MANUALE DI INGEGNERIA FINANZIARIA PER LE IMPRESE E LE COOPERATIVE DELLA PESCA INDICE PREMESSA CAPITOLO PRIMO ECONOMIA ITTICA TRA RECUPERO DI REDDITIVITA’ E INTEGRAZIONE DI FILIERA CAPITOLO SECONDO CONCETTI BASILARI DI ECONOMIA AZIENDALE CAPITOLO TERZO LA GESTIONE MANAGERIALE CAPITOLO QUARTO LA GESTIONE FINANZIARIA CAPITOLO QUINTO LA GESTIONE ORGANIZZATIVA CAPITOLO SESTO IL VALORE D’IMPRESA CAPITOLO SETTIMO LE CAUSE DEL DECLINO E DELLA CRISI DELLE IMPRESE ITTICHE E IL PIANO DI RISANAMENTO 1 PREMESSA E’ necessario rendere più accessibili i mercati finanziari e creditizi per garantire un reale sostegno alle imprese e dare forza al processo di consolidamento e del settore ittico. In mancanza di una vera azione di rafforzamento e razionalizzazione dell’accesso al credito, qualunque misura di sostegno al settore può risultare vana e inefficace (investimenti dove le imprese devono contribuire almeno con il 60%). Il contesto nazionale è ben noto: negli ultimi 10 anni sono stati persi circa 17.000 posti di laoro (da 46 mila a 29 mila addetti) mentre le catture sono diminuite del 48%; analogamente, la redditività è scesa del 31% mentre le risorse nazionali per la programmazione di settore del 77%; imbarcazioni a 30% e flessione media annua della produzione pari al 4,7%. Le caratteristiche di debolezza imprenditoriale, manageriale e patrimoniale che caratterizzano l'economia ittica sono giustamente considerate ostacoli formidabili per uno sviluppo equilibrato ed autosufficiente del settore. Due sono i problemi indicati come prioritariamente da risolvere: l'efficienza operativa e la validità dell'iniziativa imprenditoriale. Lo scopo di questa pubblicazione - che potrebbe essere quasi definito un instant book e che di questi ha certo i difetti e, si spera, qualche pregio - è cercare di dare sostanza – a questi ed altri concetti anche per contribuire a chiarire di che cosa esattamente si sta parlando, di dare consistenza a questi ragionamenti e di rendere accessibili al maggior numero possibile di operatori del sistema pesca alcuni metodi e strumenti di buona gestione aziendale che non sempre sono applicati nelle nostre realtà, come invece dovrebbero. Troppe volte la specificità - reale, realissima - del nostro settore viene invocata come un alibi per non aprire le imprese e le cooperative a criteri gestionali che in altri settori ormai non sono più innovativi, ma di uso quotidiano e sedimentato. La dimensione ridotta e l'embrionalità organizzativa non devono essere considerati aprioristicamente come un fattore limitativo che non consente di cercare di cogliere il meglio da ciò che ci circonda e che può essere utile per crescere e produrre ricchezza. Come evitare la marginalizzazione imprenditoriale delle imprese (anche cooperative) della economia ittica? Ci si rifarà a metodi e strumenti che spaziano dalla teoria dei mercati alla corporate finance, alla teoria dello sviluppo organizzativo, passando 2 ripetutamente per il problema del credito e per altri ancora, partendo da un’esperienza ormai più che decennale dell'autore nell'affrontare giornalmente e nel cercare - quando possibile - di risolverli. Citando Pietro Rossi, si vuole poi adottare l'antico e ormai dimenticato - in un mondo di specializzazione sempre più esasperata - metodo praticato in medicina del consilium: non ci si vuole rivolgere solo al collega medico, ma si vuole che le informazioni e i concetti circolino anche tra i soggetti interessati e che i trattamenti suggeriti siano perfettamente comprensibili anche al paziente. Vuole essere un sondaggio entro un territorio ancora poco esplorato da molte imprese e cooperative dell'economia ittica per convincerle che la corretta applicazione di metodi e strumenti manageriali è una necessità assoluta, ma non vuole essere un libro di ricette da applicare pedissequamente. Coltiverebbe inoltre l'ambizione di essere immediatamente utile per tutti coloro che svolgono una funzione manageriale nelle nostre cooperative, anche soltanto come stimolo per approfondire maggiormente alcuni argomenti di natura più propriamente tecnica solo accennati nella trattazione. E’ infatti solo un'introduzione, in cui si è cercato però di affrontare in poche pagine - per non scoraggiare i potenziali lettori - anche temi complessi rapportandoli ai problemi e alle possibilità operative delle piccole imprese del nostro settore. Si è voluto seguire un filo logico, partendo dai problemi di chi opera nel settore ittico, e anche considerando il fortissimo credit crunch che potrà comportare sul mercato del credito, devono affrontare per realizzare una efficace politica di filiera (nuove politiche di incentivazione e nuovi strumenti di intervento) per poi passare ai principi di una buona gestione manageriale, finanziaria e organizzativa e agli strumenti di possibile applicazione. Vorremmo nell'immediato futuro - ma il lettore non l'interpreti come una minaccia - a questa trattazione introduttiva inevitabilmente enciclopedica ed elencativa far seguire pubblicazioni monografiche su ciascuno degli aspetti della sana gestione manageriale delle imprese e cooperative dell'economia ittica. Siamo consapevoli del fatto che molte delle tematiche trattate, a una lettura superficiale, possano essere considerate valide solo per le aziende di trasformazione e, parzialmente, per quelle impegnate nella commercializzazione. Siamo però altrettanto convinti che, trattandosi di principi generali, la loro validità si conservi inalterata anche per le imprese di pesca, di acquacoltura e di maricoltura, di servizi e di ricerca, ovviamente effettuando i dovuti adattamenti. 3 Capitolo primo ECONOMIA ITTICA TRA RECUPERO REDDITIVITÀ E INTEGRAZIONE DI FILIERA DI Il recupero di redditività delle imprese del settore ittico è una condizione per poter avviare con successo quelle politiche di integrazione di filiera. La via di integrazione deve essere percorsa senza incertezza, ma affinché sia possibile farlo devono mutare alcune condizioni di cornice. Il settore della pesca ha bisogno di una politica di rilancio la quale, per essere efficace, deve basarsi su precise e selezionate linee d'azione. Tra di esse, come si è detto, figurano politiche economiche volte al rafforzamento dell'impresa ittica e al miglioramento e al consolidamento del sistema di filiera. La ricerca in campo organizzativo considera il comportamento della singola entità economica come il risultato di una serie di fattori non riconducibili solo alle sue caratteristiche, ma a proprietà della rete di relazioni che essa detiene con le altre entità del sistema in cui agisce (Soda). E' il concetto dell' "inserimento" che esprime appunto la misura in cui i corsi di azione individuali risultano influenzati o condizionati da relazioni con altre entità. Essere "inseriti" in una rete di relazioni fornisce stimoli e vantaggi: è una risorsa concreta che l'impresa può utilizzare e "manipolare" nel senso positivo del termine per ottenere dei benefici. L'importanza delle modalità di organizzazione basate sulle relazioni di cooperazione tra imprese è sempre più posta in risalto dagli studiosi di management. Addirittura uno dei maggiori esperti di economia industriale del mondo come Alfred Chandler ha indicato la "cooperazione tra imprese" come uno dei più fruttuosi e possibili percorsi di sviluppo del capitalismo moderno. In aperta polemica con le tesi di Adam Smith sulla «mano invisibile» del mercato che regolerebbe l'economia Chandler sostiene che essa è, all'opposto, guidata da una «mano visibile». Documentando le sue affermazioni con una ricostruzione ricca di dettagli della storia dell'economia americana dalla fine del '700 ai giorni nostri, ci offre un'analisi del tutto nuova dei meccanismi di dominio e di potere della nostra epoca, caratterizzata dal tramonto del capitalismo familiare e finanziario sostituito da quello manageriale. La prospettiva di approccio a queste tematiche che crediamo maggiormente interessi il settore ittico è quella della rete, concepita come una forma di organizzazione delle attività economiche in grado di governare la ragnatela di interdipendenze che connette le imprese operanti nella filiera. In altre parole, 4 l'accento deve essere posto sulle reti come modalità concreta di organizzazione, assumendo al cuore di questa concezione la dimensione dell'interdipendenza. Si tratta di evidenziare, rafforzare e contribuire a sviluppare un intreccio di gerarchie e norme formalizzate, ma anche di regole e prassi non codificate, di fiducia , di aiuto, di co-operazione. Nella rete tra imprese, le relazioni interne si basano ovviamente sempre su meccanismi istituzionali come l'assetto aziendale, la divisione tra lavoro e capitale, i contratti di impiego, la cultura e i valori. Verso l'esterno, di contro, le imprese si danno un ampio, articolato, sempre mutante insieme di relazioni necessarie alla sopravvivenza e indirizzate alla crescita. Una rete tra imprese consiste nella trama di relazioni non competitive che connette entità istituzionalmente diverse, senza intaccarne l'autonomia formale e in assenza di una direzione e un controllo unitario. La rete rappresenta in molti casi un modo efficiente per acquisire o difendere vantaggi competitivi (Harrigan). Entrano in gioco quattro fattori che possono spiegare a questo proposito il ricorso a forme reticolari, tutti interessanti: - le strategie - le risorse e le conoscenze disponibili - le controparti - le relazioni con le controparti. La co-operazione permette ad un'impresa di concentrarsi sulle proprie competenze distintive e di catturare l'efficienza attraverso altre imprese le quali, a loro volta, possono focalizzarsi e valorizzare le proprie competenze. Diviene così possibile creare relazioni "equilibrate" tra le grandi imprese (di trasformazione e commercializzazione e vendita) e la vasta gamma di piccole imprese localizzate lungo la filiera. Queste relazioni co-operative tra una grande impresa centrale e la rete di piccole imprese consentono la possibilità di ottenere alcune importanti finalità competitive: - La flessibilità produttiva - La riduzione dei costi - La valorizzazione delle competenze distintive La rete deve basarsi su un reale convincimento di coloro che aderiscono alla sua costruzione, senza pretendere che si possa realizzare un consenso unanime su ogni singola iniziativa che viene presa. Risulta prioritaria l'esigenza di sviluppare ed amplificare l'intreccio dei rapporti fra imprese e cooperative di pesca, che si può sostanziare in forme organizzative diverse le quali devono 5 però avere come obiettivo di fondo quello di aumentare il valore aggiunto e il vantaggio competitivo delle stesse. In questo senso si può parlare di sistema, di rete, di integrazione, in sostanza della volontà politica di perseguire i contenuti veri di sinergia, di maggiore competitività, di maggiore valore, di collaborazione tra le imprese. I POLI D'ECCELLENZA E I DISTRETTI INDUSTRIALI L'esemplificazione pratica di queste enunciazioni teoriche è la promozione di raggruppamenti di eccellenza che si propongono verso il mondo esterno con una offerta integrata. È precisamente il compito che a nostro avviso tutti i soggetti dell'economia ittica hanno dinnanzi a loro nell'immediato futuro. In effetti il raggiungimento dei due obiettivi - fra loro strettamente correlati - del rafforzamento dell'impresa ittica e del miglioramento e del rafforzamento del sistema di filiera - richiede certamente anche l'attuazione di politiche che favoriscano accorpamenti, fusioni, ristrutturazioni, in sintesi integrazioni verticali e orizzontali ma, in grado ancora maggiore, l'attuazione di politiche tese a favorire sempre più strette ed efficaci reti tra le imprese cooperative del settore e tra queste e altre cooperative e ed imprese che fanno parte della filiera. La capacità di promuovere poli di eccellenza imprenditoriali che fungano da volano per l'intero sistema è logicamente e attualmente la prima esigenza da soddisfare. I concetti di rete e di poli di eccellenza sono strettamente connessi con il concetto di distretti industriali. Si ha il caso di un distretto industriale quando l'integrazione e la complementarità fra le singole imprese non risultano da legami formali, ma si esplicano in forme miste concorrenziali e si fondano sulla contiguità spaziale (Beccattini). L'accento è dunque posto sull'elemento locale e su questa strada vanno certamente incoraggiate le diverse iniziative che sul territorio cominciano a realizzare atti concreti per creare distretti industriali della pesca. Occorre fare però molta attenzione a non trascurare l' importanza dell'elemento sistemico che è alla base di tutto il disegno che stiamo prospettando. In certi casi la dimensione della concentrazione locale o del distretto produttivo è apparso largamente trascurato a favore della dimensione aziendale. Bianchi ci avvertiva fin dagli anni ‘90 dei pericoli di una politica industriale rivolta alla 6 singola impresa, a prescindere dall'insieme di relazioni in cui questa è collocata e che ne specificano le “esternalità” in cui operare. A sostegno della nostra opinione che ogni nuova politica di incentivazione dell'economia ittica deve avere una valenza sistemica e cabine di regia in grado di attuare politiche a favore della crescita equilibrata dell'intero settore, vorremmo citare un grande studioso dei problemi della piccola e media impresa, Sebastiano Brusco, il quale scriveva: “Ci sono diversi modi di organizzare i processi produttivi e correlativamente i rapporti sociali, ognuno dei quali si trova - quando ricorrano certe condizioni economiche, culturali, sociali e politiche - sulla frontiera dell'efficienza economica. Una seria politica per la piccola impresa deve essere volta a garantire la rigenerazione dal basso dell'imprenditorialità - funzione essenziale dell'economia di mercato - senza pagare lo spreco che si accompagna di norma alla avventura imprenditoriale sporadica. Ridurre un sistema territoriale d'imprese alla somma delle imprese che ne fanno parte significa perdere precisamente l'elemento sistemico, assumere l'impresa, anziché il sistema di imprese, come unità di analisi. La tradizione economica marshalliana ci aveva fornito gli strumenti per inquadrare il fenomeno: la distinzione fra economie interne all'impresa ed economie esterne all'impresa, ma interne al sistema di cui l'impresa fa parte, il caso più lampante essendo precisamente il distretto industriale. Sono precisamente queste economie esterne di concentrazione territoriale che possono spiegare la competitività dei distretti industriali rispetto a strutture produttive alternative”. UNA NUOVA POLITICA DI INCENTIVAZIONE PER IL SETTORE Le imprese della pesca dal punto di vista tipologico appartengono per la maggior parte alla categoria delle microimprese (meno di 20 dipendenti). Poche sono le piccole imprese (da 20 a 99 dipendenti) e pressocchè inesistenti le imprese medio-grandi. La struttura organizzativa semplificata o addirittura embrionale che le caratterizza richiede la definizione di una politica dell'incentivazione specifica e specializzata, basata su alcuni elementi essenziali: Semplicità. Le imprese ittiche risentono ancora più delle altre PMI dei contesti legislativo burocratici caratterizzati da norme e procedure sovrabbondanti, spesso di difficile interpretazione. Ciò genera costi impliciti e perdita di opportunità. La semplificazione deve essere dunque presente nella progettazione delle linee d'intervento ed essere essa stessa oggetto di intervento Flessibilità. Va intesa in due sensi: come possibilità per la singola impresa di scegliere tra una varietà di facilitazioni messe a loro disposizione; come idoneità della 7 specifica facilitazione di essere adattata alle esigenze della singola impresa di pesca. Tempestività. Per continuare a mantenere la sua naturale attitudine a rispondere prontamente alle richieste dell'ambiente e per poter conservare il suo equilibrio che si basa su risorse scarse, l'impresa della pesca ha bisogno di interventi di incentivazione che siano rapidi e puntuali. Troppi sono i casi in cui esse hanno incontrato problemi persino di sopravvivenza a causa dei ritardi con cui sono stati deliberati prima ed erogati poi i contributi sui quali avevano impostato i propri piani di investimento. Consonanza con le situazioni di mercato e le attitudini imprenditoriali delle imprese di pesca. Occorre evitare il rischio che il soggetto che formula e realizza le politiche di incentivazione non sia dotato delle necessarie conoscenze delle situazioni concrete in cui operano le imprese della pesca e di valide chiavi interpretative del loro comportamento, per evitare che si disperdano risorse in strumenti scarsamente o per nulla efficaci. Sono stati pubblicati dall’Eba lo scorso 16 settembre 2014 i dati sull’esercizio di monitoraggio relativo all’impatto delle disposizioni di Basilea III sul sistema bancario europeo. Questo esercizio, in parallelo con quello condotto dal Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria (CBVB) a livello globale, permette la raccolta complessiva dei dati in materia di requisiti di capitale, Liquidity Coverage Ratio (LCR), Net Stable Funding Ratio (NSFR) e Leverage Ratio (LR) delle banche dell’Unione Europea. Come anticipato, tale esercizio di monitoraggio si pone quale obbiettivo quello di controllare l’impatto della piena attuazione di CRD IV e CRR (Capital Requirements Directive IV e Capital Requirements Regulation) e dell’applicazione del quadro di Basilea III sui rapporti di liquidità e Leverage Ratio. I risultati mostrano che la soglia Common Equity Tier 1 di capital ratio (CET1) delle più grandi banche europee attive a livello internazionale (Banche del Gruppo 1) risulta essere in media pari al 10,1% rispetto alla soglia del 12,4% prevista dal regolamento attuale. Pertanto, le Banche del Gruppo 1 si troverebbe ad affrontare un deficit CET1 di 0,1 miliardi di euro per raggiungere il requisito minimo del 4,5%, e di 11,6 miliardi di euro per raggiungere il livello target del 7%, ovvero una soglia superiore per banche di rilevanza sistemica globale (G-SIB). Per le Banche del Gruppo 1, l’impatto complessivo dell’implementazione di CRD IV e CRR sul CET1 comporta cambiamenti necessari nella definizione del capitale e nel calcolo dei Risk Weighted Assets (RWA). Per quanto riguarda il LCR, invece, i risultati mostrano che a partire da dicembre 2013, l’LCR medio 8 delle banche del Gruppo 1 è stato pari al 107,3%. Dal Report emerge inoltre che più del 70% del campione totale delle banche ha già raggiunto la soglia del 100% prevista da Basilea III per il 2019. L’esercizio rivela infine una carenza di liquidità delle Banche del Gruppo 1 per 124,5 miliardi di euro. I valori di NSFR indicano che a partire da dicembre 2013, il valore medio di NSFR per le banche del Gruppo 1 è stato del 102% e del 109% per le Banche del Gruppo 2. Le cifre NSFR mostrano la necessità di migliorare la stabilità finanziaria delle banche per un valore pari ad almeno 473 miliardi di euro, in riferimento a circa il 2% del totale delle banche interessate. In conclusione, il livello medio di Leverage Ratio (LR) pienamente implementato è pari al 3,7% per le Banche del Gruppo 1, visto e considerato l’ulteriore conformità con il rispetto del requisito del 6% di Common Equity Tier 1 di capital ratio. Il deficit delle banche del Gruppo 1 in seguito all’applicazione effettiva delle disposizioni relative al livello minimo di LR potrebbe risultare essere pari a 22.1 miliardi di euro.1. Bisogna però ribadire un concetto utilizzato dalla maggior parte degli economisti che vale per l'intero sistema delle piccole e medie imprese e amaggior ragione per la situazione del nostro settore. L’impegno delle autorità pubbliche si è indirizzato in prevalenza verso interventi di natura erogatoria: il sistema delle agevolazioni è intervenuto su un problema secondario, il costo delle risorse finanziarie, e non su quello, fondamentale per le piccole e medie imprese, della disponibilità delle stesse. Occorre invece rendere attuabile l'accesso al credito a lungo termine in misura adeguata alle aziende sprovviste di garanzie reali, purchè valide, ben gestite e dotate di buone potenzialità di crescita, attraverso fondi ed agenzie dettati al sostegno della piccola e media impresa. Si tratta di favorire interventi diretti a convogliare capitale di rischio verso le piccole e medie imprese, con strumenti tipo "pre-public". Le politiche di facilitazione più efficaci sono quelle che meglio rispondono ai fabbisogni delle imprese, che devono essere individuati adottando un valido modello interpretativo del funzionamento delle imprese e del loro dinamismo. Non solo vanno ridefiniti gli obiettivi, migliorandone la congruenza con piani di sviluppo e di intervento più organici, ma anche va potenziata l'efficacia degli strumenti scelti per tali obiettivi. Non ci pare, purtroppo, che tutte le misure introdotte in materia di mini bond e quant’altro possano avere un impatto sul nostro comparto. 1 Fonte: Dirittobancario.it 9 LE AGENZIE DI SVILUPPO E IL VALORE DELL'ASSOCIAZIONISMO Per comprendere come da questi principi generali, si possa giungere a politiche di incentivazione specifiche, tagliate sulle esigenze del settore che sono profondamente diverse da quelle di altri comparti produttivi, e quali strumenti si ritiene possano essere più utili in questa fase, occorre compiere una valutazione economico-finanziaria - che in questa sede non può che essere sintetica - delle prospettive delle microimprese della pesca. E' unanimemente riconosciuto che il principale problema attuale delle imprese di pesca è la scarsa redditività e che solamente attraverso un suo consistente recupero il settore potrà attirare nuovamente investimenti e risorse umane qualificate e ridivenire una parte importante dell'economia italiana, superando l'attuale fase di crisi se non di declino. La scarsa redditività delle imprese di pesca può essere superata solo con misure che abbiano come effetto: 1) l'aumento della redditività del capitale investito, che passa attraverso l'aumento dei margini unitari dei prodotti, la riduzione dei prezzi-costo unitari del fattore lavoro, l'aumento del tasso di rotazione del capitale investito; 2) la diminuzione del costo dei mezzi di terzi attraverso la diminuzione dei prezzi-costi unitari dei mezzi di terzi, il cambiamento del mix delle fonti finanziarie, la maggiore efficienza nella gestione dei mezzi di terzi. La crescita dimensionale e l'aumento della direzione operativa. attraverso la crescita interna o processi di concentrazione e fusione, gli investimenti in sviluppo di reti di vendita e di assistenza, gli investimenti in sistemi e formazione, la capacità di ricerca e selezione di fonti alternative sono tutti obiettivi intermedi fondamentali per raggiungere l'obiettivo finale di sufficiente redditività. Per consentire alle imprese della pesca di avviarsi lungo la strada del recupero della necessaria attività, uno strumento - già sperimentato in altri settori in grado di garantire buoni risultati - è quello delle "agenzie di sviluppo"2. Un'agenzia di sviluppo può agevolmente soddisfare con il proprio ambito operativo le quattro linee fondamentali della semplicità, flessibilità, tempestività e consonanza, in quanto opera a contatto quotidiano diretto con il settore e diviene persino uno strumento di programmazione, potendo individuare con grande tempestività le esigenze in continua mutazione del settore. Può fornire un contributo decisivo al recupero della redditività, mettendo in atto una vasta panoplia di interventi in grado di consentire alle microimprese della pesca di raggiungere i prefissati obiettivi intermedi. Il modello di riferimento che si propone è quello americano della Small Business Administration che ha assunto grande rilevanza in quel sistema economico. 10 Questo modello - secondo gli esperti di sviluppo imprenditoriale - ha evidenziato un'apprezzabile coerenza tra esigenze, obiettivi, azioni, risorse e strutture organizzative, supportando le piccole e medie imprese non solo nell'accesso al capitale di credito, ma anche nel reperimento di capitale di rischio e progettazione e fornitura di servizi reali di alta qualità specializzati per le PMI a costi contenuti. Questa istituzione contempla numerose tipologie di intervento, tra cui ha assunto grande importanza il Regular Business Loan, che prevede che il finanziamento sia concesso da un istituto di credito privato e garantito dalla SBA in misura non superiore al 90%. Utilizzate sono anche le formule dell'Immediate Partecipation Loan, il quale prevede che il finanziamento venga concesso in compartecipazione tra la SBA, la banca e il direct loan, che consiste in un prestito diretto concesso dalla SBA a valere su proprie risorse finanziarie. La sottoscrizione di capitale di rischio è assicurata da società di scopo che operano sotto la supervisione della SBA e sono in parte finanziate da istituzioni bancarie con la garanzia delle stesse. Dall'esperienza della SBA si dovrebbe assumere ciò che è in linea con il trattato di Amsterdam, gli orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà e il Regime di aiuto di Stato n.559-2000 (che definiva per l'ex RIBS le modalità di intervento relative alla trasformazione, la commercializzazione dei prodotti agricoli, zootecnici e silvicoli) . Una sia pur parziale trasposizione al caso italiano dell'esperienza americana è data da Sviluppo Italia. Tra i tanti e variegati compiti che questa istituzione svolge appaiono di grande interesse per il settore della pesca e degni di essere oggetto di attività dell'agenzia di settore anche attraverso la creazione di società di scopo: 1. la fornitura di servizi, in particolare alle Regioni ed alle altre amministrazioni pubbliche, finalizzati direttamente o indirettamente allo sviluppo delle imprese della pesca; 2. a consulenza in materia di gestione degli incentivi regionali, nazionali e comunitari; 3. il favorire l'insediamento di nuove imprese nel territorio regionale; 4. l’essere destinataria di finanziamenti e commesse, da parte della UE e/o di altri organismi pubblici per attività di promozione imprenditoriale; 5. la partecipazione a consorzi o altre organizzazioni che forniscono garanzie per l'accesso al credito. Nel nostro particolare contesto, alle agenzie di sviluppo dovrebbero essere anche destinati compiti inerenti alle ristrutturazioni finanziarie, al risanamento delle aziende in crisi e al turnaround financing, alla creazione di joint-venture, ad operazioni di fusione e concentrazione, al tutoraggio di start up e ai prestiti partecipativi. Le Agenzie cronologicamente meno “giovani”, cioè quelle sorte prima degli anni ’90, si connotano per il loro carattere monosettoriale: 11 nascevano, infatti, soprattutto per conseguire finalità circoscritte e per soddisfare i fabbisogni di determinati soggetti. Il fenomeno della nascita di Agenzie di sviluppo locale plurisettoriali e aperte alla partecipazione di diversi soggetti istituzionali locali si concentra soprattutto nel triennio 1997- 99, in corrispondenza della diffusione della programmazione nazionale e comunitaria. Come è noto, infatti, il nuovo modello di programmazione assegna un peso di rilievo alle istituzioni locali, che sono chiamate a giocare un ruolo attivo nei processi di valorizzazione delle risorse e dei potenziali di sviluppo endogeno 3 . I soggetti maggiormente coinvolti nella compagine sociale delle Agenzie sono gli Enti locali, in primo luogo i Comuni che, rappresentano la tipologia di socio più frequente a livello complessivo. Tuttavia, raramente si tratta della presenza di una sola Amministrazione comunale, spesso le Agenzie incidono su ambiti territoriali a carattere intercomunale o interprovinciale e pertanto tra i loro soci figurano tutte le Amministrazioni interessate sia in forma associata sia singolarmente. Un ruolo prioritario è anche svolto dalle Province e in alcuni casi dalle Aziende speciali delle Camere di Commercio, molto attive sul versante dello sviluppo locale. Associazioni e Consorzi occupano il secondo posto, subito dopo i Comuni, per presenza e numero delle Agenzie nelle quali intervengono. Quest’ultima tipologia (associazioni e consorzi)è varia, in quanto comprende una fascia di soggetti molto ampia che va dalle associazioni imprenditoriali e di categoria, compresi i sindacati dei lavoratori che però rivestono un ruolo estremamente minoritario, alle associazioni culturali, turistiche, religiose e ambientaliste, fino ai consorzi di produzione e di servizi. Anche la tipologia di Istituti di Credito impegnati è abbastanza articolata in quanto spazia dalle Banche SpA, alle Banche Popolari, alle Banche di Credito Cooperativo fino alle Casse di Risparmio. Si evidenziano, altresì, assenze vistose nella gestione di processi di sviluppo da parte di alcuni importanti attori locali, rappresentati dalle Università, ancora lontane dall’essere soggetti attivi della formazione di Agenzie locali per lo sviluppo. In alcuni casi sono le stesse Agenzie di Sviluppo a partecipare, in qualità di socio, a strutture analoghe impegnate in settori o territori più grandi o diversi. L’elevato numero di soggetti che interviene nella creazione di tali realtà, la loro diversa connotazione pubblico-privato, dimostra come a livello locale si vadano affermando nuove forme di governance del territorio, caratterizzate dalla 3 Fonte: Formez. 12 partecipazione diffusa dei diversi attori locali, anche se la partecipazione di alcuni soggetti sia ancora residuale. IL CAMPO DI INTERVENTO E GLI STRUMENTI OPERATIVI DELLE AGENZIE DI SVILUPPO L'operatività, dunque, dovrebbe toccare tutti le variabili sensibili al rafforzamento dell'impresa ittica e al miglioramento delle condizioni di filiera, agendo in modo razionale sul processo complessivo di allocazione ottimale delle scarse risorse a disposizione e cercando di creare le condizioni per attrarre nuovi investimenti privati. A garanzia di una sana concorrenzialità volta ad assicurare la qualità delle prestazioni e la loro efficienza ed efficacia, si dovrebbe avere una pluralità di agenzie. A ciò si potrebbe aggiungere il valore rappresentato in Italia dall'associazionismo, accogliendo la pregiudiziale comunitaria a favore dell'autogestione della base di sviluppo. Dovrebbero essere le stesse associazioni di categoria a promuovere ed a gestire le agenzie di sviluppo per il settore della pesca, in collaborazione con le autorità statali e regionali, in una ottica però di gestione nazionale della programmazione del settore, facendo confluire direttamente o indirettamente alle agenzie i fondi e le competenze, debitamente rimodulate. In tal modo, l'adeguatezza alle linee guida di una efficace politica di incentivazione, garantita dallo strumento della SBA, sarebbe ancora di più rafforzata dalla presenza diretta degli operatori economici nella definizione delle priorità, degli interventi specifici e delle loro modalità di accesso, superando le asimmetrie informative e le altre imperfezioni di cui attori terzi, anche inconsapevolmente, potrebbero essere portatori. Lo strumento tecnico-operativo per consentire alle agenzie di sviluppo di iniziare ad agire concretamente, può essere individuato partendo da esperienze significative già sperimentate specificamente per il comparto cooperativo e per il settore agricolo, adottando le necessarie correzioni. Per quanto concerne in particolare l'aspetto operativo finanziario-creditizio, si richiamano le esperienze del Fondo di promozione per la cooperazione Foncooper e della legge 266-97. La tipologia di incentivazione prevista riguarda interventi a fronte di progetti di investimento, attraverso l'assunzione di partecipazioni temporanee di minoranza nel capitale delle imprese proponenti e l'erogazione di finanziamenti agevolati. Immettendo su questo ceppo alcune modalità tipiche della SBA, si potrebbe ipotizzare una disciplina che preveda una durata massima di partecipazione al capitale di rischio fino a 7 anni, elevabile fino a 20 in caso di imprese che attuano progetti in una logica di filiera e che detengano una quota del capitale sociale almeno pari al 15%. 13 I finanziamenti potrebbero essere agevolati sia nelle condizioni di rientro (diecidodici anni di durata più l'ammortamento) sia nel tasso. La partecipazione al capitale dovrebbe essere cumulabile con l'intervento in sede di fondi strutturali, assumendo a tutti gli effetti un ruolo analogo a ciò che oggi svolge la funzione dei fondi comunitari e nazionali di garanzia per l'ottenimento di prestiti a medio-lungo termine a completamento del finanziamento del progetto. La concessione di finanziamenti agevolati sarebbe non cumulabile con gli interventi previsti dal Fondo europeo per la pesca, ma alternativa. Sarebbe, comunque, di possibile utilizzazione per il finanziamento di quella parte di investimenti complementari o aggiuntivi non coperta dai fondi strutturali europei, ma fondamentali per l'economia complessiva del progetto da realizzare. Il Fondo potrebbe anche destinare parte delle proprie risorse alla concessione di garanzie per finanziamenti privati non agevolati. Sempre seguendo gli orientamenti comunitari, i finanziamenti devono essere assistiti da idonee garanzie reali e/o personali. I soci a capitale privato delle imprese che beneficiano di un intervento a carico del Fondo devono impegnarsi all'acquisto delle quote al termine del periodo di intervento. Il finanziamento di questo Fondo potrebbe ottenersi facendo confluire in esso le risorse oggi allocate al Fondo centrale peschereccio, ai fondi di garanzia, alle altre disponibilità per il credito peschereccio da una parte e ai finanziamenti del piano triennale o di specifici provvedimenti di politica economica per lo sviluppo imprenditoriale dall'altra. La massa critica necessaria, viste le esigenze del settore per il raggiungimento degli obiettivi finali sopradescritti, dovrebbe essere inizialmente pari almeno a 100 milioni di euro. La regolamentazione del Fondo spetterebbe al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali con la partecipazione delle Regioni e delle associazioni di categoria. Nel regolamento andrebbero disciplinate le modalità di accesso al Fondo delle agenzie di sviluppo in rapporto ai progetti di investimento presentati. Per quanto concerne i finanziamenti, dovrebbero essere considerati ammissibili gli investimenti connessi alla costruzione, acquisizione e miglioramento di beni immobili, l'acquisto di attrezzature e macchinari, l'acquisizione di programmi informatici al servizio della produzione, le spese generali per gli oneri di progettazione e studi di fattibilità, l'acquisizione di brevetti e licenze. Per quanto concerne le partecipazioni, dovrebbe essere accordata la preferenza ai progetti volti al rafforzamento delle condizioni di filiera (integrazioni a valle e a monte, joint ventures, ecc. ecc). L'attività di sostegno allo sviluppo dell'imprenditorialità da parte delle agenzie che non comporta impegni finanziario-creditizi potrebbe essere finanziata sia con una capitalizzazione propria, sia con il pagamento di commissioni da parte dell'impresa beneficiaria dei servizi, sia attraverso convenzioni di servizio con le pubbliche amministrazioni. 14 IL PROBLEMA DEL RAZIONAMENTO DEL CREDITO La fredda ed analitica esposizione delle linee di una nuova politica di sostegno rischia forse di rendere meno evidente la posta in gioco: la possibilità concreta che in poco tempo le deboli e fragili microimprese e le cooperative della pesca si trovino ad affrontare una tragica situazione di razionamento del credito. Uno studio dell'ISMEA su agricoltura e credito, recita: "… tradizionalmente il settore agricolo è visto (dalle banche) come un settore rischioso o comunque mediamente più rischioso di altri …. Questa frammentazione del rischio, unita spesso ad una non completa separazione tra gestione dell'impresa e gestione delle spese familiari, rende particolarmente problematica la valutazione del merito creditizio. Tale difficoltà è poi aggravata dalla indisponibilità di informazioni quantitativo-contabili. Questo, che è un problema tipico delle piccole e medie imprese, nel settore agricolo è particolarmente accentuato, sia per la presenza inadeguata al quadro evolutivo attuale, sia per i connotati specifici assunti dall'impresa agricola. In questa prospettiva può essere utile adottare specifiche tecniche valutative, come il credit scoring, che consentono la formulazione di un giudizio utilizzando poche informazioni mirate. Per la valutazione di un'azienda agricola, tuttavia, il credit scoring presenta alcuni problemi applicativi: si tratta di stimare i dati quantitativi legati al profilo finanziario e alla redditività a partire da informazioni di tipo qualitativo..." Le difficoltà che possono incontrare le imprese ittiche nell'approccio allo scoring sono nella migliore delle ipotesi uguali a quelle agricole e dunque anche per esse valgono le considerazioni dell'ISMEA. Siamo entrati così di peso nella tematica legata agli accordi cosiddetti di Basilea 2 e 3. Pur non volendo occuparci specificamente di essi, poiché esulano dall'ambito di questa pubblicazione, per sostenere ed argomentare ulteriormente le proposte di modifica delle politiche di sostegno del settore è però necessario un approfondimento di questo argomento. Senza entrare in dettagli troppo tecnici, sembra ormai delinearsi uno scenario di questo tipo: l'attività di concessione di prestiti alle imprese da parte delle banche è ormai un'attività matura, che dà bassi profitti e che comporta, per contro, alti rischi almeno in termini relativi e che, quindi, interessa sempre meno le banche stesse; l'attività di prestito richiede la disponibilità di risorse finanziarie che devono essere raccolte dalle banche sul mercato, il che non porta a pensare a un'organizzazione né rapida né facile della funzione creditizia nelle banche del futuro; queste tendenze sono particolarmente accentuate nel caso delle banche di grandi dimensioni, le quali non sembrano né interessate né capaci di 15 concentrare la loro attenzione sui finanziamenti creditizi alle imprese, avendo ottime alternative sia di raccolta sia di investimento nei settori collegati al mercato mobiliare che sembrano quelli loro più congeniali e remunerativi; diversa è la situazione delle banche di prossimità che stanno concentrando la loro attenzione proprio sui prestiti alle imprese, ma che hanno nel complesso un impatto quantitativo e qualitativo nel mercato non in grado di bilanciare il disimpegno delle grandi banche; le PMI saranno quelle che soffriranno maggiormente della situazione precedente delineata sia perché la relativa valutazione al fine dell'affidamento non è sempre facile sia perché il loro rischio è mediamente più elevato di quello dei prestiti alle imprese più grandi; l'entrata in vigore delle nuove regole di vigilanza prudenziale note come Basilea 2 esaspererà i problemi appena visti e quindi agirà nel senso di accentuare la probabilità e l'intensità di un'azione di razionamento nei riguardi delle PMI anche se in modo non automatico, ma in seguito a una selezione della clientela molto più agiata di quella praticata attualmente; le PMI devono dunque attendersi un futuro in cui il credito bancario a loro favore sarà più scarso, più caro e stipulato con clausole contrattuali più onerose, come quelle riguardanti le garanzie collaterali. Soprattutto per le PMI più deboli potrebbe dunque presentarsi a scadenza non lontana uno scenario creditizio complesso in cui la selezione sarà dura e in cui la qualità della loro situazione economica, patrimoniale e finanziaria passata, presente e futura e la loro capacità di dimostrarle adeguatamente saranno fondamentali nella probabilità di accesso al credito bancario. Una potente e, speriamo, ragione in più per cercare di dare rapida attuazione alla creazione dei nuovi strumenti di sostegno. 16 Capitolo secondo CONCETTI BASILARI DI ECONOMIA AZIENDALE Lo scopo di queste poche pagine è quello di fornire alcune nozioni fondamentali di economia aziendale utili per comprendere anche i capitoli successivi. Ci soffermeremo specificamente sulle relazioni tra i volumi, i costi e ricavi e i fattori determinanti del reddito operativo, tutti elementi decisivi per la vita di qualsiasi impresa, dalla più grande fino alla più piccola. ELEMENTI STRUTTURALI, VOLUMI, COSTI , RICAVI Il risultato economico di un’impresa è tipicamente determinato dall’azione congiunta di fattori che possono essere riuniti in tre gruppi: • Gli elementi strutturali • I volumi • Il livello dei costi e il livello dei ricavi. Gli elementi strutturali sono rappresentati da tutti quei fattori che l’impresa non può mutare nel breve periodo. L’esempio più immediato è quello della capacità produttiva, ma particolarmente rilevanti sono il fattore esperienza e il fattore culturale. La presenza di questi fattori determina la struttura e i modi di funzionamento dell’impresa. Se si vuole intervenire sulla struttura dei costi dell’impresa, occorre modificare la struttura dell’economia: acquistare nuova capacità produttiva, allargare la gamma di prodotti e servizi offerti, migliorare la distribuzione ecc. Tutte le variazioni nei costi legate a determinanti strutturali causano modifiche nel patrimonio, nell’assetto tecnico, nel personale, nell’assetto organizzativo. Data la struttura dell’impresa (attrezzature, esperienza, beni e servizi offerti) i ricavi totali, i costi totali e i risultati reddituali saranno determinati dai volumi effettivamente prodotti e venduti nel periodo considerato e dai ricavi per i beni e i servizi venduti e dai costi sostenuti per il pagamento dei beni, dei servizi e del lavoro necessari all’attività produttiva dell’impresa. I volumi, a parità di livello dei prezzi e di struttura aziendale, rappresentano il principale fattore che determina i costi di breve periodo. Data, infatti, la capacità produttiva e i costi fissi e variabili ad essa collegati, i costi che l’impresa dovrà sostenere sono determinati dai volumi effettivamente prodotti, ciò che tecnicamente è definito come il grado di saturazione della 17 capacità produttiva a disposizione dell’impresa. I volumi determinano in larga parte sia i costi totali, sia i costi unitari effettivi, poiché al variare dei volumi varierà la quota dei costi fissi da imputare alle singole unità prodotte. Ovviamente i volumi determinano anche il livello dei ricavi e di conseguenza anche il livello del reddito operativo dell’impresa. L’altro gruppo di elementi da considerare riguarda il livello dei prezzi. Il livello dei prezzi ai quali l’impresa vende dipende da fattori interni (per un’impresa industriale tipicamente la politica dei prezzi di penetrazione del mercato o di scrematura dello stesso, la possibilità di ottenere un premio di prezzo grazie alle particolari caratteristiche dei beni venduti, la forza del marchio ecc.) e da fattori esterni, come la forza della concorrenza, l’andamento del mercato (di crisi o in crescita) ecc. I costi dell’impresa sono determinati dalla situazione competitiva nei mercati di approvvigionamento dell’impresa, dai volumi acquistati e dal potere contrattuale dell’impresa. Tra tutti questi elementi esistono relazioni di interdipendenza: i prezzi di vendita che l’impresa ha deciso di effettuare influenzano i volumi venduti; i volumi conseguiti influenzano la curva dell’esperienza (si veda il capitolo seguente) e il potere contrattuale dell’impresa e quindi i prezzi dei beni e dei servizi che acquista e così via. Le azioni che possono essere intraprese per migliorare il risultato economico di una impresa possono essere raggruppate in tre categorie: • Variazioni nei volumi • Variazioni nei costi • Variazioni nei prezzi di vendita Dato un certo livello di prezzi dei vendita, di costi fissi (costi che non mutano al variare della produzione data la capacità produttiva) e di costi variabili (costi legati al livello della produzione data la capacità produttiva), è possibile determinare quale sia il fatturato che consente all’impresa di pareggiare i propri costi (il cosiddetto punto di pareggio) e valutare il grado di flessibilità operativa dell’impresa (la cosiddetta leva operativa). Questa tecnica di analisi si chiama “analisi costi- volumi- risultati”. E’ una tecnica che consente di fornire una risposta a questioni cruciali per la vita di un’impresa come: • Qual è la relazione tra volumi venduti e risultato economico • Qual è il volume minimo che occorre vendere per coprire tutti i costi • Qual è l’effetto sul reddito di aumentare il fatturato diminuendo i prezzi di vendita • Per le imprese industriali, qual è l’effetto sul punto di pareggio della decisione di adottare impianti più automatizzati, di aumentare le spese pubblicitarie e di cambiare il mix di beni prodotti • Qual è il livello di fatturato cui bisogna puntare per ottenere un livello determinato di utili. 18 Per procedere in questo tipo di analisi, bisogna avere bene compreso le differenti tipologie di costo, il loro comportamento al mutare dei volumi, la sensibilità delle vendite rispetto ai prezzi. LE DIFFERENTI TIPOLOGIE DI COSTO Consideriamo per semplicità di analisi solo i costi e ricavi connessi alla gestione caratteristica e alla gestione finanziaria, trascurando la gestione patrimoniale nonché plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze attive e passive. Alcuni dei costi sopportati dall’impresa sono connessi alla gestione caratteristica (ovvero alla sua attività tipica e principale), mentre altri sono determinati dal fabbisogno finanziario e quindi dal livello e dalla struttura dell’indebitamento. Per quanto riguarda la gestione caratteristica, bisogna distinguere tra costi che riguardano fattori di produzione a utilizzo unico, come lavoro, materiali e servizi che vengono utilizzati interamente nel corso di un esercizio e i costi che riguardano fattori di produzione a utilizzo ripetuto, come le immobilizzazioni tecniche (impianti, imbarcazioni, strumenti e attrezzature varie). È utile riassumere i costi connessi ai differenti fattori di produzione: • Lavoro: salari, stipendi, oneri sociali, accantonamento TFR). • Immobilizzazioni materiali e immateriali acquistate sul mercato: il costo di acquisto viene ripartito fra i diversi esercizi nelle quali le immobilizzazioni sono utilizzate attraverso le quote di ammortamento. • Immobilizzazioni materiali e immateriali acquisite in economia ( sfruttando risorse interne all’impresa): il costo complessivo è determinato dal costo dei fattori di produzione impiegati nella costituzione di queste immobilizzazioni (ad esempio il lavoro, le consulenze e i materiali necessari per costruire un magazzino). Questo costo è iscritto tra le immobilizzazioni e ripartito tra i diversi esercizi attraverso le quote di ammortamento. • Beni materiali a impiego unico: costi di acquisto di materie prime, componenti, semilavorati, prodotti finiti da rivendere • Servizi privati: costi di acquisto di servizi (costi per consulenze legali, fiscali, tecniche, costi di trasporto, affitti ecc.) • Mezzi monetari: se acquisiti esternamente attraverso operazioni di finanziamento, comportano il sorgere di oneri finanziari (interessi passivi). Se acquisiti mediante operazioni di aumento del capitale proprio o se generati dalla gestione, non comportano una remunerazione predeterminata. In questo caso la remunerazione è variabile e aleatoria, poiché dipende dal reddito di esercizio. I COSTI DI GESTIONE CARATTERISTICA I costi di gestione caratteristica si classificano dunque in due grandi categorie: • Costi variabili 19 • Costi fissi Sono definiti costi variabili i costi direttamente e immediatamente correlati al volume di produzione e vendita. Fanno parte di questa categoria i costi per i consumi di materie prime, le lavorazioni esterne, le provvigioni di vendita. Anche i costi di manodopera diretta possono essere compresi in questa categoria se la sua utilizzazione avviene con forme contrattuali caratterizzate da elevata flessibilità. Sono definiti come costi fissi tutti quei costi che non sono direttamente e immediatamente correlati al volume di produzione e di vendita. Rientrano in questa definizione i costi come la manodopera indiretta, la manodopera diretta (se solo con difficoltà riducibile, aumentabile o trasferibile), gli affitti, le quote di ammortamento, le manutenzioni, i costi legali e amministrativi. I costi fissi di gestione possono essere a loro volta suddivisi in : • Costi fissi di struttura • Costi fissi di sviluppo I costi fissi di struttura sono strettamente connessi alla capacità produttiva in essere dell’impresa in un momento dato. A queste categoria di costi appartengono i costi del lavoro e tutti i costi non proporzionali ai volumi di produzione, di vendita e di amministrazione dell’impresa. La riduzione di questi costi comporta ridurre la capacità produttiva e quindi ridurre i volumi di produzione e vendita nel breve periodo. I costi fissi di sviluppo sono costi che sono definiti fissi solo perché non variano direttamente con il variare della produzione e delle vendite. Non sono però direttamente legati alla capacità produttiva dell’impresa: hanno per così dire un alto livello di discrezionalità. Sono infatti costi destinati a programmare il futuro dell’impresa: si pensi ad esempio ai costi di ricerca e sviluppo e ai costi per la formazione del personale. Non essendo direttamente collegati alle capacità produttive dell’impresa nel breve periodo, questi costi possono essere molto più facilmente variati rispetto ai costi di struttura. La costante diminuzione mette però a grave rischio la sopravvivenza futura dell’impresa, poiché deteriorano la posizione concorrenziale e la qualità del capitale umano . I costi totali di gestione caratteristica si ottengono sommando i costi fissi e i costi variabili. Il costo totale unitario si ottiene dividendo i costi totali per il volume di beni prodotti: è totale in quanto include sia la parte fissa sia quella variabile; è unitario in quanto si riferisce ad una singola unità di prodotto. È facilmente intuibile che i costi totali complessivi aumentano all’aumentare dei volumi di produzione, i costi totali unitari diminuiscono quanto più si ci avvicina al limite di utilizzo della capacità produttiva, allorché i costi fissi si “spalmano” su una quantità maggiore di unità prodotte. IL PUNTO DI PAREGGIO 20 Una volta analizzati i costi, siamo in grado di determinare il punto di pareggio che, come abbiamo visto, è l’ammontare delle vendite necessario per coprire tutti i costi dell’impresa. Il punto di pareggio può essere calcolato secondo una duplice prospettiva: • Numero di pezzi da produrre e vendere per andare a pareggio (punto di pareggio in volumi) • Fatturato da conseguire per andare a pareggio (punto di pareggio in fatturato) Il punto di pareggio in volumi da produrre e vendere per coprire i costi di gestione caratteristica si calcola assai facilmente. Se per Q si intendono i pezzi da vendere, si procede così: • Si definisce l’eguaglianza: RICAVI UNITARI (prezzo) x Q = COSTI VARIABILI UNITARI x Q + COSTI FISSI • Si evidenziano i costi fissi: COSTI FISSI = RICAVI UNITARI x Q – COSTI VARIABILI UNITARI x Q • Si risolve per Q: Q x (RICAVI UNITARI – COSTI VARIABILI UNITARI) = COSTI FISSI • Q = COSTI FISSI / RICAVI UNITARI – COSTI VARIABILI UNITARI Il calcolo del punto di pareggio permette di evidenziare un concetto fondamentale per la gestione aziendale: il concetto di margine di contribuzione nelle sue accezioni di margine di contribuzione unitario e di margine di contribuzione complessivo. Il margine di contribuzione unitario è uguale alla differenza tra il ricavo unitario (prezzo) e i costi variabili unitari. Utilizzando questo concetto, il punto di pareggio per volumi si calcola ancora più facilmente: COSTI FISSI / MARGINE DI CONTRIBUZIONE UNITARIO. La definizione formale del margine di contribuzione unitario è dunque questa: è il contributo che la vendita di ogni unità di bene prodotta e venduta arreca alla copertura dei costi fissi di gestione caratteristica e alla formazione del reddito operativo. Il reddito operativo serve per coprire i costi finanziari e i costi fiscali e eventualmente per formare il reddito netto. Il margine di contribuzione totale può essere alternativamente calcolato come differenza tra ricavi totali e costi variabili totali o moltiplicando il margine di contribuzione unitario per i volumi prodotti e venduti. Calcolato il margine di contribuzione unitario, il punto di pareggio in fatturato si calcola molto facilmente: FATTURATO = COSTI FISSI / MARGINE DI CONTRIBUZIONE % Il fatturato di pareggio è determinato quindi dividendo i costi fissi per il margine di contribuzione espresso in percentuale del prezzo di vendita. 21 L’ANALISI DEL GRADO DI RISCHIO OPERATIVO Un altro strumento di grande importanza per ogni impresa è l’analisi del grado di rischio operativo. Il rischio operativo dell’impresa dipende dalla probabilità di subire risultati reddituali particolarmente negativi o particolarmente positivi in relazione alle variazioni di fatturato. È fortemente legato al rapporto dei costi fissi rispetto ai variabili e al concetto di elasticità operativa. L’elasticità operativa è rappresentata dall’ampiezza della forbice tra i ricavi e i costi totali prima e dopo il punto di pareggio: è legata all’incidenza dei costi variabili sui ricavi. Maggiore è questa incidenza tanto più ridotta è la forbice, poiché all’aumentare dei volumi aumenteranno rapidamente anche i costi variabili e tanto più limitato sarà il margine disponibile per la copertura dei costi fissi. In genere i due elementi del rischio operativo (il punto di pareggio e l’elasticità operativa) sono collegati, poiché le imprese che presentano un elevato punto di pareggio manifestano un elevato grado di rigidità operativa, mentre quelle che hanno un punto di pareggio basso sono più flessibili. Ciò si verifica perché esiste una correlazione negativa fra i costi fissi e i costi variabili: solitamente aumentando i costi fissi (aumentando le attrezzature) è possibile ridurre l’incidenza dei costi variabili sui ricavi. 22 Capitolo terzo LA GESTIONE MANAGERIALE La ridotta dimensione aziendale e la relativamente modesta struttura organizzativa non rappresentano buone ragioni per non affrontare metodicamente i problemi manageriali che ogni impresa che opera sul mercato deve affrontare. Si vuole, in sostanza, fornire elementi in grado di aiutare le piccole imprese e cooperative ittiche che non l’hanno (o l’hanno solo in termini non formalizzati, nella testa del presidente o del direttore) a dotarsi di una chiara ed esplicitata strategia manageriale. LA STRATEGIA IN CAMPO AZIENDALE Che cosa si intende per strategia in campo aziendale? La definizione classica di Chandler del 1962 è ancora oggi ammirevole per chiarezza: “La strategia è la determinazione delle mete basilari di lungo periodo dell’impresa e l’adozione di corsi di azione e dell’allocazione necessaria delle risorse per conseguire queste mete”. In sostanza si tratta di individuare le opportunità per creare valore che ogni impresa ha di fronte a sé e di creare una congruenza tra esse e le risorse e la capacità a disposizione dell’impresa stessa. Le opportunità per creare ricchezza sono rintracciabili in diversi livelli della attività aziendale come ad esempio: • Marketing (segmentazione del mercato) • Livello logistico-operativo (tecnologia adottata: riduzione dei costi, legami con fornitori e clienti ecc.) • Finanza (migliore uso delle risorse) • Uso dell’informazione (sfruttamento delle potenzialità della tecnologia dell’informazione) • Risorse umane (utilizzazione delle competenze e incoraggiamento dell’innovazione) • Strategie di crescita esterna e di ristrutturazione • Strategie di rete • Riduzione dei costi • Ricerca di sinergie e maggior rendimento del capitale investito • Mutamenti organizzativi La strategia per riassumere ciò che sarà esplicitato nel corso della trattazione, dovrà combinare e coordinare le risorse dell’impresa, i suoi punti di forza e di 23 debolezza, che generano le sue capacità distintive (quindi gli eventuali vantaggi competitivi) e i suoi valori essenziali e culturali. Dovrà selezionare i mercati più appropriati per le proprie capacità e i propri valori, i mercati dove cioè queste capacità e questi valori sono fattori chiave di successo. Anche per la più piccola delle attività commerciali che intenda vivere autonomamente sul mercato è indispensabile individuare gli elementi che costituiscono la base del suo successo. LA MISSIONE E GLI OBIETTIVI MANAGERIALI Se la più importante delle tecniche manageriali è comprendere la situazione reale in cui si opera, evitando di confonderla con i propri desideri, la valutazione analitica sulla correttezza del sentiero intrapreso dalle imprese è la prima domanda a cui il management deve dare una risposta. Per sapere dove si sta andando, bisogna innanzitutto avere stabilito degli obiettivi. Essi devono essere stati chiaramente comunicati a coloro che operano nel comparto in modo che in ogni momento si sappia esattamente quale è la posizione dell’impresa. Gli obiettivi, quindi, stabiliscono la direzione dell’attività imprenditoriale e devono avere delle precise scadenze temporali per rendere il loro raggiungimento in qualche modo misurabile, anche per incoraggiare e motivare i cooperatori. Essi sono legati a particolari aspetti della vita aziendale come la dimensione o il tipo di organizzazione, i livelli di successo delle vendite, il profitto, la produttività . Vanno concettualmente distinti dalla missione, che rappresenta la visione complessiva del futuro della cooperativa. E’ importante poi distinguere tra obiettivi di lungotermine e di breve termine: i primi riguardano le desiderate mete dell’attività manageriale, i secondi gli obiettivi quasiimmediati che l’organizzazione deve raggiungere come tappe intermedie per il conseguimento degli obiettivi di lungo periodo. In altre parole, gli obiettivi di lungo periodo sono le basi per la definizione della strategia aziendale; gli obiettivi a breve rappresentano le strategie funzionali. A titolo di esempio, per una impresa ittica di trasformazione, l’enunciazione della missione potrebbe configurarsi in questo modo seguendo la classica lezione di Ackoff che, tra le tante formulate nella letteratura, appare per essa la più calzante: 1. deve contenere una formulazione degli obiettivi di lungo termine che consenta di rendere misurabili e valutabili gli avanzamenti verso di essi 2. deve rendere chiari i motivi di differenziazione della cooperativa (o dell’impresa) dai suoi competitori 24 3. deve definire i campi di attività in cui si vuole operare (non necessariamente quelli in cui opera) 4. deve presentare motivi di coinvolgimento per tutti coloro che sono portatori di interessi a vario titolo nel processo di produzione (i cosiddetti stakeholders) e non solo per i soci e il management 5. deve essere motivante e ispiratrice di orgoglio aziendale Applicando queste cinque caratteristiche, per una buona dichiarazione di missione si potrebbe ottenere questo risultato: • Raggiungere la posizione di produttore maggiormente profittevole nel proprio specifico settore di mercato • Sviluppare iniziative di marchio • Sviluppare la reputazione di ottimo datore di lavoro attraverso il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei soci e dei lavoratori non soci • Rispondere alla domanda sempre più esigente dei clienti in termini di standard qualitativi sempre migliori e investimenti tecnologicamente sempre più avanzati Per quanto concerne gli obiettivi, la loro definizione deve tenere conto di tre aspetti fondamentali: • Una valutazione realistica degli obiettivi che l’impresa o la cooperativa stanno effettivamente perseguendo e conseguendo; dove sta andando e perché • Gli obiettivi che potrebbe perseguire e le possibilità e le opportunità di cui dispone per realizzare cambiamenti • Specifici obiettivi per il futuro più lontano Sempre con riferimento ad una impresa (o cooperativa) di trasformazione, una pratica dichiarazione degli obiettivi potrebbe assumere questa forma: “Il successo imprenditoriale può essere raggiunto solo se ognuno di coloro che opera comprende e sostiene gli obiettivi ci si è proposti di conseguire. Questi obiettivi non sono necessariamente tutti della stessa importanza e in tempi diversi possono richiedere più sforzi degli altri: 1. Aumentare la profittabilità ogni anno attraverso una maggiore efficienza e maggiori vendite 2. Continuare a produrre e vendere prodotti di alta qualità e a dare la massima considerazione ai bisogni e agli interessi dei nostri clienti 3. pagare i migliori salari e stipendi possibili; assicurare la soddisfazione sul lavoro attraverso un management illuminato; migliorare le condizioni di lavoro dove possibile; promuovere le migliori relazioni umane e far sì che la gente apprezzi realmente lavorare per la cooperativa 4. dare al management la massima libertà di azione nel rispetto delle regole non solo legali, ma anche etiche che caratterizzano la cooperazione 5. continuare ad incoraggiare i lavoratori a divenire soci della cooperativa 25 6. incoraggiare la partecipazione alla vita dell’impresa tenendo tutti informati sulle politiche manageriali, sui progressi e sui problemi, invitare a fornire commenti e critiche e a mostrare a ciascuno come gli sforzi individuali contribuiscano al successo 7. essere flessibili e non dipendere troppo da ogni singolo prodotto, cliente e mercato; sforzarsi di investire nella ricerca e nello sviluppo in modo tale che le opportunità di mercato siano prontamente individuate e sfruttate 8. promuovere la sicurezza sul lavoro ed evitare le eventuali ridondanze di lavoro attraverso una attenta programmazione e la pronta individuazione dei problemi 9. addestrare e formare i lavoratori e promuovere dall’interno quando possibile 10. beneficare la comunità locale ogniqualvolta è possibile farlo. Obiettivi di tipo quantitativo a tre anni potrebbero essere: 1. rendimento x % del capitale investito 2. cash flow x% delle vendite 3. mantenimento e crescita della quota di mercato 4. mantenimento e crescita dell’occupazione compatibile con le esigenze di sopravvivenza della cooperativa Gli obiettivi di breve termine saranno specificazioni annuali degli obiettivi di lungo termine. I PORTATORI DI INTERESSI (STAKEHOLDERS) Nella trattazione precedente della definizione della missione degli obiettivi si è fatto cenno agli stakeholders. Si tratta di un tema di grande importanza per tutte le imprese, ma che assume un peso assolutamente preponderante per l’ individuazione di corrette e vincenti strategie aziendali. Gli stakeholders sono quegli individui o quei gruppi che possono condizionare o sono condizionati dalle prestazioni di una impresa. Tutte le strategie presenti e future sono condizionate, come vedremo meglio più avanti, da pressioni esterne da parte del mercato, che comprende concorrenti, clienti e fornitori, finanziatori a vario titolo e da pressioni interne da managers, lavoratori e sindacati. La teoria degli stakeholders (portatori di interessi) ritiene che gli obiettivi di una organizzazione devono tenere conto dei diversi bisogni delle parti interessate che rappresentano una sorta di coalizioni interne. Ogni stakeholder ha una propria scala di priorità e l’ impresa si trova a dover fronteggiare delle difficili scelte alternative, in quanto esse non sono sempre compatibili l’una con l’altra. Nell’ambiente cooperativo la democrazia decisionale può rendere questo problema ancora più acuto e farlo divenire uno dei più difficili da risolvere. 26 Si tengano presenti, al riguardo, alcuni esempi di questi interessi non sempre mediabili: • Finanziatori a vario titolo: pagamento degli interessi e dei prestiti, che sono influenzati dai flussi di cassa; valorizzazione dell’investimento in caso di capitale di rischio influenzato da crescita e profitti • Managers: stipendi e altri benefici; status che deriva dal lavorare per una conosciuta impresa di successo; sicurezza • Lavoratori: salari, vacanze; soddisfazione e condizioni di lavoro; sicurezza, influenzata anche dalla sindacalizzazione • Consumatori: qualità e attrattività dei prodotti; prezzi competitivi; nuovi prodotti • Distributori: consegne puntuali e affidabili • Governo: pagamento delle imposte e mantenimento dell’occupazione; contributo alle esportazioni • Società in generale: azioni socialmente responsabili, alle volte richieste da gruppi di pressione LA VALUTAZIONE DELLA SITUAZIONE AZIENDALE Una volta che si sono definiti la missione, gli obiettivi di lungo termine e quelli a breve, diventa cruciale rispondere alla domanda su come effettivamente le cose stanno andando, se l’impresa o la cooperativa sono sulla buona strada per raggiungerli oppure, se no, quali misure correttive occorra mettere in atto. Si tratta di fornire una risposta ad una serie di domande di cruciale importanza per la vita anche della più piccola delle imprese e cooperative come ad esempio: Stiamo perseguendo le strategie decise? Quanto la loro realizzazione si sta rivelando di successo? In quali campi stiamo incontrando delle difficoltà? Quali sono i nostri risultati finanziari? Quale è la loro congruenza con le nostre previsioni? E con i risultati dei nostri concorrenti? Dobbiamo cambiare i nostri corsi di azione? Se non lo facciamo, cosa può succedere? Per valutare la prestazione di un’impresa, è essenziale comprendere il significato di tre tipi di misura: • Economica: le risorse devono essere gestite al costo più basso possibile compatibile con il raggiungimento qualitativo e quantitativo degli obiettivi produttivi • Efficienza: le risorse devono essere allocate e utilizzate per massimizzare il loro rendimento. • Efficacia: le risorse devono essere allocate in quelle attività che soddisfano i bisogni, le aspettative e le priorità dei vari portatori di interessi della cooperativa. 27 Le prime due misure sono essenzialmente di tipo quantitativo (e oggettivo); l’efficacia tende a cogliere aspetti qualitativi e soggettivi dell’attività manageriale. Solo le imprese che riescono ad essere contemporaneamente efficienti ed efficaci sopravvivono e crescono in modo robusto; le imprese efficaci ma inefficienti sopravvivono ma non crescono; le imprese efficienti ma inefficaci declinano poiché non soddisfano le aspettative dei portatori di interessi. L’efficienza di un’impresa si misura con l’aiuto degli indici aziendali. Un’analisi condotta attraverso di essi può contribuire fortemente a comprendere la realtà di una impresa. Le ragioni sono molte: • Consente uno studio dell’andamento dell’impresa nel corso degli anni • Consente di confrontare l’andamento dell’impresa con quello dei concorrenti e quello in generale del settore • Indica il percorso per i possibili o i necessari mutamenti di strategia, per porre rimedio a dei cattivi risultati o anche per cogliere delle opportunità di mercato • Può mettere in evidenza i possibili pericoli, anche i più gravi come il deterioramento della liquidità o il rallentamento della rotazione di magazzino. Delle decine e decine elaborati dalla teoria aziendale, alle imprese, anche cooperative dell’economia ittica ne può bastare l’utilizzo solo di alcuni che permettono di valutare le implicazioni strategiche di due aspetti fondamentali dell’andamento aziendale: • Economicità della gestione: le imprese e le cooperative stanno conseguendo una redditività adeguata? • Situazione finanziaria: sono liquide e solvibile? È finanziariamente solida? Senza entrare in dettagli troppo tecnici, soffermiamoci su una sintetica descrizione degli indici fondamentali. Per quanto riguarda gli indici di prestazione, una sufficiente analisi deve tenere almeno conto di questi indici: • Reddito operativo/capitale investito: misura l’efficienza della gestione caratteristica rapportata al capitale di rischio e ai finanziamenti a lungotermine ottenuti • Margine di profitto: esprime il risultato della gestione caratteristica come una percentuale delle vendite • Rotazione del capitale investito: mostra il numero di volte in cui il capitale viene “girato” per generare il fatturato o, in altre parole, quanti euro di vendite sono generate da un euro di capitale investito Un’analisi appena più approfondita dovrà tenere conto anche di altri tre indici: 28 • Rotazione del magazzino: è il rapporto tra il fatturato e le rimanenze medie. Per le imprese di trasformazione è un indicatore fondamentale per il controllo dell’efficienza nella gestione del capitale circolante • Rotazione dei creditori: si può esprimere o in numero di volte o in giorni di credito concessi. Indica come velocemente si è pagati dai clienti • Costi generali di vendita ed amministrativi/fatturato: indica i costi indiretti in relazione al volume delle vendite Gli indici di maggiore rilievo per il controllo della situazione finanziaria delle nostre imprese per quanto riguarda la solvibilità, cioè la capacità dell’impresa di far fronte alle proprie obbligazioni, sono: • Indice d’indebitamento: è il rapporto tra finanziamenti a lungo termine e il capitale investito. Più è basso tanto più l’impresa è protetta dalle fluttuazioni dell’andamento della gestione caratteristica • Copertura degli interessi: rapporto tra reddito operativo e interessi sui prestiti a lungo termine. Indica quante volte gli interessi da pagare sono coperti dall’andamento della gestione caratteristica. Per quanto riguarda la liquidità, cioè la capacità dell’impresa di far fronte ai propri impegni nel breve periodo, segnaliamo: • Indice corrente: rapporto tra attività correnti e passività correnti. Segnala la misura in cui le attività smobilizzabili a breve coprono le passività a breve • Test acido: rapporto tra le attività liquide (liquidità correnti meno magazzino) e passività correnti. Mostra il grado di liquidità dell’impresa in relazione ai suoi impegni a breve termine: sono escluse le rimanenze in quanto la loro conversione in liquidità può richiedere tempo. Agli occhi di tutti gli osservatori esterni, la liquidità (cash flow) appare tanto importante quanto la redditività e fors’anche molto di più. Uno sforzo continuo deve essere rivolto al suo miglioramento attraverso : • un’efficace gestione dei fornitori e dei creditori • margini operativi più alti • minimizzazione del peso fiscale • investimenti più ridotti sia in capitale circolante sia in capitale fisso • riduzione dell’indebitamento per ridurre il peso degli oneri finanziari. Per quelle imprese e cooperative che hanno all’interno della propria base sociale anche dei soci finanziatori, è necessario anche compiere un’analisi basata sugli indici di capitale, per valutare come la gestione aziendale stia valorizzando i loro apporti. Sarebbe ad esempio utile calcolare l’indice del rendimento del capitale investito, adattandolo alla peculiarità del modello cooperativo comprendendo in esso, se rilevanti , anche le riserve indivisibili e il prestito sociale. 29 La misurazione dell’efficacia è ovviamente questione complessa, in special modo in ambito cooperativo. E’ però fondamentale comprendere che la misura reale del successo di una impresa, anche cooperativa è la convinzione da parte dei soci e degli altri portatori di interessi che gli obiettivi di fondo da loro percepiti come i più rilevanti sono stati conseguiti. Non sembri strana questa accentuazione dell’aspetto psicologico e soggettivo: la realtà del confronto quotidiano con questa realtà imprenditoriale ci ha fornito innumerevoli prove della sua presenza rilevante. Dalle risultanze della semplice analisi degli indici si traggono dunque indicazioni sul fatto che stia effettivamente mettendo in essere la strategia decisa. Se l’analisi mostra che così non è, il gruppo dirigente deve immediatamente interrogarsi sulle cause. Potrebbe darsi ad esempio che non si siano percepiti determinati mutamenti dell’ambiente complessivo in cui si opera; forse la strategia dei concorrenti ha spiazzato quella della cooperativa; forse sono state assunte decisioni operative sbagliate e così via. La valutazione della situazione e la considerazione dei necessari cambiamenti strategici devono essere viste come parti fondamentali di un continuo processo di apprendimento dal gruppo dirigente, che deve essere costantemente consapevole dei mutamenti in atto e di quelli che potrebbero essere necessari, pena l’abdicazione dal suo ruolo. Se questa consapevolezza esiste, se il gruppo dirigente comprende quale è l’andamento reale della’impresa (o cooperativa) ed apprezza i pericoli e le opportunità del mercato e le forze e le debolezze della cooperativa, può fornire una risposta alla cruciale domanda se le strategie sono vincenti, se le risorse a sua disposizione finanziarie e di competenze umane sono adeguate e se sono ben gestite o se ci si trova in presenza della necessità di mutamenti anche radicali. ANALISI DELLA SITUAZIONE COMPETITIVA Molte volte le piccole realtà produttive tendono ad assumere un atteggiamento fatalistico nei riguardi del mercato e della propria posizione in esso. Siamo irrilevanti, non possiamo fare niente, dobbiamo accettare le cose così come sono. Non sempre è così e per capire quali margini di manovra è possibile attuare non sembra inutile soffermarsi a riflettere su che cosa si intende per situazione competitiva . Due sono gli aspetti della posizione corrente dell’impresa e/o cooperativa da considerare ai fini dell’impostazione di una corretta strategia di crescita: la struttura del mercato di riferimento e la posizione dell’impresa nel mercato. Per quanto riguarda il primo aspetto, bisogna considerare il numero delle imprese, le modalità della competizione e il tasso di crescita del mercato. Un mercato può presentare aspetti di richiamo per una impresa in relazione al suo potenziale di crescita potenziale e di redditività potenziale. 30 Per quanto riguarda il secondo aspetto, la posizione di un’impresa comprende la sua dimensione e la sua quota di mercato, come compete, se è dotata di specifiche e riconosciute capacità competitive e se si situa con successo in segmenti selezionati del mercato. E’ ovvio, ma spesso fonte di clamorosi fallimenti imprenditoriali, il fatto che un’impresa ben difficilmente può avere successo se decide di competere in un mercato perché è redditizio e ha forti possibilità di crescita, ma in questo non la ha la possibilità di sviluppare vantaggi competitivi. Allo stesso modo un’impresa non dovrebbe concentrasi nel cercare di creare un vantaggio competitivo senza valutare le reali potenzialità del mercato. Con uno specifico vantaggio competitivo un’impresa potrebbe essere certamente profittevole in un mercato poco attraente, ma ci sarebbero ben poche possibilità di crescita se questo mercato fosse destinato a svilupparsi più lentamente dell’economia in generale. Il profitto non il solo fine dell’attività, ma i profitti sono importanti per raggiungere gli altri obiettivi e per aiutare a finanziare la crescita. L’impresa deve dunque, per ottenere profitti stabili, creare valore per i consumatori, creare un vantaggio competitivo per sostenere la creazione di valore, operare con efficienza ed efficacia. Generalmente è più facile creare inizialmente un vantaggio competitivo che riuscire poi a sostenerlo nel tempo. Un vantaggio competitivo non può essere sostenuto per sempre e probabilmente neppure per lungo tempo senza cambiamenti nei prodotti, nei servizi e nelle strategie che tengano conto delle mutate preferenze del mercato e dell’attività dei concorrenti. Un vantaggio competitivo può essere sostenuto solo da un costante sforzo verso l’innovazione. Le imprese che sono orientate verso il cambiamento sviluppano nuove forme di vantaggio competitivo attraverso nuove idee innovative che riguardano ogni fase dell’attività manageriale. Se un’impresa non riesce a stare al passo del mercato deve considerare una strategia di ristrutturazione e di ritorno al valore. LA CURVA DELL’ESPERIENZA Un concetto manageriale importante ai fini del conseguimento del vantaggio competitivo è quello di curva dell’esperienza, che giustifica il richiamo ad una politica di integrazione della filiera. Una dimensione maggiore rispetto ai concorrenti può arrecare grandi benefici. In particolare se un’impresa ha una quota di mercato maggiore di quella dei suoi concorrenti dispone di una possibilità di conseguire maggiori profitti. Costi più bassi possono essere ottenuti attraverso economie di scala e gli effetti dell’apprendimento o dell’esperienza a condizione che l’impresa sia ben condotta. Allorché, infatti, la produzione incrementa nel tempo si crea la potenzialità di una riduzione dei costi secondo un tasso prevedibile. L’impresa apprende a fare 31 le cose meglio. I risparmi sono diffusi in tutte le aree di costo: produzione, amministrazione, vendita, distribuzione. L’effetto esperienza è stato osservato ovunque, nei settori ad alta o bassa tecnologia, nella fase della maturità come in quella degli inizi, nella industria della trasformazione come in quella dei servizi. Una lista non esaustiva dei fattori alla base della curva dell’esperienza comprende : • l’aumentata efficienza del lavoro attraverso l’apprendimento e il conseguente aumento dell’abilità • l’opportunità di una maggiore specializzazione nei metodi di produzione, una maggiore produttività dalle attrezzature in quanto il personale impara a usarle in modo più efficiente. Occorre ribadire con forza che questi effetti benefici non sono automatici e che una buona gestione manageriale è sempre indispensabile per conseguire i vantaggi connessi all’esperienza. La curva dell’esperienza gioca un ruolo importante anche nelle decisioni di prezzo. Chi gode di un vantaggio nei costi come risultato dell’esperienza accumulata può utilizzarla per una decisone di prezzo legata ai propri obiettivi di profitto e di crescita nel mercato. IL MODELLO DELLE CINQUE FORZE DI PORTER Il modello probabilmente più noto - e fors’anche il più potente - per analizzare un settore economico è stato elaborato da Porter negli anni ‘80. Le sue risultanze calzano perfettamente anche per il settore ittico e consentono di trarre alcune importanti conclusioni di politica industriale. Secondo questo modello l’attrattività e la profittabilità di un settore sono determinati da cinque forze. Al cuore del settore agiscono i concorrenti e le loro strategie, ma per capirne la dinamica occorre guardare oltre ad essi in quanto esistono altri fattori di opportunità e di pericolo. In modo particolare, occorre prestare attenzione al rischio posto da prodotti o servizi considerati dai clienti come alternativi e sostitutivi. Vi è poi il pericolo costituito dai nuovi entranti, anche se alcuni vedono in questo anche un’opportunità di intensificare una politica di fidelizzazione dei clienti. E’ poi importante rimarcare come influiscono sulla posizione dell’impresa i rapporti con i fornitori e i clienti e le rispettive posizioni di forza. Se questi soggetti dispongono di un grande potere contrattuale si trovano nella posizione di ridurre i profitti dell’impresa attraverso la riduzione dei margini conseguente a aumenti dei costi o riduzione dei prezzi. Questi problemi sembrerebbero indirizzare ad una maggiore spinta verso i processi di integrazione verticale di filiera. 32 L’integrazione verticale, ricordiamo, si verifica quando un’impresa acquista o si fonde con un fornitore o un cliente e quindi guadagna un maggiore controllo sopra l’intera catena di attività che conduce dalla materia prima al consumo finale. Se un’impresa comprende realmente e pienamente la natura delle cinque forze, e comprende in particolare qual è cruciale per il suo successo in ogni dato momento, si trova in una posizione più forte per difendersi dai pericoli ed influenzare le forze esterne con la sua strategia. Conviene guardare un po’ più da vicino l’operare di ciascuna di esse all’interno del settore. 1- il pericolo dei nuovi entranti: le barriere all’entrata. Se le barriere all’entrata sono alte i nuovi entranti sono ovviamente scoraggiati e se cercano comunque di entrare, i loro tentativi provocano quasi certamente una reazione delle imprese che già operano nel settore. Se le barriere sono basse, generalmente le reazioni sono più lente e si aprono più opportunità per gli entranti. Diversi fattori sono all’origine delle barriere all’entrata: economie di scala (con un ruolo particolare, come abbiamo visto, attribuibile alla curva dell’esperienza), differenziazione dei prodotti, ammontare del capitale da investire, costi di switching (il cambio di un fornitore nuovo entrante per un cliente può comportare costi e problemi), accesso ai canali distributivi, vantaggi di costo indipendenti dalle economie di scala (come ad esempio la disponibilità di particolari materie prime non accessibili a tutti). Un’impresa attratta da alti margini in un mercato o segmento di esso può valutare la forza delle reazioni delle imprese già in esso operanti esaminando il comportamento passato quando i nuovi venuti sono entrati o hanno cercato di entrare, la disponibilità di risorse per le azioni di rappresaglia, gli investimenti “dedicati”, che cioè non possono essere utilizzati al di fuori di quello specifico mercato, che rendono la rappresaglia inevitabile per difendere la loro posizione, il tasso di crescita del settore o subsettore (tanto più è alto tanto più un nuovo entrante può essere assorbito senza troppi problemi). Le imprese esistenti possono essere disposte a ridurre i loro prezzi per scongiurare nuovi ingressi soprattutto nel caso in cui l’offerta già ecceda la domanda. Questo ovviamente incide sulla redditività. Il concetto di differenziazione di prodotto merita un approfondimento vista l’importanza che riveste per le imprese, anche cooperative di trasformazione (ma non solo: pensiamo anche alle possibilità per il settore primario, con le varie politiche di identificazione dell’origine e della genuinità e freschezza, e la ricerca con le politiche della qualità). Si dice che un prodotto o un servizio è differenziato se i consumatori o i clienti percepiscono delle qualità e delle proprietà che lo rendono distinto da altri prodotti e servizi di altre imprese ed idealmente in un qualche modo unico. La differenziazione è soprattutto portatrice di benefici se i clienti sono disposti a pagare di più per ottenerlo (premio sul prezzo). 33 La differenziazione di prodotto parte dalla considerazione che i clienti possono avere bisogni diversi e differenti poteri di acquisto. Essa non deve essere necessariamente tangibile o materialmente esistente: basta che i clienti la percepiscano come tale. Specifici gruppi di clienti con bisogni similari sono definiti come segmenti del mercato e spesso i prodotti e i servizi sono differenziati per raggiungerli con maggiore valore aggiunto per l’impresa. La segmentazione può essere basata su molti e differenti fattori. Ciò che importa affinché rechi vantaggio alla struttura aziendale o cooperativa è che il segmento ritenuto di interesse possa facilmente e chiaramente essere separato dal resto del mercato e raggiungibile dai propri canali distributivi. 2- il potere contrattuale dei fornitori Per evitare che il comportamento e il relativo potere dei fornitori possano comprimere i margini di redditività, la via che l’impresa ha di fronte a sé passa per il controllo delle forniture attraverso l’integrazione verticale o accordi di fornitura a lungo termine. Alcuni dei fattori alla base del potere dei fornitori possono essere così identificati: • concentrazione dei fornitori nei riguardi del settore • la misura in cui l’impresa e/o cooperativa è importante per il fornitore • i costi del passaggio da un fornitore ad un altro. 3- il potere contrattuale degli acquirenti Anche in questo caso la ricetta per evitare che gli acquirenti si impossessino dei margini risiede negli accordi di cooperazione a lungo termine e nella integrazione verticale. Tra le cause che determinano questo potere si possono citare: • la concentrazione e la dimensione dell’acquirente • l’importanza per l’acquirente dei prodotti e dei servizi in termini sia di costi sia di qualità • il livello della standardizzazione di prodotto, che influenza la sostituibilità • i costi e la praticabilità di cambiare fornitore da parte dell’acquirente. 4- la minaccia di prodotti o servizi che possono fungere da sostituti L’ esistenza o meno di prodotti o servizi sostituibili contribuisce a determinare l’ elasticità della domanda per un prodotto o servizio (sensibilità al prezzo). Se i prodotti non sono visti come altamente sostituibili allora saranno meno sensibili a politiche di prezzo attuate dai concorrenti. E’ questa la ragione per cui le imprese cercano di stabilire una chiara differenziazione di prodotto o servizio per creare una fidelizzazione del cliente e renderli meno sensibili al prezzo dei beni o servizi dei concorrenti 34 5- la concorrenza tra le imprese già presenti sul mercato la concorrenza può assumere differenti forme: concorrenza sul prezzo; promozione e immagine; innovazione. Se esiste interdipendenza tra le imprese (i risultati di una sono condizionati dalle azioni delle altre) le azioni di reazione diventano una caratteristica del mercato. Prima di decidere azioni aggressive nei riguardi dei concorrenti bisogna cercare di prevederne la reazione. L’intensità della competizione dipende dalla struttura del mercato che dipende da diversi elementi: • il numero dei concorrenti e il grado di concentrazione • il tasso di crescita del mercato: un basso tasso di crescita aumenta la pressione sui concorrenti per combattere per la quota di mercato • il grado di differenziazione: tanto è più basso tanto più la competizione sul prezzo è probabile • la struttura dei costi: quando i costi fissi sono alti rispetto ai costi variabili le imprese i profitti sono dipendenti dal volume delle vendite • la discontinuità degli investimenti • la misura in cui i concorrenti sono consci delle strategie dei loro rivali: un aspetto di questo elemento è la relativa importanza del prodotto o servizio per ogni singolo concorrente • gli obiettivi delle imprese concorrenti: che cosa loro interessa veramente (se i profitti o il volume delle vendite o la quota di mercato). Gli obiettivi, come si è visto, determinano le strategie. • Le barriere all’uscita e il costo di lasciare il mercato: se si configurano alti per qualsiasi ragione, le imprese possono accettare bassi margini e limitate occasioni di profitto pur di rimanere nel mercato. I tipi di investimento che determinano i costi di uscita sono i beni c.d. dedicati (come si è detto, beni che non possono essere usati o che non possono essere usati in modo redditizio in altri settori); i costi dei lavoratori in esubero; aspetti emotivi legati alla storia dell’impresa; pressioni da parte delle istituzioni per non chiudere. Come conclusione del ragionamento, una impresa e/o cooperativa per essere in grado di sopravvivere su un mercato concorrenziale e attuare politiche di sviluppo deve: • Capire quale delle cinque forze è determinante (è diversa per ogni settore o subsettore di attività) e concentrare l’attenzione strategica su questa area • Posizionarsi per la migliore difesa possibile contro ogni minaccia da parte delle altre imprese • Cercare di condizionare le cinque forze del mercato attraverso le proprie strategie competitive. • Anticipare i mutamenti o gli spostamenti nelle cinque forze: i fattori che generano successo nel breve termine possono non produrlo nel futuro. 35 LA LEADERSHIP DI COSTO Come si vede il modello porteriano sembra attagliarsi piuttosto bene alla situazione di mercato in cui si ritrovano tante piccole e medie imprese, anche cooperative. La sua portata esplicativa e normativa risulta ancora più chiaramente se si considera l’approfondimento che egli fa delle due scelte basilari cui si trova di fronte un’impresa quando cerca di creare e sostenere nel tempo un vantaggio competitivo: la differenziazione e la leadership nei costi. Della prima scelta si è già detto a sufficienza in questa sede nel corso della trattazione. La leadership nel costo richiede, da parte dell’impresa che decide di perseguire questa strategia, il fatto di essere senza rivali in questa posizione. Attenzione però: la leadership nel costo come strategia generale non implica che l’impresa si presenti sul mercato con i prodotti o i servizi al prezzo più basso. Molto spesso i prodotti al prezzo più basso sono considerati di livello inferiore. Costi bassi non significa “a buon mercato”: le imprese con una bassa struttura dei costi possono rivolgersi ai segmenti alti del mercato piuttosto che ai bassi. Allo stesso modo avere la leadership nei costi non significa paghe più basse per i lavoratori o minore remunerazione per il capitale investito, in quanto questo tipo di impresa solitamente presenta alti margini di valore aggiunto. Il suo obiettivo è quello di assicurarsi un vantaggio di costo sui propri rivali, attuare una politica di prezzo commisurata a quanto il mercato percepisce essere la qualità dei suoi prodotti o servizi e conseguire un alto reddito operativo. Le imprese che perseguono questa strategia cercano in sostanza di raggiungere profitti al di sopra della media praticando prezzi nella media del mercato. É una strategia che sembra particolarmente congruente con le caratteristiche culturali e i valori e le risorse umane delle imprese, ivi comprese le cooperative. L’ANALISI DEI PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA DELL’IMPRESA Una volta compresa attraverso l’applicazione del modello porteriano semplificato la dinamica delle forze del mercato in cui si opera o si vorrebbe operare, il passo successivo per la definizione di una appropriata strategia è rappresentato per la nostra impresa dalla valutazione dei propri punti di forza e debolezza. Questo tipo di analisi vuole fornire la risposta essenzialmente a due domande: • Quali sono le nostre opportunità e le minacce? • Come possiamo avvantaggiarci delle nostre debolezze e ridurre le nostre debolezze? 36 La prima questione è relativa all’ambiente complessivo in cui opera l’impresa, la seconda si riferisce alle risorse complessive a sua disposizione. Le opportunità che vanno considerate sono quelle che possono essere colte con successo in quanto corrispondono alle risorse e ai valori dell’organizzazione; le minacce ambientali da tenere in considerazione sono essenzialmente quelle che l’impresa non è attrezzata ad affrontare; le risorse chiave sono quelle dove l’impresa gode di una relativamente forte posizione competitiva e che si ricollegano a fattori chiave di successo; i punti di debolezza chiave sono quelli che impediscono all’organizzazione di raggiungere il vantaggio competitivo. Solitamente è utile iniziare questa analisi predisponendo una griglia in cui si focalizza l’attenzione sulle caratteristiche del mercato secondo il modello di Porter stabilendo con un punteggio il grado di relativa importanza da un lato e i punti di relativa forza e debolezza dell’impresa dall’altro, in modo da consentire una discussione nell’ambito del gruppo dirigente, che permetta ai problemi di emergere con chiarezza. Nella pratica sono usati due approcci alternativi. Il primo prende l’avvio dalla missione dell’impresa come specificata dalla sua strategia e cerca di rispondere a domande come: • Qual è il grado di congruenza dell’impresa con l’ambiente in cui opera in questo momento? • In che grado le risorse e i valori dell’impresa sono adeguati per perseguire con successo i cambiamenti che dovranno essere effettuati? • La cultura dell’impresa sta efficacemente combinando le nostre risorse con le caratteristiche dell’ambiente? • Quali mercati e segmenti di mercato possono effettivamente apprezzare questi valori e queste capacità? Un approccio alternativo parte invece dai prodotti e dai mercati dove l’impresa già compete e li valuta in termini di opportunità, minacce e fattori chiave di successo e cerca di dare una risposta a domande come: • Le nostre risorse sono adeguate e appropriate per essere competitivi? • I nostri valori culturali di impresa sono adeguati? Un altro filone di ragionamento sostiene l’utilità di considerare le capacità, le risorse e le influenze dell’ambiente economico in cui si opera in relazione a specifici aspetti strategici. Un esempio può aiutarci a capire. Se un’impresa ha come obiettivo di aumentare la redditività di un particolare prodotto o servizio di una certa percentuale in un dato periodo, può elaborare una lista dei fattori chiave di successo disposti secondo la percezione d’importanza per i clienti e la situazione dell’ impresa in relazione ad essi. Da questo si potrebbe ricavare la convinzione che esistono opportunità di aumentare le vendite sfruttando meglio il proprio canale distributivo, oppure che 37 una riduzione dei costi, conseguibile attraverso una gestione più efficiente del processo produttivo, potrebbe aumentare la redditività. Si sceglie l’alternativa ritenuta migliore a questa biforcazione concettuale e si passa poi alle scelte relative alle alternative successive fino a giungere alla scelta ritenuta ottimale. In sostanza questo modello spezza le decisioni alternative in una forma ad albero, in cui ad ogni ramo corrisponde una connessione tra risorse a disposizione e obiettivi, fino ad arrivare a definire un percorso decisionale ritenuto ottimale. SINTESI OPERATIVA DEI CONCETTI PRINCIPALI DELLA GESTIONE MANAGERIALE Per i fini di questo lavoro, che vogliono essere solo uno stimolo per le imprese e cooperative del mondo della pesca a confrontarsi con i principi generali del pensare in termini strategici, ciò che è stato detto finora può bastare. Riteniamo utile allora tentare di giungere ad una sintesi operativa dei concetti principali alla base di una buona gestione aziendale: • Il fatto di essere piccole imprese e/o cooperative non deve essere un alibi per non dotarsi di strategie competitive ed anche, sia pure limitatamente, funzionali (relative alle varie funzioni presenti): anzi esse sono particolarmente importanti per le piccole imprese che hanno meno margini delle grandi per “ammortizzare” le inefficienze. • I punti di forza e di debolezza vanno sempre considerati in termini relativi alla situazione di mercato in cui si opera e non in termini assoluti. • Anche le risorse non sono deboli e forti in senso assoluto : il loro valore dipende da come sono gestite managerialmente, se sono cioè gestite efficientemente e efficacemente. • I sistemi di pianificazione e controllo della produzione e della finanza sono essenziali anche a livelli dimensionali ridotti. I modi in cui il gruppo dirigente coopera con tutti i soggetti dell’impresa influenza fortemente l’efficacia e l’efficienza della gestione delle risorse. • Il gruppo dirigente deve essere pienamente consapevole delle risorse umane e materiali a disposizione dell’organizzazione e deve affrontare non solo i problemi quotidiani, ma anche problemi di carattere strategico se si vuole che queste risorse siano usate per creare e sostenere vantaggio competitivo. • Tutti all’interno dell’organizzazione devono essere consapevoli dei consumatori e dei clienti, dei loro bisogni e di come l’impresa li possa soddisfare raggiungendo nel contempo i propri obiettivi. I valori e la cultura dell’impresa devono impregnarsi di questa consapevolezza. La distinzione tra clienti e consumatori vale particolarmente per le cooperative di trasformazione, quando i loro clienti sono essenzialmente distributori e i consumatori finali sono i clienti di questi distributori. • Innovazione e qualità devono sempre essere visti come aspetti importanti dell’agire manageriale e come parte della cultura aziendale. 38 • Un’impresa innovativa è pronta al cambiamento e cerca opportunità per cambiare in meglio in modo da non lasciarsi travolgere dalla concorrenza. • Un’attenzione per la qualità a qualsiasi stadio dell’attività dell’organizzazione influenza sia i costi sia la soddisfazione del cliente. • Nella gestione delle risorse umane i valori cooperativi devono essere comunicati e diffusi a tutta l’organizzazione. • La gestione finanziaria deve includere il controllo dei costi in modo da produrre profitto e valore che si aggiungono ai prodotti e ai servizi. • Bassi costi e differenziazione sono le forme essenziali di vantaggio competitivo. Sono legati sia alla consapevolezza dei bisogni dei clienti sia alla gestione manageriale delle risorse per soddisfare questi bisogni efficacemente e con profitto. • Orientamento al mercato e efficace gestione della produzione, della finanza e delle risorse umane sono tutti aspetti essenziali della creazione e del mantenimento di vantaggio competitivo. • La missione definisce lo scopo essenziale dell'organizzazione, ciò che concerne il motivo della sua esistenza, la natura dell'area di attività economica in cui opera, e i clienti che cerca di servire e soddisfare. • Gli obiettivi sono i risultati legati a particolari orizzonti temporali e riguardano la disciplina o il tipo di organizzazione, il livello dei risultati economici ecc. • Le strategie sono i mezzi attraverso i quali le organizzazioni conseguono o cercano di conseguire gli obiettivi. Esistono una strategia per ogni prodotto o servizio e una strategia generale per l'organizzazione. • La conduzione strategica è il processo attraverso il quale una organizzazione stabilisce i suoi obiettivi, formula le azioni indirizzate a raggiungere quegli obiettivi nei tempi prefissati, sviluppa le azioni e valuta i progetti ed i risultati. • Il cambiamento strategico riguarda i cambiamenti che si verificano nel corso del tempo nelle strategie e negli obiettivi dell'organizzazione. Il cambiamento può essere di tipo graduale o evolutivo, o anche rivoluzionario. • La consapevolezza strategica è la comprensione da parte dei managers della strategia seguita dall'organizzazione e di come l'efficacia di questa strategia potrebbe essere migliorata e della necessità e della fattibilità delle opportunità di cambiamento. • Per delle piccole imprese un modello semplificato strategico, utile al fine di cominciare a ragionare su questi argomenti, potrebbe essere così definito: CONSAPEVOLEZZA STRATEGICA - Qual è l'affidabilità delle nostre informazioni? - Come stiamo andando? E perchè? - Quali sono le nostre opportunità? E le minacce? - Come possiamo sfruttare i nostri punti di forza e ridurre le nostre debolezze? CAMBIAMENTO STRATEGICO - Dove vogliamo andare? 39 - Dati i nostri punti di forza, le nostre debolezze, le nostre opportunità e le nostre minacce, che cosa è realistico? E che cosa è necessario? - Quali alternative abbiamo? - Come scegliamo la linea di azione? - Cosa possiamo/non possiamo/dobbiamo/non dobbiamo fare? - Come possiamo far funzionare la strategia? - Come possiamo guidare il cambiamento? • Non c'è alcun approccio universale alla strategia aziendale e al cambiamento strategico. Si deve scegliere di volta in volta quali approcci e quali tipi di decisione sono più efficaci in particolari circostanze. In altre parole, esperienza, teoria e concetti generano la consapevolezza. Quest'ultima, combinata con la riflessione, migliora la comprensione.Una continua valutazione aiuta a sviluppare una prospettiva personale di conduzione aziendale efficace. La catena può essere così sintetizzata: esperienza / riflessione / teoria / pragmatismo / sperimentazione. • L'obiettivo della diagnostica esterna (minacce e opportunità) è di analizzare l'evoluzione dell'ambiente in cui opera l'impresa al fine di individuare le grandi tendenze suscettibili di esercitare un'influenza sullo sviluppo dell'impresa. I cambiamenti dell'ambiente possono rappresentare delle minacce, ma anche delle opportunità, sotto il segno dell'ambivalenza in molte occasioni e quindi da interpretare con grande attenzione. • E' importante individuare i fenomeni significativi che modificano la situazione data e obbligano l'impresa a rispondere alla nuova situazione con una decisione strategica. L'AMBIENTE ECONOMICO a) L'ambiente Macroeconomico Le caratteristiche generali dell'ambiente macroeconomico condizionano la strategia di qualsiasi impresa, indipendentemente dalla sua dimensione e dal suo settore d’ attività. Alcuni semplici esempi: nei periodi di crescita rapida dell'economia, le imprese adottano spesso delle strategie di sviluppo basate su delle politiche di diversificazione; d'altra parte durante i periodi di crisi economica, si mettono in essere piuttosto delle strategie di rilocalizzazione sul mestiere di base (core business). b) L'ambiente Mesoeconomico Si tratta di analizzare per le cooperative della pesca la propria produzione nell'ambito della filiera. Le forze concorrenziali e l'evoluzione tecnologica ai differenti stadi della filiera obbligano le imprese a mettere in atto delle strategie d'integrazione verticale o di spostamento lungo la filiera. 40 c) L'ambiente Microeconomico Si tratta di analizzare le relazioni intrattienuti con altri agenti economici chiaramente identificati per la loro rilevanza ai fini dell'attività imprenditoriale. I PARTNER COMMERCIALI DIRETTI DELL'IMPRESA E' assolutamente necessario conoscere precisamente le caratteristiche economico-finanziarie comportamentali dei principali clienti e fornitori, allo scopo di giudicare i rapporti di forza e di individuare tempestivamente le eventuali minacce. L'INTEGRAZIONE IN AMBITO LOCALE E' impossibile valutare la situazione di una impresa o di una cooperativa e la sua strategia indipendentemente dalle sue interazioni economiche e sociali con il territorio che ne costituiscono la forza vitale. 41 Capitolo quarto LA GESTIONE FINANZIARIA IL RENDICONTO FINANZIARIO Uno schema di riferimento per cominciare a ragionare sui criteri di una corretta gestione della funzione finanziaria può essere quello del rendiconto finanziario. Al rendiconto finanziario si può ricorrere sia a scopo consuntivo (per comprendere l’evoluzione della dinamica finanziaria in un periodo trascorso), sia a scopo previsionale per individuare la possibilità dell’impresa di proseguire la propria attività preservando l’equilibrio finanziario. RENDICONTO FINANZIARIO REDDITO OPERATIVO - IMPOSTE + AMMORTAMENTI = FLUSSO DI CIRCOLANTE DELLA GESTIONE CORRENTE VARIAZIONE DEL CAPITALE CIRCOLANTE (aumento/riduzione di crediti commerciali, aumento/riduzione del magazzino, aumento/riduzione dei debiti di fornitura, aumento/riduzione di altri debiti correnti, aumento/riduzione dei fondi imposte) FLUSSO MONETARIO DELLA GESTIONE CORRENTE +/- VARIAZIONE DEGLI INVESTIMENTI - RIMBORSI DEBITI NON CORRENTI - INTERESSI PASSIVI NETTI - DIVIDENDI +/- NUOVI FINANZIAMENTI CAPITALE DI RISCHIO E DI CREDITO = SALDO MONETARIO DI ESERCIZIO Il rendiconto finanziario evidenzia tutte le variabili che il responsabile finanziario deve “gestire”, su cui cioè è chiamato a decidere. LE DECISIONI FINANZIARIE Queste decisioni possono essere raggruppate in tre tipologie: - decisioni di investimento; - decisioni che riguardano le modalità di finanziamento degli investimenti; - decisioni che riguardano i dividendi o, nel caso delle cooperative, i ristorni (decisioni che riguardano l’autofinanziamento). Per decisioni di investimento si devono intendere in senso estensivo tutte quelle decisioni che riguardano, secondo la definizione di Robbins, “l’allocazione delle scarse risorse a disposizione dell’impresa, tra tipi alternativi”. 42 Si tratta dunque delle decisioni che riguardano la sfera della produzione (immobilizzazioni materiali o immateriali), della distribuzione, del capitale circolante. Anche le decisioni riguardanti le acquisizioni e le fusioni rientrano in questa categoria. Il compito essenziale per una corretta gestione finanziaria delle decisioni di investimento è quello di misurare il rendimento di un investimento progettato e di compararlo con un tasso minimo di rendimento richiesto (che tiene conto della rischiosità del progetto) al fine di giudicarne la convenienza. Le decisioni di investimento riguardano la scelta della struttura finanziaria: in quale misura, con quale combinazione di mezzi propri e indebitamento finanziare i progetti di investimento. Si deve dare una risposta alla domanda se esiste una struttura finanziaria ottima – che minimizzi i costi per l’impresa – e dunque bisogna considerare i costi e i benefici delle molteplici differenti scelte che si possono compiere. Le decisioni sui dividendi e il ristorno riguardano le politiche di autofinanziamento che l’impresa intende seguire, ovverosia quale ammontare dell’utile prodotto si decide di reinvestire nelle politiche aziendali. Quanto più ampie sono le opportunità di crescita per l’impresa, tanto maggiore è il tasso di sviluppo a cui si rinuncia se si decide di rinunciare all’autofinanziamento: l’impresa investe meno di quanto potrebbe potenzialmente. L’ OBIETTIVO DELLA FUNZIONE FINANZIARIA L’obiettivo della funzione finanziaria è di massimizzare il valore dell’impresa, che è rappresentato, secondo la teoria ormai più accreditata (si veda l’apposito capitolo sulla nozione di valore d’impresa), dal valore presente dei suoi flussi di cassa attesi scontati a un tasso che riflette sia il rischio dei progetti intrapresi sia la struttura finanziaria prescelta per finanziarli. I finanziatori (soci e banche) si formano aspettative sui flussi di cassa futuri, basati sui flussi di cassa effettivamente realizzati nel presente, e sulla crescita futura attesa che, a sua volta, dipende dalla qualità dei progetti intrapresi dall’impresa (le sue decisioni di investimento) e l’ammontare delle risorse reinvestite (le decisioni di autofinanziamento). Il cerchio si chiude: le decisioni di finanziamento influiscono sul valore di un’impresa sia attraverso il tasso di sconto sia potenzialmente sui flussi di cassa attesi. I PRINCIPI BASILARI DELLA FINANZA D’AZIENDA Dunque, il ruolo della finanza d’azienda è esteso e significativo. Vi sono alcuni principi basilari su cui fonda le proprie tecniche e le proprie conclusioni: • la coerenza interna, che deriva dalla funzione obiettivo adottata di massimizzare il valore dell’impresa e dai sui assunti inconfutabili (il rischio deve essere remunerato, i flussi di cassa contano più del reddito contabile, i 43 finanziatori non possono essere ingannati per sempre, ogni decisione presa dall’azienda produce effetti sul suo valore). • l’integrazione, nel senso che tutte le decisioni finanziarie devono essere viste come un insieme organico e non come una serie di decisioni separate e distinte. Le imprese che affrontano i loro problemi finanziari senza questa visione globale hanno poche speranze di giungere a delle soluzioni corrette. • l’importanza, poiché ogni decisione operativa assunta dall’impresa ha dei risvolti e delle conseguenze finanziarie. • la creatività, perché essendo la finanza d’azienda focalizzata sugli aspetti quantitativi, comporta una parte rilevante di pensiero creativo per cercare di trovare soluzioni efficaci ai problemi con cui si deve confrontare. Colui che in cooperativa si occupa di finanza deve in sostanza non solo limitarsi ad assicurare che le risorse finanziarie siano disponibili al momento giusto, per il corretto periodo di tempo e al costo più basso possibile, ma deve anche, in concorso con il resto del gruppo dirigente, assicurarsi che siano usate nel modo più efficiente ed efficace possibile. In termini più tecnici egli si occuperà della pianificazione finanziaria, dovendo provvedere all’allocazione delle risorse su un orizzonte temporale sia annuale (capitale circolante) sia pluriennale (immobilizzazioni materiali e immateriali). LA PIANIFICAZIONE FINANZIARIA La pianificazione finanziaria in un’impresa di piccole dimensioni potrà basarsi su due strumenti fondamentali: il piano inerziale e il piano di sviluppo. Con il piano finanziario l’impresa o cooperativa deve fornire una risposta a questioni cruciali come: • qual è e quale sarà la situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa negli anni futuri in ipotesi di “inerzia strategica”, ovverosia senza intraprendere nuovi investimenti? • Tra gli investimenti proposti dal gruppo dirigente, quali risulta conveniente intraprendere? Quali investimenti aumentano il valore dell’impresa e/o cooperativa e quali lo diminuiscono? • Come si ritiene di dover finanziare il piano di investimenti? Attraverso il ricorso a capitale proprio o a capitale di credito? Oppure attraverso l’autofinanziamento? • Come muterà presumibilmente la situazione economica, patrimoniale, finanziaria dell’impresa una volta effettuati gli investimenti selezionati e messa in essere la struttura finanziaria ritenuta ottimale? • Qual è l’impatto dei nuovi investimenti sul rischio operativo dell’impresa? Quale l’impatto delle decisioni di finanziamento sul rischio operativo? E’ possibile valutare l’impatto che le strategie di investimento e finanziarie hanno sul rischio complessivo delle imprese? Si tratta insomma di una bussola per guidare la struttura aziendale o cooperativa. 44 Le fasi di realizzazione della pianificazione finanziaria secondo questo schema di analisi (Carradori-Grasselli,1999) sono: • piano finanziario inerziale e stima del valore della impresa/cooperativa per i soci; individuazione delle strategie di sviluppo e dei nuovi investimenti da effettuare; • piano di finanziamento dei nuovi investimenti; • predisposizione del piano finanziario integrato, che tiene conto delle fasi precedenti; • valutazione dell’impatto del nuovo piano di investimenti sul rischio operativo e finanziario • valutazione globale del piano finanziario consolidato e del suo impatto sul valore complessivo dell’impresa e/o cooperativa Si tratta di un modello di pianificazione finanziaria che, seguendo le più apprezzate tendenze nella pratica, privilegia la dimensione finanziaria rispetto ai risultati economici, evidenziando le dinamiche dei flussi di cassa di medio-lungo periodo. Il fattore rischio è considerato nella sua duplice accezione di rischio operativo e rischio finanziario. Inoltre, consente di tenere conto di tutte le principali decisioni di finanza (scelta degli investimenti, gestione del capitale circolante, le scelte di struttura finanziaria). IL PIANO FINANZIARIO INERZIALE Il primo passo dunque nel processo di pianificazione finanziaria consiste nell’elaborare un piano finanziario inerziale. Per usare le parole di Rappaport, si tratta di prendere un’impresa con la sua struttura di investimenti e di risorse attuale e di proiettarla negli esercizi futuri dal punto di vista economico, patrimoniale e finanziario. Un problema delicato da affrontare per la predisposizione del piano inerziale riguarda la scelta dell’orizzonte temporale per il quale effettuare la previsione analitica dei flussi di cassa. Per le cooperative di trasformazione e di pesca un orizzonte di cinque anni appare, vista la struttura degli investimenti, adeguato. Infatti, il piano finanziario deve essere modellato sulle caratteristiche della concorrenza e sui tempi di utilizzazione economica degli investimenti. Il periodo della previsione analitica deve essere comunque posto in relazione al grado di realismo che è possibile perseguire. Previsioni oltre i dieci anni quasi sempre non sono molto significative. Il piano finanziario inerziale è composto dai tre tipici documenti economicofinanziari: • conto economico; • flussi di cassa; • stato patrimoniale. 45 Il prospetto di conto economico deve essere costruito partendo dalla previsione delle variabili economiche (prezzi di vendita, costi variabili di vendita, costo industriale del venduto) e poi dalle previsioni delle variabili finanziarie (saldo della politica di investimenti fissi di mantenimento, politica di gestione del credito, dei fornitori, degli stock, costo dei finanziamenti). Lo schema è questo per ciascun anno di previsione: RICAVI LORDI DIVENDITA - SCONTI E RETTIFICHE = FATTURATO NETTO - ALTRI COSTI VARIABILI - COSTI DEL VENDUTO = MARGINE DI CONTRIBUZIONE - DEBITI FISCALI - COSTI FISSI DI PRODOTTO = MARGINE LORDO INDUSTRIALE - SPESE GENERALI VENDITA/AMMINISTRAZIONE - ALTRI COSTI FISSI = REDDITO OPERATIVO - ONERI/PROVENTI FINANZIARI = RISULTATO LORDO - ONERI TRIBUTARI = RISULTATO NETTO Lo schema dei flussi di cassa, sempre per ciascuno degli anni di previsione, è così definito: RISULTATO NETTO + AMMORTAMENTI = CASH FLOW GESTIONALE +/- CAPITALE CIRCOLANTE NETTO +/- INVESTIMENTI/DISINVESTIMENTI = CASH FLOW GESTIONALE NETTO +/- AUMENTI/RIDUZIONI DI CAPITALE = CASH FLOW TOTALE La pianificazione finanziaria deve essere poi completata con l’impatto che le politiche di investimento scelte dalle cooperative hanno sulle variabili economiche e finanziarie in precedenza definite dalla pianificazione inerziale. Si riformulano quindi i conti economici e i flussi di cassa secondo gli schemi illustrati. METODI PER VALUTARE LA CONVENIENZA DEGLI INVESTIMENTI Si tratta di valutare come scegliere gli investimenti da effettuarsi. Poiché la politica degli investimenti rappresenta l’aspetto fondamentale della vita dell’impresa, anche della più piccola delle imprese, tutto il gruppo dirigente 46 di una impresa e/o cooperativa deve partecipare al processo di scelta e conoscere operativamente i metodi per compiere delle valutazioni fondate dal punto di vista economico-finanziario. Seguendo l’esposizione di Monti, riconduciamo questi modelli a due gruppi fondamentali: • gruppo dei modelli neo-marginalistici; • gruppo dei modelli empirici. Entrambi i gruppi dei modelli soffrono di limitazioni o di astrazioni dalla realtà che vale la pena di ricordare: • certezza del contesto in cui viene presa la decisione di investimento, che comporta un unico valore noto a priori per ogni variabile presa in considerazione; • investimenti fra di loro indipendenti: la realizzazione di un investimento non influisce sul flusso di cassa di altri eventuali investimenti; • pianificazione dei flussi di impiego e di ritorno del capitale in termini strettamente finanziari, ovvero sotto forma di flussi periodici. Il gruppo dei modelli neo-marginalistici definisce il valore di un investimento sulla base dell’attualizzazione dei redditi che l’investimento dovrà produrre nel futuro. Il modello del valore attuale netto afferma che l’impresa deve effettuare l’investimento solo se il VAN è positivo. In termini molto semplici: • R1, R2, ……..Rn sono i flussi di cassa prodotti dall’investimento nel tempo di analisi considerato; • C è la spesa iniziale per l’investimento; • i è il costo dell’indebitamento dell’impresa; il valore attuale del flusso di reddito prodotto dall’impresa sarà: n R t =1 (1+ i) VA = ∑ t Il valore attuale netto VAN si ottiene sottraendo dal valore attuale VA la spesa dell’investimento VAN=VA-C Se il risultato è positivo l’investimento è da intraprendere, ovviamente a condizione che le variabili di sistema rilevanti rimangano costanti nel periodo. Si suppone che anche il costo medio dell’indebitamento rimanga costante nel periodo di analisi considerato. Nella realtà operativa, la capacità o la possibilità di un’impresa di mantenere basso il costo del proprio indebitamento incide sul VAN: tanto più basso è i, quanto più numerosi i progetti di investimento che conviene effettuare. Un altro modello basato sui principi marginalistici è il modello basato sul TIR, tasso interno di rendimento: è il tasso di interesse “r” che eguaglia i flussi di cassa in uscita con quelli in entrata ossia che annulla il VAN. 47 n ∑ t =0 Ft (1+ r ) t =0 L’investimento sarà effettuato se il TIR sarà superiore al costo del capitale e sarà rifiutato in caso contrario. La capacità dell’impresa di utilizzare efficientemente le risorse a sua disposizione sposta verso l’alto il TIR e rende quindi accettabile un maggior numero di investimenti. La convergenza tra i modelli VAN e TIR si spezza solo nel caso in cui siano utilizzati per ordinare gli investimenti ritenuti accettabili. Nella classificazione per rendimento degli investimenti infatti i due modelli mostrano delle divergenze quando gli investimenti sono differenti in termini di distribuzione temporale dei flussi e di dimensioni. Può darsi per esempio che utilizzando il modello TIR l’investimento A è preferito rispetto all’investimento B, mentre utilizzando il modello VAN si potrà ottenere il risultato opposto. La teoria in larga parte preferisce l’utilizzazione del VAN. Il VAN esprime una somma di denaro che rappresenta concretamente l’incremento di ricchezza che l’impresa può realizzare per effetto dell’investimento. Il TIR è un tasso da confrontare con il costo del capitale. Molto spesso però non si conosce con ragionevole certezza il tasso di interesse al quale l’impresa potrà reinvestire i flussi di cassa prodotti dall’investimento. Il metodo del VAN ipotizza invece che i flussi di cassa siano reinvestiti dall’impresa a un tasso uguale al costo del capitale e quindi la sua utilizzazione elimina alla radice questa incertezza. Questa dualità tra il modello del valore attuale netto e il modello del tasso interno di rendimento assume un particolare rilievo quando l’impresa non dispone di risorse finanziarie sufficienti per finanziare tutti i programmi di investimento che vorrebbe. Tra i metodi basati su regole empiriche basterà citare quella del cosiddetto “tempo di recupero dell’investimento”. Si tratta infatti di metodi che non hanno basi scientifiche e molto spesso possono condurre a delle valutazioni fuorvianti ed erronee. Il modello di recupero dell’investimento consente di calcolare il periodo di tempo necessario per tramutare in flussi di cassa la spesa effettuata per l’investimento, ovverosia in altre parole il periodo di tempo che occorre all’impresa per il ritorno del tasso completo dell’esborso iniziale. Questo periodo di tempo va confrontato con il tempo massimo di recupero accettato dall’investitore. Se il tempo di recupero è superiore a quest’ultimo periodo, l’investimento verrà rifiutato. E’ ovvio che questo metodo tende a privilegiare gli investimenti con il periodo di rientro più corto. La formula di calcolo è dunque: CAPITALE INVESTITO/FLUSSO DI CASSA ATTESO IN CIASCUN PERIODO A fronte della sua semplicità, questo modello non consente un reale apprezzamento della redditività dell’investimento che l’impresa vorrebbe intraprendere, poiché non consente di considerare i flussi di cassa generati dall’investimento stesso successivamente al periodo di recupero. 48 Con la sua utilizzazione, si possono quindi non intraprendere progetti di investimento vantaggiosi e al contrario effettuare investimenti meno redditizi. La sua utilità consiste quindi nell’essere un buon indicatore della misura del rischio (un progetto di investimento con un periodo di recupero più breve è meno rischioso di un progetto con un periodo di recupero più lungo), ma è un metodo che va sempre affiancato al metodo del valore attuale netto e mai utilizzato come solo elemento di valutazione degli investimenti. COME SI FORMA IL FABBISOGNO FINANZIARIO Una volta scelti gli investimenti da effettuare secondo la redditività attesa e una volta compreso attraverso gli strumenti della pianificazione finanziaria quale è il percorso previsto dalle variabili economico-finanziarie della nostra impresa, questa deve scegliere come finanziare le proprie passività. Per capire però come costruire la propria struttura finanziaria è utile capire in che modo si forma il fabbisogno finanziario. Esso è determinato dall’insieme delle operazioni in corso: - Immobilizzazioni (IN): si intendono le immobilizzazioni materiali (imbarcazioni, fabbricati, terreni, macchinari, ecc.), immateriali (marchi, brevetti), finanziarie (partecipazioni) al netto dei fondi di ammortamento e del fondo svalutazione partecipazioni. - Scorte (S): nelle imprese industriali rappresenta le scorte di materie prime, semilavorati, prodotti finiti al netto delle poste rettificative; - Attività finanziarie (AF): si tratta essenzialmente di crediti verso clienti (attività finanziarie generate dal ciclo di produzione); - Attività liquide (AL): attività liquide come cassa e depositi bancari. La somma IN+S+AF+AL, pari all’attivo contabile netto, definisce quindi il complesso delle attività che devono essere finanziate. In termini rigorosi, l’entità del fabbisogno finanziario varia in relazione a ciascuna operazione gestionale dell’impresa e ai mutamenti nelle condizioni operative interne e aziendali. Una volta che è definita l’origine del fabbisogno finanziario, il problema della sua copertura non è comunque risolto una volta per tutte, poiché il fabbisogno si presenta in modo differenziato nel corso del tempo in seguito al diverso andamento assunto dai costi e dai ricavi. La rappresentazione dell’attivo da finanziare può essere scomposta in base al livello di liquidità di ciascuna delle componenti. La somma S+AF+AL rappresenta il capitale circolante lordo, che esprime la parte di bilancio soggetta a rotazione: è quella parte di attività destinata a essere completamente consumata in un solo ciclo di produzione. Per l’avvio di un nuovo ciclo produttivo queste attività devono essere quindi sistematicamente ricostituite. Il capitale circolante lordo al netto dei debiti a breve termine è denominato capitale circolante netto (CCN). 49 Le immobilizzazioni nette rappresentano le attività meno liquide dell’impresa: si tratta di attività stabilmente coinvolte nel ciclo della produzione. L’acquisto di un impianto, di un’imbarcazione, di un fabbricato costituiscono una forma di uscita monetaria destinata ad essere reintegrata in un arco temporale di medio-lungo termine. Il fabbisogno per le immobilizzazioni nette è ovviamente legato all’attività specifica svolta dall’impresa. Per termini generali è legato al rapporto tra costi fissi e costi variabili (si parla di imprese “capital-intensive” se è maggiore l’incidenza dei costi fissi sui costi variabili e di “labour-intensive” nel caso inverso), alla dimensione dell’impresa, alla stagionalità della produzione e delle vendite e, aspetto fondamentale, al progresso di tecnologia di produzione e di innovazione nelle forme di distribuzione. Particolarmente rilevante dal punto di vista finanziario è l’esigenza di effettuare adeguate politiche di ammortamento per cercare di recuperare gli investimenti tecnici in periodi di tempo sempre più brevi per sfuggire ai rischi di obsolescenza tecnica. Le immobilizzazioni rappresentano una tipologia di fabbisogno finanziario pressoché incomprimibile e necessitano di una copertura stabile e duratura. Il capitale circolante lordo è costituito dalle scorte a qualunque titolo e dalle attività con o senza funzione monetaria. Per quanto riguarda le scorte è particolarmente rilevante soprattutto per le imprese industriali la distinzione tra “minimo economico tecnico” e “accumulo di magazzino”. Le scorte che costituiscono il minimo economico tecnico devono essere considerate più propriamente come una immobilizzazione, senza la quale l’attività produttiva non può avere luogo. La fonte di copertura deve dunque essere stabile e duratura come per gli investimenti fissi. Le scorte detenute come “accumulo di magazzino” presentano un duplice aspetto: si tratta o di un eccesso di scorte dovuto allo sfavorevole andamento di mercato oppure di una scelta discrezionale da parte dell’impresa con finalità essenzialmente speculative (si prevedono aumenti di prezzo a breve termine). Nel primo caso la fonte di copertura, poiché il fabbisogno è rigido e dipende da cause esterne alla volontà dell’impresa e largamente imprevedibili, dovrà essere stabile e di medio-lungo termine. Al contrario, nel caso di scorte speculative si tratta di finanziare un fabbisogno di durata limitata e ci si rivolgerà a fonti finanziarie a breve. Le attività finanziarie con funzione monetaria attengono alla cosiddetta gestione di tesoreria, su cui vale la pena di intrattenersi giacché è un argomento solitamente trascurato nella piccola e media impresa. A torto, come efficacemente espresso da Quaranta-Romanesco , molte piccole e medie imprese non hanno ancora realizzato appieno i vantaggi che efficiente servizio di tesoreria può apportare. La riduzione dei costi di accesso a sistemi 50 automatizzati di gestione e quindi la loro diffusione renderanno possibile una migliore quantificazione dei rischi e il loro monitoraggio in tempo reale. In una piccola e media impresa la funzione di tesoreria è essenzialmente rivolta alla gestione dei conti bancari e al ciclo dei pagamenti. Dovrà fronteggiare innanzitutto il rischio che l’impresa non sia in grado di far fronte ai propri obblighi finanziari per mancanza di fondi o linee di credito sufficienti. Bisognerà dunque adattare gli strumenti dell’indebitamento alle posizioni patrimoniali finanziarie cercando di ottenere linee di credito adeguate ai bisogni dell’impresa ipotizzando anche la situazione di scenario peggiore. Occorrerà prestare attenzione anche al rischio dovuto alla carenza dei sistemi informativi e di controllo interno, che potrebbe comportare una perdita finanziaria inaspettata. GLI STRUMENTI DI COPERTURA DEL FABBISOGNO DI FINANZIAMENTO Si vuole fornire una rapida illustrazione dei principali strumenti che una azienda o una cooperativa può utilizzare per far fronte al proprio fabbisogno finanziario corredata, quando necessario,dalle fonti normative che non sempre risultano agevoli da trovare. Non saranno trattate le varie forme di finanziamento agevolato del settore della pesca, poiché su questo argomento l’informazione trasmessa dalle centrali e dalle istituzioni è capillare e piuttosto efficace. Da un punto di vista del nostro ragionamento rivolto ad individuare i metodi e gli strumenti della buona gestione, un finanziamento agevolato ha le peculiarità di ridurre i costi e quindi nello schema del Valore Attuale Netto rende solo più convenienti i progetti di investimento e non deve mai essere considerato il motivo principale per intraprendere quell’ investimento. Non si farà neppure cenno alle “ riserve indivisibili “ in quanto tecnicamente è solo la forma peculiare che l’autofinanziamento assume nelle cooperative ed è ovviamente nota a tutti . RACCOLTA DI RISPARMIO(CAPITALE DI DEBITO) PRESSO IL PUBBLICO E I SOCI: PRESTITO SOCIALE, CAMBIALI FINANZIARIE, CERTIFICATI DI INVESTIMENTO, OBBLIGAZIONI • IL PRESTITO SOCIALE Si tratta di una forma di finanziamento particolarmente adatta per le cooperative, che gode ancora di un buon trattamento fiscale per i soci e che purtroppo le cooperative del nostro settore non sfruttano come sarebbe conveniente fare. Da un punto di vista economico-finanziario il prestito da soci presenta infatti molti vantaggi sia per la cooperativa che per il socio: • Il capitale può essere conferito per un periodo di tempo limitato e rimborsato con qualsiasi momento senza particolare difficoltà. • si evitano i fastidi e gli eventuali costi di aumenti di capitale 51 • può essere considerato parte del capitale netto soprattutto nel caso in cui i soci lo considerino come un investimento di medio-lungo termine (vi sia quindi un lungo periodo di giacenza media) • il rendimento che i soci possono ottenere è più elevato rispetto a forme similari di impiego del risparmio e nello stesso tempo la cooperativa può finanziarsi a costi inferiori rispetto al mercato del credito La gestione amministrativa del prestito sociale non presenta grandi difficoltà ed è perfettamente alla portata anche delle piccole cooperative. FINANZIAMENTI A BREVE TERMINE Sono forme di finanziamento ben note ad un’impresa o cooperativa, su cui però vale la pena di tornare criticamente. APERTURA DI CREDITO IN CONTO CORRENTE Un aspetto poco conosciuto di questo tipo di operazione è l’importanza cruciale che le banche attribuiscono alle informazioni ottenute effettuando le operazioni di pagamento sui debiti della ad un’impresa o cooperativa e su altri importanti aspetti riguardanti la gestione. Ciò costituisce un controllo indiretto sulla situazione economico-finanziaria dell’azienda, da cui dipende in ultima istanza la solvibilità. Questa forma di controllo indiretta è significativa solo se i movimenti di cassa che transitano su quello specifico conto corrente sono una percentuale considerevole del totale (Dallocchio 2002). Questa considerazione apre il problema della preferibilità di avere pochi, pochissimi rapporti bancari oppure di adottare la pratica della molteplicità dei fidi. Per una piccola e piccolissima cooperativa, è in generale meglio avere pochi, chiari e trasparenti rapporti, proprio perché la reputazione – che significa stabilità nei fidi, tassi meno paganti, minore richieste di fidejussioni personali – si crea grazie al buon comportamento quotidiano verificabile attraverso il lavoro bancario. Infatti, le banche per la concessione dei crediti in conto corrente si basano quasi esclusivamente sull’accertamento della solvibilità attraverso le analisi economico-finanziarie e sull’effetto reputazionale. Tecnicamente, l’apertura di credito in conto corrente deve essere considerata come una fase di finanziamento di breve termine, destinata a coprire fabbisogni che si protraggono per un limitato periodo di tempo. Commette un grandissimo errore l’impresa che confidando sul costante rinnovo delle linee di fido da parte delle banche considera questa tipologia di finanziamento adatta anche per finanziare investimenti. In questo modo si creano quasi sempre le premesse di disastri futuri. 52 Se invece è interpretata correttamente costituisce una forma di finanziamento con aspetti positivi per l’elasticità di gestione che permette. Il costo di questa forma di finanziamento è dato da: un tasso di interesse applicato sul credito effettivamente utilizzato (e non sul totale del fido accordato). Questo tasso viene capitalizzato trimestralmente (quindi è più alto di quello nominale dichiarato) ed è solitamente il più elevato rispetto a tutte le altre operazioni bancarie. Va dunque utilizzata con attenzione ed appropriatezza. LO SCONTO DI PORTAFOGLIO Tecnicamente siamo in presenza di un prestito monetario a breve scadenza garantito dalla cessione di un credito. Teoricamente lo sconto può essere applicato ad un portafoglio di crediti cartolari (come cambiali, note di pegno, cedole, ecc.) o non cartolari (semestralità o annualità dovute dallo stato o da enti pubblici territoriali), tutti non ancora scaduti. Le banche però ammettono allo sconto quasi esclusivamente titoli cambiari derivanti da operazioni commerciali dell’impresa cliente. Il corrispettivo monetario del titolo scontato viene concesso “salvo buon fine”: ciò significa che la responsabilità dell’incasso degli effetti allo sconto rimane in capo all’impresa: la banca può rivalersi su quest’ultima se il debito non viene pagato. Il tasso di interesse praticato dalla banca sullo sconto è solitamente minore rispetto a quello praticato sullo scoperto di conto corrente. Vi è infatti una minor rischiosità per la banca, poiché la somma anticipata dall’istituto di credito è garantita da una sottostante obbligazione a pagare. Va ricordato che il costo complessivo dell’operazione è piuttosto articolato. Si compone, infatti: di un interesse concordato nominale per il periodo per cui l’effetto viene scontato, il quale viene corrisposto in via anticipata all’atto dello sconto; di giorni banca: se un effetto ha scadenza dopo X giorni, la banca non applica l’interesse solo in relazione ad essi, ma prolunga di un certo periodo (appunto i giorni banca) la durata dell’operazione, in modo da aumentare gli oneri finanziari. E’ ovvio che il numero dei giorni banca applicato è funzione contrattuale dell’impresa. Vale anche in questo caso lo stesso discorso già affrontato in precedenza: una concentrazione dei rapporti bancari in capo a pochi istituti può rafforzare l’impresa; di spese di incasso e di diritti accessori da controllare sempre attentamente. Il diavolo sta spesso nei dettagli e le banche utilizzano spesso queste voci “marginali” per aumentare i costi dell’operazione. Una operazione spesso confusa con lo sconto è l’accredito in conto corrente salvo buon fine, che è però nella sostanza uno strumento più simile allo scoperto di conto corrente, di cui condivide il costo più elevato. Factoring 53 • E’ una formula di finanziamento alla quale ormai anche le piccole cooperative possono accedere senza particolari problemi. Tecnicamente si tratta di un contratto in cui un’impresa (cedente) trasferisce i suoi crediti commerciali presenti e futuri , limitatamente nel tempo a titolo oneroso, a una società specializzata, ottenendone in cambio la gestione , l’incasso ed anche l’anticipo parziale o totale. I vantaggi per la snellezza amministrativa sono notevoli. La società di factor infatti (Paolillo): • Sostituisce in tutto o in parte alcune funzioni svolte all’interno dell’impresa, contribuendo a ridurre i costi fissi (servizi amministrativi e contabili di supporto per la gestioe e l’incasso dei crediti) • Offre l’opportunità di concentrare le proprie risorse umane e economiche in altre aree della struttura produttiva • Rende liquidi i crediti, migliorando la gestione del capitale circolante e permettendo politiche di investimento più flessibili • Migliora la gestione dell’indebitamento presso le banche, in quanto riduce l’ammontare dei crediti allo sconto presso di esse Aiuta a valutare con maggiore attenzione la clientela effettiva e potenziale , con il risultato di ridurre i rischi di perdite su crediti per insolvenza dei debitori . Le principali forme che può assumere il factoring possono essere così sintetizzate: 1. factoring convenzionale, che la forma più diffusa ed anche la prima ad essere stata introdotta nel nostro paese. In essa sono riunite le funzioni di finanziamento per mezzo dell’anticipo e quella di gestione dei crediti. Le percentuali dell’anticipo possono arrivare fino al 100%. È prevista la cessione totale ed esclusiva dei crediti per tutta la durata dl contratto solo dopo che essa sia stata notificata. Si ha un factoring senza notifica per i crediti incedibili o su cui si vuole mantenere il riserbo. 2. factoring pro solvendo: la clausola pro solvendo significa che in caso di insolvenza del credito ceduto la società di factoring si rivarrà sulla impresa cedente. Nel caso di clausola por soluto l’intero rischio grava sulla società di factoring. 3. maturity factoring (factoring alla scadenza): la componente non strettamente finanziaria è dominante: non è infatti previsto l’anticipo su crediti. Il pagamento degli importi relativi viene effettuato progressivamente, in funzione degli incassi o a scadenze predeterminate. 4. factoring indiretto: l’impresa cliente del factoring diviene sua debitrice. Questo tipo di contratto prevede infatti che il factor si impegni ad acquisire i crediti vantati da alcuni fornitori nei confronti dell’ impresa cliente. In sostanziala società di factoring concede credito al suo cliente e si sostituisce completamente al fornitore, contribuendo ad agevolare le relazioni commerciali 54 in essere tra i due soggetti. In taluni casi sono persino previste proroghe dell’operazione. L ‘entità dei finanziamenti accordati varia in funzione di diversi fattori. Tra questi ricorderemo i più importanti: • in presenza della clausola pro solvendo le percentuali sono più contenute rispetto a quelle del pro soluto • il grado di rischio connesso ai singoli crediti • l’affidabilità dell’impresa cedente • la presenza della clausola di esclusività (divieto di stipulare contratti di factoring con altre società nel periodo pattuito) e di globalità (impegno di cedere tutti i crediti commerciali che sorgeranno nel periodo contrattuale) • le prospettive economiche del settore di appartenenza dell’impresa cedente I costi del factoring solitamente non sono propriamente teneri. Si compongono: • degli interessi sulle somme anticipate : solitamente per le piccole imprese senza particolare potere contrattuale il prime rate maggiorato di 1-2 punti • della commissione di factoring, la cui misura dipende dal tipo e dalla quantità di servizi di gestione del credito offerti (incasso, eventuale premio assicurativo per il credito pro soluto, contabilizzazione), dalla durata media dei crediti, dal numero delle fatture emesse, dalla situazione del settore in cui opera l’impresa ecc. • rimborso delle spese accessorie. L ‘eccessiva onerosità che alla volte caratterizza il factoring ne preclude purtroppo un utilizzo più intenso da parte delle piccole imprese. FINANZIAMENTI A LUNGO TERMINE Per finanziamenti a medio e lungo e termine si intendono convenzionalmente tutti quegli strumenti che consentono alle imprese di raccogliere capitali a titolo di debito da rimborsare in un arco di tempo non inferiore a 18 mesi e che può arrivare fino a 20-25 anni. Varie sono le tipologie attraverso le quali si realizzano tali operazioni , ognuna rispondente a una diversa esigenza aziendale quanto a dimensionamento dell’importo , contenuti di garanzia , entità e forme di onerosità economiche. L’elemento che accomuna tutte queste tipologie è la finalità sostanziale di anticipare risorse da rimborsare con flussi finanziari incrementali generati dalla gestione. Alle piccole imprese interesso soprattutto due tra queste svariate tipologie: il credito a medio e lungo termine ( il cosiddetto credito industriale) e il leasing. 55 Il credito industriale è caratterizzato da durate protratte e da rate di rimborso periodiche. Svolge un ruolo determinante nel permettere alle imprese di finanziarie correttamente le immobilizzazioni tecniche ed anche in certi casi finanziarie. Infatti si può definire come un’anticipazione sui flussi di autofinanziamento futuro che consente la tempestiva realizzazione di investimenti pur mantenendo in equilibrio. In certi casi – operazioni di ristrutturazione finanziaria- serve anche a correggere casi di eccessivo e scorretto indebitamento a breve. Si noti l’enfasi sulle capacità di rimborso di questa tipologia di debito attraverso i flussi di cassa: ormai nessuna banca è disposta a finanziare un ‘impresa sulle base delle sole garanzie reali, senza accertarsi della validità dei piani industriali e delle complessive compatibilità economico-finanziarie. Il credito industriale è rivolto a investimenti fissi e in scorte, brevetti e knowhow, ricerca applicata e allestimento di prototipi, partecipazioni, smobilizzo di crediti a scadenza prolungata, consolidamento di indebitamento a breve. La maggiore solidità che deriva dall’utilizzazione di questo strumento per la struttura finanziaria di un ‘impresa consente il contenimento del rischio in presenza di congiunture o eventi sfavorevoli, concedere maggiore libertà decisionale e forza contrattuale (commerciale e creditizia) e di contenere gli oneri bancari. Le caratteristiche salienti di questo strumento , che ciascuna banca adatta alle proprie specifiche esigenze di marketing, possono essere così schematizzate: • la durata può raggiungere anche 20 anni e in certi casi anche superarli • il periodo di preammortamento ( indica il periodo di tempo in cui non si rimborsa il capitale, ma si pagano solo gli interessi ) può giungere sino a tre anni • l’erogazione può avvenire in una unica soluzione o in tranches connesse alle esigenze dell’investimento o dell’operazione sottostante • il rimborso può assumere diverse forme: in una unica soluzione alla scadenza , a rate costanti per interessi e capitale, a rate crescenti o decrescenti; in presenza di situazioni particolari molte volte è possibile ristrutturare il piani di ammortamento di finanziamenti già erogati. • Il tasso d’ interesse può essere legato a vari parametri o essere fisso • Sono normalmente richieste garanzie reali e personali; la banca può richiedere anche l’ osservanza di particolari linee di condotta prudenziali economico e finanziarie da parte dell’impresa ( i cosiddetti covenants). • L’importo del finanziamento è sempre commisurato alla capacità dei rimborso dell’impresa e secondariamente alle garanzie acquisite. E’ utile per l ‘impresa conoscere e esaminare criticamente le modalità e i criteri normalmente seguiti dalle banche per la concessone di questo tipo di finanziamento, in quanto consente da un lato di individuare i propri punti di debolezza e di correggerli e dall’altro di predisporre la documentazione e fornire 56 le informazioni nel modo più idoneo per facilitare il buon fine della richiesta di finanziamento . Seguiremo l’esposizione di Novello,che è particolarmente chiara. Il processo di valutazione dell’impresa consta di due parti: la valutazione attuale e la valutazione prospettica. La valutazione attuale consta di queste fasi: • L’analisi di informazioni interne alla banca e al sistema bancario (andamento dei rapporti banca-impresa, segnalazioni della Centrale rischi) • L’esame di informazioni esterne alla banca, attinte da fonti pubbliche: procedure concorsuali o fallimentari, protesti, decreti ingiuntivi, pignoramenti ecc.) • L’esame delle informazioni provenienti direttamente dall’impresa (riguardanti la situazione economico-finanziaria, le caratteristiche produttive e commerciali ecc.): è effettuato sia con i raffronti delle serie storiche del conto economico e dello stato patrimoniale , sia con il metodo degli indici. Questa ultima analisi è effettuata con rapporti in larga parte già illustrati come quelli di liquidità , di solidità e redditività. Molte banche adottano anche l’analisi effettuata attraverso il metodo dei flussi, la quale evidenzia i fabbisogni finanziari ( i fattori che assorbono risorse: incremento circolante e degli investimenti, rimborso mutui ecc..) e le fonti di finanziamento (utili reinvestiti, apporti dei soci, accantonamenti ecc.) e la variazioni bancarie a breve. Lo scopo dell’analisi dei flussi è quello di valutare la capacità dell’impresa di mantenere l’equilibrio finanziario. La valutazione prospettica ha il compito di sottoporre ad analisi il futuro dell’impresa: operazione forse più vicina all’arte che non alla tecnica, ma che viene comunque tentata attraverso l’individuazione di elementi strutturali che a giudizio del valutatore sono suscettibili nel corso del tempo di incidere sulla capacità da parte dell’impresa di rimborsare il credito ottenuto. Questi elementi sono generalmente individuati così: • Caratteristiche strutturali aziendali: qualità imprenditoriale-manageriale, validità assetto organizzativo, grado di capitalizzazione • Caratteristiche del mercato • Politiche gestionali seguite e azioni in corso: si considerano i piani di sviluppo, gli eventuali disimpegni di soci ecc. È abitualmente richiesta alle imprese la predisposizione di piani economicofinanziari di medio-lungo termine. Affinché non si risolvano in esercitazioni puramente accademiche o in affastellamento di dati senza senso, l’impresa potrebbe considerare questo obbligo come parte del proprio processo di pianificazione finanziaria e rendere questa (buona) pratica permanente. 57 Un ostacolo formidabile che incontrano le piccole imprese nei riguardi di questa tipologia di credito è la scala dimensionale delle operazioni ritenute degne di essere finanziate dalle banche (ormai superiore normalmente a 500.000 euro). In certi casi esistono eccezioni . Particolarmente attenta a seguire le cooperative- e questo va a suo grande onore- è la Banca Verde del gruppo MPS, che si è specializzata in questo genere di prodotti per il settore agroalimentare. Il LEASING MOBILIARE Il leasing è un contratto con il quale un intermediario finanziario acquista un determinato bene e lo mette a disposizione dell’impresa , la quale si impegna a pagare un determinato canone periodico e , al termine del periodo convenuto, ha la facoltà di diventare proprietaria del bene dietro pagamento di un importo prefissato. Si tratta di una formula di finanziamento che risulta conveniente soprattutto al verificarsi di condizioni fiscali favorevoli per la specifica impresa che decide di utilizzarlo. Non è quindi possibile dare un giudizio a priori, ma bisognerà compiere delle valutazioni caso per caso. In termini del tutto generali, per le cooperative la convenienza del leasing appare quasi sempre molto limitata. Può essere però considerata una fonte di finanziamento alternativa da attivare quando altre possibilità sono precluse. Il finanziamento ha uno svolgimento peculiare : • Si procede all’individuazione del bene e del locatore. Se il bene non è immediatamente disponibile, si specificano alla società di leasing le sue caratteristiche affinché proceda al suo acquisto o al suo ordine presso il produttore individuato. • La società di leasing valuta l’affidabilità dell’impresa (comprese le garanzie che anche personali che può offrire). • Si stipula il contratto , in cui sono definiti il prezzo, la consegna, la custodia e l’utilizzo, l’eventuale anticipo di canoni, la periodicità dei canoni, il prezzo di riscatto, la durata del contratto, le condizioni di estinzione del contratto (proroga, opzione, restituzione), di risoluzione del contratto (inadempimento del cliente o del fornitore), di assicurazione, di responsabilità sul bene . • il contratto si estingue quando sono stati pagati tutti i canoni di locazione . L’impresa con il pagamento del riscatto convenuto diviene proprietaria del bene. Se il riscatto non è pagato il bene deve essere restituito alla società di leasing I costi del leasing sono dati da: • canoni di locazione • compensi accessori: si tratta di varie voci che alcune volte incidono pesantemente sul costo totale dell’operazione 58 • le eventuali spese sostenute dalla società di leasing in caso di inadempienza da parte dell’imprese, compresi gli i interessi di mora. I PRESTITI PARTECIPATIVI Si tratta di una forma di finanziamento introdotta fin dal 1991 dalla legge n. 317 e che ha trovato delle applicazioni non generalizzate, ma di nicchia e di un certo interesse. La caratteristica principale di questa forma di prestito risiede nella remunerazione che consta di due elementi: un tasso di interesse fisso e una somma commisurata in vario modo al risultato economico dell’esercizio. Riteniamo che questo strumento sia stato ingiustamente trascurato e che, al contrario, abbia delle notevoli potenzialità per favorire la crescita di cooperative con buone prospettive reddituali. È uno strumento istituzionalmente utilizzato dai Fondi mutualistici e dalla Compagnia finanziaria industriale. COOPFOND è intervenuta con questo strumento anche a favore di cooperative dell’economia ittica. Si riporta la fonte legislativa, che ne disciplina le caratteristiche ed è di grande utilità per chi voglia utilizzare questo strumento. Legge 05-10-1991, n. 317 Interventi per l'innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese. Capo VI PRESTITI PARTECIPATIVI Art. 35 - Prestiti partecipativi 1. Gli istituti di credito mobiliare e le società finanziarie per l'innovazione e lo sviluppo, di cui all'art. 2, possono concedere prestiti partecipativi per la realizzazione di programmi innovativi e di sviluppo delle piccole imprese, come definite dall'art. 1, costituite in forma di società di capitali con capitale sociale di ammontare non inferiore a quello previsto per la costituzione delle società per azioni. A tali società si applicano le norme di cui all'art. 2435 del codice civile. 2. Si considerano prestiti partecipativi i finanziamenti di durata non inferiore a quattro anni, nei quali una parte del corrispettivo spettante all'istituto di credito mobiliare o alla società finanziaria per l'innovazione e lo sviluppo è commisurata al risultato economico dell'impresa finanziata. 3. Per il prestiti partecipativi è dovuto un interesse annuo non superiore al tasso ufficiale di sconto vigente nel periodo al quale si riferiscono le rate di ammortamento del prestito. L'impresa finanziaria si obbliga, inoltre, a versare annualmente al soggetto finanziatore, entro trenta giorni dall'approvazione del bilancio, una somma commisurata al risultato economico dell'esercizio, nella percentuale concordata preventivamente con l'istituto di credito mobiliare o la società finanziaria per l'innovazione e lo sviluppo. Nel conto dei profitti e delle perdite dell'impresa finanziata, la predetta somma costituisce oggetto di 59 specifico accantonamento per onere, rappresenta un costo e, ai fini dell'applicazione delle imposte sui redditi, è computata in diminuzione del reddito dell'esercizio di competenza. Ad ogni effetto di legge gli utili netti annuali si considerano depurati da detta somma. 4. I prestiti partecipativi possono essere assistiti soltanto da garanzie personali, individuali o collettive, alle quali si applica l'art. 1946 del codice civile. Ad integrazione di tali garanzie è consentito l'intervento del Fondo centrale di garanzia di cui all'art. 20 della legge 12 agosto 1977, n. 675 e successive modificazioni. La garanzia integrativa non opera per la parte dei prestiti partecipativi che ecceda il triplo del patrimonio netto dell'impresa finanziata. 5. Il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR) stabilisce con propria delibera, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le modalità di attuazione del presente articolo, prevedendo condizioni di maggior favore per le operazioni effettuate nei territori di cui all'allegato al Regolamento CEE n. 2052/88 del Consiglio e nei territori italiani colpiti da fenomeni di declino industriale, individuati con decisione della Commissione delle Comunità europee del 21 marzo 1989 e interessati dalle azioni comunitarie di sviluppo di cui al citato Regolamento CEE n. 2052/88. Dei relativi oneri si tiene conto in sede di programmazione delle risorse destinate dalla normativa sull'intervento straordinario nel Mezzogiorno alle agevolazioni finanziarie a sostegno del sistema produttivo. In sede di prima applicazione della presente legge, gli eventuali oneri gravano sui fondi di cui alla legge 1° marzo 1986, n. 64, secondo modalità e criteri fissati con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con i Ministri dell'industria, del commercio e dell'artigianato e per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, anche ai fini delle occorrenti variazioni di bilancio. I FINANZIAMENTI A TITOLO DI CAPITALE DI RISCHIO Le varie riforme legislative hanno introdotto una rilettura delle possibilità da parte delle cooperative di emettere strumenti finanziari per raccogliere capitale di rischio. Alle nostre cooperative basta però probabilmente sapere al di là delle sottili interpretazioni giuridiche che la riforma assume l’approccio tendente ad equiparare le cooperative alle società per azioni riconoscendo una tendenziale parità di acceso agli strumenti di finanziamento sia alle cooperative a mutualità prevalente sia alle altre cooperative. Il decreto estende pertanto anche alla prima tipologia di cooperative la direttiva contenuta nella legge delega (art. 5, secondo comma, lett. B: riferita pertanto alle sole cooperative “non prevalenti”) secondo la quale la riforma deve “Prevedere, al fine di incentivare il ricorso al mercato dei capitali, salve in ogni caso la specificità dello scopo 60 mutualistico e le riserve di attività previste dalle leggi vigenti, la possibilità, i limiti e le condizioni di emissione di strumenti finanziari, partecipativi e non partecipativi, dotati di diversi diritti patrimoniali e amministrativi”. Si tratta di una scelta (del tutto consapevole, come testimoniato dalla Relazione di accompagnamento) che si ispira alla considerazione delle esigenze di finanziamento anche rispetto alla cooperazione prevalente e che si basa sul riconoscimento, comune a tutte le cooperative, per cui “sovventori e azionisti di partecipazione, obbligazionisti (…) sono figure create dal legislatore per impedire che le cooperative, per problemi di sottocapitalizzazione, non riescano sul mercato a svolgere adeguatamente la loro stessa funzione mutualistica”. Si introduce la possibilità di emettere strumenti “atipici” con un’ampia possibilità di derogare ai diversi modelli già conosciuti di finanziamento di rischio e di debito, intesi non più come schemi rigidi ma piuttosto come modelli meramente descrittivi, anche attraverso significative aperture esplicitamente introdotte dalla legge. In concreto la maggiore flessibilità deriva essenzialmente dalle innovazioni per le società azionarie, e solo di riflesso si traducono nel regime delle cooperative, che già consentiva rilevanti margini di flessibilità statutaria. E’ comunque innegabile che l’esplicita estensione al regime cooperativo della autonomia statutaria prevista per le società per azioni riguardo all’emissione di strumenti finanziari (art. 2526), congiunta all’evoluzione della complessiva disciplina delle società per azioni (e segnatamente identificabile in alcune specifiche norme ivi stabilite), rappresentano una novità di assoluto rilievo suscettibile di portare conseguenze che, al momento, si possono individuare solo in termini generali ed astratti, ma che in un prossimo futuro potranno determinare conseguenze estremamente rilevanti sul rapporto tra cooperative e mercati finanziari. Nell’attuale fase di analisi è possibile e consigliabile accostarsi alle novità normative seguendo due distinte angolature che, insieme, configurano lo schema di lettura più realistico delle nuove norme: da un lato, la disciplina vincolistica che caratterizza il regime cooperativo, e che in gran parte svolge un effetto di (ulteriore, ma pur sempre derogatoria ed eccezionale) limitazione dell’autonomia statutaria; dall’altro la prima ricostruzione delle più evidenti novità che connotano il regime delle società per azioni, cercando di evidenziarne i profili che maggiormente si prestano ad interpretare i caratteri delle cooperative, sia sul piano strettamente normativo sia su quello delle caratteristiche aziendali (Genco). E’ comunque difficile pensare che per la maggior parte delle piccole cooperative queste novità legislative possano comportare qualche vantaggio immediato. Piuttosto, queste nuove possibilità possono risultare utili nel caso in cui si riesca ad attivare il sistema di incentivazioni incentrato sul modello delle agenzie di 61 sviluppo, che sottoscriverebbero gli strumenti di partecipazione finanziaria a titolo di capitale di rischio. Nella nozione di strumento finanziario cooperativo, infine, vanno compresi tutti gli tipici (perché previsti dall'art. 2526) a contenuto atipico (perché il loro contenuto è rimesso all'autonomia statutaria), i quali non siano qualificabili come azioni od obbligazioni (si pensi, per esempio, agli rappresentativi della posizione di associato in partecipazione). Gli cooperativi hanno un altro significativo tratto distintivo rispetto agli di cui agli artt. 2346, sesto comma, 2349, secondo comma, e 2351, quinto comma. Mentre i secondi possono anche essere intrasferibili, come si ricava dal sesto comma dell'art. 2346 ("e, se ammessa, la legge di circolazione"), i primi devono essere trasferibili, anche se la loro circolazione può essere sottoposta ad "eventuali condizioni" (art. 2526, secondo comma); sicché, come d'altra parte è desumibile dall'ultimo comma dell'art. 2545-quinquies, potranno essere emessi cooperativi liberamente trasferibili e cooperativi non liberamente trasferibili (essendo subordinato il loro trasferimento, per esempio, al gradimento di organi sociali). Benché gli cooperativi debbano essere trasferibili, è ragionevole argomentare sulla base dell'art. 2355-bis, primo comma, che gli stessi possano essere - al pari delle azioni delle società per azioni - intrasferibili per un tempo limitato. V'è da chiedersi, infine, se gli cooperativi debbano per forza essere incorporati in titoli, anche se una prima lettura del dettato codicistico parrebbe portare l'interprete a ritenere ciò un elemento della fattispecie in parola solo naturale, ma non essenziale. Non è invece revocabile in dubbio che detti possano essere dematerializzati e perciò negoziati o destinati alla negoziazione nei mercati regolamentati. Riassumendo le esposte considerazioni circa la nozione di strumento finanziario di cui all'art. 2526, si può dire che esso: a) può essere uno strumento rappresentativo di capitale di rischio o un titolo di debito (in primis, un'obbligazione); b) nel caso in cui rappresenti capitale di rischio, il corrispondente apporto può essere imputato a capitale sociale oppure no (si immagini uno strumento rappresentativo della posizione di associato in partecipazione); c) può attribuire un diritto di voto pieno, limitato oppure nessun diritto di voto (come emerge dagli artt. 2526, secondo e terzo comma, e 2541) e, più in generale, può essere dotato o meno di diritti di amministrazione (cfr., per esempio, l'art. 2526, quarto comma); d) può attribuire la qualità di socio (socio finanziatore) oppure no; e) deve essere trasferibile, anche se può essere non liberamente trasferibile e, forse, intrasferibile per un tempo limitato; f) può essere incorporato in un titolo o rappresentato da uno strumento dematerializzato. 62 STRUMENTI A SOSTEGNO DELLE IMPRESE E DELLE COOPERATIVE ITTICHE FIDIPESCA ITALIA Si è già citata la società cooperativa di garanzia fidi FIDIPESCA ITALIA Costituita dal 1995, promossa da tutte le Associazioni nazionali di categoria della pesca operanti in Italia, rappresentative delle imprese e del mondo cooperativo. La società cooperativa, denominata inizialmente Unicredito (fino al 22 aprile 2002) prende poi il nome Unipesca (fino al 16 febbraio 2011) per poi assumere l’attuale denominazione Fidipesca Italia. Lo scopo funzionale di Fidipesca Italia è quello di agevolare il ricorso al credito bancario da parte delle imprese del settore ittico che abbiano ottenuto finanziamenti comunitari, nazionali e regionali su progetti nel comparto ittico. Interviene a fronte delle necessarie anticipazioni dei contributi a fondo perduto e/o dei finanziamenti necessari a coprire i costi del progetto rimasti a carico del beneficiario. La garanzia di Fidipesca Italia può essere concessa per un importo non superiore a € 500.000 e per un periodo non superiore a 5 anni. Inoltre non può superare il 50% del finanziamento concesso. Gli Istituti di credito convenzionati sono: Banca di Roma, Banca Nazionale del Lavoro, Unicredit Banca, Banca Monte dei Paschi di Siena, Banca di Credito Cooperativo di Roma e Banca Antonveneta. Nelle intenzioni della Comunità Europea e dello Stato Italiano, Fidipesca Italia si identifica in uno strumento finanziario capace di superare le croniche difficoltà di rapporto tra mondo della pesca e sistema bancario nazionale. Il Consorzio, pertanto, per i suoi peculiari aspetti, rappresenta un importante strumento nazionale e comunitario di strategia e sviluppo del settore ittico. Il campo di intervento comprende la pesca nella sua globalità di pesca marittima ed interna, l’acquacoltura, la commercializzazione, i servizi per le imprese. Da circa un anno è anche possibile chiedere l’anticipo del fermo pesca. Gli interventi previsti ed i progetti finanziabili sono quindi riconducibili all’intera gamma delle esigenze finanziarie degli operatori della pesca. Fidipesca Italia intende proporsi anche compiti più ambiziosi come documentato dal proprio statuto e dai propri piani di sviluppo, in particolare vorrebbe assumere un ruolo di assistenza finanziaria a tutto campo per l’intero settore. Cooperfidi Italia Cooperfidi Italia è l’organismo nazionale di garanzia della cooperazione italiana, 63 nato dalla fusione dei confidi regionali cooperativi. Non è quindi vocato alla erogazione di servizi alle imprese.È sostenuto dalle tre maggiori associazioni della cooperazione italiana AGCI, Confcooperative e Legacoop, unite nella Alleanza delle Cooperative Italiane. Eroga a favore degli istituti di credito garanzie a prima richiesta a costi contenuti, al fine di consentire alle imprese cooperative di accedere al credito a condizioni agevolate. Cooperfidi Italia è specializzato nel rilascio di garanzie "a prima richiesta" a favore delle banche e degli istituti finanziari che erogano credito alle imprese cooperative. Grazie al rapporto diretto con i propri soci, Cooperfidi Italia è in grado di garantire l’affidabilità della cooperativa e la più approfondita conoscenza del progetto imprenditoriale. Con l’opera di intermediazione e di mitigazione del rischio di Cooperfidi Italia, le imprese cooperative meritevoli ottengono più credito a condizioni più favorevoli. Ogni impresa cooperativa italiana di piccola e media dimensione, in qualunque settore operi, può aderire a Cooperfidi Italia per migliorare le condizioni di accesso al credito. Cooperfidi Italia mette a sua disposizione: • le garanzie rilasciate agli istituti di credito convenzionati; • i servizi di check up per individuare i punti di forza e di debolezza nella gestione aziendale delle risorse finanziarie; • l’assistenza per avviare percorsi di miglioramento del proprio merito creditizio; • l’accesso ai fondi pubblici di garanzia e di agevolazione gestiti da Cooperfidi Italia; • la possibilità di individuare i prodotti finanziari più adeguati e convenienti alle proprie esigenze. • La garanzia di Cooperfidi Italia è il risultato di due contratti. Nel primo, il soggetto garante (Cooperfidi Italia, che garantisce) assume un impegno nei confronti di un soggetto garantito (Banca, che finanzia) a copertura della possibile perdita che quest’ultimo può subire a fronte dell’inadempimento (mancato pagamento) di una obbligazione sottoscritta da un terzo soggetto (Socio, che riceve il finanziamento). Nel secondo, Cooperfidi Italia riceve dal Socio una contropartita (commissione) in cambio del rilascio della garanzia a favore della Banca. In definitiva Cooperfidi Italia si impegna ad assolvere un’obbligazione (pagamento) nei confronti della Banca al verificarsi di un determinato evento: l’inadempimento (mancato pagamento) del socio finanziato. In altri termini l’impresa riceve due finanziamenti: 1. uno da parte della Banca, che si concretizza nella erogazione di 64 liquidità, resa disponibile per le finalità dell’impresa; 2. l’altro da parte di Cooperfidi Italia, che si concretizza nella condivisione del rischio che la Banca ha assunto verso l’impresa. La parte garantita del finanziamento non è più una esposizione della Banca verso l’impresa, ma una esposizione della Banca verso Cooperfidi. Per la Banca, è come se una parte del denaro fosse stata prestata a Cooperfidi Italia, anziché all’impresa. Ciò è sancito anche dalle regole prudenziali in tema di rischio di credito. La Banca può determinare la rischiosità della propria operazione di impiego in base al merito creditizio di Cooperfidi Italia, sostituendolo a quello dell’impresa. D’altra parte è come se fosse Cooperfidi Italia a prestare al Socio la parte di denaro garantita (anticipata dalla Banca). Con la garanzia di Cooperfidi Italia l’impresa differenzia le proprie obbligazioni, ovvero le proprie relazioni di debito, sostituendo una data quantità di debito verso la Banca con una eguale quantità di debito verso Cooperfidi Italia (tale sostituzione diviene operativa solo quando l’impresa è inadempiente verso la Banca). L’impresa può trarne due tipi di vantaggi. Il primo vantaggio riguarda la possibilità di accedere al credito ovvero la quantità di provvista: l’impresa può acquisire, mantenere o aumentare il proprio debito verso il sistema bancario. Il secondo vantaggio riguarda il costo della provvista (tasso di interesse): l’impresa può ottenere un minore costo del denaro mediante la combinazione di prezzo delle diverse componenti di debito. La Banca infatti pratica verso l’impresa garantita da Cooperfidi Italia un minore costo del denaro, in quanto migliora la rischiosità dei propri impieghi. Ciò che differenzia un confidi dagli altri intermediari specializzati nel rilascio di garanzie presenti sul mercato è l’elemento mutualistico, ed eventualmente solidaristico, che lo fonda. Il confidi può assumere impegni verso la Banca grazie al suo patrimonio, che è costituito dalle partecipazioni e dai contributi delle stesse imprese finanziate. In pratica il confidi è una cooperativa: le imprese socie costituiscono un patrimonio finanziario per essere in grado di assumere impegni, nei confronti del sistema bancario, a condizioni più vantaggiose. Tutto secondo il vecchio adagio …l’unione fa la forza. Spesso il patrimonio è arricchito da contributi pubblici. Questo naturalmente migliora le possibilità di impegno del confidi. Cooperfidi Italia è il confidi delle cooperative italiane. GLI INVESTITORI ISTITUZIONALI Per istitutori istituzionali si intendono organizzazioni finanziarie dotate di capitali privati ed anche con capitali pubblici che intervengono come finanziatori di capitale di rischio ed anche di capitale di debito a medio-lungo termine nelle imprese con buone prospettive di sviluppo. 65 Per certi casi la missione degli investitori istituzionali è di “accompagnare” le società verso il mercato mobiliare; in altri casi è più semplicemente di fornire mezzi finanziari con carattere di stabilità che l’impresa potrà poi ripagare in seguito attraverso l’autofinanziamento o trovando nuovi soci. Per le piccole società cooperative del nostro settore gli investitori istituzionali di maggior interesse sono di espressione del movimento cooperativo: i fondi mutualistici e la CFI, quest’ultima solamente per le cooperative che svolgono un’attività valutabile come industriale. I FONDI MUTUALISTICI : COOPFOND (LEGA) – GENERALFOND (AGCI) E FONDO SVILUPPO (Confcooperative) Sono stati creati con la legge 59 del 1992. Prenderemo come esempio Coopfond, il fondo promosso dalla Lega Nazionale delle Cooperative, tenendo a mente che ogni associazione cooperativa ha promosso il proprio. Coopfond è la società che gestisce il Fondo mutualistico per la promozione cooperativa alimentato dal 3% degli utili annuali di tutte le cooperative aderenti a Legacoop (Lega Nazionale Cooperative e Mutue) e dai patrimoni residui di E’ stata costituita ai sensi della legge n. 59 del quelle poste in liquidazione. 31 Gennaio 1992. Nel 1993 il Fondo è stato costituito sotto forma di società per azioni, con un capitale sociale di 120.000 Euro. Il pacchetto azionario è interamente controllato da Legacoop Nazionale che ne detiene il 100%. La società è sottoposta alla vigilanza del Ministero per le Attività Produttive. Anche questo strumento è a sostegno delle cooperative; sono quindi escluse le imprese. Con oltre 545 cooperative finanziate dal 1994, Coopfond ha come missione di: • concorrere alla nascita di nuove cooperative e alla crescita di quelle esistenti, alla creazione di condizioni di sviluppo cooperativo specie nelle aree più svantaggiate dal punto di vista economico-sociale, per realizzare la politica di promozione cooperativa di Legacoop. • Considerare la diffusione della cooperazione un’attività di interesse generale e pubblico, da realizzare con la massima responsabilità verso la comunità, Legacoop e le cooperative conferenti. • Adoperarsi perché in tutto il paese possa crescere la cooperazione nel rispetto delle peculiarità locali e dei principi cooperativi, che sono considerati – assieme alle qualità imprenditoriali – il principale elemento di valutazione dei progetti. • Scegliere, tra chi è intenzionato a intraprendere nuove attività, partner capaci e affidabili, interessati a investire in comparti innovativi e di alto valore sociale. • Garantire la massima efficienza nell’impiego del fondo, adottando criteri gestionali di massimo rigore e trasparenza e mirando al coinvolgimento consapevole delle cooperative conferenti, per utilizzare nel miglior modo i capitali, gli sforzi organizzativi e le esperienze della cooperazione. I campi di attività principale della società riguardano: 66 • Assunzione di partecipazioni a rientro programmato in nuove cooperative o nuove società a controllo cooperativo (sezione Promozione – capitale di rischio), in questa sezione rientra anche l’assunzione di partecipazioni in cooperative esistenti per il consolidamento; • Concessione di finanziamenti per le zone svantaggiate a sostegno degli investimenti di cooperative esistenti (Sezione sviluppo – capitale di credito); • Partecipazioni stabili, approvate dal socio Legacoop, in società di valenza strategica create per sostenere la promozione e lo sviluppo del sistema cooperativo (Confidi, Finanziarie territoriali, Finanziarie Nazionali di sistema, di modello, di alleanza e di scopo); • Attività di promozione attiva a sostegno di progetti di particolare utilità sociale, di finanziamento di progetti di fertilizzazione imprenditoriale, formazione ricerca, studi cooperativi e promozione di progetti di rete (fondo 4%). Tutti questi campi di attività sono rivolti al rafforzamento e allo sviluppo della presenza cooperativa sul territorio nazionale, secondo i criteri esposti nella missione aziendale. Per accedere ai benefici del fondo occorre che le cooperative forniscano la dimostrazione della validità delle idee imprenditoriali che vogliono sviluppare e di serietà di intenti e di capacità manageriali. Si raccomanda vivamente a chi fosse interessato a richiedere l’intervento di Coopfond per la propria cooperativa la lettura del Regolamento di accesso al Fondo che si riproduce di seguito. In particolare si dovrà tenere conto che il Fondo (art. 1.2) effettuerà solo interventi di promozione e sviluppo che rispondono a requisiti di meritevolezza sociale, innovazione e redditività. Inoltre, per quanto riguarda gli interventi denominati di sviluppo, quelli cioè che hanno come scopo di favorire i progetti di crescita della cooperativa, le condizioni per ottenere l’interessamento del Fondo sono assai stringenti. Le condizioni di intervento infatti sono legate all’esistenza di molti requisiti: - l’impresa beneficiaria deve essere esclusivamente una società cooperativa; - il progetto deve prevedere forme di aggregazione tra i soci che garantiscano il radicamento territoriale dell’iniziativa (ad esempio sezioni soci); - l’impresa stessa deve presentare un positivo andamento della gestione; - il progetto deve presentare caratteri di effettivo incremento dell’attività aziendale e dei relativi investimenti, di miglioramento dei processi produttivi e di ampliamento dell’occupazione. Sono poi stabilite priorità di erogazione a favore dei progetti ad alta valenza sociale ed in particolare di quelli: - concernenti attività ad alta intensità di occupazione; - qualificati da processi tecnologicamente innovativi; - destinati a valorizzare l’imprenditorialità ed il lavoro femminile e giovanile. 67 Le modalità quantitative di intervento (percentuale massima di partecipazione, limite massimo di concessione di prestiti partecipativi) sono specificati nel Regolamento. Per l’area promozione (nuove iniziative cooperative) gli interventi nel capitale di rischio saranno attuati mediante partecipazioni massime del 50% del capitale sociale nel caso si tratti di nuove società cooperative, ovvero del 30% nel caso si tratti di società di capitali a partecipazione cooperativa di maggioranza. Per quanto riguarda i prestiti partecipativi (da quattro a sette anni), essi devono essere comunque complementari alla simultanea partecipazione di Coopfond nel capitale. Nel caso di prestito a favore di nuove iniziative imprenditoriali, l’ammontare del prestito non può superare l’importo massimo di Euro 500.000. Per l’area di sviluppo vale il principio, ferme restando altre condizioni di carattere generale, l’intervento non potrà superare il 50% dell’importo complessivo degli investimenti contemplati dal piano presentato dalla cooperativa. REGOLAMENTO DI ACCESSO AL FONDO PREMESSA Il presente regolamento definisce i criteri di svolgimento dell’attività di Coopfond e le condizioni di accesso da parte delle cooperative ai relativi interventi. Annualmente l’assemblea definirà, in sede di approvazione del bilancio di esercizio, le linee strategiche di indirizzo per la gestione delle risorse del Fondo. 1. Missione di Coopfond e caratteristiche degli interventi In base alle finalità prescritte dalla legge ed agli orientamenti generali di impiego definiti dall’Assemblea, il criterio di fondo dell’attività di Coopfond deve essere quello di abbinare agli obiettivi di promozione di nuova imprenditorialità o di sviluppo di iniziative imprenditoriali, la salvaguardia e l’incremento della consistenza del Fondo mutualistico, al fine di rispondere in modo sistematico e crescente allo sviluppo delle sue attività istituzionali, nell’interesse dell’intera base associativa cooperativa aderente alla Lega. Promozione e sviluppo Gli interventi di Coopfond sono rivolti alla promozione e allo sviluppo imprenditoriale. Si intende per promozione la creazione di nuove realtà imprenditoriali a matrice cooperativa, e per sviluppo il supporto dato ad iniziative che strutture cooperative già operanti assumono in aree e/o in ambiti considerati strategici per la cooperazione. Le iniziative possono riguardare qualunque attività produttiva o di servizio, fatta eccezione per i progetti con contenuto esclusivamente di trading immobiliare e di edilizia residenziale indirizzati alla piccola proprietà individuale: è peraltro ammesso il sostegno ad interventi immobiliari di cooperative edificatrici, di circoli cooperativi e di cooperative sociali per iniziative di straordinario valore 68 sociale per il movimento cooperativo, compatibili con gli assetti economicopatrimoniali della cooperativa proponente. Negli interventi riguardanti l’attività caratteristica a Coopfond compete esclusivamente un ruolo di supporto finanziario temporaneo e tale da non configurare funzioni gestionali, se non finalizzate al mero controllo del corretto andamento dell’impresa. Partecipazioni strategiche 1.1. Per il perseguimento delle suddette finalità, oltre che con gli interventi connessi all’attività caratteristica disciplinati dai punti successivi, Coopfond potrà acquisire partecipazioni in società d’investimento operanti in settori di rilevanza strategica per il movimento cooperativo, con particolare riguardo all’imprenditorialità giovanile, alle ristrutturazioni aziendali ed alla promozione dell’accesso dei lavoratori nel capitale delle imprese, nonché in società finanziarie o consorzi fidejussori operanti a favore delle piccole e medie imprese. Al fine di massimizzare l’efficacia degli interventi da ultimo previsti, Coopfond sviluppa attività di coordinamento operativo dei Confidi, anche gestendo un’attività sperimentale di controgaranzia. Requisiti di meritevolezza 1.2. Gli interventi di promozione o di sviluppo dovranno rispondere a requisiti di meritevolezza sociale, innovazione e redditività. In particolare, per la natura del Fondo, saranno aree privilegiate di intervento le iniziative imprenditoriali rivolte all’apertura di segmenti di business strategici ed al miglioramento della competitività delle cooperative, le iniziative innovative e tutte quelle per le quali il Fondo può assumere la funzione di catalizzatore di capitali di rischio. Aree obiettivi 1 e 2 U.E. Restano comunque prioritarie, a parità di ogni altra condizione, le iniziative che operano in aree disagiate o con rilevanti problemi occupazionali individuate dagli obiettivi 1 e 2 dell’U.E. All’interno dei requisiti sopra indicati, Coopfond assumerà le iniziative che rispondano al miglior mix fra redditività del capitale investito, massimizzazione occupazionale e capacità innovative. Partners istituzionali 1.3. Coopfond interverrà preferibilmente nelle iniziative che possono avvalersi di altri partner promozionali interni o esterni al movimento cooperativo, e coopererà a ricercare tali partner al fine di accrescere la capacità operativa e l’efficacia finanziaria degli investimenti previsti dai progetti in cui intende intervenire. Data la natura istituzionale delle rispettive tipologie di intervento, resta tuttavia esclusa la compartecipazione in iniziative promosse a norma della legge 69 49/1985 e della legge 44/1986, eccezion fatta per le aree di cui agli obiettivi 1 e 2 dell’U.E. 2. Modalità di accesso al Fondo Coopfond interviene su richiesta dei soggetti interessati, di regola secondo l’ordine di presentazione delle domande. Limiti per i singoli interventi In via ordinaria, ogni singolo intervento non può superare l’8% delle risorse acquisite dal Fondo per l’anno in corso. Soggetti beneficiari 2.1. Gli interventi del Fondo sono effettuati a favore delle seguenti tipologie di soggetti: - nuove cooperative; - nuove società di capitali, purchè partecipate in maggioranza da cooperative; - cooperative esistenti. Tali interventi consistono nella partecipazione temporanea al capitale di rischio e/o nella erogazione di prestiti partecipativi. Area promozione: partecipazioni 2.2. Gli interventi nel capitale di rischio saranno attuati mediante partecipazioni massime del 50% del capitale sociale nel caso si tratti di nuove società cooperative, ovvero del 30% nel caso si tratti di società di capitali a partecipazione cooperativa di maggioranza. 2.2.1. Rispetto alle partecipazioni in società cooperative, ai soli fini della determinazione del suddetto limite di intervento, si considerano validi i conferimenti dei soci ordinari, nonché di norma quelli rappresentati da azioni di socio sovventore o da azioni di partecipazione cooperativa detenute da cooperative o persone fisiche. Ai medesimi fini i conferimenti delle persone giuridiche dovranno essere interamente versati, fatta salva la possibilità di una erogazione parzialmente differita da parte di Coopfond. Per le persone fisiche si considereranno valide le sottoscrizioni effettuate a fronte di uno specifico piano di versamento differito. 2.2.2. Rispetto alle partecipazioni in società lucrative i conferimenti degli altri soci dovranno essere liberati in denaro per un ammontare non inferiore alla quota sottoscritta da Coopfond. 2.2.3. Nel caso di interventi in cooperative aderenti anche ad altre associazioni, la partecipazione di Coopfond sarà possibile solo congiuntamente a quella del relativo Fondo mutualistico. 2.2.4. Limitatamente alle piccole società cooperative di cui all’art. 21 della legge 266/1997, sarà possibile realizzare interventi di promozione attraverso l’erogazione di prestiti in assenza di partecipazione al capitale sociale. 70 Area promozione: prestiti 2.3. Gli interventi mediante prestiti partecipativi consistono in finanziamenti di medio termine (da quattro a sette anni), normalmente garantiti con le modalità stabilite dal consiglio di amministrazione e remunerati ad un tasso annuo definito dal consiglio di amministrazione e composto da una parte fissa, correlata all’andamento del T.U.S., e da una parte variabile, commisurata ai risultati conseguiti dall’impresa finanziata. Essi devono essere comunque complementari alla simultanea partecipazione di Coopfond nel capitale. Nel caso di prestito a favore di nuove iniziative imprenditoriali, l’ammontare del prestito non può superare l’importo massimo di Euro 500.000. Area sviluppo 2.4. Nel caso di iniziative di cooperative esistenti di cui al punto 2.1, Coopfond potrà intervenire esclusivamente a favore di progetti di investimento intrapresi da cooperative sociali, ovvero riferiti alle aree degli obiettivi 1 e 2 dell’U.E., a quelle di cui al punto 87.3, c) del Trattato istitutivo della Comunità Europea, nonché a quelle in regime di fuoriuscita o che rientrano nei patti territoriali e nei contratti d’area. Sono altresì ammissibili agli interventi relativi all’area sviluppo le cooperative di cittadini utenti partecipate da società di sistemi settoriali (operanti sull’intero territorio nazionale ovvero a livello regionale) di cui Coopfond sia socia. Tali interventi, nel loro insieme, non possono superare l’ammontare del 30% delle risorse complessivamente acquisite dal Fondo. Le condizioni di intervento nei progetti di cui sopra sono subordinate all’esistenza dei seguenti requisiti: - l’impresa beneficiaria deve essere esclusivamente una società cooperativa; - il progetto deve prevedere forme di aggregazione tra i soci che garantiscano il radicamento territoriale dell’iniziativa (ad esempio sezioni soci); - l’impresa stessa deve presentare un positivo andamento della gestione; - il progetto deve presentare caratteri di effettivo incremento dell’attività aziendale e dei relativi investimenti, di miglioramento dei processi produttivi e di ampliamento dell’occupazione. E’ stabilita una priorità di erogazione a favore dei progetti ad alta valenza sociale, ed in particolare di quelli: - concernenti attività ad alta intensità di occupazione; - qualificati da processi tecnologicamente innovativi; - destinati a valorizzare l’imprenditorialità ed il lavoro femminile e giovanile. Gli interventi in parola saranno realizzati attraverso prestiti. In deroga a quanto stabilito dal precedente punto 2.3, i prestiti potranno essere erogati anche in assenza di partecipazione al capitale di rischio della cooperativa beneficiaria. Nella determinazione del tasso di interesse e delle garanzie richieste al beneficiario, il consiglio di amministrazione potrà definire criteri differenziati 71 rispetto a quelli riguardanti gli interventi di cui al punto 2.3. In particolare il consiglio di amministrazione potrà derogare alla richiesta di garanzie per i prestiti di importo fino a 150.000 Euro a favore di cooperative operanti in territori in cui non sia operativo il Consorzio fidejussorio regionale convenzionato. Fermo restando per ogni singolo intervento il limite massimo pari all’8% delle disponibilità annualmente acquisite dal Fondo, l’ammontare dell’intervento non potrà superare il 50% dell’importo complessivo degli investimenti contemplati dal piano presentato dalla cooperativa. 2.4.1. In parziale deroga a quanto previsto dal precedente punto 2.4, il consiglio di amministrazione potrà costituire un’apposita dotazione per capitalizzare cooperative meridionali esistenti che presentino significative potenzialità di sviluppo, affiancando l’azione promossa da Fincooper e da altre finanziarie del movimento cooperativo che interverranno sul capitale circolante. Modalità di accesso al Fondo 2.5. Le modalità di accesso al Fondo da parte dei soggetti beneficiari saranno definite dal consiglio di amministrazione e messe a disposizione degli interessati con le forme di pubblicità ritenute più opportune. In esse dovranno essere specificamente definiti, in particolare, i seguenti aspetti operativi: - modalità di redazione e presentazione della domanda, del progetto imprenditoriale e del business plan, in termini tali da evidenziare la congruità e la redditività dell’idea imprenditoriale, nonché i requisiti di meritevolezza sociale; - definizione dei costi di istruttoria a carico dei richiedenti; - requisiti societari (base sociale, statuto, regolamenti interni); - condizioni e modalità di dismissione della partecipazione di Coopfond; - modalità di partecipazione agli organi sociali da parte di Coopfond; - criteri e procedure di salvaguardia dei caratteri dell’iniziativa, sia in fase di avvio sia eventualmente in fase di adeguamento o modificazione del progetto originario. L’iter istruttorio di ogni domanda sarà svolto in diretto dialogo con i proponenti, in modo da agevolare al massimo le condizioni di successo delle iniziative e in stretto rapporto con le strutture settoriali e territoriali della Lega delle cooperative, in modo da armonizzare l’iniziativa con i processi di sviluppo territoriali e settoriali e cogliere tutte le opportunità sinergiche e di sistema. Fondo 4% 2.6. In deroga a quanto precedentemente stabilito, nel limite massimo del 4% delle risorse annualmente acquisite dal Fondo, i progetti di particolare utilità sociale possono essere svincolati con apposita deliberazione del consiglio di amministrazione, dalle condizioni sopra definite di: a) temporaneità della partecipazione e/o 72 b) di novità del progetto imprenditoriale. Nella stessa quota possono essere inseriti, su proposta dei soci, gli interventi ed i finanziamenti a favore dei potenziali beneficiari dei finanziamenti del Fondo ovvero di strutture di servizio, volti a stimolare la qualificazione della domanda di finanziamento ed il miglioramento delle condizioni di accesso al Fondo mutualistico, nonché quelli, da realizzare anche attraverso l’istituzione di borse di studio, inerenti ad iniziative di formazione professionale, studio e ricerca, di rilevante interesse per il movimento cooperativo, contemplate dall’art. 11 comma 3° della legge 31 gennaio 1992, n. 59, nonché gli atti di liberalità a matrice cooperativa di particolare valore solidaristico nei confronti dell’intera collettività. 3. Deroghe Previo parere dei soci, il consiglio di amministrazione di Coopfond potrà derogare alle norme stabilite dal presente regolamento per quanto attiene a modalità, durata ed importi riferiti a progetti imprenditoriali di straordinaria importanza per il movimento cooperativo. LE ISTRUTTORIE DEGLI INVESTITORI ISTITUZIONALI Come si è già accennato a riguardo dei finanziamenti bancari, è cruciale il modo con il quale la cooperativa si presenta di fronte ai due investitori istituzionali che abbiamo ritenuto di nostro interesse. Ciascuno dei due avvia un’istruttoria approfondita, che si compone di varie fasi. Esaminiamo un’istruttoria tipo: Dal momento di ricezione della domanda avvia una istruttoria sia sulla base dei documenti presentati sia anche di diretta conoscenza con la cooperativa e i suoi soci. È necessario sottolineare che, a prescindere dall’esito delle valutazioni, l’istruttoria avrà un onere economico per il richiedente. Valutato positivamente il progetto, si decide l’intervento, che verrà portato avanti solo a determinate condizioni. Il documento di base - il vero e proprio biglietto da visita che la cooperativa deve produrre – è il piano operativo (il cosiddetto business plan). In esso, ad esempio, si deve illustrare: 1) IDEA IMPRENDITORIALE Descrivere sinteticamente il progetto riportando gli elementi fondamentali che lo caratterizzano: servizio o prodotto offerto, settore di attività, mercato di riferimento, motivazioni “dell’idea imprenditoriale”, dati economici di sintesi del progetto (investimenti, fatturato stimato, addetti previsti). Spiegare per quale 73 motivo il servizio o prodotto che si intende offrire o realizzare sul mercato è socialmente rilevante. 2) IL MERCATO Analizzare il mercato descrivendo il target di riferimento, i clienti ed i fornitori potenziali. Indicare la stima dei prezzi a regime dei servizi o prodotti offerti. Indicare la qualifica del socio che eroga il servizio o le principali materie prime impiegate (o da impiegare) ed i relativi costi orari o prezzi. Specificare quali sono le qualifiche dei non soci che erogano i servizi o le lavorazioni date (o da dare) all’esterno ed i relativi costi orari/prezzi . Indicare le caratteristiche e la localizzazione delle diverse aree geografiche in cui si intende operare. Descrivere le politiche di marketing: servizio/prodotto, distribuzione, prezzo, pubblicità/promozione/pubbliche relazioni. Definire gli obiettivi di vendita. 3) INVESTIMENTI Descrivere analiticamente gli investimenti realizzati e da realizzare: fabbricati, macchinari/attrezzature, immobilizzazioni immateriali, formazione/qualificazione. Compilare il prospetto delle fonti di finanziamento e gli impieghi. Compilare la richiesta di intervento alla CFI. Riepilogare i costi degli investimenti. Indicare i tempi per la realizzazione degli investimenti e per la produzione di regime. Evidenziare eventuali contratti di leasing per beni immobili. 4) CICLO PRODUTTIVO O CICLO DI EROGAZIONE DEL SERVIZIO Descrivere le modalità di erogazione del servizio oppure il processo produttivo tipico, attraverso una successione di fasi ben stabilite . Evidenziare gli aspetti critici del ciclo di erogazione del servizio/prodotto. Elencare i sistemi informativi con le relative caratteristiche tecniche. Indicare la produttività per addetto e la massima capacità produttiva attuale ed ottenibile a regime. 5) STRUTTURA ORGANIZZATIVA 74 Descrivere l’organigramma della società con l’indicazione delle funzioni e delle mansioni previste. Ripartire la compagine sociale indicando il numero dei soci lavoratori, persone giuridiche, sovventori, azionisti di partecipazione. Indicare la suddivisione della forza lavoro nell’anno in corso (anno 0) specificando l’area in cui i soci lavoratori e i dipendenti sono inseriti (amministrativa, commerciale, produzione, tecnica/operatori sociali) e fare una previsione per i due anni successivi. Specificare le esperienze professionali degli addetti soci, non soci e consulenti (indicando per questi ultimi se sono legali, commerciali, amministrativo-fiscali oppure operatori sociali professionisti), il contratto collettivo nazionale di appartenenza e il livello contrattuale. Allegare i curriculum vitae. Indicare gli eventuali sviluppi futuri della forza lavoro. Esporre gli interventi di formazione professionale da realizzare nei primi 3 anni di attività, esplicitando il beneficio che ne trarrà l’iniziativa imprenditoriale. 6) DATI ECONOMICI E PATRIMONIALI • Perdite Pregresse Indicare dalla data di costituzione ad oggi l’ammontare delle perdite e la loro copertura. • Conto Economico Nella stesura del Conto Economico consuntivo (solo per le cooperative già costituite) e preventivo occorre tenere presenti i seguenti principi: Fatturato: è legato ai diversi tipi di servizi offerti o prodotti venduti. Per le aziende che producono su commessa si possono fare ipotesi comprensive anche delle valutazioni dei lavori in corso. La variazione di magazzino è data dalla differenza tra rimanenze finali e rimanenze iniziali (le rimanenze iniziali corrispondono a quelle finali esposte in bilancio nell’anno precedente); le variazioni delle rimanenze di prodotti finiti, semilavorati e/o lavori in corso vanno inserite tra i ricavi, mentre le variazioni delle rimanenze di materie prime vanno inserite tra i costi di produzione. Costi generali industriali, commerciali e amministrativi: occorre calcolare l’incidenza percentuale di tali costi sul fatturato da realizzare basandosi sui bilanci degli anni precedenti ovvero su stime (es.: tra i costi industriali, il costo delle manutenzioni industriali dipende dal grado di utilizzo dei fattori della produzione in funzione del volume complessivo di fatturato previsto; il costo di energia elettrica e forza motrice dipende dal consumo di kw necessari per raggiungere la produzione prevista, valorizzato ai prezzi di mercato più recenti). Per i costi particolari e specifici dell’azienda in questione (canoni di leasing, 75 affitto, provvigioni a rappresentanti, etc.), le basi di calcolo sono i singoli contratti già stipulati o che si prevede di sottoscrivere. Costo del lavoro: è necessario ripartire il personale come segue: addetti alla produzione (operatori sociali, tecnici ed operai), addetti all’amministrazione, addetti al settore commerciale. Nel caso in cui si prevedano nuove assunzioni o l’introduzione di nuovi soci-dipendenti, si deve stimare il costo nel modo seguente: per ogni raggruppamento indicare il contratto collettivo nazionale di categoria, la qualifica delle persone occupate e l’ammontare annuo delle retribuzioni (sommatoria di paga base, superminimi, calcolati per 13 o 14 mensilità); a quest’ultimo valore vanno applicati i contributi previdenziali e assicurativi nella percentuale prevista dalla legge, tenendo conto della fiscalizzazione degli oneri sociali e della eventualità di contratti di formazione e lavoro in cui la contribuzione è minore. Ammortamenti: vanno calcolati in funzione della vita utile dei cespiti. Se il periodo di obsolescenza è minore rispetto a quello previsto applicando le aliquote fiscali, le aliquote di ammortamento devono essere più alte. Accantonamento al fondo Tfr: Tale importo può essere determinato in maniera precisa (retribuzioni lorde / 13,5). Gestione finanziaria: gli interessi passivi e/o attivi di conto corrente vanno calcolati tenendo conto della giacenza media del periodo nel c/c bancario e del tasso di interesse passivo e/o attivo di riferimento. Vanno poi considerati gli interessi passivi semestrali su eventuali mutui. Negli anni successivi i metodi di quantificazione restano gli stessi del primo anno: il costo del personale varierà in base alla variazione del numero degli addetti e della dinamica retributiva di categoria; i costi variabili (manutenzioni industriali, consumo di materiali, spese telefoniche, etc.) variano in rapporto all’andamento del fatturato. • Stato Patrimoniale Immobilizzazioni immateriali, materiali e finanziarie: il valore dipende dagli investimenti effettuati negli anni. Relativamente alle spese di impianto, di ricerca e di software, solo per citare le principali voci delle immobilizzazioni immateriali, si stabilisce l’ammortamento in conto; tutti gli altri investimenti sono considerati al lordo dei relativi ammortamenti. Rimanenze: si deve evidenziare la ripartizione delle scorte di magazzino: è necessario dividerle tra materie prime, sussidiarie, semilavorati, prodotti finiti e imballaggi. Liquidità differite: l’importo dei crediti verso clienti e degli effetti attivi è pari al rapporto tra il fatturato (comprensivo di IVA) e il numero delle volte in cui, nell’arco dell’anno, vengono incassati i relativi crediti. Se il capitale sociale non è stato interamente versato e/o si prevede la sottoscrizione di altre quote di capitale, è necessario indicare anche i crediti verso soci per sottoscrizioni. 76 Liquidità immediate: stabilire il valore della cassa anche se la sua approssimazione è di importo modesto, sufficiente a coprire le transazioni giornaliere; stabilire il valore del c/c bancario in rapporto ai tempi di incasso e pagamento. Patrimonio netto: è costituito dal capitale sociale sottoscritto, la riserva ordinaria o legale, la riserva indivisibile, il risultato dell’esercizio in corso e le eventuali perdite conseguite negli esercizi precedenti. Passivo consolidato: va considerato il fondo Tfr; devono inoltre essere presenti le quote a scadere, oltre 12 mesi, di mutui a medio-lungo termine, per la sola quota capitale. Debiti verso dipendenti ed istituti previdenziali: sono da esporre in bilancio solo le retribuzioni non ancora corrisposte; i debiti versi INPS ed IRPEF riguardano i versamenti delle ultime mensilità. Passivo corrente: i debiti verso fornitori e gli effetti passivi commerciali si stabiliscono con calcoli analoghi a quelli per la determinazione dei crediti verso clienti, considerando cioè il tempo medio dei pagamenti. Vanno inoltre menzionate le eventuali rate dei mutui in scadenza nell’anno secondo un preciso piano di ammortamento. Flussi Finanziari Compilare la tabella n. 21 per le previsioni relative ai flussi finanziari. Esistenze monetarie iniziali: - per le cooperative già costituite indicare la sommatoria delle esistenze monetarie relative all’anno precedente; - per le cooperative di nuova costituzione indicare la sommatoria tra cassa e banche attive al netto delle banche passive a breve termine. Gestione Corrente: indica l’andamento della liquidità in rapporto alla gestione aziendale. Gestione Patrimoniale: sono qui comprese le entrate non correnti (aumenti di capitale sociale, finanziamenti da soci, mutui, rimborsi di IVA) e le uscite per investimenti. Rimborsi di passività: si intendono quelli a medio/lungo termine, i rimborsi di prestito sociale e le restituzioni di capitale sociale. Oneri straordinari: indicare tutti gli oneri verificatisi nell’anno non derivanti da alienazioni di cespiti. • Compilare il dettaglio del conto Clienti, Fornitori e Banche passive 77 Come si diceva, si tratta di un business plan tipo, in questo caso “tagliato” per le cooperative industriali. Basterà però apportare poche correzioni ed adattamenti per renderlo idoneo a rappresentare il piano operativo di qualsiasi cooperativa della economia ittica che avrà il problema di confrontarsi con qualsiasi tipo di finanziatore a lungo termine. IL RATING E LE IMPRESE ITTICHE Il rating solitamente è definito attraverso una media ponderata degli:scoring assegnati ad alcune aree di indagini relative: • All’analisi della situazione economico-finanziaria attraverso il bilancio • All’analisi comportamentale nei rapporti con la banca e della centrale dei rischi • All’analisi del settore merceologico • All’analisi delle strategie gestionali e del posizionamento competitivo Per i primi tre punti solitamente si utilizzano metodi di calcolo automatici corretti eventualmente con giudizi soggettivi . Il punteggio relativo all’ultimo campo di indagine è ottenuto mediante giudizi di tipo qualitativo . Lo sforzo che si chiede all’analista è di definire un punteggio articolato sui diversi profili dell’analisi strategico-competitivalle banche opportunamente ponderati. Ciascuna banca adatterà la propria tecnica di valutazione ed in particolare i pesi da attribuire a ciascun profilo di analisi in funzione delle caratteristiche del proprio portafoglio clienti, in termini di composizione e dimensione e delle proprie scelte strategiche. Il settore della pesca è abitualmente considerato dal sistema bancario senza distinzioni ,se non peggiorative, rispetto al settore agricolo. Ismea nel suo, recente studio su “Agricoltura e credito – dalla specializzazione ai nuovi servizi finanziari “ giudica che “la frammentazione del settore, la prevalenza di aziende a conduzione familiare unita alla mancanza di una contabilità e di un bilancio rendono difficile la valutazione del merito creditizio e richiedono oltre che tecniche valutative progettate ad hoc competenze professionali ad hoc. Il quadro così sinteticamente abbozzato per un certo verso testimonia l’alto grado di frammentazione dell’impresa agricola , dall’altro lascia intuire la presenza di livelli differenziati di rischiosità per i quali il trattato di Basilea relativo ai requisiti patrimoniali delle banche avrà una influenza non omogenea.” Questa affermazioni paiono calzanti anche per il settore della pesca. Una analisi da noi effettuata su un campione sufficientemente rappresentativo per tipologia societaria e dimensioni sembra dimostrare che il rapporto sofferenze –impieghi del settore ittico sia superiore alla media, in linea con le risultanze del settore agricolo anche per quanto riguarda le sfaccettature di rischio 78 diverse, che rendono difficile la valutazione del merito creditizio . E’ da accogliere favorevolmente l’invito da parte dell’Ismea a considerare in termini positivi l’adozione di specifiche tecniche valutative come il credit scoring che consentono la formulazione di un giudizio utilizzando poche in formazioni mirate. I problemi legati all’utilizzazione di questa tecnica sono molti e richiedono effettivamente una modellistica su misura che consenta di cogliere le specificità del settore. Uno sforzo pionieristico, ma significativo in questa direzione è stato tentato all’interno del consorzio di garanzia fidi Fidipesca Italia. Esso potrebbe rappresentare per ogni impresa ittica intenzionata a richiedere a un istituto di credito un finanziamento a medio-lungo termine un buon parametro per un processo di autovalutazione . I risultati frutto di questo controllo preventivo se negativi potrebbero costituire la base per un opportuno processo correttivo. A tal proposito deve essere comunque rivalutata l’importanza degli strumenti di comunicazione come il bilancio. Per seguire la lezione di Preti (1997) è completamente da abbandonare l’ idea che il bilancio destinato a pubblicazione non sia nulla più che un mero atto amministrativo , la redazione del quale vada svolta con compassata diligenza compilativa, asservita esclusivamente al soddisfacimento protocollare di un obbligo sancito dal diritto positivo. Esso infatti contiene anche importanti funzioni di atto gestionale e di atto comunicazionale. La sua compilazione deve soddisfare un’esigenza di conoscenza e di diffusione presso le controparti socio-economiche dell’impresa di un dato profilo dell’immagine aziendale che sia il più possibile vicino al reale. Lì’impresa deve rendersi conto che l’obbligo del bilancio non è solo una procedura formale di carattere tecnico-burocratico da delegare nei fatti a chi è del mestiere. La procedura formale va infatti svolta anche alla luce del relativo grado di indeterminatezza che connota il calcolo del reddito e le connesse elaborazioni quali-quantitattive del capitale di funzionamento e dei flussi finanziari. Tale indeterminatezza suscita il problema della responsabilità connessa al relativo livello di discrezionalità e delle scelte di bilancio. Quindi il bilancio non è solo il frutto di un procedimento tecnico-burocratico, ma si fonda su una politica che ne investe l’ aspetto del calcolo economico e l’aspetto della segnaleticità storica e predittiva. La politica di bilancio non può essre indipendente dalla politica aziendale : il gruppo dirigente non può esonerarsi dall’avere un ruolo attivo all’interno dei processi che conducono alla formazione dello stesso. Devono inoltre superare l’opinione che le norme civilistiche in materia di bilancio hanno un prevalente contenuto astratto , in particolare quelli che sanciscono i principi della chiarezza, correttezza, aderenza al vero. Un atteggiamento di questo tipo induce infatti a cogliere in maniera parziale o distorta le potenzialità che il bilancio ha per favorire l’accesso delle pmi alle facilitazioni creditizie a sostegno della della sua sopravvivenza , del suo sviluppo e della sua affermazione. 79 La convenienza di curare ed assicurare un elevato grado di affidabilità alle procedure di elaborazione del bilancio destinato a pubblicazione è strettamente connessa al fatto che esso rappresenta molto spesso l’unico strumento che la piccola e media impresa ha a disposizione per comunicare una definita immagine di sé all’ambiente esterno , in particolare a tutti quegli organismi che possono facilitarne lo sviluppo. IL RATING DI FIDIPESCA ITALIA COME PARAMETRO PER IL SETTORE Effettuato questo importante considerazione, vediamo come si sviluppa l’analisi effettuata secondo il modello interno di Fidipesca Italia, che serve a integrazione delle risultanze dele banche dati. Si tratta di un tentativo di giungere ad una attribuzione di rating che tenga conto delle specificità delle imprese, non solo cooperative, del settore dell’economia ittica. La riproduciamo integralmente per poi commentarla. NOTA METODOLOGICA A. VALUTAZIONI DI BILANCIO 1. Riclassificazione degli ultimi due bilanci delle imprese richiedenti la garanzia, secondo lo schema tipo utilizzato dagli Istituti di credito. 2. Per cercare di meglio qualificare le capacità, da parte delle imprese richiedenti la garanzia, di rimborsare il finanziamento ottenuto, si effettua il calcolo di quattro indici, particolarmente significativi e che trovano vasta applicazione nell'ambito bancario in materia di imprese di pesca e di piscicoltura. A) B) C) D) la copertura finanziaria delle immobilizzazioni; l'indipendenza finanziaria; l'incidenza degli oneri finanziari sul fatturato; la percentuale di liquidità generata dalla gestione sul totale attivo. Per ciascuno di questi indici è possibile individuare un "valore ottimale". Dalla esperienza da noi compiuta, questo valore può essere così quantificato: INDICE A) mezzi propri + debiti a medio-lungo termine / immobilizzazioni "VALORE OTTIMALE " ≥1 80 B) mezzi propri / totale del passivo ≥ 12% C) oneri finanziari / fatturato ≤ 6% D) cash flow (1) / totale dell'attivo ≥ 4% Sulla base di questi valori si attribuiscono i seguenti punteggi: Indice A: A ≥ 1= 3 0,70 < A < 1= 2 0 < A ≤ 0,70 = 1 A≤0=0 Indice B: B ≥ 12% = 3 9% < B < 12% = 2 0 < B ≤ 9% = 1 B≤0=0 Indice C: C ≤ 6% = 3 6% < C < 9% = 2 9% < C ≤ 13% = 1 C ≥ 13% = 0 Indice D: D ≥ 4% = 3 2% < D < 4% = 2 0 < D ≤ 2% = 1 D≤0=0 (1) perdita o utile d’esercizio (al netto delle imposte) + tutti gli ammortamenti e accantonamenti dell’anno + TFR dell’anno. Nella accezione più rigorosa occorrerebbe aggiungere il delta del capitale circolante. 81 3. Si ponderano ora i risultati degli ultimi due esercizi, attribuendo un peso del 33% al bilancio più vecchio e del 67% all'ultimo. A questo punto si definiscono tre fasce di rischio per le garanzie dal Consorzio rilasciate. FASCE PUNTEGGIO IMPRESA A X≥9 Standing ottimo creditizio 6<X<9 standing buono creditizio B C X≤6 Standing creditizio che presenta motivi di perplessità 4. Si calcolano ad integrazione un indice di performance economica (MOL(a) / VALORE della PRODUZIONE) e un indice di solvibilità (LIQUIDITA' CORRENTE)(b). 5. Per quanto concerne le imprese, la cui valutazione le pone nella fascia C, si effettuerà un supplemento di indagine volto a meglio identificare le condizioni di stabilità economico-finanziaria. Si utilizzerà il cosiddetto metodo "Z-score". Di questo metodo si fornisce in allegato una sintetica descrizione. 6. Nel caso di start-up, si utilizzeranno i dati previsionali con una ponderazione del 75%. B. RAPPORTI CON LE BANCHE Si verifica la regolarità o meno dell'adempimento delle obbligazioni nei riguardi del sistema bancario (posizioni in bonis, ritardi nei pagamenti, posizioni incagliate, posizioni in sofferenza, ecc.) C. STATO DI ATTUAZIONE DEL PROGETTO 82 (a) = Reddito operativo (differenza tra valore della produzione e costi) + ammortamenti e svalutazioni (b) = Attività a breve/passività a breve. Attività a breve = rimanenze + crediti entro i 12 mesi + disponibilità liquide. Passività a breve = totale debiti entro i 12 mesi Metodo "Z-score". Il metodo consiste nella risoluzione di un algoritmo così strutturato: Z = 1,2(V1)+1,4(V2)+3,3(V3)+0,6(V4)+V5 V1: capitale circolante netto(1) / totale attivo investito(2). V2: totale riserve e accantonamenti(3) (nel caso delle cooperative si prende in considerazione il prestito sociale) / totale attivo investito. V3: reddito gestione caratteristica / totale attivo investito. V4: totale capitale netto(4) / valore totale dei debiti V5: ricavi (5)/ totale capitale investito. VALUTAZIONE PUNTEGGIO VALUTAZIONE 3.0 Impresa che non presenta alcun problema finanziario prevedibile nei prossimi 2-3 esercizi. 2,99 - 2,70 Impresa che può presentare problemi finanziari 83 di una certa rilevanza nei prossimi 2-3 esercizi. 2,69 -1,80 Impresa che può manifestare segni gravi di dissesto nei prossimi 2-3 esercizi. Meno di 1,80 Impresa sull'orlo del dissesto. (1) è uguale all’attività circolante (rimanenze + crediti v/banche + crediti v/clienti) meno debiti a breve verso fornitori (non vanno considerati i ratei e risconti in quanto non ne conosciamo la natura). (2) Tutte le immobilizzazioni materiali al netto degli ammortamenti. (3) Riserve + fondi di accantonamento (non si considera il TFR) (4) Al netto delle perdite. (5) Solo quelli della gestione caratteristica (solo ricavi da vendite, non i contributi) Questo apparentemente incomprensibile documento ha al contrario una chiave di lettura piuttosto semplice. Esso presenta dei criteri di valutazione di meritevolezza creditizia delle imprese ittiche del tutto simili a quelli adottati dalle banche che praticano i finanziamenti a medio-lungo termine. Se ne discosta solamente per alcuni” assestamenti” introdotti per tenere conto di alcune peculiarità del settore che mal si conciliano con schemi generali pensati soprattutto per imprese manifatturiere. Il rating finale – il giudizio sintetico sulla fattibilità o l’impossibilità di intervento del Consorzio - è determinato da indici che intendono cogliere la situazione di equilibrio nelle variabili finanziarie dell’impresa intese come specchio della complessiva situazione economico-finanziaria. Si calcolano poi indici che possono evidenziare situazioni di illiquidità tali da pregiudicare il rimborso delle rate che scadono a breve. Per le imprese che ottengono un basso livello di rating è poi prevista una analisi basata sul cosiddetto Z-score, il quale non è niente altro che un metodo , dimostratosi empiricamente efficace, per predire la possibilità che un ‘impresa divenga insolvibile le giro di 24-36 mesi. Il consorzio pratica di routine queste analisi nei riguardi dei propri soci ed è a disposizione delle imprese ittiche interessate alla sua applicazione ai fini di autovalutazione. 84 • • • • • IL CONCETTO DI RISCHIO FINANZIARIO In molti passi della trattazione si è fatto un necessario riferimento al concetto di rischio finanziario. In realtà si tratta di un termine generico. Il rischio finanziario ha molte sfaccettature che , sia pure in modo non rigoroso, è utile analizzare. Si possono individuare diverse fattori di rischio con implicazioni finanziarie: Rischio di mercato: esposizione dell’impresa a dei movimenti di mercato sfavorevoli sui tassi di interesse e sulle materie prime che determinano un aumento inaspettato di costi e oneri finanziari. Il modo per affrontarli consiste nel mantenere costantemente monitorate le esposizioni e aggiornate le informazioni sui mercati rilevanti e definire eventualmente delle forme di copertura Rischio credito: allorché un cliente o una controparte finanziaria non sia in grado di onorare i suoi obblighi finanziari. Le contromisure riguardano la definizione di limiti di credito per cliente e il monitoraggio degli utilizzi del credito e della situazione economico-patrimoniale dei clienti Rischio liquidazione: rischio che l’impresa non riceva i fondi o gli strumenti dovuti da una controparte quando stabilito o previsto. Molte cooperative lo conoscono bene avendolo sperimentato spesso in riferimento ai rapporti con la pubblica amministrazione Rischio liquidità: rischio che un ‘impresa non sia in grado di far fronte ai propri obblighi finanziari per mancanza di fondi e/o linee di credito sufficienti. È necessario adattare gli strumenti dell’indebitamento alle posizioni finanziarie in essere, anche valutando le condizioni del peggior scenario possibile. Rischio legale: rischio che i contratti non siano documentati correttamente, non siano validi e non possano essere fatti valere. I rimedi consistono nell’agire prudentemente e diligentemente nelle contrattazioni e nella condotta degli affari sia con le controparti interne sia con quelle esterne. 85 CAPITOLO QUINTO: LA GESTIONE ORGANIZZATIVA UN MODELLO ORGANIZZATIVO PER LE PICCOLE IMPRESE Una volta che l’impresa cooperativa si è dotata di una bussola e di una mappa per il futuro , si è cioè data una strategia e degli obiettivi, deve pensare a come strutturarsi. Per usare le parole di Puricelli, da anni le piccole e medie imprese sono tormentate dalla ricerca di una ricetta organizzativa specifica per loro, che si situi all’incrocio tra il disordine creativo dell’impresa artigiana e la complessità burocratica della grande impresa. Si è ormai consolidata la posizione di coloro che non credono più alla opinione secondo cui le questioni organizzative affrontate con tecniche manageriali non devono interessare le imprese di minori dimensioni. La relazione piccolo-disorganizzato è vista sempre più giustamente non come una qualità dell’impresa che in modo misterioso conduce al successo, ma piuttosto come un vincolo alla sopravvivenza e allo sviluppo. Sono stati elaborati diversi modelli organizzativi per le piccole e medie imprese e molti sono stati anche sperimentati con successo . L’approccio probabilmente più corretto questo problema è quello proposto da Preti , che era un grande amico e conoscitore delle cooperative già nel 1991, le cui implicazioni rivestono una notevole validità anche per le nostre cooperative. Preti parte dall’assunto dell’ esistenza di un poliformismo organizzativo che caratterizza differenziandole fra di loro imprese che mantengono come comune denominatore la piccola dimensione. In altre parole non si può e si deve parlare di unicità di modello organizzativo, ma al contrario si deve partire dal principio cardine che non esiste una soluzione unica e migliore in senso assoluto, da applicare in maniera indiscriminata a tutte le realtà imprenditoriali minori. Per esaminare il problema organizzativo delle piccole imprese bisogna partire dallo studio di due variabili misurabili: • La variabile che riguarda i rapporti tra l’impresa e il suo sistema competitivo di riferimento • La variabile riguardante la dotazione di risorse umane identificabile all’interno dell’impresa La prima variabile riguarda il grado di concorrenzialità del mercato in cui l’impresa in un dato momento si trova ad agire, che va dai due poli estremi dell’operare in un settore strutturalmente turbolento a agire invece in una 86 favorevole situazione di mercato “protetto” per svariate ragioni (azzeccata formula strategica, rendita di posizione ecc). La seconda variabile si misura in termini di maggiore o minore complessità dell’organismo personale, che spazia anch’essa dal limite di personale anziano , a bassa professionalità e limitata scolarizzazione al limite opposto di bassa anzianità, professionalità in crescita e alto livello di istruzione. La combinazione di queste due variabili definisce quattro situazioni differenti a cui corrisponde uno specifico assetto organizzativo. Questi modelli organizzativi sono chiamati: • elementare • collaborativo • innovativo • diffuso. IL MODELLO ELEMENTARE Il modello elementare è particolarmente valido quando l’impresa opera in una situazione di mercato poco concorrenziale, quando cioè il mercato in cui opera è poco concentrato o dove è si è riusciti a individuare e servire una nicchia poco appetibile per varie ragioni ad altre imprese. Si tratta della combinazione bassa complessità organismo personale/ favorevole situazione competitiva. Siamo in presenza di un assetto che si caratterizza per un ridotto investimento organizzativo e dove la professionalità e il grado di scolarizzazione del personale può anche essere basso. Solitamente in esso si riscontra una struttura gerarchica a due livelli, con colui che svolge le funzioni di imprenditore- manager che comanda e tutti gli altri che obbediscono. La strategia raramente è formulata in termini formali e comunicata : è nella testa del capo, come pure le funzioni di controllo e programmazione e più in generale l’intera filosofia gestionale . La disorganizzazione molte volte è solo apparente poiché spesso esiste una coerenza strategica perseguita dall’imprenditore manager. Ci troviamo nella sostanza di fronte a un modello organizzativo adeguato per imprese che rappresentano una sorta di evoluzione della forma artigianale. IL MODELLO COLLABORATIVO Il modello collaborativo si situa nella combinazione bassa complessità organismo personale /sfavorevole situazione competitiva. L’impresa opera in un mercato maturo o in declino dove la concorrenza è numericamente folta e dove la variabile competitiva principale ,se non unica, è il prezzo. I meccanismi operativi sono soggettivi e informali come quelli dell’assetto elementare , ma ciò che lo caratterizza fortemente rispetto a quest’ultimo è l’ attenta difesa dei confini aziendali, e la costante attenzione che deve essere 87 riservata , vista la continua pressione sui prezzi ,all’ individuazione di collaborazione a monte o valle della filiera produttiva. Secondo Grandori, quest’impresa può sopravvivere e crescere solo se è in grado continuamente di coagulare gli interessi dei concorrenti intorno ad un progetto comune e di scegliere in maniera opportuna le modalità gestionali delle relazioni in essere. IL MODELLO INNOVATIVO Il modello innovativo è particolarmente adeguato per le combinazioni alta complessità organismo personale/sfavorevole situazione competitiva. La modalità realizzativa della strategia prescelta è affidata all’ attività manageriale separata dall’attività imprenditoriale e ciò ha un impatto forte su tutti gli aspetti organizzativi dell’impresa, che infatti presenta strutture funzionali o divisionali. I responsabili di funzione o divisione sono i veri decisori rispetto alle modalità di raggiungimento dei determinati obiettivi strategici definiti dalla proprietà . Le professionalità presenti nell’impresa introducono tecniche e metodologie manageriali che ne determinano il funzionamento. Esistono sistemi di controllo di gestione come le analisi di bilancio, il processo di budgeting e l’analisi degli scostamenti che permettono alla direzione di effettuare i necessari mutamenti di strategia sulla base di dati oggettivi. Anche la comunicazione diviene progettata e standardizzata. Questo modello rischia una degenerazione burocratica quando l’elevato investimento in risorse da destinare all’assetto organizzativo che richiede diviene sovrabbondante rispetto alle esigenze del contesto competitivo e produce carichi inefficienti di costo. IL MODELLO DIFFUSO Il modello diffuso si situa nella combinazione alta complessità organismo personale/ favorevole situazione competitiva. Ci troviamo solitamente in settori fortemente innovativi, caratterizzati dagli investimenti in beni immateriali e dove anzi le attività dell’impresa risiedono proprio principalmente nelle competenze professionali del personale. La struttura organizzativa è solitamente piatta: le relazioni orizzontali prevalgono su quelle verticali e il principio gerarchico è fortemente attenuato. Il rischio principale di quest’impresa è di perdere il suo capitale immateriale per l’incapacità eventuale di trattenere le persone all’interno. Un altro rischio di questo modello è la degenerazione anarcoide, in cui le finalità dell’azienda sembrano stemperarsi di fronte alle necessità “espressive” dei singoli che la compongono. Come scegliere da parte della nostra impresa e/o cooperativa il modello organizzativo più adeguato? 88 Il modo più semplice è ovviamente quello di individuare attraverso l’analisi delle variabili situazione competitiva e complessità organismo personale l’assetto organizzativo preferibile e eventualmente ,nel caso in cui non ci sia concordanza con quello effettivamente in essere, cercare di riportare ad esso la situazione organizzativa delle cooperativa. Se, infatti, l’applicazione dello schema dimostra che l’assetto operante non è coerente con le variabili di contesto attuali o future, esiste un problema di funzionalità operativa che merita di essere considerato prima che possa produrre problemi anche seri per la sopravvivenza e la crescita della cooperativa. Lo schema può effettivamente anche essere utilizzato in termini dinamici e preventivi, nel caso in cui la cooperativa ritenga di trovarsi di fronte a rapidi e drastici mutamenti nelle variabili di contesto. 89 CAPITOLO SESTO IL VALORE D’AZIENDA Il concetto di valore di azienda Nella trattazione dei metodi e degli strumenti di gestione manageriale si è spesso fatto riferimento al concetto del valore dell’impresa. Si tratta di un riferimento necessario, in quanto ovviamente tutta l’attività svolta in un’impresa è rivolta all’aumento del suo valore. La possibilità che ha il settore di uscire dalla crisi che sta attraversando è legata – come abbiamo più volte ripetuto – al recupero di redditività. La misura sintetica del recupero di redditività è data dal valore. Nuovi imprenditori e nuovi investimenti entreranno nel settore se le imprese dimostreranno di creare ricchezza e valore. E’ utile quindi chiarire il significato dell’espressione “valore d’azienda” e illustrare in modo più specifico l’utilizzazione. In Italia, dove la matrice ragionieristica in campo accademico e professionale è stata predominante fino a poco tempo fa, l’espressione “valore d’azienda” è sempre servita per indicare il valore del capitale azionario investito in un’impresa (Lazzari 1999). Nel mondo anglosassone, invece, ha assunto significato più ampio soprattutto in seguito ai contributi di Modigliani e Miller. Si è già accennato al fatto che il valore dell’impresa deve essere considerato, secondo questa visione, come il valore del portafoglio degli investimenti realizzati. Questo valore a sua volta è diviso in due componenti: il valore di competenza dei debitori ed il valore di competenza dei soci. Si tratta di un approccio economico-finanziario che nega la possibilità di giungere ad una nozione di valore con carattere di generalità ed obiettività, come invece tende ad affermare la visione ragionieristica. Al contrario, secondo la tesi dell’approccio economico-finanziario, il valore di un’impresa non è determinabile indipendentemente dalla prospettiva delle parti in causa e dalla possibile evoluzione dei rapporti fra le stesse. Valga solo l’esempio significativo di come valutare l’azienda gestita da un imprenditore incapace nel caso di possibile vendita ad altro imprenditore che ha sempre dato prova di notevole abilità manageriale. In questo caso non esiste un valore unico e oggettivo. Il valore del portafoglio degli investimenti dell’impresa in base alla gestione attuale del manager incapace è ben diverso dal valore del portafoglio in base a una gestione efficace. 90 L’appoggio economico-finanziario ormai sta diventando il più diffuso a livello mondiale. I due approcci concordano comunque su un punto essenziale: il processo di valutazione del valore dell’impresa deve essere razionale e produrre risultati attendibili. Sempre secondo il già citato Lazzari, il processo di valutazione: • non deve configurarsi come una scatola nera; • deve assicurare in ogni suo passaggio il massimo di trasparenza e di giustificazione delle scelte compiute dal valutatore. Una comprovata coerenza logica della procedura e una attenta motivazione delle scelte fatte facilitano l’accettazione e l’utilizzo appropriato della valutazione da parte dell’utente interessato (investitore istituzionale, nuovo socio imprenditore o finanziario, banca per un impegno finanziario a lungo termine). Un altro punto in comune fra i due approcci consiste nell’affermare che il valore di un’impresa dipende solo dal potere d’acquisto che essa potrà trasmettere nel futuro a chi vi impegna i propri capitali. Sono due, dunque, le fonti di valore per l’impresa: 1. i flussi di cassa che l’impresa può produrre; 2. il controvalore monetario realizzabile in sede di liquidazione dell’impresa attraverso la cessione delle sue attività patrimoniali. I PRINCIPALI METODI DI VALUTAZIONE DEL VALORE DELL’IMPRESA I metodi di valutazione del valore d’impresa che esamineremo rapidamente sono: • i metodi patrimoniali; • i metodi reddituali; • i metodi finanziari; • i metodi empirici. Nei metodi patrimoniali, il valore dell’impresa è espresso come funzione del patrimonio netto: si ottiene dunque sottraendo il valore delle passività, integrate e rettificate adeguatamente, da quello delle attività anche esse integrate e rettificate. 2.1 I METODI PATRIMONIALI I metodi patrimoniali possono essere: • semplici: si considerano i beni materiali, i beni immateriali per i quali è consentita per legge l’iscrizione nel bilancio d’esercizio, i crediti e la liquidità; • complessi: si considerano anche i beni immateriali non capitalizzati; • analitici: si procede a una valorizzazione motivata e documentata delle diverse tipologie di beni; 91 • empirici: si valorizzano i beni sulla base di parametri e formule dedotti dai comportamenti negoziali degli operatori del mercato e a altre forme dedotte dall’esperienza. Poiché in definitiva la valutazione patrimoniale tende solamente all’individuazione dei prezzi che dovrebbero essere pagati per acquistare i singoli elementi che compongono il capitale dell’impresa, non viene più ormai considerata dalla teoria di finanza aziendale una risposta soddisfacente per il problema della definizione del valore d’impresa. I METODI REDDITUALI Nei metodi reddituali, l’unico elemento che interessa per la valutazione del valore è la capacità dell’impresa di produrre reddito. I problemi da risolvere per il suo calcolo riguardano la scelta del tipo di reddito, del tasso di attualizzazione e dell’orizzonte temporale. Per l’applicazione concreta dei metodi reddituali occorre conoscere con ragionevole certezza i fattori determinanti dei risultati reddituali attesi, che tipicamente sono rappresentati da: • tasso di crescita atteso; • i livelli di produttività; • le variazioni dei prezzi di vendita; • le variazioni dei fattori produttivi; • un meccanismo di calcolo per stimare la sensitività (la variabilità) del reddito al variare di questi fattori. In sostanza, si deve cercare di valutare nel modo più oggettivo possibile i punti di forza e di debolezza dell’impresa. Altro aspetto di fondamentale importanza è l’ampiezza dell’orizzonte temporale da considerare. Molti valutatori ritengono che la proiettabilità dei redditi nel futuro sia scarsamente attendibile già dopo solo 2-3 anni. Solitamente comunque si considera un periodo di 3-5 anni. La tipologia di reddito più applicata in questo metodo di valutazione è il reddito medio prospettico rettificato. Si giunge ad esso tenendo conto innanzitutto della particolare fase di vita dell’impresa: se l’impresa sta vivendo modificazioni strutturali oppure attraversa una fase di sviluppo equilibrato. Nel primo caso si formuleranno risultati economici previsionali basati sulle nuove situazioni prospettiche che l’impresa affronterà. Nel secondo caso si proietteranno i risultati storici rettificati per l’arco temporale prescelto. Le rettifiche dovranno tendere alla eliminazione degli effetti di particolari politiche di bilancio (ammortamenti, magazzino, fondi rischi, ecc.). La capacità reddituale dell’impresa è riflessa dai valori del reddito operativo, ovvero dal grado di successo della gestione tipica: per evitare che situazioni 92 patologiche ne riducano l’importanza, si dovrà fare riferimento per la determinazione del reddito medio netto a una situazione “normale” di indebitamento e di rapporti fiscali. In altre parole, poiché in sede di valutazione del valore si fa riferimento al reddito al netto degli oneri finanziari e fiscali, il reddito va corretto se è stato pesantemente influenzato da un livello di indebitamento troppo elevato o da particolari situazioni fiscali. Per quanto concerne il tasso di attualizzazione, esso si compone di due parti: • la prima esprime il compenso per il semplice trascorrere del tempo; • la seconda esprime il compenso per il rischio. Sulle varie definizioni di rischio ci si soffermerà più avanti; qui basti dire che va interpretato come variabilità o probabilità di scostamento dei risultati attesi. I criteri per la scelta del tasso di attualizzazione sono molti: si spazia dal criterio del costo-opportunità (inteso come rendimento che ci si aspetta da investimenti alternativi a parità di rischio) al criterio del costo del capitale (inteso come costo medio ponderato dei mezzi finanziari). Ancora oggi i vari metodi reddituali, che si distinguono per le diverse tipologie di reddito e di tassi di attualizzazione prescelti, contano non pochi sostenitori. Il loro pregio è la forte sottolineatura del reddito come componente primaria dell’attività aziendale. Si può di contro individuare il loro limite nei contenuti di soggettività, non sempre riconducibili ad una razionalità accettabile, nella determinazione degli elementi determinanti per il calcolo del valore. I METODI FINANZIARI I metodi finanziari hanno come finalità il superamento dei limiti delle vecchie visioni patrimoniali e reddituali, proponendo una visione dell’impresa concepita come entità che genera valore economico, identificato nei flussi di cassa positivi di lungo termine. Il concetto base dei metodi finanziari parte dunque dalla considerazione dell’impresa come un particolare insieme di investimenti al quale si applica la logica della programmazione di capitale. L’impresa verrà valutata in funzione di due parametri base: 1. la struttura temporale e la consistenza dei ritorni (flussi di cassa) che scaturiscono dall’investimento nell’impresa; 2. il rischio che tale investimento ha rispetto ad altre forme di impiego di capitali: si tratta del tasso di rendimento proprio di quella determinata impresa che tiene conto cioè della sua specifica rischiosità. Lo si può anche definire come il tasso di rendimento minimo richiesto dagli investitori per investire in quella impresa. La regola di calcolo da applicare è quella del valore attuale: V = ΣCF /(1 + r ) t 93 dove t è il numero di anni (l’orizzonte temporale) prescelto, CF sono i flussi di cassa e r è il tasso di attualizzazione. Vi è una stretta interdipendenza e complementarietà tra i due parametri dei flussi di cassa e del tasso di attualizzazione. Infatti, il tasso di attualizzazione è determinato tenendo conto della variabilità dei flussi di cassa attesi: tanto essa è più elevata, tanto il rischio specifico dell’impresa aumenta. Il tasso di attualizzazione da applicare dovrà essere più alto. I metodi finanziari, secondo i loro sostenitori (tra cui anche noi), permettono di apprezzare in modo esaustivo la dinamica della liquidità generata e i tempi nei quali essa si manifesta. Forniscono quindi una visione integrata delle scelte strategiche e operative dell’impresa che hanno un impatto sia sul conto economico sia sullo stato patrimoniale. Inoltre, la valutazione del valore ottenuta con l’applicazione dei metodi finanziari consente di individuare prontamente situazioni di declino, che, con l’utilizzo di particolari politiche di bilancio indirizzati a creare utili in modo fittizio, potrebbero essere più a lungo tenute nascoste utilizzando altri metodi di valutazione. Non è questa ovviamente la sede per entrare nei dettagli di questi metodi, in quanto il nostro scopo è quello di fornire una introduzione ai concetti che ognuno poi approfondirà come vuole. E’ però necessario sottolineare l’esistenza di alcuni problemi per l’applicazione di questi modelli alla specificità delle società cooperative. Il primo riguarda il fatto che l’impresa viene considerata nei modelli finanziari alla stregua di un qualsiasi altro investimento finanziario e la sua appetibilità si valuta in relazione al suo rendimento rispetto a impieghi alternativi. Questa linea di pensiero presuppone una perfetta trasferibilità dell’impresa o dei titoli che ne rappresentano quote di proprietà. Se questa ipotesi è poco rispondente in Italia alla realtà anche per società di capitali di grande dimensione, è totalmente irrealistica per cooperative di piccole dimensioni. Eppure la validità della nozione di valore d’impresa ottenuta con i metodi finanziari ha un significato di grande importanza come parametro di verifica generale, o se si vuole, di “prezzo ombra”, per capire, con la maggiore precisione possibile, se l’impresa crea ricchezza nel corso del tempo. Se non lo fa, occorre ovviamente prendere delle decisioni appropriate. Il secondo problema riguarda la presenza tra le fonti di finanziamento a titolo di capitale di rischio delle cooperative di una forma tecnica particolare come le riserve indivisibili, per non parlare di una forma “ibrida” come il prestito sociale. Ciò impone alcuni non semplicissimi, ma non irrazionali, adattamenti per applicare i criteri di calcolo richiesti dai metodi finanziari alle cooperative. I METODI EMPIRICI 94 I metodi empirici sono utilizzati principalmente per stimare il valore delle aziende di piccola e piccolissima dimensione. Negli Stati Uniti hanno assunto spesso la funzione nobile di costituire l’elemento di riferimento per diversi settori. Guatri (1998) li ha bollati come “formule senza senso e senza logica”, essendo basati solo su una opinione collettiva diffusa in un settore specifico o in altri similari, indicante per quanto un’azienda può essere venduta o comprata. Ne ha però anche individuato qualche vantaggio: • l’estrema semplicità di applicazione; • la probabilità che i libri e i bilanci delle piccole imprese non esprimano con la necessaria accuratezza talune informazioni necessarie per applicare metodi più sofisticati come quelli reddituali e finanziari; • la derivazione diretta dal mercato, senza quindi la presenza di valutazioni soggettive del valutatore. E’ interessante per noi la diffusione negli Stati Uniti di una “regola del pollice” per definire il valore di una nave da pesca. Il suo valore è semplicemente definito come l’utile netto annuale medio, corretto figurativamente per lo stipendio (medio) del titolare. Un semplice esempio numerico: se l’utile netto medio annuale (utile medio “normale” calcolato come media di 3-5 esercizi) è 100, da esso deve essere detratto lo stipendio (medio) che il titolare non si è pagato. Se supponiamo che esso sia 20, il valore dell’impresa, applicando questo metodo empirico, è 80. 95 CAPITOLO SETTIMO LE CAUSE DEL DECLINO E DELLA CRISI DELLE COOPERATIVE ITTICHE E IL PIANO DI RISANAMENTO I FATTORI DI DECLINO E DI CRISI La profonda crisi che il settore sta ancora affrontando rende necessario parlare di sopravvivenza e crescita delle cooperative e imprese di pesca anche partendo da situazioni di difficoltà in cui sia possibile ancora comunque impostare strategie di risanamento. Alla radice di ogni tipo di fallimento di impresa, qualsiasi sia la dimensione o il settore di appartenenza, ci sono sempre fattori come una insufficiente capacità di elaborazione e conduzione strategica, un insufficiente controllo degli aspetti fondamentali della conduzione finanziaria e l’incapacità di essere competitivi. La letteratura italiana più qualificata distingue le cause all’origine delle crisi aziendali a seconda che essi siano riconducibili a fattori esterni (ambiente e mercato) o a fattori interni (legati al profilo organizzativo e a quello manageriale. Questi sono i fattori a cui in ultima istanza dipende l’efficacia delle decisioni aziendali e dunque la predisposizione al declino e alla crisi. Guatri fornisce una interessante classificazione analitica incentrata sulla distinzione tra approccio soggettivo e oggettivo che fornisce illuminanti intuizioni per i fini della nostra analisi. Il suo contributo parte dalla convinzione che il declino dell’impresa sia una condizione dovuta alla qualità degli uomini (aspetto soggettivo). L’imprenditore , il gruppo dirigente ,il management se è presente, insieme ai portatori di interessi (lavoratori, finanziatori, fornitori, clienti) si dividono sempre le responsabilità in misura più o meno egualitaria a seconda delle circostanze. Questa chiamata di correo sottintende il riferimento ai processi organizzativi di cui essi , con diversi ruoli e responsabilità, fanno parte. In particolare l’autore si riferisce ai processi di : • indirizzo e controllo : si mette in evidenza la capacità dei consiglieri di amministrazione - che nel caso delle nostre cooperative corrisponde sostanzialmente al gruppo dirigente - di indirizzare e controllare efficacemente la gestione dell’impresa • direzionali • operativi 96 Se la qualità dell’elemento umano è bassa o semplicemente inadeguata alla situazione competitiva dell’impresa, il funzionamento della macchina aziendale nel suo complesso sarà inefficiente ed inefficace. Sotto l’aspetto oggettivo, le cause delle crisi possono essere ricercate facendo riferimento a dei cosiddetti macrosegnali che esprimono le prestazioni e il posizionamento nel mercato delle imprese. Un primo elenco non esaustivo potrebbe comprendere: • il livello di efficienza delle funzioni aziendali • la sovracapacità produttiva e la rigidità dei costi • l’indebolimento del portafoglio prodotti • l’incapacità di programmare e fare strategia • lo squilibrio finanziario Nella realtà aziendale le cause si sovrappongono e sono sempre legate da relazioni di causalità molte volte difficili da identificare con esattezza. r Non esiste purtroppo una base statistica sufficientemente affidabile sui casi di crisi del settore della pesca per procedere ad una verifica empirica di queste teorie. Per esperienza personale, possiamo però testimoniare che le risultanze di una indagine condotta su un vasto campione di prese soprattutto di piccole dimensioni ha portato all’individuazione empirica di cause di crisi aziendali largamente coincidenti con quelle maggiormente frequenti nel settore ittico, con qualche specificazione di cui si darà conto: • le difficoltà derivanti da crisi generali del mercato: questo fattore appare più come condizione che fa esplodere la crisi in situazioni aziendali già compromesse che non come causa principale della crisi. I dati statistici portano infatti ad escludere come spiegazione generale delle difficoltà aziendali crisi di settore tali da annullare completamente la capacità della gestione operativa di generare risorse. Sembrerebbe quindi confermata la posizione di coloro che ritengono debole la spiegazione degli insuccessi aziendali come determinati da fattori esterni(congiunture settoriali e dei singoli mercati) piuttosto che da errori e abusi manageriali. • La ricerca acritica della massimizzazione della crescita: molti studi di casi aziendali mettono in evidenza come la crescita indiscriminata sia stata sovente l’obiettivo principale perseguito dal gruppo dirigente nel periodo precedente il dissesto , anche per effetto delle condizioni del mercato del credito e delle posizioni assunte dalle istituzioni finanziarie. • L’inadeguatezza del rapporto strategia struttura, come ad esempio la mancanza di adeguati assetti organizzativi in relazione alla crescente complessità dell’ambiente economico. • La debolezza degli assetti istituzionali, combinata con comportamenti manageriali censurabili. La casistica è ampia: mancanza di dialogo o anche di conoscenza tra i finanziatori e il management, consigli di amministrazione senza peso, debolezza dei controlli dei collegi sindacali, banche che non hanno 97 capacità di indirizzo e controllo. In sostanza gli errori strategici e gli abusi del gruppo dirigente in molte situazioni di crisi sono riconducibili almeno in parte a sistemi di governance poco o per nulla efficaci. • La fragilità della struttura finanziaria: si tratta della diffusa tendenza a utilizzare l’indebitamento bancario a breve per il finanziamento delle immobilizzazioni tecniche. Una struttura finanziaria fortemente squilibrata diventa un fattore di rischio gravissimo in caso di condizioni avverse come la scarsa o nulla redditività della gestione caratteristica, l’ aumento dei tassi di interesse, una situazione di restrizione generalizzata del credito ecc. La finanza non è mai, lo si è detto più volte, un fattore primo delle crisi aziendali, ma piuttosto un fattore di amplificazione e accelerazione di processi degenerativi già in atto. Per usare le parole sempre di Guatri, le crisi finanziarie non sono in realtà tali, ma per lo più rappresentano la manifestazione ultima di patologie aventi altra origine specialmente di ordine economico • Una cattiva gestione dell’informazione verso i portatori di interessi: troppe volte all’esterno sono convogliate informazioni attraverso i bilanci o ad altri mezzi magari formalmente corrette, ma nella sostanza insufficienti o fuorvianti per consentire eventualmente ai finanziatori e agli altri portatori di interessi di chiedere modifiche alla gestione manageriale prima che la situazione diventi critica. Molto spesso i casi di crisi infatti si manifestano esteriormente quando è ormai troppo tardi per realizzare una strategia di salvataggio e di ritorno al valore . • La presenza di un particolare tipo di politiche di incentivazione pubblica: come si è già detto, in alcuni casi la possibilità di accedere a finanziamenti agevolati o a fondo perduto può alterare profondamente la percezione della redditività di determinati progetti di investimento, inducendo al loro perseguimento anche se causano alterazioni nella struttura finanziaria, peggioramento dei flussi di cassa e squilibri organizzativi. In termini tecnici, la crisi diviene esplosiva quando i flussi prodotti dalla gestione operativa diventano insufficienti a coprire il pagamento degli interessi passivi netti sui debiti. Si tratta di un caso sempre verificatosi nelle diverse patologie mortali che hanno interessato le nostre cooperative. Arrivati a questo stadio finale delle crisi aziendale, l’unica possibilità di salvezza è il ricorso a fonti esterne di finanziamento o una politica di dismissioni per riuscire a far fronte al pagamento degli interessi. UN MODELLO DI INDIVIDUAZIONE PRECOCE DELLE SITUAZIONI DI CRISI 98 La crisi e il declino sono dunque sempre figli dell’inadeguatezza di modelli strategici e gestionali. La parte successiva di questo lavoro sarà dedicata alla trattazione introduttiva di tecniche per una loro corretta definizione e sviluppo. Qui si vuole invece fornire ai gruppi dirigenti delle imprese e delle cooperative del settore ittico un quadro di riferimento sintetico dei sintomi di deterioramento aziendale che devono immediatamente e senza remore essere affrontati per evitare che portino a una crisi irreversibile. Si tratta di un problema delicato. L’atteggiamento dei gruppi dirigenti dinnanzi alle difficoltà economiche delle proprie cooperative non è sempre lineare. E’ comunque un comportamento generalizzato se anche nella letteratura specializzata in materia si denuncia una vera mancanza di cultura delle crisi dei gruppi dirigenti, della difficoltà di coloro che ne sono inizialmente coinvolti di rendersene conto, e delle difficoltà che consulenti o terzi incontrano nel convincere i responsabili massimi dell’impresa della realtà della crisi. Seguiamo Guatri, interpretato e integrato dalle nostra esperienza personale per adeguarlo alla realtà del settore ittico, nel tracciare un elenco del tutto indicativo e di portata pratica dei fenomeni interni all’impresa che possono essere qualificati come segni di difficoltà e disfunzioni: • Perdita di redditività: si tratta di un segnale chiaro e immediato, cui spesso le imprese vanno seguire la riduzione degli investimenti, che inevitabilmente produce ulteriore perdita di redditività . Alla perdita di redditività si accompagna il peggioramento della struttura finanziaria e la diminuzione delle fiducia da parte dell’ambiente socio-economico in cui l’impresa agisce • Negatività dei flussi di cassa: sono quasi sempre correlati alle perdite, ma in certe occasioni le perdite si limitano solamente e ridurli. Lo studio dei casi aziendali ha dimostrato che proprio queste ultime sono le situazioni più pericolose: il management è ancora in grado grazie alla positività sia pure limitata dei flussi di fare fronte alle proprie obbligazioni e può consentire che il declino prenda corpo per evitare di ammettere la situazione di difficoltà. In certi casi si ricorre anche a casi di contabilità creativa nei bilanci per occultare o rinviare nel tempo le perdite. La negatività dei flussi di cassa è invece da considerare una situazione fisiologica, con le dovute cautele, in casi di start-up o di forte e veloce sviluppo dell’impresa. • Perdita di quote di mercato: il segnale è univoco quando il mercato è stazionario. In questo caso infatti alla perdita di quote di mercato si associa una riduzione delle vendite. La situazione si fa più complessa quando la perdita delle quote di mercato avviene in una situazione di crescita rapida ma temporanea della domanda esso: le perdite di quota possono associarsi anche ad aumenti in assoluto delle vendite. Il pericolo insito in uno sviluppo inferiore a quello medio dei concorrenti diviene così meno evidente . quando però il mercato tornerà a una condizione di normalità, l’impresa si troverà di fronte a una quasi sicura situazione di difficoltà 99 • Diminuzione delle vendite o peggioramento del mix di prodotti: intuitivamente, la riduzione delle vendite è un segnale fortemente negativo. L’unica eccezione è rappresentata dal caso in cui essa è associata a un aumento dei prezzi e dei margini. L’altro segnale negativo è lo spostamento delle vendite verso i prodotti a più basso margine. Nel caso in cui la politica di riduzione dei prezzi diviene lo strumento per procurarsi ordinazioni dalla clientela si è in presenza di una caduta della competitività. • Perdita di personale qualificato: si tratta contemporaneamente di un segno di declino e di accelerazione dello stato di difficoltà • Deterioramento della struttura finanziaria: un peggioramento della struttura finanziaria sia in termini di rapporto tra debiti e mezzi propri sia in riferimento alla composizione del passivo tra breve e medio-lungo-termine e al peso degli oneri finanziari è un palese segno di declino, cui bisogna reagire con aumenti di capitali, dismissioni ed altri strumenti di finanza straordinaria • Forte liquidazione della liquidità: segnale, al di fuori della eccezionalità, sempre preoccupante • Peggioramento dei rapporti con la comunità finanziaria: se le banche percepiscono la situazione di difficoltà, reagiscono quasi sempre con un aggravio delle condizioni, con una riduzione degli sconfinamenti e con altre misure di contenimento del credito, fino a giungere a minacciare rientri con preavvisi brevissimi o addirittura immediati. Le banche agiscono spesso con l’istinto del branco: appena una si muove, le altre la seguono con catastrofici effetti a valanga per le imprese che molto spesso non sono in grado di rientrare nel breve con le scadenze richieste dal sistema bancario. • Peggioramento nel rapporto con i fornitori: segnale pesantissimo, che spesso precede la paralisi produttiva dell’impresa. Si sostanzia in richiesta di pagamenti a breve o addirittura in contanti o addirittura in sospensione delle forniture. • Maggiori perdite su crediti: un’impresa che sperimenta difficoltà, sul mercato è spinta ad attenuare i criteri per la scelta dei clienti per cercare di spingere le vendite. Il risultato molto spesso è un aumento delle insolvenze. Lo stato di difficoltà consente poi ad altri clienti di ottenere condizioni di vendita più favorevoli determinando un aumento degli oneri finanziari e una riduzione dei margini. • Carenza di capacità strategiche • Tensioni nei rapporti con i dipendenti: lo stato di difficoltà dell’impresa determina inizialmente la staticità delle retribuzioni, l’abbandono di ogni politica di incentivazione e di formazione, spesso l’abbandono da parte dei quadri migliori. Il passo successivo è la riduzione del personale e/o il ricorso a forme di sospensione temporanea del lavoro • Peggioramento della produttività: le difficoltà economiche-finanziarie inducono a tagliare le spese in investimenti ed inducono una crescente 100 disaffezione da parte del personale, con risultati spesso devastanti per quanto concerne la produttività. • Capacità della concorrenza di aumentare la propria produttività e di ridurre sensibilmente i propri costi: se a fronte di un maggiore dinamismo e efficacia manageriale della concorrenza l’impresa non riesce a mettere in campo strategie valide, il declino è solo questione di tempo. La maggior parte delle imprese e cooperative del settore ittico scontano - come si è detto -una bassa redditività. Quando la redditività è carente e prolungata nel tempo, diventa un potente fattore di dissesto che può portare alla chiusura dell’impresa. Si vuole sottolineare la durata temporale della condizione di insufficiente redditività in quanto l’esperienza di casi aziendali del nostro settore mostra come le situazioni di crisi profonda non si manifesta abitualmente con virulenza immediata e repentina, ma piuttosto con malesseri anche lievi, che spesso il gruppo dirigente sottovaluta inizialmente e che con un effetto moltiplicativo degenerano fino a provocare situazioni irrecuperabili. Lo slogan che possiamo utilizzare per ricavare dal passato qualche ammaestramento allo scopo di affrontare con probabilità di successo le crisi aziendali suona così: “umiltà e attenzione”. Troppe volte gruppi dirigenti con ambizioni non proporzionate alla realtà hanno dimenticato queste due parole e si sono incamminati con superbia verso il baratro. Particolarmente nelle piccole e medie imprese, la scarsa esperienza o la scarsa capacità del management possono essere contenuti con un ben strutturato processo di programmazione controllo. È’ evidente che quando l’attività di programmazione e controllo assume carattere strategico è certamente meno problematico individuare le azioni necessarie per migliorare la situazione dell’ impresa nel mercato e aumentarne il valore economico. Una qualche utilità nell’individuare gli squilibri portatori del declino può essere attribuita alla tecnica degli indicatori statici: • Indici basati sui flussi reddituali, comparati con indici di imprese omogenee ed esaminati nell’ottica dell’andamento tendenziale nel tempo: utile netto/capitale proprio, utile netto/fatturato, mol/capitale investito, mol/fatturato, costi fissi /fatturato, oneri fissi/fatturato ecc. Va sottolineato come in questa particolare analisi l’indice risultato netto/capitale proprio assume una specifica connotazione di “creazione di nuovo valore” nel caso in cui sia superiore al rendimento medio di investimenti similari a parità di rischio. Questa differenza assicura che il valore complessivo dell’impresa aumenta. Nel caso in cui la differenza sia negativa , l’impresa non produce ma distrugge valore. Se tale situazione di insoddisfacenti risultati permane nel tempo o addirittura tende ad accentuarsi, ci troviamo di fronte ad una situazione di squilibrio che segnala in declino incipiente o già in atto. Ovviamente il risultato netto da utilizzare in 101 questa analisi deve essere quello normalizzato ossia depurato dei componenti straordinari di reddito. L’utilizzazione del margine operativo lordo negli indici questa serve soprattutto a valutare le condizioni di equilibrio dell’impresa senza tenere conto delle influenze della struttura finanziaria. Le valutazioni ottenute dall’ analisi di questi indici costituiscono un necessario complemento a quelle dell’ analisi reddituale. • Indici di flussi finanziari: flusso di cassa/capitale netto, flussi di cassa/capitale investito. • Indici rappresentativi della velocità di circolazione delle scorte, dei crediti, del capitale circolante netto. LA PERDITA DI VALORE DELL’IMPRESA E’ sempre più accettata la tesi però secondo cui l’indicatore più affidabile per individuare la situazione di declino dell’impresa è dato dalla staticità o dalla perdita di valore dell’impresa. In termini molto semplici, il valore di un ‘impresa è dato dalle attese sui flussi a medio e lungo termine e il tasso di attualizzazione che è espressione della variazione del rischio. Quando le attese sui flussi volgono stabilmente verso il basso e/o la situazione di rischio dell’impresa è percepita in peggioramento, si ha perdita di valore. L’indicatore di valore ha una elevata significatività in quanto: • Tiene conto congiuntamente del flussi e dei rischi ad essi connessi • Guarda al futuro nella stima dei flussi e dei rischi, mentre gli indici statici sono basati su dati storici che fotografano il passato. La “teoria di creazione del valore”, con le tecniche ad essa connesse è peraltro, come si è detto, la più accreditata in materia di gestione aziendale : essa comporta la ricerca sistematica di tutte le cause di distruzione del valore alla fine della loro eliminazione. Il valore rappresenta il vero fondamentale indicatore del declino in atto ed ovviamente assume anche il ruolo di strumento di prevenzione di situazioni negative : la ripetizione periodica del controllo aiuta a individuare la necessità di rapide azioni correttive. Si veda il capitolo dedicato a questa tematica. Come la storia aziendale di molte cooperative attesta ampiamente, anche la crescita può costituire alle volte un rischio ed anche un rischio mortale. Ciò accade quando la crescita da imperativo categorico per la sopravvivenza dell’impresa assume viceversa caratteri di squilibrio e di anormalità che portano per usare le parole di Guatri a vere e proprie trappole con conseguenze spesso nefaste. 102 L’impresa in queste circostanze assume rischi elevati i cui esiti- limite sono il successo clamoroso o l’insuccesso che porta anche al fallimento nel caso in cui non esistano risorse sufficienti per affrontare la crisi. Le trappole della crescita cui si accennava sono riconducibili a tre grandi gruppi: • Crescite non razionalmente pianificate che contengono gravi errori che portano a situazioni impreviste e negative • Crescite troppo veloci che creano squilibri insanabili • Crescite da sviluppo forzato che non coincide con l’interesse reale dell’impresa L’incapacità manageriale è all’origine del primo gruppo di trappola della crescita: ci troviamo in presenza di previsioni errate sullo sviluppo della domanda, sulle quote di mercato , sulle economie di scala ottenibili, di sopravalutazione delle risorse finanziarie e manageriali necessarie per la crescita ; sottovalutazione delle capacità e delle conoscenze necessarie per affrontare nuovi campi di attività; mancata predisposizione di piani alternativi in caso di insuccesso del programma di sviluppo attuato. Il secondo gruppo di squilibri include la casistica legata a crescite troppo veloci che creano problemi culturali,organizzativi e gestionali spesso insormontabili. Emblematici sono i casi aziendali la crescita rapida evidenzia la sopravvenuta insufficienza per le nuove dimensionali aziendali del personale a li vello direttivo. Accanto a questi aspetti di tipo qualitativo una crescita troppo veloce può creare problemi gravi con riguardo alla situazione patrimoniale: gli investimenti effettuati sia in immobilizzazioni sia in capitale circolante devono necessariamente essere finanziati. Non sempre ciò è possibile o è possibile senza pregiudicare gravemente la solidità patrimoniale. L’autofinanziamento ben difficilmente è in grado di tenere il passo di una crescita troppo rapida. La scarsa convinzione o l’impossibilità da parte dei soci di procedere ad adeguate capitalizzazioni portano ad uno squilibrio tra i mezzi propri e l’indebitamento che può indurre forti preoccupazioni tra i creditori (banche e fornitori) che possono rifiutarsi di concedere ulteriore credito e comunque di concederlo a condizioni più onerose. Possono prodursi situazioni di illiquidità, spesso letali per le imprese di più piccole dimensioni. Per quanto riguarda il terzo gruppo, nell’ ambito di settori economici caratterizzati da forti incentivazioni casi di sviluppo forzato hanno spesso coinciso con l’attuazione di piani di investimento non chiaramente motivati da considerazioni di reale redditività. Alcune amare esperienze del settore ittico sono da ascrivere a questa categoria. Altre motivazioni dello sviluppo forzato possono essere rintracciate più generalmente dalla ricerca da parte dei dirigenti di vantaggi di vario tipo – reddituali e di prestigio - personali più che di sane opzioni di crescita per l’impresa. 103 Vittorio Coda ha fornito una chiara esemplificazione delle differenze di comportamento da parte del gruppo dirigente di un ‘impresa di successo e di un’impresa in declino che con gli opportuni adattamenti rispecchia bene le esperienze del nostro settore: • Percezione dei cambiamenti ambientali e dei meccanismi che li spiegano: nelle imprese di successo è tempestiva e corretta, in contrario nell’impresa in declino • Percezione dello stato di salute dell’azienda e dei fattori che la determinano: come sopra • Individuazione dei problemi prioritari: puntuale nelle imprese di successo; carente e sfuocata nelle imprese in declino • Capacità di produrre idee innovative: nelle imprese di successo elevata; scarsa o nulla nelle altre • Elaborazione delle proposte di soluzione: approfondita in ciascuno degli aspetti implicati, integrata, tempestiva nelle imprese di successo; scarsa o nulla, superficiale , parziale, intempestiva nelle altre • Selezione delle alternative: attuata attraverso corrette e tempestive analisi di fattibilità (tecnica , commerciale , finanziaria), analisi economiche, valutazioni strategiche nelle imprese di successo; affidata all’intuito nelle imprese in declino • Realizzazione delle alternative prescelte : nelle imprese di successo coordinata , economica, puntuale; nelle altre soggetta a rinvii, a errori di programmazione e ritardi. I CASI DI IMPOSSIBILITA’ DI RITORNO AL VALORE Questa opera riguarda i metodi e gli strumenti per la crescita aziendale , ma non è fuori luogo chiarire le condizioni che permettono di minimizzare le perdite non ricorrendo ad alcuna azione di ristrutturazione in quanto le possibilità di ritorno al valore e dunque di ripresa del percorso di crescita sono inesistenti. E’ intuitivo come esista una certa convenienza a ricorrere ad una procedura di liquidazione quando il valore dell’azienda in continuità è inferiore al valore di vendita dei beni dell’azienda e non vi è alcun programma di investimento in grado di determinare un incremento del valore di liquidazione– surplus di ristrutturazione- superiore all ‘ ammontare di questo programma di investimento maggiorato della differenza tra valore di liquidazione originario (prima del programma di investimento) e valore in continuità dell’azienda. In termini meno formali, se si ritiene che il valore finale dell’impresa dopo il programma di investimento finalizzato alla ristrutturazione è superiore a quello iniziale di liquidazione maggiorato del valore di tale programma, convieneteoricamente- puntare sul rilancio dell’impresa. Affinché la convenienza teorica abbia una reale concretezza, occorre, come accennato , indagare attentamente e valutare freddamente se esistono le condizioni interne ed esterne che possano permettere l’emergere del surplus di ristrutturazione: 104 • Presupposti industriali e strategici: si sostanziano principalmente nell’esistenza di una posizione non marginale sul mercato, sulla capacità di soddisfare i fattori critici di successo del settore , sulla capacità di generare un cash flow positivo a livello gestionale-operativo ( reddito operativo- imposte + ammortamenti ±∆ capitale circolante) • Disponibilità finanziarie indispensabili per riportare il valore dell’azienda al di sopra di quello di liquidazione attraverso il programma di investimenti finalizzato al ritorno al valore e per garantire il finanziamento necessario per la continuazione dell’ attività aziendale • Gestione managerialmente efficiente Il piano di risanamento Prioritario rispetto a qualsiasi altra cosa, se la cooperativa si trova in una situazione di evidente difficoltà è la realizzazione di un progetto di risanamento, un piano che deve affrontare tutte le varie problematiche dell’impresa. Il piano di risanamento non deve limitarsi ad essere un esercizio di stile finalizzato a gettare solo sabbia negli occhi dei creditori per guadagnare tempo, ma deve essere piuttosto, come è stato detto da Bastia “una frase traumatica di passaggio da vecchi valori e comportamenti manifestamente dannosi ed esiziali per la vita dell’impresa a nuovi valori e comportamenti improntati ad una rinnovata e più realistica tensione verso il raggiungimento di situazioni di tranquillità prima e di posizioni di successo durevole poi”. L’economia aziendale ha battezzato questa rigenerazione totale dell’azienda con un termine (turnaround) che suona più o meno come “rivolgimento totale”. I cambiamenti che rivolgimento totale deve introdurre presentano necessariamente alcune caratteristiche: - sono urgenti e devono essere attuati rapidamente; - sono radicali e spesso traumatici, che investono non solo le strategie e la gestione, ma anche la cultura e in molti casi gli assetti proprietari e organizzativi dell’impresa; - coinvolgono tutti i portatori di interessi, a molti dei quali sono richiesti impegni e sacrifici finanziari; - devono essere progettati e coordinati per il conseguimento dell’obiettivo del ritorno dell’impresa all’equilibrio, alla redditività, allo sviluppo. L’intero progetto deve porsi nella prospettiva strategica in cui: deve essere messo sotto esame tutto l’assetto aziendale organizzativo; bisogna ridefinire le aree di creazione di valore; in funzione di queste, va ridefinita l’area di operatività aziendale, identificando le eventuali parti oggetto di dismissione e di eventuali investimenti da effettuare; 105 le indicazioni tratte dai punti precedenti devono essere tradotte in piani economici e finanziari. Discontinuità con il passato e criticità dell’elemento tempo, in quanto è necessario mantenere la società funzionante per salvaguardarne il valore economico. Sono i due poli, spesso difficilmente conciliabili, di questo delicato processo di analisi e di scelta. 106 IL RITORNO AL VALORE LE TECNICHE E GLI STRUMENTI DI RIORGANIZZAZIONE PER IL RECUPERO DI REDDITIVITÀ Le politiche di incremento o ritorno al valore delle imprese si intersecano con gli strumenti di attuazione di una maggiore integrazione di filiera . Si tratta di strumenti solitamente definiti di finanza straordinaria in quanto la loro messa in atto è di carattere eccezionale, non ricorrente e produce mutamenti spesso profondi nell’ azienda. La crescita esterna di un’ impresa nell’ambito di una sua progressiva integrazione contempla fusioni o acquisizioni di società operanti nello stesso settore, ampliamenti , ammodernamenti, individuazione di nuovi partners industriali e finanziari che condividano la strategia di sviluppo. Gli strumenti giuridici-operativi per la realizzazione di questi programmi di crescita sono vari e la recente riforma in materia di cooperazione dovrebbe facilitare l’impresa cooperativa nella loro utilizzazione. Occorre ribadire che nell’affrontare la tematica dello sviluppo aziendale le strategie finanziarie sono certamente importanti, ma decisive e fondamentali sono le strategie industriali. Solo dopo avere redatto in modo corretto e razionale il piano industriale si può affrontare il problema della struttura finanziaria più adeguata per sostenerlo. Il punto di partenza del nostro ragionamento sulle cooperative di pesca e il problema principale da affrontare per riorganizzare la filiera è la scarsa redditività . Uno strumento utile come primo approccio al problema , già applicato con successo nel mondo delle pmi , è rappresentato dal programma di ridefinizione dei processi aziendali. Un consistente recupero di produttività può derivare infatti da una riprogettazione completa dell’impresa, soprattutto se si considerano interrelazioni e programmi di coordinamento e collaborazione con altre entità aziendali. Si agisce sulla struttura organizzativa, sui sistemi di gestione delle risorse umane, sulla cultura dell’azienda. Un semplice schema esemplificativo di come applicare questa tecnica può svilupparsi in questo modo: • principi organizzativi: si tratta di analizzare le principali variabili organizzative come le unità organizzative, le responsabilità, i ruoli, le funzioni e i rapporti . • identificazione dei processi da innovare • analisi dei processi esistenti, al fine di individuare gli scostamenti delle prestazioni presenti rispetto a quelle realizzabili • progettazione dei nuovi processi • messa in atto dei nuovi processi , che non può prescindere da una attenta pianificazione. Si tratta a ben vedere di una metodologia che utilizza tecniche diverse come: 107 • • • • • • l’analisi strategica la customer satisfaction la tecnica dei punti di riferimento (benchmarking) l’analisi costi-benefici la redditività degli investimenti l’analisi dei flussi operativi E’ una strategia volta a creare valore, la cui utilizzazione appare tanto più necessaria nei casi in cui si vogliano mettere in essere degli strumenti di integrazione di filiera che, indipendentemente dalla configurazione giuridica che possono assumere, comportano problemi di riorganizzazione di processi produttivi, di strutture organizzative, di fusioni di valori. Se questi problemi non sono affrontatati in modo organico e razionale, le progettate operazioni di integrazione di filiera possono anche determinare perdita e non aumento di valore per le cooperative interessate. I PROFILI DI PROPENSIONE AL RISCHIO Un corretto piano di recupero di redditività da parte dell’impresa deve dunque coinvolgere tutte le variabili che hanno impatto sul valore; gli strumenti specifici da adoperare vanno calibrati in funzione delle singole situazioni e del diverso grado di propensione al rischio operativo e finanziario. In particolare, ogni singola impresa potrebbe riconoscersi in uno di questi differenti profili di propensione al rischio: 1. alto rischio finanziario e operativo: • riorganizzazioni volte al recupero della redditività operativa • risanamenti con dismissioni • ristrutturazione del debito 2. basso rischio finanziario e operativo: • alleanze e acquisizioni • razionalizzazioni • ristrutturazioni societarie 3. alto rischio finanziario e basso rischio operativo: • ristrutturazioni dell’attivo • ristrutturazioni finanziarie 4. basso rischio finanziario e alto rischio operativo: • ricostituzione dei margini operativi • ricapitalizzazioni Saper individuare con precisione il grado di propensione al rischio operativo e finanziario dell’impresa, tenendo conto ovviamente anche delle opinioni dei portatori di interesse, è molto importante per gestire i processi di recupero di redditività. Altrimenti, si potrebbe incorrere nei momenti decisivi in rigidità e resistenze tali da pregiudicare anche il risultato complessivo dell’operazione. 108 LE MODALITA’ DI RECUPERO DELLA REDDITIVITA’ Il recupero di redditività può dunque essere realizzato con modalità differenti. Seguendo la lezione di Guatri, possiamo distinguere le principali: • per via di ristrutturazione, quando avviene nell’ambito delle combinazioni prodotti-mercati tradizionali e senza sostanziali variazioni dimensionali. Si realizza perseguendo tipicamente il miglioramento dell’efficienza dei fattori produttivi essenziali (personale,impianti,materiali, energie), l’incidenza dei costi fissi di struttura, l’assetto finanziario patrimoniale. • Per via di riconversione, quando si fonda sull’innovazione sia tecnologica sia di marketing. Il trasferimento delle risorse disponibili verso nuove aree di attività e il graduale abbandono delle vecchie è l’aspetto saliente del processo di recupero di redditività • Per via di ridimensionamento, quando il momento essenziale dell’intervento consiste in una riduzione delle dimensioni dell’impresa. Questa modalità di recupero di redditività trova applicazione quando si è in presenza di fenomeni di sovracapacità produttiva, provocati da errori di previsione, da cadute della domanda o squilibri provocati dalla concorrenza . • Per via di riorganizzazione, quando il punto essenziale dell’intervento riguarda gli aspetti organizzativi: definizione di aree di responsabilità, predisposizione di un miglior sistema di controllo, nuovi metodi e strumenti di vendita ecc. In genere ogni piano per il recupero di redditività investe simultaneamente uno o più di questi aspetti. Possiamo solamente limitarci in questa sede ad elencare i tipici interventi gestionali per il recupero della redditività: 1. • • • • 2. • • • • • 3. • • • • Riposizionamento strategico: nuovi orientamenti di gestione concentrazione sull’attività principale selezione dei prodotto –mercati cessione di partecipazioni ed altre attività non essenziali Produzione: Riduzione dei tempi di lavorazione Interventi sul personale Ammodernamento delle macchine Maggiore flessibilità Controllo di qualità Politiche di vendita Politiche di marchio Campagne promozionali Controllo e rafforzamento delle linee di distribuzione Controllo dei punti di vendita 109 • Miglioramento della soddisfazione della clientela • Controllo e miglioramento dei servizi • Interventi selettivi sui prezzi in specifiche aree e su specifici prodotti 4. Finanza • Adeguamento del grado di indebitamento • Interventi sulla qualità dell’indebitamento (scadenza , costo, condizioni) • Riduzione del capitale circolante • Interventi sulla gestione del magazzino e dei crediti 5. Organizzazione: • Miglioramento dei controlli • Revisione deleghe di poteri e facoltà • Nuove strutture organizzative 6. Relazioni industriali: • Miglioramento dei rapporti interni • Coinvolgimento delle organizzazioni sindacali 7. Amministrazione e controllo • Alleggerimento degli eccessi di burocrazia • Interventi sui criteri di budget e programmazione • Revisione dei criteri contabili • Miglioramento dei rapporti periodici LE RISTRUTTURAZIONI DELL’ATTIVO Ci soffermeremo brevemente solo su alcuni dei principali strumenti per il recupero della redditività a livello aziendale come le ristrutturazioni dell’attivo, le ristrutturazioni societarie, le ristrutturazioni finanziarie, per poi concludere con qualche breve cenno sui processi di crescita esterna . Le ristrutturazioni dell’attivo si suddividono in operazioni di razionalizzazioni e in operazioni di dismissioni. Attraverso le razionalizzazioni si tende a recuperare capacità produttive di cui l’impresa dispone, ma che sono inutilizzate. In questo modo si cerca di recuperare margini di profitto. Le dismissioni consistono in operazioni di disinvestimento di partecipazioni e di beni che non sono strategici per l’attività aziendale. In questo modo si migliora la redditività del capitale investito. La ragione di queste operazioni connesse al ristrutturazione dell’attivo è intuitiva: l’introito relativo alle attività dismesse e reinvestito nelle attività mantenute o in nuovi investimenti deve dare una remunerazione superiore agli eventuali profitti ottenibili dalle attività dismesse. In certi casi può essere necessario utilizzare le risorse ottenute dalle dismissioni per ridurre l’indebitamento: in questo caso la remunerazione persa in seguito alle attività cedute va confrontata con il costo risparmiato in oneri finanziari grazie alla riduzione della leva finanziaria. 110 Utilizzando lo strumento delle dismissioni si cerca dunque ridurre l’attivo per creare flussi di cassa liberi che consentono all’impresa un maggior grado di flessibilità. Alcune modalità di dismissioni generano liquidità immediata, come ,oltre che naturalmente le vendita di singoli beni, la cessione a terzi di rami di azienda; altre però, come le scissioni contro titoli, non rappresentano liquidità immediata . Anche l’affitto di ramo d’azienda può essere visto come una dismissione di carattere temporaneo con le stesse finalità già descritte. Va però specificato che i canoni costituiranno un reale miglioramento della redditività solo se si è in presenza di una autonomia economica e organizzativa del ramo e che dunque la gestione dell’impresa non risenta della sua mancanza. GLI STRUMENTI DI INTEGRAZIONE DI FILIERA : FUSIONI E JOINTVENTURES LE FUSIONI L’ operazione societaria di maggiore interesse ai fini delle operazioni di integrazione di filiera è probabilmente la fusione. Per fusione propriamente si intende una forma di concentrazione mediante la quale due o più società perdono la loro individualità per dare vita a un unico soggetto giuridico ed economico con lo scopo evidentemente di migliorare l’efficienza produttiva. Proprio per favorire la flessibilità delle imprese di fronte alla sempre crescente variabilità dei mercati , nel contesto giuridico italiano le operazioni di fusione sono viste con un certo favore e godono di particolari riconoscimenti fiscali. La maggiore parte delle volte le fusioni rappresentano solo l’ aspetto esterioregiuridico-formale di operazioni di acquisizione (fusioni per incorporazione o altre forme meno brutali ma eguali nella sostanza ). Un ‘impresa può procedere ad una acquisizione per aumentare la propria redditività sulla base in generale di questi presupposti teorici: • Possibile riduzione dei tempi e dei rischi relativi all’entrata in un prodottomercato rispetto a quanto potrebbe verificarsi con un processo di crescita interna • Presenza di alcuni beni o di alcune competenze nell’impresa oggetto dell’acquisizione che sarebbe impossibile o semplicemente più oneroso ottenere con la crescita interna In sostanza lo strumento della fusione mescolato in differenti gradi con la finalità dell’acquisizione corrisponde alle scelte strategiche alternative della crescita esterna attraverso: • integrazione a valle: si cerca di ottenere la proprietà o un controllo maggiore dei distributori o comunque dei canali di vendita 111 • integrazione a monte: si cerca di ottenere la proprietà o il controllo dei fornitori • integrazione orizzontale: si cerca la proprietà o il controllo dei concorrenti • diversificazione concentrica: si cerca la proprietà di imprese con produzioni correlate • diversificazione conglomerata: si cerca la proprietà o il controllo di imprese con produzioni non correlate. In sostanza le operazioni di fusioni dovrebbero tendere : • alla riduzione dello stato concorrenziale sul mercato • all’integrazione delle attività produttive con la possibilità di migliorare l’efficienza gestionale • alla riduzione dei costi generali amministrativi, i produzione e di vendita • alla maggiore possibilità di ottenere mezzi finanziari mediante una maggiore capacità di ottenere credito bancario e raccogliere capitale di rischio • ad una maggiore possibilità di diversificare territorialmente l ‘ operatività • alla possibilità di inserirsi in nuovi settori produttivi utilizzando le strutture del’impresa assorbita come testa di ponte Per quanto concerne il nostro settore, le integrazioni di filiera ottenibili per mezzo delle operazioni di fusione dovrebbero avere come scopo la creazione di punti di eccellenza, più forti rispetto alle posizioni di partenza delle singole imprese, anche cooperative, interessate e in grado di fungere da catalizzatori per uno sviluppo sano, duraturo e d autonomo di tutta la catena. Gli strumenti di regia per raggiungere questo obiettivo sono stati individuati nelle agenzie di sviluppo. Non fuori luogo esaminare più da vicino quindi , sia pure brevemente, lo strumento fusione nelle sue implicazioni e nei suoi presupposti economicofinanziari per individuarne le condizioni di convenienza. Molte evidenze empiriche hanno infatti mostrato come molto spesso le operazioni di fusione non riescono a conseguire i risultati complessivi di incremento di redditività che si erano prefisse. Il concetto analitico base per valutare preventivamente la validità di una fusione è quello del valore delle sinergie che l’operazione può attivare. Solo se esso è positivo la fusione ha una validità economico-finanziaria dimostrata. In una operazione di acquisizione il valore delle sinergie addizionali deriva da più fonti sia di carattere operativo che finanziario. Le sinergie operazionali possono essere definite come gli incrementi in valore che derivano alla impresa risultante dalla fusione dalle economie di scala (costi più bassi) o dall’aumento delle vendite e dei profitti (crescita più alta). Poiché la loro valutazione richiede la formulazione di ipotesi sui flussi di cassa e sui 112 tassi di crescita futuri, per raggiungere un risultato il meno possibile distorto dalla soggettività dell’analista occorre dare una risposta fondata e dimostrabile a due domande fondamentali (Dasmoran,2002): • quale connotato assumerà la sinergia? Ridurrà i costi di una percentuale delle vendite e aumenterà i margini di profitto ? Incrementerà i tassi di crescita (darà cioè più potere di mercato)? • Quando la sinergia comincerà ad influire sui flussi di cassa? Da subito? O altrimenti in quando tempo? Se si riesce a dare una risposta razionale a questi problemi, si può calcolare il valore delle sinergie operative adottando la tecnica già vista della attualizzazione dei flussi di cassa. La sinergia finanziaria deriva dagli incrementi in valore causati dagli effetti puramente finanziari ad esempio di tasse più basse, maggiore capacità di credito o uso migliore della liquidità eccedente. Mentre valgono le stesse premesse metodologiche già svolte per la valutazione delle sinergie operative, il calcolo presenta elementi di maggiore complessità. In questa sede è sufficiente evidenziare che empiricamente è stata dimostrato da diversi studi come la capacità di aumentare il credito aumenta in seguito ai processi di fusione e che dunque le sinergie finanziarie siano un elemento importante per giudicare della convenienza di tale operazione. LA JOINT VENTURE Si tratta di una forma di cooperazione temporanea ed occasionale fra due imprese con lo scopo di realizzare congiuntamente un affare complesso. È dunque un contratto che ha la funzione di consentire a due o più imprese di associare temporaneamente risorse finanziarie e risorse umane con il fine di partecipare alla realizzazione di un progetto comune, senza peraltro mettere in essere vincoli di natura societaria che possano incidere sull’autonomia patrimoniale e gestionale di ciascuna impresa. Nell’ ambito imprenditoriale italiano è uno strumento nonché è stato principalmente utilizzato per la partecipazione e la realizzazione di appalti pubblici. In altri paesi- e segnatamente quelle anglosassoni- è invece molto più diffuso . È considerato uno strumento normale di accordo cooperativo tra concorrenti per attività economiche mutualmente benefiche che permettono di sfruttare delle opportunità di mercato. Affinché la collaborazione possa avere esito positivo, le imprese partecipanti dovrebbero apportare delle qualità distintive ( capacità produttive, canali di distribuzione, tecnologia ecc.) 113