Manuale di ingegneria finanziaria

MANUALE
DI INGEGNERIA FINANZIARIA
PER LE IMPRESE E LE COOPERATIVE
DELLA PESCA
INDICE
PREMESSA
CAPITOLO PRIMO
ECONOMIA ITTICA TRA RECUPERO DI REDDITIVITA’
E INTEGRAZIONE DI FILIERA
CAPITOLO SECONDO
CONCETTI BASILARI DI ECONOMIA AZIENDALE
CAPITOLO TERZO
LA GESTIONE MANAGERIALE
CAPITOLO QUARTO
LA GESTIONE FINANZIARIA
CAPITOLO QUINTO
LA GESTIONE ORGANIZZATIVA
CAPITOLO SESTO
IL VALORE D’IMPRESA
CAPITOLO SETTIMO
LE CAUSE DEL DECLINO E DELLA CRISI
DELLE IMPRESE ITTICHE E IL PIANO DI RISANAMENTO
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PREMESSA
E’ necessario rendere più accessibili i mercati finanziari e creditizi per garantire
un reale sostegno alle imprese e dare forza al processo di consolidamento e del
settore ittico. In mancanza di una vera azione di rafforzamento e
razionalizzazione dell’accesso al credito, qualunque misura di sostegno al
settore può risultare vana e inefficace (investimenti dove le imprese devono
contribuire almeno con il 60%).
Il contesto nazionale è ben noto: negli ultimi 10 anni sono stati persi circa
17.000 posti di laoro (da 46 mila a 29 mila addetti) mentre le catture sono
diminuite del 48%; analogamente, la redditività è scesa del 31% mentre le
risorse nazionali per la programmazione di settore del 77%; imbarcazioni a 30% e flessione media annua della produzione pari al 4,7%.
Le caratteristiche di debolezza imprenditoriale, manageriale e patrimoniale che
caratterizzano l'economia ittica sono giustamente considerate ostacoli
formidabili per uno sviluppo equilibrato ed autosufficiente del settore.
Due sono i problemi indicati come prioritariamente da risolvere: l'efficienza
operativa e la validità dell'iniziativa imprenditoriale.
Lo scopo di questa pubblicazione - che potrebbe essere quasi definito un
instant book e che di questi ha certo i difetti e, si spera, qualche pregio - è
cercare di dare sostanza – a questi ed altri concetti anche per contribuire a
chiarire di che cosa esattamente si sta parlando, di dare consistenza a questi
ragionamenti e di rendere accessibili al maggior numero possibile di operatori
del sistema pesca alcuni metodi e strumenti di buona gestione aziendale che
non sempre sono applicati nelle nostre realtà, come invece dovrebbero.
Troppe volte la specificità - reale, realissima - del nostro settore viene invocata
come un alibi per non aprire le imprese e le cooperative a criteri gestionali che
in altri settori ormai non sono più innovativi, ma di uso quotidiano e
sedimentato. La dimensione ridotta e l'embrionalità organizzativa non devono
essere considerati aprioristicamente come un fattore limitativo che non
consente di cercare di cogliere il meglio da ciò che ci circonda e che può essere
utile per crescere e produrre ricchezza.
Come evitare la marginalizzazione imprenditoriale delle imprese (anche
cooperative) della economia ittica?
Ci si rifarà a metodi e strumenti che spaziano dalla teoria dei mercati alla
corporate finance, alla teoria dello sviluppo organizzativo, passando
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ripetutamente per il problema del credito e per altri ancora, partendo da
un’esperienza ormai più che decennale dell'autore nell'affrontare giornalmente
e nel cercare - quando possibile - di risolverli.
Citando Pietro Rossi, si vuole poi adottare l'antico e ormai dimenticato - in un
mondo di specializzazione sempre più esasperata - metodo praticato in
medicina del consilium: non ci si vuole rivolgere solo al collega medico, ma si
vuole che le informazioni e i concetti circolino anche tra i soggetti interessati e
che i trattamenti suggeriti siano perfettamente comprensibili anche al paziente.
Vuole essere un sondaggio entro un territorio ancora poco esplorato da molte
imprese e cooperative dell'economia ittica per convincerle che la corretta
applicazione di metodi e strumenti manageriali è una necessità assoluta, ma
non vuole essere un libro di ricette da applicare pedissequamente.
Coltiverebbe inoltre l'ambizione di essere immediatamente utile per tutti coloro
che svolgono una funzione manageriale nelle nostre cooperative, anche
soltanto come stimolo per approfondire maggiormente alcuni argomenti di
natura più propriamente tecnica solo accennati nella trattazione.
E’ infatti solo un'introduzione, in cui si è cercato però di affrontare in poche
pagine - per non scoraggiare i potenziali lettori - anche temi complessi
rapportandoli ai problemi e alle possibilità operative delle piccole imprese del
nostro settore. Si è voluto seguire un filo logico, partendo dai problemi di chi
opera nel settore ittico, e anche considerando il fortissimo credit crunch che
potrà comportare sul mercato del credito, devono affrontare per realizzare una
efficace politica di filiera (nuove politiche di incentivazione e nuovi strumenti di
intervento) per poi passare ai principi di una buona gestione manageriale,
finanziaria e organizzativa e agli strumenti di possibile applicazione.
Vorremmo nell'immediato futuro - ma il lettore non l'interpreti come una
minaccia - a questa trattazione introduttiva inevitabilmente enciclopedica ed
elencativa far seguire pubblicazioni monografiche su ciascuno degli aspetti
della sana gestione manageriale delle imprese e cooperative dell'economia
ittica.
Siamo consapevoli del fatto che molte delle tematiche trattate, a una lettura
superficiale, possano essere considerate valide solo per le aziende di
trasformazione
e,
parzialmente,
per
quelle
impegnate
nella
commercializzazione. Siamo però altrettanto convinti che, trattandosi di principi
generali, la loro validità si conservi inalterata anche per le imprese di pesca, di
acquacoltura e di maricoltura, di servizi e di ricerca, ovviamente effettuando i
dovuti adattamenti.
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Capitolo primo
ECONOMIA
ITTICA
TRA
RECUPERO
REDDITIVITÀ E INTEGRAZIONE DI FILIERA
DI
Il recupero di redditività delle imprese del settore ittico è una condizione per
poter avviare con successo quelle politiche di integrazione di filiera. La via di
integrazione deve essere percorsa senza incertezza, ma affinché sia possibile
farlo devono mutare alcune condizioni di cornice.
Il settore della pesca ha bisogno di una politica di rilancio la quale, per essere
efficace, deve basarsi su precise e selezionate linee d'azione. Tra di esse,
come si è detto, figurano politiche economiche volte al rafforzamento
dell'impresa ittica e al miglioramento e al consolidamento del sistema di filiera.
La ricerca in campo organizzativo considera il comportamento della singola
entità economica come il risultato di una serie di fattori non riconducibili solo
alle sue caratteristiche, ma a proprietà della rete di relazioni che essa detiene
con le altre entità del sistema in cui agisce (Soda). E' il concetto dell'
"inserimento" che esprime appunto la misura in cui i corsi di azione individuali
risultano influenzati o condizionati da relazioni con altre entità. Essere "inseriti"
in una rete di relazioni fornisce stimoli e vantaggi: è una risorsa concreta che
l'impresa può utilizzare e "manipolare" nel senso positivo del termine per
ottenere dei benefici.
L'importanza delle modalità di organizzazione basate sulle relazioni di
cooperazione tra imprese è sempre più posta in risalto dagli studiosi di
management. Addirittura uno dei maggiori esperti di economia industriale del
mondo come Alfred Chandler ha indicato la "cooperazione tra imprese" come
uno dei più fruttuosi e possibili percorsi di sviluppo del capitalismo moderno. In
aperta polemica con le tesi di Adam Smith sulla «mano invisibile» del mercato
che regolerebbe l'economia Chandler sostiene che essa è, all'opposto, guidata
da una «mano visibile». Documentando le sue affermazioni con una
ricostruzione ricca di dettagli della storia dell'economia americana dalla fine del
'700 ai giorni nostri, ci offre un'analisi del tutto nuova dei meccanismi di dominio
e di potere della nostra epoca, caratterizzata dal tramonto del capitalismo
familiare e finanziario sostituito da quello manageriale.
La prospettiva di approccio a queste tematiche che crediamo maggiormente
interessi il settore ittico è quella della rete, concepita come una forma di
organizzazione delle attività economiche in grado di governare la ragnatela di
interdipendenze che connette le imprese operanti nella filiera. In altre parole,
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l'accento deve essere posto sulle reti come modalità concreta di
organizzazione, assumendo al cuore di questa concezione la dimensione
dell'interdipendenza.
Si tratta di evidenziare, rafforzare e contribuire a sviluppare un intreccio di
gerarchie e norme formalizzate, ma anche di regole e prassi non codificate, di
fiducia , di aiuto, di co-operazione.
Nella rete tra imprese, le relazioni interne si basano ovviamente sempre su
meccanismi istituzionali come l'assetto aziendale, la divisione tra lavoro e
capitale, i contratti di impiego, la cultura e i valori.
Verso l'esterno, di contro, le imprese si danno un ampio, articolato, sempre
mutante insieme di relazioni necessarie alla sopravvivenza e indirizzate alla
crescita.
Una rete tra imprese consiste nella trama di relazioni non competitive che
connette entità istituzionalmente diverse, senza intaccarne l'autonomia formale
e in assenza di una direzione e un controllo unitario.
La rete rappresenta in molti casi un modo efficiente per acquisire o difendere
vantaggi competitivi (Harrigan). Entrano in gioco quattro fattori che possono
spiegare a questo proposito il ricorso a forme reticolari, tutti interessanti:
- le strategie
- le risorse e le conoscenze disponibili
- le controparti
- le relazioni con le controparti.
La co-operazione permette ad un'impresa di concentrarsi sulle proprie
competenze distintive e di catturare l'efficienza attraverso altre imprese le quali,
a loro volta, possono focalizzarsi e valorizzare le proprie competenze. Diviene
così possibile creare relazioni "equilibrate" tra le grandi imprese (di
trasformazione e commercializzazione e vendita) e la vasta gamma di piccole
imprese localizzate lungo la filiera. Queste relazioni co-operative tra una grande
impresa centrale e la rete di piccole imprese consentono la possibilità di
ottenere alcune importanti finalità competitive:
- La flessibilità produttiva
- La riduzione dei costi
- La valorizzazione delle competenze distintive
La rete deve basarsi su un reale convincimento di coloro che aderiscono alla
sua costruzione, senza pretendere che si possa realizzare un consenso
unanime su ogni singola iniziativa che viene presa. Risulta prioritaria l'esigenza
di sviluppare ed amplificare l'intreccio dei rapporti fra imprese e cooperative di
pesca, che si può sostanziare in forme organizzative diverse le quali devono
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però avere come obiettivo di fondo quello di aumentare il valore aggiunto e il
vantaggio competitivo delle stesse.
In questo senso si può parlare di sistema, di rete, di integrazione, in sostanza
della volontà politica di perseguire i contenuti veri di sinergia, di maggiore
competitività, di maggiore valore, di collaborazione tra le imprese.
I POLI D'ECCELLENZA E I DISTRETTI INDUSTRIALI
L'esemplificazione pratica di queste enunciazioni teoriche è la promozione di
raggruppamenti di eccellenza che si propongono verso il mondo esterno con
una offerta integrata. È precisamente il compito che a nostro avviso tutti i
soggetti dell'economia ittica hanno dinnanzi a loro nell'immediato futuro.
In effetti il raggiungimento dei due obiettivi - fra loro strettamente correlati - del
rafforzamento dell'impresa ittica e del miglioramento e del rafforzamento del
sistema di filiera - richiede certamente anche l'attuazione di politiche che
favoriscano accorpamenti, fusioni, ristrutturazioni, in sintesi integrazioni verticali
e orizzontali ma, in grado ancora maggiore, l'attuazione di politiche tese a
favorire sempre più strette ed efficaci reti tra le imprese cooperative del settore
e tra queste e altre cooperative e ed imprese che fanno parte della filiera. La
capacità di promuovere poli di eccellenza imprenditoriali che fungano da volano
per l'intero sistema è logicamente e attualmente la prima esigenza da
soddisfare.
I concetti di rete e di poli di eccellenza sono strettamente connessi con il
concetto di distretti industriali. Si ha il caso di un distretto industriale quando
l'integrazione e la complementarità fra le singole imprese non risultano da
legami formali, ma si esplicano in forme miste concorrenziali e si fondano sulla
contiguità spaziale (Beccattini).
L'accento è dunque posto sull'elemento locale e su questa strada vanno
certamente incoraggiate le diverse iniziative che sul territorio cominciano a
realizzare atti concreti per creare distretti industriali della pesca.
Occorre fare però molta attenzione a non trascurare l' importanza dell'elemento
sistemico che è alla base di tutto il disegno che stiamo prospettando. In certi
casi la dimensione della concentrazione locale o del distretto produttivo è
apparso largamente trascurato a favore della dimensione aziendale. Bianchi ci
avvertiva fin dagli anni ‘90 dei pericoli di una politica industriale rivolta alla
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singola impresa, a prescindere dall'insieme di relazioni in cui questa è collocata
e che ne specificano le “esternalità” in cui operare.
A sostegno della nostra opinione che ogni nuova politica di incentivazione
dell'economia ittica deve avere una valenza sistemica e cabine di regia in grado
di attuare politiche a favore della crescita equilibrata dell'intero settore,
vorremmo citare un grande studioso dei problemi della piccola e media
impresa, Sebastiano Brusco, il quale scriveva: “Ci sono diversi modi di
organizzare i processi produttivi e correlativamente i rapporti sociali, ognuno dei
quali si trova - quando ricorrano certe condizioni economiche, culturali, sociali e
politiche - sulla frontiera dell'efficienza economica. Una seria politica per la
piccola impresa deve essere volta a garantire la rigenerazione dal basso
dell'imprenditorialità - funzione essenziale dell'economia di mercato - senza
pagare lo spreco che si accompagna di norma alla avventura imprenditoriale
sporadica. Ridurre un sistema territoriale d'imprese alla somma delle imprese
che ne fanno parte significa perdere precisamente l'elemento sistemico,
assumere l'impresa, anziché il sistema di imprese, come unità di analisi. La
tradizione economica marshalliana ci aveva fornito gli strumenti per inquadrare
il fenomeno: la distinzione fra economie interne all'impresa ed economie
esterne all'impresa, ma interne al sistema di cui l'impresa fa parte, il caso più
lampante essendo precisamente il distretto industriale. Sono precisamente
queste economie esterne di concentrazione territoriale che possono spiegare
la competitività dei distretti industriali rispetto a strutture produttive alternative”.
UNA NUOVA POLITICA DI INCENTIVAZIONE PER IL SETTORE
Le imprese della pesca dal punto di vista tipologico appartengono per la
maggior parte alla categoria delle microimprese (meno di 20 dipendenti). Poche
sono le piccole imprese (da 20 a 99 dipendenti) e pressocchè inesistenti le
imprese medio-grandi.
La struttura organizzativa semplificata o addirittura embrionale che le
caratterizza richiede la definizione di una politica dell'incentivazione specifica e
specializzata, basata su alcuni elementi essenziali:
Semplicità.
Le imprese ittiche risentono ancora più delle altre PMI dei contesti legislativo
burocratici caratterizzati da norme e procedure sovrabbondanti, spesso di
difficile interpretazione. Ciò genera costi impliciti e perdita di opportunità. La
semplificazione deve essere dunque presente nella progettazione delle linee
d'intervento ed essere essa stessa oggetto di intervento
Flessibilità.
Va intesa in due sensi: come possibilità per la singola impresa di scegliere tra
una varietà di facilitazioni messe a loro disposizione; come idoneità della
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specifica facilitazione di essere adattata alle esigenze della singola impresa di
pesca.
Tempestività.
Per continuare a mantenere la sua naturale attitudine
a rispondere
prontamente alle richieste dell'ambiente e per poter conservare il suo equilibrio
che si basa su risorse scarse, l'impresa della pesca ha bisogno di interventi di
incentivazione che siano rapidi e puntuali. Troppi sono i casi in cui esse hanno
incontrato problemi persino di sopravvivenza a causa dei ritardi con cui sono
stati deliberati prima ed erogati poi i contributi sui quali avevano impostato i
propri piani di investimento.
Consonanza con le situazioni di mercato e le attitudini imprenditoriali
delle imprese di pesca.
Occorre evitare il rischio che il soggetto che formula e realizza le politiche di
incentivazione non sia dotato delle necessarie conoscenze delle situazioni
concrete in cui operano le imprese della pesca e di valide chiavi interpretative
del loro comportamento, per evitare che si disperdano risorse in strumenti
scarsamente o per nulla efficaci.
Sono stati pubblicati dall’Eba lo scorso 16 settembre 2014 i dati sull’esercizio di
monitoraggio relativo all’impatto delle disposizioni di Basilea III sul sistema
bancario europeo. Questo esercizio, in parallelo con quello condotto dal
Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria (CBVB) a livello globale, permette
la raccolta complessiva dei dati in materia di requisiti di capitale, Liquidity
Coverage Ratio (LCR), Net Stable Funding Ratio (NSFR) e Leverage Ratio (LR)
delle banche dell’Unione Europea.
Come anticipato, tale esercizio di monitoraggio si pone quale obbiettivo quello
di controllare l’impatto della piena attuazione di CRD IV e CRR (Capital
Requirements Directive IV e Capital Requirements Regulation) e
dell’applicazione del quadro di Basilea III sui rapporti di liquidità e Leverage
Ratio. I risultati mostrano che la soglia Common Equity Tier 1 di capital
ratio (CET1) delle più grandi banche europee attive a livello internazionale
(Banche del Gruppo 1) risulta essere in media pari al 10,1% rispetto alla soglia
del 12,4% prevista dal regolamento attuale. Pertanto, le Banche del Gruppo 1 si
troverebbe ad affrontare un deficit CET1 di 0,1 miliardi di euro per raggiungere il
requisito minimo del 4,5%, e di 11,6 miliardi di euro per raggiungere il livello
target del 7%, ovvero una soglia superiore per banche di rilevanza sistemica
globale (G-SIB).
Per le Banche del Gruppo 1, l’impatto complessivo dell’implementazione di
CRD IV e CRR sul CET1 comporta cambiamenti necessari nella definizione del
capitale e nel calcolo dei Risk Weighted Assets (RWA). Per quanto riguarda il
LCR, invece, i risultati mostrano che a partire da dicembre 2013, l’LCR medio
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delle banche del Gruppo 1 è stato pari al 107,3%. Dal Report emerge inoltre
che più del 70% del campione totale delle banche ha già raggiunto la soglia del
100% prevista da Basilea III per il 2019. L’esercizio rivela infine una carenza di
liquidità delle Banche del Gruppo 1 per 124,5 miliardi di euro.
I valori di NSFR indicano che a partire da dicembre 2013, il valore medio di
NSFR per le banche del Gruppo 1 è stato del 102% e del 109% per le Banche
del Gruppo 2.
Le cifre NSFR mostrano la necessità di migliorare la stabilità finanziaria delle
banche per un valore pari ad almeno 473 miliardi di euro, in riferimento a circa il
2% del totale delle banche interessate. In conclusione, il livello medio di
Leverage Ratio (LR) pienamente implementato è pari al 3,7% per le Banche del
Gruppo 1, visto e considerato l’ulteriore conformità con il rispetto del requisito
del 6% di Common Equity Tier 1 di capital ratio.
Il deficit delle banche del Gruppo 1 in seguito all’applicazione effettiva delle
disposizioni relative al livello minimo di LR potrebbe risultare essere pari a 22.1
miliardi di euro.1.
Bisogna però ribadire un concetto utilizzato dalla maggior parte degli economisti
che vale per l'intero sistema delle piccole e medie imprese e amaggior ragione
per la situazione del nostro settore. L’impegno delle autorità pubbliche si è
indirizzato in prevalenza verso interventi di natura erogatoria: il sistema delle
agevolazioni è intervenuto su un problema secondario, il costo delle risorse
finanziarie, e non su quello, fondamentale per le piccole e medie imprese, della
disponibilità delle stesse. Occorre invece rendere attuabile l'accesso al credito a
lungo termine in misura adeguata alle aziende sprovviste di garanzie reali,
purchè valide, ben gestite e dotate di buone potenzialità di crescita, attraverso
fondi ed agenzie dettati al sostegno della piccola e media impresa. Si tratta di
favorire interventi diretti a convogliare capitale di rischio verso le piccole e
medie imprese, con strumenti tipo "pre-public". Le politiche di facilitazione più
efficaci sono quelle che meglio rispondono ai fabbisogni delle imprese, che
devono essere individuati adottando un valido modello interpretativo del
funzionamento delle imprese e del loro dinamismo. Non solo vanno ridefiniti gli
obiettivi, migliorandone la congruenza con piani di sviluppo e di intervento più
organici, ma anche va potenziata l'efficacia degli strumenti scelti per tali
obiettivi.
Non ci pare, purtroppo, che tutte le misure introdotte in materia di mini bond e
quant’altro possano avere un impatto sul nostro comparto.
1
Fonte: Dirittobancario.it
9
LE AGENZIE DI SVILUPPO E IL VALORE DELL'ASSOCIAZIONISMO
Per comprendere come da questi principi generali, si possa giungere a politiche
di incentivazione specifiche, tagliate sulle esigenze del settore che sono
profondamente diverse da quelle di altri comparti produttivi, e quali strumenti si
ritiene possano essere più utili in questa fase, occorre compiere una
valutazione economico-finanziaria - che in questa sede non può che essere
sintetica - delle prospettive delle microimprese della pesca.
E' unanimemente riconosciuto che il principale problema attuale delle imprese
di pesca è la scarsa redditività e che solamente attraverso un suo consistente
recupero il settore potrà attirare nuovamente investimenti e risorse umane
qualificate e ridivenire una parte importante dell'economia italiana, superando
l'attuale fase di crisi se non di declino.
La scarsa redditività delle imprese di pesca può essere superata solo con
misure che abbiano come effetto:
1)
l'aumento della redditività del capitale investito, che passa attraverso
l'aumento dei margini unitari dei prodotti, la riduzione dei prezzi-costo unitari del
fattore lavoro, l'aumento del tasso di rotazione del capitale investito;
2)
la diminuzione del costo dei mezzi di terzi attraverso la diminuzione dei
prezzi-costi unitari dei mezzi di terzi, il cambiamento del mix delle fonti
finanziarie, la maggiore efficienza nella gestione dei mezzi di terzi.
La crescita dimensionale e l'aumento della direzione operativa. attraverso la
crescita interna o processi di concentrazione e fusione, gli investimenti in
sviluppo di reti di vendita e di assistenza, gli investimenti in sistemi e
formazione, la capacità di ricerca e selezione di fonti alternative sono tutti
obiettivi intermedi fondamentali per raggiungere l'obiettivo finale di sufficiente
redditività.
Per consentire alle imprese della pesca di avviarsi lungo la strada del recupero
della necessaria attività, uno strumento - già sperimentato in altri settori in
grado di garantire buoni risultati - è quello delle "agenzie di sviluppo"2.
Un'agenzia di sviluppo può agevolmente soddisfare con il proprio ambito
operativo le quattro linee fondamentali della semplicità, flessibilità, tempestività
e consonanza, in quanto opera a contatto quotidiano diretto con il settore e
diviene persino uno strumento di programmazione, potendo individuare con
grande tempestività le esigenze in continua mutazione del settore.
Può fornire un contributo decisivo al recupero della redditività, mettendo in atto
una vasta panoplia di interventi in grado di consentire alle microimprese della
pesca di raggiungere i prefissati obiettivi intermedi.
Il modello di riferimento che si propone è quello americano della Small
Business Administration che ha assunto grande rilevanza in quel sistema
economico.
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Questo modello - secondo gli esperti di sviluppo imprenditoriale - ha evidenziato
un'apprezzabile coerenza tra esigenze, obiettivi, azioni, risorse e strutture
organizzative, supportando le piccole e medie imprese non solo nell'accesso al
capitale di credito, ma anche nel reperimento di capitale di rischio e
progettazione e fornitura di servizi reali di alta qualità specializzati per le PMI a
costi contenuti.
Questa istituzione contempla numerose tipologie di intervento, tra cui ha
assunto grande importanza il Regular Business Loan, che prevede che il
finanziamento sia concesso da un istituto di credito privato e garantito dalla
SBA in misura non superiore al 90%.
Utilizzate sono anche le formule dell'Immediate Partecipation Loan, il quale
prevede che il finanziamento venga concesso in compartecipazione tra la SBA,
la banca e il direct loan, che consiste in un prestito diretto concesso dalla SBA a
valere su proprie risorse finanziarie.
La sottoscrizione di capitale di rischio è assicurata da società di scopo che
operano sotto la supervisione della SBA e sono in parte finanziate da istituzioni
bancarie con la garanzia delle stesse.
Dall'esperienza della SBA si dovrebbe assumere ciò che è in linea con il trattato
di Amsterdam, gli orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e
la ristrutturazione di imprese in difficoltà e il Regime di aiuto di Stato n.559-2000
(che definiva per l'ex RIBS le modalità di intervento relative alla trasformazione,
la commercializzazione dei prodotti agricoli, zootecnici e silvicoli) .
Una sia pur parziale trasposizione al caso italiano dell'esperienza americana è
data da Sviluppo Italia. Tra i tanti e variegati compiti che questa istituzione
svolge appaiono di grande interesse per il settore della pesca e degni di essere
oggetto di attività dell'agenzia di settore anche attraverso la creazione di società
di scopo:
1. la fornitura di servizi, in particolare alle Regioni ed alle altre amministrazioni
pubbliche, finalizzati direttamente o indirettamente allo sviluppo delle
imprese della pesca;
2. a consulenza in materia di gestione degli incentivi regionali, nazionali e
comunitari;
3. il favorire l'insediamento di nuove imprese nel territorio regionale;
4. l’essere destinataria di finanziamenti e commesse, da parte della UE e/o di
altri organismi pubblici per attività di promozione imprenditoriale;
5. la partecipazione a consorzi o altre organizzazioni che forniscono garanzie
per l'accesso al credito.
Nel nostro particolare contesto, alle agenzie di sviluppo dovrebbero essere
anche destinati compiti inerenti alle ristrutturazioni finanziarie, al risanamento
delle aziende in crisi e al turnaround financing, alla creazione di joint-venture,
ad operazioni di fusione e concentrazione, al tutoraggio di start up e ai prestiti
partecipativi. Le Agenzie cronologicamente meno “giovani”, cioè quelle sorte
prima degli anni ’90, si connotano per il loro carattere monosettoriale:
11
nascevano, infatti, soprattutto per conseguire finalità circoscritte e per
soddisfare
i
fabbisogni
di
determinati
soggetti.
Il fenomeno della nascita di Agenzie di sviluppo locale plurisettoriali e aperte
alla partecipazione di diversi soggetti istituzionali locali si concentra soprattutto
nel triennio 1997- 99, in corrispondenza della diffusione della programmazione
nazionale e comunitaria. Come è noto, infatti, il nuovo modello di
programmazione assegna un peso di rilievo alle istituzioni locali, che sono
chiamate a giocare un ruolo attivo nei processi di valorizzazione delle risorse e
dei potenziali di sviluppo endogeno 3 . I soggetti maggiormente coinvolti nella
compagine sociale delle Agenzie sono gli Enti locali, in primo luogo i Comuni
che, rappresentano la tipologia di socio più frequente a livello complessivo.
Tuttavia, raramente si tratta della presenza di una sola Amministrazione
comunale, spesso le Agenzie incidono su ambiti territoriali a carattere
intercomunale o interprovinciale e pertanto tra i loro soci figurano tutte le
Amministrazioni interessate sia in forma associata sia singolarmente.
Un ruolo prioritario è anche svolto dalle Province e in alcuni casi dalle Aziende
speciali delle Camere di Commercio, molto attive sul versante dello sviluppo
locale.
Associazioni e Consorzi occupano il secondo posto, subito dopo i Comuni, per
presenza e numero delle Agenzie nelle quali intervengono. Quest’ultima
tipologia (associazioni e consorzi)è varia, in quanto comprende una fascia di
soggetti molto ampia che va dalle associazioni imprenditoriali e di categoria,
compresi i sindacati dei lavoratori che però rivestono un ruolo estremamente
minoritario, alle associazioni culturali, turistiche, religiose e ambientaliste, fino ai
consorzi di produzione e di servizi.
Anche la tipologia di Istituti di Credito impegnati è abbastanza articolata in
quanto spazia dalle Banche SpA, alle Banche Popolari, alle Banche di Credito
Cooperativo
fino
alle
Casse
di
Risparmio.
Si evidenziano, altresì, assenze vistose nella gestione di processi di sviluppo da
parte di alcuni importanti attori locali, rappresentati dalle Università, ancora
lontane dall’essere soggetti attivi della formazione di Agenzie locali per lo
sviluppo.
In alcuni casi sono le stesse Agenzie di Sviluppo a partecipare, in qualità di
socio, a strutture analoghe impegnate in settori o territori più grandi o diversi.
L’elevato numero di soggetti che interviene nella creazione di tali realtà, la loro
diversa connotazione pubblico-privato, dimostra come a livello locale si vadano
affermando nuove forme di governance del territorio, caratterizzate dalla
3
Fonte: Formez.
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partecipazione diffusa dei diversi attori locali, anche se la partecipazione di
alcuni soggetti sia ancora residuale.
IL CAMPO DI INTERVENTO E GLI STRUMENTI OPERATIVI DELLE
AGENZIE DI SVILUPPO
L'operatività, dunque, dovrebbe toccare tutti le variabili sensibili al
rafforzamento dell'impresa ittica e al miglioramento delle condizioni di filiera,
agendo in modo razionale sul processo complessivo di allocazione ottimale
delle scarse risorse a disposizione e cercando di creare le condizioni per
attrarre nuovi investimenti privati.
A garanzia di una sana concorrenzialità volta ad assicurare la qualità delle
prestazioni e la loro efficienza ed efficacia, si dovrebbe avere una pluralità di
agenzie.
A ciò si potrebbe aggiungere il valore rappresentato in Italia
dall'associazionismo, accogliendo la pregiudiziale comunitaria a favore
dell'autogestione della base di sviluppo.
Dovrebbero essere le stesse associazioni di categoria a promuovere ed a
gestire le agenzie di sviluppo per il settore della pesca, in collaborazione con le
autorità statali e regionali, in una ottica però di gestione nazionale della
programmazione del settore, facendo confluire direttamente o indirettamente
alle agenzie i fondi e le competenze, debitamente rimodulate.
In tal modo, l'adeguatezza alle linee guida di una efficace politica di
incentivazione, garantita dallo strumento della SBA, sarebbe ancora di più
rafforzata dalla presenza diretta degli operatori economici nella definizione delle
priorità, degli interventi specifici e delle loro modalità di accesso, superando le
asimmetrie informative e le altre imperfezioni di cui attori terzi, anche
inconsapevolmente, potrebbero essere portatori.
Lo strumento tecnico-operativo per consentire alle agenzie di sviluppo di
iniziare ad agire concretamente, può essere individuato partendo da esperienze
significative già sperimentate specificamente per il comparto cooperativo e per il
settore agricolo, adottando le necessarie correzioni.
Per quanto concerne in particolare l'aspetto operativo finanziario-creditizio, si
richiamano le esperienze del Fondo di promozione per la cooperazione
Foncooper e della legge 266-97.
La tipologia di incentivazione prevista riguarda interventi a fronte di progetti di
investimento, attraverso l'assunzione di partecipazioni temporanee di
minoranza nel capitale delle imprese proponenti e l'erogazione di finanziamenti
agevolati. Immettendo su questo ceppo alcune modalità tipiche della SBA, si
potrebbe ipotizzare una disciplina che preveda una durata massima di
partecipazione al capitale di rischio fino a 7 anni, elevabile fino a 20 in caso di
imprese che attuano progetti in una logica di filiera e che detengano una quota
del capitale sociale almeno pari al 15%.
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I finanziamenti potrebbero essere agevolati sia nelle condizioni di rientro (diecidodici anni di durata più l'ammortamento) sia nel tasso.
La partecipazione al capitale dovrebbe essere cumulabile con l'intervento in
sede di fondi strutturali, assumendo a tutti gli effetti un ruolo analogo a ciò che
oggi svolge la funzione dei fondi comunitari e nazionali di garanzia per
l'ottenimento di prestiti a medio-lungo termine a completamento del
finanziamento del progetto.
La concessione di finanziamenti agevolati sarebbe non cumulabile con gli
interventi previsti dal Fondo europeo per la pesca, ma alternativa. Sarebbe,
comunque, di possibile utilizzazione per il finanziamento di quella parte di
investimenti complementari o aggiuntivi non coperta dai fondi strutturali europei,
ma fondamentali per l'economia complessiva del progetto da realizzare.
Il Fondo potrebbe anche destinare parte delle proprie risorse alla concessione
di garanzie per finanziamenti privati non agevolati.
Sempre seguendo gli orientamenti comunitari, i finanziamenti devono essere
assistiti da idonee garanzie reali e/o personali. I soci a capitale privato delle
imprese che beneficiano di un intervento a carico del Fondo devono impegnarsi
all'acquisto delle quote al termine del periodo di intervento.
Il finanziamento di questo Fondo potrebbe ottenersi facendo confluire in esso le
risorse oggi allocate al Fondo centrale peschereccio, ai fondi di garanzia, alle
altre disponibilità per il credito peschereccio da una parte e ai finanziamenti del
piano triennale o di specifici provvedimenti di politica economica per lo sviluppo
imprenditoriale dall'altra.
La massa critica necessaria, viste le esigenze del settore per il raggiungimento
degli obiettivi finali sopradescritti, dovrebbe essere inizialmente pari almeno a
100 milioni di euro.
La regolamentazione del Fondo spetterebbe al Ministero delle Politiche
Agricole e Forestali con la partecipazione delle Regioni e delle associazioni di
categoria.
Nel regolamento andrebbero disciplinate le modalità di accesso al Fondo delle
agenzie di sviluppo in rapporto ai progetti di investimento presentati.
Per quanto concerne i finanziamenti, dovrebbero essere considerati ammissibili
gli investimenti connessi alla costruzione, acquisizione e miglioramento di beni
immobili, l'acquisto di attrezzature e macchinari, l'acquisizione di programmi
informatici al servizio della produzione, le spese generali per gli oneri di
progettazione e studi di fattibilità, l'acquisizione di brevetti e licenze. Per quanto
concerne le partecipazioni, dovrebbe essere accordata la preferenza ai progetti
volti al rafforzamento delle condizioni di filiera (integrazioni a valle e a monte,
joint ventures, ecc. ecc).
L'attività di sostegno allo sviluppo dell'imprenditorialità da parte delle agenzie
che non comporta impegni finanziario-creditizi potrebbe essere finanziata sia
con una capitalizzazione propria, sia con il pagamento di commissioni da parte
dell'impresa beneficiaria dei servizi, sia attraverso convenzioni di servizio con le
pubbliche amministrazioni.
14
IL PROBLEMA DEL RAZIONAMENTO DEL CREDITO
La fredda ed analitica esposizione delle linee di una nuova politica di sostegno
rischia forse di rendere meno evidente la posta in gioco: la possibilità concreta
che in poco tempo le deboli e fragili microimprese e le cooperative della pesca
si trovino ad affrontare una tragica situazione di razionamento del credito.
Uno studio dell'ISMEA su agricoltura e credito, recita: "… tradizionalmente il
settore agricolo è visto (dalle banche) come un settore rischioso o comunque
mediamente più rischioso di altri …. Questa frammentazione del rischio, unita
spesso ad una non completa separazione tra gestione dell'impresa e gestione
delle spese familiari, rende particolarmente problematica la valutazione del
merito creditizio. Tale difficoltà è poi aggravata dalla indisponibilità di
informazioni quantitativo-contabili. Questo, che è un problema tipico delle
piccole e medie imprese, nel settore agricolo è particolarmente accentuato, sia
per la presenza inadeguata al quadro evolutivo attuale, sia per i connotati
specifici assunti dall'impresa agricola. In questa prospettiva può essere utile
adottare specifiche tecniche valutative, come il credit scoring, che consentono
la formulazione di un giudizio utilizzando poche informazioni mirate. Per la
valutazione di un'azienda agricola, tuttavia, il credit scoring presenta alcuni
problemi applicativi: si tratta di stimare i dati quantitativi legati al profilo
finanziario e alla redditività a partire da informazioni di tipo qualitativo..."
Le difficoltà che possono incontrare le imprese ittiche nell'approccio allo scoring
sono nella migliore delle ipotesi uguali a quelle agricole e dunque anche per
esse valgono le considerazioni dell'ISMEA. Siamo entrati così di peso nella
tematica legata agli accordi cosiddetti di Basilea 2 e 3. Pur non volendo
occuparci specificamente di essi, poiché esulano dall'ambito di questa
pubblicazione, per sostenere ed argomentare ulteriormente le proposte di
modifica delle politiche di sostegno del settore è però necessario un
approfondimento di questo argomento.
Senza entrare in dettagli troppo tecnici, sembra ormai delinearsi uno scenario di
questo tipo:
l'attività di concessione di prestiti alle imprese da parte delle banche è
ormai un'attività matura, che dà bassi profitti e che comporta, per contro,
alti rischi almeno in termini relativi e che, quindi, interessa sempre meno le
banche stesse;
l'attività di prestito richiede la disponibilità di risorse finanziarie che devono
essere raccolte dalle banche sul mercato, il che non porta a pensare a
un'organizzazione né rapida né facile della funzione creditizia nelle
banche del futuro;
queste tendenze sono particolarmente accentuate nel caso delle banche
di grandi dimensioni, le quali non sembrano né interessate né capaci di
15
concentrare la loro attenzione sui finanziamenti creditizi alle imprese,
avendo ottime alternative sia di raccolta sia di investimento nei settori
collegati al mercato mobiliare che sembrano quelli loro più congeniali e
remunerativi;
diversa è la situazione delle banche di prossimità che stanno
concentrando la loro attenzione proprio sui prestiti alle imprese, ma che
hanno nel complesso un impatto quantitativo e qualitativo nel mercato non
in grado di bilanciare il disimpegno delle grandi banche;
le PMI saranno quelle che soffriranno maggiormente della situazione
precedente delineata sia perché la relativa valutazione al fine
dell'affidamento non è sempre facile sia perché il loro rischio è
mediamente più elevato di quello dei prestiti alle imprese più grandi;
l'entrata in vigore delle nuove regole di vigilanza prudenziale note come
Basilea 2 esaspererà i problemi appena visti e quindi agirà nel senso di
accentuare la probabilità e l'intensità di un'azione di razionamento nei
riguardi delle PMI anche se in modo non automatico, ma in seguito a una
selezione della clientela molto più agiata di quella praticata attualmente;
le PMI devono dunque attendersi un futuro in cui il credito bancario a loro
favore sarà più scarso, più caro e stipulato con clausole contrattuali più
onerose, come quelle riguardanti le garanzie collaterali.
Soprattutto per le PMI più deboli potrebbe dunque presentarsi a scadenza non
lontana uno scenario creditizio complesso in cui la selezione sarà dura e in cui
la qualità della loro situazione economica, patrimoniale e finanziaria passata,
presente e futura e la loro capacità di dimostrarle adeguatamente saranno
fondamentali nella probabilità di accesso al credito bancario.
Una potente e, speriamo, ragione in più per cercare di dare rapida attuazione
alla creazione dei nuovi strumenti di sostegno.
16
Capitolo secondo
CONCETTI BASILARI DI ECONOMIA AZIENDALE
Lo scopo di queste poche pagine è quello di fornire alcune nozioni fondamentali
di economia aziendale utili per comprendere anche i capitoli successivi. Ci
soffermeremo specificamente sulle relazioni tra i volumi, i costi e ricavi e i fattori
determinanti del reddito operativo, tutti elementi decisivi per la vita di qualsiasi
impresa, dalla più grande fino alla più piccola.
ELEMENTI STRUTTURALI, VOLUMI, COSTI , RICAVI
Il risultato economico di un’impresa è tipicamente determinato dall’azione
congiunta di fattori che possono essere riuniti in tre gruppi:
• Gli elementi strutturali
• I volumi
• Il livello dei costi e il livello dei ricavi.
Gli elementi strutturali sono rappresentati da tutti quei fattori che l’impresa non
può mutare nel breve periodo. L’esempio più immediato è quello della capacità
produttiva, ma particolarmente rilevanti sono il fattore esperienza e il fattore
culturale. La presenza di questi fattori determina la struttura e i modi di
funzionamento dell’impresa.
Se si vuole intervenire sulla struttura dei costi dell’impresa, occorre modificare
la struttura dell’economia: acquistare nuova capacità produttiva, allargare la
gamma di prodotti e servizi offerti, migliorare la distribuzione ecc.
Tutte le variazioni nei costi legate a determinanti strutturali causano modifiche
nel patrimonio, nell’assetto tecnico, nel personale, nell’assetto organizzativo.
Data la struttura dell’impresa (attrezzature, esperienza, beni e servizi offerti) i
ricavi totali, i costi totali e i risultati reddituali saranno determinati dai volumi
effettivamente prodotti e venduti nel periodo considerato e dai ricavi per i beni e
i servizi venduti e dai costi sostenuti per il pagamento dei beni, dei servizi e del
lavoro necessari all’attività produttiva dell’impresa.
I volumi, a parità di livello dei prezzi e di struttura aziendale, rappresentano il
principale fattore che determina i costi di breve periodo.
Data, infatti, la capacità produttiva e i costi fissi e variabili ad essa collegati, i
costi che l’impresa dovrà sostenere sono determinati dai volumi effettivamente
prodotti, ciò che tecnicamente è definito come il grado di saturazione della
17
capacità produttiva a disposizione dell’impresa. I volumi determinano in larga
parte sia i costi totali, sia i costi unitari effettivi, poiché al variare dei volumi
varierà la quota dei costi fissi da imputare alle singole unità prodotte.
Ovviamente i volumi determinano anche il livello dei ricavi e di conseguenza
anche il livello del reddito operativo dell’impresa.
L’altro gruppo di elementi da considerare riguarda il livello dei prezzi.
Il livello dei prezzi ai quali l’impresa vende dipende da fattori interni (per
un’impresa industriale tipicamente la politica dei prezzi di penetrazione del
mercato o di scrematura dello stesso, la possibilità di ottenere un premio di
prezzo grazie alle particolari caratteristiche dei beni venduti, la forza del
marchio ecc.) e da fattori esterni, come la forza della concorrenza, l’andamento
del mercato (di crisi o in crescita) ecc.
I costi dell’impresa sono determinati dalla situazione competitiva nei mercati di
approvvigionamento dell’impresa, dai volumi acquistati e dal potere contrattuale
dell’impresa.
Tra tutti questi elementi esistono relazioni di interdipendenza: i prezzi di vendita
che l’impresa ha deciso di effettuare influenzano i volumi venduti; i volumi
conseguiti influenzano la curva dell’esperienza (si veda il capitolo seguente) e
il potere contrattuale dell’impresa e quindi i prezzi dei beni e dei servizi che
acquista e così via.
Le azioni che possono essere intraprese per migliorare il risultato economico di
una impresa possono essere raggruppate in tre categorie:
• Variazioni nei volumi
• Variazioni nei costi
• Variazioni nei prezzi di vendita
Dato un certo livello di prezzi dei vendita, di costi fissi (costi che non mutano al
variare della produzione data la capacità produttiva) e di costi variabili (costi
legati al livello della produzione data la capacità produttiva), è possibile
determinare quale sia il fatturato che consente all’impresa di pareggiare i propri
costi (il cosiddetto punto di pareggio) e valutare il grado di flessibilità operativa
dell’impresa (la cosiddetta leva operativa).
Questa tecnica di analisi si chiama “analisi costi- volumi- risultati”. E’ una
tecnica che consente di fornire una risposta a questioni cruciali per la vita di
un’impresa come:
• Qual è la relazione tra volumi venduti e risultato economico
• Qual è il volume minimo che occorre vendere per coprire tutti i costi
• Qual è l’effetto sul reddito di aumentare il fatturato diminuendo i prezzi di
vendita
• Per le imprese industriali, qual è l’effetto sul punto di pareggio della decisione
di adottare impianti più automatizzati, di aumentare le spese pubblicitarie e di
cambiare il mix di beni prodotti
• Qual è il livello di fatturato cui bisogna puntare per ottenere un livello
determinato di utili.
18
Per procedere in questo tipo di analisi, bisogna avere bene compreso le
differenti tipologie di costo, il loro comportamento al mutare dei volumi, la
sensibilità delle vendite rispetto ai prezzi.
LE DIFFERENTI TIPOLOGIE DI COSTO
Consideriamo per semplicità di analisi solo i costi e ricavi connessi alla gestione
caratteristica e alla gestione finanziaria, trascurando la gestione patrimoniale
nonché plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze attive e passive.
Alcuni dei costi sopportati dall’impresa sono connessi alla gestione
caratteristica (ovvero alla sua attività tipica e principale), mentre altri sono
determinati dal fabbisogno finanziario e quindi dal livello e dalla struttura
dell’indebitamento.
Per quanto riguarda la gestione caratteristica, bisogna distinguere tra costi che
riguardano fattori di produzione a utilizzo unico, come lavoro, materiali e servizi
che vengono utilizzati interamente nel corso di un esercizio e i costi che
riguardano fattori di produzione a utilizzo ripetuto, come le immobilizzazioni
tecniche (impianti, imbarcazioni, strumenti e attrezzature varie).
È utile riassumere i costi connessi ai differenti fattori di produzione:
• Lavoro: salari, stipendi, oneri sociali, accantonamento TFR).
• Immobilizzazioni materiali e immateriali acquistate sul mercato: il costo di
acquisto viene ripartito fra i diversi esercizi nelle quali le immobilizzazioni sono
utilizzate attraverso le quote di ammortamento.
• Immobilizzazioni materiali e immateriali acquisite in economia ( sfruttando
risorse interne all’impresa): il costo complessivo è determinato dal costo dei
fattori di produzione impiegati nella costituzione di queste immobilizzazioni (ad
esempio il lavoro, le consulenze e i materiali necessari per costruire un
magazzino). Questo costo è iscritto tra le immobilizzazioni e ripartito tra i diversi
esercizi attraverso le quote di ammortamento.
• Beni materiali a impiego unico: costi di acquisto di materie prime,
componenti, semilavorati, prodotti finiti da rivendere
• Servizi privati: costi di acquisto di servizi (costi per consulenze legali, fiscali,
tecniche, costi di trasporto, affitti ecc.)
• Mezzi monetari: se acquisiti esternamente attraverso operazioni di
finanziamento, comportano il sorgere di oneri finanziari (interessi passivi). Se
acquisiti mediante operazioni di aumento del capitale proprio o se generati dalla
gestione, non comportano una remunerazione predeterminata. In questo caso
la remunerazione è variabile e aleatoria, poiché dipende dal reddito di esercizio.
I COSTI DI GESTIONE CARATTERISTICA
I costi di gestione caratteristica si classificano dunque in due grandi categorie:
• Costi variabili
19
• Costi fissi
Sono definiti costi variabili i costi direttamente e immediatamente correlati al
volume di produzione e vendita. Fanno parte di questa categoria i costi per i
consumi di materie prime, le lavorazioni esterne, le provvigioni di vendita.
Anche i costi di manodopera diretta possono essere compresi in questa
categoria se la sua utilizzazione avviene con forme contrattuali caratterizzate da
elevata flessibilità.
Sono definiti come costi fissi tutti quei costi che non sono direttamente e
immediatamente correlati al volume di produzione e di vendita. Rientrano in
questa definizione i costi come la manodopera indiretta, la manodopera diretta
(se solo con difficoltà riducibile, aumentabile o trasferibile), gli affitti, le quote di
ammortamento, le manutenzioni, i costi legali e amministrativi.
I costi fissi di gestione possono essere a loro volta suddivisi in :
• Costi fissi di struttura
• Costi fissi di sviluppo
I costi fissi di struttura sono strettamente connessi alla capacità produttiva in
essere dell’impresa in un momento dato. A queste categoria di costi
appartengono i costi del lavoro e tutti i costi non proporzionali ai volumi di
produzione, di vendita e di amministrazione dell’impresa.
La riduzione di questi costi comporta ridurre la capacità produttiva e quindi
ridurre i volumi di produzione e vendita nel breve periodo.
I costi fissi di sviluppo sono costi che sono definiti fissi solo perché non variano
direttamente con il variare della produzione e delle vendite. Non sono però
direttamente legati alla capacità produttiva dell’impresa: hanno per così dire un
alto livello di discrezionalità. Sono infatti costi destinati a programmare il futuro
dell’impresa: si pensi ad esempio ai costi di ricerca e sviluppo e ai costi per la
formazione del personale. Non essendo direttamente collegati alle capacità
produttive dell’impresa nel breve periodo, questi costi possono essere molto
più facilmente variati rispetto ai costi di struttura. La costante diminuzione
mette però a grave rischio la sopravvivenza futura dell’impresa, poiché
deteriorano la posizione concorrenziale e la qualità del capitale umano .
I costi totali di gestione caratteristica si ottengono sommando i costi fissi e i
costi variabili.
Il costo totale unitario si ottiene dividendo i costi totali per il volume di beni
prodotti: è totale in quanto include sia la parte fissa sia quella variabile; è
unitario in quanto si riferisce ad una singola unità di prodotto.
È facilmente intuibile che i costi totali complessivi aumentano all’aumentare dei
volumi di produzione, i costi totali unitari diminuiscono quanto più si ci avvicina
al limite di utilizzo della capacità produttiva, allorché i costi fissi si “spalmano” su
una quantità maggiore di unità prodotte.
IL PUNTO DI PAREGGIO
20
Una volta analizzati i costi, siamo in grado di determinare il punto di pareggio
che, come abbiamo visto, è l’ammontare delle vendite necessario per coprire
tutti i costi dell’impresa.
Il punto di pareggio può essere calcolato secondo una duplice prospettiva:
• Numero di pezzi da produrre e vendere per andare a pareggio (punto di
pareggio in volumi)
• Fatturato da conseguire per andare a pareggio (punto di pareggio in
fatturato)
Il punto di pareggio in volumi da produrre e vendere per coprire i costi di
gestione caratteristica si calcola assai facilmente. Se per Q si intendono i pezzi
da vendere, si procede così:
• Si definisce l’eguaglianza: RICAVI UNITARI (prezzo) x
Q = COSTI
VARIABILI UNITARI x Q + COSTI FISSI
• Si evidenziano i costi fissi: COSTI FISSI = RICAVI UNITARI x Q – COSTI
VARIABILI UNITARI x Q
• Si risolve per Q: Q x (RICAVI UNITARI – COSTI VARIABILI UNITARI) =
COSTI FISSI
• Q = COSTI FISSI / RICAVI UNITARI – COSTI VARIABILI UNITARI
Il calcolo del punto di pareggio permette di evidenziare un concetto
fondamentale per la gestione aziendale: il concetto di margine di contribuzione
nelle sue accezioni di margine di contribuzione unitario e di margine di
contribuzione complessivo.
Il margine di contribuzione unitario è uguale alla differenza tra il ricavo unitario
(prezzo) e i costi variabili unitari. Utilizzando questo concetto, il punto di
pareggio per volumi si calcola ancora più facilmente:
COSTI FISSI / MARGINE DI CONTRIBUZIONE UNITARIO.
La definizione formale del margine di contribuzione unitario è dunque questa: è
il contributo che la vendita di ogni unità di bene prodotta e venduta arreca alla
copertura dei costi fissi di gestione caratteristica e alla formazione del reddito
operativo.
Il reddito operativo serve per coprire i costi finanziari e i costi fiscali e
eventualmente per formare il reddito netto.
Il margine di contribuzione totale può essere alternativamente calcolato come
differenza tra ricavi totali e costi variabili totali o moltiplicando il margine di
contribuzione unitario per i volumi prodotti e venduti.
Calcolato il margine di contribuzione unitario, il punto di pareggio in fatturato si
calcola molto facilmente:
FATTURATO = COSTI FISSI / MARGINE DI CONTRIBUZIONE %
Il fatturato di pareggio è determinato quindi dividendo i costi fissi per il margine
di contribuzione espresso in percentuale del prezzo di vendita.
21
L’ANALISI DEL GRADO DI RISCHIO OPERATIVO
Un altro strumento di grande importanza per ogni impresa è l’analisi del grado
di rischio operativo. Il rischio operativo dell’impresa dipende dalla probabilità di
subire risultati reddituali particolarmente negativi o particolarmente positivi in
relazione alle variazioni di fatturato. È fortemente legato al rapporto dei costi
fissi rispetto ai variabili e al concetto di elasticità operativa.
L’elasticità operativa è rappresentata dall’ampiezza della forbice tra i ricavi e i
costi totali prima e dopo il punto di pareggio: è legata all’incidenza dei costi
variabili sui ricavi. Maggiore è questa incidenza tanto più ridotta è la forbice,
poiché all’aumentare dei volumi aumenteranno rapidamente anche i costi
variabili e tanto più limitato sarà il margine disponibile per la copertura dei costi
fissi.
In genere i due elementi del rischio operativo (il punto di pareggio e l’elasticità
operativa) sono collegati, poiché le imprese che presentano un elevato punto di
pareggio manifestano un elevato grado di rigidità operativa, mentre quelle che
hanno un punto di pareggio basso sono più flessibili. Ciò si verifica perché
esiste una correlazione negativa fra i costi fissi e i costi variabili: solitamente
aumentando i costi fissi (aumentando le attrezzature) è possibile ridurre
l’incidenza dei costi variabili sui ricavi.
22
Capitolo terzo
LA GESTIONE MANAGERIALE
La ridotta dimensione aziendale e la relativamente modesta struttura
organizzativa non rappresentano buone ragioni per non affrontare
metodicamente i problemi manageriali che ogni impresa che opera sul mercato
deve affrontare.
Si vuole, in sostanza, fornire elementi in grado di aiutare le piccole imprese e
cooperative ittiche che non l’hanno (o l’hanno solo in termini non formalizzati,
nella testa del presidente o del direttore) a dotarsi di una chiara ed esplicitata
strategia manageriale.
LA STRATEGIA IN CAMPO AZIENDALE
Che cosa si intende per strategia in campo aziendale? La definizione classica
di Chandler del 1962 è ancora oggi ammirevole per chiarezza: “La strategia è la
determinazione delle mete basilari di lungo periodo dell’impresa e l’adozione di
corsi di azione e dell’allocazione necessaria delle risorse per conseguire queste
mete”. In sostanza si tratta di individuare le opportunità per creare valore che
ogni impresa ha di fronte a sé e di creare una congruenza tra esse e le risorse
e la capacità a disposizione dell’impresa stessa. Le opportunità per creare
ricchezza sono rintracciabili in diversi livelli della attività aziendale come ad
esempio:
• Marketing (segmentazione del mercato)
• Livello logistico-operativo (tecnologia adottata: riduzione dei costi, legami con
fornitori e clienti ecc.)
• Finanza (migliore uso delle risorse)
• Uso dell’informazione (sfruttamento delle potenzialità della tecnologia
dell’informazione)
• Risorse umane (utilizzazione delle competenze e incoraggiamento
dell’innovazione)
• Strategie di crescita esterna e di ristrutturazione
• Strategie di rete
• Riduzione dei costi
• Ricerca di sinergie e maggior rendimento del capitale investito
• Mutamenti organizzativi
La strategia per riassumere ciò che sarà esplicitato nel corso della trattazione,
dovrà combinare e coordinare le risorse dell’impresa, i suoi punti di forza e di
23
debolezza, che generano le sue capacità distintive (quindi gli eventuali vantaggi
competitivi) e i suoi valori essenziali e culturali.
Dovrà selezionare i mercati più appropriati per le proprie capacità e i propri
valori, i mercati dove cioè queste capacità e questi valori sono fattori chiave di
successo.
Anche per la più piccola delle attività commerciali che intenda vivere
autonomamente sul mercato è indispensabile individuare gli elementi che
costituiscono la base del suo successo.
LA MISSIONE E GLI OBIETTIVI MANAGERIALI
Se la più importante delle tecniche manageriali è comprendere la situazione
reale in cui si opera, evitando di confonderla con i propri desideri, la valutazione
analitica sulla correttezza del sentiero intrapreso dalle imprese è la prima
domanda a cui il management deve dare una risposta.
Per sapere dove si sta andando, bisogna innanzitutto avere stabilito degli
obiettivi. Essi devono essere stati chiaramente comunicati a coloro che
operano nel comparto in modo che in ogni momento si sappia esattamente
quale è la posizione dell’impresa.
Gli obiettivi, quindi, stabiliscono la direzione dell’attività imprenditoriale e
devono avere delle precise scadenze temporali per rendere il loro
raggiungimento in qualche modo misurabile, anche per incoraggiare e motivare
i cooperatori.
Essi sono legati a particolari aspetti della vita aziendale come la dimensione o il
tipo di organizzazione, i livelli di successo delle vendite, il profitto, la produttività
.
Vanno concettualmente distinti dalla missione, che rappresenta la visione
complessiva del futuro della cooperativa.
E’ importante poi distinguere tra obiettivi di lungotermine e di breve termine: i
primi riguardano le desiderate mete dell’attività manageriale, i secondi gli
obiettivi quasiimmediati che l’organizzazione deve raggiungere come tappe
intermedie per il conseguimento degli obiettivi di lungo periodo. In altre parole,
gli obiettivi di lungo periodo sono le basi per la definizione della strategia
aziendale; gli obiettivi a breve rappresentano le strategie funzionali.
A titolo di esempio, per una impresa ittica di trasformazione, l’enunciazione
della missione potrebbe configurarsi in questo modo seguendo la classica
lezione di Ackoff che, tra le tante formulate nella letteratura, appare per essa
la più calzante:
1. deve contenere una formulazione degli obiettivi di lungo termine che
consenta di rendere misurabili e valutabili gli avanzamenti verso di essi
2. deve rendere chiari i motivi di differenziazione della cooperativa (o
dell’impresa) dai suoi competitori
24
3. deve definire i campi di attività in cui si vuole operare (non necessariamente
quelli in cui opera)
4. deve presentare motivi di coinvolgimento per tutti coloro che sono portatori di
interessi a vario titolo nel processo di produzione (i cosiddetti stakeholders) e
non solo per i soci e il management
5. deve essere motivante e ispiratrice di orgoglio aziendale
Applicando queste cinque caratteristiche, per una buona dichiarazione di
missione si potrebbe ottenere questo risultato:
• Raggiungere la posizione di produttore maggiormente profittevole nel proprio
specifico settore di mercato
• Sviluppare iniziative di marchio
• Sviluppare la reputazione di ottimo datore di lavoro attraverso il miglioramento
delle condizioni di lavoro e di vita dei soci e dei lavoratori non soci
• Rispondere alla domanda sempre più esigente dei clienti in termini di standard
qualitativi sempre migliori e investimenti tecnologicamente sempre più avanzati
Per quanto concerne gli obiettivi, la loro definizione deve tenere conto di tre
aspetti fondamentali:
• Una valutazione realistica degli obiettivi che l’impresa o la cooperativa stanno
effettivamente perseguendo e conseguendo; dove sta andando e perché
• Gli obiettivi che potrebbe perseguire e le possibilità e le opportunità di cui
dispone per realizzare cambiamenti
• Specifici obiettivi per il futuro più lontano
Sempre con riferimento ad una impresa (o cooperativa) di trasformazione, una
pratica dichiarazione degli obiettivi potrebbe assumere questa forma:
“Il successo imprenditoriale può essere raggiunto solo se ognuno di coloro che
opera comprende e sostiene gli obiettivi ci si è proposti di conseguire. Questi
obiettivi non sono necessariamente tutti della stessa importanza e in tempi
diversi possono richiedere più sforzi degli altri:
1.
Aumentare la profittabilità ogni anno attraverso una maggiore efficienza
e maggiori vendite
2.
Continuare a produrre e vendere prodotti di alta qualità e a dare la
massima considerazione ai bisogni e agli interessi dei nostri clienti
3.
pagare i migliori salari e stipendi possibili; assicurare la soddisfazione
sul lavoro attraverso un management illuminato; migliorare le condizioni di
lavoro dove possibile; promuovere le migliori relazioni umane e far sì che la
gente apprezzi realmente lavorare per la cooperativa
4.
dare al management la massima libertà di azione nel rispetto delle
regole non solo legali, ma anche etiche che caratterizzano la cooperazione
5.
continuare ad incoraggiare i lavoratori a divenire soci della cooperativa
25
6.
incoraggiare la partecipazione alla vita dell’impresa tenendo tutti
informati sulle politiche manageriali, sui progressi e sui problemi, invitare a
fornire commenti e critiche e a mostrare a ciascuno come gli sforzi individuali
contribuiscano al successo
7.
essere flessibili e non dipendere troppo da ogni singolo prodotto, cliente
e mercato; sforzarsi di investire nella ricerca e nello sviluppo in modo tale che le
opportunità di mercato siano prontamente individuate e sfruttate
8.
promuovere la sicurezza sul lavoro ed evitare le eventuali ridondanze di
lavoro attraverso una attenta programmazione e la pronta individuazione dei
problemi
9.
addestrare e formare i lavoratori e promuovere dall’interno quando
possibile
10.
beneficare la comunità locale ogniqualvolta è possibile farlo.
Obiettivi di tipo quantitativo a tre anni potrebbero essere:
1.
rendimento x % del capitale investito
2.
cash flow x% delle vendite
3.
mantenimento e crescita della quota di mercato
4.
mantenimento e crescita dell’occupazione compatibile con le esigenze
di sopravvivenza della cooperativa
Gli obiettivi di breve termine saranno specificazioni annuali degli obiettivi di
lungo termine.
I PORTATORI DI INTERESSI (STAKEHOLDERS)
Nella trattazione precedente della definizione della missione degli obiettivi si è
fatto cenno agli stakeholders. Si tratta di un tema di grande importanza per tutte
le imprese, ma che assume un peso assolutamente preponderante per l’
individuazione di corrette e vincenti strategie aziendali. Gli stakeholders sono
quegli individui o quei gruppi che possono condizionare o sono condizionati
dalle prestazioni di una impresa. Tutte le strategie presenti e future sono
condizionate, come vedremo meglio più avanti, da pressioni esterne da parte
del mercato, che comprende concorrenti, clienti e fornitori, finanziatori a vario
titolo e da pressioni interne da managers, lavoratori e sindacati.
La teoria degli stakeholders (portatori di interessi) ritiene che gli obiettivi di una
organizzazione devono tenere conto dei diversi bisogni delle parti interessate
che rappresentano una sorta di coalizioni interne.
Ogni stakeholder ha una propria scala di priorità e l’ impresa si trova a dover
fronteggiare delle difficili scelte alternative, in quanto esse non sono sempre
compatibili l’una con l’altra. Nell’ambiente cooperativo la democrazia
decisionale può rendere questo problema ancora più acuto e farlo divenire uno
dei più difficili da risolvere.
26
Si tengano presenti, al riguardo, alcuni esempi di questi interessi non sempre
mediabili:
•
Finanziatori a vario titolo: pagamento degli interessi e dei prestiti, che
sono influenzati dai flussi di cassa; valorizzazione dell’investimento in caso di
capitale di rischio influenzato da crescita e profitti
•
Managers: stipendi e altri benefici; status che deriva dal lavorare per una
conosciuta impresa di successo; sicurezza
•
Lavoratori: salari, vacanze; soddisfazione e condizioni di lavoro; sicurezza,
influenzata anche dalla sindacalizzazione
•
Consumatori: qualità e attrattività dei prodotti; prezzi competitivi; nuovi
prodotti
•
Distributori: consegne puntuali e affidabili
•
Governo: pagamento delle imposte e mantenimento dell’occupazione;
contributo alle esportazioni
•
Società in generale: azioni socialmente responsabili, alle volte richieste da
gruppi di pressione
LA VALUTAZIONE DELLA SITUAZIONE AZIENDALE
Una volta che si sono definiti la missione, gli obiettivi di lungo termine e quelli a
breve, diventa cruciale rispondere alla domanda su come effettivamente le cose
stanno andando, se l’impresa o la cooperativa sono sulla buona strada per
raggiungerli oppure, se no, quali misure correttive occorra mettere in atto. Si
tratta di fornire una risposta ad una serie di domande di cruciale importanza per
la vita anche della più piccola delle imprese e cooperative come ad esempio:
Stiamo perseguendo le strategie decise? Quanto la loro realizzazione si sta
rivelando di successo? In quali campi stiamo incontrando delle difficoltà? Quali
sono i nostri risultati finanziari? Quale è la loro congruenza con le nostre
previsioni? E con i risultati dei nostri concorrenti? Dobbiamo cambiare i nostri
corsi di azione? Se non lo facciamo, cosa può succedere?
Per valutare la prestazione di un’impresa, è essenziale comprendere il
significato di tre tipi di misura:
•
Economica: le risorse devono essere gestite al costo più basso possibile
compatibile con il raggiungimento qualitativo e quantitativo degli obiettivi
produttivi
•
Efficienza: le risorse devono essere allocate e utilizzate per massimizzare
il loro rendimento.
•
Efficacia: le risorse devono essere allocate in quelle attività che soddisfano
i bisogni, le aspettative e le priorità dei vari portatori di interessi della
cooperativa.
27
Le prime due misure sono essenzialmente di tipo quantitativo (e oggettivo);
l’efficacia
tende a cogliere aspetti qualitativi e soggettivi dell’attività
manageriale.
Solo le imprese che riescono ad essere contemporaneamente efficienti ed
efficaci sopravvivono e crescono in modo robusto; le imprese efficaci ma
inefficienti sopravvivono ma non crescono; le imprese efficienti ma inefficaci
declinano poiché non soddisfano le aspettative dei portatori di interessi.
L’efficienza di un’impresa si misura con l’aiuto degli indici aziendali.
Un’analisi condotta attraverso di essi può contribuire fortemente a comprendere
la realtà di una impresa. Le ragioni sono molte:
•
Consente uno studio dell’andamento dell’impresa nel corso degli anni
•
Consente di confrontare l’andamento dell’impresa con quello
dei
concorrenti e quello in generale del settore
•
Indica il percorso per i possibili o i necessari mutamenti di strategia, per
porre rimedio a dei cattivi risultati o anche per cogliere delle opportunità di
mercato
•
Può mettere in evidenza i possibili pericoli, anche i più gravi come il
deterioramento della liquidità o il rallentamento della rotazione di magazzino.
Delle decine e decine elaborati dalla teoria aziendale, alle imprese, anche
cooperative dell’economia ittica ne può bastare l’utilizzo solo di alcuni che
permettono di valutare le implicazioni strategiche di due aspetti fondamentali
dell’andamento aziendale:
•
Economicità della gestione: le imprese e le cooperative stanno
conseguendo una redditività adeguata?
•
Situazione finanziaria: sono liquide e solvibile? È finanziariamente solida?
Senza entrare in dettagli troppo tecnici, soffermiamoci su una sintetica
descrizione degli indici fondamentali.
Per quanto riguarda gli indici di prestazione, una sufficiente analisi deve tenere
almeno conto di questi indici:
• Reddito operativo/capitale investito: misura l’efficienza della gestione
caratteristica rapportata al capitale di rischio e ai finanziamenti a lungotermine
ottenuti
• Margine di profitto: esprime il risultato della gestione caratteristica come una
percentuale delle vendite
• Rotazione del capitale investito: mostra il numero di volte in cui il capitale
viene “girato” per generare il fatturato o, in altre parole, quanti euro di vendite
sono generate da un euro di capitale investito
Un’analisi appena più approfondita dovrà tenere conto anche di altri tre indici:
28
• Rotazione del magazzino: è il rapporto tra il fatturato e le rimanenze medie.
Per le imprese di trasformazione è un indicatore fondamentale per il controllo
dell’efficienza nella gestione del capitale circolante
• Rotazione dei creditori: si può esprimere o in numero di volte o in giorni di
credito concessi. Indica come velocemente si è pagati dai clienti
• Costi generali di vendita ed amministrativi/fatturato: indica i costi indiretti in
relazione al volume delle vendite
Gli indici di maggiore rilievo per il controllo della situazione finanziaria delle
nostre imprese per quanto riguarda la solvibilità, cioè la capacità dell’impresa di
far fronte alle proprie obbligazioni, sono:
• Indice d’indebitamento: è il rapporto tra finanziamenti a lungo termine e il
capitale investito. Più è basso tanto più l’impresa è protetta dalle fluttuazioni
dell’andamento della gestione caratteristica
• Copertura degli interessi: rapporto tra reddito operativo e interessi sui prestiti a
lungo termine. Indica quante volte gli interessi da pagare sono coperti
dall’andamento della gestione caratteristica.
Per quanto riguarda la liquidità, cioè la capacità dell’impresa di far fronte ai
propri impegni nel breve periodo, segnaliamo:
• Indice corrente: rapporto tra attività correnti e passività correnti. Segnala la
misura in cui le attività smobilizzabili a breve coprono le passività a breve
• Test acido: rapporto tra le attività liquide (liquidità correnti meno magazzino) e
passività correnti. Mostra il grado di liquidità dell’impresa in relazione ai suoi
impegni a breve termine: sono escluse le rimanenze in quanto la loro
conversione in liquidità può richiedere tempo.
Agli occhi di tutti gli osservatori esterni, la liquidità (cash flow) appare tanto
importante quanto la redditività e fors’anche molto di più. Uno sforzo continuo
deve essere rivolto al suo miglioramento attraverso :
•
un’efficace gestione dei fornitori e dei creditori
•
margini operativi più alti
•
minimizzazione del peso fiscale
•
investimenti più ridotti sia in capitale circolante sia in capitale fisso
•
riduzione dell’indebitamento per ridurre il peso degli oneri finanziari.
Per quelle imprese e cooperative che hanno all’interno della propria base
sociale anche dei soci finanziatori, è necessario anche compiere un’analisi
basata sugli indici di capitale, per valutare come la gestione aziendale stia
valorizzando i loro apporti. Sarebbe ad esempio utile calcolare l’indice del
rendimento del capitale investito, adattandolo alla peculiarità del modello
cooperativo comprendendo in esso, se rilevanti , anche le riserve indivisibili e il
prestito sociale.
29
La misurazione dell’efficacia è ovviamente questione complessa, in special
modo in ambito cooperativo.
E’ però fondamentale comprendere che la misura reale del successo di una
impresa, anche cooperativa è la convinzione da parte dei soci e degli altri
portatori di interessi che gli obiettivi di fondo da loro percepiti come i più rilevanti
sono stati conseguiti. Non sembri strana questa accentuazione dell’aspetto
psicologico e soggettivo: la realtà del confronto quotidiano con questa realtà
imprenditoriale ci ha fornito innumerevoli prove della sua presenza rilevante.
Dalle risultanze della semplice analisi degli indici si traggono dunque
indicazioni sul fatto che stia effettivamente mettendo in essere la strategia
decisa.
Se l’analisi mostra che così non è, il gruppo dirigente deve
immediatamente interrogarsi sulle cause. Potrebbe darsi ad esempio che non
si siano percepiti determinati mutamenti dell’ambiente complessivo in cui si
opera; forse la strategia dei concorrenti ha spiazzato quella della cooperativa;
forse sono state assunte decisioni operative sbagliate e così via.
La valutazione della situazione e la considerazione dei necessari cambiamenti
strategici devono essere viste come parti fondamentali di un continuo processo
di apprendimento dal gruppo dirigente, che deve essere costantemente
consapevole dei mutamenti in atto e di quelli che potrebbero essere necessari,
pena l’abdicazione dal suo ruolo.
Se questa consapevolezza esiste, se il gruppo dirigente comprende quale è
l’andamento reale della’impresa (o cooperativa) ed apprezza i pericoli e le
opportunità del mercato e le forze e le debolezze della cooperativa, può fornire
una risposta alla cruciale domanda se le strategie sono vincenti, se le risorse a
sua disposizione finanziarie e di competenze umane sono adeguate e se sono
ben gestite o se ci si trova in presenza della necessità di mutamenti anche
radicali.
ANALISI DELLA SITUAZIONE COMPETITIVA
Molte volte le piccole realtà produttive tendono ad assumere un atteggiamento
fatalistico nei riguardi del mercato e della propria posizione in esso. Siamo
irrilevanti, non possiamo fare niente, dobbiamo accettare le cose così come
sono. Non sempre è così e per capire quali margini di manovra è possibile
attuare non sembra inutile soffermarsi a riflettere su che cosa si intende per
situazione competitiva .
Due sono gli aspetti della posizione corrente dell’impresa e/o cooperativa da
considerare ai fini dell’impostazione di una corretta strategia di crescita: la
struttura del mercato di riferimento e la posizione dell’impresa nel mercato.
Per quanto riguarda il primo aspetto, bisogna considerare il numero delle
imprese, le modalità della competizione e il tasso di crescita del mercato. Un
mercato può presentare aspetti di richiamo per una impresa in relazione al suo
potenziale di crescita potenziale e di redditività potenziale.
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Per quanto riguarda il secondo aspetto, la posizione di un’impresa comprende
la sua dimensione e la sua quota di mercato, come compete, se è dotata di
specifiche e riconosciute capacità competitive e se si situa con successo in
segmenti selezionati del mercato.
E’ ovvio, ma spesso fonte di clamorosi fallimenti imprenditoriali, il fatto che
un’impresa ben difficilmente può avere successo se decide di competere in un
mercato perché è redditizio e ha forti possibilità di crescita, ma in questo non la
ha la possibilità di sviluppare vantaggi competitivi.
Allo stesso modo un’impresa non dovrebbe concentrasi nel cercare di creare un
vantaggio competitivo senza valutare le reali potenzialità del mercato. Con uno
specifico vantaggio competitivo un’impresa potrebbe essere certamente
profittevole in un mercato poco attraente, ma ci sarebbero ben poche possibilità
di crescita se questo mercato fosse destinato a svilupparsi più lentamente
dell’economia in generale.
Il profitto non il solo fine dell’attività, ma i profitti sono importanti per raggiungere
gli altri obiettivi e per aiutare a finanziare la crescita.
L’impresa deve dunque, per ottenere profitti stabili, creare valore per i
consumatori, creare un vantaggio competitivo per sostenere la creazione di
valore, operare con efficienza ed efficacia.
Generalmente è più facile creare inizialmente un vantaggio competitivo che
riuscire poi a sostenerlo nel tempo. Un vantaggio competitivo non può essere
sostenuto per sempre e probabilmente neppure per lungo tempo senza
cambiamenti nei prodotti, nei servizi e nelle strategie che tengano conto delle
mutate preferenze del mercato e dell’attività dei concorrenti.
Un vantaggio competitivo può essere sostenuto solo da un costante sforzo
verso l’innovazione. Le imprese che sono orientate verso il cambiamento
sviluppano nuove forme di vantaggio competitivo attraverso nuove idee
innovative che riguardano ogni fase dell’attività manageriale. Se un’impresa non
riesce a stare al passo del mercato deve considerare una strategia di
ristrutturazione e di ritorno al valore.
LA CURVA DELL’ESPERIENZA
Un concetto manageriale importante ai fini del conseguimento del vantaggio
competitivo è quello di curva dell’esperienza, che giustifica il richiamo ad una
politica di integrazione della filiera.
Una dimensione maggiore rispetto ai concorrenti può arrecare grandi benefici.
In particolare se un’impresa ha una quota di mercato maggiore di quella dei
suoi concorrenti dispone di una possibilità di conseguire maggiori profitti.
Costi più bassi possono essere ottenuti attraverso economie di scala e gli effetti
dell’apprendimento o dell’esperienza a condizione che l’impresa sia ben
condotta.
Allorché, infatti, la produzione incrementa nel tempo si crea la potenzialità di
una riduzione dei costi secondo un tasso prevedibile. L’impresa apprende a fare
31
le cose meglio. I risparmi sono diffusi in tutte le aree di costo: produzione,
amministrazione, vendita, distribuzione.
L’effetto esperienza è stato osservato ovunque, nei settori ad alta o bassa
tecnologia, nella fase della maturità come in quella degli inizi, nella industria
della trasformazione come in quella dei servizi.
Una lista non esaustiva dei fattori alla base della curva dell’esperienza
comprende :
• l’aumentata efficienza del lavoro attraverso l’apprendimento e il conseguente
aumento dell’abilità
• l’opportunità di una maggiore specializzazione nei metodi di produzione,
una maggiore produttività dalle attrezzature in quanto il personale impara a
usarle in modo più efficiente.
Occorre ribadire con forza che questi effetti benefici non sono automatici e che
una buona gestione manageriale è sempre indispensabile per conseguire i
vantaggi connessi all’esperienza.
La curva dell’esperienza gioca un ruolo importante anche nelle decisioni di
prezzo. Chi gode di un vantaggio nei costi come risultato dell’esperienza
accumulata può utilizzarla per una decisone di prezzo legata ai propri obiettivi di
profitto e di crescita nel mercato.
IL MODELLO DELLE CINQUE FORZE DI PORTER
Il modello probabilmente più noto - e fors’anche il più potente - per analizzare
un settore economico è stato elaborato da Porter negli anni ‘80. Le sue
risultanze calzano perfettamente anche per il settore ittico e consentono di
trarre alcune importanti conclusioni di politica industriale.
Secondo questo modello l’attrattività e la profittabilità di un settore sono
determinati da cinque forze.
Al cuore del settore agiscono i concorrenti e le loro strategie, ma per capirne la
dinamica occorre guardare oltre ad essi in quanto esistono altri fattori di
opportunità e di pericolo.
In modo particolare, occorre prestare attenzione al rischio posto da prodotti o
servizi considerati dai clienti come alternativi e sostitutivi.
Vi è poi il pericolo costituito dai nuovi entranti, anche se alcuni vedono in questo
anche un’opportunità di intensificare una politica di fidelizzazione dei clienti.
E’ poi importante rimarcare come influiscono sulla posizione dell’impresa i
rapporti con i fornitori e i clienti e le rispettive posizioni di forza. Se questi
soggetti dispongono di un grande potere contrattuale si trovano nella posizione
di ridurre i profitti dell’impresa attraverso la riduzione dei margini conseguente
a aumenti dei costi o riduzione dei prezzi. Questi problemi sembrerebbero
indirizzare ad una maggiore spinta verso i processi di integrazione verticale di
filiera.
32
L’integrazione verticale, ricordiamo, si verifica quando un’impresa acquista o si
fonde con un fornitore o un cliente e quindi guadagna un maggiore controllo
sopra l’intera catena di attività che conduce dalla materia prima al consumo
finale.
Se un’impresa comprende realmente e pienamente la natura delle cinque forze,
e comprende in particolare qual è cruciale per il suo successo in ogni dato
momento, si trova in una posizione più forte per difendersi dai pericoli ed
influenzare le forze esterne con la sua strategia.
Conviene guardare un po’ più da vicino l’operare di ciascuna di esse all’interno
del settore.
1- il pericolo dei nuovi entranti: le barriere all’entrata.
Se le barriere all’entrata sono alte i nuovi entranti sono ovviamente scoraggiati
e se cercano comunque di entrare, i loro tentativi provocano quasi certamente
una reazione delle imprese che già operano nel settore. Se le barriere sono
basse, generalmente le reazioni sono più lente e si aprono più opportunità per
gli entranti. Diversi fattori sono all’origine delle barriere all’entrata: economie di
scala (con un ruolo particolare, come abbiamo visto, attribuibile alla curva
dell’esperienza), differenziazione dei prodotti, ammontare del capitale da
investire, costi di switching (il cambio di un fornitore nuovo entrante per un
cliente può comportare costi e problemi), accesso ai canali distributivi, vantaggi
di costo indipendenti dalle economie di scala (come ad esempio la disponibilità
di particolari materie prime non accessibili a tutti).
Un’impresa attratta da alti margini in un mercato o segmento di esso può
valutare la forza delle reazioni delle imprese già in esso operanti esaminando il
comportamento passato quando i nuovi venuti sono entrati o hanno cercato di
entrare, la disponibilità di risorse per le azioni di rappresaglia, gli investimenti
“dedicati”, che cioè non possono essere utilizzati al di fuori di quello specifico
mercato, che rendono la rappresaglia inevitabile per difendere la loro posizione,
il tasso di crescita del settore o subsettore (tanto più è alto tanto più un nuovo
entrante può essere assorbito senza troppi problemi).
Le imprese esistenti possono essere disposte a ridurre i loro prezzi per
scongiurare nuovi ingressi soprattutto nel caso in cui l’offerta già ecceda la
domanda. Questo ovviamente incide sulla redditività.
Il concetto di differenziazione di prodotto merita un approfondimento vista
l’importanza che riveste per le imprese, anche cooperative di trasformazione
(ma non solo: pensiamo anche alle possibilità per il settore primario, con le
varie politiche di identificazione dell’origine e della genuinità e freschezza, e la
ricerca con le politiche della qualità).
Si dice che un prodotto o un servizio è differenziato se i consumatori o i clienti
percepiscono delle qualità e delle proprietà che lo rendono distinto da altri
prodotti e servizi di altre imprese ed idealmente in un qualche modo unico. La
differenziazione è soprattutto portatrice di benefici se i clienti sono disposti a
pagare di più per ottenerlo (premio sul prezzo).
33
La differenziazione di prodotto parte dalla considerazione che i clienti possono
avere bisogni diversi e differenti poteri di acquisto. Essa non deve essere
necessariamente tangibile o materialmente esistente: basta che i clienti la
percepiscano come tale.
Specifici gruppi di clienti con bisogni similari sono definiti come segmenti del
mercato e spesso i prodotti e i servizi sono differenziati per raggiungerli con
maggiore valore aggiunto per l’impresa.
La segmentazione può essere basata su molti e differenti fattori. Ciò che
importa affinché rechi vantaggio alla struttura aziendale o cooperativa è che il
segmento ritenuto di interesse possa facilmente e chiaramente essere
separato dal resto del mercato e raggiungibile dai propri canali distributivi.
2- il potere contrattuale dei fornitori
Per evitare che il comportamento e il relativo potere dei fornitori possano
comprimere i margini di redditività, la via che l’impresa ha di fronte a sé passa
per il controllo delle forniture attraverso l’integrazione verticale o accordi di
fornitura a lungo termine.
Alcuni dei fattori alla base del potere dei fornitori possono essere così
identificati:
•
concentrazione dei fornitori nei riguardi del settore
•
la misura in cui l’impresa e/o cooperativa è importante per il fornitore
•
i costi del passaggio da un fornitore ad un altro.
3- il potere contrattuale degli acquirenti
Anche in questo caso la ricetta per evitare che gli acquirenti si impossessino dei
margini risiede negli accordi di cooperazione a lungo termine e nella
integrazione verticale. Tra le cause che determinano questo potere si possono
citare:
•
la concentrazione e la dimensione dell’acquirente
•
l’importanza per l’acquirente dei prodotti e dei servizi in termini sia di costi
sia di qualità
•
il livello della standardizzazione di prodotto, che influenza la sostituibilità
•
i costi e la praticabilità di cambiare fornitore da parte dell’acquirente.
4- la minaccia di prodotti o servizi che possono fungere da sostituti
L’ esistenza o meno di prodotti o servizi sostituibili contribuisce a determinare l’
elasticità della domanda per un prodotto o servizio (sensibilità al prezzo). Se i
prodotti non sono visti come altamente sostituibili allora saranno meno sensibili
a politiche di prezzo attuate dai concorrenti. E’ questa la ragione per cui le
imprese cercano di stabilire una chiara differenziazione di prodotto o servizio
per creare una fidelizzazione del cliente e renderli meno sensibili al prezzo dei
beni o servizi dei concorrenti
34
5- la concorrenza tra le imprese già presenti sul mercato
la concorrenza può assumere differenti forme: concorrenza sul prezzo;
promozione e immagine; innovazione. Se esiste interdipendenza tra le imprese
(i risultati di una sono condizionati dalle azioni delle altre) le azioni di reazione
diventano una caratteristica del mercato. Prima di decidere azioni aggressive
nei riguardi dei concorrenti bisogna cercare di prevederne la reazione.
L’intensità della competizione dipende dalla struttura del mercato che dipende
da diversi elementi:
•
il numero dei concorrenti e il grado di concentrazione
•
il tasso di crescita del mercato: un basso tasso di crescita aumenta la
pressione sui concorrenti per combattere per la quota di mercato
•
il grado di differenziazione: tanto è più basso tanto più la competizione
sul prezzo è probabile
•
la struttura dei costi: quando i costi fissi sono alti rispetto ai costi
variabili le imprese i profitti sono dipendenti dal volume delle vendite
•
la discontinuità degli investimenti
•
la misura in cui i concorrenti sono consci delle strategie dei loro rivali:
un aspetto di questo elemento è la relativa importanza del prodotto o servizio
per ogni singolo concorrente
•
gli obiettivi delle imprese concorrenti:
che cosa loro interessa
veramente (se i profitti o il volume delle vendite o la quota di mercato). Gli
obiettivi, come si è visto, determinano le strategie.
•
Le barriere all’uscita e il costo di lasciare il mercato: se si configurano
alti per qualsiasi ragione, le imprese possono accettare bassi margini e limitate
occasioni di profitto pur di rimanere nel mercato. I tipi di investimento che
determinano i costi di uscita sono i beni c.d. dedicati (come si è detto, beni che
non possono essere usati o che non possono essere usati in modo redditizio in
altri settori); i costi dei lavoratori in esubero; aspetti emotivi legati alla storia
dell’impresa; pressioni da parte delle istituzioni per non chiudere.
Come conclusione del ragionamento, una impresa e/o cooperativa per essere
in grado di sopravvivere su un mercato concorrenziale e attuare politiche di
sviluppo deve:
• Capire quale delle cinque forze è determinante (è diversa per ogni settore o
subsettore di attività) e concentrare l’attenzione strategica su questa area
• Posizionarsi per la migliore difesa possibile contro ogni minaccia da parte
delle altre imprese
• Cercare di condizionare le cinque forze del mercato attraverso le proprie
strategie competitive.
• Anticipare i mutamenti o gli spostamenti nelle cinque forze: i fattori che
generano successo nel breve termine possono non produrlo nel futuro.
35
LA LEADERSHIP DI COSTO
Come si vede il modello porteriano sembra attagliarsi piuttosto bene alla
situazione di mercato in cui si ritrovano tante piccole e medie imprese, anche
cooperative.
La sua portata esplicativa e normativa risulta ancora più chiaramente se si
considera l’approfondimento che egli fa delle due scelte basilari cui si trova di
fronte un’impresa quando cerca di creare e sostenere nel tempo un vantaggio
competitivo: la differenziazione e la leadership nei costi. Della prima scelta si è
già detto a sufficienza in questa sede nel corso della trattazione.
La leadership nel costo richiede, da parte dell’impresa che decide di perseguire
questa strategia, il fatto di essere senza rivali in questa posizione. Attenzione
però: la leadership nel costo come strategia generale non implica che l’impresa
si presenti sul mercato con i prodotti o i servizi al prezzo più basso. Molto
spesso i prodotti al prezzo più basso sono considerati di livello inferiore.
Costi bassi non significa “a buon mercato”: le imprese con una bassa struttura
dei costi possono rivolgersi ai segmenti alti del mercato piuttosto che ai bassi.
Allo stesso modo avere la leadership nei costi non significa paghe più basse
per i lavoratori o minore remunerazione per il capitale investito, in quanto
questo tipo di impresa solitamente presenta alti margini di valore aggiunto.
Il suo obiettivo è quello di assicurarsi un vantaggio di costo sui propri rivali,
attuare una politica di prezzo commisurata a quanto il mercato percepisce
essere la qualità dei suoi prodotti o servizi e conseguire un alto reddito
operativo.
Le imprese che perseguono questa strategia cercano in sostanza di
raggiungere profitti al di sopra della media praticando prezzi nella media del
mercato.
É una strategia che sembra particolarmente congruente con le caratteristiche
culturali e i valori e le risorse umane delle imprese, ivi comprese le cooperative.
L’ANALISI DEI PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA DELL’IMPRESA
Una volta compresa attraverso l’applicazione del modello porteriano
semplificato la dinamica delle forze del mercato in cui si opera o si vorrebbe
operare, il passo successivo per la definizione di una appropriata strategia è
rappresentato per la nostra impresa dalla valutazione dei propri punti di forza e
debolezza.
Questo tipo di analisi vuole fornire la risposta essenzialmente a due domande:
• Quali sono le nostre opportunità e le minacce?
• Come possiamo avvantaggiarci delle nostre debolezze e ridurre le nostre
debolezze?
36
La prima questione è relativa all’ambiente complessivo in cui opera l’impresa, la
seconda si riferisce alle risorse complessive a sua disposizione. Le opportunità
che vanno considerate sono quelle che possono essere colte con successo in
quanto corrispondono alle risorse e ai valori dell’organizzazione; le minacce
ambientali da tenere in considerazione sono essenzialmente quelle che
l’impresa non è attrezzata ad affrontare; le risorse chiave sono quelle dove
l’impresa gode di una relativamente forte posizione competitiva e che si
ricollegano a fattori chiave di successo; i punti di debolezza chiave sono quelli
che impediscono all’organizzazione di raggiungere il vantaggio competitivo.
Solitamente è utile iniziare questa analisi predisponendo una griglia in cui si
focalizza l’attenzione sulle caratteristiche del mercato secondo il modello di
Porter stabilendo con un punteggio il grado di relativa importanza da un lato e i
punti di relativa forza e debolezza dell’impresa dall’altro, in modo da consentire
una discussione nell’ambito del gruppo dirigente, che permetta ai problemi di
emergere con chiarezza.
Nella pratica sono usati due approcci alternativi.
Il primo prende l’avvio dalla missione dell’impresa come specificata dalla sua
strategia e cerca di rispondere a domande come:
•
Qual è il grado di congruenza dell’impresa con l’ambiente in cui opera in
questo momento?
•
In che grado le risorse e i valori dell’impresa sono adeguati per
perseguire con successo i cambiamenti che dovranno essere effettuati?
•
La cultura dell’impresa sta efficacemente combinando le nostre risorse
con le caratteristiche dell’ambiente?
•
Quali mercati e segmenti di mercato possono effettivamente apprezzare
questi valori e queste capacità?
Un approccio alternativo parte invece dai prodotti e dai mercati dove l’impresa
già compete e li valuta in termini di opportunità, minacce e fattori chiave di
successo e cerca di dare una risposta a domande come:
•
Le nostre risorse sono adeguate e appropriate per essere competitivi?
•
I nostri valori culturali di impresa sono adeguati?
Un altro filone di ragionamento sostiene l’utilità di considerare le capacità, le
risorse e le influenze dell’ambiente economico in cui si opera in relazione a
specifici aspetti strategici.
Un esempio può aiutarci a capire. Se un’impresa ha come obiettivo di
aumentare la redditività di un particolare prodotto o servizio di una certa
percentuale in un dato periodo, può elaborare una lista dei fattori chiave di
successo disposti secondo la percezione d’importanza per i clienti e la
situazione dell’ impresa in relazione ad essi.
Da questo si potrebbe ricavare la convinzione che esistono opportunità di
aumentare le vendite sfruttando meglio il proprio canale distributivo, oppure che
37
una riduzione dei costi, conseguibile attraverso una gestione più efficiente del
processo produttivo, potrebbe aumentare la redditività. Si sceglie l’alternativa
ritenuta migliore a questa biforcazione concettuale e si passa poi alle scelte
relative alle alternative successive fino a giungere alla scelta ritenuta ottimale.
In sostanza questo modello spezza le decisioni alternative in una forma ad
albero, in cui ad ogni ramo corrisponde una connessione tra risorse a
disposizione e obiettivi, fino ad arrivare a definire un percorso decisionale
ritenuto ottimale.
SINTESI OPERATIVA DEI CONCETTI PRINCIPALI DELLA GESTIONE
MANAGERIALE
Per i fini di questo lavoro, che vogliono essere solo uno stimolo per le imprese e
cooperative del mondo della pesca a confrontarsi con i principi generali del
pensare in termini strategici, ciò che è stato detto finora può bastare.
Riteniamo utile allora tentare di giungere ad una sintesi operativa dei concetti
principali alla base di una buona gestione aziendale:
• Il fatto di essere piccole imprese e/o cooperative non deve essere un alibi per
non dotarsi di strategie competitive ed anche, sia pure limitatamente, funzionali
(relative alle varie funzioni presenti): anzi esse sono particolarmente importanti
per le piccole imprese che hanno meno margini delle grandi per
“ammortizzare” le inefficienze.
• I punti di forza e di debolezza vanno sempre considerati in termini relativi alla
situazione di mercato in cui si opera e non in termini assoluti.
• Anche le risorse non sono deboli e forti in senso assoluto : il loro valore
dipende da come sono gestite managerialmente, se sono cioè gestite
efficientemente e efficacemente.
• I sistemi di pianificazione e controllo della produzione e della finanza sono
essenziali anche a livelli dimensionali ridotti. I modi in cui il gruppo dirigente
coopera con tutti i soggetti dell’impresa influenza fortemente l’efficacia e
l’efficienza della gestione delle risorse.
• Il gruppo dirigente deve essere pienamente consapevole delle risorse umane
e materiali a disposizione dell’organizzazione e deve affrontare non solo i
problemi quotidiani, ma anche problemi di carattere strategico se si vuole che
queste risorse siano usate per creare e sostenere vantaggio competitivo.
• Tutti all’interno dell’organizzazione devono essere consapevoli dei
consumatori e dei clienti, dei loro bisogni e di come l’impresa li possa
soddisfare raggiungendo nel contempo i propri obiettivi. I valori e la cultura
dell’impresa devono impregnarsi di questa consapevolezza. La distinzione tra
clienti e consumatori vale particolarmente per le cooperative di trasformazione,
quando i loro clienti sono essenzialmente distributori e i consumatori finali sono
i clienti di questi distributori.
• Innovazione e qualità devono sempre essere visti come aspetti importanti
dell’agire manageriale e come parte della cultura aziendale.
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• Un’impresa innovativa è pronta al cambiamento e cerca opportunità per
cambiare in meglio in modo da non lasciarsi travolgere dalla concorrenza.
• Un’attenzione per la qualità a qualsiasi stadio dell’attività dell’organizzazione
influenza sia i costi sia la soddisfazione del cliente.
• Nella gestione delle risorse umane i valori cooperativi devono essere
comunicati e diffusi a tutta l’organizzazione.
• La gestione finanziaria deve includere il controllo dei costi in modo da
produrre profitto e valore che si aggiungono ai prodotti e ai servizi.
• Bassi costi e differenziazione sono le forme essenziali di vantaggio
competitivo. Sono legati sia alla consapevolezza dei bisogni dei clienti sia alla
gestione manageriale delle risorse per soddisfare questi bisogni efficacemente
e con profitto.
• Orientamento al mercato e efficace gestione della produzione, della finanza e
delle risorse umane sono tutti aspetti essenziali della creazione e del
mantenimento di vantaggio competitivo.
• La missione definisce lo scopo essenziale dell'organizzazione, ciò che
concerne il motivo della sua esistenza, la natura dell'area di attività economica
in cui opera, e i clienti che cerca di servire e soddisfare.
• Gli obiettivi sono i risultati legati a particolari orizzonti temporali e riguardano
la disciplina o il tipo di organizzazione, il livello dei risultati economici ecc.
• Le strategie sono i mezzi attraverso i quali le organizzazioni conseguono o
cercano di conseguire gli obiettivi. Esistono una strategia per ogni prodotto o
servizio e una strategia generale per l'organizzazione.
• La conduzione strategica è il processo attraverso il quale una organizzazione
stabilisce i suoi obiettivi, formula le azioni indirizzate a raggiungere quegli
obiettivi nei tempi prefissati, sviluppa le azioni e valuta i progetti ed i risultati.
• Il cambiamento strategico riguarda i cambiamenti che si verificano nel corso
del tempo nelle strategie e negli obiettivi dell'organizzazione. Il cambiamento
può essere di tipo graduale o evolutivo, o anche rivoluzionario.
• La consapevolezza strategica è la comprensione da parte dei managers della
strategia seguita dall'organizzazione e di come l'efficacia di questa strategia
potrebbe essere migliorata e della necessità e della fattibilità delle opportunità
di cambiamento.
• Per delle piccole imprese un modello semplificato strategico, utile al fine di
cominciare a ragionare su questi argomenti, potrebbe essere così definito:
CONSAPEVOLEZZA STRATEGICA
- Qual è l'affidabilità delle nostre informazioni?
- Come stiamo andando? E perchè?
- Quali sono le nostre opportunità? E le minacce?
- Come possiamo sfruttare i nostri punti di forza e ridurre le nostre debolezze?
CAMBIAMENTO STRATEGICO
- Dove vogliamo andare?
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- Dati i nostri punti di forza, le nostre debolezze, le nostre opportunità e le
nostre minacce, che cosa è realistico? E che cosa è necessario?
- Quali alternative abbiamo?
- Come scegliamo la linea di azione?
- Cosa possiamo/non possiamo/dobbiamo/non dobbiamo fare?
- Come possiamo far funzionare la strategia?
- Come possiamo guidare il cambiamento?
• Non c'è alcun approccio universale alla strategia aziendale e al cambiamento
strategico.
Si deve scegliere di volta in volta quali approcci e quali tipi di decisione sono più
efficaci in particolari circostanze. In altre parole, esperienza, teoria e concetti
generano la consapevolezza. Quest'ultima, combinata con la riflessione,
migliora la comprensione.Una continua valutazione aiuta a sviluppare una
prospettiva personale di conduzione aziendale efficace. La catena può essere
così sintetizzata: esperienza / riflessione / teoria / pragmatismo /
sperimentazione.
• L'obiettivo della diagnostica esterna (minacce e opportunità) è di analizzare
l'evoluzione dell'ambiente in cui opera l'impresa al fine di individuare le grandi
tendenze suscettibili di esercitare un'influenza sullo sviluppo dell'impresa. I
cambiamenti dell'ambiente possono rappresentare delle minacce, ma anche
delle opportunità, sotto il segno dell'ambivalenza in molte occasioni e quindi da
interpretare con grande attenzione.
• E' importante individuare i fenomeni significativi che modificano la situazione
data e obbligano l'impresa a rispondere alla nuova situazione con una decisione
strategica.
L'AMBIENTE ECONOMICO
a) L'ambiente Macroeconomico
Le caratteristiche generali dell'ambiente macroeconomico condizionano la
strategia di qualsiasi impresa, indipendentemente dalla sua dimensione e dal
suo settore d’ attività.
Alcuni semplici esempi: nei periodi di crescita rapida dell'economia, le imprese
adottano spesso delle strategie di sviluppo basate su delle politiche di
diversificazione; d'altra parte durante i periodi di crisi economica, si mettono in
essere piuttosto delle strategie di rilocalizzazione sul mestiere di base (core
business).
b) L'ambiente Mesoeconomico
Si tratta di analizzare per le cooperative della pesca la propria produzione
nell'ambito della filiera.
Le forze concorrenziali e l'evoluzione tecnologica ai differenti stadi della filiera
obbligano le imprese a mettere in atto delle strategie d'integrazione verticale o
di spostamento lungo la filiera.
40
c) L'ambiente Microeconomico
Si tratta di analizzare le relazioni intrattienuti con altri agenti economici
chiaramente identificati per la loro rilevanza ai fini dell'attività imprenditoriale.
I PARTNER COMMERCIALI DIRETTI DELL'IMPRESA
E' assolutamente necessario conoscere precisamente le caratteristiche
economico-finanziarie comportamentali dei principali clienti e fornitori, allo
scopo di giudicare i rapporti di forza e di individuare tempestivamente le
eventuali minacce.
L'INTEGRAZIONE IN AMBITO LOCALE
E' impossibile valutare la situazione di una impresa o di una cooperativa e la
sua strategia indipendentemente dalle sue interazioni economiche e sociali con
il territorio che ne costituiscono la forza vitale.
41
Capitolo quarto
LA GESTIONE FINANZIARIA
IL RENDICONTO FINANZIARIO
Uno schema di riferimento per cominciare a ragionare sui criteri di una corretta
gestione della funzione finanziaria può essere quello del rendiconto finanziario.
Al rendiconto finanziario si può ricorrere sia a scopo consuntivo (per
comprendere l’evoluzione della dinamica finanziaria in un periodo trascorso),
sia a scopo previsionale per individuare la possibilità dell’impresa di proseguire
la propria attività preservando l’equilibrio finanziario.
RENDICONTO FINANZIARIO
REDDITO OPERATIVO
- IMPOSTE
+ AMMORTAMENTI
= FLUSSO DI CIRCOLANTE DELLA GESTIONE CORRENTE
VARIAZIONE DEL CAPITALE CIRCOLANTE
(aumento/riduzione di crediti commerciali, aumento/riduzione del magazzino,
aumento/riduzione dei debiti di fornitura, aumento/riduzione di altri debiti
correnti, aumento/riduzione dei fondi imposte)
FLUSSO MONETARIO DELLA GESTIONE CORRENTE
+/- VARIAZIONE DEGLI INVESTIMENTI
- RIMBORSI DEBITI NON CORRENTI
- INTERESSI PASSIVI NETTI
- DIVIDENDI
+/- NUOVI FINANZIAMENTI CAPITALE DI RISCHIO E DI CREDITO
= SALDO MONETARIO DI ESERCIZIO
Il rendiconto finanziario evidenzia tutte le variabili che il responsabile finanziario
deve “gestire”, su cui cioè è chiamato a decidere.
LE DECISIONI FINANZIARIE
Queste decisioni possono essere raggruppate in tre tipologie:
- decisioni di investimento;
- decisioni che riguardano le modalità di finanziamento degli investimenti;
- decisioni che riguardano i dividendi o, nel caso delle cooperative, i ristorni
(decisioni che riguardano l’autofinanziamento).
Per decisioni di investimento si devono intendere in senso estensivo tutte quelle
decisioni che riguardano, secondo la definizione di Robbins, “l’allocazione delle
scarse risorse a disposizione dell’impresa, tra tipi alternativi”.
42
Si tratta dunque delle decisioni che riguardano la sfera della produzione
(immobilizzazioni materiali o immateriali), della distribuzione, del capitale
circolante.
Anche le decisioni riguardanti le acquisizioni e le fusioni rientrano in questa
categoria.
Il compito essenziale per una corretta gestione finanziaria delle decisioni di
investimento è quello di misurare il rendimento di un investimento progettato e
di compararlo con un tasso minimo di rendimento richiesto (che tiene conto
della rischiosità del progetto) al fine di giudicarne la convenienza.
Le decisioni di investimento riguardano la scelta della struttura finanziaria: in
quale misura, con quale combinazione di mezzi propri e indebitamento
finanziare i progetti di investimento.
Si deve dare una risposta alla domanda se esiste una struttura finanziaria
ottima – che minimizzi i costi per l’impresa – e dunque bisogna considerare i
costi e i benefici delle molteplici differenti scelte che si possono compiere.
Le decisioni sui dividendi e il ristorno riguardano le politiche di
autofinanziamento che l’impresa intende seguire, ovverosia quale ammontare
dell’utile prodotto si decide di reinvestire nelle politiche aziendali.
Quanto più ampie sono le opportunità di crescita per l’impresa, tanto maggiore
è il tasso di sviluppo a cui si rinuncia se si decide di rinunciare
all’autofinanziamento: l’impresa investe meno di quanto potrebbe
potenzialmente.
L’ OBIETTIVO DELLA FUNZIONE FINANZIARIA
L’obiettivo della funzione finanziaria è di massimizzare il valore dell’impresa,
che è rappresentato, secondo la teoria ormai più accreditata (si veda l’apposito
capitolo sulla nozione di valore d’impresa), dal valore presente dei suoi flussi di
cassa attesi scontati a un tasso che riflette sia il rischio dei progetti intrapresi sia
la struttura finanziaria prescelta per finanziarli.
I finanziatori (soci e banche) si formano aspettative sui flussi di cassa futuri,
basati sui flussi di cassa effettivamente realizzati nel presente, e sulla crescita
futura attesa che, a sua volta, dipende dalla qualità dei progetti intrapresi
dall’impresa (le sue decisioni di investimento) e l’ammontare delle risorse
reinvestite (le decisioni di autofinanziamento).
Il cerchio si chiude: le decisioni di finanziamento influiscono sul valore di
un’impresa sia attraverso il tasso di sconto sia potenzialmente sui flussi di
cassa attesi.
I PRINCIPI BASILARI DELLA FINANZA D’AZIENDA
Dunque, il ruolo della finanza d’azienda è esteso e significativo. Vi sono alcuni
principi basilari su cui fonda le proprie tecniche e le proprie conclusioni:
• la coerenza interna, che deriva dalla funzione obiettivo adottata di
massimizzare il valore dell’impresa e dai sui assunti inconfutabili (il rischio deve
essere remunerato, i flussi di cassa contano più del reddito contabile, i
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finanziatori non possono essere ingannati per sempre, ogni decisione presa
dall’azienda produce effetti sul suo valore).
• l’integrazione, nel senso che tutte le decisioni finanziarie devono essere viste
come un insieme organico e non come una serie di decisioni separate e
distinte. Le imprese che affrontano i loro problemi finanziari senza questa
visione globale hanno poche speranze di giungere a delle soluzioni corrette.
• l’importanza, poiché ogni decisione operativa assunta dall’impresa ha dei
risvolti e delle conseguenze finanziarie.
• la creatività, perché essendo la finanza d’azienda focalizzata sugli aspetti
quantitativi, comporta una parte rilevante di pensiero creativo per cercare di
trovare soluzioni efficaci ai problemi con cui si deve confrontare. Colui che in
cooperativa si occupa di finanza deve in sostanza non solo limitarsi ad
assicurare che le risorse finanziarie siano disponibili al momento giusto, per il
corretto periodo di tempo e al costo più basso possibile, ma deve anche, in
concorso con il resto del gruppo dirigente, assicurarsi che siano usate nel
modo più efficiente ed efficace possibile. In termini più tecnici egli si occuperà
della pianificazione finanziaria, dovendo provvedere all’allocazione delle risorse
su un orizzonte temporale sia annuale (capitale circolante) sia pluriennale
(immobilizzazioni materiali e immateriali).
LA PIANIFICAZIONE FINANZIARIA
La pianificazione finanziaria in un’impresa di piccole dimensioni potrà basarsi su
due strumenti fondamentali: il piano inerziale e il piano di sviluppo.
Con il piano finanziario l’impresa o cooperativa deve fornire una risposta a
questioni cruciali come:
• qual è e quale sarà la situazione economica, patrimoniale e finanziaria
dell’impresa negli anni futuri in ipotesi di “inerzia strategica”, ovverosia senza
intraprendere nuovi investimenti?
• Tra gli investimenti proposti dal gruppo dirigente, quali risulta conveniente
intraprendere? Quali investimenti aumentano il valore dell’impresa e/o
cooperativa e quali lo diminuiscono?
• Come si ritiene di dover finanziare il piano di investimenti? Attraverso il ricorso
a capitale proprio o a capitale di credito? Oppure attraverso
l’autofinanziamento?
• Come muterà presumibilmente la situazione economica, patrimoniale,
finanziaria dell’impresa una volta effettuati gli investimenti selezionati e messa
in essere la struttura finanziaria ritenuta ottimale?
• Qual è l’impatto dei nuovi investimenti sul rischio operativo dell’impresa?
Quale l’impatto delle decisioni di finanziamento sul rischio operativo? E’
possibile valutare l’impatto che le strategie di investimento e finanziarie hanno
sul rischio complessivo delle imprese?
Si tratta insomma di una bussola per guidare la struttura aziendale o
cooperativa.
44
Le fasi di realizzazione della pianificazione finanziaria secondo questo schema
di analisi (Carradori-Grasselli,1999) sono:
• piano finanziario inerziale e stima del valore della impresa/cooperativa per i
soci;
individuazione delle strategie di sviluppo e dei nuovi investimenti da effettuare;
• piano di finanziamento dei nuovi investimenti;
• predisposizione del piano finanziario integrato, che tiene conto delle fasi
precedenti;
• valutazione dell’impatto del nuovo piano di investimenti sul rischio operativo e
finanziario
• valutazione globale del piano finanziario consolidato e del suo impatto sul
valore complessivo dell’impresa e/o cooperativa
Si tratta di un modello di pianificazione finanziaria che, seguendo le più
apprezzate tendenze nella pratica, privilegia la dimensione finanziaria rispetto ai
risultati economici, evidenziando le dinamiche dei flussi di cassa di medio-lungo
periodo.
Il fattore rischio è considerato nella sua duplice accezione di rischio operativo e
rischio finanziario. Inoltre, consente di tenere conto di tutte le principali decisioni
di finanza (scelta degli investimenti, gestione del capitale circolante, le scelte di
struttura finanziaria).
IL PIANO FINANZIARIO INERZIALE
Il primo passo dunque nel processo di pianificazione finanziaria consiste
nell’elaborare un piano finanziario inerziale. Per usare le parole di Rappaport, si
tratta di prendere un’impresa con la sua struttura di investimenti e di risorse
attuale e di proiettarla negli esercizi futuri dal punto di vista economico,
patrimoniale e finanziario.
Un problema delicato da affrontare per la predisposizione del piano inerziale
riguarda la scelta dell’orizzonte temporale per il quale effettuare la previsione
analitica dei flussi di cassa.
Per le cooperative di trasformazione e di pesca un orizzonte di cinque anni
appare, vista la struttura degli investimenti, adeguato.
Infatti, il piano finanziario deve essere modellato sulle caratteristiche della
concorrenza e sui tempi di utilizzazione economica degli investimenti.
Il periodo della previsione analitica deve essere comunque posto in relazione al
grado di realismo che è possibile perseguire. Previsioni oltre i dieci anni quasi
sempre non sono molto significative.
Il piano finanziario inerziale è composto dai tre tipici documenti economicofinanziari:
• conto economico;
• flussi di cassa;
• stato patrimoniale.
45
Il prospetto di conto economico deve essere costruito partendo dalla previsione
delle variabili economiche (prezzi di vendita, costi variabili di vendita, costo
industriale del venduto) e poi dalle previsioni delle variabili finanziarie (saldo
della politica di investimenti fissi di mantenimento, politica di gestione del
credito, dei fornitori, degli stock, costo dei finanziamenti).
Lo schema è questo per ciascun anno di previsione:
RICAVI LORDI DIVENDITA
- SCONTI E RETTIFICHE
= FATTURATO NETTO
- ALTRI COSTI VARIABILI
- COSTI DEL VENDUTO
= MARGINE DI CONTRIBUZIONE
- DEBITI FISCALI
- COSTI FISSI DI PRODOTTO
= MARGINE LORDO INDUSTRIALE
- SPESE GENERALI VENDITA/AMMINISTRAZIONE
- ALTRI COSTI FISSI
= REDDITO OPERATIVO
- ONERI/PROVENTI FINANZIARI
= RISULTATO LORDO
- ONERI TRIBUTARI
= RISULTATO NETTO
Lo schema dei flussi di cassa, sempre per ciascuno degli anni di previsione, è
così definito:
RISULTATO NETTO
+ AMMORTAMENTI
= CASH FLOW GESTIONALE
+/- CAPITALE CIRCOLANTE NETTO
+/- INVESTIMENTI/DISINVESTIMENTI
= CASH FLOW GESTIONALE NETTO
+/- AUMENTI/RIDUZIONI DI CAPITALE
= CASH FLOW TOTALE
La pianificazione finanziaria deve essere poi completata con l’impatto che le
politiche di investimento scelte dalle cooperative hanno sulle variabili
economiche e finanziarie in precedenza definite dalla pianificazione inerziale. Si
riformulano quindi i conti economici e i flussi di cassa secondo gli schemi
illustrati.
METODI PER VALUTARE LA CONVENIENZA DEGLI INVESTIMENTI
Si tratta di valutare come scegliere gli investimenti da effettuarsi.
Poiché la politica degli investimenti rappresenta l’aspetto fondamentale della
vita dell’impresa, anche della più piccola delle imprese, tutto il gruppo dirigente
46
di una impresa e/o cooperativa deve partecipare al processo di scelta e
conoscere operativamente i metodi per compiere delle valutazioni fondate dal
punto di vista economico-finanziario.
Seguendo l’esposizione di Monti, riconduciamo questi modelli a due gruppi
fondamentali:
• gruppo dei modelli neo-marginalistici;
• gruppo dei modelli empirici.
Entrambi i gruppi dei modelli soffrono di limitazioni o di astrazioni dalla realtà
che vale la pena di ricordare:
• certezza del contesto in cui viene presa la decisione di investimento, che
comporta un unico valore noto a priori per ogni variabile presa in
considerazione;
• investimenti fra di loro indipendenti: la realizzazione di un investimento non
influisce sul flusso di cassa di altri eventuali investimenti;
• pianificazione dei flussi di impiego e di ritorno del capitale in termini
strettamente finanziari, ovvero sotto forma di flussi periodici.
Il gruppo dei modelli neo-marginalistici definisce il valore di un investimento
sulla base dell’attualizzazione dei redditi che l’investimento dovrà produrre nel
futuro.
Il modello del valore attuale netto afferma che l’impresa deve effettuare
l’investimento solo se il VAN è positivo. In termini molto semplici:
• R1, R2, ……..Rn sono i flussi di cassa prodotti dall’investimento nel tempo di
analisi considerato;
• C è la spesa iniziale per l’investimento;
• i è il costo dell’indebitamento dell’impresa;
il valore attuale del flusso di reddito prodotto dall’impresa sarà:
n
R
t =1
(1+ i)
VA = ∑
t
Il valore attuale netto VAN si ottiene sottraendo dal valore attuale VA la spesa
dell’investimento
VAN=VA-C
Se il risultato è positivo l’investimento è da intraprendere, ovviamente a
condizione che le variabili di sistema rilevanti rimangano costanti nel periodo.
Si suppone che anche il costo medio dell’indebitamento rimanga costante nel
periodo di analisi considerato.
Nella realtà operativa, la capacità o la possibilità di un’impresa di mantenere
basso il costo del proprio indebitamento incide sul VAN: tanto più basso è i,
quanto più numerosi i progetti di investimento che conviene effettuare.
Un altro modello basato sui principi marginalistici è il modello basato sul TIR,
tasso interno di rendimento: è il tasso di interesse “r” che eguaglia i flussi di
cassa in uscita con quelli in entrata ossia che annulla il VAN.
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n
∑
t =0
Ft
(1+ r )
t
=0
L’investimento sarà effettuato se il TIR sarà superiore al costo del capitale e
sarà rifiutato in caso contrario. La capacità dell’impresa di utilizzare
efficientemente le risorse a sua disposizione sposta verso l’alto il TIR e rende
quindi accettabile un maggior numero di investimenti.
La convergenza tra i modelli VAN e TIR si spezza solo nel caso in cui siano
utilizzati per ordinare gli investimenti ritenuti accettabili. Nella classificazione per
rendimento degli investimenti infatti i due modelli mostrano delle divergenze
quando gli investimenti sono differenti in termini di distribuzione temporale dei
flussi e di dimensioni. Può darsi per esempio che utilizzando il modello TIR
l’investimento A è preferito rispetto all’investimento B, mentre utilizzando il
modello VAN si potrà ottenere il risultato opposto.
La teoria in larga parte preferisce l’utilizzazione del VAN.
Il VAN esprime una somma di denaro che rappresenta concretamente
l’incremento di ricchezza che l’impresa può realizzare per effetto
dell’investimento.
Il TIR è un tasso da confrontare con il costo del capitale. Molto spesso però non
si conosce con ragionevole certezza il tasso di interesse al quale l’impresa
potrà reinvestire i flussi di cassa prodotti dall’investimento.
Il metodo del VAN ipotizza invece che i flussi di cassa siano reinvestiti
dall’impresa a un tasso uguale al costo del capitale e quindi la sua utilizzazione
elimina alla radice questa incertezza.
Questa dualità tra il modello del valore attuale netto e il modello del tasso
interno di rendimento assume un particolare rilievo quando l’impresa non
dispone di risorse finanziarie sufficienti per finanziare tutti i programmi di
investimento che vorrebbe.
Tra i metodi basati su regole empiriche basterà citare quella del cosiddetto
“tempo di recupero dell’investimento”.
Si tratta infatti di metodi che non hanno basi scientifiche e molto spesso
possono condurre a delle valutazioni fuorvianti ed erronee.
Il modello di recupero dell’investimento consente di calcolare il periodo di tempo
necessario per tramutare in flussi di cassa la spesa effettuata per
l’investimento, ovverosia in altre parole il periodo di tempo che occorre
all’impresa per il ritorno del tasso completo dell’esborso iniziale.
Questo periodo di tempo va confrontato con il tempo massimo di recupero
accettato dall’investitore. Se il tempo di recupero è superiore a quest’ultimo
periodo, l’investimento verrà rifiutato.
E’ ovvio che questo metodo tende a privilegiare gli investimenti con il periodo di
rientro più corto. La formula di calcolo è dunque:
CAPITALE INVESTITO/FLUSSO DI CASSA ATTESO IN CIASCUN PERIODO
A fronte della sua semplicità, questo modello non consente un reale
apprezzamento della redditività dell’investimento che l’impresa vorrebbe
intraprendere, poiché non consente di considerare i flussi di cassa generati
dall’investimento stesso successivamente al periodo di recupero.
48
Con la sua utilizzazione, si possono quindi non intraprendere progetti di
investimento vantaggiosi e al contrario effettuare investimenti meno redditizi.
La sua utilità consiste quindi nell’essere un buon indicatore della misura del
rischio (un progetto di investimento con un periodo di recupero più breve è
meno rischioso di un progetto con un periodo di recupero più lungo), ma è un
metodo che va sempre affiancato al metodo del valore attuale netto e mai
utilizzato come solo elemento di valutazione degli investimenti.
COME SI FORMA IL FABBISOGNO FINANZIARIO
Una volta scelti gli investimenti da effettuare secondo la redditività attesa e una
volta compreso attraverso gli strumenti della pianificazione finanziaria quale è il
percorso previsto dalle variabili economico-finanziarie della nostra impresa,
questa deve scegliere come finanziare le proprie passività.
Per capire però come costruire la propria struttura finanziaria è utile capire in
che modo si forma il fabbisogno finanziario.
Esso è determinato dall’insieme delle operazioni in corso:
- Immobilizzazioni (IN): si intendono le immobilizzazioni materiali (imbarcazioni,
fabbricati, terreni, macchinari, ecc.), immateriali (marchi, brevetti), finanziarie
(partecipazioni) al netto dei fondi di ammortamento e del fondo svalutazione
partecipazioni.
- Scorte (S): nelle imprese industriali rappresenta le scorte di materie prime,
semilavorati, prodotti finiti al netto delle poste rettificative;
- Attività finanziarie (AF): si tratta essenzialmente di crediti verso clienti (attività
finanziarie generate dal ciclo di produzione);
- Attività liquide (AL): attività liquide come cassa e depositi bancari.
La somma IN+S+AF+AL, pari all’attivo contabile netto, definisce quindi il
complesso delle attività che devono essere finanziate.
In termini rigorosi, l’entità del fabbisogno finanziario varia in relazione a
ciascuna operazione gestionale dell’impresa e ai mutamenti nelle condizioni
operative interne e aziendali.
Una volta che è definita l’origine del fabbisogno finanziario, il problema della
sua copertura non è comunque risolto una volta per tutte, poiché il fabbisogno
si presenta in modo differenziato nel corso del tempo in seguito al diverso
andamento assunto dai costi e dai ricavi.
La rappresentazione dell’attivo da finanziare può essere scomposta in base al
livello di liquidità di ciascuna delle componenti.
La somma S+AF+AL rappresenta il capitale circolante lordo, che esprime la
parte di bilancio soggetta a rotazione: è quella parte di attività destinata a
essere completamente consumata in un solo ciclo di produzione. Per l’avvio di
un nuovo ciclo produttivo
queste attività devono essere quindi
sistematicamente ricostituite.
Il capitale circolante lordo al netto dei debiti a breve termine è denominato
capitale circolante netto (CCN).
49
Le immobilizzazioni nette rappresentano le attività meno liquide dell’impresa: si
tratta di attività stabilmente coinvolte nel ciclo della produzione.
L’acquisto di un impianto, di un’imbarcazione, di un fabbricato costituiscono una
forma di uscita monetaria destinata ad essere reintegrata in un arco temporale
di medio-lungo termine.
Il fabbisogno per le immobilizzazioni nette è ovviamente legato all’attività
specifica svolta dall’impresa.
Per termini generali è legato al rapporto tra costi fissi e costi variabili (si parla di
imprese “capital-intensive” se è maggiore l’incidenza dei costi fissi sui costi
variabili e di “labour-intensive” nel caso inverso), alla dimensione dell’impresa,
alla stagionalità della produzione e delle vendite e, aspetto fondamentale, al
progresso di tecnologia di produzione e di innovazione nelle forme di
distribuzione.
Particolarmente rilevante dal punto di vista finanziario è l’esigenza di effettuare
adeguate politiche di ammortamento per cercare di recuperare gli investimenti
tecnici in periodi di tempo sempre più brevi per sfuggire ai rischi di
obsolescenza tecnica.
Le immobilizzazioni rappresentano una tipologia di fabbisogno finanziario
pressoché incomprimibile e necessitano di una copertura stabile e duratura. Il
capitale circolante lordo è costituito dalle scorte a qualunque titolo e dalle
attività con o senza funzione monetaria.
Per quanto riguarda le scorte è particolarmente rilevante soprattutto per le
imprese industriali la distinzione tra “minimo economico tecnico” e “accumulo di
magazzino”.
Le scorte che costituiscono il minimo economico tecnico devono essere
considerate più propriamente come una immobilizzazione, senza la quale
l’attività produttiva non può avere luogo. La fonte di copertura deve dunque
essere stabile e duratura come per gli investimenti fissi. Le scorte detenute
come “accumulo di magazzino” presentano un duplice aspetto: si tratta o di un
eccesso di scorte dovuto allo sfavorevole andamento di mercato oppure di una
scelta discrezionale da parte dell’impresa con finalità essenzialmente
speculative (si prevedono aumenti di prezzo a breve termine). Nel primo caso
la fonte di copertura, poiché il fabbisogno è rigido e dipende da cause esterne
alla volontà dell’impresa e largamente imprevedibili, dovrà essere stabile e di
medio-lungo termine. Al contrario, nel caso di scorte speculative si tratta di
finanziare un fabbisogno di durata limitata e ci si rivolgerà a fonti finanziarie a
breve.
Le attività finanziarie con funzione monetaria attengono alla cosiddetta gestione
di tesoreria, su cui vale la pena di intrattenersi giacché è un argomento
solitamente trascurato nella piccola e media impresa.
A torto, come efficacemente espresso da Quaranta-Romanesco , molte piccole
e medie imprese non hanno ancora realizzato appieno i vantaggi che efficiente
servizio di tesoreria può apportare. La riduzione dei costi di accesso a sistemi
50
automatizzati di gestione e quindi la loro diffusione renderanno possibile una
migliore quantificazione dei rischi e il loro monitoraggio in tempo reale.
In una piccola e media impresa la funzione di tesoreria è essenzialmente rivolta
alla gestione dei conti bancari e al ciclo dei pagamenti. Dovrà fronteggiare
innanzitutto il rischio che l’impresa non sia in grado di far fronte ai propri
obblighi finanziari per mancanza di fondi o linee di credito sufficienti.
Bisognerà dunque adattare gli strumenti dell’indebitamento alle posizioni
patrimoniali finanziarie cercando di ottenere linee di credito adeguate ai bisogni
dell’impresa ipotizzando anche la situazione di scenario peggiore.
Occorrerà prestare attenzione anche al rischio dovuto alla carenza dei sistemi
informativi e di controllo interno, che potrebbe comportare una perdita
finanziaria inaspettata.
GLI STRUMENTI DI COPERTURA DEL FABBISOGNO DI FINANZIAMENTO
Si vuole fornire una rapida illustrazione dei principali strumenti che una
azienda o una cooperativa può utilizzare per far fronte al proprio fabbisogno
finanziario corredata, quando necessario,dalle fonti normative che non sempre
risultano agevoli da trovare.
Non saranno trattate le varie forme di
finanziamento agevolato del settore della pesca, poiché su questo argomento
l’informazione trasmessa dalle centrali e dalle istituzioni è capillare e piuttosto
efficace. Da un punto di vista del nostro ragionamento rivolto ad individuare i
metodi e gli strumenti della buona gestione, un finanziamento agevolato ha le
peculiarità di ridurre i costi e quindi nello schema del Valore Attuale Netto rende
solo più convenienti i progetti di investimento e non deve mai essere
considerato il motivo principale per intraprendere quell’ investimento.
Non si farà neppure cenno alle “ riserve indivisibili “ in quanto tecnicamente è
solo la forma peculiare che l’autofinanziamento assume nelle cooperative ed è
ovviamente nota a tutti .
RACCOLTA DI RISPARMIO(CAPITALE DI DEBITO) PRESSO IL PUBBLICO E
I SOCI: PRESTITO SOCIALE, CAMBIALI FINANZIARIE, CERTIFICATI DI
INVESTIMENTO, OBBLIGAZIONI
• IL PRESTITO SOCIALE
Si tratta di una forma di finanziamento particolarmente adatta per le
cooperative, che gode ancora di un buon trattamento fiscale per i soci e che
purtroppo le cooperative del nostro settore non sfruttano come sarebbe
conveniente fare.
Da un punto di vista economico-finanziario il prestito da soci presenta infatti
molti vantaggi sia per la cooperativa che per il socio:
• Il capitale può essere conferito per un periodo di tempo limitato e rimborsato
con qualsiasi momento senza particolare difficoltà.
• si evitano i fastidi e gli eventuali costi di aumenti di capitale
51
• può essere considerato parte del capitale netto soprattutto nel caso in cui i
soci lo considerino come un investimento di medio-lungo termine (vi sia quindi
un lungo periodo di giacenza media)
• il rendimento che i soci possono ottenere è più elevato rispetto a forme
similari di impiego del risparmio e nello stesso tempo la cooperativa può
finanziarsi a costi inferiori rispetto al mercato del credito
La gestione amministrativa del prestito sociale non presenta grandi difficoltà ed
è perfettamente alla portata anche delle piccole cooperative.
FINANZIAMENTI A BREVE TERMINE
Sono forme di finanziamento ben note ad un’impresa o cooperativa, su cui però
vale la pena di tornare criticamente.
APERTURA DI CREDITO IN CONTO CORRENTE
Un aspetto poco conosciuto di questo tipo di operazione è l’importanza cruciale
che le banche attribuiscono alle informazioni ottenute effettuando le operazioni
di pagamento sui debiti della ad un’impresa o cooperativa e su altri importanti
aspetti riguardanti la gestione. Ciò costituisce un controllo indiretto sulla
situazione economico-finanziaria dell’azienda, da cui dipende in ultima istanza
la solvibilità.
Questa forma di controllo indiretta è significativa solo se i movimenti di cassa
che transitano su quello specifico conto corrente sono una percentuale
considerevole del totale (Dallocchio 2002).
Questa considerazione apre il problema della preferibilità di avere pochi,
pochissimi rapporti bancari oppure di adottare la pratica della molteplicità dei
fidi.
Per una piccola e piccolissima cooperativa, è in generale meglio avere pochi,
chiari e trasparenti rapporti, proprio perché la reputazione – che significa
stabilità nei fidi, tassi meno paganti, minore richieste di fidejussioni personali –
si crea grazie al buon comportamento quotidiano verificabile attraverso il lavoro
bancario.
Infatti, le banche per la concessione dei crediti in conto corrente si basano
quasi esclusivamente sull’accertamento della solvibilità attraverso le analisi
economico-finanziarie e sull’effetto reputazionale.
Tecnicamente, l’apertura di credito in conto corrente deve essere considerata
come una fase di finanziamento di breve termine, destinata a coprire fabbisogni
che si protraggono per un limitato periodo di tempo.
Commette un grandissimo errore l’impresa che confidando sul costante rinnovo
delle linee di fido da parte delle banche considera questa tipologia di
finanziamento adatta anche per finanziare investimenti. In questo modo si
creano quasi sempre le premesse di disastri futuri.
52
Se invece è interpretata correttamente costituisce una forma di finanziamento
con aspetti positivi per l’elasticità di gestione che permette. Il costo di questa
forma di finanziamento è dato da:
un tasso di interesse applicato sul credito effettivamente utilizzato (e non sul
totale del fido accordato). Questo tasso viene capitalizzato trimestralmente
(quindi è più alto di quello nominale dichiarato) ed è solitamente il più elevato
rispetto a tutte le altre operazioni bancarie. Va dunque utilizzata con attenzione
ed appropriatezza.
LO SCONTO DI PORTAFOGLIO
Tecnicamente siamo in presenza di un prestito monetario a breve scadenza
garantito dalla cessione di un credito.
Teoricamente lo sconto può essere applicato ad un portafoglio di crediti
cartolari (come cambiali, note di pegno, cedole, ecc.) o non cartolari
(semestralità o annualità dovute dallo stato o da enti pubblici territoriali), tutti
non ancora scaduti.
Le banche però ammettono allo sconto quasi esclusivamente titoli cambiari
derivanti da operazioni commerciali dell’impresa cliente.
Il corrispettivo monetario del titolo scontato viene concesso “salvo buon fine”:
ciò significa che la responsabilità dell’incasso degli effetti allo sconto rimane in
capo all’impresa: la banca può rivalersi su quest’ultima se il debito non viene
pagato.
Il tasso di interesse praticato dalla banca sullo sconto è solitamente minore
rispetto a quello praticato sullo scoperto di conto corrente. Vi è infatti una minor
rischiosità per la banca, poiché la somma anticipata dall’istituto di credito è
garantita da una sottostante obbligazione a pagare.
Va ricordato che il costo complessivo dell’operazione è piuttosto articolato. Si
compone, infatti:
di un interesse concordato nominale per il periodo per cui l’effetto viene
scontato, il quale viene corrisposto in via anticipata all’atto dello sconto;
di giorni banca: se un effetto ha scadenza dopo X giorni, la banca non applica
l’interesse solo in relazione ad essi, ma prolunga di un certo periodo (appunto i
giorni banca) la durata dell’operazione, in modo da aumentare gli oneri
finanziari. E’ ovvio che il numero dei giorni banca applicato è funzione
contrattuale dell’impresa. Vale anche in questo caso lo stesso discorso già
affrontato in precedenza: una concentrazione dei rapporti bancari in capo a
pochi istituti può rafforzare l’impresa;
di spese di incasso e di diritti accessori da controllare sempre attentamente. Il
diavolo sta spesso nei dettagli e le banche utilizzano spesso queste voci
“marginali” per aumentare i costi dell’operazione.
Una operazione spesso confusa con lo sconto è l’accredito in conto corrente
salvo buon fine, che è però nella sostanza uno strumento più simile allo
scoperto di conto corrente, di cui condivide il costo più elevato.
Factoring
53
•
E’ una formula di finanziamento alla quale ormai anche le piccole cooperative
possono accedere senza particolari problemi.
Tecnicamente si tratta di un contratto in cui un’impresa (cedente) trasferisce i
suoi crediti commerciali presenti e futuri , limitatamente nel tempo a titolo
oneroso, a una società specializzata, ottenendone in cambio la gestione ,
l’incasso ed anche l’anticipo parziale o totale.
I vantaggi per la snellezza amministrativa sono notevoli. La società di factor
infatti (Paolillo):
• Sostituisce in tutto o in parte alcune funzioni svolte all’interno dell’impresa,
contribuendo a ridurre i costi fissi (servizi amministrativi e contabili di supporto
per la gestioe e l’incasso dei crediti)
• Offre l’opportunità di concentrare le proprie risorse umane e economiche in
altre aree della struttura produttiva
• Rende liquidi i crediti, migliorando la gestione del capitale circolante e
permettendo politiche di investimento più flessibili
• Migliora la gestione dell’indebitamento presso le banche, in quanto riduce
l’ammontare dei crediti allo sconto presso di esse
Aiuta a valutare con maggiore attenzione la clientela effettiva e potenziale ,
con il risultato di ridurre i rischi di perdite su crediti per insolvenza dei debitori .
Le principali forme che può assumere il factoring possono essere così
sintetizzate:
1.
factoring convenzionale, che la forma più diffusa ed anche la prima ad
essere stata introdotta nel nostro paese. In essa sono riunite le funzioni di
finanziamento per mezzo dell’anticipo e quella di gestione dei crediti. Le
percentuali dell’anticipo possono arrivare fino al 100%. È prevista la cessione
totale ed esclusiva dei crediti per tutta la durata dl contratto solo dopo che essa
sia stata notificata. Si ha un factoring senza notifica per i crediti incedibili o su
cui si vuole mantenere il riserbo.
2.
factoring pro solvendo: la clausola pro solvendo significa che in caso
di insolvenza del credito ceduto la società di factoring si rivarrà sulla impresa
cedente. Nel caso di clausola por soluto l’intero rischio grava sulla società di
factoring.
3.
maturity factoring (factoring alla scadenza): la componente non
strettamente finanziaria è dominante: non è infatti previsto l’anticipo su crediti.
Il pagamento degli importi relativi viene effettuato progressivamente, in funzione
degli incassi o a scadenze predeterminate.
4.
factoring indiretto: l’impresa cliente del factoring diviene sua
debitrice. Questo tipo di contratto prevede infatti che il factor si impegni ad
acquisire i crediti vantati da alcuni fornitori nei confronti dell’ impresa cliente. In
sostanziala società di factoring concede credito al suo cliente e si sostituisce
completamente al fornitore, contribuendo ad agevolare le relazioni commerciali
54
in essere tra i due soggetti. In taluni casi sono persino previste proroghe
dell’operazione.
L ‘entità dei finanziamenti accordati varia in funzione di diversi fattori.
Tra questi ricorderemo i più importanti:
• in presenza della clausola pro solvendo le percentuali sono più contenute
rispetto a quelle del pro soluto
• il grado di rischio connesso ai singoli crediti
• l’affidabilità dell’impresa cedente
• la presenza della clausola di esclusività (divieto di stipulare contratti di
factoring con altre società nel periodo pattuito) e di globalità (impegno di cedere
tutti i crediti commerciali che sorgeranno nel periodo contrattuale)
• le prospettive economiche del settore di appartenenza dell’impresa cedente
I costi del factoring solitamente non sono propriamente teneri. Si compongono:
• degli interessi sulle somme anticipate : solitamente per le piccole imprese
senza particolare potere contrattuale il prime rate maggiorato di 1-2 punti
• della commissione di factoring, la cui misura dipende dal tipo e dalla quantità
di servizi di gestione del credito offerti (incasso, eventuale premio assicurativo
per il credito pro soluto, contabilizzazione), dalla durata media dei crediti, dal
numero delle fatture emesse, dalla situazione del settore in cui opera l’impresa
ecc.
• rimborso delle spese accessorie.
L ‘eccessiva onerosità che alla volte caratterizza il factoring ne preclude
purtroppo un utilizzo più intenso da parte delle piccole imprese.
FINANZIAMENTI A LUNGO TERMINE
Per finanziamenti a medio e lungo e termine si intendono convenzionalmente
tutti quegli strumenti che consentono alle imprese di raccogliere capitali a titolo
di debito da rimborsare in un arco di tempo non inferiore a 18 mesi e che può
arrivare fino a 20-25 anni.
Varie sono le tipologie attraverso le quali si realizzano tali operazioni , ognuna
rispondente a una diversa esigenza aziendale quanto a dimensionamento
dell’importo , contenuti di garanzia , entità e forme di onerosità economiche.
L’elemento che accomuna tutte queste tipologie è la finalità sostanziale di
anticipare risorse da rimborsare con flussi finanziari incrementali generati dalla
gestione.
Alle piccole imprese interesso soprattutto due tra queste svariate tipologie: il
credito a medio e lungo termine ( il cosiddetto credito industriale) e il leasing.
55
Il credito industriale è caratterizzato da durate protratte e da rate di rimborso
periodiche. Svolge un ruolo determinante nel permettere alle imprese di
finanziarie correttamente le immobilizzazioni tecniche ed anche in certi casi
finanziarie. Infatti si può definire come un’anticipazione sui flussi di
autofinanziamento futuro che consente la tempestiva realizzazione di
investimenti pur mantenendo in equilibrio. In certi casi – operazioni di
ristrutturazione finanziaria- serve anche a correggere casi di eccessivo e
scorretto indebitamento a breve. Si noti l’enfasi sulle capacità di rimborso di
questa tipologia di debito attraverso i flussi di cassa: ormai nessuna banca è
disposta a finanziare un ‘impresa sulle base delle sole garanzie reali, senza
accertarsi della validità dei piani industriali e delle complessive compatibilità
economico-finanziarie.
Il credito industriale è rivolto a investimenti fissi e in scorte, brevetti e knowhow, ricerca applicata e allestimento di prototipi, partecipazioni, smobilizzo di
crediti a scadenza prolungata, consolidamento di indebitamento a breve. La
maggiore solidità che deriva dall’utilizzazione di questo strumento per la
struttura finanziaria di un ‘impresa consente il contenimento del rischio in
presenza di congiunture o eventi sfavorevoli, concedere maggiore libertà
decisionale e forza contrattuale (commerciale e creditizia) e di contenere gli
oneri bancari.
Le caratteristiche salienti di questo strumento , che ciascuna banca adatta alle
proprie specifiche esigenze di marketing, possono essere così schematizzate:
• la durata può raggiungere anche 20 anni e in certi casi anche superarli
• il periodo di preammortamento ( indica il periodo di tempo in cui non si
rimborsa il capitale, ma si pagano solo gli interessi ) può giungere sino a tre
anni
• l’erogazione può avvenire in una unica soluzione o in tranches connesse alle
esigenze dell’investimento o dell’operazione sottostante
• il rimborso può assumere diverse forme: in una unica soluzione alla
scadenza , a rate costanti per interessi e capitale, a rate crescenti o
decrescenti; in presenza di situazioni particolari molte volte è possibile
ristrutturare il piani di ammortamento di finanziamenti già erogati.
• Il tasso d’ interesse può essere legato a vari parametri o essere fisso
• Sono normalmente richieste garanzie reali e personali; la banca può
richiedere anche l’ osservanza di particolari linee di condotta prudenziali
economico e finanziarie da parte dell’impresa ( i cosiddetti covenants).
• L’importo del finanziamento è sempre commisurato alla capacità dei
rimborso dell’impresa e secondariamente alle garanzie acquisite.
E’ utile per l ‘impresa conoscere e esaminare criticamente le modalità e i
criteri normalmente seguiti dalle banche per la concessone di questo tipo di
finanziamento, in quanto consente da un lato di individuare i propri punti di
debolezza e di correggerli e dall’altro di predisporre la documentazione e fornire
56
le informazioni nel modo più idoneo per facilitare il buon fine della richiesta di
finanziamento .
Seguiremo l’esposizione di Novello,che è particolarmente chiara.
Il processo di valutazione dell’impresa consta di due parti: la valutazione attuale
e la valutazione prospettica.
La valutazione attuale consta di queste fasi:
• L’analisi di informazioni interne alla banca e al sistema bancario (andamento
dei rapporti banca-impresa, segnalazioni della Centrale rischi)
• L’esame di informazioni esterne alla banca, attinte da fonti pubbliche:
procedure concorsuali o fallimentari, protesti, decreti ingiuntivi, pignoramenti
ecc.)
• L’esame delle informazioni provenienti direttamente dall’impresa (riguardanti
la situazione economico-finanziaria, le caratteristiche produttive e commerciali
ecc.): è effettuato sia con i raffronti delle serie storiche del conto economico e
dello stato patrimoniale , sia con il metodo degli indici. Questa ultima analisi è
effettuata con rapporti in larga parte già illustrati come quelli di liquidità , di
solidità e redditività. Molte banche adottano anche l’analisi effettuata attraverso
il metodo dei flussi, la quale evidenzia i fabbisogni finanziari ( i fattori che
assorbono risorse: incremento circolante e degli investimenti, rimborso mutui
ecc..)
e le fonti di finanziamento (utili reinvestiti, apporti dei soci,
accantonamenti ecc.) e la variazioni bancarie a breve. Lo scopo dell’analisi dei
flussi è quello di valutare la capacità dell’impresa di mantenere l’equilibrio
finanziario.
La valutazione prospettica ha il compito di sottoporre ad analisi il futuro
dell’impresa: operazione forse più vicina all’arte che non alla tecnica, ma che
viene comunque tentata attraverso l’individuazione di elementi strutturali che a
giudizio del valutatore sono suscettibili nel corso del tempo di incidere sulla
capacità da parte dell’impresa di rimborsare il credito ottenuto. Questi elementi
sono generalmente individuati così:
• Caratteristiche strutturali aziendali: qualità imprenditoriale-manageriale,
validità assetto organizzativo, grado di capitalizzazione
• Caratteristiche del mercato
• Politiche gestionali seguite e azioni in corso: si considerano i piani di sviluppo,
gli eventuali disimpegni di soci ecc.
È abitualmente richiesta alle imprese la predisposizione di piani economicofinanziari di medio-lungo termine. Affinché non si risolvano in esercitazioni
puramente accademiche o in affastellamento di dati senza senso, l’impresa
potrebbe considerare questo obbligo come parte del proprio processo di
pianificazione finanziaria e rendere questa (buona) pratica permanente.
57
Un ostacolo formidabile che incontrano le piccole imprese nei riguardi di questa
tipologia di credito è la scala dimensionale delle operazioni ritenute degne di
essere finanziate dalle banche (ormai superiore normalmente a 500.000 euro).
In certi casi esistono eccezioni . Particolarmente attenta a seguire le
cooperative- e questo va a suo grande onore- è la Banca Verde del gruppo
MPS, che si è specializzata in questo genere di prodotti per il settore
agroalimentare.
Il LEASING MOBILIARE
Il leasing è un contratto con il quale un intermediario finanziario acquista un
determinato bene e lo mette a disposizione dell’impresa , la quale si impegna a
pagare un determinato canone periodico e , al termine del periodo convenuto,
ha la facoltà di diventare proprietaria del bene dietro pagamento di un importo
prefissato. Si tratta di una formula di finanziamento che risulta conveniente
soprattutto al verificarsi di condizioni fiscali favorevoli per la specifica impresa
che decide di utilizzarlo. Non è quindi possibile dare un giudizio a priori, ma
bisognerà compiere delle valutazioni caso per caso. In termini del tutto
generali, per le cooperative la convenienza del leasing appare quasi sempre
molto limitata. Può essere però considerata una fonte di finanziamento
alternativa da attivare quando altre possibilità sono precluse.
Il finanziamento ha uno svolgimento peculiare :
• Si procede all’individuazione del bene e del locatore. Se il bene non è
immediatamente disponibile, si specificano alla società di leasing le sue
caratteristiche affinché proceda al suo acquisto o al suo ordine presso il
produttore individuato.
• La società di leasing valuta l’affidabilità dell’impresa (comprese le garanzie
che anche personali che può offrire).
• Si stipula il contratto , in cui sono definiti il prezzo, la consegna, la custodia e
l’utilizzo, l’eventuale anticipo di canoni, la periodicità dei canoni, il prezzo di
riscatto, la durata del contratto, le condizioni di estinzione del contratto
(proroga, opzione, restituzione), di risoluzione del contratto (inadempimento del
cliente o del fornitore), di assicurazione, di responsabilità sul bene .
• il contratto si estingue quando sono stati pagati tutti i canoni di locazione .
L’impresa con il pagamento del riscatto convenuto diviene proprietaria del bene.
Se il riscatto non è pagato il bene deve essere restituito alla società di leasing
I costi del leasing sono dati da:
• canoni di locazione
• compensi accessori: si tratta di varie voci che alcune volte incidono
pesantemente sul costo totale dell’operazione
58
• le eventuali spese sostenute dalla società di leasing in caso di inadempienza
da parte dell’imprese, compresi gli i interessi di mora.
I PRESTITI PARTECIPATIVI
Si tratta di una forma di finanziamento introdotta fin dal 1991 dalla legge n. 317
e che ha trovato delle applicazioni non generalizzate, ma di nicchia e di un certo
interesse.
La caratteristica principale di questa forma di prestito risiede nella
remunerazione che consta di due elementi: un tasso di interesse fisso e una
somma commisurata in vario modo al risultato economico dell’esercizio.
Riteniamo che questo strumento sia stato ingiustamente trascurato e che, al
contrario, abbia delle notevoli potenzialità per favorire la crescita di cooperative
con buone prospettive reddituali.
È uno strumento istituzionalmente utilizzato dai Fondi mutualistici e dalla
Compagnia finanziaria industriale. COOPFOND è intervenuta con questo
strumento anche a favore di cooperative dell’economia ittica. Si riporta la fonte
legislativa, che ne disciplina le caratteristiche ed è di grande utilità per chi
voglia utilizzare questo strumento.
Legge 05-10-1991, n. 317 Interventi per l'innovazione e lo sviluppo delle
piccole imprese.
Capo VI
PRESTITI PARTECIPATIVI
Art. 35 - Prestiti partecipativi
1. Gli istituti di credito mobiliare e le società finanziarie per l'innovazione e lo
sviluppo, di cui all'art. 2, possono concedere prestiti partecipativi per la
realizzazione di programmi innovativi e di sviluppo delle piccole imprese, come
definite dall'art. 1, costituite in forma di società di capitali con capitale sociale di
ammontare non inferiore a quello previsto per la costituzione delle società per
azioni. A tali società si applicano le norme di cui all'art. 2435 del codice civile.
2. Si considerano prestiti partecipativi i finanziamenti di durata non inferiore a
quattro anni, nei quali una parte del corrispettivo spettante all'istituto di credito
mobiliare o alla società finanziaria per l'innovazione e lo sviluppo è commisurata
al risultato economico dell'impresa finanziata.
3. Per il prestiti partecipativi è dovuto un interesse annuo non superiore al tasso
ufficiale di sconto vigente nel periodo al quale si riferiscono le rate di
ammortamento del prestito. L'impresa finanziaria si obbliga, inoltre, a versare
annualmente al soggetto finanziatore, entro trenta giorni dall'approvazione del
bilancio, una somma commisurata al risultato economico dell'esercizio, nella
percentuale concordata preventivamente con l'istituto di credito mobiliare o la
società finanziaria per l'innovazione e lo sviluppo. Nel conto dei profitti e delle
perdite dell'impresa finanziata, la predetta somma costituisce oggetto di
59
specifico accantonamento per onere, rappresenta un costo e, ai fini
dell'applicazione delle imposte sui redditi, è computata in diminuzione del
reddito dell'esercizio di competenza. Ad ogni effetto di legge gli utili netti annuali
si considerano depurati da detta somma.
4. I prestiti partecipativi possono essere assistiti soltanto da garanzie personali,
individuali o collettive, alle quali si applica l'art. 1946 del codice civile. Ad
integrazione di tali garanzie è consentito l'intervento del Fondo centrale di
garanzia di cui all'art. 20 della legge 12 agosto 1977, n. 675 e successive
modificazioni. La garanzia integrativa non opera per la parte dei prestiti
partecipativi che ecceda il triplo del patrimonio netto dell'impresa finanziata.
5. Il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) stabilisce con
propria delibera, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, le modalità di attuazione del presente articolo, prevedendo
condizioni di maggior favore per le operazioni effettuate nei territori di cui
all'allegato al Regolamento CEE n. 2052/88 del Consiglio e nei territori italiani
colpiti da fenomeni di declino industriale, individuati con decisione della
Commissione delle Comunità europee del 21 marzo 1989 e interessati dalle
azioni comunitarie di sviluppo di cui al citato Regolamento CEE n. 2052/88. Dei
relativi oneri si tiene conto in sede di programmazione delle risorse destinate
dalla normativa sull'intervento straordinario nel Mezzogiorno alle agevolazioni
finanziarie a sostegno del sistema produttivo. In sede di prima applicazione
della presente legge, gli eventuali oneri gravano sui fondi di cui alla legge 1°
marzo 1986, n. 64, secondo modalità e criteri fissati con decreto del Ministro del
tesoro, di concerto con i Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato e
per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, anche ai fini delle occorrenti
variazioni di bilancio.
I FINANZIAMENTI A TITOLO DI CAPITALE DI RISCHIO
Le varie riforme legislative hanno introdotto una rilettura delle possibilità da
parte delle cooperative di emettere strumenti finanziari per raccogliere capitale
di rischio.
Alle nostre cooperative basta però probabilmente sapere al di là delle
sottili interpretazioni giuridiche che la riforma assume l’approccio
tendente ad equiparare le cooperative alle società per azioni
riconoscendo una tendenziale parità di acceso agli strumenti di
finanziamento sia alle cooperative a mutualità prevalente sia alle altre
cooperative. Il decreto estende pertanto anche alla prima tipologia di
cooperative la direttiva contenuta nella legge delega (art. 5, secondo
comma, lett. B: riferita pertanto alle sole cooperative “non prevalenti”)
secondo la quale la riforma deve “Prevedere, al fine di incentivare il
ricorso al mercato dei capitali, salve in ogni caso la specificità dello scopo
60
mutualistico e le riserve di attività previste dalle leggi vigenti, la
possibilità, i limiti e le condizioni di emissione di strumenti finanziari,
partecipativi e non partecipativi, dotati di diversi diritti patrimoniali e
amministrativi”. Si tratta di una scelta (del tutto consapevole, come
testimoniato dalla Relazione di accompagnamento) che si ispira alla
considerazione delle esigenze di finanziamento anche rispetto alla
cooperazione prevalente e che si basa sul riconoscimento, comune a tutte
le cooperative, per cui “sovventori e azionisti di partecipazione,
obbligazionisti (…) sono figure create dal legislatore per impedire che le
cooperative, per problemi di sottocapitalizzazione, non riescano sul
mercato a svolgere adeguatamente la loro stessa funzione mutualistica”.
Si introduce la possibilità di emettere strumenti “atipici” con un’ampia
possibilità di derogare ai diversi modelli già conosciuti di finanziamento di
rischio e di debito, intesi non più come schemi rigidi ma piuttosto come modelli
meramente descrittivi, anche attraverso significative aperture esplicitamente
introdotte dalla legge.
In concreto la maggiore flessibilità deriva essenzialmente dalle innovazioni per
le società azionarie, e solo di riflesso si traducono nel regime delle cooperative,
che già consentiva rilevanti margini di flessibilità statutaria.
E’ comunque innegabile che l’esplicita estensione al regime cooperativo della
autonomia statutaria prevista per le società per azioni riguardo all’emissione di
strumenti finanziari (art. 2526), congiunta all’evoluzione della complessiva
disciplina delle società per azioni (e segnatamente identificabile in alcune
specifiche norme ivi stabilite), rappresentano una novità di assoluto rilievo
suscettibile di portare conseguenze che, al momento, si possono individuare
solo in termini generali ed astratti, ma che in un prossimo futuro potranno
determinare conseguenze estremamente rilevanti sul rapporto tra cooperative e
mercati finanziari.
Nell’attuale fase di analisi è possibile e consigliabile accostarsi alle novità
normative seguendo due distinte angolature che, insieme, configurano lo
schema di lettura più realistico delle nuove norme: da un lato, la disciplina
vincolistica che caratterizza il regime cooperativo, e che in gran parte svolge un
effetto di (ulteriore, ma pur sempre derogatoria ed eccezionale) limitazione
dell’autonomia statutaria; dall’altro la prima ricostruzione delle più evidenti
novità che connotano il regime delle società per azioni, cercando di
evidenziarne i profili che maggiormente si prestano ad interpretare i caratteri
delle cooperative, sia sul piano strettamente normativo sia su quello delle
caratteristiche aziendali (Genco).
E’ comunque difficile pensare che per la maggior parte delle piccole cooperative
queste novità legislative possano comportare qualche vantaggio immediato.
Piuttosto, queste nuove possibilità possono risultare utili nel caso in cui si riesca
ad attivare il sistema di incentivazioni incentrato sul modello delle agenzie di
61
sviluppo, che sottoscriverebbero gli strumenti di partecipazione finanziaria a
titolo di capitale di rischio.
Nella nozione di strumento finanziario cooperativo, infine, vanno compresi tutti
gli tipici (perché previsti dall'art. 2526) a contenuto atipico (perché il loro
contenuto è rimesso all'autonomia statutaria), i quali non siano qualificabili
come azioni od obbligazioni (si pensi, per esempio, agli rappresentativi della
posizione di associato in partecipazione).
Gli cooperativi hanno un altro significativo tratto distintivo rispetto agli di cui agli
artt. 2346, sesto comma, 2349, secondo comma, e 2351, quinto comma.
Mentre i secondi possono anche essere intrasferibili, come si ricava dal sesto
comma dell'art. 2346 ("e, se ammessa, la legge di circolazione"), i primi devono
essere trasferibili, anche se la loro circolazione può essere sottoposta ad
"eventuali condizioni" (art. 2526, secondo comma); sicché, come d'altra parte è
desumibile dall'ultimo comma dell'art. 2545-quinquies, potranno essere emessi
cooperativi liberamente trasferibili e cooperativi non liberamente trasferibili
(essendo subordinato il loro trasferimento, per esempio, al gradimento di organi
sociali).
Benché gli cooperativi debbano essere trasferibili, è ragionevole argomentare
sulla base dell'art. 2355-bis, primo comma, che gli stessi possano essere - al
pari delle azioni delle società per azioni - intrasferibili per un tempo limitato.
V'è da chiedersi, infine, se gli cooperativi debbano per forza essere incorporati
in titoli, anche se una prima lettura del dettato codicistico parrebbe portare
l'interprete a ritenere ciò un elemento della fattispecie in parola solo naturale,
ma non essenziale. Non è invece revocabile in dubbio che detti possano essere
dematerializzati e perciò negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati
regolamentati.
Riassumendo le esposte considerazioni circa la nozione di strumento
finanziario di cui all'art. 2526, si può dire che esso:
a) può essere uno strumento rappresentativo di capitale di rischio o un titolo di
debito (in primis, un'obbligazione);
b) nel caso in cui rappresenti capitale di rischio, il corrispondente apporto può
essere imputato a capitale sociale oppure no (si immagini uno strumento
rappresentativo della posizione di associato in partecipazione);
c) può attribuire un diritto di voto pieno, limitato oppure nessun diritto di voto
(come emerge dagli artt. 2526, secondo e terzo comma, e 2541) e, più in
generale, può essere dotato o meno di diritti di amministrazione (cfr., per
esempio, l'art. 2526, quarto comma);
d) può attribuire la qualità di socio (socio finanziatore) oppure no;
e) deve essere trasferibile, anche se può essere non liberamente trasferibile e,
forse, intrasferibile per un tempo limitato;
f) può essere incorporato in un titolo o rappresentato da uno strumento
dematerializzato.
62
STRUMENTI A SOSTEGNO DELLE IMPRESE E DELLE COOPERATIVE
ITTICHE
FIDIPESCA ITALIA
Si è già citata la società cooperativa di garanzia fidi FIDIPESCA ITALIA
Costituita dal 1995, promossa da tutte le Associazioni nazionali di categoria
della pesca operanti in Italia, rappresentative delle imprese e del mondo
cooperativo. La società cooperativa, denominata inizialmente Unicredito (fino al
22 aprile 2002) prende poi il nome Unipesca (fino al 16 febbraio 2011) per poi
assumere l’attuale denominazione Fidipesca Italia.
Lo scopo funzionale di Fidipesca Italia è quello di agevolare il ricorso al credito
bancario da parte delle imprese del settore ittico che abbiano ottenuto
finanziamenti comunitari, nazionali e regionali su progetti nel comparto ittico.
Interviene a fronte delle necessarie anticipazioni dei contributi a fondo perduto
e/o dei finanziamenti necessari a coprire i costi del progetto rimasti a carico del
beneficiario. La garanzia di Fidipesca Italia può essere concessa per un importo
non superiore a € 500.000 e per un periodo non superiore a 5 anni. Inoltre non
può superare il 50% del finanziamento concesso.
Gli Istituti di credito convenzionati sono: Banca di Roma, Banca Nazionale del
Lavoro, Unicredit Banca, Banca Monte dei Paschi di Siena, Banca di Credito
Cooperativo di Roma e Banca Antonveneta.
Nelle intenzioni della Comunità Europea e dello Stato Italiano, Fidipesca Italia si
identifica in uno strumento finanziario capace di superare le croniche difficoltà di
rapporto tra mondo della pesca e sistema bancario nazionale.
Il Consorzio, pertanto, per i suoi peculiari aspetti, rappresenta un importante
strumento nazionale e comunitario di strategia e sviluppo del settore ittico.
Il campo di intervento comprende la pesca nella sua globalità di pesca
marittima ed interna, l’acquacoltura, la commercializzazione, i servizi per le
imprese. Da circa un anno è anche possibile chiedere l’anticipo del fermo
pesca. Gli interventi previsti ed i progetti finanziabili sono quindi riconducibili
all’intera gamma delle esigenze finanziarie degli operatori della pesca.
Fidipesca Italia intende proporsi anche compiti più ambiziosi come
documentato dal proprio statuto e dai propri piani di sviluppo, in particolare
vorrebbe assumere un ruolo di assistenza finanziaria a tutto campo per l’intero
settore.
Cooperfidi Italia
Cooperfidi Italia è l’organismo nazionale di garanzia della cooperazione italiana,
63
nato dalla fusione dei confidi regionali cooperativi. Non è quindi vocato alla
erogazione di servizi alle imprese.È sostenuto dalle tre maggiori associazioni
della cooperazione italiana AGCI, Confcooperative e Legacoop, unite nella
Alleanza delle Cooperative Italiane. Eroga a favore degli istituti di credito
garanzie a prima richiesta a costi contenuti, al fine di consentire alle imprese
cooperative di accedere al credito a condizioni agevolate.
Cooperfidi Italia è specializzato nel rilascio di garanzie "a prima richiesta" a
favore delle banche e degli istituti finanziari che erogano credito alle imprese
cooperative.
Grazie al rapporto diretto con i propri soci, Cooperfidi Italia è in grado di
garantire l’affidabilità della cooperativa e la più approfondita conoscenza del
progetto imprenditoriale. Con l’opera di intermediazione e di mitigazione del
rischio di Cooperfidi Italia, le imprese cooperative meritevoli ottengono più
credito a condizioni più favorevoli.
Ogni impresa cooperativa italiana di piccola e media dimensione, in qualunque
settore operi, può aderire a Cooperfidi Italia per migliorare le condizioni di
accesso al credito.
Cooperfidi Italia mette a sua disposizione:
• le garanzie rilasciate agli istituti di credito convenzionati;
• i servizi di check up per individuare i punti di forza e di debolezza nella
gestione aziendale delle risorse finanziarie;
• l’assistenza per avviare percorsi di miglioramento del proprio merito
creditizio;
• l’accesso ai fondi pubblici di garanzia e di agevolazione gestiti da
Cooperfidi Italia;
• la possibilità di individuare i prodotti finanziari più adeguati e convenienti
alle proprie esigenze.
•
La garanzia di Cooperfidi Italia è il risultato di due contratti.
Nel primo, il
soggetto garante (Cooperfidi Italia, che garantisce) assume un impegno nei
confronti di un soggetto garantito (Banca, che finanzia) a copertura della
possibile perdita che quest’ultimo può subire a fronte dell’inadempimento
(mancato pagamento) di una obbligazione sottoscritta da un terzo soggetto
(Socio, che riceve il finanziamento).
Nel secondo, Cooperfidi Italia riceve dal Socio una contropartita (commissione)
in cambio del rilascio della garanzia a favore della Banca.
In definitiva
Cooperfidi Italia si impegna ad assolvere un’obbligazione (pagamento) nei
confronti della Banca al verificarsi di un determinato evento: l’inadempimento
(mancato pagamento) del socio finanziato. In altri termini l’impresa riceve due
finanziamenti:
1.
uno da parte della Banca, che si concretizza nella erogazione di
64
liquidità, resa disponibile per le finalità dell’impresa;
2.
l’altro da parte di Cooperfidi Italia, che si concretizza nella condivisione
del rischio che la Banca ha assunto verso l’impresa.
La parte garantita del finanziamento non è più una esposizione della Banca
verso l’impresa, ma una esposizione della Banca verso Cooperfidi. Per la
Banca, è come se una parte del denaro fosse stata prestata a Cooperfidi Italia,
anziché all’impresa. Ciò è sancito anche dalle regole prudenziali in tema di
rischio di credito. La Banca può determinare la rischiosità della propria
operazione di impiego in base al merito creditizio di Cooperfidi Italia,
sostituendolo a quello dell’impresa. D’altra parte è come se fosse Cooperfidi
Italia a prestare al Socio la parte di denaro garantita (anticipata dalla Banca).
Con la garanzia di Cooperfidi Italia l’impresa differenzia le proprie obbligazioni,
ovvero le proprie relazioni di debito, sostituendo una data quantità di debito
verso la Banca con una eguale quantità di debito verso Cooperfidi Italia (tale
sostituzione diviene operativa solo quando l’impresa è inadempiente verso la
Banca). L’impresa può trarne due tipi di vantaggi. Il primo vantaggio riguarda la
possibilità di accedere al credito ovvero la quantità di provvista: l’impresa può
acquisire, mantenere o aumentare il proprio debito verso il sistema bancario. Il
secondo vantaggio riguarda il costo della provvista (tasso di interesse):
l’impresa può ottenere un minore costo del denaro mediante la combinazione di
prezzo delle diverse componenti di debito. La Banca infatti pratica verso
l’impresa garantita da Cooperfidi Italia un minore costo del denaro, in quanto
migliora la rischiosità dei propri impieghi.
Ciò che differenzia un confidi dagli altri intermediari specializzati nel rilascio di
garanzie presenti sul mercato è l’elemento mutualistico, ed eventualmente
solidaristico, che lo fonda. Il confidi può assumere impegni verso la Banca
grazie al suo patrimonio, che è costituito dalle partecipazioni e dai contributi
delle stesse imprese finanziate. In pratica il confidi è una cooperativa: le
imprese socie costituiscono un patrimonio finanziario per essere in grado di
assumere impegni, nei confronti del sistema bancario, a condizioni più
vantaggiose. Tutto secondo il vecchio adagio …l’unione fa la forza. Spesso il
patrimonio è arricchito da contributi pubblici. Questo naturalmente migliora le
possibilità di impegno del confidi. Cooperfidi Italia è il confidi delle cooperative
italiane.
GLI INVESTITORI ISTITUZIONALI
Per istitutori istituzionali si intendono organizzazioni finanziarie dotate di capitali
privati ed anche con capitali pubblici che intervengono come finanziatori di
capitale di rischio ed anche di capitale di debito a medio-lungo termine nelle
imprese con buone prospettive di sviluppo.
65
Per certi casi la missione degli investitori istituzionali è di “accompagnare” le
società verso il mercato mobiliare; in altri casi è più semplicemente di fornire
mezzi finanziari con carattere di stabilità che l’impresa potrà poi ripagare in
seguito attraverso l’autofinanziamento o trovando nuovi soci.
Per le piccole società cooperative del nostro settore gli investitori istituzionali di
maggior interesse sono di espressione del movimento cooperativo: i fondi
mutualistici e la CFI, quest’ultima solamente per le cooperative che svolgono
un’attività valutabile come industriale.
I FONDI MUTUALISTICI : COOPFOND (LEGA) – GENERALFOND (AGCI) E
FONDO SVILUPPO (Confcooperative)
Sono stati creati con la legge 59 del 1992. Prenderemo come esempio
Coopfond, il fondo promosso dalla Lega Nazionale delle Cooperative, tenendo
a mente che ogni associazione cooperativa ha promosso il proprio. Coopfond
è la società che gestisce il Fondo mutualistico per la promozione
cooperativa alimentato dal 3% degli utili annuali di tutte le cooperative aderenti
a Legacoop (Lega Nazionale Cooperative e Mutue) e dai patrimoni residui di
E’ stata costituita ai sensi della legge n. 59 del
quelle poste in liquidazione.
31 Gennaio 1992. Nel 1993 il Fondo è stato costituito sotto forma di società per
azioni, con un capitale sociale di 120.000 Euro.
Il pacchetto azionario è
interamente controllato da Legacoop Nazionale che ne detiene il 100%. La
società è sottoposta alla vigilanza del Ministero per le Attività Produttive.
Anche questo strumento è a sostegno delle cooperative; sono quindi escluse le
imprese.
Con oltre 545 cooperative finanziate dal 1994, Coopfond ha come missione di:
• concorrere alla nascita di nuove cooperative e alla crescita di quelle esistenti,
alla creazione di condizioni di sviluppo cooperativo specie nelle aree più
svantaggiate dal punto di vista economico-sociale, per realizzare la politica di
promozione cooperativa di Legacoop.
• Considerare la diffusione della cooperazione un’attività di interesse generale e
pubblico, da realizzare con la massima responsabilità verso la comunità,
Legacoop e le cooperative conferenti.
• Adoperarsi perché in tutto il paese possa crescere la cooperazione nel rispetto
delle peculiarità locali e dei principi cooperativi, che sono considerati – assieme
alle qualità imprenditoriali – il principale elemento di valutazione dei progetti.
• Scegliere, tra chi è intenzionato a intraprendere nuove attività, partner capaci
e affidabili, interessati a investire in comparti innovativi e di alto valore sociale.
• Garantire la massima efficienza nell’impiego del fondo, adottando criteri
gestionali di massimo rigore e trasparenza e mirando al coinvolgimento
consapevole delle cooperative conferenti, per utilizzare nel miglior modo i
capitali, gli sforzi organizzativi e le esperienze della cooperazione.
I campi di attività principale della società riguardano:
66
• Assunzione di partecipazioni a rientro programmato in nuove cooperative o
nuove società a controllo cooperativo (sezione Promozione – capitale di
rischio), in questa sezione rientra anche l’assunzione di partecipazioni in
cooperative esistenti per il consolidamento;
• Concessione di finanziamenti per le zone svantaggiate a sostegno degli
investimenti di cooperative esistenti (Sezione sviluppo – capitale di credito);
• Partecipazioni stabili, approvate dal socio Legacoop, in società di valenza
strategica create per sostenere la promozione e lo sviluppo del sistema
cooperativo (Confidi, Finanziarie territoriali, Finanziarie Nazionali di sistema, di
modello, di alleanza e di scopo);
• Attività di promozione attiva a sostegno di progetti di particolare utilità sociale,
di finanziamento di progetti di fertilizzazione imprenditoriale, formazione ricerca,
studi cooperativi e promozione di progetti di rete (fondo 4%).
Tutti questi campi di attività sono rivolti al rafforzamento e allo sviluppo della
presenza cooperativa sul territorio nazionale, secondo i criteri esposti nella
missione aziendale.
Per accedere ai benefici del fondo occorre che le cooperative forniscano la
dimostrazione della validità delle idee imprenditoriali che vogliono sviluppare e
di serietà di intenti e di capacità manageriali.
Si raccomanda vivamente a chi fosse interessato a richiedere l’intervento di
Coopfond per la propria cooperativa la lettura del Regolamento di accesso al
Fondo che si riproduce di seguito.
In particolare si dovrà tenere conto che il Fondo (art. 1.2) effettuerà solo
interventi di promozione e sviluppo che rispondono a requisiti di meritevolezza
sociale, innovazione e redditività. Inoltre, per quanto riguarda gli interventi
denominati di sviluppo, quelli cioè che hanno come scopo di favorire i progetti di
crescita della cooperativa, le condizioni per ottenere l’interessamento del Fondo
sono assai stringenti.
Le condizioni di intervento infatti sono legate all’esistenza di molti requisiti:
- l’impresa beneficiaria deve essere esclusivamente una società cooperativa;
- il progetto deve prevedere forme di aggregazione tra i soci che garantiscano il
radicamento territoriale dell’iniziativa (ad esempio sezioni soci);
- l’impresa stessa deve presentare un positivo andamento della gestione;
- il progetto deve presentare caratteri di effettivo incremento dell’attività
aziendale e dei relativi investimenti, di miglioramento dei processi produttivi e di
ampliamento dell’occupazione.
Sono poi stabilite priorità di erogazione a favore dei progetti ad alta valenza
sociale ed in particolare di quelli:
- concernenti attività ad alta intensità di occupazione;
- qualificati da processi tecnologicamente innovativi;
- destinati a valorizzare l’imprenditorialità ed il lavoro femminile e giovanile.
67
Le modalità quantitative di intervento (percentuale massima di partecipazione,
limite massimo di concessione di prestiti partecipativi) sono specificati nel
Regolamento.
Per l’area promozione (nuove iniziative cooperative) gli interventi nel capitale di
rischio saranno attuati mediante partecipazioni massime del 50% del capitale
sociale nel caso si tratti di nuove società cooperative, ovvero del 30% nel caso
si tratti di società di capitali a partecipazione cooperativa di maggioranza.
Per quanto riguarda i prestiti partecipativi (da quattro a sette anni), essi devono
essere comunque complementari alla simultanea partecipazione di Coopfond
nel capitale.
Nel caso di prestito a favore di nuove iniziative imprenditoriali, l’ammontare del
prestito non può superare l’importo massimo di Euro 500.000.
Per l’area di sviluppo vale il principio, ferme restando altre condizioni di
carattere generale, l’intervento non potrà superare il 50% dell’importo
complessivo degli investimenti contemplati dal piano presentato dalla
cooperativa.
REGOLAMENTO DI ACCESSO AL FONDO
PREMESSA
Il presente regolamento definisce i criteri di svolgimento dell’attività di Coopfond
e le condizioni di accesso da parte delle cooperative ai relativi interventi.
Annualmente l’assemblea definirà, in sede di approvazione del bilancio di
esercizio, le linee strategiche di indirizzo per la gestione delle risorse del Fondo.
1. Missione di Coopfond e caratteristiche degli interventi
In base alle finalità prescritte dalla legge ed agli orientamenti generali di
impiego definiti dall’Assemblea, il criterio di fondo dell’attività di Coopfond deve
essere quello di abbinare agli obiettivi di promozione di nuova imprenditorialità
o di sviluppo di iniziative imprenditoriali, la salvaguardia e l’incremento della
consistenza del Fondo mutualistico, al fine di rispondere in modo sistematico e
crescente allo sviluppo delle sue attività istituzionali, nell’interesse dell’intera
base associativa cooperativa aderente alla Lega.
Promozione e sviluppo
Gli interventi di Coopfond sono rivolti alla promozione e allo sviluppo
imprenditoriale. Si intende per promozione la creazione di nuove realtà
imprenditoriali a matrice cooperativa, e per sviluppo il supporto dato ad
iniziative che strutture cooperative già operanti assumono in aree e/o in ambiti
considerati strategici per la cooperazione.
Le iniziative possono riguardare qualunque attività produttiva o di servizio, fatta
eccezione per i progetti con contenuto esclusivamente di trading immobiliare e
di edilizia residenziale indirizzati alla piccola proprietà individuale: è peraltro
ammesso il sostegno ad interventi immobiliari di cooperative edificatrici, di
circoli cooperativi e di cooperative sociali per iniziative di straordinario valore
68
sociale per il movimento cooperativo, compatibili con gli assetti economicopatrimoniali della cooperativa proponente.
Negli interventi riguardanti l’attività caratteristica a Coopfond compete
esclusivamente un ruolo di supporto finanziario temporaneo e tale da non
configurare funzioni gestionali, se non finalizzate al mero controllo del corretto
andamento dell’impresa.
Partecipazioni strategiche
1.1. Per il perseguimento delle suddette finalità, oltre che con gli interventi
connessi all’attività caratteristica disciplinati dai punti successivi, Coopfond
potrà acquisire partecipazioni in società d’investimento operanti in settori di
rilevanza strategica per il movimento cooperativo, con particolare riguardo
all’imprenditorialità giovanile, alle ristrutturazioni aziendali ed alla promozione
dell’accesso dei lavoratori nel capitale delle imprese, nonché in società
finanziarie o consorzi fidejussori operanti a favore delle piccole e medie
imprese. Al fine di massimizzare l’efficacia degli interventi da ultimo previsti,
Coopfond sviluppa attività di coordinamento operativo dei Confidi, anche
gestendo un’attività sperimentale di controgaranzia.
Requisiti di meritevolezza
1.2. Gli interventi di promozione o di sviluppo dovranno rispondere a requisiti di
meritevolezza sociale, innovazione e redditività.
In particolare, per la natura del Fondo, saranno aree privilegiate di intervento le
iniziative imprenditoriali rivolte all’apertura di segmenti di business strategici ed
al miglioramento della competitività delle cooperative, le iniziative innovative e
tutte quelle per le quali il Fondo può assumere la funzione di catalizzatore di
capitali di rischio.
Aree obiettivi 1 e 2 U.E.
Restano comunque prioritarie, a parità di ogni altra condizione, le iniziative che
operano in aree disagiate o con rilevanti problemi occupazionali individuate
dagli obiettivi 1 e 2 dell’U.E.
All’interno dei requisiti sopra indicati, Coopfond assumerà le iniziative che
rispondano al miglior mix fra redditività del capitale investito, massimizzazione
occupazionale e capacità innovative.
Partners istituzionali
1.3. Coopfond interverrà preferibilmente nelle iniziative che possono avvalersi di
altri partner promozionali interni o esterni al movimento cooperativo, e
coopererà a ricercare tali partner al fine di accrescere la capacità operativa e
l’efficacia finanziaria degli investimenti previsti dai progetti in cui intende
intervenire.
Data la natura istituzionale delle rispettive tipologie di intervento, resta tuttavia
esclusa la compartecipazione in iniziative promosse a norma della legge
69
49/1985 e della legge 44/1986, eccezion fatta per le aree di cui agli obiettivi 1 e
2 dell’U.E.
2. Modalità di accesso al Fondo
Coopfond interviene su richiesta dei soggetti interessati, di regola secondo
l’ordine di presentazione delle domande.
Limiti per i singoli interventi
In via ordinaria, ogni singolo intervento non può superare l’8% delle risorse
acquisite dal Fondo per l’anno in corso.
Soggetti beneficiari
2.1. Gli interventi del Fondo sono effettuati a favore delle seguenti tipologie di
soggetti:
- nuove cooperative;
- nuove società di capitali, purchè partecipate in maggioranza da cooperative;
- cooperative esistenti.
Tali interventi consistono nella partecipazione temporanea al capitale di rischio
e/o nella erogazione di prestiti partecipativi.
Area promozione: partecipazioni
2.2. Gli interventi nel capitale di rischio saranno attuati mediante partecipazioni
massime del 50% del capitale sociale nel caso si tratti di nuove società
cooperative, ovvero del 30% nel caso si tratti di società di capitali a
partecipazione cooperativa di maggioranza.
2.2.1. Rispetto alle partecipazioni in società cooperative, ai soli fini della
determinazione del suddetto limite di intervento, si considerano validi i
conferimenti dei soci ordinari, nonché di norma quelli rappresentati da azioni di
socio sovventore o da azioni di partecipazione cooperativa detenute da
cooperative o persone fisiche.
Ai medesimi fini i conferimenti delle persone giuridiche dovranno essere
interamente versati, fatta salva la possibilità di una erogazione parzialmente
differita da parte di Coopfond. Per le persone fisiche si considereranno valide le
sottoscrizioni effettuate a fronte di uno specifico piano di versamento differito.
2.2.2. Rispetto alle partecipazioni in società lucrative i conferimenti degli altri
soci dovranno essere liberati in denaro per un ammontare non inferiore alla
quota sottoscritta da Coopfond.
2.2.3. Nel caso di interventi in cooperative aderenti anche ad altre associazioni,
la partecipazione di Coopfond sarà possibile solo congiuntamente a quella del
relativo Fondo mutualistico.
2.2.4. Limitatamente alle piccole società cooperative di cui all’art. 21 della legge
266/1997, sarà possibile realizzare interventi di promozione attraverso
l’erogazione di prestiti in assenza di partecipazione al capitale sociale.
70
Area promozione: prestiti
2.3. Gli interventi mediante prestiti partecipativi consistono in finanziamenti di
medio termine (da quattro a sette anni), normalmente garantiti con le modalità
stabilite dal consiglio di amministrazione e remunerati ad un tasso annuo
definito dal consiglio di amministrazione e composto da una parte fissa,
correlata all’andamento del T.U.S., e da una parte variabile, commisurata ai
risultati conseguiti dall’impresa finanziata.
Essi devono essere comunque complementari alla simultanea partecipazione di
Coopfond nel capitale.
Nel caso di prestito a favore di nuove iniziative imprenditoriali, l’ammontare del
prestito non può superare l’importo massimo di Euro 500.000.
Area sviluppo
2.4. Nel caso di iniziative di cooperative esistenti di cui al punto 2.1, Coopfond
potrà intervenire esclusivamente a favore di progetti di investimento intrapresi
da cooperative sociali, ovvero riferiti alle aree degli obiettivi 1 e 2 dell’U.E., a
quelle di cui al punto 87.3, c) del Trattato istitutivo della Comunità Europea,
nonché a quelle in regime di fuoriuscita o che rientrano nei patti territoriali e nei
contratti d’area.
Sono altresì ammissibili agli interventi relativi all’area sviluppo le cooperative di
cittadini utenti partecipate da società di sistemi settoriali (operanti sull’intero
territorio nazionale ovvero a livello regionale) di cui Coopfond sia socia.
Tali interventi, nel loro insieme, non possono superare l’ammontare del 30%
delle risorse complessivamente acquisite dal Fondo.
Le condizioni di intervento nei progetti di cui sopra sono subordinate
all’esistenza dei seguenti requisiti:
- l’impresa beneficiaria deve essere esclusivamente una società cooperativa;
- il progetto deve prevedere forme di aggregazione tra i soci che garantiscano il
radicamento territoriale dell’iniziativa (ad esempio sezioni soci);
- l’impresa stessa deve presentare un positivo andamento della gestione;
- il progetto deve presentare caratteri di effettivo incremento dell’attività
aziendale e dei relativi investimenti, di miglioramento dei processi produttivi e di
ampliamento dell’occupazione.
E’ stabilita una priorità di erogazione a favore dei progetti ad alta valenza
sociale, ed in particolare di quelli:
- concernenti attività ad alta intensità di occupazione;
- qualificati da processi tecnologicamente innovativi;
- destinati a valorizzare l’imprenditorialità ed il lavoro femminile e giovanile.
Gli interventi in parola saranno realizzati attraverso prestiti. In deroga a quanto
stabilito dal precedente punto 2.3, i prestiti potranno essere erogati anche in
assenza di partecipazione al capitale di rischio della cooperativa beneficiaria.
Nella determinazione del tasso di interesse e delle garanzie richieste al
beneficiario, il consiglio di amministrazione potrà definire criteri differenziati
71
rispetto a quelli riguardanti gli interventi di cui al punto 2.3. In particolare il
consiglio di amministrazione potrà derogare alla richiesta di garanzie per i
prestiti di importo fino a 150.000 Euro a favore di cooperative operanti in territori
in cui non sia operativo il Consorzio fidejussorio regionale convenzionato.
Fermo restando per ogni singolo intervento il limite massimo pari all’8% delle
disponibilità annualmente acquisite dal Fondo, l’ammontare dell’intervento non
potrà superare il 50% dell’importo complessivo degli investimenti contemplati
dal piano presentato dalla cooperativa.
2.4.1. In parziale deroga a quanto previsto dal precedente punto 2.4, il consiglio
di amministrazione potrà costituire un’apposita dotazione per capitalizzare
cooperative meridionali esistenti che presentino significative potenzialità di
sviluppo, affiancando l’azione promossa da Fincooper e da altre finanziarie del
movimento cooperativo che interverranno sul capitale circolante.
Modalità di accesso al Fondo
2.5. Le modalità di accesso al Fondo da parte dei soggetti beneficiari saranno
definite dal consiglio di amministrazione e messe a disposizione degli
interessati con le forme di pubblicità ritenute più opportune.
In esse dovranno essere specificamente definiti, in particolare, i seguenti aspetti
operativi:
- modalità di redazione e presentazione della domanda, del progetto
imprenditoriale e del business plan, in termini tali da evidenziare la congruità e
la redditività dell’idea imprenditoriale, nonché i requisiti di meritevolezza sociale;
- definizione dei costi di istruttoria a carico dei richiedenti;
- requisiti societari (base sociale, statuto, regolamenti interni);
- condizioni e modalità di dismissione della partecipazione di Coopfond;
- modalità di partecipazione agli organi sociali da parte di Coopfond;
- criteri e procedure di salvaguardia dei caratteri dell’iniziativa, sia in fase di
avvio sia eventualmente in fase di adeguamento o modificazione del progetto
originario.
L’iter istruttorio di ogni domanda sarà svolto in diretto dialogo con i proponenti,
in modo da agevolare al massimo le condizioni di successo delle iniziative e in
stretto rapporto con le strutture settoriali e territoriali della Lega delle
cooperative, in modo da armonizzare l’iniziativa con i processi di sviluppo
territoriali e settoriali e cogliere tutte le opportunità sinergiche e di sistema.
Fondo 4%
2.6. In deroga a quanto precedentemente stabilito, nel limite massimo del 4%
delle risorse annualmente acquisite dal Fondo, i progetti di particolare utilità
sociale possono essere svincolati con apposita deliberazione del consiglio di
amministrazione, dalle condizioni sopra definite di:
a)
temporaneità della partecipazione e/o
72
b)
di novità del progetto imprenditoriale.
Nella stessa quota possono essere inseriti, su proposta dei soci, gli interventi
ed i finanziamenti a favore dei potenziali beneficiari dei finanziamenti del Fondo
ovvero di strutture di servizio, volti a stimolare la qualificazione della domanda
di finanziamento ed il miglioramento delle condizioni di accesso al Fondo
mutualistico, nonché quelli, da realizzare anche attraverso l’istituzione di borse
di studio, inerenti ad iniziative di formazione professionale, studio e ricerca, di
rilevante interesse per il movimento cooperativo, contemplate dall’art. 11
comma 3° della legge 31 gennaio 1992, n. 59, nonché gli atti di liberalità a
matrice cooperativa di particolare valore solidaristico nei confronti dell’intera
collettività.
3. Deroghe
Previo parere dei soci, il consiglio di amministrazione di Coopfond potrà
derogare alle norme stabilite dal presente regolamento per quanto attiene a
modalità, durata ed importi riferiti a progetti imprenditoriali di straordinaria
importanza per il movimento cooperativo.
LE ISTRUTTORIE DEGLI INVESTITORI ISTITUZIONALI
Come si è già accennato a riguardo dei finanziamenti bancari, è cruciale il
modo con il quale la cooperativa si presenta di fronte ai due investitori
istituzionali che abbiamo ritenuto di nostro interesse.
Ciascuno dei due avvia un’istruttoria approfondita, che si compone di varie fasi.
Esaminiamo un’istruttoria tipo:
Dal momento di ricezione della domanda avvia una istruttoria sia sulla base dei
documenti presentati sia anche di diretta conoscenza con la cooperativa e i suoi
soci.
È necessario sottolineare che, a prescindere dall’esito delle valutazioni,
l’istruttoria avrà un onere economico per il richiedente.
Valutato positivamente il progetto, si decide l’intervento, che verrà portato
avanti solo a determinate condizioni.
Il documento di base - il vero e proprio biglietto da visita che la cooperativa
deve produrre – è il piano operativo (il cosiddetto business plan).
In esso, ad esempio, si deve illustrare:
1)
IDEA IMPRENDITORIALE
Descrivere sinteticamente il progetto riportando gli elementi fondamentali che lo
caratterizzano: servizio o prodotto offerto, settore di attività, mercato di
riferimento, motivazioni “dell’idea imprenditoriale”, dati economici di sintesi del
progetto (investimenti, fatturato stimato, addetti previsti). Spiegare per quale
73
motivo il servizio o prodotto che si intende offrire o realizzare sul mercato è
socialmente rilevante.
2)
IL MERCATO
Analizzare il mercato descrivendo il target di riferimento, i clienti ed i fornitori
potenziali.
Indicare la stima dei prezzi a regime dei servizi o prodotti offerti.
Indicare la qualifica del socio che eroga il servizio o le principali materie
prime impiegate (o da impiegare) ed i relativi costi orari o prezzi.
Specificare quali sono le qualifiche dei non soci che erogano i servizi o
le lavorazioni date (o da dare) all’esterno ed i relativi costi orari/prezzi .
Indicare le caratteristiche e la localizzazione delle diverse aree
geografiche in cui si intende operare.
Descrivere le politiche di marketing: servizio/prodotto, distribuzione,
prezzo, pubblicità/promozione/pubbliche relazioni.
Definire gli obiettivi di vendita.
3)
INVESTIMENTI
Descrivere analiticamente gli investimenti realizzati e da realizzare:
fabbricati,
macchinari/attrezzature,
immobilizzazioni
immateriali,
formazione/qualificazione.
Compilare il prospetto delle fonti di finanziamento e gli impieghi.
Compilare la richiesta di intervento alla CFI.
Riepilogare i costi degli investimenti.
Indicare i tempi per la realizzazione degli investimenti e per la
produzione di regime.
Evidenziare eventuali contratti di leasing per beni immobili.
4)
CICLO PRODUTTIVO O CICLO DI EROGAZIONE DEL SERVIZIO
Descrivere le modalità di erogazione del servizio oppure il processo
produttivo tipico, attraverso una successione di fasi ben stabilite .
Evidenziare gli aspetti critici del ciclo di erogazione del
servizio/prodotto.
Elencare i sistemi informativi con le relative caratteristiche tecniche.
Indicare la produttività per addetto e la massima capacità produttiva
attuale ed ottenibile a regime.
5)
STRUTTURA ORGANIZZATIVA
74
Descrivere l’organigramma della società con l’indicazione delle funzioni
e delle mansioni previste.
Ripartire la compagine sociale indicando il numero dei soci lavoratori,
persone giuridiche, sovventori, azionisti di partecipazione.
Indicare la suddivisione della forza lavoro nell’anno in corso (anno 0)
specificando l’area in cui i soci lavoratori e i dipendenti sono inseriti
(amministrativa, commerciale, produzione, tecnica/operatori sociali) e fare una
previsione per i due anni successivi.
Specificare le esperienze professionali degli addetti soci, non soci e
consulenti (indicando per questi ultimi se sono legali, commerciali,
amministrativo-fiscali oppure operatori sociali professionisti), il contratto
collettivo nazionale di appartenenza e il livello contrattuale. Allegare i curriculum
vitae.
Indicare gli eventuali sviluppi futuri della forza lavoro.
Esporre gli interventi di formazione professionale da realizzare nei primi
3 anni di attività, esplicitando il beneficio che ne trarrà l’iniziativa imprenditoriale.
6)
DATI ECONOMICI E PATRIMONIALI
• Perdite Pregresse
Indicare dalla data di costituzione ad oggi l’ammontare delle perdite e la loro
copertura.
• Conto Economico
Nella stesura del Conto Economico consuntivo (solo per le cooperative già
costituite) e preventivo occorre tenere presenti i seguenti principi:
Fatturato: è legato ai diversi tipi di servizi offerti o prodotti venduti. Per
le aziende che producono su commessa si possono fare ipotesi comprensive
anche delle valutazioni dei lavori in corso.
La variazione di magazzino è data dalla differenza tra rimanenze finali e
rimanenze iniziali (le rimanenze iniziali corrispondono a quelle finali esposte in
bilancio nell’anno precedente); le variazioni delle rimanenze di prodotti finiti,
semilavorati e/o lavori in corso vanno inserite tra i ricavi, mentre le variazioni
delle rimanenze di materie prime vanno inserite tra i costi di produzione.
Costi generali industriali, commerciali e amministrativi: occorre calcolare
l’incidenza percentuale di tali costi sul fatturato da realizzare basandosi sui
bilanci degli anni precedenti ovvero su stime (es.: tra i costi industriali, il costo
delle manutenzioni industriali dipende dal grado di utilizzo dei fattori della
produzione in funzione del volume complessivo di fatturato previsto; il costo di
energia elettrica e forza motrice dipende dal consumo di kw necessari per
raggiungere la produzione prevista, valorizzato ai prezzi di mercato più recenti).
Per i costi particolari e specifici dell’azienda in questione (canoni di leasing,
75
affitto, provvigioni a rappresentanti, etc.), le basi di calcolo sono i singoli
contratti già stipulati o che si prevede di sottoscrivere.
Costo del lavoro: è necessario ripartire il personale come segue: addetti
alla produzione (operatori sociali, tecnici ed operai), addetti all’amministrazione,
addetti al settore commerciale. Nel caso in cui si prevedano nuove assunzioni o
l’introduzione di nuovi soci-dipendenti, si deve stimare il costo nel modo
seguente: per ogni raggruppamento indicare il contratto collettivo nazionale di
categoria, la qualifica delle persone occupate e l’ammontare annuo delle
retribuzioni (sommatoria di paga base, superminimi, calcolati per 13 o 14
mensilità); a quest’ultimo valore vanno applicati i contributi previdenziali e
assicurativi nella percentuale prevista dalla legge, tenendo conto della
fiscalizzazione degli oneri sociali e della eventualità di contratti di formazione e
lavoro in cui la contribuzione è minore.
Ammortamenti: vanno calcolati in funzione della vita utile dei cespiti. Se
il periodo di obsolescenza è minore rispetto a quello previsto applicando le
aliquote fiscali, le aliquote di ammortamento devono essere più alte.
Accantonamento al fondo Tfr: Tale importo può essere determinato in
maniera precisa (retribuzioni lorde / 13,5).
Gestione finanziaria: gli interessi passivi e/o attivi di conto corrente
vanno calcolati tenendo conto della giacenza media del periodo nel c/c bancario
e del tasso di interesse passivo e/o attivo di riferimento. Vanno poi considerati
gli interessi passivi semestrali su eventuali mutui.
Negli anni successivi i metodi di quantificazione restano gli stessi del
primo anno: il costo del personale varierà in base alla variazione del numero
degli addetti e della dinamica retributiva di categoria; i costi variabili
(manutenzioni industriali, consumo di materiali, spese telefoniche, etc.) variano
in rapporto all’andamento del fatturato.
• Stato Patrimoniale
Immobilizzazioni immateriali, materiali e finanziarie: il valore dipende
dagli investimenti effettuati negli anni. Relativamente alle spese di impianto, di
ricerca e di software, solo per citare le principali voci delle immobilizzazioni
immateriali, si stabilisce l’ammortamento in conto; tutti gli altri investimenti sono
considerati al lordo dei relativi ammortamenti.
Rimanenze: si deve evidenziare la ripartizione delle scorte di
magazzino: è necessario dividerle tra materie prime, sussidiarie, semilavorati,
prodotti finiti e imballaggi.
Liquidità differite: l’importo dei crediti verso clienti e degli effetti attivi è
pari al rapporto tra il fatturato (comprensivo di IVA) e il numero delle volte in cui,
nell’arco dell’anno, vengono incassati i relativi crediti. Se il capitale sociale non
è stato interamente versato e/o si prevede la sottoscrizione di altre quote di
capitale, è necessario indicare anche i crediti verso soci per sottoscrizioni.
76
Liquidità immediate: stabilire il valore della cassa anche se la sua
approssimazione è di importo modesto, sufficiente a coprire le transazioni
giornaliere; stabilire il valore del c/c bancario in rapporto ai tempi di incasso e
pagamento.
Patrimonio netto: è costituito dal capitale sociale sottoscritto, la riserva
ordinaria o legale, la riserva indivisibile, il risultato dell’esercizio in corso e le
eventuali perdite conseguite negli esercizi precedenti.
Passivo consolidato: va considerato il fondo Tfr; devono inoltre essere
presenti le quote a scadere, oltre 12 mesi, di mutui a medio-lungo termine, per
la sola quota capitale.
Debiti verso dipendenti ed istituti previdenziali: sono da esporre in
bilancio solo le retribuzioni non ancora corrisposte; i debiti versi INPS ed IRPEF
riguardano i versamenti delle ultime mensilità.
Passivo corrente: i debiti verso fornitori e gli effetti passivi commerciali si
stabiliscono con calcoli analoghi a quelli per la determinazione dei crediti verso
clienti, considerando cioè il tempo medio dei pagamenti. Vanno inoltre
menzionate le eventuali rate dei mutui in scadenza nell’anno secondo un
preciso piano di ammortamento.
Flussi Finanziari
Compilare la tabella n. 21 per le previsioni relative ai flussi finanziari.
Esistenze monetarie iniziali:
- per le cooperative già costituite indicare la sommatoria delle esistenze
monetarie relative all’anno precedente;
- per le cooperative di nuova costituzione indicare la sommatoria tra cassa e
banche attive al netto delle banche passive a breve termine.
Gestione Corrente: indica l’andamento della liquidità in rapporto alla
gestione aziendale.
Gestione Patrimoniale: sono qui comprese le entrate non correnti
(aumenti di capitale sociale, finanziamenti da soci, mutui, rimborsi di IVA) e le
uscite per investimenti.
Rimborsi di passività: si intendono quelli a medio/lungo termine, i
rimborsi di prestito sociale e le restituzioni di capitale sociale.
Oneri straordinari: indicare tutti gli oneri verificatisi nell’anno non
derivanti da alienazioni di cespiti.
• Compilare il dettaglio del conto Clienti, Fornitori e Banche passive
77
Come si diceva, si tratta di un business plan tipo, in questo caso “tagliato” per le
cooperative industriali.
Basterà però apportare poche correzioni ed adattamenti per renderlo idoneo a
rappresentare il piano operativo di qualsiasi cooperativa della economia ittica
che avrà il problema di confrontarsi con qualsiasi tipo di finanziatore a lungo
termine.
IL RATING E LE IMPRESE ITTICHE
Il rating solitamente è definito attraverso una media ponderata degli:scoring
assegnati ad alcune aree di indagini relative:
• All’analisi della situazione economico-finanziaria attraverso il bilancio
• All’analisi comportamentale nei rapporti con la banca e della centrale dei
rischi
• All’analisi del settore merceologico
• All’analisi delle strategie gestionali e del posizionamento competitivo
Per i primi tre punti solitamente si utilizzano metodi di calcolo automatici corretti
eventualmente con giudizi soggettivi . Il punteggio relativo all’ultimo campo di
indagine è ottenuto mediante giudizi di tipo qualitativo . Lo sforzo che si chiede
all’analista è di definire un punteggio articolato sui diversi profili dell’analisi
strategico-competitivalle banche opportunamente ponderati. Ciascuna banca
adatterà la propria tecnica di valutazione ed in particolare i pesi da attribuire a
ciascun profilo di analisi in funzione delle caratteristiche del proprio portafoglio
clienti, in termini di composizione e dimensione e delle proprie scelte
strategiche.
Il settore della pesca è abitualmente considerato dal sistema bancario senza
distinzioni ,se non peggiorative, rispetto al settore agricolo.
Ismea nel suo, recente studio su “Agricoltura e credito – dalla specializzazione
ai nuovi servizi finanziari “ giudica che “la frammentazione del settore, la
prevalenza di aziende a conduzione familiare unita alla mancanza di una
contabilità e di un bilancio rendono difficile la valutazione del merito creditizio e
richiedono oltre che tecniche valutative progettate ad hoc competenze
professionali ad hoc. Il quadro così sinteticamente abbozzato per un certo verso
testimonia l’alto grado di frammentazione dell’impresa agricola , dall’altro lascia
intuire la presenza di livelli differenziati di rischiosità per i quali il trattato di
Basilea relativo ai requisiti patrimoniali delle banche avrà una influenza non
omogenea.”
Questa affermazioni paiono calzanti anche per il settore della pesca. Una
analisi da noi effettuata su un campione sufficientemente rappresentativo per
tipologia societaria e dimensioni sembra dimostrare che il rapporto sofferenze
–impieghi del settore ittico sia superiore alla media, in linea con le risultanze
del settore agricolo anche per quanto riguarda le sfaccettature di rischio
78
diverse, che rendono difficile la valutazione del merito creditizio . E’ da
accogliere favorevolmente l’invito da parte dell’Ismea a considerare in termini
positivi l’adozione di specifiche tecniche valutative come il credit scoring che
consentono la formulazione di un giudizio utilizzando poche in formazioni
mirate.
I problemi legati all’utilizzazione di questa tecnica sono molti e richiedono
effettivamente una modellistica su misura che consenta di cogliere le specificità
del settore.
Uno sforzo pionieristico, ma significativo in questa direzione è stato tentato
all’interno del consorzio di garanzia fidi Fidipesca Italia. Esso potrebbe
rappresentare per ogni impresa ittica intenzionata a richiedere a un istituto di
credito un finanziamento a medio-lungo termine un buon parametro per un
processo di autovalutazione . I risultati frutto di questo controllo preventivo se
negativi potrebbero costituire la base per un opportuno processo correttivo. A
tal proposito deve essere comunque rivalutata l’importanza degli strumenti di
comunicazione come il bilancio. Per seguire la lezione di Preti (1997) è
completamente da abbandonare l’ idea che il bilancio destinato a pubblicazione
non sia nulla più che un mero atto amministrativo , la redazione del quale vada
svolta con compassata diligenza compilativa, asservita esclusivamente al
soddisfacimento protocollare di un obbligo sancito dal diritto positivo. Esso
infatti contiene anche importanti funzioni di atto gestionale e di atto
comunicazionale.
La sua compilazione deve soddisfare un’esigenza di
conoscenza e di diffusione presso le controparti socio-economiche dell’impresa
di un dato profilo dell’immagine aziendale che sia il più possibile vicino al reale.
Lì’impresa deve rendersi conto che l’obbligo del bilancio non è solo una
procedura formale di carattere tecnico-burocratico da delegare nei fatti a chi è
del mestiere. La procedura formale va infatti svolta anche alla luce del relativo
grado di indeterminatezza che connota il calcolo del reddito e le connesse
elaborazioni quali-quantitattive del capitale di funzionamento e dei flussi
finanziari. Tale indeterminatezza suscita il problema della responsabilità
connessa al relativo livello di discrezionalità e delle scelte di bilancio. Quindi il
bilancio non è solo il frutto di un procedimento tecnico-burocratico, ma si fonda
su una politica che ne investe l’ aspetto del calcolo economico e l’aspetto della
segnaleticità storica e predittiva. La politica di bilancio non può essre
indipendente dalla politica aziendale : il gruppo dirigente non può esonerarsi
dall’avere un ruolo attivo all’interno dei processi che conducono alla formazione
dello stesso. Devono inoltre superare l’opinione che le norme civilistiche in
materia di bilancio hanno un prevalente contenuto astratto , in particolare quelli
che sanciscono i principi della chiarezza, correttezza, aderenza al vero. Un
atteggiamento di questo tipo induce infatti a cogliere in maniera parziale o
distorta le potenzialità che il bilancio ha per favorire l’accesso delle pmi alle
facilitazioni creditizie a sostegno della della sua sopravvivenza , del suo
sviluppo e della sua affermazione.
79
La convenienza di curare ed assicurare un elevato grado di affidabilità alle
procedure di elaborazione del bilancio destinato a pubblicazione è strettamente
connessa al fatto che esso rappresenta molto spesso l’unico strumento che la
piccola e media impresa ha a disposizione per comunicare una definita
immagine di sé all’ambiente esterno , in particolare a tutti quegli organismi che
possono facilitarne lo sviluppo.
IL RATING DI FIDIPESCA ITALIA COME PARAMETRO PER IL SETTORE
Effettuato questo importante considerazione, vediamo come si sviluppa l’analisi
effettuata secondo il modello interno di Fidipesca Italia, che serve a
integrazione delle risultanze dele banche dati. Si tratta di un tentativo di
giungere ad una attribuzione di rating che tenga conto delle specificità delle
imprese, non solo cooperative, del settore dell’economia ittica.
La riproduciamo integralmente per poi commentarla.
NOTA METODOLOGICA
A.
VALUTAZIONI DI BILANCIO
1.
Riclassificazione degli ultimi due bilanci delle imprese richiedenti la
garanzia, secondo lo schema tipo utilizzato dagli Istituti di credito.
2.
Per cercare di meglio qualificare le capacità, da parte delle imprese
richiedenti la garanzia, di rimborsare il finanziamento ottenuto, si effettua il
calcolo di quattro indici, particolarmente significativi e che trovano vasta
applicazione nell'ambito bancario in materia di imprese di pesca e di
piscicoltura.
A)
B)
C)
D)
la copertura finanziaria delle immobilizzazioni;
l'indipendenza finanziaria;
l'incidenza degli oneri finanziari sul fatturato;
la percentuale di liquidità generata dalla gestione sul totale attivo.
Per ciascuno di questi indici è possibile individuare un "valore ottimale".
Dalla esperienza da noi compiuta, questo valore può essere così quantificato:
INDICE
A) mezzi propri + debiti a medio-lungo termine /
immobilizzazioni
"VALORE
OTTIMALE
"
≥1
80
B) mezzi propri / totale del passivo
≥ 12%
C) oneri finanziari / fatturato
≤ 6%
D) cash flow (1) / totale dell'attivo
≥ 4%
Sulla base di questi valori si attribuiscono i seguenti punteggi:
Indice A:
A ≥ 1= 3
0,70 < A < 1= 2
0 < A ≤ 0,70 = 1
A≤0=0
Indice B:
B ≥ 12% = 3
9% < B < 12% = 2
0 < B ≤ 9% = 1
B≤0=0
Indice C:
C ≤ 6% = 3
6% < C < 9% = 2
9% < C ≤ 13% = 1
C ≥ 13% = 0
Indice D:
D ≥ 4% = 3
2% < D < 4% = 2
0 < D ≤ 2% = 1
D≤0=0
(1) perdita o utile d’esercizio (al netto delle imposte) + tutti gli ammortamenti e
accantonamenti dell’anno + TFR dell’anno. Nella accezione più rigorosa
occorrerebbe aggiungere il delta del capitale circolante.
81
3. Si ponderano ora i risultati degli ultimi due esercizi, attribuendo un peso del
33% al bilancio più vecchio e del 67% all'ultimo.
A questo punto si definiscono tre fasce di rischio per le garanzie dal Consorzio
rilasciate.
FASCE
PUNTEGGIO IMPRESA
A
X≥9
Standing
ottimo
creditizio
6<X<9
standing
buono
creditizio
B
C
X≤6
Standing creditizio che
presenta
motivi
di
perplessità
4. Si calcolano ad integrazione un indice di performance economica (MOL(a) /
VALORE della PRODUZIONE) e un indice di solvibilità (LIQUIDITA'
CORRENTE)(b).
5. Per quanto concerne le imprese, la cui valutazione le pone nella fascia C, si
effettuerà un supplemento di indagine volto a meglio identificare le condizioni di
stabilità economico-finanziaria. Si utilizzerà il cosiddetto metodo "Z-score". Di
questo metodo si fornisce in allegato una sintetica descrizione.
6. Nel caso di start-up, si utilizzeranno i dati previsionali con una ponderazione del
75%.
B. RAPPORTI CON LE BANCHE
Si verifica la regolarità o meno dell'adempimento delle obbligazioni nei riguardi
del sistema bancario (posizioni in bonis, ritardi nei pagamenti, posizioni
incagliate, posizioni in sofferenza, ecc.)
C. STATO DI ATTUAZIONE DEL PROGETTO
82
(a) = Reddito operativo (differenza tra valore della produzione e costi) +
ammortamenti e svalutazioni
(b) = Attività a breve/passività a breve. Attività a breve = rimanenze + crediti
entro i 12 mesi + disponibilità liquide. Passività a breve = totale debiti entro i 12
mesi
Metodo "Z-score".
Il metodo consiste nella risoluzione di un algoritmo così strutturato:
Z = 1,2(V1)+1,4(V2)+3,3(V3)+0,6(V4)+V5
V1: capitale circolante netto(1) / totale attivo investito(2).
V2: totale riserve e accantonamenti(3) (nel caso delle cooperative si prende in
considerazione il prestito sociale) / totale attivo investito.
V3: reddito gestione caratteristica / totale attivo investito.
V4: totale capitale netto(4) / valore totale dei debiti
V5: ricavi (5)/ totale capitale investito.
VALUTAZIONE
PUNTEGGIO
VALUTAZIONE
3.0
Impresa che non presenta alcun problema
finanziario prevedibile nei prossimi 2-3 esercizi.
2,99 - 2,70
Impresa che può presentare problemi finanziari
83
di una certa rilevanza nei prossimi 2-3 esercizi.
2,69 -1,80
Impresa che può manifestare segni gravi di
dissesto nei prossimi 2-3 esercizi.
Meno di 1,80
Impresa sull'orlo del dissesto.
(1)
è uguale all’attività circolante (rimanenze + crediti v/banche + crediti
v/clienti) meno debiti a breve verso fornitori (non vanno considerati i ratei e
risconti in quanto non ne conosciamo la natura).
(2)
Tutte le immobilizzazioni materiali al netto degli ammortamenti.
(3)
Riserve + fondi di accantonamento (non si considera il TFR)
(4)
Al netto delle perdite.
(5)
Solo quelli della gestione caratteristica (solo ricavi da vendite, non i
contributi)
Questo apparentemente incomprensibile documento ha al contrario una chiave
di lettura piuttosto semplice. Esso presenta dei criteri di valutazione di
meritevolezza creditizia delle imprese ittiche del tutto simili a quelli adottati dalle
banche che praticano i finanziamenti a medio-lungo termine. Se ne discosta
solamente per alcuni” assestamenti” introdotti per tenere conto di alcune
peculiarità del settore che mal si conciliano con schemi generali pensati
soprattutto per imprese manifatturiere.
Il rating finale – il giudizio sintetico sulla fattibilità o l’impossibilità di intervento
del Consorzio - è determinato da indici che intendono cogliere la situazione di
equilibrio nelle variabili finanziarie dell’impresa intese come specchio della
complessiva situazione economico-finanziaria.
Si calcolano poi indici che possono evidenziare situazioni di illiquidità tali da
pregiudicare il rimborso delle rate che scadono a breve.
Per le imprese che ottengono un basso livello di rating è poi prevista una analisi
basata sul cosiddetto Z-score, il quale non è niente altro che un metodo ,
dimostratosi empiricamente efficace, per predire la possibilità che un ‘impresa
divenga insolvibile le giro di 24-36 mesi. Il consorzio pratica di routine queste
analisi nei riguardi dei propri soci ed è a disposizione delle imprese ittiche
interessate alla sua applicazione ai fini di autovalutazione.
84
•
•
•
•
•
IL CONCETTO DI RISCHIO FINANZIARIO
In molti passi della trattazione si è fatto un necessario riferimento al concetto di
rischio finanziario. In realtà si tratta di un termine generico. Il rischio finanziario
ha molte sfaccettature che , sia pure in modo non rigoroso, è utile analizzare.
Si possono individuare diverse fattori di rischio con implicazioni finanziarie:
Rischio di mercato: esposizione dell’impresa a dei movimenti di
mercato sfavorevoli sui tassi di interesse e sulle materie prime che determinano
un aumento inaspettato di costi e oneri finanziari. Il modo per affrontarli consiste
nel mantenere costantemente monitorate le esposizioni e aggiornate le
informazioni sui mercati rilevanti e definire eventualmente delle forme di
copertura
Rischio credito: allorché un cliente o una controparte finanziaria non
sia in grado di onorare i suoi obblighi finanziari. Le contromisure riguardano la
definizione di limiti di credito per cliente e il monitoraggio degli utilizzi del
credito e della situazione economico-patrimoniale dei clienti
Rischio liquidazione: rischio che l’impresa non riceva i fondi o gli
strumenti dovuti da una controparte quando stabilito o previsto. Molte
cooperative lo conoscono bene avendolo sperimentato spesso in riferimento ai
rapporti con la pubblica amministrazione
Rischio liquidità: rischio che un ‘impresa non sia in grado di far fronte
ai propri obblighi finanziari per mancanza di fondi e/o linee di credito sufficienti.
È necessario adattare gli strumenti dell’indebitamento alle posizioni finanziarie
in essere, anche valutando le condizioni del peggior scenario possibile.
Rischio legale: rischio che i contratti non siano documentati
correttamente, non siano validi e non possano essere fatti valere. I rimedi
consistono nell’agire prudentemente e diligentemente nelle contrattazioni e
nella condotta degli affari sia con le controparti interne sia con quelle esterne.
85
CAPITOLO QUINTO:
LA GESTIONE ORGANIZZATIVA
UN MODELLO ORGANIZZATIVO PER LE PICCOLE IMPRESE
Una volta che l’impresa cooperativa si è dotata di una bussola e di una mappa
per il futuro , si è cioè data una strategia e degli obiettivi, deve pensare a come
strutturarsi.
Per usare le parole di Puricelli, da anni le piccole e medie imprese sono
tormentate dalla ricerca di una ricetta organizzativa specifica per loro, che si
situi all’incrocio tra il disordine creativo dell’impresa artigiana e la complessità
burocratica della grande impresa.
Si è ormai consolidata la posizione di coloro che non credono più alla
opinione secondo cui le questioni organizzative affrontate con tecniche
manageriali non devono interessare le imprese di minori dimensioni.
La relazione piccolo-disorganizzato è vista sempre più giustamente non come
una qualità dell’impresa che in modo misterioso conduce al successo, ma
piuttosto come un vincolo alla sopravvivenza e allo sviluppo.
Sono stati elaborati diversi modelli organizzativi per le piccole e medie imprese
e molti sono stati anche sperimentati con successo .
L’approccio probabilmente più corretto questo problema è quello proposto da
Preti , che era un grande amico e conoscitore delle cooperative già nel 1991, le
cui implicazioni rivestono una notevole validità anche per le nostre cooperative.
Preti parte dall’assunto dell’ esistenza di un poliformismo organizzativo che
caratterizza differenziandole fra di loro imprese che mantengono come comune
denominatore la piccola dimensione.
In altre parole non si può e si deve parlare di unicità di modello organizzativo,
ma al contrario si deve partire dal principio cardine che non esiste una
soluzione unica e migliore in senso assoluto, da applicare in maniera
indiscriminata a tutte le realtà imprenditoriali minori.
Per esaminare il problema organizzativo delle piccole imprese bisogna partire
dallo studio di due variabili misurabili:
• La variabile che riguarda i rapporti tra l’impresa e il suo sistema competitivo di
riferimento
• La variabile riguardante la dotazione di risorse umane identificabile all’interno
dell’impresa
La prima variabile riguarda il grado di concorrenzialità del mercato in cui
l’impresa in un dato momento si trova ad agire, che va dai due poli estremi
dell’operare in un settore strutturalmente turbolento a agire invece in una
86
favorevole situazione di mercato “protetto” per svariate ragioni (azzeccata
formula strategica, rendita di posizione ecc).
La seconda variabile si misura in termini di maggiore o minore complessità
dell’organismo personale, che spazia anch’essa dal limite di personale anziano
, a bassa professionalità e limitata scolarizzazione al limite opposto di bassa
anzianità, professionalità in crescita e alto livello di istruzione.
La combinazione di queste due variabili definisce quattro situazioni differenti a
cui corrisponde uno specifico assetto organizzativo.
Questi modelli organizzativi sono chiamati:
• elementare
• collaborativo
• innovativo
• diffuso.
IL MODELLO ELEMENTARE
Il modello elementare è particolarmente valido quando l’impresa opera in una
situazione di mercato poco concorrenziale, quando cioè il mercato in cui opera
è poco concentrato o dove è si è riusciti a individuare e servire una nicchia poco
appetibile per varie ragioni ad altre imprese.
Si tratta della combinazione bassa complessità organismo personale/
favorevole situazione competitiva. Siamo in presenza di un assetto che si
caratterizza per un ridotto investimento organizzativo e dove la professionalità e
il grado di scolarizzazione del personale può anche essere basso. Solitamente
in esso si riscontra una struttura gerarchica a due livelli, con colui che svolge le
funzioni di imprenditore- manager che comanda
e tutti gli altri che
obbediscono.
La strategia raramente è formulata in termini formali e comunicata : è nella testa
del capo, come pure le funzioni di controllo e programmazione e più in generale
l’intera filosofia gestionale .
La disorganizzazione molte volte è solo apparente poiché spesso esiste una
coerenza strategica perseguita dall’imprenditore manager. Ci troviamo nella
sostanza di fronte a un modello organizzativo adeguato per imprese che
rappresentano una sorta di evoluzione della forma artigianale.
IL MODELLO COLLABORATIVO
Il modello collaborativo
si situa nella combinazione bassa complessità
organismo personale /sfavorevole situazione competitiva.
L’impresa opera in un mercato maturo o in declino dove la concorrenza è
numericamente folta e dove la variabile competitiva principale ,se non unica, è il
prezzo.
I meccanismi operativi sono soggettivi e informali come quelli dell’assetto
elementare , ma ciò che lo caratterizza fortemente rispetto a quest’ultimo è l’
attenta difesa dei confini aziendali, e la costante attenzione che deve essere
87
riservata , vista la continua pressione sui prezzi ,all’ individuazione di
collaborazione a monte o valle della filiera produttiva.
Secondo Grandori, quest’impresa può sopravvivere e crescere solo se è in
grado continuamente di coagulare gli interessi dei concorrenti intorno ad un
progetto comune e di scegliere in maniera opportuna le modalità gestionali
delle relazioni in essere.
IL MODELLO INNOVATIVO
Il modello innovativo è particolarmente adeguato per le combinazioni alta
complessità organismo personale/sfavorevole situazione competitiva.
La modalità realizzativa della strategia prescelta è affidata all’ attività
manageriale separata dall’attività imprenditoriale e ciò ha un impatto forte su
tutti gli aspetti organizzativi dell’impresa, che infatti presenta strutture funzionali
o divisionali.
I responsabili di funzione o divisione sono i veri decisori rispetto alle modalità di
raggiungimento dei determinati obiettivi strategici definiti dalla proprietà .
Le professionalità presenti nell’impresa introducono tecniche e metodologie
manageriali che ne determinano il funzionamento.
Esistono sistemi di controllo di gestione come le analisi di bilancio, il processo
di budgeting e l’analisi degli scostamenti che permettono alla direzione di
effettuare i necessari mutamenti di strategia sulla base di dati oggettivi.
Anche la comunicazione diviene progettata e standardizzata. Questo modello
rischia una degenerazione burocratica quando l’elevato investimento in risorse
da destinare all’assetto organizzativo che richiede diviene sovrabbondante
rispetto alle esigenze del contesto competitivo e produce carichi inefficienti di
costo.
IL MODELLO DIFFUSO
Il modello diffuso si situa nella combinazione alta complessità organismo
personale/ favorevole situazione competitiva.
Ci troviamo solitamente in settori fortemente innovativi, caratterizzati dagli
investimenti in beni immateriali e dove anzi le attività dell’impresa risiedono
proprio principalmente nelle competenze professionali del personale.
La struttura organizzativa è solitamente piatta: le relazioni orizzontali
prevalgono su quelle verticali e il principio gerarchico è fortemente attenuato. Il
rischio principale di quest’impresa è di perdere il suo capitale immateriale per
l’incapacità eventuale di trattenere le persone all’interno. Un altro rischio di
questo modello è la degenerazione anarcoide, in cui le finalità dell’azienda
sembrano stemperarsi di fronte alle necessità “espressive” dei singoli che la
compongono.
Come scegliere da parte della nostra impresa e/o cooperativa il modello
organizzativo più adeguato?
88
Il modo più semplice è ovviamente quello di individuare attraverso l’analisi delle
variabili situazione competitiva e complessità organismo personale l’assetto
organizzativo preferibile e eventualmente ,nel caso in cui non ci sia
concordanza con quello effettivamente in essere, cercare di riportare ad esso la
situazione organizzativa delle cooperativa.
Se, infatti, l’applicazione dello schema dimostra che l’assetto operante non è
coerente con le variabili di contesto attuali o future, esiste un problema di
funzionalità operativa che merita di essere considerato prima che possa
produrre problemi anche seri per la sopravvivenza e la crescita della
cooperativa.
Lo schema può effettivamente anche essere utilizzato in termini dinamici e
preventivi, nel caso in cui la cooperativa ritenga di trovarsi di fronte a rapidi e
drastici mutamenti nelle variabili di contesto.
89
CAPITOLO SESTO
IL VALORE D’AZIENDA
Il concetto di valore di azienda
Nella trattazione dei metodi e degli strumenti di gestione manageriale si è
spesso fatto riferimento al concetto del valore dell’impresa. Si tratta di un
riferimento necessario, in quanto ovviamente tutta l’attività svolta in un’impresa
è rivolta all’aumento del suo valore.
La possibilità che ha il settore di uscire dalla crisi che sta attraversando è legata
– come abbiamo più volte ripetuto – al recupero di redditività. La misura
sintetica del recupero di redditività è data dal valore.
Nuovi imprenditori e nuovi investimenti entreranno nel settore se le imprese
dimostreranno di creare ricchezza e valore. E’ utile quindi chiarire il significato
dell’espressione “valore d’azienda” e illustrare in modo più specifico
l’utilizzazione.
In Italia, dove la matrice ragionieristica in campo accademico e professionale è
stata predominante fino a poco tempo fa, l’espressione “valore d’azienda” è
sempre servita per indicare il valore del capitale azionario investito in
un’impresa (Lazzari 1999).
Nel mondo anglosassone, invece, ha assunto significato più ampio soprattutto
in seguito ai contributi di Modigliani e Miller.
Si è già accennato al fatto che il valore dell’impresa deve essere considerato,
secondo questa visione, come il valore del portafoglio degli investimenti
realizzati.
Questo valore a sua volta è diviso in due componenti: il valore di competenza
dei debitori ed il valore di competenza dei soci.
Si tratta di un approccio economico-finanziario che nega la possibilità di
giungere ad una nozione di valore con carattere di generalità ed obiettività,
come invece tende ad affermare la visione ragionieristica. Al contrario, secondo
la tesi dell’approccio economico-finanziario, il valore di un’impresa non è
determinabile indipendentemente dalla prospettiva delle parti in causa e dalla
possibile evoluzione dei rapporti fra le stesse.
Valga solo l’esempio significativo di come valutare l’azienda gestita da un
imprenditore incapace nel caso di possibile vendita ad altro imprenditore che ha
sempre dato prova di notevole abilità manageriale.
In questo caso non esiste un valore unico e oggettivo.
Il valore del portafoglio degli investimenti dell’impresa in base alla gestione
attuale del manager incapace è ben diverso dal valore del portafoglio in base a
una gestione efficace.
90
L’appoggio economico-finanziario ormai sta diventando il più diffuso a livello
mondiale.
I due approcci concordano comunque su un punto essenziale: il processo di
valutazione del valore dell’impresa deve essere razionale e produrre risultati
attendibili.
Sempre secondo il già citato Lazzari, il processo di valutazione:
• non deve configurarsi come una scatola nera;
• deve assicurare in ogni suo passaggio il massimo di trasparenza e di
giustificazione delle scelte compiute dal valutatore.
Una comprovata coerenza logica della procedura e una attenta motivazione
delle scelte fatte facilitano l’accettazione e l’utilizzo appropriato della
valutazione da parte dell’utente interessato (investitore istituzionale, nuovo
socio imprenditore o finanziario, banca per un impegno finanziario a lungo
termine).
Un altro punto in comune fra i due approcci consiste nell’affermare che il valore
di un’impresa dipende solo dal potere d’acquisto che essa potrà trasmettere nel
futuro a chi vi impegna i propri capitali.
Sono due, dunque, le fonti di valore per l’impresa:
1. i flussi di cassa che l’impresa può produrre;
2. il controvalore monetario realizzabile in sede di liquidazione dell’impresa
attraverso la cessione delle sue attività patrimoniali.
I PRINCIPALI METODI DI VALUTAZIONE DEL VALORE DELL’IMPRESA
I metodi di valutazione del valore d’impresa che esamineremo rapidamente
sono:
• i metodi patrimoniali;
• i metodi reddituali;
• i metodi finanziari;
• i metodi empirici.
Nei metodi patrimoniali, il valore dell’impresa è espresso come funzione del
patrimonio netto: si ottiene dunque sottraendo il valore delle passività, integrate
e rettificate adeguatamente, da quello delle attività anche esse integrate e
rettificate.
2.1 I METODI PATRIMONIALI
I metodi patrimoniali possono essere:
• semplici: si considerano i beni materiali, i beni immateriali per i quali è
consentita per legge l’iscrizione nel bilancio d’esercizio, i crediti e la liquidità;
• complessi: si considerano anche i beni immateriali non capitalizzati;
• analitici: si procede a una valorizzazione motivata e documentata delle diverse
tipologie di beni;
91
• empirici: si valorizzano i beni sulla base di parametri e formule dedotti dai
comportamenti negoziali degli operatori del mercato e a altre forme dedotte
dall’esperienza.
Poiché in definitiva la valutazione patrimoniale tende solamente
all’individuazione dei prezzi che dovrebbero essere pagati per acquistare i
singoli elementi che compongono il capitale dell’impresa, non viene più ormai
considerata dalla teoria di finanza aziendale una risposta soddisfacente per il
problema della definizione del valore d’impresa.
I METODI REDDITUALI
Nei metodi reddituali, l’unico elemento che interessa per la valutazione del
valore è la capacità dell’impresa di produrre reddito.
I problemi da risolvere per il suo calcolo riguardano la scelta del tipo di reddito,
del tasso di attualizzazione e dell’orizzonte temporale.
Per l’applicazione concreta dei metodi reddituali occorre conoscere con
ragionevole certezza i fattori determinanti dei risultati reddituali attesi, che
tipicamente sono rappresentati da:
• tasso di crescita atteso;
• i livelli di produttività;
• le variazioni dei prezzi di vendita;
• le variazioni dei fattori produttivi;
• un meccanismo di calcolo per stimare la sensitività (la variabilità) del reddito al
variare di questi fattori.
In sostanza, si deve cercare di valutare nel modo più oggettivo possibile i punti
di forza e di debolezza dell’impresa.
Altro aspetto di fondamentale importanza è l’ampiezza dell’orizzonte temporale
da considerare.
Molti valutatori ritengono che la proiettabilità dei redditi nel futuro sia
scarsamente attendibile già dopo solo 2-3 anni. Solitamente comunque si
considera un periodo di 3-5 anni.
La tipologia di reddito più applicata in questo metodo di valutazione è il reddito
medio prospettico rettificato.
Si giunge ad esso tenendo conto innanzitutto della particolare fase di vita
dell’impresa: se l’impresa sta vivendo modificazioni strutturali oppure attraversa
una fase di sviluppo equilibrato.
Nel primo caso si formuleranno risultati economici previsionali basati sulle
nuove situazioni prospettiche che l’impresa affronterà.
Nel secondo caso si proietteranno i risultati storici rettificati per l’arco temporale
prescelto.
Le rettifiche dovranno tendere alla eliminazione degli effetti di particolari
politiche di bilancio (ammortamenti, magazzino, fondi rischi, ecc.).
La capacità reddituale dell’impresa è riflessa dai valori del reddito operativo,
ovvero dal grado di successo della gestione tipica: per evitare che situazioni
92
patologiche ne riducano l’importanza, si dovrà fare riferimento per la
determinazione del reddito medio netto a una situazione “normale” di
indebitamento e di rapporti fiscali. In altre parole, poiché in sede di valutazione
del valore si fa riferimento al reddito al netto degli oneri finanziari e fiscali, il
reddito va corretto se è stato pesantemente influenzato da un livello di
indebitamento troppo elevato o da particolari situazioni fiscali.
Per quanto concerne il tasso di attualizzazione, esso si compone di due parti:
• la prima esprime il compenso per il semplice trascorrere del tempo;
• la seconda esprime il compenso per il rischio.
Sulle varie definizioni di rischio ci si soffermerà più avanti; qui basti dire che va
interpretato come variabilità o probabilità di scostamento dei risultati attesi.
I criteri per la scelta del tasso di attualizzazione sono molti: si spazia dal criterio
del costo-opportunità (inteso come rendimento che ci si aspetta da investimenti
alternativi a parità di rischio) al criterio del costo del capitale (inteso come costo
medio ponderato dei mezzi finanziari).
Ancora oggi i vari metodi reddituali, che si distinguono per le diverse tipologie di
reddito e di tassi di attualizzazione prescelti, contano non pochi sostenitori. Il
loro pregio è la forte sottolineatura del reddito come componente primaria
dell’attività aziendale.
Si può di contro individuare il loro limite nei contenuti di soggettività, non
sempre riconducibili ad una razionalità accettabile, nella determinazione degli
elementi determinanti per il calcolo del valore.
I METODI FINANZIARI
I metodi finanziari hanno come finalità il superamento dei limiti delle vecchie
visioni patrimoniali e reddituali, proponendo una visione dell’impresa concepita
come entità che genera valore economico, identificato nei flussi di cassa positivi
di lungo termine.
Il concetto base dei metodi finanziari parte dunque dalla considerazione
dell’impresa come un particolare insieme di investimenti al quale si applica la
logica della programmazione di capitale.
L’impresa verrà valutata in funzione di due parametri base:
1.
la struttura temporale e la consistenza dei ritorni (flussi di cassa) che
scaturiscono dall’investimento nell’impresa;
2.
il rischio che tale investimento ha rispetto ad altre forme di impiego di
capitali: si tratta del tasso di rendimento proprio di quella determinata impresa
che tiene conto cioè della sua specifica rischiosità. Lo si può anche definire
come il tasso di rendimento minimo richiesto dagli investitori per investire in
quella impresa.
La regola di calcolo da applicare è quella del valore attuale:
V = ΣCF /(1 + r ) t
93
dove t è il numero di anni (l’orizzonte temporale) prescelto, CF sono i flussi di
cassa e r è il tasso di attualizzazione.
Vi è una stretta interdipendenza e complementarietà tra i due parametri dei
flussi di cassa e del tasso di attualizzazione.
Infatti, il tasso di attualizzazione è determinato tenendo conto della variabilità
dei flussi di cassa attesi: tanto essa è più elevata, tanto il rischio specifico
dell’impresa aumenta. Il tasso di attualizzazione da applicare dovrà essere più
alto.
I metodi finanziari, secondo i loro sostenitori (tra cui anche noi), permettono di
apprezzare in modo esaustivo la dinamica della liquidità generata e i tempi nei
quali essa si manifesta.
Forniscono quindi una visione integrata delle scelte strategiche e operative
dell’impresa che hanno un impatto sia sul conto economico sia sullo stato
patrimoniale.
Inoltre, la valutazione del valore ottenuta con l’applicazione dei metodi finanziari
consente di individuare prontamente situazioni di declino, che, con l’utilizzo di
particolari politiche di bilancio indirizzati a creare utili in modo fittizio, potrebbero
essere più a lungo tenute nascoste utilizzando altri metodi di valutazione.
Non è questa ovviamente la sede per entrare nei dettagli di questi metodi, in
quanto il nostro scopo è quello di fornire una introduzione ai concetti che
ognuno poi approfondirà come vuole.
E’ però necessario sottolineare l’esistenza di alcuni problemi per l’applicazione
di questi modelli alla specificità delle società cooperative.
Il primo riguarda il fatto che l’impresa viene considerata nei modelli finanziari
alla stregua di un qualsiasi altro investimento finanziario e la sua appetibilità si
valuta in relazione al suo rendimento rispetto a impieghi alternativi. Questa linea
di pensiero presuppone una perfetta trasferibilità dell’impresa o dei titoli che ne
rappresentano quote di proprietà.
Se questa ipotesi è poco rispondente in Italia alla realtà anche per società di
capitali di grande dimensione, è totalmente irrealistica per cooperative di piccole
dimensioni.
Eppure la validità della nozione di valore d’impresa ottenuta con i metodi
finanziari ha un significato di grande importanza come parametro di verifica
generale, o se si vuole, di “prezzo ombra”, per capire, con la maggiore
precisione possibile, se l’impresa crea ricchezza nel corso del tempo.
Se non lo fa, occorre ovviamente prendere delle decisioni appropriate.
Il secondo problema riguarda la presenza tra le fonti di finanziamento a titolo di
capitale di rischio delle cooperative di una forma tecnica particolare come le
riserve indivisibili, per non parlare di una forma “ibrida” come il prestito sociale.
Ciò impone alcuni non semplicissimi, ma non irrazionali, adattamenti per
applicare i criteri di calcolo richiesti dai metodi finanziari alle cooperative.
I METODI EMPIRICI
94
I metodi empirici sono utilizzati principalmente per stimare il valore delle
aziende di piccola e piccolissima dimensione. Negli Stati Uniti hanno assunto
spesso la funzione nobile di costituire l’elemento di riferimento per diversi
settori. Guatri (1998) li ha bollati come “formule senza senso e senza logica”,
essendo basati solo su una opinione collettiva diffusa in un settore specifico o in
altri similari, indicante per quanto un’azienda può essere venduta o comprata.
Ne ha però anche individuato qualche vantaggio:
• l’estrema semplicità di applicazione;
• la probabilità che i libri e i bilanci delle piccole imprese non esprimano con la
necessaria accuratezza talune informazioni necessarie per applicare metodi più
sofisticati come quelli reddituali e finanziari;
• la derivazione diretta dal mercato, senza quindi la presenza di valutazioni
soggettive del valutatore.
E’ interessante per noi la diffusione negli Stati Uniti di una “regola del pollice”
per definire il valore di una nave da pesca.
Il suo valore è semplicemente definito come l’utile netto annuale medio, corretto
figurativamente per lo stipendio (medio) del titolare.
Un semplice esempio numerico: se l’utile netto medio annuale (utile medio
“normale” calcolato come media di 3-5 esercizi) è 100, da esso deve essere
detratto lo stipendio (medio) che il titolare non si è pagato. Se supponiamo che
esso sia 20, il valore dell’impresa, applicando questo metodo empirico, è 80.
95
CAPITOLO SETTIMO
LE CAUSE DEL DECLINO E DELLA CRISI
DELLE COOPERATIVE ITTICHE E IL PIANO DI
RISANAMENTO
I FATTORI DI DECLINO E DI CRISI
La profonda crisi che il settore sta ancora affrontando rende necessario parlare
di sopravvivenza e crescita delle cooperative e imprese di pesca anche
partendo da situazioni di difficoltà in cui sia possibile ancora comunque
impostare strategie di risanamento.
Alla radice di ogni tipo di fallimento di impresa, qualsiasi sia la dimensione o il
settore di appartenenza, ci sono sempre fattori come una insufficiente capacità
di elaborazione e conduzione strategica, un insufficiente controllo degli aspetti
fondamentali della conduzione finanziaria e l’incapacità di essere competitivi.
La letteratura italiana più qualificata distingue le cause all’origine delle crisi
aziendali a seconda che essi siano riconducibili a fattori esterni (ambiente e
mercato) o a fattori interni (legati al profilo organizzativo e a quello manageriale.
Questi sono i fattori a cui in ultima istanza dipende l’efficacia delle decisioni
aziendali e dunque la predisposizione al declino e alla crisi. Guatri fornisce una
interessante classificazione analitica incentrata sulla distinzione tra approccio
soggettivo e oggettivo che fornisce illuminanti intuizioni per i fini della nostra
analisi.
Il suo contributo parte dalla convinzione che il declino dell’impresa sia una
condizione dovuta alla qualità degli uomini (aspetto soggettivo). L’imprenditore ,
il gruppo dirigente ,il management se è presente, insieme ai portatori di
interessi (lavoratori, finanziatori, fornitori, clienti) si dividono sempre le
responsabilità in misura più o meno egualitaria a seconda delle circostanze.
Questa chiamata di correo sottintende il riferimento ai processi organizzativi di
cui essi , con diversi ruoli e responsabilità, fanno parte. In particolare l’autore si
riferisce ai processi di :
• indirizzo e controllo : si mette in evidenza la capacità dei consiglieri di
amministrazione - che nel caso delle nostre cooperative corrisponde
sostanzialmente al gruppo dirigente - di indirizzare e controllare efficacemente
la gestione dell’impresa
• direzionali
• operativi
96
Se la qualità dell’elemento umano è bassa o semplicemente inadeguata alla
situazione competitiva dell’impresa, il funzionamento della macchina aziendale
nel suo complesso sarà inefficiente ed inefficace.
Sotto l’aspetto oggettivo, le cause delle crisi possono essere ricercate facendo
riferimento a dei cosiddetti macrosegnali che esprimono le prestazioni e il
posizionamento nel mercato delle imprese. Un primo elenco non esaustivo
potrebbe comprendere:
• il livello di efficienza delle funzioni aziendali
• la sovracapacità produttiva e la rigidità dei costi
• l’indebolimento del portafoglio prodotti
• l’incapacità di programmare e fare strategia
• lo squilibrio finanziario
Nella realtà aziendale le cause si sovrappongono e sono sempre legate da
relazioni di causalità molte volte difficili da identificare con esattezza.
r Non esiste purtroppo una base statistica sufficientemente affidabile sui casi di
crisi del settore della pesca per procedere ad una verifica empirica di queste
teorie. Per esperienza personale, possiamo però testimoniare che le risultanze
di una indagine condotta su un vasto campione di prese soprattutto di piccole
dimensioni ha portato all’individuazione empirica di cause di crisi aziendali
largamente coincidenti con quelle maggiormente frequenti nel settore ittico, con
qualche specificazione di cui si darà conto:
• le difficoltà derivanti da crisi generali del mercato: questo fattore appare più
come condizione che fa esplodere la crisi in situazioni aziendali già
compromesse che non come causa principale della crisi. I dati statistici portano
infatti ad escludere come spiegazione generale delle difficoltà aziendali crisi di
settore tali da annullare completamente la capacità della gestione operativa di
generare risorse. Sembrerebbe quindi confermata la posizione di coloro che
ritengono debole la spiegazione degli insuccessi aziendali come determinati da
fattori esterni(congiunture settoriali e dei singoli mercati) piuttosto che da errori
e abusi manageriali.
• La ricerca acritica della massimizzazione della crescita: molti studi di casi
aziendali mettono in evidenza come la crescita indiscriminata sia stata sovente
l’obiettivo principale perseguito dal gruppo dirigente nel periodo precedente il
dissesto , anche per effetto delle condizioni del mercato del credito e delle
posizioni assunte dalle istituzioni finanziarie.
• L’inadeguatezza del rapporto strategia struttura, come ad esempio la
mancanza di adeguati assetti organizzativi in relazione alla crescente
complessità dell’ambiente economico.
• La debolezza degli assetti istituzionali, combinata con comportamenti
manageriali censurabili. La casistica è ampia: mancanza di dialogo o anche di
conoscenza tra i finanziatori e il management, consigli di amministrazione
senza peso, debolezza dei controlli dei collegi sindacali, banche che non hanno
97
capacità di indirizzo e controllo. In sostanza gli errori strategici e gli abusi del
gruppo dirigente in molte situazioni di crisi sono riconducibili almeno in parte a
sistemi di governance poco o per nulla efficaci.
• La fragilità della struttura finanziaria: si tratta della diffusa tendenza a utilizzare
l’indebitamento bancario a breve per il finanziamento delle immobilizzazioni
tecniche. Una struttura finanziaria fortemente squilibrata diventa un fattore di
rischio gravissimo in caso di condizioni avverse come la scarsa o nulla
redditività della gestione caratteristica, l’ aumento dei tassi di interesse, una
situazione di restrizione generalizzata del credito ecc. La finanza non è mai, lo
si è detto più volte, un fattore primo delle crisi aziendali, ma piuttosto un fattore
di amplificazione e accelerazione di processi degenerativi già in atto. Per usare
le parole sempre di Guatri, le crisi finanziarie non sono in realtà tali, ma per lo
più rappresentano la manifestazione ultima di patologie aventi altra origine
specialmente di ordine economico
• Una cattiva gestione dell’informazione verso i portatori di interessi: troppe
volte all’esterno sono convogliate informazioni attraverso i bilanci o ad altri
mezzi magari formalmente corrette, ma nella sostanza insufficienti o fuorvianti
per consentire eventualmente ai finanziatori e agli altri portatori di interessi di
chiedere modifiche alla gestione manageriale prima che la situazione diventi
critica. Molto spesso i casi di crisi infatti si manifestano esteriormente quando è
ormai troppo tardi per realizzare una strategia di salvataggio e di ritorno al
valore .
• La presenza di un particolare tipo di politiche di incentivazione pubblica: come
si è già detto, in alcuni casi la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati o
a fondo perduto può alterare profondamente la percezione della redditività di
determinati progetti di investimento, inducendo al loro perseguimento anche se
causano alterazioni nella struttura finanziaria, peggioramento dei flussi di cassa
e squilibri organizzativi.
In termini tecnici, la crisi diviene esplosiva quando i flussi prodotti dalla gestione
operativa diventano insufficienti a coprire il pagamento degli interessi passivi
netti sui debiti. Si tratta di un caso sempre verificatosi nelle diverse patologie
mortali che hanno interessato le nostre cooperative.
Arrivati a questo stadio finale delle crisi aziendale, l’unica possibilità di salvezza
è il ricorso a fonti esterne di finanziamento o una politica di dismissioni per
riuscire a far fronte al pagamento degli interessi.
UN MODELLO DI INDIVIDUAZIONE PRECOCE DELLE SITUAZIONI DI CRISI
98
La crisi e il declino sono dunque sempre figli dell’inadeguatezza di modelli
strategici e gestionali. La parte successiva di questo lavoro sarà dedicata alla
trattazione introduttiva di tecniche per una loro corretta definizione e sviluppo.
Qui si vuole invece fornire ai gruppi dirigenti delle imprese e delle cooperative
del settore ittico un quadro di riferimento sintetico dei sintomi di deterioramento
aziendale che devono immediatamente e senza remore essere affrontati per
evitare che portino a una crisi irreversibile.
Si tratta di un problema delicato. L’atteggiamento dei gruppi dirigenti dinnanzi
alle difficoltà economiche delle proprie cooperative non è sempre lineare. E’
comunque un comportamento generalizzato se anche nella letteratura
specializzata in materia si denuncia una vera mancanza di cultura delle crisi dei
gruppi dirigenti, della difficoltà di coloro che ne sono inizialmente coinvolti di
rendersene conto, e delle difficoltà che consulenti o terzi incontrano nel
convincere i responsabili massimi dell’impresa della realtà della crisi.
Seguiamo Guatri, interpretato e integrato dalle nostra esperienza personale per
adeguarlo alla realtà del settore ittico, nel tracciare un elenco del tutto indicativo
e di portata pratica dei fenomeni interni all’impresa che possono essere
qualificati come segni di difficoltà e disfunzioni:
•
Perdita di redditività: si tratta di un segnale chiaro e immediato, cui spesso
le imprese vanno seguire la riduzione degli investimenti, che inevitabilmente
produce ulteriore perdita di redditività . Alla perdita di redditività si accompagna
il peggioramento della struttura finanziaria e la diminuzione delle fiducia da
parte dell’ambiente socio-economico in cui l’impresa agisce
•
Negatività dei flussi di cassa: sono quasi sempre correlati alle perdite, ma
in certe occasioni le perdite si limitano solamente e ridurli. Lo studio dei casi
aziendali ha dimostrato che proprio queste ultime sono le situazioni più
pericolose: il management è ancora in grado grazie alla positività sia pure
limitata dei flussi di fare fronte alle proprie obbligazioni e può consentire che il
declino prenda corpo per evitare di ammettere la situazione di difficoltà. In certi
casi si ricorre anche a casi di contabilità creativa nei bilanci per occultare o
rinviare nel tempo le perdite. La negatività dei flussi di cassa è invece da
considerare una situazione fisiologica, con le dovute cautele, in casi di start-up
o di forte e veloce sviluppo dell’impresa.
•
Perdita di quote di mercato: il segnale è univoco quando il mercato è
stazionario. In questo caso infatti alla perdita di quote di mercato si associa una
riduzione delle vendite. La situazione si fa più complessa quando la perdita
delle quote di mercato avviene in una situazione di crescita rapida ma
temporanea della domanda esso: le perdite di quota possono associarsi anche
ad aumenti in assoluto delle vendite. Il pericolo insito in uno sviluppo inferiore a
quello medio dei concorrenti diviene così meno evidente . quando però il
mercato tornerà a una condizione di normalità, l’impresa si troverà di fronte a
una quasi sicura situazione di difficoltà
99
•
Diminuzione delle vendite o peggioramento del mix di prodotti:
intuitivamente, la riduzione delle vendite è un segnale fortemente negativo.
L’unica eccezione è rappresentata dal caso in cui essa è associata a un
aumento dei prezzi e dei margini. L’altro segnale negativo è lo spostamento
delle vendite verso i prodotti a più basso margine. Nel caso in cui la politica di
riduzione dei prezzi diviene lo strumento per procurarsi ordinazioni dalla
clientela si è in presenza di una caduta della competitività.
•
Perdita di personale qualificato: si tratta contemporaneamente di un segno
di declino e di accelerazione dello stato di difficoltà
•
Deterioramento della struttura finanziaria: un peggioramento della struttura
finanziaria sia in termini di rapporto tra debiti e mezzi propri sia in riferimento
alla composizione del passivo tra breve e medio-lungo-termine e al peso degli
oneri finanziari è un palese segno di declino, cui bisogna reagire con aumenti di
capitali, dismissioni ed altri strumenti di finanza straordinaria
•
Forte liquidazione della liquidità: segnale, al di fuori della eccezionalità,
sempre preoccupante
•
Peggioramento dei rapporti con la comunità finanziaria: se le banche
percepiscono la situazione di difficoltà, reagiscono quasi sempre con un
aggravio delle condizioni, con una riduzione degli sconfinamenti e con altre
misure di contenimento del credito, fino a giungere a minacciare rientri con
preavvisi brevissimi o addirittura immediati. Le banche agiscono spesso con
l’istinto del branco: appena una si muove, le altre la seguono con catastrofici
effetti a valanga per le imprese che molto spesso non sono in grado di rientrare
nel breve con le scadenze richieste dal sistema bancario.
•
Peggioramento nel rapporto con i fornitori: segnale pesantissimo, che
spesso precede la paralisi produttiva dell’impresa. Si sostanzia in richiesta di
pagamenti a breve o addirittura in contanti o addirittura in sospensione delle
forniture.
•
Maggiori perdite su crediti: un’impresa che sperimenta difficoltà, sul
mercato è spinta ad attenuare i criteri per la scelta dei clienti per cercare di
spingere le vendite. Il risultato molto spesso è un aumento delle insolvenze. Lo
stato di difficoltà consente poi ad altri clienti di ottenere condizioni di vendita più
favorevoli determinando un aumento degli oneri finanziari e una riduzione dei
margini.
•
Carenza di capacità strategiche
•
Tensioni nei rapporti con i dipendenti: lo stato di difficoltà dell’impresa
determina inizialmente la staticità delle retribuzioni, l’abbandono di ogni politica
di incentivazione e di formazione, spesso l’abbandono da parte dei quadri
migliori. Il passo successivo è la riduzione del personale e/o il ricorso a forme
di sospensione temporanea del lavoro
•
Peggioramento della produttività: le difficoltà economiche-finanziarie
inducono a tagliare le spese in investimenti ed inducono una crescente
100
disaffezione da parte del personale, con risultati spesso devastanti per quanto
concerne la produttività.
•
Capacità della concorrenza di aumentare la propria produttività e di ridurre
sensibilmente i propri costi: se a fronte di un maggiore dinamismo e efficacia
manageriale della concorrenza l’impresa non riesce a mettere in campo
strategie valide, il declino è solo questione di tempo.
La maggior parte delle imprese e cooperative del settore ittico scontano - come
si è detto -una bassa redditività. Quando la redditività è carente e prolungata
nel tempo, diventa un potente fattore di dissesto che può portare alla chiusura
dell’impresa. Si vuole sottolineare la durata temporale della condizione di
insufficiente redditività in quanto l’esperienza di casi aziendali del nostro settore
mostra come le situazioni di crisi profonda non si manifesta abitualmente con
virulenza immediata e repentina, ma piuttosto con malesseri anche lievi, che
spesso il gruppo dirigente sottovaluta inizialmente e che con un effetto
moltiplicativo degenerano fino a provocare situazioni irrecuperabili.
Lo slogan che possiamo utilizzare
per ricavare dal passato qualche
ammaestramento allo scopo di affrontare con probabilità di successo le crisi
aziendali suona così: “umiltà e attenzione”. Troppe volte gruppi dirigenti con
ambizioni non proporzionate alla realtà hanno dimenticato queste due parole e
si sono incamminati con superbia verso il baratro.
Particolarmente nelle piccole e medie imprese, la scarsa esperienza o la scarsa
capacità del management possono essere contenuti con un ben strutturato
processo di programmazione controllo.
È’ evidente che quando l’attività di programmazione e controllo assume
carattere strategico è certamente meno problematico individuare le azioni
necessarie per migliorare la situazione dell’ impresa nel mercato e aumentarne
il valore economico.
Una qualche utilità nell’individuare gli squilibri portatori del declino può essere
attribuita alla tecnica degli indicatori statici:
• Indici basati sui flussi reddituali, comparati con indici di imprese omogenee
ed esaminati nell’ottica dell’andamento tendenziale nel tempo: utile
netto/capitale proprio, utile netto/fatturato, mol/capitale investito, mol/fatturato,
costi fissi /fatturato, oneri fissi/fatturato ecc. Va sottolineato come in questa
particolare analisi l’indice risultato netto/capitale proprio assume una specifica
connotazione di “creazione di nuovo valore” nel caso in cui sia superiore al
rendimento medio di investimenti similari a parità di rischio. Questa differenza
assicura che il valore complessivo dell’impresa aumenta. Nel caso in cui la
differenza sia negativa , l’impresa non produce ma distrugge valore. Se tale
situazione di insoddisfacenti risultati permane nel tempo o addirittura tende ad
accentuarsi, ci troviamo di fronte ad una situazione di squilibrio che segnala in
declino incipiente o già in atto. Ovviamente il risultato netto da utilizzare in
101
questa analisi deve essere quello normalizzato ossia depurato dei componenti
straordinari di reddito. L’utilizzazione del margine operativo lordo negli indici
questa serve soprattutto a valutare le condizioni di equilibrio dell’impresa
senza tenere conto delle influenze della struttura finanziaria. Le valutazioni
ottenute dall’ analisi di questi indici costituiscono un necessario complemento a
quelle dell’ analisi reddituale.
• Indici di flussi finanziari: flusso di cassa/capitale netto, flussi di
cassa/capitale investito.
• Indici rappresentativi della velocità di circolazione delle scorte, dei crediti,
del capitale circolante netto.
LA PERDITA DI VALORE DELL’IMPRESA
E’ sempre più accettata la tesi però secondo cui l’indicatore più affidabile per
individuare la situazione di declino dell’impresa è dato dalla staticità o dalla
perdita di valore dell’impresa. In termini molto semplici, il valore di un ‘impresa è
dato dalle attese sui flussi a medio e lungo termine e il tasso di attualizzazione
che è espressione della variazione del rischio.
Quando le attese sui flussi volgono stabilmente verso il basso e/o la situazione
di rischio dell’impresa è percepita in peggioramento, si ha perdita di valore.
L’indicatore di valore ha una elevata significatività in quanto:
• Tiene conto congiuntamente del flussi e dei rischi ad essi connessi
• Guarda al futuro nella stima dei flussi e dei rischi, mentre gli indici statici sono
basati su dati storici che fotografano il passato.
La “teoria di creazione del valore”, con le tecniche ad essa connesse è peraltro,
come si è detto, la più accreditata in materia di gestione aziendale : essa
comporta la ricerca sistematica di tutte le cause di distruzione del valore alla
fine della loro eliminazione. Il valore rappresenta il vero fondamentale
indicatore del declino in atto ed ovviamente assume anche il ruolo di strumento
di prevenzione di situazioni negative : la ripetizione periodica del controllo aiuta
a individuare la necessità di rapide azioni correttive. Si veda il capitolo dedicato
a questa tematica.
Come la storia aziendale di molte cooperative attesta ampiamente, anche la
crescita può costituire alle volte un rischio ed anche un rischio mortale.
Ciò accade quando la crescita da imperativo categorico per la sopravvivenza
dell’impresa assume viceversa caratteri di squilibrio e di anormalità che
portano per usare le parole di Guatri a vere e proprie trappole con
conseguenze spesso nefaste.
102
L’impresa in queste circostanze assume rischi elevati i cui esiti- limite sono il
successo clamoroso o l’insuccesso che porta anche al fallimento nel caso in cui
non esistano risorse sufficienti per affrontare la crisi.
Le trappole della crescita cui si accennava sono riconducibili a tre grandi
gruppi:
• Crescite non razionalmente pianificate che contengono gravi errori che
portano a situazioni impreviste e negative
• Crescite troppo veloci che creano squilibri insanabili
• Crescite da sviluppo forzato che non coincide con l’interesse reale
dell’impresa
L’incapacità manageriale è all’origine del primo gruppo di trappola della
crescita: ci troviamo in presenza di previsioni errate sullo sviluppo della
domanda, sulle quote di mercato , sulle economie di scala ottenibili, di
sopravalutazione delle risorse finanziarie e manageriali necessarie per la
crescita ; sottovalutazione delle capacità e delle conoscenze necessarie per
affrontare nuovi campi di attività; mancata predisposizione di piani alternativi in
caso di insuccesso del programma di sviluppo attuato.
Il secondo gruppo di squilibri include la casistica legata a crescite troppo veloci
che creano problemi culturali,organizzativi e gestionali spesso insormontabili.
Emblematici sono i casi aziendali la crescita rapida evidenzia la sopravvenuta
insufficienza per le nuove dimensionali aziendali del personale a li vello
direttivo. Accanto a questi aspetti di tipo qualitativo una crescita troppo veloce
può creare problemi gravi con riguardo alla situazione patrimoniale: gli
investimenti effettuati sia in immobilizzazioni sia in capitale circolante devono
necessariamente essere finanziati. Non sempre ciò è possibile o è possibile
senza pregiudicare gravemente la solidità patrimoniale. L’autofinanziamento
ben difficilmente è in grado di tenere il passo di una crescita troppo rapida. La
scarsa convinzione o l’impossibilità da parte dei soci di procedere ad adeguate
capitalizzazioni portano ad uno squilibrio tra i mezzi propri e l’indebitamento
che può indurre forti preoccupazioni tra i creditori (banche e fornitori) che
possono rifiutarsi di concedere ulteriore credito e comunque di concederlo a
condizioni più onerose. Possono prodursi situazioni di illiquidità, spesso letali
per le imprese di più piccole dimensioni.
Per quanto riguarda il terzo gruppo, nell’ ambito di settori economici
caratterizzati da forti incentivazioni casi di sviluppo forzato hanno spesso
coinciso con l’attuazione di piani di investimento non chiaramente motivati da
considerazioni di reale redditività. Alcune amare esperienze del settore ittico
sono da ascrivere a questa categoria. Altre motivazioni dello sviluppo forzato
possono essere rintracciate più generalmente dalla ricerca da parte dei dirigenti
di vantaggi di vario tipo – reddituali e di prestigio - personali più che di sane
opzioni di crescita per l’impresa.
103
Vittorio Coda ha fornito una chiara esemplificazione delle differenze di
comportamento da parte del gruppo dirigente di un ‘impresa di successo e di
un’impresa in declino che con gli opportuni adattamenti rispecchia bene le
esperienze del nostro settore:
• Percezione dei cambiamenti ambientali e dei meccanismi che li spiegano:
nelle imprese di successo è tempestiva e corretta, in contrario nell’impresa in
declino
• Percezione dello stato di salute dell’azienda e dei fattori che la determinano:
come sopra
• Individuazione dei problemi prioritari: puntuale nelle imprese di successo;
carente e sfuocata nelle imprese in declino
• Capacità di produrre idee innovative: nelle imprese di successo elevata;
scarsa o nulla nelle altre
• Elaborazione delle proposte di soluzione: approfondita in ciascuno degli
aspetti implicati, integrata, tempestiva nelle imprese di successo; scarsa o nulla,
superficiale , parziale, intempestiva nelle altre
• Selezione delle alternative: attuata attraverso corrette e tempestive analisi di
fattibilità (tecnica , commerciale , finanziaria), analisi economiche, valutazioni
strategiche nelle imprese di successo; affidata all’intuito nelle imprese in declino
• Realizzazione delle alternative prescelte : nelle imprese di successo
coordinata , economica, puntuale; nelle altre soggetta a rinvii, a errori di
programmazione e ritardi.
I CASI DI IMPOSSIBILITA’ DI RITORNO AL VALORE
Questa opera riguarda i metodi e gli strumenti per la crescita aziendale , ma
non è fuori luogo chiarire le condizioni che permettono di minimizzare le perdite
non ricorrendo ad alcuna azione di ristrutturazione in quanto le possibilità di
ritorno al valore e dunque di ripresa del percorso di crescita sono inesistenti.
E’ intuitivo come esista una certa convenienza a ricorrere ad una procedura di
liquidazione quando il valore dell’azienda in continuità è inferiore al valore di
vendita dei beni dell’azienda e non vi è alcun programma di investimento in
grado di determinare un incremento del valore di liquidazione– surplus di
ristrutturazione- superiore all ‘ ammontare di questo programma di investimento
maggiorato della differenza tra valore di liquidazione originario (prima del
programma di investimento) e valore in continuità dell’azienda.
In termini meno formali, se si ritiene che il valore finale dell’impresa dopo il
programma di investimento finalizzato alla ristrutturazione è superiore a quello
iniziale di liquidazione maggiorato del valore di tale programma, convieneteoricamente- puntare sul rilancio dell’impresa.
Affinché la convenienza teorica abbia una reale concretezza, occorre, come
accennato , indagare attentamente e valutare freddamente se esistono le
condizioni interne ed esterne che possano permettere l’emergere del surplus di
ristrutturazione:
104
•
Presupposti industriali e strategici: si sostanziano principalmente
nell’esistenza di una posizione non marginale sul mercato, sulla capacità di
soddisfare i fattori critici di successo del settore , sulla capacità di generare un
cash flow positivo a livello gestionale-operativo ( reddito operativo- imposte +
ammortamenti ±∆ capitale circolante)
•
Disponibilità finanziarie indispensabili per riportare il valore dell’azienda al
di sopra di quello di liquidazione attraverso il programma di investimenti
finalizzato al ritorno al valore e per garantire il finanziamento necessario per la
continuazione dell’ attività aziendale
•
Gestione managerialmente efficiente
Il piano di risanamento
Prioritario rispetto a qualsiasi altra cosa, se la cooperativa si trova in una
situazione di evidente difficoltà è la realizzazione di un progetto di risanamento,
un piano che deve affrontare tutte le varie problematiche dell’impresa.
Il piano di risanamento non deve limitarsi ad essere un esercizio di stile
finalizzato a gettare solo sabbia negli occhi dei creditori per guadagnare tempo,
ma deve essere piuttosto, come è stato detto da Bastia “una frase traumatica di
passaggio da vecchi valori e comportamenti manifestamente dannosi ed esiziali
per la vita dell’impresa a nuovi valori e comportamenti improntati ad una
rinnovata e più realistica tensione verso il raggiungimento di situazioni di
tranquillità prima e di posizioni di successo durevole poi”.
L’economia aziendale ha battezzato questa rigenerazione totale dell’azienda
con un termine (turnaround) che suona più o meno come “rivolgimento totale”. I
cambiamenti che rivolgimento totale deve introdurre presentano
necessariamente alcune caratteristiche:
- sono urgenti e devono essere attuati rapidamente;
- sono radicali e spesso traumatici, che investono non solo le strategie e la
gestione, ma anche la cultura e in molti casi gli assetti proprietari e organizzativi
dell’impresa;
- coinvolgono tutti i portatori di interessi, a molti dei quali sono richiesti impegni
e sacrifici finanziari;
- devono essere progettati e coordinati per il conseguimento dell’obiettivo del
ritorno dell’impresa all’equilibrio, alla redditività, allo sviluppo.
L’intero progetto deve porsi nella prospettiva strategica in cui:
deve essere messo sotto esame tutto l’assetto aziendale organizzativo;
bisogna ridefinire le aree di creazione di valore;
in funzione di queste, va ridefinita l’area di operatività aziendale, identificando le
eventuali parti oggetto di dismissione e di eventuali investimenti da effettuare;
105
le indicazioni tratte dai punti precedenti devono essere tradotte in piani
economici e finanziari. Discontinuità con il passato e criticità dell’elemento
tempo, in quanto è necessario mantenere la società funzionante per
salvaguardarne il valore economico. Sono i due poli, spesso difficilmente
conciliabili, di questo delicato processo di analisi e di scelta.
106
IL RITORNO AL VALORE
LE TECNICHE E GLI STRUMENTI DI RIORGANIZZAZIONE
PER IL
RECUPERO DI REDDITIVITÀ
Le politiche di incremento o ritorno al valore delle imprese si intersecano con
gli strumenti di attuazione di una maggiore integrazione di filiera .
Si tratta di strumenti solitamente definiti di finanza straordinaria in quanto la loro
messa in atto è di carattere eccezionale, non ricorrente e produce mutamenti
spesso profondi nell’ azienda.
La crescita esterna di un’ impresa nell’ambito di una sua progressiva
integrazione contempla fusioni o acquisizioni di società operanti nello stesso
settore, ampliamenti , ammodernamenti, individuazione di nuovi partners
industriali e finanziari che condividano la strategia di sviluppo.
Gli strumenti giuridici-operativi per la realizzazione di questi programmi di
crescita sono vari e la recente riforma in materia di cooperazione dovrebbe
facilitare l’impresa cooperativa nella loro utilizzazione.
Occorre ribadire che nell’affrontare la tematica dello sviluppo aziendale le
strategie finanziarie sono certamente importanti, ma decisive e fondamentali
sono le strategie industriali.
Solo dopo avere redatto in modo corretto e razionale il piano industriale si può
affrontare il problema della struttura finanziaria più adeguata per sostenerlo.
Il punto di partenza del nostro ragionamento sulle cooperative di pesca e il
problema principale da affrontare per riorganizzare la filiera è la scarsa
redditività . Uno strumento utile come primo approccio al problema , già
applicato con successo nel mondo delle pmi , è rappresentato dal programma
di ridefinizione dei processi aziendali. Un consistente recupero di produttività
può derivare infatti da una riprogettazione completa dell’impresa, soprattutto se
si considerano interrelazioni e programmi di coordinamento e collaborazione
con altre entità aziendali. Si agisce sulla struttura organizzativa, sui sistemi di
gestione delle risorse umane, sulla cultura dell’azienda.
Un semplice schema esemplificativo di come applicare questa tecnica può
svilupparsi in questo modo:
• principi organizzativi: si tratta di analizzare le principali variabili organizzative
come le unità organizzative, le responsabilità, i ruoli, le funzioni e i rapporti .
• identificazione dei processi da innovare
• analisi dei processi esistenti, al fine di individuare gli scostamenti delle
prestazioni presenti rispetto a quelle realizzabili
• progettazione dei nuovi processi
• messa in atto dei nuovi processi , che non può prescindere da una attenta
pianificazione.
Si tratta a ben vedere di una metodologia che utilizza tecniche diverse come:
107
•
•
•
•
•
•
l’analisi strategica
la customer satisfaction
la tecnica dei punti di riferimento (benchmarking)
l’analisi costi-benefici
la redditività degli investimenti
l’analisi dei flussi operativi
E’ una strategia volta a creare valore, la cui utilizzazione appare tanto più
necessaria nei casi in cui si vogliano mettere in essere degli strumenti di
integrazione di filiera che, indipendentemente dalla configurazione giuridica
che possono assumere, comportano problemi di riorganizzazione di processi
produttivi, di strutture organizzative, di fusioni di valori. Se questi problemi non
sono affrontatati in modo organico e razionale, le progettate operazioni di
integrazione di filiera possono anche determinare perdita e non aumento di
valore per le cooperative interessate.
I PROFILI DI PROPENSIONE AL RISCHIO
Un corretto piano di recupero di redditività da parte dell’impresa deve dunque
coinvolgere tutte le variabili che hanno impatto sul valore; gli strumenti specifici
da adoperare vanno calibrati in funzione delle singole situazioni e del diverso
grado di propensione al rischio operativo e finanziario. In particolare, ogni
singola impresa potrebbe riconoscersi in uno di questi differenti profili di
propensione al rischio:
1.
alto rischio finanziario e operativo:
• riorganizzazioni volte al recupero della redditività operativa
• risanamenti con dismissioni
• ristrutturazione del debito
2.
basso rischio finanziario e operativo:
• alleanze e acquisizioni
• razionalizzazioni
• ristrutturazioni societarie
3.
alto rischio finanziario e basso rischio operativo:
• ristrutturazioni dell’attivo
• ristrutturazioni finanziarie
4.
basso rischio finanziario e alto rischio operativo:
• ricostituzione dei margini operativi
• ricapitalizzazioni
Saper individuare con precisione il grado di propensione al rischio operativo e
finanziario dell’impresa,
tenendo conto ovviamente anche delle opinioni dei
portatori di interesse, è molto importante per gestire i processi di recupero di
redditività. Altrimenti, si potrebbe incorrere nei momenti decisivi in rigidità e
resistenze tali da pregiudicare anche il risultato complessivo dell’operazione.
108
LE MODALITA’ DI RECUPERO DELLA REDDITIVITA’
Il recupero di redditività può dunque essere realizzato con modalità differenti.
Seguendo la lezione di Guatri, possiamo distinguere le principali:
• per via di ristrutturazione, quando avviene nell’ambito delle combinazioni
prodotti-mercati tradizionali e senza sostanziali variazioni dimensionali. Si
realizza perseguendo tipicamente il miglioramento dell’efficienza dei fattori
produttivi essenziali (personale,impianti,materiali, energie), l’incidenza dei costi
fissi di struttura, l’assetto finanziario patrimoniale.
• Per via di riconversione, quando si fonda sull’innovazione sia tecnologica sia
di marketing. Il trasferimento delle risorse disponibili verso nuove aree di attività
e il graduale abbandono delle vecchie è l’aspetto saliente del processo di
recupero di redditività
• Per via di ridimensionamento, quando il momento essenziale dell’intervento
consiste in una riduzione delle dimensioni dell’impresa. Questa modalità di
recupero di redditività trova applicazione quando si è in presenza di fenomeni di
sovracapacità produttiva, provocati da errori di previsione, da cadute della
domanda o squilibri provocati dalla concorrenza .
• Per via di riorganizzazione, quando il punto essenziale dell’intervento
riguarda gli aspetti organizzativi: definizione di aree di responsabilità,
predisposizione di un miglior sistema di controllo, nuovi metodi e strumenti di
vendita ecc.
In genere ogni piano per il recupero di redditività investe simultaneamente uno
o più di questi aspetti. Possiamo solamente limitarci in questa sede ad
elencare i tipici interventi gestionali per il recupero della redditività:
1.
•
•
•
•
2.
•
•
•
•
•
3.
•
•
•
•
Riposizionamento strategico:
nuovi orientamenti di gestione
concentrazione sull’attività principale
selezione dei prodotto –mercati
cessione di partecipazioni ed altre attività non essenziali
Produzione:
Riduzione dei tempi di lavorazione
Interventi sul personale
Ammodernamento delle macchine
Maggiore flessibilità
Controllo di qualità
Politiche di vendita
Politiche di marchio
Campagne promozionali
Controllo e rafforzamento delle linee di distribuzione
Controllo dei punti di vendita
109
•
Miglioramento della soddisfazione della clientela
•
Controllo e miglioramento dei servizi
•
Interventi selettivi sui prezzi in specifiche aree e su specifici prodotti
4.
Finanza
•
Adeguamento del grado di indebitamento
•
Interventi sulla qualità dell’indebitamento (scadenza , costo, condizioni)
•
Riduzione del capitale circolante
•
Interventi sulla gestione del magazzino e dei crediti
5.
Organizzazione:
•
Miglioramento dei controlli
•
Revisione deleghe di poteri e facoltà
•
Nuove strutture organizzative
6.
Relazioni industriali:
•
Miglioramento dei rapporti interni
•
Coinvolgimento delle organizzazioni sindacali
7. Amministrazione e controllo
•
Alleggerimento degli eccessi di burocrazia
•
Interventi sui criteri di budget e programmazione
•
Revisione dei criteri contabili
•
Miglioramento dei rapporti periodici
LE RISTRUTTURAZIONI DELL’ATTIVO
Ci soffermeremo brevemente solo su alcuni dei principali strumenti per il
recupero della redditività a livello aziendale come le ristrutturazioni dell’attivo, le
ristrutturazioni societarie, le ristrutturazioni finanziarie, per poi concludere con
qualche breve cenno sui processi di crescita esterna .
Le ristrutturazioni dell’attivo si suddividono in operazioni di razionalizzazioni e
in operazioni di dismissioni.
Attraverso le razionalizzazioni si tende a recuperare capacità produttive di cui
l’impresa dispone, ma che sono inutilizzate. In questo modo si cerca di
recuperare margini di profitto.
Le dismissioni consistono in operazioni di disinvestimento di partecipazioni e
di beni che non sono strategici per l’attività aziendale. In questo modo si
migliora la redditività del capitale investito.
La ragione di queste operazioni connesse al ristrutturazione dell’attivo è
intuitiva: l’introito relativo alle attività dismesse e reinvestito nelle attività
mantenute o in nuovi investimenti deve dare una remunerazione superiore agli
eventuali profitti ottenibili dalle attività dismesse. In certi casi può essere
necessario utilizzare le risorse ottenute dalle dismissioni per ridurre
l’indebitamento: in questo caso la remunerazione persa in seguito alle attività
cedute va confrontata con il costo risparmiato in oneri finanziari grazie alla
riduzione della leva finanziaria.
110
Utilizzando lo strumento delle dismissioni si cerca dunque ridurre l’attivo per
creare flussi di cassa liberi che consentono all’impresa un maggior grado di
flessibilità. Alcune modalità di dismissioni generano liquidità immediata, come
,oltre che naturalmente le vendita di singoli beni, la cessione a terzi di rami di
azienda; altre però, come le scissioni contro titoli, non rappresentano liquidità
immediata .
Anche l’affitto di ramo d’azienda può essere visto come una dismissione di
carattere temporaneo con le stesse finalità già descritte. Va però specificato
che i canoni costituiranno un reale miglioramento della redditività solo se si è in
presenza di una autonomia economica e organizzativa del ramo e che dunque
la gestione dell’impresa non risenta della sua mancanza.
GLI STRUMENTI DI INTEGRAZIONE DI FILIERA : FUSIONI E JOINTVENTURES
LE FUSIONI
L’ operazione societaria di maggiore interesse ai fini delle operazioni di
integrazione di filiera è probabilmente la fusione. Per fusione propriamente si
intende una forma di concentrazione mediante la quale due o più società
perdono la loro individualità per dare vita a un unico soggetto giuridico ed
economico con lo scopo evidentemente di migliorare l’efficienza produttiva.
Proprio per favorire la flessibilità delle imprese di fronte alla sempre crescente
variabilità dei mercati , nel contesto giuridico italiano le operazioni di fusione
sono viste con un certo favore e godono di particolari riconoscimenti fiscali.
La maggiore parte delle volte le fusioni rappresentano solo l’ aspetto esterioregiuridico-formale di operazioni di acquisizione (fusioni per incorporazione o altre
forme meno brutali ma eguali nella sostanza ). Un ‘impresa può procedere ad
una acquisizione per aumentare la propria redditività sulla base in generale di
questi presupposti teorici:
•
Possibile riduzione dei tempi e dei rischi relativi all’entrata in un prodottomercato rispetto a quanto potrebbe verificarsi con un processo di crescita
interna
•
Presenza di alcuni beni o di alcune competenze nell’impresa oggetto
dell’acquisizione che sarebbe impossibile o semplicemente più oneroso
ottenere con la crescita interna
In sostanza lo strumento della fusione mescolato in differenti gradi con la
finalità dell’acquisizione corrisponde alle scelte strategiche alternative della
crescita esterna attraverso:
•
integrazione a valle: si cerca di ottenere la proprietà o un controllo
maggiore dei distributori o comunque dei canali di vendita
111
•
integrazione a monte: si cerca di ottenere la proprietà o il controllo
dei fornitori
•
integrazione orizzontale: si cerca la proprietà o il controllo dei
concorrenti
•
diversificazione concentrica: si cerca la proprietà di imprese con
produzioni correlate
•
diversificazione conglomerata: si cerca la proprietà o il controllo di
imprese con produzioni non correlate.
In sostanza le operazioni di fusioni dovrebbero tendere :
•
alla riduzione dello stato concorrenziale sul mercato
•
all’integrazione delle attività produttive con la possibilità di migliorare
l’efficienza gestionale
•
alla riduzione dei costi generali amministrativi, i produzione e di
vendita
•
alla maggiore possibilità di ottenere mezzi finanziari mediante una
maggiore capacità di ottenere credito bancario e raccogliere capitale di
rischio
•
ad una maggiore possibilità di diversificare territorialmente
l ‘
operatività
•
alla possibilità di inserirsi in nuovi settori produttivi utilizzando le
strutture del’impresa assorbita come testa di ponte
Per quanto concerne il nostro settore, le integrazioni di filiera ottenibili per
mezzo delle operazioni di fusione dovrebbero avere come scopo la creazione
di punti di eccellenza, più forti rispetto alle posizioni di partenza delle singole
imprese, anche cooperative, interessate e in grado di fungere da catalizzatori
per uno sviluppo sano, duraturo e d autonomo di tutta la catena. Gli strumenti
di regia per raggiungere questo obiettivo sono stati individuati nelle agenzie di
sviluppo. Non fuori luogo esaminare più da vicino quindi , sia pure brevemente,
lo strumento fusione nelle sue implicazioni e nei suoi presupposti economicofinanziari per individuarne le condizioni di convenienza.
Molte evidenze empiriche hanno infatti mostrato come molto spesso le
operazioni di fusione non riescono a conseguire i risultati complessivi di
incremento di redditività che si erano prefisse.
Il concetto analitico base per valutare preventivamente la validità di una fusione
è quello del valore delle sinergie che l’operazione può attivare. Solo se esso è
positivo la fusione ha una validità economico-finanziaria dimostrata.
In una operazione di acquisizione il valore delle sinergie addizionali deriva da
più fonti sia di carattere operativo che finanziario.
Le sinergie operazionali possono essere definite come gli incrementi in valore
che derivano alla impresa risultante dalla fusione dalle economie di scala (costi
più bassi) o dall’aumento delle vendite e dei profitti (crescita più alta). Poiché
la loro valutazione richiede la formulazione di ipotesi sui flussi di cassa e sui
112
tassi di crescita futuri, per raggiungere un risultato il meno possibile distorto
dalla soggettività dell’analista occorre dare una risposta
fondata e
dimostrabile a due domande fondamentali (Dasmoran,2002):
• quale connotato assumerà la sinergia? Ridurrà i costi di una percentuale delle
vendite e aumenterà i margini di profitto ? Incrementerà i tassi di crescita (darà
cioè più potere di mercato)?
• Quando la sinergia comincerà ad influire sui flussi di cassa? Da subito? O
altrimenti in quando tempo?
Se si riesce a dare una risposta razionale a questi problemi, si può calcolare il
valore delle sinergie operative adottando la tecnica già vista della
attualizzazione dei flussi di cassa.
La sinergia finanziaria deriva dagli incrementi in valore causati dagli effetti
puramente finanziari ad esempio di tasse più basse, maggiore capacità di
credito o uso migliore della liquidità eccedente. Mentre valgono le stesse
premesse metodologiche già svolte per la valutazione delle sinergie operative,
il calcolo presenta elementi di maggiore complessità. In questa sede è
sufficiente evidenziare che empiricamente è stata dimostrato da diversi studi
come la capacità di aumentare il credito aumenta in seguito ai processi di
fusione e che dunque le sinergie finanziarie siano un elemento importante per
giudicare della convenienza di tale operazione.
LA JOINT VENTURE
Si tratta di una forma di cooperazione temporanea ed occasionale fra due
imprese con lo scopo di realizzare congiuntamente un affare complesso.
È dunque un contratto che ha la funzione di consentire a due o più imprese di
associare temporaneamente risorse finanziarie e risorse umane con il fine di
partecipare alla realizzazione di un progetto comune, senza peraltro mettere in
essere vincoli di natura societaria che possano incidere sull’autonomia
patrimoniale e gestionale di ciascuna impresa.
Nell’ ambito imprenditoriale italiano è uno strumento nonché è stato
principalmente utilizzato per la partecipazione e la realizzazione di appalti
pubblici.
In altri paesi- e segnatamente quelle anglosassoni- è invece molto più diffuso .
È considerato uno strumento normale di accordo cooperativo tra concorrenti
per attività economiche mutualmente benefiche che permettono di sfruttare
delle opportunità di mercato.
Affinché la collaborazione possa avere esito positivo, le imprese partecipanti
dovrebbero apportare delle qualità distintive ( capacità produttive, canali di
distribuzione, tecnologia ecc.)
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