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CORSO“Gestione della comunicazione con il paziente talassemico”
MODULO 1
Corso “La relazione e la comunicazione con il paziente
talassemico”, modulo 1.
Il primo modulo del corso è dedicato agli aspetti clinici e
terapeutici della talassemia, essenziali per riconoscere i
segni della malattia e gli effetti collaterali dei farmaci.
Nel primo modulo di questo corso partiremo da una
descrizione della patologia focalizzandoci sulla beta
talassemia, la forma più diffusa nel nostro Paese, per
affrontare successivamente le tematiche della terapia
trasfusionale e delle sue complicanze. Parleremo del
monitoraggio del ferro, dei farmaci ferrochelanti e dei
loro effetti collaterali. Inoltre, faremo qualche accenno
alle terapie non farmacologiche ed alla prevenzione della
malattia.
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Iniziamo con la malattia.
Il termine “talassemia” si riferisce ad un gruppo di
malattie ereditarie del sangue a trasmissione autosomica
recessiva caratterizzate da una diminuita sintesi delle
catene polipeptidiche (alfa o beta) che formano
l’emoglobina umana. Questo determina un ridotto
contenuto di emoglobina nei globuli rossi e conseguente
anemia.
Esistono diverse forme di talassemia: si parla di alfa, beta
e delta talassemia. Queste forme sono classificate in base
alla catena polipeptidica interessata.
La loro diffusione è variabile. L’alfa talassemia è
maggiormente diffusa in Africa, la beta talassemia nel
bacino del Mediterraneo. La delta talassemia,
estremamente rara, è più diffusa in Grecia e in Italia.
I flussi migratori in atto nel nostro Paese propongono una
rinnovata attenzione medica e sociale nei confronti della
talassemia, poiché hanno contribuito notevolmente a
determinare l’attuale diffusione della malattia. Solo in
Italia si contano oltre 7000 pazienti.
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Ora affronteremo nel dettaglio la beta talassemia, la
forma di talassemia più diffusa in Italia, classificata a sua
volta in talassemia minor, intermedia e major a seconda
dei quadri clinici e della gravità.
La beta talassemia, detta anche ‘anemia mediterranea’, è
causata da un'alterazione del gene della catena globinica
di tipo beta che porta ad una sintesi sbilanciata di catene
globiniche con un accumulo di quelle alfa.
Conseguentemente si osserva una eritropoiesi inefficace
con anemia, espansione del midollo osseo ed alterazioni
scheletriche.
La beta talassemia minor è la variante meno grave della
beta talassemia. L'individuo affetto da beta talassemia
minor possiede un solo gene difettoso e si definisce
‘portatore sano’.
La maggior parte dei pazienti affetti da talassemia minor
non presenta alcun sintomo di rilievo e spesso ignora di
esserne affetto; infatti la diagnosi è il più delle volte
casuale. Pertanto questa forma non necessita di terapia,
ma non deve essere sottovalutata poiché dall'unione di
due ‘portatori sani’ affetti da beta talassemia minor può
nascere un figlio con beta talassemia major, la forma più
grave tra le beta talassemie, come vedremo nelle
prossime diapositive.
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Le
hanno evidenziato
nei comuni
con più
di
La ricerche
beta talassemia
intermedia che
presenta
un quadro
clinico
100
mila
abitanti,
le
famiglie
si
rivolgono
più
spesso
estremamente variabile. L’esame clinico mette ai
in
servizi
sanitari.
Nei comuni
con meno
abitanti
si rivolgono
evidenza
in particolare
pallore,
sub-ittero,
splenomegalia,
alalterazioni
medico diossee
famiglia
che, nonostante
l’esperienza,
e ritardo
della crescita
in soggetti non
con
può
rispondere
in
modo
adeguato
a
tutte
le
richieste. NeI
età superiore ai 2 anni (tutte conseguenze dell’anemia).
deriva
un affetti
maggiore
d’impotenzaintermedia
e d’isolamento.
E
pazienti
da senso
beta talassemia
sono in
questa
relazione
è
fortemente
legata
anche
allo
stato
grado di mantenere spontaneamente i livelli di
socio-economico
dellao famiglia.
emoglobina uguali
superiori a 7 gr/di, per cui non
necessitano
di
una
regolare
terapia trasfusionale.
(Ref. Malagoli Togliatti, M. &RocchiettaTofani,
L. (1991).
Famiglie multiproblematiche: dall'analisi all'intervento su
un sistema complesso. La Nuova Italia Scientifica, Roma).
Come abbiamo accennato, la beta talassemia major o
morbo di Cooley è la forma più grave di beta talassemia in
cui entrambi i geni sono ’difettosi’. In questa forma si ha
una grave anemia per ridotta o assente sintesi delle
catene globiniche beta. In aggiunta, le catene alfa in
eccesso precipitano riducendo la sopravvivenza degli
eritrociti circolanti. Di conseguenza se non curata, la
talassemia major può portare a morte anche prima dei 20
anni di età.
Le manifestazioni iniziali della talassemia beta major si
presentano dopo i 6 mesi di vita ed includono:
–
–
–
–
–
Scarso appetito
Diarrea
Irritabilità
Episodi febbrili
Epatosplenomegalia
– Ritardo della crescita.
(Ref. Galanello R, Origa R.Beta-thalassemia.Orphanet J Rare Dis.
2010 May 21;5:11. Review)
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La terapia trasfusionale.
L’obiettivo della terapia trasfusionale è quello di
mantenere i livelli di emoglobina pre-trasfusionale
compresa tra 9 e 10,5 gr/dl ed una emoglobina posttrasfusionale mai superiore a 14 gr/dl, al fine di
correggere l’anemia e sopprimere l’intensa attività
eritropoietica del midollo osseo.
L’inizio tempestivo della terapia trasfusionale ha fatto
progressivamente ridurre, e talora scomparire, i quadri
clinici del passato appena menzionati.
La quantità di sangue e la frequenza delle trasfusioni
dipendono dall’età e dalla condizione clinica del paziente,
nonché dai livelli di emoglobina che si vogliono
raggiungere.
Oltre alla quantità è importante anche la qualità del
sangue, perché una buona qualità riduce il rischio di
complicanze legate alla trasfusione che possono in taluni
casi cronicizzare.
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A questo punto focalizziamoci sulle complicanze della
trasfusione.
Le maggiori complicanze causate dalle frequenti
trasfusioni di sangue sono: la trasmissione di agenti
infettivi attraverso il sangue trasfuso; le reazioni febbrili;
le reazioni allergiche; il sovraccarico marziale; la
possibilità di allo immunizzazione.
Parleremo della trasmissione di agenti infettivi attraverso
il sangue trasfuso del sovraccarico marziale.
La trasmissione di agenti infettivi include sia agenti
batterici che protozoari e virali tra cui il virus dell’epatite
b e c. La loro insorgenza è causata dall’utilizzo di sangue
infetto trasfuso e sono favorite dalle alterazioni dei
meccanismi di difesa immunitaria.
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Il sovraccarico di ferro nel sangue è una delle complicanze
più gravi, correlata al carico emotrasfusionale. Il ferro non
legato circolante facilita la formazione di radicali liberi e
la captazione del ferro da parte dei tessuti. I radicali liberi
causano danni a carico delle strutture subcellulari. Anche
se l’organismo appronta una serie di meccanismi
antiossidanti contro il danno indotto dai radicali liberi,
questi meccanismi possono non essere in grado di
prevenire il danno ossidativo, se l’accumulo di ferro è
ingente.
Il ferro in eccesso si distribuisce nell’organismo a
‘macchia di leopardo’, interessando più frequentemente
il fegato, il cuore e gli organi endocrini.
In particolare, nelle epatopatie da sovraccarico marziale,
il ferro in eccesso si deposita nelle cellule del parenchima
epatico determinando progressivamente fibrosi e poi
cirrosi.
Le cardiopatie da sovraccarico di ferro, invece, possono
manifestarsi con disfunzione diastolica, ipertrofia e
dilatazione con fenomeni di degenerazione, più
raramente fibrosi. Nelle fasi tardive si possono verificare
anche insufficienza cardiaca con disfunzione sistolica e
dilatazione ventricolare.
Il sovraccarico di ferro nel tempo può condurre ad
alterazione della funzionalità endocrina che può
aggravare il quadro clinico di un paziente talassemico.
Condizione comune nella talassemia è il ritardo della
crescita che si verifica di solito dopo i 10 anni di età a
causa di deficit dell’ormone della crescita.
Inoltre, si possono osservare ritardo puberale e
ipogonadismo, causati da vari fattori tra cui danno
dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonade.
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Tra le altre endocrinopatie causate da accumulo di ferro
ci sono anche l’ipotiroidismo (raro nei pazienti ben
trattati) e l’ipoparatiroidismo (un’alterazione che causa
ipocalcemia secondaria ad accumulo di ferro e si
manifesta solitamente dopo i 16 anni, età in cui è
necessario incominciare ad effettuare le indagini
diagnostiche per tenere sotto controllo la funzionalità
delle paratiroidi); l’alterata tolleranza glucidica e il
diabete mellito (che possono essere la conseguenza della
distruzione delle cellule beta pancreatiche secondaria ad
accumulo di ferro); l’osteopenia e l’osteoporosi
(endocrinopatie multifattoriali il cui sintomo più comune
è il dolore osseo localizzato a livello del rachide; tuttavia i
pazienti possono essere anche asintomatici).
Considerata, quindi, l’importanza dei livelli ematici di
ferro, dedichiamo qualche diapositiva al monitoraggio
del ferro nell’organismo.
Come si misura il sovraccarico di ferro?
Sono disponibili diversi test sierologici e strumentali.
Il più comune è il dosaggio della ferritina sierica, la
principale proteina coinvolta nell'immagazzinamento del
ferro. Questo test è molto utile nella gestione routinaria
del sovraccarico di ferro ed ha il vantaggio che esiste una
buona correlazione tra la ferritina sierica e ferro epatico.
Poiché i valori possono essere influenzati da diversi
fattori, come per esempio le infiammazioni, la
misurazione deve essere ripetuta ad intervalli regolari.
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Poiché la maggior parte del ferro in eccesso si deposita
nel fegato, è importante misurare i livelli di ferro epatico
con:
- la biopsia epatica, una metodologia invasiva e dolorosa
che per tali ragioni si esegue solo se ritenuta
assolutamente necessaria;
- la suscettometria biomagnetica epatica per mezzo
SQUID, una metodica ancora poco diffusa per gli elevati
costi, consente di misurare variazioni molto piccole di
flusso magnetico come quelle provocate dal ferro
immagazzinato nell’organismo sotto forma di ferritina.
- La risonanza magnetica per immagini è una tecnica non
invasiva ad alta risoluzione oggi largamente utilizzata, in
grado di valutare la concentrazione e la distribuzione del
ferro in tutto l’organismo, incluso fegato, cuore e
ghiandola pituitaria. La risonanza magnetica non espone
il paziente ai raggi X, a differenza di altre metodiche
radiologiche. Per questi vantaggi, è una tecnica che si
utilizza anche in ambito pediatrico. Tuttavia, il requisito
essenziale per la sua buona riuscita, ossia la completa
immobilità del paziente, diventa per i più piccoli di
difficile applicazione, e per questo si rende necessario
l'intervento farmacologico per l’induzione del sonno da
effettuarsi sotto stretto monitoraggio.
Un regolare monitoraggio del ferro ematico è
indispensabile per conoscere la quantità di ferro presente
nell’organismo, e quindi poter stabilire una terapia
ferrochelante specifica per ciascun paziente, finalizzata a
diminuire il sovraccarico marziale e ad evitare
l’insorgenza di complicanze.
Il monitoraggio deve essere continuo nel tempo anche
nei pazienti che hanno già incominciato una terapia
ferrochelante al fine di valutare la sua efficacia e/o
l’eventuale insorgenza di effetti collaterali.
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Approfondiamo, quindi, la terapia ferrochelante.
L’obiettivo della terapia ferrochelante è quello di
mantenere i livelli di ferro nell'organismo al di sotto della
soglia di tossicità, garantendo una protezione continua
dall'effetto tossico del ferro libero.
Affinché il trattamento ferrochelante sia efficace deve
essere incominciato presto dopo l’inizio della terapia
trasfusionale ed essere continuo nel tempo.
I farmaci disponibili per la ferro-chelazione sono tre: la
deferoxamina, il deferiprone ed il deferasirox.
Tutte e tre le molecole sono siderofori (ovvero
trasportatori di ferro) specifici per gli ioni ferro.
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La deferoxamina (Desferal®) è il primo farmaco
ferrochelante introdotto sul mercato. Deve essere
somministrata per un minimo di 5 notti a settimana
usando una pompa di infusione.
Questo farmaco, se somministrato regolarmente e in dosi
adeguate, ha un ottimo impatto sulla sopravvivenza e
sulle complicanze del sovraccarico di ferro a livello
cardiaco e di altri organi.
Tuttavia il principale svantaggio è che può essere
somministrato esclusivamente per via parenterale a
causa delle grosse dimensioni della molecola. Questo
può determinare una scarsa compliance al trattamento.
Tra gli effetti indesiderati più comuni legati alla
somministrazione di deferoxamina vi sono le reazioni
cutanee locali.
L’infusione intradermica del farmaco può provocare la
formazione di ulcere nel sito di infusione. Esiste, inoltre,
la possibilità di infezione da batteri che usano i siderofori
naturali come fonte di ferro per diventare più virulenti.
Il deferiprone (Ferriprox®) è il primo ferrochelante orale
autorizzato all’uso clinico. Si tratta di una molecola
piccola che viene ben assorbita dopo somministrazione
orale in compresse o sciroppo e va assunta 3 volte al
giorno.
Secondo l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), il
deferiprone può essere usato come farmaco di seconda
linea, in pazienti che non sono in grado di utilizzare la
deferoxamina.
La stessa Agenzia Europea ha d’altro canto riconosciuto
che il deferiprone è più efficace della deferoxamina
nell’eliminare il ferro cardiaco e che il suo utilizzo ha
ridotto la mortalità per cause cardiache. Questa
informazione è stata inserita nei documenti rilasciati
dall’EMA e nel foglio illustrativo per renderle disponibili ai
pazienti.
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L’effetto avverso più temuto del deferiprone è la
neutropenia, ossia un calo dei globuli bianchi neutrofili,
che nei casi più gravi può diventare agranulocitosi. Il
periodo di insorgenza è molto variabile da pochi mesi a
nove anni.
Per questo motivo durante il trattamento con
deferiprone è raccomandato il controllo settimanale della
conta dei globuli bianchi.
Il deferasirox (Exjade®) è un altro ferrochelante orale
sviluppato in anni più recenti.
Le compresse dispersibili si devono assumere una volta al
giorno. Il deferasirox possiede, infatti, una lunga emivita
plasmatica e può assicurare fino a 24 ore di chelazione
del ferro plasmatico.
L’effetto più temuto durante l’assunzione del deferasirox
è l’insorgenza di tossicità renale che ha indotto le agenzie
regolatorie a raccomandare l’esecuzione di specifiche
analisi delle urine e del sangue soprattutto nel primo
mese di terapia e poi ogni mese.
Tra gli altri effetti indesiderati della terapia con
deferasirox vi è l’aumento della creatinina sierica con
tendenza a normalizzarsi spontaneamente, disturbi
gastrointestinali che possono essere la causa di una
ridotta compliance e orticaria.
Dopo l’entrata in commercio del farmaco sono stati
evidenziati altri effetti collaterali, tra cui insufficienza
epatica, riguardanti per lo più pazienti con morbilità
significative.
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Quando il risultato ottenuto con l’uso di un solo farmaco
non è sufficiente si può ricorrere al trattamento
combinato con deferoxamina e deferiprone che possono
essere somministrati contemporaneamente o in modalità
alternata
sequenziale.
Nella
somministrazione
contemporanea si procede all‘assunzione dei farmaci
nello stesso giorno. Nel trattamento alternato
sequenziale la somministrazione avviene in giorni diversi.
Il fattore compliance, ossia la precisione con cui ogni
paziente applica il proprio piano terapeutico, è molto
importante al fine di un buon risultato della terapia.
Infatti, è stato dimostrato che spesso i fallimenti
terapeutici non derivano da una inefficacia dei farmaci,
ma dalla difficoltà del paziente a raggiungere un'adeguata
adesione al regime terapeutico. Una scarsa compliance al
trattamento di ferrochelazione rappresenta uno tra i
principali fattori di rischio per una morte precoce.
L’introduzione nella terapia della talassemia dei
ferrochelanti orali, più facilmente gestibili nella
quotidianità del paziente, ha favorito una maggiore
regolarità nell’assunzione della terapia chelante da parte
del paziente. È necessario, quindi, incoraggiare il paziente
ad aderire al trattamento anche attraverso una stretta
collaborazione tra medici e operatori sanitari delle
diverse discipline.
Oltre ai farmaci
farmacologiche...
esistono
anche
terapie
13
non
…come ad esempio il trapianto di midollo osseo che
dovrebbe essere preso in considerazione in età precoce
del paziente o comunque prima che si sviluppino le
complicanze dovute al sovraccarico marziale; la possibilità
di eseguire il trapianto di midollo osseo è legata alla
disponibilità di un donatore compatibile familiare o non.
Con il trapianto di midollo si riesce a raggiungere più del
90% di guarigione con un rischio, tuttavia, di mortalità
(soprattutto in soggetti non giovani e con grave
sovraccarico marziale) o di ricaduta della malattia tale da
dover considerare tale opzione terapeutica caso per caso.
Il trapianto di cellule staminali ottenute da sangue del
cordone ombelicale raccolte al momento del parto ha
riscosso recentemente notevole interesse; questa tecnica
offre diversi vantaggi come per esempio la facilità con cui
si ottengono le cellule staminali alla nascita spesso in
quantità sufficiente per il buon esito della donazione.
La terapia genica consiste nel trasferimento di DNA che
codifica per la globina beta in un paziente, e questo
determina la produzione di globuli rossi normali per tutta
la vita.
Il numero sempre maggiore di progressi in campo
scientifico dimostrano che la terapia genica rappresenta
una concreta possibilità in un futuro non troppo lontano
per la cura delle emoglobinopatie.
Diamo, infine, uno sguardo alla prevenzione.
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È importante che i familiari di un paziente talassemico o
di un portatore sano eseguano esami clinici che
diagnosticano la presenza di geni ‘difettosi’.
La prevenzione consiste nello screening di I livello, che
prevede l’esecuzione di esami ematologici, che
individuano i portatori sani.
Lo screening di II livello, ossia l’estrazione del DNA e
l’analisi delle mutazioni, rappresenta un elemento unico
per conoscere l’assetto genico ed è indispensabile per
conoscere il tipo di difetto molecolare di un paziente.
La diagnosi prenatale è necessaria per conoscere prima
della nascita se il feto presenta geni “difettosi”.
In questa diapositiva sono elencate le metodiche per la
diagnosi prenatale che si basano sull'identificazione
diretta delle mutazioni del DNA fetale.
I programmi di prevenzione esistenti nel nostro Paese
hanno ottenuto grandi risultati già nel passato. Per essere
realmente efficaci tali programmi dovrebbero essere
estesi a tutti i giovani, e non limitati solo alle coppie a
rischio. I piani di prevenzione si basano su:
- Campagne di educazione alla salute con l’intento di
migliorare le competenze professionali
- Identificazione di laboratori di qualità per test
diagnostici di screening e diagnosi prenatale
- Promozione della consulenza genetica
Per far ciò è necessario e imprescindibile assicurare una
volontà politica e un impegno costante. Nonostante
l’attuazione dei piani di prevenzione, la talassemia resta
ancora una malattia endemica.
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Nel modulo successivo tratteremo gli aspetti psicologici
legati alla talassemia.
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