito con
malta cementizia per ancorare definitivamente la lastra al supporto. In alternativa si
utilizzano per il fissaggio tasselli ad espansione. La testa dei bulloni può essere
lasciata a vista o nascosta con apposite borchie.
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Pavimentazioni interne
Le tipologie più usate e conosciute sono:
- alla genovese;
- alla veneziana.
Sono entrambe realizzati in opera impiegando materiale granulato; nel primo caso
si usa una granulometria più piccola (5 mm), nel secondo si usano grani di 20 mm
impastati con leganti e pigmenti.
A mosaico: sistema di posa antichissimo presente in varie forme: il più diffuso è
costituito da cubetti di pietra regolari.
Alla palladiana: la posa degli elementi (che hanno dimensioni tra i 10 e i 20 cm)
avviene mediante completo annegamento della pietra nel legante.
Con elementi pre-lavorati: in lastre posate in opera sul sottofondo adattandole,
mediante taglio, alle dimensioni del locale; è possibile realizzare anche lo zucconino
battiscopa. I pavimenti a disegno sono realizzati usando lastre normalmente di
pietre diverse o quantomeno con diversi tipi d lavorazione superficiale, o addirittura
combinando i materiali lapidei con il legno, il vetro, il ferro.
Galleggiante: le lastre da impiegare devono avere uno spessore minimo di 3 cm;
per lastre di 40 x 40 cm2, ma possono anche essere realizzate lastre da 1 cm di
spessore supportate da un pannello in multistrato.
La posa in opera è un’operazione impegnativa perché l'aspetto finale del lavoro
dipende dall'appropriata disposizione delle lastre e delle marmette secondo il
colore, le variegature e le macchie presenti (soprattutto per i marmi), dal loro
perfetto allineamento e livellamento. Graniti e marmi bellissimi possono essere
compromessi da un’applicazione sbagliata, che trascuri la composizione,
l'allineamento dei giunti o la planarità superficiale.
Piastrelle
L'uso della pietra naturale all’interno dell’abitazione si sta diffondendo grazie anche
alle moderne produzioni di elementi standardizzati per rivestimenti di piani verticali
e orizzontali. Dette comunemente piastrelle o marmette, possono avere spessori
minimi e, pur avendo caratteristiche peculiari da considerare, si posano con gli
stessi metodi delle piastrelle ceramiche. Si presentano come piastrelle in ceramica
con un lato da incollare ed un lato finito, ma con una differenza: mentre le piastrelle
ceramiche sono pronte da installare una volta tolte dal cartone, la marmette hanno
invece uno strato di polvere di marmo sul retro, proveniente dalla lavorazione, che,
se non rimosso, compromette una buona aderenza. La polvere può essere lavata
con acqua o incorporata nello strato adesivo mediante l’"imburratura" del rovescio
con un normale adesivo cementizio (operazione raccomandata sia che si dosi a
malta che con adesivo).
Nel metodo di posa tradizionale le marmette devono essere posate nel lotto di
malta fintanto che esso è ancora plastico (permette di battere le marmette per
avere un livello uniforme); altrimenti si usa la posa con adesivi o impasti con lattici
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sintetici su un massetto cementizio preparato in precedenza e sufficientemente
stagionato, ponendo attenzione al fatto che le piastrelle possono essere di spessore
diverso e che le possibilità di registrazione in spessore sono limitate; se si tratta di
posa in strato sottile bisogna fare attenzione al colore dell'adesivo usato (sia esso
cementizio o sintetico o epossidico): le marmette chiare hanno un aspetto diverso
se posate con un adesivo grigio piuttosto che bianco. Inoltre bisogna fare
attenzione al fatto che molti adesivi possono macchiare la pietra e che aumentano
la difficolta di ottenere una superficie liscia. I "dentelli", cioè gli scarti di livello
causa di frequenti reclami, possono essere messi in relazione con le dimensioni
delle fughe: se infatti si installano le marmette una contro l’altra senza fughe, essi
vengono messi in evidenza.
II marmo in spessore sottile è molto sensibile all’umidita e l’acqua contenuta nelle
malte di allettamento o negli adesivi può dare luogo a fenomeni d’imbarcamento.
Alcuni materiali, come i marmi verdi e le arenarie, sono talmente sensibili all’umidita
da richiedere per la posa prodotti privi di acqua, specialmente se tagliati in spessori
sottili. In questo caso si possono utilizzare adesivi poliuretanici che, non contenendo
acqua o solventi, evitano qualsiasi incurvatura o deformazione delle lastre, dotati
inoltre di ottima elasticità. Dopo la posa le piastrelle in pietra devono essere fugate
con un apposito riempitivo colorato.
Pavimentazioni esterne
Presentano varie morfologie:
Lastre: possono avere varie forme (quadrate, rettangolari e romboidali, ecc..) e
misure. Inoltre, le superfici possono essere finite in diversi modi in rapporto alle
caratteristiche del materiale impiegato. Se le lastre sono irregolari si eseguono
pavimentazioni dette ad "opus incertum" che permettono costi abbastanza
contenuti e risultati esteticamente validi, soprattutto se si usano lastre grandi; le
fughe possono essere realizzate con giunti larghi serrati o sigillati.
Ciottoli o rizzata: ciottoli sia regolari che irregolari, con diverse dimensioni e
colorazioni; la loro posa a forma regolare è detta "rizzata di citta" (diametro di 5-10
cm). Con quelli più grossi e meno regolari si possono realizzare decorazioni e
disegni geometrici. I ciottoli rallentano la corsa dell’acqua sulla superficie delle
strade e ne favoriscono l’incanalamento nelle tombinature.
Cubetti: (dimensioni da 4 a 15 cm con spessori variabili) consentono la realizzazione
di pavimenti con grandi flessibilità compositive e cromatiche, La loro posa permette
anche di seguire le ondulazioni del terreno, collegando superfici molto irregolari.
Scarti di lavorazione: possono essere impiegati per realizzare pavimentazioni valide
sia sotto il profilo estetico che tecnologico con costi molto contenuti, gettando gli
scarti delle lavorazioni dei materiali lapidei nel calcestruzzo ed ottenendo disegni e
combinazioni originali.
Ghiaietto lavato o pietrisco: la pavimentazione si realizza mediante la stesura del
ghiaietto o del pietrisco su di un letto di cemento; si può realizzare in opera o in
13
cantiere con la creazione di pannelli prefabbricati delle forme volute e
successivamente accostati o fugati in fase di posa.
Relativamente alle pavimentazioni esterne, in genere tutti i materiali lapidei
possono essere posati su un sottofondo stabilizzato costituito da un letto di sassi
rullato dello spessore di 30-50 cm e da un letto di sabbia di 5-20 cm (valori
maggiori nel caso la pavimentazione debba essere percorsa dai veicoli),
Un’alternativa è la posa su sottofondo rigido in calcestruzzo rinforzato con una rete
elettrosaldata, se non esistono problemi dovuti all’impermeabilità che tale soluzione
comporta.
2.1.10. Rapporti con altri materiali ed elementi tecnici
Se il rapporto con gli altri materiali all’interno delle costruzioni non presenta
problemi particolari, all’esterno la situazione si presenta in maniera più complessa
per vari fattori, tra i quali l’esposizione a sollecitazioni variabili e la possibile
maggiore estensione delle superfici da rivestire senza soluzione di continuità. Il
problema deve essere esaminato soprattutto in reazione al settore dei rivestimenti
esterni degli edifici, ove il materiale lapideo si trova collegato solidamente ad altri
materiali ed esposto alle variazioni climatiche e metereologiche. Si tratta di un
campo di utilizzazione particolarmente attuale, ove si sono avuti progressi tecnici
notevoli negli ultimi anni in relazione ad un ritorno d’interesse per il materiale
lapideo. Le lastre di pietra esposte all’esterno, sottoposte all’azione degli agenti
atmosferici ed agli sbalzi di temperatura, subiscono contrazioni e dilatazioni
differenti da quelle subite dalla struttura portante dell'edificio, sia essa in muratura,
cemento armato o acciaio. Questo aspetto è alla base delle tecniche di posa che
tendono a realizzare opere tecnologicamente affidabili e durature nel tempo.
Soluzione tradizionale: prevede l’imbottitura completa con malta dell’interstizio tra
struttura e rivestimento ed il fissaggio delle lastre con spinotti in acciaio
inossidabile, è caratterizzata da facilità di realizzazione e costo abbastanza
contenuto, ma presenta alcune carenze, come il trasferimento alla pietra delle
tensioni del calcestruzzo e lo scarso isolamento termico. In tali rivestimenti, la malta
di consistenza fluida tanto quanto basta per poterla colare, viene versata a tergo in
modo da riempire completamente l’intercapedine tra lastra e muratura. La notevole
diversità dei coefficienti di dilatazione termica lineare della malta cementizia e del
marmo comporta però, a lungo andare l’inaffidabilità dell’aderenza tra le lastre e la
malta cementizia di imbottitura. D’altra parte vi è incompatibilità pure tra marmo e
cemento armato. Infatti se una struttura in calcestruzzo è rivestita nel momento
della sua maggiore estensione (stagione calda) con lastre solidali con la struttura
tramite fissaggi e malta sotto l’azione di un notevole abbassamento di temperatura,
il cemento armato tenderà naturalmente a contrarsi e in ciò sarà ostacolato dal
rivestimento lapideo. Il risultato sarà lo sgretolamento progressivo del rivestimento.
E’ importante che la struttura in cemento armato possa liberamente contrarsi:
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affinché questo avvenga, le lastre devono essere distanziate di quel tanto da
permettere loro di avvicinarsi conservando, però, un certo margine tra i giunti.
Normalmente si assegna ai giunti una larghezza di 2-3 mm, il che significa un gioco
effettivo di 1 mm. L'aggancio tra lastra e ancoraggio e realizzato con spinotti che si
inseriscono in fori praticati sulle coste inferiori e superiori delle lastre.
Facciata ventilata: costituisce la soluzione attualmente più valida. Si è approdati a
questa tecnica grazie alla realizzazione di spessori sottili nei materiali lapidei
diminuendo i costi, i tempi di posa ed il carico sulle costruzioni. Il principio
progettuale di questo sistema è l’eliminazione del tradizionale riempimento di malta
dietro le lastre, formando una camera d’aria tra il rivestimento e il supporto murario.
Il rivestimento lapideo diviene indipendente dal muro, a cui si fissa
meccanicamente, con la possibilità di assorbire senza danni i movimenti strutturali:
assestamenti, dilatazioni termiche, deformazioni elastiche, ecc.
E’ importante che la ventilazione della camera d’aria sia assicurata con aperture
poste in alto e in basso delia facciata, con precisi rapporti di aerazione tali da
consentire alla condensa di disperdersi all'esterno; le aperture possono essere
protette, specialmente quelle superiori, con scossaline in rame o in acciaio per
evitare l’intrusione di uccelli o insetti in rapporto al tipo di isolante impiegato.
Il sistema di fissaggio, realizzato in profili metallici opportunamente ancorati alla
struttura muraria, consente ad ogni lastra di essere sostenuta indipendentemente
dalle altre. Su questa sottostruttura di profili o telai metallici, si fissano in seguito le
lastre, la cui posa può avvenire dall’alto verso il basso e questo comporta notevoli
vantaggi quali il controllo di non interferenze tra lastra e lastra sottostante, la facilita
e possibilità di smontare il ponteggio man mano, la sicurezza di non sporcare o
danneggiare lastre già posate.
Tali sistemi indiretti permettono un’agevole regolazione in tutte le tre direzioni
(altezza, profondità, trasversalità), facilitando anche la risoluzione di problemi dovuti
a "fuori piombo" delle pareti, talvolta motto accentuati in edifici esistenti. La
distanza tra le lastre di marmo e la parete è generalmente libera, solitamente,
comunque, è compresa tra i 6 e gli 8 cm, con una regolazione possibile di + 0 l,5cm.
L’inserimento di un pannello isolante comporta una maggiore distanza perché oltre
al suo specifico spessore, è necessario aggiungere almeno 3 cm. di spazio. La
necessità di questo vuoto è determinata dall’azione prodotta dall’aria e dalla
pioggia: la camera d’aria che si forma serve per "ventilare" la facciata, permettendo
una circolazione che mantiene inalterato l’aspetto cromatico ed elimina o almeno
riduce l’umidità. Affinché si crei una parete ventilata, tipo camino, è importante che
le lastre siano giuntate tra loro (possono essere sigillate con siliconi riempitivi) e che
vi sia uno sbocco alle estremità della facciata. La mancanza di sigillatura, anche se è
possibile, ha l’inconveniente di permettere all'acqua battente di infiltrarsi tra lastra e
lastra, scorrendo sulla superficie interna. Mantenendo comunque i 3 cm di spazio tra
lastra e isolante, si evita che l'acqua raggiunga la superficie di questo (o del muro
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nel caso che non ci sia l’isolante). I pannelli isolanti (es: lana di roccia) possono
essere incollati alla parete o fissati con tasselli.
Occorre tenere conto di diverse variabili: vento, peso del materiale, escursioni
termiche; inoltre bisogna conoscere a fondo le proprietà fisico-meccaniche dei
marmi e dei graniti scelti, le dimensioni e gli spessori.
In caso di distacco di lastre di rivestimento, le principali cause possono essere
attribuite: all'impiego di materiale gelivo o eccessivamente poroso, alla posa
prematura delle lastre rispetto alta struttura, all’imperfetto fissaggio delle staffe alla
struttura, all’inadeguato rapporto tra lo spessore delle lastre e le altre dimensioni,
all'eccessivo divario tra i coefficienti di dilatazione termica del rivestimento e della
struttura portante.
Un rivestimento esterno in lastre lapidee è sottoposto, in diverso grado, ai seguenti
fattori:
Peso proprio: il sistema adottato per l’ancoraggio delle lastre alla muratura deve
sopportare autonomamente il peso proprio delle lastre di rivestimento. Il peso
specifico di ogni roccia dipende dalla sua compattezza e dalla natura mineralogica
dei suoi componenti (peso specifico medio 2,70 kg).
Effetto del vento: le lastre più sollecitate sono quelle vicino agli spigoli; tale
sollecitazione non è però determinante, potendo raggiungere a 100 m dal suolo un
valore di pressione o di depressione di circa 65 kg/mq. Tuttavia la situazione può
aggravarsi quando all’azione del vento si associa quella della pioggia contro giunti
non sigillati.
Effetto dei sismi: la sollecitazione orizzontale dovuta a movimenti sismici non è
generalmente determinante. Deve essere comunque tenuta in considerazione se la
normativa edilizia lo impone per quella determinata zona.
Umidità e pioggia: la rapidità di costruzione lascia negli ambienti una notevole
quantità di umidità, che si elimina a poco a poco verso l’esterno attraverso i muri.
Nel caso che la posa del rivestimento sia fatta con imbottitura di malta e quindi non
esista circolazione di aria, sulla faccia posteriore delle lastre generalmente più
fredda della muratura, si produce una condensazione di vapore acqueo.
Quest'acqua, carica di sali solubili che ha incontrato avanzando attraverso il muro,
stagna nei pori della malta, provocando la formazione di efflorescenze.
Azione del gelo: può produrre i suoi effetti non solo sulle lastre ma anche nelle
malte dei giunti e nelle murature; talvolta però si attribuiscono all’azione del gelo i
distacchi di lastre provocati da altre cause.
Ritiro della struttura: per effetto dell’evaporazione dell’acqua in eccesso introdotta
durante la realizzazione, il cemento armato e la muratura subiscono un ritiro, che
per quest'ultima varia secondo il materiale impiegato (per il cemento armato è di
circa 0,3 mm/m). Tale ritiro avviene per circa due terzi entro i primi due mesi.
Deformazione permanente delta struttura: la deformazione progressiva di una
struttura in cemento armato può raggiungere da due a quattro voile la
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deformazione istantanea provocata dallo stesso carico. II fenomeno è abbastanza
lento: occorrono diversi anni prima che si stabilizzi completamente.
Deformazione elastica: ogni struttura portante al momento in cui è caricata, subisce
una deformazione elastica. Quindi se il rivestimento in materiale lapideo si fissa
rigidamente ad elementi della struttura, viene costretto a seguire le deformazioni
della stessa, trovandosi a voile sottoposto a sollecitazioni capaci di danneggiare le
lastre.
Dilatazione e contrazione: la pietra, come tutti i materiali, e sensibile alle variazioni
termiche in funzione del salto di temperatura, della lunghezza delle lastre e della
loro natura, quindi se gli elementi lapidei sono a stretto contatto con la muratura,
possono nascere tensioni capaci di rompere e scardinare le singole lastre.
2.1.11. Criteri di misurazione
Stabilite forma, dimensioni e spessore delle lastre, la fornitura di pietra naturale
viene misurata in mq. Se si tratta di elementi decorativi particolari (es. sculture) il
prezzo viene stabilito a corpo.
2.1.12. Patologie
Poiché la pietra naturale ha un’importanza rilevante non solo come materiale
utilizzabile nelle nuove costruzioni, ma anche per presenza qualitativa e quantitativa
nell’edilizia esistente, e si trova oggi inserito in un ambiente divenuto via via più
aggressivo per la presenza sempre maggiore di sostanze inquinanti, si ritiene
particolarmente attuale la trattazione, seppure sommaria, delle principali patologie
a cui è soggetta e dei possibili interventi protettivi di conservazione e salvaguardia.
Decoesione, degradazione, disgregazione, polverizzazione, scagliatura sono alcuni
dei termini impiegati per definire l’alterazione più o meno profonda della superficie
di un manufatto edilizio sottoposto all'azione delle intemperie e di taluni agenti
aggressivi presenti nell’atmosfera delle citta industriali. Queste trasformazioni
operano in senso negativo sulle caratteristiche originarie di compattezza, riducendo
e, talvolta annullando, le qualità e le doti estetiche e meccaniche dei materiali
lapidei.
La durata ed il comportamento generale della pietra naturale può variare
notevolmente a seconda delle condizioni di esposizione e di inquinamento
atmosferico a cui viene esposto, infatti la pietra, soprattutto se utilizzata in esterni,
subisce attacchi di varia natura. I processi che portano al deterioramento del
materiale agiscono in genere attraverso meccanismi principalmente di natura fisica
e chimica legati quasi sempre all’assorbimento delle acque meteoriche, da
considerare come il veicolo con cui di preferenza viene favorito l’ingresso in
soluzione di buona parte delle sostanze responsabili del degrado. Nei processi fisici
risulta importante l’azione distruttiva del vento, accentuata quando soffia per lungo
tempo in direzione costante e trasporta in sospensione particelle abrasive; anche gli
sbalzi termici possono determinare espansioni lineari tali, da causare danni per
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esfoliazione persino su corpi omogenei come quelli in granito, soprattutto se in
presenza di composti idrati all'interno della massa. I cicli di gelo e disgelo
provocano pressioni molto elevate all'interno delle piccole cavità dove si forma il
ghiaccio, seguite da un disgregamento delle pareti quando questo si scioglie (con
produzione di sfarinamenti e scagliature sui materiali porosi, come le arenarie
calcaree); molto simili sono gli effetti degli stress meccanici dovuti a cause interne
del materiale quando i sali contenuti nella struttura vengono sciolti dall'acqua di
infiltrazione e quindi ricristallizzati con una forte espansione di volume nelle zone
prossime alla superficie. Si può avere anche risalita capillare di acqua dal terreno,
con aumento di volume dei sali solubili e sgretolamento superficiale. Tutto questo
porta a una perdita dei legami interni tra le due particelle o tra i componenti
minerali, con produzione di una serie di lesioni e di fessure responsabili dei
distacchi che, inizialmente, sono microscopici, ma con il perdurare delle cause si
ingrandiscono; inoltre, le discontinuità, collegate tra loro, si estendono
progressivamente in profondità e aumentano la naturale porosità che, in misura più
o meno grande, tutti i materiali possiedono.
Una delle conseguenze più dirette è quella di facilitare la via alla penetrazione degli
agenti chimici di natura soprattutto acida derivati dai composti ossidati dello zolfo,
dell'azoto e del carbonio presenti negli scarichi industriali e cittadini. Nel degrado
di tipo chimico, l’acqua svolge sia una funzione di solvente nei confronti di
determinati composti che si trovano all'interno delle murature sia di veicolo per
sostanze di natura acida presenti nell’atmosfera. L’inquinamento atmosferico agisce
sui rivestimenti a vista, in special modo quelli di origine calcarea, annerendoli a
causa dell’accumulo di fuliggine e smog. Questi composti, disciolti nelle acque
meteoriche, vengono assorbiti dai diversi materiali attraverso i capillari di superficie
e reagiscono con ii carbonato di calcio, presente sotto forma di legante nella
maggior parte delle pietre producendo sali espansivi o facilmente solubili. La loro
azione aggrava ulteriormente la perdita di coesione degli strati più esposti e
contribuisce in modo progressivo ad aumentare l’assorbimento di sostanze
inquinanti che si fissano sulla crosta di sporcizia bituminosa che sovente ricopre i
manufatti.
Gli agenti inquinanti quali anidride solforosa, solforica, carbonica, veicolati
dall’acqua provocano un attacco acido in superficie causando dunque un lento, ma
progressivo sgretolamento. Ciò produce un aumento della porosità nella pietra, che
assorbe acqua esponendosi maggiormente all’azione del gelo e disgelo. Dalla
combustione degli idrocarburi utilizzati negli impianti di riscaldamento e nei veicoli
a motore si formano facilmente anidride solforica e anidride solforosa, due
composti che, in presenza di acqua, producono acidi in grado di attaccare il
carbonato di calcio, con formazione di strati gessosi, a base di solfato di calcio,
facilmente dilavabili. Il fenomeno non interessa solo i materiali lapidei calcarei, con
cui nel passato vennero realizzate le grandi opere di decorazione delle facciate dei
palazzi monumentali, ma anche i rivestimenti in pietra calcarea liscia o lavorata degli
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edifici più recenti. La decomposizione della pietra causata dalla pioggia e dalle
condense di umidità cariche di composti acidi porta alla formazione di zone corrose
e dilavate, alternate alle cosiddette "croste nere" che si rinvengono tanto nei punti
più riparati che su quelli esposti delle statue, dei fregi e delle membrature
architettoniche. Questi strati, composti per lo più da particelle carboniose, gesso,
calcite e sostanze bituminose, non sono solo deturpanti, ma anche un sintomo di
grave degrado che, se non viene bloccato da un intervento di restauro, può portare
alla fessurazione e alla frattura del manufatto e al suo irrimediabile deterioramento
in profondità.
Si presenta anche il caso di decadimento dovuto ad attacco biologico, da parte di
microorganismi quali muffe, alghe e licheni che provocano una disgregazione anche
profonda, sgretolando qualsiasi supporto minerale. Alcuni licheni si sviluppano
all’interno delle masse cristalline dei marmi e delle pietre da costruzione,
fessurandole grazie alle enormi pressioni che sviluppano nella crescita. In aggiunta
alle azioni meccaniche pure e semplici, muffe e licheni secernono nel loro processo
vitale acidi organici e lichenici che scompongono te parti minerali favorendo la
penetrazione profonda.
Per gli elementi costruttivi posti all’esterno, la presenza di acido nitrico tra gli
inquinanti atmosferici è altrettanto deleteria, a causa dell'aggressione e del
continuo inumidimento dovuti alla cristallizzazione dei sali di questo composto.
Anche altri fenomeni naturali come le nebbie e le piogge saline delle zone limitrofe
al mare rappresentano fattori di degrado che, se non controllati, limitando
l’assorbimento della porzione esterna del muro, possono portare al deterioramento
di quel rivestimento di facciata che, invece, è destinato a proteggere le strutture
dell’edificio.
In generale, sul materiale lapideo esistente degradato, è necessario intervenire con
una serie di operazioni complesse, riassumibili schematicamente in operazioni di
pulizia, di consolidamento e di impermeabilizzazione.
Pulizia
La pulizia delle superfici esterne di un edificio, soprattutto se di valore storicoartistico, è un'operazione complessa che necessita di un’attenta analisi sulla natura
delle croste e dei manufatti lapidei per determinare il processo chimico che innesca
il degrado e, quindi, scegliere i prodotti e le metodologie più appropriate.
Su edifici di carattere monumentale, i metodi di pulizia devono essere efficaci ma
abbastanza blandi, per rispettare le superfici, e soprattutto controllabili o addirittura
non aggressivi, mentre per edifici comuni si possono adottare sistemi più pratici,
veloci ed economici, ma sempre rispettosi dell’integrità futura della facciata. La
pulizia può essere effettuata con acqua semplice, in modo da asportare lo sporco
attraverso un'azione solvente o di idrolisi (acqua nebulizzata), oppure con sistemi
meccanici (raschietti, dischi abrasivi, sabbiatura, idro sabbiatura ecc.), anche se, a
volte, si dimostrano troppo energici; nel restauro si fa ricorso a metodi più blandi
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(micro sabbiatura di precisione, apparecchiature ad ultrasuoni) oppure a impacchi di
argille assorbenti, semmai addizionate con sostanze in grade di agire su croste
molto spesse. La pulizia chimica viene eseguita con prodotti mirati secondo la
natura del materiale da detergere. In genere, agiscono sciogliendo o
ammorbidendo le croste di sporcizia che, una volta disancorato dai supporti,
possono essere asportate con getti d’acqua fredda o calda a pressione. I composti
più usati sono di natura acida, alcalina o neutra. I detergenti acidi non possono
essere utilizzati su pietre calcaree o con legante carbonatico, ma agiscono
efficacemente su tutte le altre pietre non reattive, da cui rimuovono efflorescenze,
tracce di boiacche, di cemento e calce idraulica, croste solfatiche e altro. Anche se
in commercio esistono prodotti acidi ad azione più o meno forte, per limitare
l’aggressività si ricorre a una impregnazione d'acqua preventiva per limitare
l'assorbimento del prodotto. I detergenti alcalini vengono impiegati con successo
su pietre calcaree, intonaci e su tutti i materiali da costruzione che reagiscono in
ambiente acido; si dimostrano particolarmente efficaci su sporcizia di natura grassa
e oleosa, ma occorre neutralizzare le superfici trattate alla fine dell’operazione di
pulizia, per evitare l’azione corrosiva degli alcali.
In ogni situazione e con tutti i tipi di prodotto, al termine del trattamento occorre
procedere a lavaggio accurato e prolungato, soprattutto quando in presenza di
materiali porosi a elevato assorbimento. Per questi, sono stati studiati prodotti
gelatinosi e in pasta, con limitata penetrazione ma identiche caratteristiche; a volte,
per limitarne l’aggressività si ricorre all’interposizione di carte assorbenti tra ii
detergente e il materiale da paramento. I desolfatanti sono impiegati soprattutto
nel restauro e nella conservazione dei materiali lapidei. Il formulato, che agisce per
scambio ionico, è molto efficace per l’asportazione delle croste gessose dovute
all’azione solfatante dell’atmosfera; può essere applicato in diverse maniere (spatole
pennello, spruzzo, impacchi) creando impasti cremosi con un contenuto d`acqua
variabile in funzione delle caratteristiche del supporto.
Per semplice pulizia dallo smog in generale risulta abbastanza efficace, se si tratta di
un lapideo resistente, lavare la parete con vapore od acqua in pressione (risulta
talvolta necessario l’uso di abrasivi); per i rivestimenti calcarei si interviene invece
mediante spazzolatura.
Per combattere l’attacco chimico, si utilizzano, in relazione ai particolari problemi
incontrati, sostanze alcaline, neutralizzatori, sostanze acide, detergenti, argille
assorbenti, ecc., considerando sempre che la pulizia con detergenti chimici richiede
cautela per la difficoltà di controllo dell’azione corrosiva. In genere, s' impiegano
dei formulati in pasta diluiti, per mitigarne la azione urticante, con quantitativi
d'acqua. I detergenti sono impiegati per diminuire la tensione superficiale
dell'acqua in modo da aumentare il potere ammorbidente; il loro uso deve essere
attentamente valutato, infatti i tensioattivi oltre a sciogliere il gesso e il carbonato di
calcio (che sono i leganti più comuni delle croste), agiscono anche sulle pietre
corrodendole e formando sali solubili. Le tecniche per asportare sporcizia, corpi
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estranei e croste dai paramenti sono numerose (manuali, all’acqua, micro sabbiatura
di precisione, con apparecchiature a ultrasuoni, pulizia chimica, impacchi con argille
assorbenti) e vanno scelte sia secondo il valore del manufatto sia in base all'entità
del degrado. In presenza di forti alterazioni la pulizia va eseguita con sistemi molto
blandi, per evitare ulteriori danneggiamenti; in questi casi alcuni prodotti possono
essere impiegati come pre-consolidanti utilizzandone un quantitativo limitato per
rinforzare la coltre di superficie, cosi da poter intervenire con le tecniche più
adeguate senza causare stress chimici o meccanici alle parti troppo friabili e
deteriorate.
Consolidamento
Prima di procedere ai lavori di consolidamento, i fondi da trattare devono risultare
perfettamente puliti, asciutti e assorbenti, senza tracce di precedenti applicazioni o
rivestimenti che potrebbero impedire il passaggio del composto riaggregante. Il
trattamento consolidante di superficie, eseguito con apposite sostanze riaggreganti
e rinforzanti, tende a ridare coesione ai materiali resi friabili dagli agenti del
degrado e, in misura più o meno ampia, a proteggerli e renderli interni nei confronti
di futuri attacchi.
Perché tutto ciò sia possibile, occorre sempre determinare preventivamente le
cause dell'alterazione e verificare fino a quale profondità queste abbiano agito, così
da intervenire con composti penetranti adeguati e in grado di svolgere un'azione a
largo raggio, considerata la natura variabile dei manufatti edilizi e la concomitanza
di diversi fattori climatico-ambientali sui mutamenti che avvengono nelle proprietà
dei materiali.
Conoscere i meccanismi del degrado significa capire come l'ambiente inquinante e
i fattori climatici interagiscono con le superfici delle costruzioni e, da questo,
individuare il miglior sistema per riportare il manufatto almeno alle condizioni
originarie di compattezza e di stabilità, curando che tale situazione perduri nel
tempo senza la ricomparsa dei danni che hanno richiesto il trattamento
riaggregante; in questo caso, diviene necessario valutare se l’alterazione è dovuta
alla sola penetrazione dall’esterno delle sostanze disgreganti oppure se e in atto un
fenomeno evolutivo che produce composti capaci di innescare nuovi processi di
degrado.
A tutto ciò solo le analisi chimiche, mineralogiche e petrografiche possono dare una
risposta efficace, consentendo di determinare la composizione e lo stato dei
materiali, il grado di assorbimento, la presenza di eventuali discontinuità e la natura
dei composti originati dopo l’alterazione. Queste analisi forniscono diverse
informazioni preventive sui metodi e sulle condizioni di applicazione dei trattamenti
consolidanti e, benché siano oggi utilizzate quasi solamente per gli interventi su
manufatti di interesse storico artistico, si dovrebbe estendere il loro impiego anche
al ripristino delle facciate dei fabbricati moderni. In particolare, l'uso di apparecchi
per le diagnosi non distruttive a ultrasuoni consente di determinare lo spessore
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della coltre di alterazione sovrastante il materiale sano, evita di procedere a lunghi e
pericolosi lavori di carotaggio, che possono essere limitati solo da alcuni punti di
controllo, e per confronto permette di stabilire, ancor prima delle prove in opera, il
consumo di massima della sostanza riaggregante, il numero dei cicli di applicazione
e dove si deve procedere con un pre-consolidamento prima di effettuare le
operazioni di pulizia delta facciata.
Le superfici da trattare
Talune rocce, come i graniti, i marmi e i calcari, si presentano molto compatte e con
una porosità minima, mentre altre, come le arenarie e i tufi, hanno un assorbimento
elevato per la presenza di pori e addirittura di cavità. Però, anche nei materiali
lapidei a grana più serrata e caratteristiche originarie possono venir meno e non
solo per fenomeni di degrado indotti dagli agenti inquinanti: interventi troppo
brutali nell’estrazione o nella lavorazione - ad esempio, l’impiego di esplosivi, che in
buona parte delle cave ha sostituito il taglio a mano dalla metà dell’Ottocento, e
l’uso di strumenti per la decorazione a urto come la bocciarda - possono provocare
una fitta rete di minuscole screpolature che costellano le superfici e si spingono per
tutta la massa del manufatto, rendendolo propenso a fenomeni di alterazione.
Le maggiori difficoltà si riscontrano con le pietre porose sulle quali, di solito, una
crosta esterna dura, con resti bituminosi misti a pulviscolo cementato, sostanze
reattive e sali solubili, ricopre la superficie originaria, spesso addossata a livelli
interni induriti; a questo strato relativamente compatto segue una parte più o meno
profonda, dove mancano i legami tra le particelle e il litotipo risulta poroso e
friabile, fino a una zona di transizione, parzialmente aggregata, posta a ridosso del
nucleo sano della pietra. Dove le croste esterne sono state dilavate o asportate per
abrasione, la superficie originaria scompare rapidamente in maniera irrimediabile e
rimane solo la parte degradata, che assume solitamente una forma concava, con
una consistenza sabbiosa a particelle sciolte.
Da queste indicazioni, anche se riassuntive di fenomeni a volte molto più ampi e
complessi, si comprende come i trattamenti riaggreganti possano essere, secondo i
casi, semplici e facili da eseguire o estremamente complessi. In ogni caso, gli
interventi vanno studiati prima di procedere, in modo che la scelta dei prodotti e
delle modalità esecutive sia sempre proporzionata all’economia dell’opera e al
valore estetico del fabbricato.
Requisiti e caratteristiche dei prodotti consolidanti
I requisiti richiesti a un buon prodotto consolidante, la cui azione è destinata a
durare nel tempo senza subire le medesime alterazioni che hanno caratterizzato il
supporto degradato, sono molteplici e dipendono in massima parte dal tipo di
impiego previsto.
Innanzitutto, deve possedere proprietà riaggreganti, cioè sostituirsi al legante
scomparso e ripristinare almeno le medesime condizioni di compattezza e di
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porosità del materiale originale, formando nuovi legami tridimensionali con elevate
doti meccaniche. Questa caratteristica deve risultare stabile nel tempo, senza
formazione di prodotti secondari negativi o fasi di invecchiamento che farebbero
perdere nuovamente coesione al supporto impregnante. Contemporaneamente, il
prodotto dove essere completamente compatibile con la natura del manufatto su
cui viene appiccato e, oltre a possedere una inerzia chimica e fisica nei confronti dei
diversi materiali, deve essere indifferente all’azione dei sali, dei composti alcalini e
degli inquinanti presenti nell’atmosfera. La compatibilità del consolidante si traduce
soprattutto nel possedere doti che non contrastino con quelle del paramento su cui
viene applicato e pertanto nel permettere il libero passaggio al vapore acqueo e
nell’essere sufficientemente elastico per favorire eventuali movimenti dovuti a
dilatazioni termiche, evitando di creare strati a comportamento differente che, alla
lunga, potrebbero staccarsi tra loro, creando nuove vie di passaggio per i composti
aggressivi dell’atmosfera. Dalla composizione dipende la capacità di penetrazione
dei prodotti che devono raggiungere la parte sana del materiale senza formare
pellicole in superficie; per questo viene richiesta una bassa viscosità, un veicolo
solvente che consenta una rapida diffusione e un "pot-life" molto lungo, affinché
solo al termine dell’impregnazione si completi l’indurimento.
I prodotti destinati al restauro devono essere totalmente incolori e non provocare
variazioni cromatiche e sui minerali da impregnare anche sotto l’azione prolungata
dei raggi ultravioletti, responsabili dell'ingiallimento di diversi composti che, pur
tecnicamente validi, non sono utilizzabili su manufatti di valore estetico come
sculture o rivestimenti lapidei.
Anche la reversibilità rientra tra i requisiti richiesti per i prodotti da restauro e si
rivela indispensabile quando si vuole ripristinare la situazione precedente al
trattamento per poter applicare altre sostanze con azione maggiormente valida; in
genere diviene difficile estrarre completamente un prodotto impregnante, ma per la
coltre superficiale è possibile agire con tamponi e appositi solventi da usare con le
dovute precauzioni.
Da varie sperimentazioni sembra che i migliori riaggreganti e rinforzanti siano i
composti organici e metallorganici diluiti in solventi di natura volatile oppure
preparati sia come dispersioni che come emulsioni acquose; soprattutto queste
ultime richiedono prove preliminari accurate in quanto, per favorirne la diffusione,
sono spesso miscelate a tensioattivi che, su taluni litotipi, possono portare allo
sviluppo di sali solubili. I prodotti inorganici non rispondono pienamente alle
esigenze richieste a causa della formazione di prodotti secondari di reazione e per
le difficoltà di controllo; alcune sostanze di questo tipo sono però tuttora oggetto di
verifica, soprattutto quelle applicate ai metodi per la ricostituzione della pietra, il cui
scopo è quello di trasformare in carbonati i solfati di calcio prodotti dagli aggressivi
acidi.
Le resine epossidiche sono caratterizzate da ottime capacità leganti e conferiscono
ai paramenti disgregati una notevole resistenza meccanica ai prodotti chimici e
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all’usura; sono dotate di una buona capacità di penetrazione, ma presentano scarsa
resistenza all’ingiallimento.
Le proprietà delle resine poliuretaniche sono in buona parta conformi ai requisiti
descritti in precedenza, poiché posseggono un'ottima penetrazione in profondità su
materiali porosi, dei quali conservano le caratteristiche di permeabilità al vapore;
sono reversibili per un periodo di tempo superiore alle 36 ore, con un indurimento
controllabile fino a 24 ore dopo l’applicazione e sono compatibili con la maggior
parte delle sostanze idrorepellenti utilizzabili come protettivo impregnante al
termine del consolidamento.
Le resine acriliche e acril-siliconiche trovano impiego soprattutto nel campo del
restauro, ma spesso, per la loro facilità di applicazione e la compatibilità con quasi
tutti i materiali edilizi, vengono usate per ogni situazione. Sono prodotti
perfettamente trasparenti, molto stabili alla luce, di buone doti consolidanti, elastici
e di discrete proprietà idrorepellenti, accentuate nei composti misti con siliconi.
Risultano completamente reversibili anche dopo l’indurimento, che provoca un forte
aumento del carico di rottura nel materiale disgregato con un’elevata resistenza agli
sbalzi termici.
Le stesse proprietà caratterizzano gli aggreganti elastomerici appartenenti alla
classe dei copolimeri fluorurati che possiedono doti oleorepellenti e sono adatti a
interventi su materiali lapidei porosi e, dopo averli miscelati con le polveri del
medesimo materiale, anche come leganti per stuccature.
Su pietre con qualsiasi grado di porosità vengono usati, per le loro particolari
qualità penetranti, gli esteri dell'acido silicico che, per mezzo di catalizzatori neutri,
reagiscono con l’umidità atmosferica e con l’acqua presente negli interstizi del
materiale lapideo dando alcool, destinato a evaporare, e gel di silice che, una volta
disidratato, forma il nuovo legante tra le particelle disgregate. Oltre alla capacità di
lasciare traspirare i pori della pietra senza limitarne la naturale permeabilità al
vapore acqueo, questi preparati formano un legante minerale molto affine ai
comportamenti della pietra e agiscono, anche se miscelati con polisilossani, per
produrre composti che acquistano, oltre alle proprietà riaggreganti, funzioni
protettive idrorepellenti.
I sistemi d'applicazione
La qualità e la durata del trattamento riaggregante dipendono in genere dalla
quantità di prodotto che viene assorbito dal materiale alterato e dal suo grade di
penetrazione: su manufatti di natura compatta e con alterazioni limitate occorrono
quantità minime per ottenere buoni risultati, mentre per superfici porose, che
presentano sempre degradi accentuati, l’assorbimento viene facilitato, ma risulta
più difficile valutare la distribuzione uniforme del legante nella massa e la sua
infiltrazione fine alle parti sane. Occorre sempre eseguire prove in opera prima di
effettuare il trattamento, anche per stabilire la compatibilità tra materiali e composti
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impregnanti, le modalità d'applicazione per una massima resa e quanti cicli sono
indispensabili per saturare lo strato alterato fino a rifiuto.
Molti prodotti sono confezionati pronti all'uso, altri necessitano di una adeguata
diluizione, sempre indicata dal fabbricante, per offrire la massima resa. La
miscelazione va effettuata in condizioni ambientali adeguate con temperature
medie, fuori dall’azione diretta del sole e, se possibile, non in stagioni piovose, i
paramenti non devono essere mai troppo caldi per una lunga esposizione al sole,
ma occorre lasciarli raffreddare prima di intervenire, in modo che il solvente non
evapori con troppa rapidità e possa compiere la sua funzione veicolante. Tutte le
superfici non destinate al trattamento devono essere protette con fogli di plastica,
accorgimento valido anche nei confronti della vegetazione presente intorno
all’edificio quando si lavora con diffusori a spruzzo.
Per le superfici piane il sistema più semplice di applicazione è quello a pennello o a
rullo di lana d'agnello; in questo caso, per un buon assorbimento in profondità,
occorre ripetere parecchie volte il trattamento, lavorando anche "bagnato su
bagnato", fino a saturare il materiale e, qualora sorgessero dubbi sulla effettiva
penetrazione, è consigliabile rinnovare il trattamento dopo un paio di giorni.
Usando apparecchiature airless e irroratori a bassa pressione conviene tenere gli
ugelli a poca distanza dal paramento (10-15 centimetri); alcuni produttori
suggeriscono di procedere dall’alto verso il basso facendo ruscellare il preparato
lungo la superficie, in modo che venga assorbito già in parte per capillarità prima di
raggiungere con il getto quella porzione di superficie. Dalle aziende vengono
indicati anche sistemi per favorire la penetrazione, come quello di far precedere al
trattamento un’impregnazione di solvente la cui applicazione viene alternata anche
dopo ogni mano, così da veicolare sempre più in profondità il consolidante, che
riesce a saturare persino materiali molto porosi.
I metodi utilizzati net restauro sono soprattutto quelli ad immersione, a
impregnazione sottovuoto e con tasche. Il primo è utilizzabile solo per piccoli pezzi
maneggiabili, che vengono posti in vasche fine al completo assorbimento del
prodotto; il secondo è più adatto al trattamento di particolari architettonici, tenuti
sotto l'azione del vuoto chiudendo ermeticamente l'oggetto con un film di politene;
una volta raggiunti i valori adeguati di depressione si immette la resina o altri
composti anche ad alta concentrazione che per il gradiente di pressione creato
riescono a imbibire completamente il materiale. La tecnica delle tasche si basa sulla
diffusione capillare e consiste nel mantenere il preparato riaggregante a contatto
con il paramento per un tempo meno lungo; è usata in particolare su statue e su
rilievi decorativi che vanno rivestiti con una sostanza assorbente (tessuto, cotone,
carta) e il tutto è avvolto con fogli di politene sigillati ai bordi. Per mezzo di una
pompa la sostanza assorbente viene mantenuta impregnata a lungo con il
consolidante, che viene trasmesso per capillarità alle zone alterate del manufatto.
II trattamento riaggregante può considerarsi concluso quando le superfici da
trattare rifiutano di assorbire altro materiale impregnante: un eventuale eccesso
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provoca ingrigimenti o film lucidi sui paramenti, ma è possibile asportare questi
strati in presenza di preparati reversibili o se si agisco con adeguati solventi prima
dell'indurimento del prodotto. Eventuali ulteriori interventi protettivi con effetto
idrorepellente, necessari solo so i riaggreganti non presentano queste proprietà, si
possono applicare quando i fondi risultano completamente asciutti e dopo una
eventuale verifica, da effettuare con strumenti a ultrasuoni o carotaggi di controllo,
della distribuzione uniforme dei nuovi legami fino alla porzione profonda o sana dei
materiali rinforzati.
Impermeabilizzazione
Tutti i minerali presentano, in misura più o mono elevata, una certa porosità. Nella
loro struttura, per quanto compatta possa essere, si trovano spazi vuoti,
normalmente indicati come pori o capillari; che possono comunicare con l’esterno,
essere chiusi oppure connessi tra loro da un reticolo che collega la superficie
esterna del manufatto alle parti più interne. La forma e la dimensione di questo
reticolo ha un ruolo determinante per definire le caratteristiche dei diversi minerali e
da esso dipende il grado di penetrazione dell'acqua, condizionando quindi tutti i
maggiori meccanismi di degradazione che agiscono nelle parti delle facciate
comunicanti con la superficie. La pioggia penetra nei pori per capillarità, in quanto
bagna le pareti dei microscopici canali e in genere si addentra maggiormente nella
struttura in misura proporzionale alla sottigliezza con cui si presentano queste vie di
comunicazione. Anche se in misura diversa l’assorbimento interessa tutti i materiali:
da quelli lapidei a gran chiusa, come i graniti e il marmo, a quelli vacuolari come i
tufi; spesso è agevolato da discontinuità naturali, dalle minute crepe dovuto ai ritiri
dimensionali oppure dalla fitta rete di micro fessure create da particolari lavorazioni
a urto di carattere decorativo alle quali è stato sottoposto il paramento murario.
I protettivi idrorepellenti
I trattamenti protettivi idrorepellenti si differenziano da quelli impermeabilizzanti per
la formazione sulle superfici dei materiali di uno strato di impregnazione non
filmogeno che non occlude i pori e i sottili canali capillari. L'effetto idrofugo si
realizza perché le resine impiegate sono assorbite dalle pietre in maniera
proporzionale alla loro porosità e vanno solo a rivestire con un sottile strato le pareti
interne del reticolo capillare: ciò crea una forte tensione superficiale lungo le vie di
ingresso dell’acqua e ne impedisce l'assorbimento per attrazione capillare. I pori e i
capillari rimangono quindi aperti e la loro sezione solo leggermente ridotta dalla
pellicola di resina aderente alle pareti; questo permette alla muratura di continuare
a traspirare: infatti, viene impedita la penetrazione d'acqua, ma si mantiene quasi
inalterata la permeabilità al vapore, senza creazione di barriere che potrebbero
essere la causa di condense interstiziali, di distacchi e di esfoliazioni. Questi effetti
potrebbero manifestarsi dopo il trattamento di murature sature d'acqua, dato che la
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protezione idrorepellente agisce nei due sensi: sia dall’esterno verso l’interno che
dall’interno verso l'esterno.
Per questo la parete su cui vanno applicati i prodotti protettivi deve essere
completamente asciutta e non impregnata da infiltrazioni dovute alle discontinuità
superficiali o a risalita capillare di acqua dal sottosuolo, mentre è accettabile, e in
taluni casi necessario alla reticolazione dei prodotti, un certo tasso di umidità
naturale dei materiali di paramento, che può essere smaltita sotto forma di vapore
attraverso i pori e i canali capillari non ostruiti dalla sostanza idrofuga.
Requisiti
L'adesione perfetta al supporto, in modo da garantire una tenuta completa, l'inerzia
nei confronti dei fattori del degrado, la resistenza all’imbrattamento da parte delle
particelle carboniose sospese nell’aria sono alcuni dei requisiti richiesti al composto
protettivo idrorepellente dei materiali di facciata; per questo l'azione di difesa deve
risultare idonea e funzionale in un'ampia gamma di situazioni, derivate dalla natura
chimica dei materiali da proteggere e dalle condizioni complesse e articolate delle
diverse realtà ambientali.
E' difficile trovare prodotti chimici in grado di essere applicati su tutte le superfici e
di fornire risposte positive in ogni circostanza: sul mercato sono infatti disponibili
numerosi prodotti da applicare sui diversi materiali di facciata per ottimizzare le
prestazioni senza avere fenomeni secondari indesiderati. Oltre alla proprietà di
rendere idrofobe le superfici e, quindi, evitare la bagnatura e l'assorbimento
ottenendo la formazione di gocce che scivolano via (effetto perlante), i composti
impregnanti devono assicurare il mantenimento delle proprie prerogative per lungo
tempo. Tuttavia, questo trattamento che separa il materiale dall’ambiente va
considerato come un'operazione di tipo periodico da eseguire durante la normale
manutenzione: i prodotti hanno infatti una durata limitata, che raggiunge i 5 anni in
condizioni sfavorevoli e i 10-15 in situazioni non eccessivamente gravose.
L'azione dell'insolazione diretta e prolungata può determinare nel tempo effetti di
invecchiamento sui prodotti protettivi con cui vengono trattate le pareti degli
edifici. Una buona soluzione impregnante non deve ingiallire causando variazioni
cromatiche nel supporto, ne perdere le sue proprietà idrofughe ed elastiche, In
realtà, l'esposizione continua ai raggi solari tende, con il tempo, ad alterare le doti
idrorepellenti anche se i materiali trattati conservano a lungo una permeabilità
sufficiente a garantirli da un eccessivo assorbimento d'acqua.
La resistenza agli inquinanti atmosferici è determinata principalmente dalla quantità
di soluzione idrorepellente che la struttura è in grado di assorbire e dalla profondità
di penetrazione del prodotto nel materiale lapideo; tutto ciò dipende senz'altro
dalla natura chimica delle sostanze impiegate e, soprattutto, dalla loro struttura
molecolare, dalla possibilità di effettuare il trattamento in diversi cicli successivi,
dalla velocità con cui le sostanze si condensano reagendo in superficie prima che
sia avvenuta la completa saturazione, ma è anche proporzionale alla permeabilità e
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alla porosità dei materiali da costruzione. Caratteristiche, queste, sempre molto
variabili in funzione della natura litologica delle pietre e dei marmi (calcarea,
arenacea, granitica, porfirica, ecc.) e della loro tessitura superficiale (ruvida, levigata,
lucidata). A titolo indicativo, la sostanza idrorepellente dovrebbe formare con ii
solvente una soluzione in grado di penetrare per almeno 2-3 millimetri nei materiali
più compatti, come il marmo ed il granito, mantra per i materiali più porosi si
dovrebbero raggiungere profondità proporzionali, fino ad un minimo di 20
millimetri, misura reputata indispensabile per proteggere gli elementi più ricchi in
cavità, come ad esempio le pietre tenere vacuolari.
Proprio per queste differenze di comportamento, occorre sempre effettuare prove
preliminari per determinare la quantità esatta di soluzione idrorepellente necessaria
a raggiungere la completa saturazione della superficie, pur senza ottenere un
effetto lucido, indizio di una stesura eccessiva di prodotto. Procedendo per
campioni in opera, viene valutata anche la compatibilità delle sostanze impiegate
con le caratteristiche del supporto. Infatti, alcune sostanze non vengono assorbite
se le superfici sono troppo compatte o non sono adatte all'impregnazione di
determinati materiali.
Gli idrorepellenti impregnanti
Si tratta per lo più di formulati a base di resine sintetiche, ma vengono impiegati
anche i cosiddetti saponi metallici (stearato di alluminio), miscelati con altri
composti organici di natura elastica e dotati di comportamento stabile nei confronti
dell’ambiente alcalino, e le cere minerali, fisiodegradabili in modo naturale, da
usare in particolare sulla pietra per ripristinarne le proprietà cromatiche. L' utilizzo
avviene diluendo il prodotto base e facendo attenzione a non formare un velo
lucido sulle superfici.
I prodotti più impiegati nei trattamenti idrorepellenti sono però quelli derivati dai
composti organici del silicio. Le resine siliconiche sono incolori, presentano
un'ottima resistenza alla luce solare, agli agenti atmosferici e agli agenti ossidanti e
non risentono delle variazioni di temperatura e umidità. Possono essere assorbite
anche nei materiali lapidei molto compatti, con capillari estremamente sottili; la
capacità di penetrazione è migliorata dal solvente, anche se spesso la
commercializzazione avviene sotto forma di concentrati. In generale, le resine
siliconiche presentano una forte affinità chimica con i componenti del supporto e
dopo il trattamento impregnante si ha la formazione di "ponti" e di legami
incrociati che producono forte tensione superficiale a contatto con l'acqua e ottime
proprietà idrofughe, accompagnate solo da una parziale occlusione dei capillari
(inferiore al 20%).
Le resine fluoro-carboniche, soprattutto se in miscela bilanciata con altri
copolimeri, hanno un alto potere di penetrazione, accompagnato da una elevata
resistenza all'imbrattamento, alle macchie oleose e alle soluzioni saline; inoltre, non
manifestano sottoprodotti nocivi. In particolare, i perfluoropolieteri, usati
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principalmente nel campo del restauro e della conservazione dei materialilapidei,
per le loro caratteristiche di inalterabilità nel tempo e di resistenza agli agenti
aggressivi, sono impiegati in ogni condizione ambientale quando si presentano
problemi di assorbimento d'acqua e imbrattamento da particelle derivate
dall’inquinamento; i prodotti, insolubili nella maggior parte dei solventi, sono
completamente reversibili per la loro inerzia chimica nei confronti del supporto, al
quale aderiscono tenacemente, pur conservando le doti naturali di traspirazione dei
materiali.
Applicazione
Per garantire una buona impregnazione in profondità, prima del trattamento
occorre verificare che dalle superfici siano state asportate tutte le sostanze che
possono limitare l’aderenza del protettivo e le sue doti idrorepellenti. Per le facciate
appena costruite è sufficiente attendere che i materiali si asciughino e il grado di
umidità si stabilizzi su valori medi, anche se, in alcuni casi, può essere necessario
inumidire i paramenti per consentire una buona reticolazione della sostanza
impregnante. Tutte le operazioni riguardanti la pulizia della facciata, l’asportazione
di tracce di solventi, detergenti, depositi organici o efflorescenze saline,
l’otturazione di fessure e sconnessioni, il consolidamento del materiale, devono
essere effettuate prima dell’applicazione del protettivo; tanto per la pulizia che per
quanto riguarda i trattamenti consolidanti, molte aziende dispongono di linee
complete per detergere e ripristinare l’originaria compattezza dei materiali, con
prodotti compatibili con le sostanze idrorepellenti di propria produzione.
Occorre sempre verificare la compatibilità tra i diversi strati, soprattutto quando si
utilizza un protettivo in soluzione di solventi organici, che non deve essere messo a
contatto con materiali di tinteggio a base di resine, bensì utilizzato solo su pitture
con componenti inorganici.
L’applicazione del prodotto idrorepellente deve essere effettuata con una certa
cura, in modo che si raggiunga la saturazione del supporto senza eccedere in
prodotto ed evitando, così, sgradevoli effetti lucidi sulle facciate. Il sistema più
usuale per stendere le sostanze idrofughe è quello a spruzzo a bassa pressione, ma
spesso è possibile ricorrere al pennello o al rullo di lana, soprattutto nei punti in cui
risulta difficoltoso controllare l’impregnazione con altri metodi. I prodotti vengono
stesi in una o più mani, secondo la loro composizione e il tipo di substrato; per
alcuni occorre lasciar trascorrere un certo periodo di tempo tra un ciclo e l’altro,
mentre per gli impregnanti dotati di un'alta velocita di reazione occorre lavorare
"bagnato su bagnato" per consentire una perfetta penetrazione. Il trattamento non
va eseguito con temperature ambientali troppo rigide oppure eccessivamente
calde; anche il grado di calore del supporto è importante e non è possibile
stendere il protettivo su murature gelate o esposte al sole.
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Le pareti impregnate vanno sempre protette dall’azione diretta della pioggia, del
vento e del sole, fino a quando le sostanze idrorepellenti non diventano
completamente attive.
Durante il trattamento devono essere isolate, con teli o altri diaframmi, tutte le
superfici da non impregnare (infissi metallici e non, vetri, parti verniciate ecc.) ed è
indispensabile evitare di colpire con i getti la vegetazione e le piante che, se
irrorate, in breve deperiscono e muoiono.
2.1.13. Norme e specifiche di prestazione
La materia riguardante le pietre naturali e le relative prove fa riferimento ai R.D. n.
2232 e 2234 del 16 settembre 1939 ed al R.D. n.2229 del 16.11.1938.
I fattori determinati sono:
- carico di rottura a compressione;
- peso di unità di volume;
- modulo di elasticità normale.
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