LDB
Pubblicato
originariamente
nel
1975, questo libro ha
segnatounasvoltanella
ricerca
sull’idealismo
classico
tedesco,
imponendosi
presto
come felice e organico
tentativo
di
comprensione in chiave
originale della filosofia
hegeliana,
dalla
"Fenomenologia dello
spirito" al ciclo delle
lezioni
berlinesi.
Il
volume
viene
oggi
riproposto in edizione
rivista e aumentata
nella convinzione che
costituisca tuttora un
imprescindibilepuntodi
riferimento
per
inquadrare
un’intera
fase storica anche nella
prospettiva
delle
scienze matematiche e
naturali. Definendo la
filosofia "il proprio
tempo appreso nel
pensiero",
Hegel
condensa in una sola
frase
i
nodi
più
complessi della sua
opera.Cosasignificaper
lui pensare il suo
tempo? Qual è il senso
dellacorrispondenzafra
struttura sistematica e
campo dei mutamenti
storici?
Quale
il
rapporto fra la civetta
della
filosofia,
che
interpreta
coscientemente l’epoca,
e la talpa dello spirito,
che
la
trasforma
inconsciamente
attraverso il suo cieco
lavorio?
RemoBodeièprofessore
emeritodiFilosofia
all'UniversitàdiPisa,
dopoaverinsegnatoa
lungoallaScuola
NormaleSuperioree
allaUniversityof
California,LosAngeles.
Tralesuenumerose
pubblicazioni,tradotte
indiverselingue:
"Geometriadelle
passioni"e"Destini
personali"(Feltrinelli,
1991e2002),"Paesaggi
sublimi"(Bompiani,
2008),"Lavitadelle
cose"e"Generazioni"
(Laterza,2009e2014);
conilMulino"Ordo
amoris"(1991),"Le
formedelbello"(1995),
"Piramididitempo"
(2006)e"Ira.Lapassione
furente"(2010).
RemoBodei
Lacivettae
latalpa
Sistemaedepocain
Hegel
Copyright©bySocietà
editriceilMulino,
Bologna.Tuttiidiritti
sonoriservati.Peraltre
informazionisiveda
http://www.mulino.it/ebo
Edizioneastampa2014
ISBN978-88-15-25290-6
Edizionee-book2014,
realizzatadalMulinoBologna
ISBN978-88-15-32220-3
Indice
Introduzione
Capitoloprimo
Lacivettaelatalpa
Capitolosecondo
Dallanaturaallastoria
Capitoloterzo
Apparenzaedepoca
Capitoloquarto
L’esperienzaeleforme:
analisiinfinitesimalee
linguaggio
Capitoloquinto
Movimentologico,
sistemaemutamento
storico
Indicedeinomi
alla memoria di Arturo
Massolo
Introduzione
1. Il presente volume
ha il suo nucleo
originario in un altro,
apparso
nel
1975,
semprepressoilMulino,
con il titolo Sistema ed
epocainHegel.Intermini
quantitativi,èstatoperò
aumentato di oltre un
terzo
e,
qualitativamente,
ripensatoerielaborato.
Quando il libro in
poco tempo si esaurì,
dall’editore mi venne
ripetutamente chiesto
di
ripubblicarlo,
lasciandolo com’era o
inserendovi i ritocchi
che avessi giudicato
opportuni.
Accettai
l’invito, a patto di avere
a
disposizione
un
congruo
spazio
di
tempo:nonperchéfossi
insoddisfatto
della
riuscita dell’opera, ma
perché, al contrario,
tenevo a freno il
desiderio di riprendere
unaricercache,nelcaso
dei classici, è destinata
a rimanere inconclusa.
Avevo però la netta
consapevolezzache,per
svilupparla con profitto,
era
necessario
allontanarmene,
guardarla con distacco,
aspettando il momento
in cui le idee che avevo
espresso si fossero
sedimentate e le nuove
si
fossero
eventualmente
fatte
avanti.
Orache,conmaggiore
agio,
esperienza
e
convinzione,
ho
finalmente deciso di
affrontare un testo
scritto
quasi
quarant’anni
fa,
l’immersione nei temi
allora trattati mi ha
dapprimaprocuratouna
sensazionediestraneità
a me stesso. Ho dovuto,
infatti, non soltanto
riannodare i fili dei
pensieri attuali alla
trama della mia vita
trascorsa, ritrovare una
testimonianza di come
ero (una questione
privata, di per sé
irrilevante),
ma
misurare la distanza
dalla storia e dalla
culturadiquelperiodoe
fare i conti con essa,
disincagliandomi
dal
passato.
Sullo schermo della
memoria sono così
scorse in sequenza le
scene – popolate di
personaggi
oggi
scomparsi–deglieventi
politici ed economici di
allora: il mondo diviso
dalla guerra fredda e da
opposti
dogmi
ideologici, il terrorismo
e le stragi, i processi di
decolonizzazione
in
corso,
lo
choc
petrolifero
e
lo
scatenarsi
dell’inflazione,
la
dittatura dei colonnelli
in Grecia e il golpe di
Pinochet in Cile, la
sconfitta degli Stati
Uniti in Vietnam, la
lottaperidiritticiviliin
Italia,
l’incrinarsi
dell’ingenua
fiducia
nell’inesauribilità delle
risorse, l’affacciarsi di
movimenti
ecologisti
che per la prima volta
trasformarono la natura
in soggetto politico, il
diffondersi
dei
giganteschi elaboratori
elettronici a schede
perforate
che
preparavano l’avvento
delpersonalcomputer.
Il quadro culturale
era, a sua volta,
caratterizzatodalfiorire
di posizioni sempre
meno vincolate ad
appartenenze di scuola
e di partito. Alla figura
dell’intellettuale
organicooimpegnatosi
sostituiva sempre più
spesso
quella
dell’intellettuale
affrancato da precise
etichetteaccademichee
da
tenaci
ipoteche
politiche, che amava
proclamarsi
immune
dalle
ideologie
e
aspirava, ai livelli più
elevati, a entrare a far
parte dello star system
mediatico. Si assisteva
quindiallafortunadelle
varianti eretiche del
marxismo
(costituite
dalla
Scuola
di
Francoforte e da Ernst
Bloch); alla massiccia
presenza di pensatori
prima
reputati
politicamente
compromessi,
come
Nietzsche, Heidegger e
Carl
Schmitt;
al
propagarsi
della
psicoanalisi lacaniana;
alla penetrazione dello
strutturalismo di LéviStrauss,
dell’ermeneutica
di
Gadamer, della «svolta
linguistica» e della
filosofia
analitica
nell’Europa
continentale; ai primi
segni
dell’imminente
nascita dei dibattiti sul
multiculturalismo
e
sull’estendersi
alla
filosofia
del
postmoderno
già
affermatosi
in
architettura.
Senza che lo spirito
criticovenissesoffocato,
altri agenti iniziavano
allora, nel bene e nel
male,
a
plasmare
diversamente e con
maggiore efficacia il
senso
comune,
a
orientare le coscienze e
a
colonizzare
l’immaginario.
questo
Tutto
grazie
all’accresciuto peso dei
mezzidicomunicazione
dimassaeaunacultura
tendenzialmente
più
intrinseca ai processi
economici e sociali
vigenti che non alle
tradizionali dinamiche
dell’indagine
intellettuale
o
della
creatività
artistica.
Cominciavano
a
diventare protagoniste
di
questa
nuova
stagione imprese che
oggi
operano
oligarchicamente
su
scala planetaria, aventi
come obiettivo primario
il perseguimento del
profitto, rappresentate
dalla
televisione
commerciale,
dalle
principali
case
cinematografiche
e
discografiche,
dalla
telefonia mobile, dalle
grandi concentrazioni
editoriali e, sempre più,
dall’industria digitale e
dai gestori della rete
(Internet,
social
network).
Ampliando
l’offerta
di
intrattenimento,
informazione
ed
educazione, mettendo
potenzialmente
in
contatto miliardi di
uomini, esse incidono
sulla mentalità e i gusti
collettivi grazie alla
produzione seriale di
notizie, giornali, riviste,
libri, film, dischi o
videogiochi.
2.Guardandoindietro,
uno dei compiti che mi
ero allora
consisteva
proposto
nello
scrostare dall’immagine
di Hegel i principali
pregiudiziebanalitàche
vi avevano depositato,
in una sequenza di
strati
successivi,
interpretazioni, anche
illustri,
ma
false,
distorte o frettolose. Per
ottenere un effetto di
maggior nitore, avevo
procedutoaunainiziale
operazione di restauro,
in
modo
da
far
risplendere in essa i
colori
anneriti
dal
tempo e da rendere
maggiormenteleggibilii
contornidell’insieme.
In questo stadio, la
partecipazione
simpatetica
alla
ricostruzione ‘filologica’
dell’insieme è sempre
necessaria,cosìcomelo
èunagenerosapazienza
nel restituire a un
grande pittore tutta la
sterminatagammadelle
tonalità
cromatiche,
senza
tuttavia
trascurare di porre in
evidenza il disegno e i
tratti specifici del suo
stileedisvelarequalche
imprecisione o qualche
parte della tela dipinta
con minore accuratezza
o
con
errori
di
esecuzione.
L’intera
energia interpretativa
sprigionata da questa
operazione di ripulitura
concettuale non veniva,
tuttavia, utilizzata per
rivalutare il pensiero di
un filosofo che non ne
ha bisogno, bensì per
porsi al più alto livello
del
confronto,
per
mettere alla prova e
attaccare non le sue
posizioni più deboli e
indifendibili, ma quelle
più forti, dove maggiore
è la nostra resistenza a
comprenderle
ed
eventualmente
a
confutarle, dove può
sorgere il legittimo
sospettochequalcosadi
importante continui a
sfuggirci e dove si
rafforza la persuasione
che,comunque,purnon
cedendoasentimentidi
eccessivariverenza,non
sia lecito tirare le
orecchie ai classici e
intestarsi facili vittorie
ermeneutiche.
Ponevo perciò – e
ancoraripropongo–una
serie
di
domande
cruciali e ineludibili, a
partire dalla definizione
hegeliana della filosofia
come «il proprio tempo
appreso col pensiero».
Cosasignificapensareil
propriotempo?Comesi
configuralaconcretezza
del presente attraverso
la sua trascrizione in
concetti? Cosa implica
per Hegel definire gli
anniincuihavissuto«i
più ricchi che la storia
universale
abbia
avuto»? Qual è il senso
dell’isomorfismo fra la
struttura
sistematica
della sua filosofia e il
campo dei mutamenti
storici?
Quale
il
rapporto fra la «civetta»
della
filosofia,
che
interpreta in maniera
vigile e cosciente le
modificazioni prodotte
dall’epoca, e la «talpa»
dello «spirito», che
trasforma
e
scalza
inconsciamente
le
fondamenta dell’epoca
stessa mediante un
lavorio
cieco
ma
istintivamente rivolto a
un fine sconosciuto ai
contemporanei? Tra la
filosofia, che sembra
vedere e non fare, e il
movimento storico, che
sembra fare e non
vedere?
Perché,
in
polemica
con
i
romantici,
Hegel
disprezzailmondodella
natura a favore di un
patriottismo
dell’umanità e della
civiltà fino al punto da
definire il firmamento
una «eruzione cutanea
luminosa»easostenere
che
«il
pensiero
criminale
di
un
malfattore
è
più
grandioso e sublime
delle meraviglie del
cielo»?Perchéilsistema
pretendeoradiesserela
forma suprema della
filosofia come scienza
rigorosa?
3. Se Hegel si fosse
limitato,
come
Francesco Bacone, ad
attribuireallafilosofiala
naturadifiliatemporis,o
se anche (per citare
Ruge e Marx) avesse
osato «metterne in
piazzailsegreto»efarla
retrocedere da messo
celeste
a
Zeitungskorrespondent, a
inviato
speciale
di
un’epoca, in fondo non
avrebbe
compiuto
alcuna mossa teorica
scandalosa. Perfino un
filosofo relativamente
modesto come Karl
Leonhard
Reinhold
aveva scritto nel 1801
un’opera intitolata Lo
spirito dell’epoca come
spirito della filosofia.
Fichte, poi, era giunto
nei Tratti fondamentali
dell’epoca presente a
qualificarelapropriaetà
come un fronte che
avanza
dall’opaco
dominio
dell’«istinto
della
ragione»
al
trasparente
autogoverno
della
«scienza della ragione»,
come un momento
storico «in cui si
scontrano
e
si
combattono mondi fra
loro
assolutamente
ostili» e in cui, nel
medesimo
«tempo
cronologico», possono
«incrociarsi e scorrere
l’una accanto all’altra,
in diversi individui,
epoche differenti» e
dove soltanto il «tempo
delconcetto»eraperlui
ingradodicorrelareedi
esprimere
questi
dislivelli nella storia dei
singoliedeipopoli.
Nessuno, prima di
Hegel, aveva, tuttavia,
osato
tradurre
integralmente
e
consapevolmente
la
parabola del proprio
tempo sul piano di un
organico sviluppo delle
forme del pensiero, di
un sistema che aveva
l’ardire di raffigurare,
nel«semplicefuoco»del
concetto,
l’immagine
virtuale dell’epoca, vale
a dire di uno spazio di
tempo
relativamente
omogeneo separato da
due
cesure
poste
all’inizio e alla fine.
Nessuno aveva dato
tanta importanza alla
storia e costruito una
«rete adamantina» di
categorie
volta
a
rappresentare
l’orizzonte massimo di
intelligibilità
di
un
periodo che pretende di
includere
in
sé,
telescopicamente,
i
princìpi delle epoche
antecedenti; nessuno,
tranne – a suo modo –
Montaigne,
aveva
svuotato il preconcetto
che
attribuiva
alla
«natura
umana»
un’essenza metastorica,
mostrando come «la
natura
vivente
è
eternamentealtrocheil
suo concetto, per cui
quello che per il
concetto era semplice
modificazione,
pura
accidentalità, qualcosa
di superfluo, diviene
necessario,
vivente,
forse
ciò
che
unicamenteènaturalee
bello».
Per
quanto
il
discreditochehacolpito
lo Hegel sistematico sia
responsabile di molti
gravi
fraintendimenti
della sua filosofia, non
avevo (e non ho)
elogiato
la
forma
sistema in quanto tale,
indicandone anzi alcuni
tratti di rigidità. Volevo
piuttosto scoprirne il
significato teorico e
storico, anche nelle sue
crepe e malformazioni;
studiarnelaconsistenza
nel suo rapportarsi alle
varie branche della
scienza del tempo;
capire a quali bisogni e
aspettative
corrispondesse;
chiedermi entro quali
limiti adempisse alla
funzioneconsolatoriadi
ricomporre il sapere al
di là della avanzata
divisione del lavoro
scientifico e del rapido
accumularsi
delle
nozioni (tipico di un
periodo
in
cui
prevalgono
«l’inquietudine e la
dissipazione
propria
della nostra coscienza
moderna»
e
l’«inevitabiledistrazione
cagionata
dalla
grandezzaemolteplicità
degli
interessi
dell’epoca»).
Avevo,
peraltro,
dimostrato
come il sistema non
debba essere accettato
nel suo ordine e nella
sua
pretesa
di
scientifica
neutralità:
come vada, semmai,
scomposto,
scompaginato
e
ricostruito, al fine di
coglierne
gli
esplicitamente
dichiarati
intenti
didattici, gli ingranaggi
interniegliaggancicon
la realtà. Solo così è,
infatti,
possibile
scorgere negli scritti
hegeliani della maturità
un disegno coerente,
seppur attraversato da
linee di frattura, da
forzature
e
da
incertezze.
4. Lo scopo del libro
del 1975 era quello di
fornireglistrumentiper
rendere
nuovamente
leggibile il sistema nei
suoi presupposti e nelle
sue articolazioni, per
valutare, nella loro
incidenza sul nostro
tempo,
i
problemi
affrontati da Hegel
attraverso la relazione
tra lo sviluppo delle
categorie filosofiche e il
movimento storico. Dal
punto
di
vista
cronologico,
esso
copriva (e continua a
coprire)
sostanzialmenteglianni
di effettiva esecuzione
dei progetti sistematici,
dal 1807 al 1831, dalla
Fenomenologiadellospirito
agli
ultimi
corsi
berlinesi.Rovesciandoil
dualismo tra il «giovane
Hegel»
(fresco,
asistematico e ancora
attento alla vita e alla
varietà della storia) e lo
Hegel
maturo
(paranoico
e
sclerotizzato
nel
sistema), avevo e ho
inserito le sue opere
maggiori
in
una
prospettiva in cui trova
spiegazione l’apparente
incongruenza di una
filosofiachesiproclama
traduzione del proprio
tempo in forma di
pensiero e poi sembra
svolgersi in modo del
tutto
«autarchico»
rispettoadesso.
Pur avendo situato
Hegel nella propria
epoca attraverso la
ricostruzione del suo
intenso interesse per i
maggiori eventi del
tempo, pur avendo
esposto uno spaccato
dell’età napoleonica e
della
Restaurazione,
avevo
respinto
lo
storicismo‘invertebrato’
allora in auge in Italia,
tuttosfumatureeniente
struttura, pronto ad
appiattire il pensiero
sugli avvenimenti. Nel
negare a quest’ultimo
ogni autonomia, le idee
finivanoperrivelarsiun
semplice
e
quasi
passivo riflesso delle
situazionidifatto,tanto
che la filosofia di Hegel
veniva
spiegata
all’ingrosso
facendo
ricorso
delle
al baluginare
picche
dei
Sanculotti nel corso
della
Rivoluzione
francese o alla politica
del governo prussiano
durante
la
Restaurazione. Proprio
in polemica con queste
interpretazioni, avevo
rivendicato
l’importanza del tanto
denigrato
«sistema»,
generalmente
presentato come una
specie di camicia di
forza indossata da un
pazzo
o,
più
benevolmente, come la
dottrina
di
un
«panlogista»
pedante
che ignora le pulsazioni
delpensierovivente.
Ero (e sono) ben
consapevole del fatto
che, subito dopo la
morte di Hegel, la
struttura sistematica è
stata
corrosa
e
smontata – non senza
buone ragioni – dalle
critiche
dei
suoi
avversari, combattuta
daipiùcelebripensatori
e abiurata perfino dalle
universitàtedesche,che
avevano
abolito
l’obbligo di tenere corsi
di
enciclopedia
filosofica. Si salvano le
singoledisciplineavulse
dal
loro
contesto:
l’estetica, la logica, la
psicologia, la politica, la
concezionedellastoriae
prevale
la
ricerca
settoriale, spinta fino
alla
voluta
frammentarietà
dell’esposizione
in
forma di saggio o di
aforisma: «L’intero è il
falso»,
proclamerà
Adorno, rovesciando il
celebre detto hegeliano
della Fenomenologia dello
spirito.
Nell’ottica di Hegel lo
smembramento del suo
sistema sarebbe stato
probabilmente
attribuito non alla sua
intrinseca
inadeguatezza, ma al
fatto che lo scavo della
talpa ha aperto un’altra
epoca
in
cui
la
precedente architettura
delle idee è destinata a
crollare
in
quanto
inadeguata a
insieme
le
tenere
nuove
componenti. Dal nostro
punto di vista, vi è,
invece, anche un altro
motivo per rinunciare a
una visione coerente
della realtà, un motivo
cheaHegeleraignotoe
che a noi si manifesta
con chiarezza: proprio
quando
il
mondo
diventa sempre più
interconnesso,
il
pensierostentaaessere
globale.
Questo
apparente paradosso si
spiega però non solo
con la straordinaria
difficoltà di questa
impresa, ma con il
presente
incontroscontro tra le grandi
culture del pianeta, che
ha eroso quel primato
assoluto dell’Occidente,
ovvia premessa del
sistema
hegeliano,
fondato sulla visione
dialetticamente
unificabile della civiltà
mondiale
grazie
all’umanità
europea:
«All’europeo interessa il
mondo;
egli
vuole
conoscerlo, appropriarsi
dell’Altro che gli sta di
fronte[…]Cosìcomenel
campo teoretico, anche
in quello pratico, lo
spirito europeo tende a
produrre l’unità tra sé e
il mondo esterno. Egli
sottomette il mondo
esternoaisuoiscopicon
un’energia che gli ha
assicurato il dominio
delmondo».
5. Per arrivare alla
trattazione
di
un
problema controverso
come il sistema ero
partito dalla forza di
suggestione ancor oggi
esercitata da alcune
metafore hegeliane e
dai luoghi comuni,
pregiudizi ed errori che
derivanoacascatadalla
loro interpretazione. Mi
ero soffermato (e sono
poi ritornato) sulla più
famosa, quella della
«civetta di Minerva»,
intesa come emblema
della filosofia al suo
crepuscolo. La civetta,
comeavevoscoperto,ha
tuttavia
un
suo
antagonista-
collaboratore
nella
«talpa», a conferma di
come la storia non
finisca con il tramonto
diun’epocaedicomela
filosofia non concluda
affattoilsuocammino.
Hegel sarebbe stato
davvero un folle se
avesse
creduto
di
impersonare
filosofo.
l’ultimo
Credeva,
invece, di essere un
ordinatore sistematico
di
concetti
ed
esperienze,
un
pensatore che non
inventa niente. Sotto
questo profilo, come
apparedalleLezionisulla
storia della filosofia, egli
si
paragonava
implicitamente
ad
Aristotele, che presentò
la summa del suo
pensiero
alla
fine
dell’Atene classica, alle
soglie di quel periodo
che verrà chiamato
«ellenismo» da un suo
discepolo all’università
di
Berlino,
Johann
Gustav Droysen. Hegel
si sentiva, appunto,
chiamato a dare forma
intelligibile a un’intera
fasestoricaaltramonto,
segnata, come altre, dal
prevalere degli interessi
individuali su quelli
collettivi, ma al suo
tempo, in particolare,
dall’esasperata ricerca
diuna«fettadicielo»in
terra, di una felicità
privata. Egli vedeva
ormai una moltitudine
dipersonecheguardava
lucrezianamente
il
naufragio altrui stando
al sicuro sulla
dell’egoismo
riva
e
considerava gli eventi
storici,
senza
impegnarsi
a
modificarli, come un
«bancodamacellaio»da
evitare. È precisamente
questa
disgregazione
della comunità, questo
meschino inaridimento
delle coscienze che
frena la tensione verso
una «vita migliore» a
suscitare nelle fasi di
declino di una civiltà
l’acuirsidellosguardodi
civetta della filosofia,
datoche«lescienzeela
rovina
[…]
vanno
semprediparipasso».
Avevo
preso
volutamente
l’avvio
dalla
camera
di
compensazione
delle
metafore per abituare
gradualmente il lettore
a
respirare
l’aria
rarefatta
(il
«puro
etere») del pensiero
concettuale.
l’avvertenza
Con
che
il
percorso
verso
la
trattazione del sistema,
comprese le metafore e
la discussione su temi
scientifici,
non
è
solamente
propedeutico, ma fa
inseparabilmente corpo
conlateoria.
6.
Nei
decenni
successivi
alla
pubblicazionediSistema
edepocainHegelmisono
interrogato su cosa sia
cambiato in profondità
e in estensione rispetto
alla
documentazione
disponibile, alle esegesi
di questa filosofia e
all’orizzonte di senso in
cui allora mi situavo e
oggimipongo.
Dal punto di vista
della filologia e della
critica, la pubblicazione
degliineditidellelezioni
hegeliane (di cui per
primo avevo utilizzato,
in un ambito non
settoriale,quelleappena
pubblicate) si è ora
enormemente ampliata,
così che le trascrizioni
da parte degli studenti
dei diversi corsi di
HeidelbergediBerlinoe
gli appunti manoscritti
dello stesso filosofo
hanno
ulteriormente
mostrato, accanto alla
graduale evoluzione e
alla
sterminata
ricchezza
del
suo
pensiero,
anche
le
esitazioni e la relativa
insoddisfazione per i
risultatidivoltainvolta
raggiunti.
Con la cosiddetta
Hegel Renaissance degli
ultimi decenni si è poi
avuta la riscoperta in
grande
stile
della
filosofia hegeliana da
parte
del
mondo
anglosassone che, dopo
una prima accoglienza
positiva tra Ottocento e
Novecento,
aveva
mostrato
nei
suoi
confronti
ostilità
e
irrisione. Dal disprezzo
per
le
presunte
fumisteriemetafisichee
i deliri di grandezza di
Hegel si è passati a una
più seria e apprezzabile
conoscenza delle sue
opere,
comprensibilmente
piegata, non senza
qualchedistorsione,alle
tradizioni
del
pragmatismo e della
filosofia analitica. Nella
cultura
italiana
ed
europeasièpoidistolta
l’attenzione
dal
rapporto di Hegel con
Marx,alloracanonico,e,
in parte, anche dal
confronto
con
la
tradizionedelmarxismo
eretico (e questo ancor
prima della caduta del
Muro di Berlino e della
dissoluzionedell’Unione
Sovietica). In misura
minore, si è attenuato
l’interesse
per
il
decostruzionismo
e
l’ermeneutica, mentre
persiste quello per
Heidegger e Nietzsche,
oltre che per Habermas
e Foucault. Si sono,
però, soprattutto aperti
nuovi campi d’indagine,
quali la bioetica, le
logiche polivalenti o lo
studio comparato tra i
modi di pensare e di
sentire scaturiti dalle
principali civiltà del
globo.
7. Dopo aver messo
alla
prova
la
consistenza delle tesi
allora sostenute, sono
peròconvintochemolto
di quanto ho scritto nel
1975 non abbia ancora
esaurito la sua carica
innovativa. Non credo,
poi, di aver trovato
ragioni sufficienti per
scostarmi
dall’impostazione
di
allora. In questo nuovo
volume, La civetta e la
talpa (che ha come
sottotitolo il vecchio
titolo), ho quindi, da un
lato,
mantenuto
l’impianto complessivo
del
discorso,
conservandone
la
cadenza
secondo
l’originario
ordine
espositivo in capitoli e
paragrafi, ma, dall’altro,
ho introdotto – assieme
a interventi minori a
intarsio – interi blocchi
nuovi, che traggono
spunto non solo dai
materiali venuti più
recentementeallalucee
dallo
negli
stato dell’arte
studi
sugli
argomenti esposti, ma
anche – e soprattutto –
dallericerchecondottee
dalle riflessioni in me
maturate durante tutto
questoarcoditempo.
Perquantoriguardala
composizione
del
volume, la stesura a
granafinaeilfrequente
uso delle citazioni nel
testo rispondono alla
scelta
di
evitare
generalizzazioni
non
suffragate da riscontri
puntualiedifarparlare,
con la loro distinguibile
voce, i partecipanti a
quel comune dialogo
che è rappresentato da
ognilibro.
Ho,infine,largamente
aggiornato
la
bibliografia
grazie
all’assidua
frequentazione
di
istituzioni e biblioteche
di eccellenza, che mi
hanno permesso di
consultare, selezionare
e mettere a frutto una
enorme
massa
di
materiali. Tra queste
ricordo con gratitudine:
lo
Hegel-Archiv
di
Bochum,
la
StaatsbibliothekPreussischer
Kulturbesitz di Berlino,
la Fondation Hardt di
Vandoeuvres-Genève, la
Young Research Library
della
University
of
California,LosAngelese
la Butler Library della
Columbia University di
NewYork.Comeinaltri
miei libri, il testo è
accompagnato da un
corposo apparato di
note a beneficio di chi
desidera esaminare da
vicino
il
tessuto
dell’argomentazione,
verificarelanaturadelle
fonti, saggiare la tenuta
delle prove o sviluppare
ulteriormente
alcuni
punti accennati. Chi
non ha tempo o
interesse per eventuali
approfondimenti potrà
ignorare le note: non
perderà il senso del
discorso e godrà il
vantaggio di una lettura
piùfluida.
La civetta e la talpa è,
dunque, un’opera in
parte nuova e, in parte,
in grado di conservare
quantomisembraabbia
resistito all’usura del
tempo (del resto, in
filosofia, le idee si
comportano come le
placche nella deriva dei
continenti: si muovono
in
maniera
impercettibile, anche se
poi il loro scontro
provoca
periodiche
catastrofi, per fortuna
soloconcettuali,maalla
lunga non prive di
effettipratici).Seèvero
quanto
dice
Schopenhauer,
che
ognuno di noi non fa
altro per tutta la vita
che sviluppare una sola
ideaoscrivereununico
libro, questo è l’intimo
prolungamento
del
primo.
8. Con la differenza
che è stato concepito in
un clima intellettuale e
morale
decisamente
cambiato – che pone
altre domande ed esige
altre risposte –, nel
senso che il futuro
collettivo, di per se
stesso incerto, si è oggi
ancor più oscurato, in
particolare nella nostra
porzione di mondo. Dal
punto
di
vista
qualitativo,hopertanto,
da
un
lato,
ulteriormente
approfondito alla luce
del
pensiero
contemporaneotemigià
presenti in Sistema ed
epoca in Hegel (quali il
significato
della
dialettica,
dell’analisi
il
ruolo
infinitesimale,
delle
scienze naturali e della
psichiatria, l’enigmatico
nesso
tra
tempo,
divenire ed eternità, la
condizione
dell’individuo
nell’«epoca della prosa
del mondo», la mutata
funzione dello Stato e
della società civile, le
polemiche
sul
finalismo),
dall’altro,
pensando a un periodo
storicoincuiilprocesso
di globalizzazione non
aveva ancora raggiunto
le proporzioni odierne e
le crisi economiche
avevano, tuttavia, già
provocato
la
precarizzazione
dell’esistenza
di
innumerevoli individui
e popolazioni, mi sono
ora
soffermato
maggiormente
sulle
idee di lavoro, di
disoccupazione e di
miseria in una civiltà
dominata
dalle
macchine e dal Kapital,
un «animale selvaggio»
chesisottraeaqualsiasi
tentativo
di
addomesticamento
e
diventa sempre più una
potenza «indipendente»
dagliStati.
Hegel descrive infatti
– in maniera quasi
dickensiana
–
un’economia
contraddistinta
dall’elevatissima
concentrazione
della
ricchezzainpochemani
e
dal
conseguente
crearsi di una immensa
massa di lavoratori
poveri o disoccupati
(brodtloseArbeiter),esseri
umani sospinti dalla
miseria più spaventosa
nell’umiliazione
e
nell’abbrutimento, una
situazione alla quale gli
Stati
cercano
inutilmente di
rimedio
con
porre
dei
«palliativi»,
come
l’emigrazione
nelle
colonie. Di fronte a un
simile spettacolo, Hegel
giunge a dire che
l’estrema povertà rende
lecito, a chi la subisce,
ancheilfurtofinalizzato
alla
propria
sopravvivenza:
«tale
azione è illegale, ma
sarebbe
ingiusto
considerarla come un
furto
comune.
Sì,
l’uomo ha diritto a tale
azione
illegale».
Il
tramonto dell’epoca è
quindiperluiconnesso,
oltre che alla «farsa»
della
Restaurazione,
all’insolubilità
di
conflitti come questi,
che la filosofia deve
indagare con i suoi
grandiocchidicivetta.
Comparativamente,
anche
il
nostro
avvenire, oscurandosi,
sembra aver accentuato
lasuanaturadiassoluta
contingenza, di luogo di
esplicazionediforzeche
sfuggono sempre più al
controllo degli uomini.
L’incertezza si è perciò
estesa,insinuandonegli
animi la percezione
della precarietà come
normale
condizione
dell’esistenza,
un
atteggiamento
che
allenta i legami sociali,
mina
la
fiducia
reciproca e rende più
difficile l’individuazione
dipossibilivied’uscitaa
una crisi che non è
soltanto economica o
politica(cheègrave,ma
certononpeggioredelle
tante che si sono
attraversate solo nel
secoloscorso).
Noinonabbiamoperò
alcun coerente sistema
di idee che pretenda di
orientarci a capire il
nostro tempo, alcuna
civetta filosofica che,
con
sguardo
panoramico, interroghi
la
sua
apparente
oscurità. La talpa della
storia continua invece,
come sempre, a scavare
in profondità e in
direzioni imprevedibili
le sue gallerie, da cui
emergerà non si sa
quando e non si sa
dove, quasi a conferma
dell’asserzione
di
Keynes, secondo cui
«l’inevitabilenonaccade
mai,l’inattesosempre».
Pisa,
2014
maggio-giugno
REMOBODEI
Capitoloprimo
Lacivettaela
talpa
In questo capitolo si
consideracomealcune
idee sulla filosofia di
Hegel siano derivate
da
sue
fortunate
metafore,
ma
si
considera anche come
tali metafore siano
state spesso fraintese
omaleinterpretate.La
direzione principale di
ricerca è quella di far
scaturire
progressivamente la
rete categoriale dalla
rete metaforica, la
'forma' del proprio
tempo appreso in
pensieri
dal
suo
contestoconcreto,edi
passare dalle allusioni
agli aspetti più noti e
dibattutidellafilosofia
hegeliana
all’esposizione
coerente di quelli
meno conosciuti e
fondanti.
Vengono
quindi prese in esame
quiesvisceratealcune
sue metafore centrali,
prima tra tutte quella
della 'civetta della
filosofia', il legame tra
metafore notturne e
oscuramento
del
mondo, per arrivare a
considerazioni
inerentilafilosofiaele
istituzioni, il controllo
della dialettica storia,
fino ai limiti di
un’interaepoca.
È
lo
spirito
nascosto,
che batte
alle porte
del
presente,
che
è
tuttora
sotterraneo,
chenonè
ancora
progredito
ad
esistenza
attuale
ma che
vuole
prorompervi
[…]
Lo
stato del
mondo
non
è
ancora
conosciuto;
ilfineèdi
produrlo.
Hegel,
Lezioni
sulla
filosofia
della
storia[1].
1.L’ostacolodelle
immagini
L’immagine
dominante
di
un
sistema chiuso o di un
atteggiamento politico
sostanzialmente
rinunciatario
nello
Hegel della maturità,
poggiaanchesulfascino
di alcune fortunate
metafore, come quella
della
civetta
della
filosofia, che si innalza
sul far della sera,
quando il processo di
formazione della realtà
appare ormai concluso.
In
genere,
tali
similitudini
non
vengono
però
correttamenteintese,ed
esercitano quindi un
effetto
perturbatore
sulla comprensione del
pensiero
hegeliano.
Finché
non
sono
chiarite, agiscono da
ostacolo, ma una volta
penetrato il loro senso,
rivelano in Hegel una
più fitta e coerente rete
dimetaforeedimodelli
analogici, che funge da
supporto o talvolta da
surrogato delle trame
concettuali. Non solo,
quindi, esse possono
introdurci nella filosofia
di Hegel, indicarcene
alcuni presupposti, ma
possono anche offrirci
unaillustrazionestorica
efficace
e
non
intenzionale
retroterra
dei
del
suoi
concetti.Lostabilire–in
via preliminare – quale
estensione abbiano le
propaggini
e
le
implicazioni di questo
impianto figurale e
qualerapportovisiatra
di esso e la struttura
teorica
rettifica
esplicita,
le
basi
immaginativedellavoro
di interpretazione e
prepara
contemporaneamente
unterrenopiùfruttuoso
per la ricostruzione
dell’impianto
concettuale.
Vi
preliminarmente
sarà
un
discorso provvisorio, in
cui
farò
parlare
soprattutto
i
testi
hegeliani, sviluppando
le mie argomentazioni
quanto
basta
per
intravedere
l’impalcatura generale
del pensiero di Hegel e
per incrinare i più
diffusi
e
tenaci
pregiudizi
che
accompagnano
la
letteratura
che
lo
riguarda,
sempre
tacitamente
presupposta,
anche
quando
non
direttamente citata. La
prima parte sarà quindi
una
riflessione
su
alcunepaginehegeliane
– non poche ignorate e
qui inserite nei loro
nessi –, nell’attesa di
una
giustificazione
storica e teorica che
potrà derivare in modo
retroattivo
solo
dall’intero svolgimento
dell’indagine e dalla
conseguente saldatura
fra livello metaforico e
livello
concettuale.
Questa saldatura, da un
lato,
degraderà
le
metafore e i modelli
analogici a semplici
meccanismi
ausiliari,
dall’altro, li conserverà
costantemente
sullo
sfondo, sia per dare
profondità di campo e
gusto
storico
alle
relazionidipensiero,sia
per ricordare la loro
origineelaloropotenza
come strumenti che
incidonosullacurvatura
dei concetti e operano
anche all’interno della
filosofia. La direzione
principale di ricerca
sarà però quella di far
scaturire
progressivamente
la
rete categoriale dalla
rete
metaforica,
la
«forma» del proprio
tempo
appreso
in
pensieri
dal
suo
contesto concreto, e di
passare dalle allusioni
agli aspetti più noti e
dibattuti della filosofia
hegeliana
all’esposizione coerente
di
quelli
meno
conosciutiefondanti[2].
2.Lacivettadella
filosofia
Cominciamo
dalla
prima
delle
due
metafore
complementari,
da
quella più nota della
«civetta», lasciando a
una fase successiva,
quasi a sorpresa, quella
della «talpa», che ne
spiega a posteriori il
sensopreciso.
Nella famosa pagina
del 1820, in cui la
filosofia è paragonata
alla civetta di Minerva
(Eule der Minerva) che
spiccailsuovolosulfar
della sera, che giunge
cioè
troppo
tardi
rispetto al costituirsi
autonomo della realtà,
si è sempre visto il
simbolo stesso della
vocazione
contemplativa e della
rinuncia
alla
trasformazione
del
mondo da parte di
Hegel.
Al
pensiero
sembra
affidato
il
compito di registrare
passivamente
una
situazione storica già
svoltasi e di rifugiarsi
nellanottedellapropria
interiorità.
Ma
la
rappresentazione della
civetta nasconde delle
allusioni che dovevano
risultare trasparenti a
molti contemporanei e
chesonoinvecerimaste
opachepernoi.Inprimo
luogo, e questo è
l’aspettopiùevidente,la
civetta, linneanamente
Athene noctua, è per
lunga
tradizione
l’immagine
della
sapienzaedellafilosofia
(ancheperchésivedeva
nelcontornodegliocchi
e del becco la forma
dellaletterainizialeφdi
φιλοσοφία),oltrechedella
disgrazia,delcrepuscolo
e della notte, ma essa è
anche l’animale sacro
ad Atena o Minerva, di
cuiessa–(glaukopis),dal
volto di civetta (glaux) –
assumespessolaforma.
Atena,inquantoSophia,
è
figlia
di
Metis,
l’intelligenza e il Buon
Consiglio, o di Zeus
dalla cui testa, si sa,
escearmata[3].Illatopiù
importante della storia
di questa figura è
comunque
rappresentato per noi
dalfattochecomparisse
sul
fregio
della
«Minerva», la rivista di
Archenholz
e
successivamente di F.A.
Braun,bennotaaHegel
fin dagli anni di Berna.
In esso è disegnata una
civetta che sovrasta un
cartiglio
col
motto
leibniziano
Die
gegenwärtige Zeit ist
schwanger
mit
der
Zukunft, il presente è
gravidodelfuturo[4].Già
nell’immagine
hegeliana della civetta
vi è, dunque, l’allusione
a un rinvio al futuro,
confermato da tutto il
senso dell’opera del
filosofo. La fuga della
civettanellanottenonè
solo
rassegnazione,
meditazione
«anamnestica»
del
passato[5], ma, nello
stessotempo,silenzioso
e incessante sforzo di
comprensione di quelle
forze
agenti
che
prefigurano un futuro
peraltro imprevedibile.
Hegel vuol significare
chelafilosofianascedal
tramonto di un mondo
reale e dei suoi vecchi
ordinamenti,
ma
proprio nel coglierlo ed
elaborarlo attraverso il
pensieroneèaldilà,ne
accelera
la
decomposizione,
aprendocosìlastradaa
un futuro che non si
può descrivere perché il
filosofo non è un
profeta.
Con
la
scomparsa del sole del
reale,
nella
notte
esteriore, si innalza per
contrasto
un
sole
interiore: «Si è spesso
descritto il modo in cui
un uomo vede spuntare
il mattino, avanzare la
luce,ilsolealzarsinella
sua maestà. Una simile
descrizione porrà in
rilievo il rapimento, lo
stupore,
l’infinito
obliare se stessi in
questa chiarità. Ma
quando il sole sarà già
salito
tempo
per
qualche
nel
cielo,
l’ammirazione
diminuirà, lo sguardo
saràobbligatoarivolger
l’attenzione più alla
natura e a se stesso;
l’uomo guarderà nella
sua
propria
luce,
passeràallacoscienzadi
sé, dalla prima attonita
inattività
dell’ammirazione
procederà
all’azione,
all’opera
creatrice
movente
da
lui
medesimo. E alla sera
avrà
compiuto
un
edificio,
un
sole
interiore, il sole della
sua coscienza, prodotto
del suo lavoro; e questo
egli pregierà più che il
sole esteriore, e nel suo
edificio avrà ottenuto di
stareconlospiritonello
stesso rapporto in cui
prima stava col sole
esteriore,omeglioinun
rapporto che ora è,
invece, libero. In ciò è
propriamente implicito
ilcorsodituttalastoria
del mondo; il gran
giorno dello spirito, la
diurna opera che esso
compienellastoria»[6].
Sole esteriore e sole
interiore
percorrono
dunque
traiettorie
opposte. Quanto più il
primo
si
abbassa
sull’orizzonte, tanto più
il secondo sale. Del
resto Hegel ha una
«concezione
eliodromica»dellastoria
del mondo e, giocando
sulle
etimologie,
attribuisceallastoriaun
movimentodaorientea
occidente, dal sole
esteriore (Ex Oriente lux
suona
un
antico
proverbio)
al
sole
interiore,
dall’Asia
all’Europaeall’America,
«paese dell’avvenire»[7],
la definizione stessa
data da Napoleone.
Soltanto nel Paese della
sera (Abendland) – dove
si
è
abbandonato
l’immobilismoasiatico–
il cumulo delle crisi di
crescenza, la morte di
mille soli naturali, ha
fatto spuntare il «gran
giornodellospirito».Qui
soltanto«lalucediventa
lampo del pensiero», in
quanto la vecchiaia
naturale è debolezza,
mentre quella dello
spiritoèpienamaturità.
La filosofia può sorgere,
infatti, solo dove c’è
crisi,
mutamento,
corruzione
della
naturalitàdell’esistenza;
unicamente
«allorquando un popolo
in
generale
ha
sorpassato
le
sue
condizioni concrete di
vita, allorquando s’è
verificatalaseparazione
e la differenziazione
delle classi, e il popolo
stesso si avvia al suo
tramonto; allorquando
s’è
determinata
la
scissura
tra
le
aspirazioni interiori e la
realtà esteriore, l’antica
forma della religione
non soddisfa più ecc.;
allorquando lo spirito
appalesa indifferenza
verso
la
propria
esistenza vitale o vi
permane insoddisfatto,
e un dato tipo di vita
etica va in dissoluzione.
Allora lo spirito si
rifugia nel mondo del
pensiero, si crea di
fronte al mondo reale
un mondo del pensiero;
e la filosofia costituisce
l’espiazione
della
corruzione del mondo
reale, che è stata
iniziata dal pensiero.
Quando la filosofia
sorge con le sue
astrazioni a lavorare di
chiaroscuro,
la
freschezza e la vitalità
della gioventù se ne
sono andate; e la sua
espiazione
non
si
compie nella realtà,
sibbene nel mondo
ideale.PerciòinGreciai
filosofi
si
tennero
lontani
dalla
vita
politica; e il popolo li
chiamava
fannulloni,
perché si rifugiavano
nel
mondo
del
pensiero»[8].
Questo
rifugiarsi, tuttavia, non
è per le istituzioni
un’innocua
contemplazione, ma un
subdolo solvente che
allenta e trasforma i
vincolieticiefadilagare
l’immoralità:
«Ma
questa corruzione non
si può arrestare, come
nel Paradiso Terrestre
non si può far tacere il
desiderio
della
conoscenza.
La
conoscenza, che è un
momento
necessario
nell’educazione
dei
popoli,sipresentaintal
modo come una caduta
nel peccato e come una
corruzione. Tali epoche
in cui si verificano le
svolte del pensiero,
vengonopoiconsiderate
comeunmalannoperla
saldezza degli antichi
ordinamenti. Ma questo
malanno del pensiero
non
può
essere
impedito da leggi o da
altri
ordinamenti
consimili; esso può e
deve guarirsi soltanto
dasestesso,quandoper
opera del pensiero
stesso si sia veramente
venuto a produrre il
pensiero»[9]. La filosofia
assume così il ruolo di
nemica degli antichi
ordinamenti
e
di
pericolo per gli Stati, e i
filosofi (come mostra in
misura esemplare il
destino di Socrate, di
Bruno,
di
Vanini)
divengono delle figure
tragiche, analoghe a
quelle dei fondatori di
nuove religioni, ed
espiano anche con la
vita il peccato di aver
contribuito
alla
dissoluzione
di
un
popolo: «In quanto si
continuava a pensare si
ebbe il risultato che i
supremi rapporti della
vita
vennero
compromessi. Mediante
il
pensiero
venne
sottratta al positivo la
sua forza. Costituzioni
statali caddero vittime
delpensiero;lareligione
èattaccatadalpensiero;
salde rappresentazioni
religiose che valevano
senz’altro
come
rivelazioni, sono state
sotterrate, e l’antica
fede rovesciata in molti
animi […] Perciò i
filosofi vennero esiliati
ed uccisi a causa del
rovesciamento
della
religione e dello Stato,
entrambi
fra
loro
essenzialmente solidali.
Il pensare si fece così
valere
nella
realtà
effettuale ed esercitò
un’enorme efficacia»[10].
Nel sottrarre al positivo
la sua forza, nel
sollevare attraverso il
pensiero
le
nuove
esigenze storiche al di
sopra dei contenuti di
coscienza
finora
accettati, i filosofi –
comeilGesùdegliscritti
giovanili – si innalzano
spesso al di sopra del
destino del loro tempo,
maprendonosempresu
di loro la croce delle
contraddizioni
e
dell’«immoralità»
presente.
Essi
del
son
chiamati a riconoscere,
attraverso
«la
corteccia», il «nucleo
sostanziale della realtà,
ma per arrivare a ciò
occorre un duro lavoro
onde cogliere la rosa
nellacrocedelpresente.
Per questo si deve
prendere la croce su se
stessi»[11]. I filosofi non
devono aver paura di
essere
considerati
immorali o corruttori,
perché la corruzione è
nell’epoca e la filosofia
contribuisce anzi al suo
superamento.Hegelcosì
(nelrisponderealsaggio
di Reinhold, dal titolo
per noi significativo di
Lo spirito dell’epoca come
spirito della filosofia, in
cui Reinhold cercava di
spiegare i sistemi di
Fichte e di Schelling a
partire
dalla
loro
presunta immoralità)[12]
osserva: «Una filosofia
procede indubbiamente
dallapropriaepoca,ese
si vuole intendere la
lacerazione di un’epoca
come immoralità, tale
filosofia
procede
dall’immoralità, ma per
restaurare
con
le
proprie forze l’uomo
contro la disgregazione
dell’epoca
e
per
ristabilire quella totalità
che il tempo ha
lacerato»[13].
In questo contesto si
situa la costante e
polemica
difesa
compiuta da Hegel dei
philosophes contro i
romantici e i difensori
della
Restaurazione,
difesa che ha valore
esemplare. Sebbene il
pensiero
incrementi
soltanto il metabolismo
del mutamento storico,
lo esprima in tutta la
sua virulenza senza
esserne la causa prima
(da cercarsi nella realtà
come
tutto),
Hegel
sottolinea
il
peso
specifico della filosofia
nelprovocareilcrollodi
un assetto politico e
nell’aprire
una
situazione
rivoluzionaria, e non lo
fa certamente – come
sostiene Popper – per
alzareilprezzodellasua
collaborazione
col
governo prussiano, per
rendere più preziosa la
sua
merce
controrivoluzionaria[14].
Ognifilosofia,compresa
la sua, è anzi secondo
Hegelrivoluzionaria,nel
senso che, con la
potenza del concetto,
sottrae
forza
all’esistente,epresenta,
in
alternativa,
un
«mondo
nuovo»
razionalecheaccelerala
distruzione del vecchio.
Nell’attacco
degli
illuministi francesi, «les
enfants perdus de notre
cause»[15], al cumulo di
ingiustizie
dell’ancien
régime, Hegel vede un
compitoessenzialedella
filosofia,
che
è
conciliazione
di
razionalità
e
di
effettualità,
non
riconoscimento passivo
dello stato di cose
sussistente: «Ciò che è
degno di ammirazione
negli scritti filosofici
francesi […] sono la
stupefacente forza ed
energia che spiega il
concetto
contro
l’esistenza, contro la
fede, contro la potenza
millenaria dell’autorità
[…]
L’ateismo,
il
materialismo
e
il
naturalismo
dei
Francesi hanno infranto
tutti i pregiudizi, hanno
riportatovittoriasututti
i
presupposti
aconcettuali e su tutti i
valori della religione
positiva, su tutto quel
che si accompagna con
le abitudini, con i
costumi,conleopinioni,
con le deformazioni
giuridiche e morali, con
le istituzioni civili»[16].
Quando «l’oppressione
spinse all’indagine»[17],
lo slancio del pensiero
fu tale da trasformare
l’esistenteinuna«vuota
parvenza
di
oggettività»[18]: la «furia
del dileguare» rende il
mondo
rarefatto
e
immediatamente
permeabile al pensiero,
il quale assume il
carattere
dell’universalità
opposta e nemica della
singolarità che non si
adegua subito ad essa,
del Terrore e del
dominio della virtù
astratta di Robespierre.
Ma la lucida forza
dell’intelletto
dei
Francesi non compie
soltanto una unilaterale
operadidistruzione:«In
mezzo alla tempesta
della
passione
rivoluzionaria il loro
intelletto si è mostrato
nell’atteggiamento
deciso con cui hanno
portato a termine la
produzione del nuovo
ordinamento etico del
mondo
contro
la
potente
lega
dei
sostenitori del vecchio;
con
cui
hanno
realizzato,nellaloropiù
estremadeterminatezza
e
carattere
di
opposizione, tutti i
momenti della nuova
vita politica. Proprio in
quanto essi hanno
spinto quei momenti al
culmine
dell’unilateralità,
in
quanto inseguono ogni
principio
unilaterale
fino alle sue ultime
conseguenze, essi sono
stati
portati
dalla
dialettica della ragione
storico-mondialeaduna
condizione politica in
cui tutte le unilateralità
precedenti della vita
statale
appaiono
tolte»[19].IlTerrore,oltre
a
essere
stato
notoriamente
una
signoria «necessaria e
giusta»,
che
fu
rovesciata solo quando
non servì più[20], ha
avuto
anche
una
funzione storica più
vasta:
ha
fatto
nuovamente penetrare
nell’animo degli uomini
la paura della morte, la
«paura del signore»
assoluto, e con ciò ha
«ristorato
e
ringiovanito»
le
coscienze[21].
Si
riproduce,
come
vedremo, a uno stadio
più alto, la relazione
signoria-servitù, con la
disciplina che foggia gli
uomini. Dall’esperienza
rivoluzionaria e dal
Terrore i francesi sono
usciti rafforzati e attivi
nellarealtà,mentre«noi
Tedeschiinprimoluogo
siamo passivi verso le
istituzioni vigenti, e le
sopportiamo;
in
secondo luogo, se esse
sono rovesciate, siamo
ancora passivi: esse
furono rovesciate da
altri, e noi vi ci siamo
adattati,
abbiamo
lasciato fare»[22]. Vi è
però un punto di
contatto che accomuna
francesi e tedeschi e li
separa dagli altri popoli
europei – come ad
esempio gli inglesi –
legati
al
rispetto
dell’esistente, ed è il
richiamo alla potenza
disgregatrice
del
pensiero, che presso i
francesi si riversa nella
realtà, mentre presso i
tedeschi rimane ancora
confinata all’interiorità,
alla domanda: posso
osare
anch’io?:
«I
Francesi, movendo dal
pensiero
dell’universalità,
i
Tedeschidaquellodella
libertà di coscienza, il
quale
insegna:
“esaminate ogni cosa e
attenetevi al meglio”, si
sonotuttaviaincontrati,
ovvero percorrono la
stessa strada: ma se i
Francesi, per così dire
senza coscienza, hanno
portato tutto a termine
attenendosi
sistematicamente a un
pensiero determinato, il
sistema fisiocratico; i
Tedeschi
invece
vogliono guardarsi le
spalle,esulfondamento
dellacoscienzaindagare
se anch’essi possono
osare»[23].Ilpuntosucui
far leva per sollevare i
tedeschi(lecivettedella
libertà della coscienza),
avvicinarli
all’effettualità
smuoverli dalla
e
loro
passività è dunque la
coscienza, ma questa
coscienzadeveprendere
possesso dell’esteriorità
(accostarli quindi ai
francesi,
le
talpe
dell’effettualità,
che
operano, appunto, nella
storia «per così dire
senza coscienza»), non
fuggire da essa a caccia
dell’«ideale»,
che,
essendo difficilmente
riconosciuto
nella
realtà,«vienespostatoo
nel passato o nel
futuro»[24]. Il pathos
hegeliano
per
la
Wirklichkeit,perlarealtà
effettuale, che viene
normalmentescambiato
perpassivitàopeggio,è,
sotto questo aspetto,
una terapia che si
rivolge in particolare,
manonesclusivamente,
aitedeschi.PerciòHegel
– con il suo richiamo
quasi ossessivo alla
forzadellecoseeconla
sua
irrisione
nei
confronti
della
soggettività vuota e
avulsadalmondo–poté
apparire a Jean Paul un
«vampiro
dialettico
dell’uomo interiore»[25].
Materialismo francese e
idealismo
soggettivo
tedesco
hanno
la
medesima
radice,
manifestano le stesse
esigenze
secondo
versanti
storici
e
culturali differenti, ma
complementari:
il
materialismo francese
secondo il «principio
locale» dell’oggettività e
della realtà, l’idealismo
tedesco secondo la
forma della soggettività
e dell’idealità[26]. Nel
rivendicare, almeno in
parte,
alla
propria
filosofia l’eredità di
queste due tradizioni,
Hegel ha voluto unire i
due
princìpi
(la
rivoluzione portata dal
pensieronellacoscienza
e la rivoluzione portata
dal
pensiero
nella
realtà). I francesi non
potranno realizzare una
vera
e
durevole
rivoluzione nella realtà
senza una riforma della
coscienza, i tedeschi
non potranno effettuare
una vera rivoluzione
nella coscienza senza il
«balzo in avanti»[27]
oscuramente compiuto
dalla realtà stessa. Le
due strade che il
pensiero ha imboccato
nell’età
moderna,
Riforma luterana e
Rivoluzione
francese,
devono
incontrarsi.
L’incidenzadelpensiero
nondevepiùlimitarsia
un
mutamento
nell’interiorità, ma deve
passare
consapevolmente
a
investireleistituzioni.
Rifugiarsi nel mondo
notturno del pensiero
(ossia
cercare
di
risolvere
le
contraddizioni alla luce
del sole interiore) non
significa quindi tagliare
iponticonlarealtà,ma
rinsaldarli, uscire da un
punto
morto.
La
filosofia infatti, nel
comprendere il proprio
tempo, lo modifica e lo
rende dominabile. In
quanto
«semplice
fuoco» su cui converge
l’immagine virtuale di
un’epoca,
essa
è
superiore al contenuto
secondo la «forma»,
aggiungecioèallarealtà
globale
dell’epoca
soltanto
la
sua
comprensione[28]
(e
anch’essa, al pari del
monarca
rispetto
all’organizzazione dello
Stato, pone il puntino
sulla i)[29], ma tale
comprensione è una
crescita della realtà
stessa, qualcosa che
incide nuovamente a
suavolta,conun‘anello
di retroazione positivo’,
sulla realtà di partenza:
«questo sapere stesso è
la realtà in atto dello
spirito che prima non
esisteva;
sicché
la
differenza
anche
formale è
un’effettiva
differenza
reale.
Mediante il sapere lo
spirito
pone
una
differenza fra il sapere
medesimo e ciò che è;
questo
sapere
poi
provoca una nuova
formadimovimento.Le
nuove forme dapprima
sono soltanto modi del
sapere,ecosìnasceuna
nuovafilosofia;tuttavia,
siccome questa è già
manifestazione di un
grado superiore dello
spirito, è anche la culla
interiore da cui lo
spirito medesimo più
tardi
assurgerà
a
formazione reale»[30]. Il
sapere fa compiere un
progresso alla realtà,
perché da un lato
affretta
il
corso
oggettivo
della
degradazione
degli
ordinamenti
vigenti,
dall’altro anticipa nel
pensiero le soluzioni
che si riverseranno poi
(una volta assorbite da
vasti strati di persone,
come nel periodo che
precede
immediatamente
la
Rivoluzione
francese)
ancora
nel
mondo
esterno. La razionalità
prefigurata dal pensiero
travolge ogni ostacolo
positivo
e
ogni
istituzione
non
commisurata
alla
ragione. Ossia, come è
affermato
nella
prefazione
alle
Vorlesungen
über
Rechtsphilosophie
del
1818,
«La
filosofia
riconoscecosìchesoloil
razionale è suscettibile
di accadere, malgrado i
singoli
fenomeni
esteriori
possano
sembrare contrastarlo
ancora
tanto
[…]
Dovunque lo spirito è
giunto a una coscienza
più alta, la lotta contro
tali
istituzioni
è
necessaria.
L’oggetto
della scienza filosofica
del diritto è il concetto
più alto della natura
della libertà, senza
riguardo a ciò che è
ritenuto valido, alla
rappresentazione
dell’epoca»[31].
Un
linguaggioaprimavista
bendiversorispettoalla
Filosofia del diritto fatta
stampare da Hegel, in
cui l’accento sembra
cadere più sul rispetto
della Wirklichkeit che
sull’affermarsi
inarrestabile
della
ragione. Ma si tratta,
appunto,
come
vedremo,
di
uno
spostamento d’accento,
dovuto forse a motivi
tattici, in un periodo in
cuilasituazionepolitica
generale
dopo
i
deliberati di Karlsbad
aveva fatto scegliere a
Hegel l’attenuazione di
determinatiaspettidella
suafilosofiaavantaggio
dialtri.
La forza propulsiva
attribuitaalsaperehain
Hegel
anche
un
fondamento concreto,
che non può ridursi
soltanto all’esaltazione
idealistica del pensiero
e
del
ruolo
del
«professore assoluto»,
marifletteoscuramente
l’aumentata presa del
pensierosullarealtà,sia
come forza produttiva,
sia come guida in una
società
definita
dall’incessante
trasformazione e dal
prevalere dell’astratto.
Più che la spontaneità
della tradizione e del
costume, domina infatti
ora
l’attività
del
pensiero:
«La
formazione
riflessiva
dellanostravitaodierna
ci crea il bisogno, sia in
relazione alla volontà
chealgiudizio,difissare
punti di vista generali e
di
regolare
in
conseguenza
il
particolare,
cosicché
forme universali, leggi,
doveri, diritti, massime
valgono come motivi
determinanti e sono ciò
che fondamentalmente
ci
guida»
nella
«aggrovigliata
situazione della vita
civile
e
politica»
attuale[32].Datalepunto
di vista, «l’età nostra» è
«da
paragonare
al
mondo romano»: in
entrambi i casi domina
l’universale,
presente
ma
nel
come
«egemonia del pensiero
autocosciente,chevuole
e conosce l’universale e
governa
il
mondo.
L’intelligente
finalità
dello Stato è ora
sussistente nella realtà:
privilegi e particolarità
si dissolvono, e così i
popoli hanno il diritto:
non privilegi, ma il
dirittodivolere.Conciò
i popoli sono astretti
non da trattati, ma da
princìpi,daldirittoinsé
e per sé. Parimenti la
religionepuògiungerea
comprendere
il
pensiero,
l’essere
assoluto;o,quandonon
vi
giunga,
ritirarsi,
dall’esteriorità
dell’intellettoriflettente,
nellafede,oaddirittura,
disperando del pensiero
e rifuggendo affatto da
esso,
nella
superstizione:maanche
tutto questo è esso
stesso prodotto dal
pensiero»[33].
Nel mondo romano
l’universale (lo Stato)
veniva subìto come
finalità esterna, non
voluto e conosciuto
comeora,inun’epocain
cui il pensiero ha la
possibilità di mettere
sotto
controllo
l’universale stesso e di
assimilarlo. Il pensiero,
infatti,
ha
ormai
infiltrato
non
solo
l’intuizione
e
la
rappresentazione, ma
tutta la vita e tutte le
istituzioni,
in
un
crescendo
razionalizzazione
di
che
travolge ogni ristagno
«positivo»,
ogni
privilegio. Per questo,
anche l’intervento del
singolo, e specialmente
del filosofo, sulla storia
e le istituzioni non può
prescindere
dalla
razionalità e dalla presa
di
coscienza
dell’effettualità
del
mondo.
L’equazione
reversibile «ciò che è
effettuale
è
razionale»[34]
è
il
passaggio chiave di
quella
dialettica
hegelianacheAleksandr
Herzen
l’«algebra
definiva
della
rivoluzione».
La
modificazione
della
realtà effettuale deve
passare per la realtà
effettuale stessa intesa
nellasuarazionalità.
Nel mondo moderno
non è più necessario
che i filosofi siano alla
guidadelloStato.Infatti,
dopo millenni di storia
umana, il pensiero che
agisce naturalmente in
tutti,mediantel’«istinto
della
ragione»,
ha
impregnato la realtà di
razionalità cieca, non
riflessa, che la filosofia
deveappuntoesplicitare
e tradurre per la
coscienza, facendo così
avanzare
la
realtà
effettuale. Dalla fine
della civiltà classica a
oggi,
il
regno
sovrasensibile – che i
cristiani
avevano
immaginato come un
altromondo–discende,
come modello a cui
tendere,
progressivamente
in
questo mondo e gli
imprime il sigillo della
ragione: «Tutta la storia
dall’emigrazione
dei
popoli [Völkerwanderung,
quella che i popoli
romanzi
chiamano
«invasioni barbariche»],
che segna l’assurgere
del Cristianesimo a
religione universale, in
poi, non è consistita in
altro che nello sforzo di
configurare la realtà
secondo l’immagine del
regno
sovrasensibile,
prima esistente per
sé»[35]. In questo senso,
già nel 1795, Hegel
poteva
esclamare:
«Venga il regno di Dio e
le nostre mani non
restino
inerti
in
grembo!»[36]. Il processo
(nonancoraconcluso)di
secolarizzazione
del
mondo
riceve
sovrasensibile
un
impulso
determinantedaLutero,
il «Socrate» dei tempi
moderni[37], il quale
inaugura l’età dello
Spirito, innalzando il
vessillo della libertà e
dellacertezzarazionale:
«Questa è la bandiera
sottocuiserviamoeche
teniamo alta. Il tempo,
daallorafinoanoi,non
ha avuto e non ha altra
opera da compiere
all’infuori di quella di
incorporare
questo
principio nel mondo,
ma in modo da fargli
ancora acquistare la
forma della libertà e
dell’universalità»[38].
Durante
tutto
il
Medioevo ragione e
effettualità non hanno
mai
costituito
un’endiadi: il «mondo
intelligibile»
aveva
un’esistenza separata e
proclamava
la
sua
natura di unica realtà
effettuale, di fronte alla
vuota parvenza, alla
vanitas vanitatum, del
mondo terreno; questo,
a sua volta, non aveva
alcun
effettivo
riconoscimentodaparte
della
coscienza,
in
quanto
era
sostanzialmente
dominato dall’arbitrio,
dalla particolarità e dal
privilegio feudali. Con
l’era
moderna
l’universale
discende
nelmondoesiintreccia
alla realtà, che diventa,
a
questo
contatto,
effettualità; e il mondo
terreno, ottenendo la
sua
autentica
consacrazione
dalla
coscienza, diventando
«patria» dello spirito, si
innalzaversolaragione.
Ormai la storia è
intessuta di questa
trama
contigua
di
ragione ed effettualità,
giacché la ragione è
penetrata nel mondo
(soprattutto in Francia)
e il mondo è penetrato
nella
ragione
(soprattutto
in
Germania). L’ulteriore
sforzo
ancora
da
compiere
è
la
mediazione completa
nel mondo e nella
coscienza di questi due
movimenti locali». Ed è
qui che la filosofia ha il
proprio terreno, al pari
di altri canali di
diffusione dell’astratto,
la
formazione
dell’opinione pubblica
attraverso la stampa e
la guerra medesima, la
quale,
come
ha
mostrato l’esperienza
rivoluzionaria
e
napoleonica, impone il
rispetto
della
Wirklichkeit e trasmette
lenuoveideeattraverso
la
disciplina
delle
conquiste
o
del
vassallaggio di popoli
piùdeboli,forniticioèdi
princìpiinferioriaquelli
esportati dalle potenze
vincitrici.
Già col Rinascimento,
con lo spuntare di
questa«aurora[…]dopo
la
lunga,
terribile,
gravida di conseguenze
notte del Medioevo»[39],
sirealizzalaprevalenza
dell’universale, anche
grazie allo sviluppo
della scienza e della
tecnica. La polvere da
sparo e la stampa
segnano
visibilmente
questo nuovo dominio
dell’astratto, la fine dei
rapporti personali di
dipendenza e il rapido
avanzare
dello
spirito[40]. Poiché il
«particolare
tecnico
viene scoperto quando
ne esiste il bisogno»[41],
anchelastampadevela
suainvenzionealnuovo
bisogno dell’essere «in
contatto reciproco sul
pianospirituale»[42].Con
le «due verghe di ferro»
della Chiesa e della
servitù della gleba, la
singolarità
naturale
dell’uomo del Medioevo
è stata domata e
sfibrata, e il metodo
«selvaggioeterroristico»
concuilaChiesaèstata
costretta a combattere
la barbarie ha reso gli
individui
pronti
a
piegarsi alla disciplina
dell’universale[43].
Il
terreno della battaglia
contro le imposizioni e
la volontà di far
discendere il cielo in
terraèciòcheperHegel
accomuna
riforma
luterana e rivoluzione
francese:
le
due
«aurore» sono sfasate
temporalmente
e
spazialmente, ma sono
entrambe
manifestazioni
dello
stesso principio dello
«spirito» moderno, il
quale, libero dai ceppi
del
«positivo»,
ha
imboccato la strada
dello
sviluppo
accelerato
e
del
mutamentorapidodella
realtà: «Pare quasi che
in questi tempi lo
spirito, che sino allora
avevaprocedutoapassi
di lumaca nel suo
svolgimento, aveva anzi
retroceduto e si era
allontanato da sé, calzi
gli stivali delle sette
miglia»[44].
Ma
in
Germania non fu allora
possibile accompagnare
la rivoluzione nella
coscienza
con
la
rivoluzione nel mondo,
perché i tempi non
erano ancora maturi:
«Gli
Anabattisti
scacciarono da Münster
il vescovo e si resero
padroni della città; i
contadini si sollevarono
in massa, per essere
affrancati
dall’oppressione
che
gravavasudiessi.Mail
mondo non era ancora
maturo
per
una
trasformazione politica,
comeconseguenzadella
riforma della chiesa»[45].
Ora,dopocheinFrancia
il
principio
della
rivoluzione
«scoppiò
nella realtà» e in
Germania«proruppenel
pensiero», il «compito
della
recentissima
filosofia
tedesca
consistenelrendere[…]
l’unità del pensare e
dell’essere»,
contribuendo così a
esportare pensiero dalla
Germania e a importare
realtà[46].
L’unità di pensiero ed
essere
è,
infatti,
indispensabile ovunque
in un’epoca che si «fa
dotta,
uniforme
e
comune»,
in
una
situazioneincuilaforza
dell’universale
incorporato nella realtà
non
può
essere
disattesa e l’individuo
deperisce se perde il
contatto
vitale
col
mondo: «Lo Stato di
legalità, la condizione
dei
tribunali,
della
costituzione,
dello
spirito pubblico, sono
così saldi in se stessi,
che non restano a
decidere se non le
accidentalità
del
momento;
ci
si
domanda ormai che
cosa
dipenda
dall’individuo,esevisia
qualcosa
che
ne
dipenda»[47]. Il singolo
non è più, «come
nell’età
eroica»,
un’individualità plastica
che forgia direttamente
la realtà con le sue sole
forze:
«nell’attuale
condizione del mondo,
il soggetto può agire
certo da se stesso
secondo questo o quel
lato,maognisingolo,da
qualsiasi lato si volga,
appartiene
a
un
ordinamento
sociale
sussistente
e
non
appare come la figura
autonoma, totale e al
contempo
individualmente viva di
questa società, ma solo
come suo membro
limitato.Egliagiscesolo
come inviluppato in
essa, e l’interesse per
una simile figura ed il
contenutodeisuoifinie
della sua attività sono
infinitamente
particolari». In questa
societàincuil’individuo
è chiamato soprattutto
a ricoprire un ruolo, a
essere
non
una
individualità autonoma,
ma soprattutto una
funzione
sociale,
neppure i re, col loro
potere e la loro volontà,
sfuggono alla regola:
«Parimenti, i monarchi
del nostro tempo non
sono più, come gli eroi
dei tempi mitici, un
culmine in sé concreto
del tutto, ma un centro
più o meno astratto
all’interno di istituzioni
già per sé evolute e
stabili per legge e
costituzione.Imonarchi
del nostro tempo non
hannopiùinmanoipiù
importanti
atti
di
governo;
non
promulgano
più
il
diritto;
le
finanze,
l’ordinamento civile, la
sicurezza pubblica non
sono più loro compito
speciale; la guerra e la
pace
vengono
determinate
dai
rapportigeneralipolitici
conl’estero»[48].LoStato
modernohaconquistato
forza e solidità, ma non
è esente da difetti: «Il
principio degli Stati
moderni
ha
quest’immensa forza e
profondità: lasciare che
il
principio
della
soggettività si porti a
compimento in estremo
autonomo
della
particolarità personale
e, insieme, riportarlo
all’unità sostanziale, e,
così, mantenere questa
in esso medesimo»[49].
Ciòsignifica,daunlato,
che
lo
sviluppo
dell’autonomia
del
soggetto è consentito e
promosso dallo Stato
moderno, il quale, anzi,
si
mostra
come
l’universale
che
sorregge e fonda la
particolarità; dall’altro,
che
il
soggetto,
mediandosi
con
l’universale,sièinserito
inunalogicacomplessa
di
reciproco
arricchimento mediante
contraddizioni,
che
hanno però un prezzo,
che nella fase più
recente si presenta
come accettazione della
«prosa del mondo».
Scomparsi i rapporti di
dipendenza personale,
come la schiavitù o la
servitù della gleba, il
singolo dipende, infatti,
da tutti ed è costretto a
scambiare il suo lavoro
col lavoro degli altri,
socializzandosi
forzatamente
e
perdendogranpartedel
suopotereautonomoin
questa
«prosa
del
mondo»,
dove
«l’immediatezza
dell’esistenza è un
sistema di rapporti
necessaritraindividuie
potenze
apparentemente
autonomi, in cui ogni
singolo è usato come
mezzo per servire a fini
a lui estranei, oppure
abbisogna
come
mezzo»; dove l’uomo è
esposto,
come
gli
animali,
«all’identica
accidentalità, agli stessi
bisogni
naturali
insoddisfatti,
alle
malattie distruggitrici, e
a ogni genere di
indigenza e miseria»;
dove «ogni vivente
isolato rimane nella
contraddizionediessere
a sé per se stesso come
questo conchiuso uno,
ma di dipendere al
contempo da ciò che è
altro,mentrelalottaper
la
soluzione
della
contraddizione non va
oltre il tentativo e la
continuità di questa
guerra permanente»[50].
In
questa
epoca
prosaica, caratterizzata
da miopi egoismi in
lotta
fra
loro,
le
contraddizioni stentano
a risolversi. Ognuno
cercaperciòrifugiodalle
intemperie della storia
scavandosi la propria
nicchia,
mentre
i
governi non riescono a
formarsi
per
l’eterogeneità
e
la
frammentazione della
società civile (da qui il
pathos hegeliano per lo
Stato,
che
deve
sintetizzare e unificare,
anche ponendo dei
rigidi
vincoli,
gli
interessi contrapposti).
Specie nel periodo della
Restaurazione,
alla
«prosa del mondo» si
accompagna
la
«farsa»[51] della politica.
La Rivoluzione francese
ha eliminato l’ancien
régime, «ha posto la
ragione sul trono»,
generando però – come
reazione alla rinuncia
dell’interesse privato da
sublimare nell’interesse
pubblico,
nella
trasformazione senza
residui dell’uomo nel
citoyen – uno sviluppo
ipertrofico
della
soggettività e della
particolarità
degli
individui che è tale da
impedire
in
molte
nazioni europee, come
la Francia, qualsiasi
accordo
nella
formazione di governi
stabili.
Lo humour, un genere
situato nell’Estetica a
coronamento dell’arte
moderna, si manifesta
proprio in questa fase
crepuscolare in cui la
civiltà è dominata da
una società civile in
fermento,
dalle
astrazionidell’intelletto,
dal diffondersi della
banalizzazione e della
burocratizzazione
dell’esistenza. I
suoi
esponenti
più
rappresentativi
sono
Rossini – che Hegel
adorava, preferendo, ad
esempio, Il barbiere di
Siviglia alle Nozze di
Figaro di Mozart e
assistendo
con
entusiasmo all’Otello e
alla Zelmira – e il
LaurenceSternediVitae
opinioni
di
Tristram
Shandy,
gentiluomo,
ammirato anche in
Italia da Ugo Foscolo.
Come
Aristofane
rappresenta, ridendo, la
crisi della democrazia
ateniese e della polis,
come
Ariosto
nell’Orlando furioso e
Cervantes
nel
Don
Chisciotte
descrivono,
ridendo, il tramonto del
mondo feudale, così
Rossini,inparticolare,è
per lui l’equivalente
della‘civetta’chesileva
in volo nell’oscurarsi di
un
mondo
che,
attraversata la tragedia
della Rivoluzione e del
periodo
napoleonico,
non si prende più sul
serio e dà serenamente
l’addio a un recente
passato
divenuto
farsesco. Questo perché
«lo spirito si affatica
intorno agli oggetti solo
finché resta in essi
qualcosa di segreto, di
non rivelato, e le cose
stanno così finché la
materia è identica con
noi. Ma se l’arte ha
rivelato da tutti i lati le
concezioni
essenziali
del mondo contenute
nel suo concetto e la
cerchia del contenuto
che ad esse appartiene,
essa si è liberata di
questo contenuto che è
di volta in volta
determinato per un
popolo
e
un’epoca
particolari: ed il vero
bisogno di riaccoglierlo
si
ridesta
esclusivamente a quello
di voltarsi contro il
contenuto che era stato
finora valido, così come
per es., in Grecia
Aristofane si è volto
contro il presente e
Luciano contro il suo
passatogreco,ecomein
Italia e in Spagna, nel
declino del Medioevo,
Ariosto e Cervantes
incominciarono
a
muoversi contro la
cavalleria»[52].
La
vita
continua
certamente a essere
tragica,
penosa
e
disgraziata
per
la
maggior parte degli
uomini, ma i conflitti
rappresentati
nelle
tragedie non hanno più
lastessaconsistenzadel
passato, come quando
erano
ineludibili
allorché le individualità
si
immedesimavano
integralmente con una
sola delle «potenze
sostanziali» in conflitto
o prendevano parte al
loro intimo dilaniarsi
(nell’ambito
della
famiglia, dello Stato o
della Chiesa): «Il vero
contenuto
dell’agire
tragico rispetto ai fini
concepiti dagli individui
tragici è dato dalla
cerchia delle potenze
sostanzialipersestesse
legittime,operantientro
la
volontà
umana:
l’amore
coniugale,
quello dei genitori, dei
figli,
dei
fratelli;
parimentilavitastatale,
il
patriottismo
dei
cittadini, la volontà dei
capi; inoltre la vita
chiesastica […] Gli eroi
tragici
dell’arte
drammatica, sia che si
tratti
dei
vivi
rappresentanti di sfere
di vita sostanziali, sia
che si tratti di individui
grandi e saldi in quanto
liberamente poggianti
sudisé,questieroi,una
volta giunti a questa
altezzaincuispariscono
lesempliciaccidentalità
dell’individualità
immediata, si stagliano
quasi come sculture, e
anche
per
questo
aspetto le statue e le
immaginideglidei,inse
stesse più astratte, ci
spiegano
gli
alti
caratteri tragici dei
Grecimegliodiqualsiasi
notaocommento»[53].
Il moderno punto di
vista
soggettivo
dell’individualità che si
presume
totalmente
autonoma, ma disposta
ai compromessi della
«prosa del mondo»,
erode la monolitica
compattezza richiesta
da
ogni
dedizione
esclusiva,
quale
è
rappresentata
ad
esempio nell’Antigone.
Venendo a mancare
l’impegno assoluto del
singolo, «nell’umorismo
del comico si porta a
coscienza il negativo di
questa dissoluzione […]
Ma se la commedia
manifesta questa unità
solo
nella
sua
autodissoluzione,
in
quanto l’assoluto che
vuole prodursi a realtà
vede annullata questa
realizzazione
stessa
dagli interessi divenuti
ora per sé liberi
nell’elemento
della
realtà e rivolti solo
all’accidentale e al
soggettivo, allora la
presenza e l’operosità
dell’assoluto
non
compaiono
più
in
un’unionepositivaconi
caratteri
e
i
fini
dell’esistenza
reale,
bensì si affermano solo
nella forma negativa
secondo cui tutto ciò
che all’assoluto non
corrispondesieliminae
sololasoggettivitàcome
talesimostra,inquesta
dissoluzione, certa di se
stessa
ed
in
sé
rassicurata»[54].
Per
Hegel l’arte moderna
concepiscequindiisuoi
nuovi eroi in forma
tragicomica,divisitrala
ricerca
di
ideali
irraggiungibilieilrifiuto
della realtà vista come
banaleoindegna.IlDon
Chisciotte di Cervantes, i
personaggi del romanzo
di
Sterne
o
il
protagonista del Nipote
di Rameau di Diderot
non sono perciò in
grado
di
misurarsi
frontalmente
e
realisticamente con le
sfide del mondo o di
prenderesulserioisuoi
vincoli, di cui però
percepiscono, più o
meno
oscuramente,
l’inconsistenza o il
prossimosciogliersi.
Anchepercontrastare
omitigarequesta«prosa
del mondo» occorre un
duplice
movimento
dialettico:
che
il
pensiero
si
impadronisca
del
mondo e lo plasmi; che
il mondo, e non una
soggettività vuota o un
vago al di là, venga
riconosciutocomeunico
campo di lotta della
ragione.
Persino
il
filosofo–anzi,ilfilosofo
inparticolare–nonpuò
staccarsi
oggi
dal
mondo
in
cui
è
immerso, non può,
anche volendo, essere
più
vichianamente
«monastico e solitario».
Infatti, «la potenza
oggettiva dei rapporti
esterni è infinitamente
grande, e proprio per
questo
la
guisa
necessaria, secondo cui
io sono in essi, è
divenuta
indifferente
nei miei riguardi, la
personalità e la vita
individuale in genere
sono divenute di tanto
più indifferenti. Un
filosofo, si dice, deve
anche vivere come
filosofo,
cioè
deve
essere indipendente dai
rapporti esterni del
mondo
e
deve
tralasciare di occuparsi
e di preoccuparsi di
quelli; ma di vivere così
ristretto rispetto a tutte
le
esigenze,
specialmente
della
cultura, nessuno può
avereperseimezzi,ma
li deve cercare nella
comunione con gli altri.
Il mondo moderno è
essenzialmente questa
potenza di coesione, ed
implica assolutamente
la
necessità
per
l’individuo di entrare in
questo nesso della vita
esteriore»[55].Nell’essere
legato – come tutti gli
altri – ai bisogni e alle
necessità della vita
sociale,
risiede
la
capacità del filosofo
«moderno» di diventare
il
punto
di
accumulazione
più
sensibile
delle
contraddizioni storiche,
della
«croce
del
presente»;
ma,
di
conseguenza, è in lui
chepiùimpellentesorge
il bisogno di una
conciliazione collettiva
di quei contrasti che
toccano tutti, è in lui
chespuntala«rosa»del
futuro. Attualmente «i
filosofi non sono più
monaci,
anzi
in
complesso li vediamo
operare nel mondo in
una
qualsiasi
condizione sociale che
hanno in comune con
altri.Lalorovitaèlegata
alle condizioni generali
dellasocietà,osisvolge
nei pubblici uffici; e
anche se vivono da
privati,
la
loro
condizione non li isola
affatto da quella degli
altri. Essi sono coinvolti
nellecondizionidelloro
tempo, nel mondo, nel
corso e nel processo di
esso»[56]. In questa
imperante
presenza
dell’universale, essi ne
sono i rappresentanti di
grado più elevato; essi,
dice Hegel con pathos
appena trattenuto, sono
i
«funzionari
dello
spirito» che «leggono o
scrivonoquestiordinidi
gabinetto direttamente
nell’originale,
sono
stipendiati
collaborare
per
a
scriverli»[57]. In questo
gergo
cancellieresco,
che conserva tutto il
sapore dell’epoca ed è
sintomo
di
una
mentalità, l’immagine
hegeliana del filosofofunzionario (burocrate
dello «spirito», si badi,
non
dello
Stato)
coincide con quella del
corruttore
delle
manifestazioni
invecchiate della vita
politica. In tali vesti il
filosofopuòessere,aun
tempo, legato alla vita
del presente, come gli
altri uomini, e al di
sopra di esso nella
«forma»delpensiero,in
viaggio
nell’oscurità
della notte, dove il
nuovomondochesorge
dal progressivo disfarsi
delvecchio,glibalenerà
per un attimo come in
un paesaggio illuminato
da un lampo, in una
Gewitterlandschaft:
«Questo
lento
sbocconcellarsi che non
alterava
il
profilo
dell’intiero,
viene
interrotto
dall’apparizione
che,
come un lampo, d’un
colpo, mette innanzi la
piena struttura
mondonuovo»[58].
del
Certo,
ora
che
«l’educazionedeltempo
ha preso un’altra piega
e il pensiero si è messo
a capo di tutto ciò che
deve essere valido»[59],
gli Stati hanno spesso
tentato di porre la
filosofia sotto controllo
e di trasformare i
filosofi in funzionari
dello Stato. Il rinnovato
interesse per la logica è
dovuto
appunto,
secondo Hegel, alla
constatazione
dell’effetto devastante
chehaavutosullarealtà
la potenza del pensiero,
che viene chiamato a
giustificarsi[60]. E le
relazioni fra la filosofia
e lo Stato, come
vedremo, non sono per
nulla facili; anche se
integrata
nelle
istituzioni,
attraverso
l’insegnamento
pubblico
organizzato
dallo Stato, essa resta
sempre un pericolo
potenziale, che cresce
quanto più lo Stato si
rifiuta al mutamento e
allarazionalitàesplicita.
L’avanzare
della
razionalizzazione è un
moto inarrestabile che
travolge quegli Stati e
quelle filosofie che non
vi si adeguano e che
penetra in ogni angolo
della coscienza e della
realtà, soprattutto con
l’età di Kant e della
Rivoluzione
francese:
«Ma il pensiero e il
pensare erano ormai
diventati un bisogno
insuperabile, da non
potersi più eliminare. Si
affacciava quindi in
primo luogo l’esigenza
cheipensieriparticolari
apparissero
prodotti
necessari di quella
prima unità dell’io e da
essa giustificati. In
secondo
luogo,
il
pensierosieraestesosu
tutto l’universo, si era
attaccato a tutto, tutto
aveva indagato, in tutto
inserito le sue forme,
tutto ridotto a sistema,
sicché in ogni campo si
doveva
procedere
secondo
le
sue
determinazioni,
non
secondo un semplice
sentimento, secondo la
consuetudine o il senso
pratico,
secondo
l’immensa incoscienza
dei cosiddetti uomini
pratici. Anche nella
teologia, nella politica e
nelle
relative
legislazioni,
nel
determinare i fini dello
Stato, nelle industrie,
nella meccanica, si
doveva
sempre
procedere
per
determinazionigenerali,
cioè
razionalmente;
tanto che si sente
parlare
perfino
di
birrerie razionali, di
fabbriche razionali di
lateriziecc.»[61].Ilnuovo
spirito dei tempi, di cui
già si intravedono i
contorni storici e di
classe,
è
talmente
disceso nel mondo
moderno (e non solo
nella Prussia!) che «oggi
non si riesce più a fare
delle satire. Cotta e
Goethe hanno istituito
premi per delle satire,
ma nessuna poesia di
questo genere è venuta
fuori. Esse abbisognano
infatti di saldi principi
con cui il presente è in
contraddizione, di una
saggezza che rimane
astratta, di una virtù
che con ferma energia
poggia solo su di sé e,
pur
ponendosi
in
contrasto con la realtà,
non è in grado di
realizzare
la
vera
dissoluzione poetica del
falsoedelrepugnantee
l’autenticaconciliazione
nel vero»[62]. L’eroe
moderno di quest’epoca
prosaica[63] è il giovane
del ‘romanzo borghese’,
che compie il suo
apprendistato
combattendo contro la
realtà,perpoiaccettarla
supinamente,
diventando un filisteo,
rovesciandolasublimità
degli ideali non tarati
sulla realtà – le illusioni
– nella rabbia della
delusione
e
di
un’esistenza meschina,
prodotto anch’essa di
potenze
sociali
oggettive: «Questi nuovi
cavalieri
sono
in
particolare dei giovani
che devono scontrarsi
col corso del mondo, il
qualesirealizzaalposto
dei loro ideali, e che
ritengono una disgrazia
che vi siano famiglia,
società civile, Stato,
leggi, professioni ecc.,
perché
sostanziali
queste
relazioni
della vita si oppongono
crudelmente con le loro
barriere agli ideali e al
dirittoinfinitodelcuore.
Si tratta dunque di
aprire una breccia in
quest’ordine di cose, di
mutare
il
mondo,
migliorarlo, oppure di
tagliarsi a suo dispetto
perlomenounafettadi
cielo sulla terra: cercare
e trovare la propria
fanciulla, quale deve
essere,
e
toglierla,
portarla via, strapparla
ai suoi cattivi parenti o
ad
altre
relazioni
nefaste. Ma queste lotte
nel mondo moderno
non sono altro che
l’apprendistato,
l’educazione
dell’individuoallarealtà
esistente, e acquistano
così il loro vero senso.
Infatti la fine di tale
apprendistato consiste
nel fatto che il soggetto
mette giudizio, tende a
fondersi, insieme con i
suoi desideri e opinioni,
con
i
rapporti
sussistenti e la loro
razionalità, si inserisce
nella
concatenazione
delmondoeviacquista
un posto adeguato. Per
quanto
uno
possa
essere venuto a lite con
il mondo ed esserne
stato respinto, alla fine
per lo più trova la
fanciulla adatta e un
postoqualsiasi,sisposa
e diviene un filisteo
come gli altri: la donna
si occupa del governo
della casa, i figli non
mancano, la moglie
adorata che prima era
l’unica, un angelo, si
comporta più o meno
come tutte le altre,
l’impiego dà fatica e
noia, il matrimonio le
croci domestiche, e
insomma
subentra,
come d’uso,
risveglio»[64].
l’amaro
3.Lafilosofia
comemedicina
mentis
Hegel è convinto di
vivere in una fase
storica in cui il singolo
avverte ferocemente la
sua
inadeguatezza
rispetto all’universale
già attivo nella realtà
(universale che è, del
resto,
un
prodotto
collettivo, frutto del
lavoro di generazioni) e,
non potendo sperare di
tendere più in alto, a
una comprensione e a
una presa di possesso
sistematica del mondo,
si incanaglisce in fini o
obiettivi limitati oppure
tenta di scardinare il
corso del mondo senza
fare
la
fatica
di
comprenderlo
per
mutarlo, alla ricerca di
una privata «fetta di
cielo» sulla terra. Quale
scopo – si domanda
Hegel – può avere la
filosofia in un mondo
prosaico del genere, in
cui la scissione rischia
di «acclimatarsi»[65] e il
senso dell’intero di
affievolirsi nei gorghi
della vita individuale,
anche
se
manifesta
poi
si
come
malessere di cui si
ignora la causa? Una
voltagliuominiavevano
riposto i loro «vasti
tesori di pensieri e di
immagini» nel cielo e
«c’è voluto tempo assai
prima di introdurre,
nell’ottusità e nello
smarrimento in cui si
trovava il senso dell’al
di qua, quella chiarezza
che solo il sovraterreno
possedeva […] Ora
sembra che ci sia
bisogno del contrario;
sembra che il senso sia
talmente abbarbicato ai
valori
terreni,
da
rendersi
necessaria
altrettanta violenza a
sollevarlo»[66].
La
filosofia, trapiantando
gli individui nel mondo
senza che peraltro si
acclimatino
passivamente
e
riflessivamente alle sue
scissioni,
l’incarico
ha anche
di salvare
l’individualità
e
di
renderla
vitale,
contrastando in una
certa
misura
quel
progressivo
deperimento che la
minaccia e che Hegel
non propugna, come
ritiene Kierkegaard, ma
che registra, addebita
all’azione di precise
forze
storiche
ed
economiche, le quali
ottundono, col lavoro di
macchinaecoldominio
egoistico della società
civile, la maggior parte
degli uomini. Per non
intristire
intrattenere
bisogna
una
relazione costante con
laWirklichkeit.
Non è tuttavia vero
che per Hegel il singolo
non
abbia
alcuna
possibilitàdiintaccareil
mondoedebbaaffidarsi
a forze collettive e
universali.
Bisogna
tener
conto
del
mordente del discorso
hegeliano,
della
polemica contro certe
manifestazionidiutopia
romantica
che
pretendevano di saltare
oltre la realtà, di
schiodare la rosa del
futuro dalla croce del
presente.
Questo
attivismo, dopo essersi
scontrato
con
la
«riottosa estraneità»[67]
del mondo, con la sua
«burberaritrosia»,chesi
concede solo a chi sa
dominarlo
effettivamente,
si
ribaltava
in
una
impotente disperazione
o in una tremenda
depressione. Si finisce
così per venire a
contatto con la realtà
effettuale
alle
condizioni
peggiori,
quelle
di
chi
–
abbandonandoisognidi
trasformare
radicalmente il mondo,
«chealuisembrauscito
fuori dai cardini» –
diventa
un
gretto
conformista: «Dapprima
al giovane il passaggio
dalla sua vita ideale
nella società civile può
sembrare un doloroso
passaggio in una vita
filistea. Occupato finora
solo
in
oggetti
universali, e lavorando
solo per sé, il giovane
che diventa uomo deve,
entrando nella vita
pratica, essere operoso
per gli altri, e occuparsi
delle
cose
singole
(Einzelheiten).Perquanto
ciòdipendadallanatura
della cosa – poiché
quando si deve agire,
bisogna rivolgersi alla
cosa singola – pure
l’iniziale occupazione
nelle cose singole può
riuscire
penosa
all’uomo,
e
l’impossibilità
realizzare
di
immediatamente i suoi
ideali può renderlo
ipocondriaco»[68].
Lo
«spirito
dell’inquietudine
e
dell’instabilità,
che
caratterizza il nostro
tempo»[69],
produce,
infatti,l’ipocondria,così
che l’ideale appare
alternativamente o a
portata di mano o
irraggiungibile. Passare
attraverso le forche
caudine dell’ipocondria
e uscirne rafforzato
significa quindi per
l’individuo raggiungere
la maturità, ammettere
che il mondo ha una
consistenza che resiste
allesueastrattepretese.
Il conseguimento di
questo obiettivo non è
certamentefacile,mala
tensione verso la meta
deve essere continua
per non cadere, da un
lato, nella tentazione di
restare al di sopra della
realtà,
con
la
presunzione, dall’altro
al di sotto, con la
rassegnazione. C’è un
passoalungoignoratoe
sottovalutato in cui
queste
affermazioni
vengono chiaramente
espresse:
«l’impossibilità
di
un’immediata
realizzazione dei propri
ideali
può
rendere
l’uomo ipocondriaco. A
questa ipocondria, per
quanto in molti possa
anche essere invisibile,
non sfugge facilmente
nessuno. Quanto più
tardi vi si cade, tanto
più preoccupanti sono i
suoi sintomi. Nelle
nature deboli essa può
trascinarsi tutta la vita
[…] In questo stato
d’animo
morboso
l’uomo
non
vuole
abbandonare la sua
soggettività, non è in
grado di oltrepassare la
sua avversione nei
confronti
dell’effettualità e si
trova appunto perciò
nella condizione di
relativa incapacità, che
diventa
facilmente
un’effettiva incapacità.
Se l’uomo non vuole
sprofondare,
deve
riconoscere il mondo
come
autonomo,
essenzialmente
bell’e
fatto,
accettare
le
condizioni postegli dal
mondo
stesso
e
strappare
alla
sua
burbera ritrosia ciò che
egli vuole avere per sé.
Di regola l’uomo crede
didoveresserecondotto
aquestaarrendevolezza
solo dalla necessità e
dal bisogno. Ma, in
verità, tale unione col
mondo non deve essere
intesacomeunrapporto
dinecessità,macomeil
rapporto razionale […];
l’uomo agisce perciò del
tutto razionalmente in
quanto abbandona il
piano di una radicale
trasformazione
del
mondo e tende a
realizzare i suoi scopi
personali,
le
sue
passioni e i suoi
interessi solo nella sua
connessione al mondo.
Anche così gli resta
spazio per un’attività
onorevole, di vasta
portata
e
creativa.
Infatti,
sebbene
il
mondo debba essere
essenzialmente
riconosciutocomebell’e
fatto, esso non è
tuttavia qualcosa di
morto, bensì, come il
processo
vitale,
qualcosa che sempre di
nuovo
si
produce,
qualcosa che, nello
stessotempo,inquanto
siconserva,progredisce.
In questa produzione,
che conserva e manda
avanti
il
mondo,
consiste
il
lavoro
dell’uomoadulto[…]Ma
l’avanzare del mondo
avviene solo in enormi
masseesifanotaresolo
inunagrandesommadi
fattori. Se l’uomo, dopo
un
lavoro
di
cinquant’anni, volge lo
sguardo indietro al suo
passato,egliriconoscerà
già il progredire. Questa
conoscenza,
come
cognizione
della
razionalità del mondo,
lo libera dal sentimento
luttuoso
della
distruzione dei suoi
ideali. Ciò che vi è di
vero in questi ideali si
conserva
anche
nell’attivitàpratica,solo
ciòchevièdinonvero,
le vuote astrazioni,
devono
essere
dall’uomo consumate
nel
lavoro»[70].
La
maturità,cheancheper
Hegel
è
shakespearianamente
«tutto»[71], coincide con
la virile accettazione di
un mondo che è il
prodotto
di
innumerevoli
generazioni di esseri
umani, i quali –
modificandolanaturae
se stessi, creando le
istituzioni,
accumulando a valanga
i contributi di ciascuno
editutti,nelcorsodella
storia–hannoplasmato
un
mondo
che
l’individuo, nascendo e
crescendo, trova già
fatto e in cui deve
attivamente
inserirsi
ripercorrendo a tappe
forzate il cammino
dell’umanità, così da
misurare di volta in
volta le proprie forze e
da impadronirsi delle
sue
fondamentali
conquiste.
Hegel
ha
provato
personalmente cosa sia
questa ipocondria e in
quali labirinti conduca,
prima
di
portare
nuovamente all’aperto.
Rispondendo al filosofo
e medico Karl Joseph
Hieronymus
Windschmann, che si
lamentava
di
un’ipocondria
tanto
grave da ridurlo quasi
alla paralisi, dice di
conoscere: «quel Suo
stato d’animo che mi
descrive
–
questo
penetrare nelle oscure
regioni dove niente si
rivela
stabile,
determinato e sicuro,
dove da ogni parte
brillano lampi che però,
anziché
illuminare,
gettano falsi riflessi
vicino
agli
abissi,
offuscati
dal
loro
chiarore, traendo in
inganno sull’ambiente,
e dove ogni inizio di
sentierosiinterrompee
finisce
nell’indeterminato,
perdendosi
e
strappandoci dal nostro
destino e dalla nostra
destinazione.Ioconosco
per esperienza questa
voce dell’animo, anzi
della ragione, quando
essa
penetra
con
interesse e con i suoi
presentimenti nel caos
dei fenomeni e quando,
internamente
certa
della meta, non si è
ancora completamente
ritrovata, non è ancora
pervenutaallachiarezza
e alla specificazione
dell’intero. Ho sofferto
per un paio d’anni di
questa ipocondria fino
all’esaurimento
delle
forze. Certo ogni uomo
ha conosciuto una tale
svolta nella sua vita, il
punto oscuro della
contrazione
della
propria essenza, nella
cui strettoia egli è
costretto a passare,
perché
ne
venga
assicurato e confermato
nella certezza di se
stesso, nella certezza
della vita consueta e
quotidiana, e, se si è
reso incapace di essere
soddisfatto da questa,
nellacertezzadiunapiù
nobile
interiore»[72].
esistenza
Il
disconoscimento
della realtà effettuale
può
far
giungere
all’estremo della follia,
che è il massimo
isolamento
dell’individuo
dal
genere. La follia è per
Hegel un
necessario
momento
dello
sviluppo
dell’anima,
nellostessosensoincui
il crimine è necessario
per il costituirsi del
diritto[73]. Non è detto,
cioè,
che
ciascuno
debba
passare
attraverso
questa
«estrema lacerazione»;
essa
esiste
come
potenzialità
da
superare. Analoga è la
posizione di Schelling:
«La pazzia sale dalla
profondità dell’essere
dell’uomo,nonpenetra–
è
evidentemente
qualcosadiesistentegià
potentia, che non viene
mai ad actum, è ciò che
nell’uomo
dovrebbe
esser vinto ma, sempre
mosso
da
qualche
causa,
ridiventa
operante […] Laddove
non vi è follia che sia
regolata, dominata, non
vi è nemmeno un
intelletto forte, potente,
poiché
la
forza
dell’intelletto
si
dimostra appunto nel
suopoteresuciòchegli
ècontrapposto»[74].
Il
violento
rovesciamento
dello
stato delle cose e
l’incapacità di accettare
il presente genera per
Hegel la follia «nel caso
in cui l’individuo viva
esclusivamente
nel
passato e divenga in tal
modo
incapace
di
trovarsi nel presente, dal
qualesisenterespintoe
al quale si sente nello
stesso tempo legato.
Così
ad
esempio,
durante la Rivoluzione
francese,
per
il
rovesciamento di quasi
tutti i rapporti civili,
molti uomini sono
diventati pazzi»[75]. La
follia non è una perdita
astratta della ragione,
ma una contraddizione
interna ad essa, un
dissidio con se stessi,
che consiste nel fatto
che la realtà del
possibile
immaginata
entra in contraddizione
con la totalità della
realtà
effettuale[76].
Proprio perché è l’unico
animale che ha la
facoltà di immaginare il
possibile come se fosse
reale, l’uomo ha il
«privilegio
della
follia»[77].Astrattamente
tutti possono diventare
re, possono volare (vi
sono
nella
realtà
percettiva dei volatili),
ecc., ma di fatto i deliri
del folle, composti su
questa tastiera del
possibile, stanno in
«contraddizione
irrisolta» con l’insieme
delle sue precedenti
rappresentazioni.
La
follia,
in
quanto
mancanza di rapporto
completo fra Vernunft e
Wirklichkeit,
è
un
«sognaredasvegli»,uno
«sdoppiamento
della
personalità», per cui il
soggetto folle «è presso
di se nel negativo di se
stesso» e crede «di aver
presenti come oggettive
le sue rappresentazioni
solo soggettive e perdura
contro
l’effettiva
oggettività che sta in
contraddizione
con
esse»[78]. Nel folle la
coincidenza di pensiero
ed essere, risultato e
presupposto
del
pensiero sano, viene a
cadere, e la frase «ciò
che penso è vero» ha
anch’essa un significato
folle nella sua bocca[79].
Ciò dipende dal fatto
che «la pazzia è
spirituale, ma anche
unamalattiacorporea,e
questo è proprio il suo
carattere,
questa
inseparabilità».
Nella
coscienza che riesce a
mantenere l’equilibrio
tra
la
dimensione
spiritualeequellafisica,
viene ‘superato’ il lato
della
corporeità,
mentre, quando tale
equilibrio si incrina, si
forma una sorta di
«nodo» contro cui «non
puònullal’interezzadel
sentimento di sé […]
proprio perché questo
nodo
è
corporeo»[80].
divenuto
Hegel conosceva da
vicino gli effetti e i
sintomi della follia: il
suoamicopiùcaronegli
anni di Tubinga e di
Francoforte, Friedrich
Hölderlin,eraimpazzito
e venne ricoverato in
una clinica dove –
sospettato di attività
rivoluzionarie a causa
dei suoi stretti rapporti
con Isaak von Sinclair –
gridavadinonessereun
giacobino[81]; la sua
stessa
sorella,
Christiane Louise (17731832),
dapprima
governante in casa del
barone Joseph von
Berlichingen,
fu
costretta nel 1814 ad
abbandonare il lavoro
per crisi di ipocondria,
nel 1815 passò qualche
settimana a casa del
fratello a Norimberga,
nel1820furinchiusanel
manicomio
di
Zwiefaltenemorìinfine
suicida gettandosi nel
fiume Nagold, nell’alta
Foresta Nera, pochi
mesi dopo la morte di
Wilhelm[82].
Di fronte al germe
dell’esperienza
personaleeallatragedia
reale che ha colpito
familiarieamiciintimi–
in relazione a un’epoca
di
violenti
sconvolgimenti e di
instabilità
–,
Hegel
considera
l’orientarsi
sulla congiunzione di
razionalità
ed
effettualità non come
adattamento
trasformistico al mondo
(equestoperiodostorico
non mancava certo di
«girella»emeriti),ma,da
tale prospettiva, come
un
modo
per
esorcizzare il baratro
della disperazione e
della follia. La filosofia
diventa così medicina
mentis delle coscienze
scisse nelle età di
transizione e di crisi, e
la ragione può ben dire:
«In
questo
segno
vincerai»[83].
4.Doloree
contraddizioni
La
ragione
non
costituisce in Hegel un
pinnacolo gotico, un
vertice del pensiero
astrattochesiinnalzae
domina sovranamente
la
realtà
effettuale
(Wirklichkeit),
espungendone
il
negativo, unificandone
le parti forzatamente e
senza
residui
e
cancellandone
gli
aspetti
empirici.
Malgrado
alcuni
clamorosi errori, egli
non ha l’improntitudine
di voler piegare i saperi
scientificiadattandolial
letto di Procuste della
sua filosofia. Queste
accuse, che avevano un
senso polemico quando
furono formulate da
Schelling, da Feuerbach
o dal giovane Marx, si
sono poi inflazionate e
banalizzate. Il pensiero
hegeliano
monolitico,
non
non
è
è
prevaricazione dell’idea
sulla realtà effettuale,
non
è
sintesi
conciliatoria
degli
opposti o «panlogismo».
Hegel
ha
una
straordinariafedeltàalle
contraddizioni,
al
dolore, al negativo, che
per lui (contro ogni
tentazione utopistica)
non
scompariranno
mai, sono ineliminabili
dalla vita. E, questo,
sebbene la filosofia,
comprendendo
e
oggettivando il dolore
attraverso il pensiero,
siaingradodimitigarlo:
«Unicamente
esprimendolo, il dolore
giunge alla coscienza,
ma ciò che è arrivato
alla coscienza, perciò
stesso è già cosa
passata»[84]. Ciò detto,
va aggiunto che nella
sua filosofia vi è,
contemporaneamente,
l’irrinunciabilità
al
programma
di
comprendere
e
dominare una tanto
complessa Wirklichkeit e
la
fiducia,
talvolta
eccessiva,
che
sia
possibile tradurre, se
forniti
di
adeguati
‘dizionari’ teorici, ogni
linguaggio
e
ogni
esperienza in forma di
pensieroeche,anzi,ciò
che non è traducibile in
questi termini non è
vero: «se la lingua
esprime
sempre
l’universale, io non
posso dire ciò che è
soltanto
un
sentimento.
mio
E
l’ineffabile,
il
sentimento,
la
sensazione è non già il
più eccellente e il più
vero,maciòchev’hadi
più insignificante e di
men vero»[85]. Certo, il
suo criterio di rilevanza
è
significativamente
diverso dal nostro, vi
predomina
una
concezione per noi
arcaica di quel che è
pubblicoecomunicabile
e di quel che invece è
privato
e
incomunicabile.
Il
«coraggio
del
conoscere», su cui si
fonda la sua impresa
speculativa, è in parte
garantitodallafiduciain
una ricomposizione su
scala mondiale del
senso degli eventi e
delleformedipensaree
sentire.Vièl’ideachelo
sviluppo – sebbene
tormentato – verso una
piùprofonda«coscienza
dellalibertà»èancorain
atto
e
procede
attraverso
contraddizioni (spesso
inconsce) che si sanano
per subito riaprirsi a un
livellosuperiore.
Infondo,ilsensodella
dialettica,
malgrado
quel che comunemente
sipensaesiscrive,non
coincideaffattoinHegel
con il culmine del suo
pensiero, che è invece
rappresentato
dalla
«speculazione».
La
dialettica, infatti, è solo
l’elemento negativo, il
sopprimersi delle rigide
determinazioni
dell’intelletto (Verstand)
nel loro passaggio alla
ragione (Vernunft). In
germe essa svolge una
funzione analoga a
quella corrosiva delle
certezze già praticata
dalloscetticismoantico.
Per suo tramite la
limitatezza
delle
determinazioni
intellettuali si scioglie e
si risolve in altro: «La
dialettica
forma,
dunque,
l’anima
motrice del progresso
scientifico; ed è il
principio solo per cui la
connessione
immanente
e
la
necessità entrano nel
contenutodellascienza:
in essa soprattutto è la
vera, e non estrinseca,
elevazionesulfinito»[86].
La forma più alta del
pensiero è invece «il
momento speculativo, o
il positivo razionale,
[che] concepisce l’unità
delle
determinazioni
nella loro opposizione;
ed è ciò che vi ha di
affermativo nella loro
soluzione e nel loro
trapasso»[87].
Nel
pensiero
speculativo,
che
può
apparire
assurdo
comune,
al
senso
la
contraddizione,
così
come è concepita dalla
ragione, non costituisce
«un’accidentalità, quasi
un’anomalia
e
un
transitorio parossismo
morboso», ma è «più
profonda
e
più
essenziale»dell’identità.
Essavigesianellarealtà
effettuale
che
nel
pensiero: «è uno dei
pregiudizi fondamentali
della vecchia logica e
dell’ordinamento della
rappresentazione,chela
contraddizione non sia
una
determinazione
altrettanto essenziale e
immanente
quanto
l’identità.
Invece,
quando
si
dovesse
parlare di un ordine di
precedenza
e
si
dovesser tener ferme le
due
determinazioni
come
separate,
bisognerebbe prendere
la contraddizione come
la più profonda e la più
essenziale. Poiché di
fronte ad essa l’identità
non
è
che
la
determinazione
del
sempliceimmediato,del
morto
essere;
la
contraddizione invece è
vitalità; qualcosa si
muove, ha un istinto è
un’attività,
solo
in
quanto ha in se stesso
una contraddizione»[88].
Per questo il pensare
speculativo «tien ferma
la contraddizione e
nella contraddizione se
stesso»[89] e, in tal
modo, togliendo le
unilateralità
separazione
e
la
delle
nozioni,
tipica
dell’intelletto,
nel
pensaresestessopensa
ilmondoeviceversa.La
rinnovata
attenzione
che
la
filosofia
americana
contemporanea
di
origine pragmatista e
analitica ha dedicato a
Hegel, dopo quasi un
secolodiripulsa,sibasa
anche
sulla
critica
hegeliana
all’immediatezza non
solo del «morto essere»,
ma
anche
della
«certezza sensibile» con
cui
si
apre
la
Fenomenologia
dello
spirito. A partire infatti
da queste analisi si
snoda la polemica di
Sellars contro il «mito
del
dato»
e,
in
particolare,
dei
«protocolli sensibili» del
neopositivismo logico,
seguito
in
questo,
almeno in parte, da
RortyedaBrandom[90].
Si
potrebbe
riassumere, in maniera
semplificata,
il
significato
della
dialettica descrivendola
come una metafisica
dello sviluppo, una
strategia che utilizza le
contraddizioni
in
funzione dello sviluppo
(o,
scarnificando
ulteriormente
la
definizione,
come
sviluppo
mediante
contraddizioni).
Noi
abbiamoinveceassistito
sempre più spesso –
come,tuttavia,inalcuni
casi
anche
Hegel
sapeva[91] – a fasi di
contraddizioni
senza
sviluppo,
in
pura
perdita, e di sviluppo
senza
(laceranti)
contraddizioni
propulsive
e,
parallelamente,
all’apparente fallimento
del grande progetto di
unificazioneprogressiva
del genere umano sotto
l’egida dello «spirito» e
di una sempre più
chiara «coscienza della
libertà». La negatività
corrosiva
della
dialettica,
lungi
dall’essere idealista o
materialista,sipresenta
come una forma di
esaltazione
di
una
civiltà,
quella
occidentale, capace di
inglobare l’alterità e di
soggiogare il mondo.
Come
è
detto
nell’Enciclopedia,
solo
l’uomo europeo, tra gli
appartenenti alle grandi
civiltàmondiali,èinfatti
riuscito, grazie a «un
lavoro duro e riluttante
contro se stesso»[92], a
trasformare l’individuo
inuncampodibattaglia
da cui esce ogni volta
vittorioso: «All’europeo
interessa il mondo; egli
vuole
conoscerlo,
appropriarsi dell’Altro
cheglistadifronte[…].
Così come nel campo
teoretico, anche in
quello pratico, lo spirito
europeo
tende
a
produrre l’unità tra sé e
il mondo esterno. Egli
sottomette il mondo
esternoaisuoiscopicon
un’energia che gli ha
assicurato il dominio
del
mondo»[93].
La
dialetticaèstataunodei
piùpotentistrumentidi
acclimatazione
dell’individuo e delle
società moderne al
mutamento incessante,
alla
necessità
di
risollevarsi, dopo ogni
sconfitta,
dalle
tradizioni infrante e
dallepigreroutines. Essa
continua a esercitare
negativamente la sua
influenza
critica,
mentre oggi più difficile
appare, invece, il ruolo
del pensare speculativo
nel suo impegno di
tenere
ferma
la
contraddizione e, nella
contraddizione,
se
stesso.
La dialettica riflette,
inoltre, l’immane sforzo
dicostruireericostruire
ininterrottamente una
individualitàingradodi
dominare se stessa pur
dis-integrandosi, di non
accettarsicomesiè,per
potersi ricostruire autosovvertendosi
(in
quanto ciascuno deve
sprofondarsi
nella
Wirklichkeit,confrontarsi
duramente con essa e
mediarsi con essa per
uscirne irrobustito e
vittorioso): «l’intensità e
la
profondità
della
soggettività si fanno
tanto maggiori quanto
più infinito e ampio è il
distaccarsi
reciproco
delle circostanze e
quanto più dilaceranti
sono le contraddizioni,
in cui però essa deve
rimaneresaldamentese
stessa»[94]. Per questo
Hegel non ama i
romantici, tanto da
definire una tisi dello
spirito l’atteggiamento
novalisiano: «Novalis,
uno degli animi più
nobilichesicollocarono
su questo terreno, fu
spinto all’assenza di
interessi determinati,
all’avversione per la
realtà, e fu preda per
così
dire
di
una
consunzione
(Schwindsucht)
dello
spirito. È questo uno
struggimento che non
vuole
abbassarsi
all’agire e al produrre
reali, perché teme di
sporcarsi nel contatto
con la finitezza, benché
abbia in sé anche
altrettantoilsentimento
dell’insufficienza
di
questa astrazione»[95].
Novalis, al pari degli
altri romantici che
Hegel
prende
in
considerazione
(soprattutto
Friedrich
Schlegel con la sua
«ironia») dissolvono la
consistenza e la serietà
dellaWirklichkeit[96].
Nonèvero,infine,che
la dialettica si riduca a
unamacro-narrazioneo
a un mito e che, nella
profezia di Foucault, sia
destinato a sparire
l’homo
dialecticus,
«l’essere della partenza,
del ritorno e del tempo,
l’animale che perde la
sua verità e la ritrova
illuminata, l’estraneo a
se stesso che ridiventa
familiare»[97]
(una
posizione,
quella
hegeliana, che tuttavia
Foucault in qualche
modo riprende negli
ultimi corsi al Collège de
France, quando sostiene
la necessità di una
«dissoluzionedell’io»da
praticarsi
attraverso
l’oblio di se stessi e del
perdersi per poi potersi
ritrovare)[98].
La
concezione hegeliana è,
però,
molto
più
complessa
dell’immagine che ne
offre Foucault: consiste
nel rifiuto – che va a
colpire ante litteram
l’impianto del filosofo
francese
–
della
convinzione utopistica
che
sia
possibile
l’incorporazione
completa,
non
dialettica, dell’alterità,
che sia cioè possibile
l’affermazione
senza
negazione,
l’eliminazione
dell’asservimento
del
particolare
all’universale,
sostituendo loro, alla
maniera di Deleuze e
Guattari, le categorie di
«differenza»,
«ripetizione»
o
«rizoma»[99].
Hegel
è
troppo
realistico per pensare a
un finale utopistico o,
comunque,
armonico
della storia e dei
conflitti.
Egli
trova
generalmente,
attraverso
«speculazione»,
la
una
provvisoria soluzione ai
problemi, anche grazie
alpoteredissolutoredei
vincoli del passato da
parte della dialettica e
all’analisi offerta dalla
filosofia
come
«il
proprio tempo appreso
nel pensiero». Sa, però,
che le contraddizioni
rinascono
dalle
soluzioni stesse di volta
in volta raggiunte. A
seconda delle epoche,
queste possono essere
corrosive e portare a
grandi
rivolgimenti,
comeaccaddepressogli
illuministi
francesi,
oppure
capaci
di
diagnosticareundeclino
di cui non si conosce lo
sbocco
(un
senso
dell’invecchiamento di
unadeterminatacultura
accompagnato,
in
compenso,
dalla
percezione dell’attività
di scavo da parte della
talpa della storia). La
distanza tra i due
pensatori
resta,
comunque,
ed
è
enorme. Nel Foucault
del
periodo
strutturalista il soggetto
è, infatti, plasmato da
giochi
di
potere
anonimi,
sostanzialmente
che
lo
determinano,
mentre
nel periodo dal 1978 al
1984lasoggettività–nel
costruirsi e darsi forma,
mediante la presa di
distanza da sé – finisce,
nell’ottica di Foucault,
perlasciaresullosfondo
la dimensione storicopolitica. In Hegel, al
contrario,
l’«essere
presso di sé» (bey sich
sein)
dello
spirito
consiste proprio, da
parte degli individui,
nella loro presa di
coscienzadello«spirito»
in
quanto
«lavoro
universale del genere
umano» che procede
non verso la libertà in
quanto tale, ma verso il
«progresso
nella
coscienza
della
libertà»[100].
5.Istintoesapere
Il futuro avanza per
Hegel nella notte di un
mondo reale che si
disgrega. Ma è solo dal
punto di vista della
talpa che noi, per
servirci delle parole di
Valéry, entrons dans
l’avenir à reculons. Gli
occhi della civetta sono
già assuefatti al buio e
vedono, seppur tra
bagliori temporaleschi e
nellasuasemplicitànon
dispiegata, la «ghianda»
del mondo nuovo che,
giàpresentenellarealtà
effettuale
e
nella
coscienza
dei
contemporanei,
si
prepara
a
divenire
quercia
primo
frondosa:
sorgere
«Il
è
inizialmente
una
immediatezza,è,inaltri
termini, il concetto di
quel nuovo mondo.
Quanto poco un edificio
è compiuto quando le
sue fondamenta son
gettate, tanto poco il
concetto
dell’intiero,
che è stato raggiunto, è
l’intiero stesso. Quando
noi desideriamo vedere
una
quercia
nella
robustezza del suo
tronco,nell’intrecciodei
suoi rami e nel rigoglio
delle sue fronde, non
siamo soddisfatti se al
suo posto ci venga
mostrata una ghianda;
similmente la scienza,
corona del mondo dello
spirito, non è compiuta
alsuoinizio.L’iniziodel
novello spirito è il
prodotto di un vasto
sovvertimento
di
molteplici forme di
civiltà, è il premio di
unaviamoltointricatae
di una non meno grave
fatica»[101].
Gli occhi della talpa
sono ciechi, ma il suo
procedere e scavare
sotterraneo, per quanto
lento e tortuoso, è
sicuro. La metafora
della
talpa
dall’Amleto
deriva
di
Shakespeare, dove è
riferita allo spettro del
padre, al suo desiderio
di vendetta che si fa
strada nell’animo del
giovane principe: «Ben
detto, vecchia talpa.
Come fai a lavorare
sottoterra così svelto?
sei un molto degno
minatore»[102]. Essa si
ritrova
poi,
con
significato
semplicemente
negativo,
anche
in
Herder, in Kant e in
Nietzsche: in Herder,
nel
contesto
della
polemica
illuministica,
antirivolta
contro «l’occhio di talpa
diquestoluminosissimo
secolo»; in Kant, riferita
agli inutili tentativi
empirici per scoprire
regole
di
comportamento morale,
mentre ci si dovrebbe
piuttostopreoccuparedi
«spianare
[…]
e
rassodare per quel
maestoso
edificio
morale, il terreno in cui
si trovano ogni sorta di
gallerie di talpa, fattevi
da una ragione che
scava inutilmente, ma
con buone intenzioni,
alla ricerca di non si sa
quali tesori; gallerie che
compromettono
la
sicurezza
dell’edificio»[103].
Nietzsche si serve,
invece,
di
questa
metafora relativamente
al metodo da lui usato
in Aurora, dove è
all’opera un
sotterraneo»,
«essere
che
«perfora, scava, scalza
di
sottoterra»,
paragonato al modo di
procedere
dei
«pensatori»»
e
dei
«lavoratori
della
scienza»[104]. Il ruolo
dell’immagine
della
talpa
di
Marx,
presentato nel Diciotto
Brumaio
di
Luigi
Bonaparte come simbolo
della rivoluzione, è
troppo noto perché ci si
debba soffermare, se
nonpernotarecheessa
si lega in lui, con la
stessafunzione,aquella
del folletto Puck del
Sogno di una notte di
mezza
estate
di
Shakespeare[105].
In
Hegel lo scavare della
talpa non solo non è
inutile per la ragione,
maèessenziale.È,anzi,
una sua dimensione
ineliminabile:
lo
sviluppo
storico,
i
meccanismi economici,
la
scienza
stessa
seguonoanchel’«istinto
della ragione», la sua
finalità inconsapevole.
Ogni mutamento si
realizza
in
genere
attraverso
l’uso
istintuale, non riflesso,
della
ragione
e,
soprattutto, grazie al
lavoro sotterraneo e
nascosto
della
contraddizione:
«qualcosa si muove, ha
un istinto e un’attività,
solo in quanto ha in se
stesso
una
contraddizione»[106].
Finchénonsiconoscono
le
modalità
di
realizzazione di tali
mutamenti, si rischia,
tuttavia, non solo di
subirli, ma di allungare
le «convulsioni» della
faseditransizione.
Civetta e talpa sono
immagini
complementari,
una
coppia
di
opposti
speculari
che
si
presuppongono
a
vicenda
nell’antagonismo
tra
acutezza visiva e cecità,
tra stare a guardare e
fare
istintivo.
L’intervento
della
filosofia,
della
coscienza, nel lavoro
dellatalpahailcompito
(al pari dell’intervento
dello Stato nella sfera
economica della società
civile) di mitigare le
pericolose convulsioni e
laduratadelperiodonel
quale, sulla via della
necessità incosciente, si
devono conciliare i
conflitti[107]. La civetta
acceleraquindiillavoro
della talpa o, per
parafrasare il detto di
Marx, abbrevia le doglie
del parto del nuovo
mondo: la ragione si
realizza
necessariamente, ma la
filosofia ne accelera il
cammino[108].
La
conoscenza aiuta perciò
a prendere possesso del
mondo: «Colui che non
sa, non è libero perché
di contro a lui sta un
mondo estraneo, un al
dilàedunaldifuorida
cui dipende, senza che
egli abbia fatto per sé
questo mondo estraneo
e senza quindi che egli
sia in esso presso di sé
come in ciò che è suo.
L’impulso al sapere, la
spinta alla conoscenza,
dai gradini più bassi
finoalgradinosupremo
della visione filosofica,
nasce solo dallo sforzo
di
superare
quel
rapportodinonlibertàe
di
appropriarsi
del
mondo
nella
rappresentazione e nel
pensiero»[109]. Per il
singolo e per l’epoca, la
filosofiaèlarispostapiù
organica al bisogno di
assimilare il mondo in
una fase storica di
estrema complessità e
mobilità, e di farlo, per
così dire, dal ponte di
comando
dell’autocoscienza. Per
conseguirequestoscopo
bisogna costringere a
rivelarsi–eassoggettare
– quelle «potenze» che
inconsapevolmente ci
dominano
e
che
estendono
la
loro
influenza non solo
nell’ambito
della
coscienza comune, ma
anche di quelle scienze
che, paghe dei risultati
ottenuti,
tematizzano
non
sufficientemente i loro
concetti fondamentali,
la loro metafisica: «Ciò
per cui la filosofia della
naturasidistinguedalla
fisica
è
più
precisamente
la
modalità
della
metafisica; si chiama
infatti
metafisica
nient’altrochel’insieme
delle determinazioni di
pensiero
(Denkbestimmungen)
generali,
la
rete
adamantina – se si
vuole – nella quale
portiamo
tutto
il
materiale e mediante la
quale
soltanto
lo
rendiamo
comprensibile.
Ogni
coscienza colta ha la
sua
metafisica,
il
pensare istintivo, la
potenza assoluta in noi,
della quale diventiamo
padroni se la facciamo
oggetto della nostra
conoscenza. La filosofia
in generale, in quanto
filosofia,
ha
altre
categorie rispetto alla
coscienzacomune;tutta
la cultura si riduce alla
differenza di categoria.
Tuttelerivoluzioninelle
scienze, non meno che
nella storia del mondo,
derivano soltanto dal
fatto che lo spirito per
comprendereeafferrare
meglio se stesso, per
possedersi,hamutatole
sue
categorie,
cogliendosiinmodopiù
verace,profondo,intimo
e
proprio»[110].
La
filosofia,
nemica
in
di
quanto
ogni
abitudine[111], strappa
continuamente
l’invisibile
rete
adamantina
che
sorregge
le
nostre
rappresentazioni e il
nostro
«pensare
istintivo», li rivoluziona,
ma
contemporaneamente
ne tesse un’altra, più
adatta e resistente, per
reggere
l’accresciuto
carico dei nostri nuovi
«interessi e oggetti
saputi». Questa novella
rete è però ancor più
invisibile della prima
alla maggioranza degli
uomini, immersa com’è
nel «materiale a più
strati» della coscienza
comune e della cultura
di
un’epoca[112].
È
comunque compito di
tutti – e non solo dei
filosofi–,di«ciascunoal
suo posto», quello di
riconoscereedifavorire
lagestazionedelnuovo,
che
scava
sotterraneamente nella
coscienza e nell’epoca:
«Al suo impulso – se la
talpacontinuaascavare
nell’interno
–
noi
dobbiamo
prestare
ascolto, e procacciargli
realtà. M’auguro che
questa
storia
della
filosofiavipossaservire
d’incitamento a cogliere
lospiritodell’epoca,che
èinnoinaturalmente,e
a trarlo dalla coscienza
della sua esistenza
naturale, vale a dire dal
suo essere morto e
chiuso, ciascuno al suo
posto, – alla luce del
giorno»[113]. Non si
tratta,
dunque,
di
tendere semplicemente
l’orecchio allo scavare
faticoso del nuovo, ma
di
contribuire
attivamente,
praticamente, al suo
sorgere. La civetta deve
completarel’operadella
talpa, la coscienza porsi
alla
testa
delle
trasformazioni
che
avvengono realmente
nel mondo, che essa,
singolarmente,
non
sempre provoca (come
accadde
nel
caso
dell’Illuminismo
francese), ma alle quali
contribuisce
sempre
inserendosi
nel
movimento
generale
della
civiltà.
Sotto
questo profilo, anche
per Hegel – come per
Marx e Engels – le idee
nuove che sorgono, e
alle quali si deve
porgere
ascolto
e
procacciare
realtà,
sorgono solo perché «è
in marcia» un «mondo
nuovo»,ossiaintermini
non più hegeliani: «Si
parla
di
idee che
rivoluzionano
un’intera
società;
con
queste
parole
si
esprime
semplicemente il fatto
che entro la vecchia
società si sono formati gli
elementi della nuova, e
cheladissoluzionedelle
vecchie idee procede di
pari passo con la
dissoluzione dei vecchi
rapporti
di
esistenza»[114].
Acquista
così
un
senso più pregnante la
delimitazione hegeliana
dello specifico campo
d’azione della filosofia:
«Illavoroteorico,mene
convinco ogni giorno di
più, produce nel mondo
più di quello pratico;
non appena il regno
dellarappresentazioneè
rivoluzionato, la realtà
effettuale non regge
più»[115]. Hegel non
respinge il rinvio alla
prassi,
alla
trasformazione
del
mondo in quanto tale:
ritiene anzi che il
«lavoro» migliore, la
prassi più alta del
filosofo – «al suo posto»
nella divisione sociale
dei ruoli – sia la teoria
che rivoluziona il regno
dellarappresentazionee
prepara
così
la
rivoluzione
nell’effettualità.
Modificata
«metafisica»
la
della
coscienza
comune,
viene
sottratto
il
riconoscimento
alla
realtà precedentemente
inquadrata, che perde
così di valore e finisce
per crollare, una volta
investitaerivoluzionata
daunapiùaltaformadi
razionalità. Del resto,
non è possibile per
Hegel operare un taglio
nettofrateoriaeprassi,
e solo nella loro
conflittuale
unità
dialettica – al pari
dell’endiadi
ragioneeffettualità – si trova la
soluzioneadeguata:«Ma
nonsideveimmaginare
chel’uomosiapensante
da un lato, volente
dall’altro,echeabbiain
una tasca il pensiero,
nell’altra
il
volere;
poiché ciò sarebbe una
vuota immaginazione.
La
differenza
tra
pensiero e volontà è
soltanto
quella
fra
comportamento
teoretico e pratico; ma
essi non sono due
poteri,bensìlavolontàè
un particolare modo di
essere del pensiero: il
pensiero in quanto si
traduce in esistenza, in
quanto impulso a darsi
esistenza[…]Ilteoretico
è
essenzialmente
contenuto nel pratico;
ciò
va
contro
la
concezione che essi
sono disgiunti; poiché
non si può aver volontà
senza intelligenza […]
L’animale
agisce
secondo
stimolato
l’istinto,
da
una
interioritàecosìèanche
pratico; ma non ha
volontà, perché non si
rappresenta ciò che
desidera. Ma tanto
meno si può, senza
volontà,
comportarsi
teoreticamente
o
pensare, poiché noi
siamo appunto attivi
pensando»[116].
La comprensione del
rapporto tra pensiero e
azione
si
riverbera
anche sulla spesso
fraintesa frase della
Prefazione alla Filosofia
del diritto del 1821: Was
vernünftig ist, das ist
wirklich;undwaswirklich
ist, das ist vernünftig,
normalmente tradotta
«Ciò che è razionale è
reale e ciò che è reale è
razionale». In essa non
si distingue però tra la
Realität,
la
realtà
empirica, le cose come
sono viste e vissute
superficialmente, e la
Wirklichkeit, la realtà
effettuale,
l’attualità,
ossia la consapevolezza
di ciò che wirkt, che
produce degli effetti,
che
non
è
un
fotogramma
isolato
dellarealtàempiricadel
momento,madiciòche
agisce nel tempo e, pur
trasformandosi (come,
ad esempio, la famiglia,
lo Stato, l’esercito),
mantiene
la
sua
funzione nella lunga
durata. Non si tiene,
inoltre, conto del fatto
chelaragione(Vernunft)
contiene
l’elemento
in
sé
della
negatività,
della
contraddizione e della
dissoluzione, che non è
statica giustapposizione
di situazioni o di
concetti
come
l’intelletto
(Verstand).
Quello
che
Hegel
intende dire non è che
bisogna
piegarsi
e
rassegnarsi
passivamente al mondo
così com’è, bensì che
occorre mettersi in
sintoniaconiprocessie
le potenze che agiscono
in noi e nel mondo,
producendo
effetti,
distruggendo
rinnovando,
e
almeno
finchéessinonperdono
leloroenergie.Delresto
la Wirklichkeit hegeliana
è l’erede legittima della
categoria aristotelica di
«atto»
o
energeia
(contrapposta alla pura
possibilità,
dynamis),
l’effettivo manifestarsi
dell’essenza di una
cosa: «la Wirklichkeit
costituisce il principio
della
filosofia
di
Aristotele, ma non la
comune
Wirklichkeit
dell’essere
presente
[Vorhandenen, a portata
di
mano,
a
disposizione],
bensì
l’idea come Wirklichkeit.
La
polemica
di
Aristotele
contro
Platone consiste quindi
più esattamente in ciò,
che l’idea platonica
viene designata come
mera e, per contro,
viene fatto valere che
l’idea, che viene da
entrambi ugualmente
riconosciuta
come
l’unico
Vero,
deve
essere
considerata
essenzialmente come
energia, ossia come
l’interno
che
è
senz’altro nell’esterno,
con ciò come l’unità
dell’interno
e
dell’esterno, vale a dire
come la Wirklichkeit nel
senso empatico di cui
qui si è discusso»[117].
Oltre a riferirsi a una
delle categorie kantiane
della
modalità,
il
concetto di Wirklichkeit
conservaforselatraccia
dell’espressione
machiavelliana «verità
effettuale della cosa»,
che
Hegel
aveva
incontrato negli ultimi
annidelsuosoggiornoa
Jena
leggendo
(in
francese,però)Ilprincipe
di
Machiavelli[118].
Questa
espressione,
opposta
drieto
a
«l’andar
all’immaginazione
di
essa», rappresenta una
lezione di realismo (e
non di cinismo, come
normalmente
la
si
interpreta),
designa
l’affidarsi a una analisi
spassionata e precisa
della realtà effettuale,
senza abbandonarsi alle
fantasticherie e alla
logicadeldesiderio.
Il
progetto
di
procacciare realtà alla
talpadellospiritoanche
attraverso il sapere, che
rivoluziona il regno
della rappresentazione,
non è soltanto una
forma di trionfalismo
idealistico. C’è forse da
chiedersi piuttosto se
l’idealismo stesso non
possa
essere
interpretato come la
presa
di
coscienza
estremizzata di una
situazione storica reale,
in cui, da un lato, le
astrazioni
hanno
ottenuto un dominio
effettivo
sul
piano
sociale, dall’altro, viene
intuita la possibilità di
programmare il mondo,
non più attraverso la
violenza e l’arbitrio del
positivo, del privilegio,
ma
attraverso
la
razionalitàdelsapere;in
cui cioè possa venir
limitato lo strapotere
dei meccanismi ciechi
nella vita sociale e
individuale.
Tale
possibilità non è una
conquista esclusiva del
pensiero,
ma
del
pensiero
passato
attraversoilvagliodella
realtà effettuale. È,
infatti, in seguito allo
sbloccarsi reale di una
situazione storica –
provocato
dalla
Rivoluzione francese –
che Hegel ritiene ora gli
uomini capaci di essere
mossi
dalla
«forza
vivificante delle idee» e
non più dalla paura o
dall’aureola di sacralità
delle leggi[119]. E si può
anche verosimilmente
supporre che l’attesa
kantiana di una piena
soddisfazione
della
ragione umana «prima
che finisca il secolo
presente»[120]
o
l’insistenza sul tema
della
immaginazione
trascendentale
produttiva e creatrice,
da Fichte ai romantici,
non sia senza rapporto
con questa situazione.
D’altronde,cheilsapere
non fosse
innocuo e
più un
solitario
passatempo dei dotti,
mapoteresullarealtà,è
una percezione che
l’epoca stessa impone a
pensatori e ambienti
estremamente diversi
fra
loro,
dai
saintsimonianieComte,
fino ai filosofi religiosi
della Restaurazione, per
i quali la potenza del
pensiero è demoniaca.
Lo stesso Napoleone,
nel
combattere
gli
idéologues, è, col suo
tono
militaresco,
conscio
di
questo
potere, e nota, in un
passo sottolineato da
Lenin: «Il cannone ha
ucciso il feudalesimo,
l’inchiostro ucciderà la
società moderna»[121]. E
anche Marx – malgrado
la nota undicesima Tesi
su Feuerbach, secondo
cui «I filosofi hanno
[finora]solointerpretato
diversamente il mondo;
ma
si
tratta
di
cambiarlo»–nonhamai
inteso
negare
la
funzione propulsiva e
pratica del pensiero
teoretico, tanto che,
scrivendo a Kugelmann
sull’effetto
che
si
attende dalle relazioni
messe in luce dal
Capitale, afferma: «Con
la
visione
della
relazione rovina, prima
del crollo pratico, ogni
fede
teorica
nella
necessità permanente
dello stato di cose
esistente. È dunque
assoluto interesse della
classe
perpetuare
dominante
la
confusionesprovvistadi
pensieri»[122].
Hegel
«società
sa che la
moderna» è
disgregataecheilegami
concreti sono assai
tenui. Perciò essa è
governabile da forze
mobili,
abitudinarie,
non
non
positive,
ma
che
traggono
la
loro
esistenza
da
una
trasformazione
continua del concreto:
pensiero e danaro,
entrambi
dominio
astratto
accumulato,
che nasce dal mondo e
rifluisce nuovamente in
esso, aumentando la
forza a ogni contatto.
Traquesteduepotenze,
malgrado le affinità,
non sempre corre buon
sangue:ognunatentadi
asservire l’altra e di
porsi al culmine di una
gerarchia.Intalmodo,il
sapere
appare
al
filosofo, in linea di
principio, una forma di
ricchezza
più
alta,
«sapere assoluto» che
sta più in alto della
ricchezza e dell’utile e
convoglia, in quanto
punto d’arrivo, tutta la
ricchezza
dell’esperienza
umana[123].
Vi è certamente in
Hegel la rivendicazione
di un nuovo ruolo e
prestigio sociale per la
filosofia,
attualmente
«tollerata […] comme les
bordels»[124], e per gli
intellettualiingenere;vi
è forse – non da un
punto
di
vista
autobiografico,
ma
comeatteggiamentoche
rivela un ceto sociale –
la volontà di uscire
dall’umiliante posizione
subalternasperimentata
come precettore nella
casa dei ricchi[125]. Jean
Starobinski,analizzando
unepisodiodellavitadi
Rousseau,hapresentato
un esempio illuminante
di
questa
latente
tensione fra sapere e
ricchezza, fra la figura
sociale
subordinata
dell’intellettuale e la
gerarchia
sociale
vigente, basata sulla
ricchezza e la nascita: a
Torino, dove il giovane
Rousseau serve come
valletto alla tavola di
una nobile e ricca
famiglia, sorge una
discussione
sul
significato del motto
latino di uno stemma
gentilizio; nessuno dei
commensali è in grado
di spiegarlo; solo il
laquais Rousseau sa
fornire la spiegazione
giusta, fra lo sguardo
ammirato della bella
figlia del padrone di
casa e quello carico
d’odiodeigiovinsignori,
colpiti
dall’insolente
sapere del servo[126]. È
questo,
peraltro,
l’argomentocentraledel
Nipote di Rameau di
Diderot,
tanto
apprezzato da Hegel e
trattato a lungo nella
Fenomenologia.
La
ricchezza considera il
sapere e lo spirito come
intrattenimento e nella
suatracotanza«crededi
averconquistatoconun
pezzo di pane un altrui
Io stesso e […] opina di
aver con ciò ottenuto
l’assoggettamento
dell’essenza più intima
di lui», ma «in questa
superbia la ricchezza
non tiene conto del
pieno rifiuto di tutte le
catene»[127]. Non tiene
conto cioè dell’ambiguo
sentimento
di
superiorità
che
si
sviluppa
nei
suoi
confrontidapartedichi
sa,dichièintimamente
convinto(comeilsaggio
stoico, come lo schiavo
Epitteto) di poter essere
comunque libero, «sul
trono e in catene».
Questo sentimento fa
apparire
casuale
e
arbitraria la gerarchia
sociale e la indica come
risultato di meccanismi
ciechi.Ildotto,nellasua
lotta
per
il
riconoscimento,
si
rapporta allora alla
gerarchia sociale da un
lato con il desiderio di
rivalsaediricercadiun
posto al sole, dall’altro
con lo stato d’animo
dell’escluso
e
del
buffone dei ricchi[128]. Il
filosofo, visto dai più
come un «fannullone»,
nonsiintegraperHegel
mai a pieno nella
società e nello Stato:
come funzionario dello
spirito
esercita
soprattutto un potere
umbratile.
Per
parafrasare Gramsci, si
può dire che i filosofi
entrano nella struttura
sociale
solo
come
«stecche del busto»[129],
che la sorreggono nelle
età di transizione e ne
favoriscono
il
mutamento. Per il fatto
che il loro lavoro si
svolge lontano dagli
sguardi degli uomini,
non lo si riconosce
facilmente.
6.L’avanzaredel
gigante
La metafora della
talpa è da inserirsi
ancheinunasituazione
storica precisa, quella
della Restaurazione. La
talpa
dello
spirito
continua a scavare e
non
c’è
legge
o
provvedimento
di
polizia che riesca a
fermarla.L’intentodella
Santa
Alleanza,
di
imporre
la
pace
perpetua ai rapporti fra
Statiefragruppisociali,
contrasta con la natura
dello spirito che è
movimento. Anche la
constatazione hegeliana
dell’inevitabilità della
guerra e della sua
funzionepositivacontro
il ristagno dei popoli ha
– fra tante motivazioni
diverse – anche questo
sottinteso, che non si
possono congelare i
conflitti per decreto[130].
La storia è progresso,
non ritorno a un mitico
ordine
naturale
pervertito
dalla
Rivoluzione
francese,
come pensavano Carl
Ludwig
Bonald
von
e
Haller,
Walter
Scott[131]. Lo spirito
«procede
incessantemente
innanzi,perchésoltanto
lo spirito è progredire.
Spesso sembra che si
dimentichi
o
si
smarrisca; ma, opposto
interiormente
a
se
stesso
continua
a
lavorare interiormente,
come dice Amleto dello
spirito di suo padre:
“Hai lavorato bene,
brava talpa!” –, finché,
rinfrancato, scuote ora
lacrostaterrestrechelo
separava dal suo sole,
dal suo concetto. Nei
periodi in cui la crosta,
edificio senz’anima e
tarlato, crolla, e lo
spirito assume l’aspetto
di
una
nuova
giovinezza, esso calza
gli stivali delle sette
leghe»[132]. Quest’ultima
asserzione,
già
incontrata,laritroviamo
in
una
lettera
a
Niethammerdel5luglio
1816,indirettapolemica
con la «reazione» e la
sua pretesa di bloccare
lo sviluppo dei tempi e
di cancellare i risultati
della Rivoluzione e del
regime
napoleonico:
«Gli avvenimenti del
mondo e le aspettative
che regnano ovunque,
anche nei circoli a noi
più vicini, m’inducono
per
lo
più
a
considerazioni generali
che
scartano
nel
pensiero il particolare e
il
dettaglio,
pur
nell’interesse che vi
porta il sentimento. Io
m’attengo a quest’idea
cheloSpiritodelmondo
ha dato al tempo
l’ordine di avanzare.
Tale comando è stato
eseguito;
questa
essenza s’avanza come
una compatta falange
corazzata,
irresistibilmente,
ovunque,
con
un
movimento
impercettibile
come
quello del Sole. Le
muovono
contro,
l’affiancano, da tutte le
parti,
truppe
innumerevoli
leggere,
la
maggior parte delle
quali non sa affatto di
che si tratti, e non fa
altro che ricevere colpi
sullatesta,comedauna
manoinvisibile.Tuttele
millanterie
temporeggiatrici o i
colpi di mano tanto
celebrati non servono a
niente contro di essa.
Tutto ciò può forse
arrivare ai legacci delle
scarpediquestogigante
e servire soltanto a
lucidargliele
o
a
imbrattargliele, ma non
puòcertoslacciarglielee
tantomeno togliergli i
divini calzari muniti di
elastichesuolealate[…]
oppure gli stivali delle
sette leghe, se calza
questi. La cosa più
sicura (dal punto di
vistainternoedesterno)
è di non perder di vista
l’avanzata del gigante;
in questo modo, si può
certo, per l’edificazione
di tutta la compagnia
zelante e affaccendata,
arrivare
a
opporgli
resistenza,spargendola
pecechedovrebbetener
fermo il gigante, e per
proprio diletto prestarsi
a questa impresa che
vienpresasulserio»[133].
Ma
nemmeno
la
«reazione di cui adesso
tanto sentiamo parlare»
riescenelsuointentodi
far piazza pulita degli
avversariedelrealecosì
come si è formato negli
anni della Rivoluzione e
diNapoleone,poiché«la
véritéenlarepoussant,on
l’embrasse,
è
un
profondo
detto
di
Jacobi»[134].
La
Restaurazione non può
quindiessereunritorno
puro
e
semplice
all’indietro, ma deve
venire a patti con ciò
che
combatte
e
accettareanch’essa,suo
malgrado, alcune delle
nuove esigenze poste
daitempi.
La
filosofia
deve
comunque
fare
da
battistrada al gigante
(metafora
della
rivoluzione), anche se il
singolo filosofo può
fingere di affaccendarsi
a spargere pece sul suo
cammino?
Hegel
teorizza
forse,
nei
confronti
della
Restaurazione,
una
‘strategia della talpa’, di
opposizione sotterranea
analoga alla «sublime
ipocrisia» del Julien
Sorel di Stendhal? I
Giovani
hegeliani
avevano già sostenuto
con vigore questa tesi,
ritornata d’attualità in
seguito
alla
pubblicazione da parte
dello Ilting delle lezioni
berlinesi di filosofia del
diritto, che mostrano
uno
Hegel
interessato
più
al
mutamento della realtà
chenonalrispettodelle
condizioni esistenti[135].
Senza entrare per ora
nel
merito
della
questione, da affrontare
a un diverso livello,
ricordo soltanto alcuni
dati per rendere più
mosso e articolato il
quadro di riferimento.
Non c’è dubbio che,
dopo i deliberati di
Karlsbad
(questo
«blocco
continentale
delle idee», secondo
Börne, o «il maggior
movimento retrogrado
che ha preso piede in
Europa dopo il 1789»,
secondo Gentz)[136], i
quali istituivano la
censura sulla stampa,
duratainPrussiafinoal
1832, e iniziavano la
«persecuzione
dei
demagoghi», tesa a
colpire
studenti
e
professori universitari,
Hegelmantennesempre
un
comportamento
guardingo
e
preoccupato. Egli – che
già a Heidelberg era
stato
simpatizzante
dell’ala moderata delle
Burschenschaften;
che,
nel trasferirsi a Berlino,
si era fatto seguire dal
suo assistente Carové,
uno
dei
maggiori
rappresentantidiessee,
per giunta, autore di un
pamphlet nel quale si
giustificava l’uccisione
di Kotzebue da parte di
Sand;
che
venne
sospettato dalla polizia
per aver preso parte a
una bevuta con gli
studenti, assieme a
Schleiermacher e De
Wette, durante la quale
si fece l’apologia del
gesto di Sand; che vide
perseguitati o arrestati
dei suoi studenti, quali
von Henning e Asverus;
che
venne
infine
denunciato
il
5
dicembre
1819
dal
giornalistaFriedrichvon
Cölln come legato alle
forze
contrarie
al
governo[137] – cercò
senza dubbio di tenere
unatteggiamentomolto
prudente, sebbene non
siano mancati i suoi
aiuti, anche finanziari,
ai
perseguitati.
La
prefazione alla Filosofia
del diritto, datata 25
giugno 1820, è lo
strumentoconcuiHegel
prende le distanze da
ogni
relazione
compromettente e con
cui presenta la sua
opera,
probabilmente
rielaboratainvistadella
censura. Scrive infatti a
Creuzer il 30 ottobre
1819:«Iovolevoappunto
cominciare
a
far
stampare, – quando
giunsero i deliberati
della dieta federale.
Giacché ora sappiamo a
chepuntosiamoarrivati
con la nostra libertà di
censura, darò [i fogli]
alle stampe solo più
tardi»[138].Perpiùdiotto
mesi,
probabilmente,
dall’ottobre 1819 al
giugno 1820, Hegel
ritocca
forse
un
manoscritto
della
PhilosophiedesRechts,già
pronto per la stampa
prima
di
Karlsbad,
cifrandoloeadattandolo
alla situazione politica.
Questo aspetto non
sfuggìaicontemporanei
che dettero dell’opera
un giudizio politico,
unanimemente
assai
duro,conroventiaccuse
di servilismo a Hegel.
Non è qui il caso di
soffermarcisugliaspetti
psicologici
dell’uomo
Hegel(«Leisache,daun
lato, io sono un uomo
ansioso, dall’altro amo
la tranquillità, e non mi
faaffattopiacerevedere
ogni anno avvicinarsi
un temporale, anche se
posso essere convinto
che, al massimo, di
questa pioggia punitiva
micolpirannounpaiodi
gocce»)[139], né sulle
boutades di Heine[140].
C’è però da osservare
che questa prudenza
politica – non rara nella
storia della filosofia,
dove accanto ai Socrate
o ai Bruno, ci sono
anche i Galilei e i
Cartesio – non deve
impedire
una
valutazione teorica più
vasta e testuale degli
scritti hegeliani. In altre
parole,ancheseHegelsi
è
adattato
alle
condizioni politiche di
un periodo in cui
persino von Stein e
Gneisenau erano spiati
dalla polizia, se ha
condiviso lo sconforto
momentaneo di molti
riformisti
prussiani,
come il suo patrono
politico Altenstein[141],
ciò non significa che a
Berlino il suo pensiero
abbia
subìto
una
trasformazione
irreversibile in senso
conservatore.
L’immagine di uno
Hegel
durante
reazionario
la
Restaurazione si fonda
soprattutto su questa
prefazione del giugno
1820 alla Filosofia del
diritto. Ma, in primo
luogo,bisognatrovarela
chiave per decifrarla; in
secondo luogo, bisogna
rendersi conto che essa
è solo un episodio,
certamente importante
malimitato,dainserirsi
nel contesto, non solo
delle Vorlesungen über
Rechtsphilosophie
dal
1818 al 1831, bensì di
tuttelelezioniberlinesi.
Da questo confronto
risulta evidente quanto
sia inadeguata ogni
accusa di quietismo
politico alla filosofia di
Hegel. Egli, inoltre,
malgrado tutte le sue
cautele, non ha mai
nascosto
a
Berlino
l’ammirazione per la
Rivoluzione francese, di
cuierasolitofesteggiare
l’anniversario ogni 14
luglioedicuicercavale
tracce a Parigi, in
compagnia di Cousin e
dei
giovani
storici
MigneteThiers[142].Non
bisogna
comunque
trarre, per ora, alcuna
conclusione affrettata,
che
riporterebbe
inevitabilmente
il
problema sul vecchio
piano
stantìo
dell’alternativa fra uno
Hegel assolutista e
partigiano
della
Restaurazione e uno
Hegel
timoroso
in
pubblico,
ma
rivoluzionario
privato.
E
in
questo,
soprattutto, perché non
si può intendere la
Restaurazione come un
blocco compatto e, poi,
perché mancano ancora
diversi
presupposti
teorici per comprendere
la
situazione.
Sul
momento,
l’interrogativo da porre
è il seguente: In quali
forme è possibile far
procedereecomesipuò
procacciare
realtà
effettuale
a
quella
rivoluzione che non si
può interrompere? Su
un
punto
almeno
restano pochi dubbi, e
cioè che Hegel non ha
mai rinnegato questo
suo credo giovanile:
«Viviamo in un’epoca
importante,
in
un
fermento in cui lo
spiritohafattounbalzo,
è uscito fuori dalla sua
figura precedente e ne
acquista una nuova.
L’intera massa delle
rappresentazioni,
dei
concetti che abbiamo
avuto fino ad ora, le
catene del mondo, si
sono
dissolte
e
sprofondano
come
un’immagine di sogno.
Si prepara una nuova
sortita dello spirito. La
filosofia
deve
soprattutto salutare il
suo
apparire
e
riconoscerla,
mentre
altri,
contrastandola
impotentemente,
restano attaccati al
passato
e
i
più
costituiscono
inconsciamente
massa
del
la
suo
apparire»[143].Nonrivela
dunque
fondamenta
solide il luogo comune
secondocuiaunoHegel
pieno
di
ardori
rivoluzionari seguirebbe
un uomo stanco e
rassegnato.
Egli sa che in epoche
di rapidi mutamenti il
passato lascia solo
tracce sbiadite, mentre
il futuro si manifesta
come
inconsapevole
aspirazione al nuovo,
«sentimento d’ignoto»
che agita le coscienze.
Analogamente
allo
Hölderlin
del
frammentoIldivenirenel
trapassare (Das Werden
im Vergehen), Hegel sa
che, se si restasse
impigliati nella miriade
di vincoli che – tramite
la memoria – ci legano
tenacementeaciòcheè
stato, il «nuovo», «il
giovane, il possibile»
non
subentrerebbero
mai a esso[144]. Sa
anche, tuttavia, che,
sebbenemoltinonsene
siano ancora accorti, i
vincoli con il passato si
sono allentati fino a
spezzarsi. Per avanzare
verso il nuovo, il
giovane, il possibile,
occorrequindidiventare
consapevolidellanatura
dei
condizionamenti
aboliti,delle«catenedel
mondo»
che
si
dissolvonoeguardarein
faccia
l’«assoluta
devastazione»,
ripercorrereletappedel
lungo
attraversato,
cammino
soffermandosi
in
ciascunadiesse.Questo
è
necessario
per
diventare
contemporanei di se
stessi,
per
poter
contemplare la figura
del nuovo mondo che
sorge non sub specie
aeternitatis, ma nella
prospettiva del «sapere
assoluto»,
ab-solutus,
sciolto
da
ogni
condizionamento,
liberatosi dal passato
che ancora imprigiona
la maggior parte degli
uomini
nelle
rappresentazioni,
nei
concetti
e
negli
atteggiamenti
etici
(intimamente indeboliti
eoscurati,maancorain
grado di esercitare una
residua
spinta
inerziale).
Perfortuna–comenel
Condorcet dell’Abbozzo
di un quadro storico dei
progressi dello spirito
umano – la strada delle
«epoche dello spirito»
già
percorse
è
«spianata»
e
resa
semplice, tanto che le
acquisizionidelpassato,
costateenormefaticaai
più
grandi
ingegni
dell’umanità, sono oggi
accessibili anche ai più
giovani[145].
Nella
«scienza che sorge»,
rappresentata
dalla
fenomenologia
dello
spirito, le acquisizioni
precedenti si colgono
quindi
in
forma
semplificata e astratta
come elementi che
servono a ricostruire la
genesi dell’attualità e a
rendere possibile la
transizione dal vecchio
al
nuovo
mondo:
«L’individuo
percorre
questo suo passato, la
cui sostanza è quello
spiritochestapiùinsu,
propriocomecoluicheè
sul
punto
di
avventurarsi in una
scienza
superiore
percorre le cognizioni
preparatorie, già in lui
da
lungo
tempo
implicite, per rendersi
presente
il
loro
contenuto; e le rievoca
senzachequiviindugiil
suo interesse. Il singolo
deveripercorrereigradi
di formazione dello
spirito
universale,
anche
secondo
il
contenuto, ma come
figure dello spirito già
deposte, come gradi di
una via già percorsa e
spianata.
Similmente
noi, osservando come
nel campo conoscitivo
ciòcheinprecedentietà
teneva all’erta lo spirito
degli adulti è ora
abbassato a cognizioni,
esercitazioniefingiochi
da
ragazzi,
riconosceremo
nel
progresso pedagogico,
quasi in proiezione, la
storiadellaciviltà»[146].
7.Metafore
notturnee
oscuramentodel
mondo
Il già ricordato luogo
comune di un giovane
Hegel pieno di ardori
rivoluzionari e di uno
Hegel anziano stanco e
rassegnato è rafforzato
da un gruppo di
metafore e di analogie,
nelle quali il pensiero
appare come sinonimo
di
vecchiaia
e
l’interiorità dell’uomo,
zona di condensazione
del pensiero, come
notteopozzonotturno.
In effetti, l’età della
vecchiaia è l’età del
pensiero[147],
il
cui
gelido soffio fa sfiorire
la vita: «Quanto più il
pensiero è contenuto
nella rappresentazione,
tanto più scompare
dalle cose la naturalità,
singolarità
e
immediatezza:
mediante il pensiero
irrompente impoverisce
laricchezzadellanatura
infinitamente
multiforme,
le
sue
primavere
si
estinguono,isuoigiochi
dicoloreimpallidiscono.
Quella vita che scroscia
nella
natura,
ammutolisce
nella
calma del pensiero; la
sua calda pienezza che
si configura in mille
attraenti
meraviglie
avvizzisce nelle forme
aride e nelle informi
universalità,
che
assomigliano ad una
fosca
nebbia
nordica»[148]. E in un
brano più noto, che
pone
l’accento
sull’invecchiamento
della realtà, ma che
sembra
coinvolgere
anche l’invecchiamento
del pensiero, ossia la
sua stanchezza, si dice:
«prima l’ideale appare
di contro al reale, nella
maturità della realtà, e
poi esso costruisce
questo
mondo
medesimo, colto nella
sostanza di esso, in
forma
di
regno
intellettuale. Quando la
filosofia
dipinge
a
chiaroscuro, allora un
aspetto della vita è
invecchiato,
e,
dal
chiaroscuro,essononsi
lascia ringiovanire, ma
soltanto
riconoscere»[149].
Il
pensiero tuttavia non è
debolezza e distacco
senile,
come
nella
vecchiaia naturale, in
cui la persona anziana
«vive senza interesse
determinato, poiché ha
abbandonato
la
speranza
di
poter
realizzare gli ideali
nutriti in precedenza, e
ilfuturoingeneralenon
sembra
promettergli
niente di nuovo, onde il
senno del vecchio è
rivolto solo a questo
universale e al passato,
al quale egli è debitore
della conoscenza di
questo universale»[150].
Infatti, «la vecchiaia
dello spirito è la sua
perfettamaturità,incui
essoritornaall’unitàma
come spirito»[151]. Nella
rappresentazione dello
spiritocomeunvecchio,
Hegel si ricollega a una
diffusa
immagine
popolare, che ha una
vasta risonanza anche
nel folklore e nella
fiaba[152]. L’idea della
Verjüngung,
del
ringiovanimento dello
spirito
dell’umanità
dopo ogni periodo di
crisi, era d’altronde
familiare
ai
contemporaneidiHegel,
e aveva la sua origine
più
immediata
nel
filosofo
ginevrino
Charles Bonnet, dal
qualepassòaHerderea
Hölderlin, tanto che
questi progettò una
rivista
chiamata
«Iduna», dal nome della
dea
germanica
dell’eterna
giovinezza[153]. In Hegel,
lo spirito è, sì, un
vecchio, ma come il
«nuovo serpente della
saggezza»
che
si
dispoglia di volta in
volta della sua «flaccida
pelle»[154].
E,
diversamente dal mito
orientale della fenice,
che riguarda il corpo,
nell’idea «occidentale»,
lo spirito non appare
solo ringiovanito, ma
«innalzato,
trasfigurato». Con le
crociate e la visione del
vuoto
del
Santo
Sepolcro, il mondo
europeo ha per Hegel
rinunciato alla tomba e
al potere assoluto della
morte, ma non a quello
della resurrezione, del
rinascere spirituale a
nuovavita.
Il
significato
del
discorso hegeliano è
soltanto questo: la
filosofia non può dire
come
deve
essere
astrattamenteilmondo,
perché esso è già; nel
dipingerlo Grau in Grau,
grigio su grigio, ossia
vecchio su vecchio, la
filosofia
non
ringiovanisce
quell’«aspetto della vita
che è invecchiato», anzi
lo invecchia ancora di
più, vi stende un’altra
patina di grigio, vi fa
spirare il soffio gelido
del
pensiero;
nel
compiere
questa
operazione,
nel
mostrare cioè quel che
vi è di invecchiato nella
realtà, il pensiero ne
accelera la fine e
prepara l’avvento del
nuovo, già presente
come «ghianda» e come
Wirklichkeit, realtà che
agisce, è attuale in
quanto energeia, non in
quanto dynamis, ha
quindi effetto (wirkt),
ossia non è invecchiata.
Vi è tuttavia un limite
nell’efficacia
del
pensiero filosofico, che
contribuisceaproiettare
su di esso le ombre del
crepuscolo, ed è la
consapevolezza di una
sua relativa impotenza
o non ancora dispiegata
potenza: la «pianticella
della filosofia» può per
ora attecchire soltanto
«in pochi individui,
finché i governi e il
resto del pubblico si
sollevino dalle loro
necessità e costrizioni
esterne, volgendo gli
occhi
a
maggiori
altezze»[155]. A causa di
questo isolamento, la
presa
del
pensiero
cosciente sulla realtà
non è rapida, perché la
maggior parte degli
uomini ne è esclusa. La
figuradelfilosofo,cheè
segnata e prodotta da
questo limite, acquista
così il suo
notturno
e
aspetto
semi-
clandestino agli occhi
del
popolo,
che,
appunto, lo considera
un «fannullone». Hegel
ha sentito nel suo
tempo non solo la forte
presenza del pensiero
oggettivo
incorporato
nellarealtà,maanchela
carenza e le difficoltà
del pensiero soggettivo
nel metterla a fuoco,
sicché, nelle sue opere,
la
bilancia
della
razionalità
sembra
spesso pendere più
dalla parte del mondo
che non dalla parte
dell’individuo.
La filosofia è sempre
stata per sua natura in
contraddizione con la
coscienza
comune
(poiché, nel porsi al di
sopra
di
un’epoca
secondo
la
forma,
precorre quanti sono
semplicemente
permeatidaicontenutie
dalle forme parziali
dell’epoca), ma negli
ultimi tempi il divario è
ulteriormente
aumentato: «Fino alla
filosofia kantiana lo
svolgersi della filosofia
era stato seguito dal
pubblico
[…]
La
coltivavano
quindi
anchegliuominid’affari
e i politici […] Già con
Kant ha avuto inizio
quel distacco dalla
coscienza comune […]
quindi da Fichte in poi
la speculazione divenne
occupazione
di
pochi»[156].
Cosa
è
accaduto? Cosa si cela
dietro questo iato? Esso
pare sottintendere –
oltre all’affanno di
tenere il passo col
cumulo crescente delle
conoscenze – anche
l’esistenza
di
una
frattura storica e di un
oscuramento
del
mondo. Simbolo di
questa crisi, che si
manifesta da un lato
come disgregazione e
«sbocconcellarsi»
del
reale, dall’altro come
perditaditrasparenzadi
esso, è la filosofia
kantiana, nella quale
l’effettualità è scissa in
una molteplicità di
fenomeni e in uno
sconosciuto
fondamento di essi, la
cosainsé.Leaporieele
contraddizioni interne
della filosofia di Kant
non poggiano dunque
per Hegel su una
insufficienza logica, ma
sono
lo
specchio
formale
di
una
situazione storica in cui
il mondo è realmente
scisso, in cui il suo
vecchio fondamento è
tramontato
ed
ha
lasciato
le
manifestazioni
della
realtà senza un nuovo
legame
unitario,
o
meglio, questo legame
in parte si riduce a
soggettiva
«appercezione
trascendentale»,
in
parte è intravisto – ma
rifiutato per la sua
immaturità – come
illusionetrascendentale.
Anche durante la crisi
del mondo antico si
ebbe l’opacizzarsi del
mondo e «fu strappata
agli
uomini
la
padronanza delle loro
idee sugli oggetti»,
costringendoli
ad
affidarsi
a
un
«Invisibile»,
al
Dio
cristiano
o
ai
‘teurghi’[157]. In queste
epoche dell’apparenza
si è soliti predicare la
rinuncia al mondo,
dichiararne
l’inconoscibilità,
o
perdersineimeandridei
fenomeni.
Oppure
appigliarsi
all’immediatezza come
a
un
talismano,
proclamare
–
alla
stregua di Jacobi e di
alcune correnti del
pensieroromantico[158]–
la
supremazia
del
sapere
immediato,
anche se tale posizione
esprime più l’esigenza
di
un
nuovo
fondamento del mondo
che non la conoscenza
di esso. È soprattutto in
queste fasi storiche che
la coscienza comune è
disorientata
e
che
aumenta lo scarto fra il
pensiero filosofico e
quello
della
maggioranza
degli
uomini. È però anche
vero, per contro, che
proprio in tali momenti
i
sistemi
filosofici,
quando
vengono
compresi, risanano la
fratturaefannofortuna:
«Quando di un sistema
si può dire che ha fatto
fortuna, è che si è
rivolto ad esso, con
orientamento istintivo,
un
bisogno
più
universale
della
filosofia, bisogno che
non riesce per se stesso
a tradursi in filosofia
(poiché altrimenti si
sarebbeappagatoconla
creazione
di
un
sistema). E l’apparenza
di un accoglimento
passivo dipende dal
fatto che nell’intimo è
presente ciò che il
sistemaesprime,ciòche
ciascunofaormaivalere
nella sua sfera di
scienzaodivita»[159].La
Fenomenologiadellospirito
è stata per Hegel lo
strumento di saldatura
fra i fenomeni e il loro
fondamento
nel
«mondo nuovo» e fra
filosofia e coscienza
comune.
Tale
congiungimento non è
mai completo e Hegel
riprenderà lo stesso
compito diverse volte e
indiverseforme[160].
8.La
rappresentazione
delmondonuovo
L’io dell’uomo, il
«punto»[161] nel quale si
condensa il mondo
comeinun«fuoco»oin
un «crogiuolo»[162], il
luogo in cui esso viene
registrato e trascritto
nella
forma
del
pensiero, è in sé una
notte o un pozzo
notturno: «L’uomo è
questa notte, questo
vuoto
nulla,
che
contiene tutto nella sua
semplicità,
una
ricchezza
di
innumerevoli
rappresentazioni,
di
immagini,nessunadelle
quali propriamente lo
colpisce o che non gli
sono presenti. Questa è
la notte, l’intimo della
natura, che qui esiste –
puro
Sé.
Nelle
rappresentazioni
fantasmagoriche tutto
intorno è notte. Da una
parte schizza fuori
improvvisamente una
testa
insanguinata,
dall’altra una bianca
figura e altrettanto
improvvisamente
scompaiono. Si
vede
questa notte quando si
guarda nella pupilla di
un uomo – in una notte
che
diventa
terrificante»[163].
E
ancora:
«Concepire
questa
intelligenza
come questo pozzo
notturno[164], in cui è
conservatounmondodi
molte
immagini
e
rappresentazioni, senza
che esse sieno nella
coscienza, è, da una
parte,
l’esigenza
generica di concepire il
concetto in quanto
concreto,
come
ad
esempio il pensare il
germe in modo che
contenga
affermativamente,
in
una possibilità virtuale,
tutte le determinazioni,
le
quali
nello
svolgimento dell’albero
vengono
poi
ad
esistenza […]»[165]. In
questa «notte della
conservazione», in cui
l’immagine è celata
come inconscia nel suo
«scrigno», l’uomo è
possedutodaterrificanti
potenze inconsce che
possono
essere
soggiogate solo dal
risveglio offerto dal
linguaggio[166] e, al
livello più alto, dalla
filosofia che, dal punto
di vista del singolo, è
l’uscita dalla notte,
coscienza vigile per
eccellenza: «La filosofia
non è sonnambulismo,
ma piuttosto la più
vigile
coscienza;
e
l’opera di quegli eroi
[ossia
dei
filosofi]
consiste
appunto
nell’aver
tratto
il
razionale in sé dalle
profondità dello spirito,
dov’esso
si
trova
dapprimasoltantocome
sostanza, come essenza
interiore, e nell’averlo
recato
alla
luce,
nell’averlosollevatoalla
coscienza, al sapere;
consiste,insommainun
progressivo
risveglio»[167]. E a Jena
Hegel ammoniva: «Non
essere un dormiglione,
ma sii sempre sveglio!
Perché se sei un
dormiglione, sei cieco e
muto. Ma se sei sveglio,
vedi ogni cosa e dici a
ognicosaciòcheessaè.
Ma questo è davvero la
ragione ed il dominio
del mondo»[168]. Come
essere
pensante
e
sveglio
l’uomo
è
portatore
di
luce,
Phosphor[169],
misura
in
e nella
cui
è
coscienza vigile domina
lasuaepoca.Maciònon
esclude, secondo la
testimonianza di Heine,
che per Hegel un’epoca
storica non si rifletta
anchenelsogno:«Ilmio
grande maestro, la
buon’animadiHegel,mi
disse una volta: “Se
fossero stati trascritti i
sogni che gli uomini
hanno sognato durante
undeterminatoperiodo,
dalla lettura di tutti
questi
sogni
ne
scaturirebbe
un’immagine
perfettamente
esatta
dello spirito di quel
periodo”»[170].
Ma la filosofia, come
risveglio, non è la
semplice
immagine
sfocata di un’epoca,
quale si manifesta nel
sogno o nella coscienza
comune,incuimancala
distinzione
l’essenziale
fra
e
l’inessenziale e tutto si
riduceafenomeno.Essa
è – per così dire – la
radiografia di un’epoca,
in quanto legge l’epoca
in negativo, ossia, non
solo (con una allegoria
della transitorietà e
della
morte)
ne
individua lo scheletro e
la
corruzione,
ma
guarda anche nei suoi
vuoti più che nei suoi
pieni, in ciò che non
compareechepurbrilla
per la sua assenza.
Nell’interpretare
la
Repubblica di Platone,
Hegel ha fornito un
paradigma di questo
genere
di
lettura.
Platone
infatti,
nell’accentuare
l’organizzazione
gerarchica della sua
Polis e nel cancellare
(con l’abolizione della
proprietà
e
della
famiglia) ogni interesse
privato, non ha fatto
che
combattere
il
principio disgregatore
della soggettività, che si
era già mostrato ai suoi
tempi un pericolo per
l’eticità
immediata,
l’obbedienza irriflessa
alle leggi della Città:
«egli aveva riconosciuto
benissimo
che
la
corruzione della vita
greca derivava dal fatto
che gli individui come
individui cominciavano
a far valere i propri
scopi,
le
loro
inclinazioni,
i
loro
interessi, subordinando
ad essi lo spirito
comune»[171]. Ma di
tuttoquestononhamai
parlato
direttamente,
sebbene la sua filosofia
politica
sia
una
formazione reattiva a
tale situazione. Egli ha,
dunque, inteso «il vero
spiritodelsuomondo,e
lohaespostocolpreciso
intento
di
rendere
impossibile nella sua
repubblica il principio
nuovo»[172].
Ma
il
«mondo
nuovo»,
distruttore del vecchio,
può appunto vedersi
anche in controluce, e
ogni grande filosofia,
ancheselocombatte,lo
contieneelorivela.
Le stesse utopie non
sono per Hegel prive di
significato storico, pure
elucubrazioni
avulse
dalla realtà. Anch’esse
sono sintomo di un
travaglio reale, che
riceve però la sua
soluzione in forma
consolatoria oltre la
crocedelpresente,nella
ricerca
di
una
perfezione
tanto
maggiore quanto più è
avanzata la corruzione
delpresente.Ilcarattere
ideale di queste utopie
non consiste nel fatto
che esse sono troppo
eccellenti
per
gli
uomini,manelfattoche
lo sono troppo poco, in
quanto riproducono per
mera inversione una
cattiva realtà giudicata
immodificabile.
E
sebbene
esistano
piccole comunità che
riescono a isolarsi dal
lorotempoeapraticare
un ideale di perfezione,
ciò è possibile solo
perché esse godono di
quel
presente
che
dicono di rifiutare e ne
sfruttano gli interstizi
come parassiti. Questo
tipo di ideale «lo
troviamo,
è
vero,
realizzato nei monaci e
nei Quaccheri o in altre
pie persone della stessa
risma, ma un mucchio
di queste melanconiche
creature
non
può
formare un popolo, allo
stesso modo che i
pidocchi o le piante
parassite non possono
esistere per se, ma solo
su
un
organico»[173].
corpo
Hegel in generale non
è
contrario
al
mutamento come tale e
alla sua prefigurazione.
L’uomoanzi–rispettoal
cambiamento
ciclico
della natura, che non
innova–sidistingueper
la
sua
«effettiva
capacitàdimutamento»
(wirkliche
Veränderungsfähigkeit),
per il suo «impulso di
perfettibilità», analogo
alla
rousseauiana
«faculté
de
se
perfectionner»[174].
Ma
questa tendenza, oltre
che dagli Stati, è
contrastata
dalle
religioni, in particolare
quella
cattolica,
timorose della loro
stabilità. La religione, in
quanto
rappresentazione (e le
rappresentazioni
sono
altro
non
che
«metaforedeipensierie
concetti»)[175] e non
pensiero del mondo,
contiene sempre in sé
una scissione e di
conseguenza un lato
utopico che si oppone
alla
realtà
terrena.
Anch’essa come la
filosofia,mainpiùnetta
opposizione
e
inconciliabilità
col
mondo del presente, di
fronte al tramonto del
sole reale cerca la luce
diunsolediverso,ilcui
splendorevieneevocato
nei luoghi di culto,
attraverso le vetrate
delle chiese gotiche:
«Questevetrateinparte
raffigurano storie sacre,
in parte sono solo
colorate, per diffondere
una luce crepuscolare e
per far rilucere lo
splendoredeiceri.Adar
luce è qui infatti un
giornodiversodaquello
della
natura
esterna»[176]. La croce di
Cristo
non
si
sovrappone alla croce
delpresente,perquanto
il concetto hegeliano di
religione abbia perso o
decisamente attenuato
l’aspetto
della
trascendenza,
insistendo
sulla
necessità
di
un
adeguamento e di una
conciliazione
col
mondo,
conciliazione
che è stata raggiunta,
ma solo sul piano
empirico,
dal
protestantesimo[177].
Con qualche forzatura,
Lukács osserva come
non vi sia in Hegel
alcuna polemica contro
i
contenuti
della
religione,chehannoper
lui effettualità storica e
sono perciò tappe sulla
via dello spirito a se
stesso,
e
definisce
napoleonico
l’atteggiamento
hegeliano nei riguardi
della religione, come
«riconoscimento della
sua esistenza storica e
della sua forza, con
larga
indifferenza
riguardo alla sua più
intima
essenza»[178].
Taleposizioneèinparte
confermata anche da
Cousin: «In religione i
nostri sentimenti non
erano molto diversi.
Eravamo
entrambi
convintichelareligione
è
assolutamente
indispensabile, e che
non
bisogna
abbandonarsi
alla
funesta chimera di
sostituirla
con
la
filosofia. Fin d’allora io
ero deciso partigiano di
un concordato sincero
fraleduepotenze,l’una
che rappresenta le
aspirazioni legittime di
un piccolo numero di
spiriti d’élite, l’altra i
bisogni
permanenti
dell’umanità. Monsieur
Hegel
era
completamente del mio
parere»[179].
Questa
impostazione
concordataria
dei
rapporti fra filosofia e
religione
non
può
stupire in un uomo che
frequentava il ministro
riformista
prussiano
Altenstein, di cui era
protetto e, nello stesso
tempo, maestro, e nella
cui
casa
veniva
«audacemente discusso
il problema se il
cristianesimo dovesse
durare ancora venti o
cinquant’anni»[180]. Non
è tuttavia esatto che
Hegel fosse indifferente
ai
contenuti
della
religione. Egli pensava
piuttosto
che
essi
avrebbero
dovuto
cambiare gradualmente
segno, che la religione
cristiana, cioè, dopo
aver annunciato la
conciliazione fra dio e
uomo come discesa del
divino
nell’umano,
incarnazione,
Menschenwerdung,
dovesse
ora
accompagnare l’ascesa
dell’uomo al divino,
divino già contenuto
implicitamente
e
rivelato nella realtà
terrena della storia del
mondo. In questo senso
l’uomo è già «Dio
immediato, presente»
(unmittelbarer, präsenter
Gott)[181].
Ma
tale
conciliazione, finora, a
causa della «durezza
della
realtà»
non
procede
oltre
un
armistizio festivo, una
presenza discontinua e
solenne
della
conciliazione che lascia
scoperti gli altri giorni
della settimana. In
questa «domenica della
vita», che è per gli
uomini la religione,
«scompaiono
le
preoccupazioni terrene
e finite e lo spirito si
acquieta in Dio, nel
sentimento
presente
della devozione o nella
speranzadilui.Gliscopi
finiti, il disgusto degli
interessi limitati, il
dolore di questa vita, le
preoccupazioni e gli
affannidiquesto«banco
di
sabbia»
della
temporalità[182],
il
rincrescimento,
le
fatiche
e
le
incomprensioni: tutto si
dissolveinquestoetere,
come l’immagine di un
sogno del passato. In
questa regione dello
spirito scorrono i flutti
della dimenticanza, ai
quali beve Psyche –
doveessaaffondatuttii
dolori
e
le
preoccupazioni,
dove
essa si disfa del suo
essere effimero; dove
dileguano
tutte
le
durezzeeoscurità,dove
l’altra
sua
essenza
temporale si dissolve di
fronte a lei in una
parvenza che non le fa
più paura, e dalla quale
più non è dipendente e
dove tutte le forme
terrene
contorni
sono
solo
all’immagine
luminosa
della
riconciliazione,
della
devozione, dell’amore;
dove
l’intera
temporalitàsitrasfigura
nell’eterna
armonia,
nello
splendore
dell’eterno. Come sulla
più alta cima di una
montagna, lontani da
ognipiùlimitatavisione
terrestre, ci vediamo
proiettati
nel
cielo
azzurroecontempliamo
con occhio calmo e
distaccato
tutte
le
limitazioni dei paesaggi
e del mondo; così
l’uomo nella religione,
liberato dalla durezza
dellarealtà,laconsidera
con
l’occhio
dello
spirito, una parvenza
fluente; una parvenza
che in questa pura
regionesirispecchianel
raggio
dell’appagamento
e
dell’amore, fa balenare
ilgiocoalternopercuisi
differenzianellesueluci
e nelle sue ombre, ma
mitigato
nell’eterna
quiete»[183].
Con la promessa
diretta
di
un
appagamento pieno, in
forma comprensibile a
tutti,
la
religione
soddisfalamaggioranza
degli uomini più della
filosofia,lirisarciscepiù
caldamente
per
le
lacerazioni della vita,
ricostruendo
una
solidarietà comunitaria
eunlegameidealealdi
sopra di una società
civile
dominata
dall’interesse
e
dall’egoismo. In termini
ancora più generali,
nella religione ogni
popolo si autodefinisce
e prende possesso della
sua essenza[184]. Da
questopuntodivista,la
religione non ha per
Hegelnientediillusorio,
ma
è,
semmai,
inadeguataallivellopiù
alto raggiunto dallo
spirito
moderno,
coglibile,nellafilosofiae
nell’agire, soltanto da
ristrette
élite.
La
religione governa le
rappresentazioni degli
uomini ed è una
potenza reale con cui si
devono mantenere i
contatti, se non si vuol
perdere l’aggancio con
la maggioranza degli
uomini. Hegel non è
interessato all’aspetto
istituzionale
della
religione,
al
suo
costituirsi in chiese, se
noninrapportoallaloro
capacitàdiinterpretarei
bisogni degli uomini
senza cadere nella
«positività»[185].
Sotto
questa luce, non c’è
motivo di mettere in
dubbio
le
reiterate
affermazioni
di
luteranesimodapartedi
Hegel: egli lo ritiene in
sostanza, per i popoli
«nordici», il legame
interiore più libero e
adatto allo spirito delle
masse
e
così
lo
onora[186].
Durante
la
Restaurazione, in un
periodo di rilancio della
religione in chiave antiilluministica e antirivoluzionaria, gli sforzi
diHegelsonounadifesa
del pensiero e della
filosofia
contro
la
pretesadellareligionedi
riconquistare
il
monopolio
delle
coscienze.
Quando
teorici, come Haller,
attaccano la «scienza
falsaedannosa»cheha
generato «l’idra della
rivoluzione»[187],quando
sostengono che non si
può lodare l’opera della
rivoluzione
e
dell’empietà,
il
cui
«dente della iena divora
tutto, nella reggia come
nellacapanna,togliendo
aciascunoilsuo:alrela
corona, alla vedova il
sussidio, al ricco la
fortuna e al povero il
suo
stesso
corpo;
all’uomo
libero
la
libertà, al lavoratore
fedele il salario, ad ogni
popoloildecoro,adogni
condizione il suo onore;
ai
ministri
stessi
dell’Altissimo
l’esistenza, l’autorità ed
il vitto»[188] – quando
tutto questo succede,
Hegel risponde con
l’elogio degli enfants
perdus de notre cause e
della
potenza
del
pensiero. E in un’epoca
in cui la potenza del
pensiero andava, per
ammissione di Hegel,
crescendo e l’aumento
della
popolazione
universitaria
faceva
prevedere
l’allargamento
delle
élite permeabili alla
filosofia, il rapporto con
la religione non doveva
essere
pacifico.
E,
infatti, non lo fu: negli
ultimi anni di vita,
Hegelnonfecealtroche
difendere la razionalità
della filosofia contro gli
attacchideiteologiedei
colleghi[189]. Ma ciò
soltanto in vista di un
regime concordatario,
nella speranza, da una
parte, di evitare la
rottura,dall’altradinon
rinunciare
alla
superiorità della forma
spirituale del pensiero.
La sua polemica non è
rivolta alla religione
come tale, ma alla
rinunciaalpensieroche
in suo nome si vuole
imporre, al trasformare
la
religio,
come
Schleiermacher,
in
sentimento
di
dipendenza, col che,
commenta gelidamente
Hegel, il cane sarebbe il
migliorcristiano[190].
Tra
filosofia
e
religione e tra filosofia
ed epoca c’è un
parallelismo
di
struttura: la filosofia,
purcondividendoilloro
contenuto, sta al di
sopra
di
entrambe
secondolaforma.Essaè
quindi
anche
la
religione del proprio
tempo appresa nel
pensiero ed è per Hegel
il
protestantesimo
qualorasiaccordiconlo
Stato, perché non basta
rivoluzionare
le
istituzioni se non si
cambia la coscienza dei
cittadini.
Ma
alla
coscienzacomuneealla
religione stessa – che la
organizza – essa appare
comeviolentaosubdola
distruzione
della
certezza, della fede. La
filosofia
è
invece
conciliazione di un
bisognopiùvasto,chela
religione,
pur
presentendo, non è in
grado di soddisfare,
perché si muove nel
dominio più vischioso
della tradizione. Ma in
un mondo in crisi o in
rapida trasformazione
ogni
certezza
è
necessariamente scossa
e si hanno allora due
comportamenti:
la
riaffermazione
delle
vecchie certezze in
forma«positiva»oppure
la distruzione di esse e
la ricerca di nuove
certezze. La prima è
generalmente la strada
dellareligione,chedeve
rimorchiare
più
lentamente la massa di
un popolo, la seconda è
quella della filosofia,
resa più agile dalla sua
stessasolitudine.
In questo movimento
più
veloce
di
disgregazione
delle
vecchie certezze e di
prefigurazione
delle
nuove, la filosofia deve
passare attraverso il
mondo notturno del
non ancora realizzato,
deve
aguzzare
lo
sguardo,perindividuare
lecausedelmalesseree
proporre la certezza di
una nuova realtà che
non è presente se non
nella
«culla»
del
pensiero. In questo
modo essa «fornisce un
occhio acuto per vedere
questo elemento di
insoddisfazione»
dell’epoca; «precede e
trasforma la realtà
effettuale»,
offrendo
anch’essa,
in
concorrenza diretta con
la religione, «un mezzo
di
appagamento
(Befriedigungsmittel), la
consolazione in questa
realtà effettuale, in tale
infelicità
del
mondo»[191].
Questo
Befriedigungsmittel non è
però un tranquillante,
una semplice rinuncia
al mondo; esso è bensì
un
lato
dell’inquietudine e un
attenersi
alla
Wirklichkeit,cheperdura
nelladissoluzione.
9.Lafilosofiaele
istituzioni
Ma non è solo la
religione a poggiare
immediatamente
sull’abitudine e sulla
certezza, bensì anche lo
Stato. Dimodoché –
essendovi «coincidenza
fra rivoluzioni politiche
e
sorgere
filosofia»[192]
della
–,
la
filosofia tende a entrare
in collisione con lo
Stato, a meno che lo
Stato non si attenga
saldamenteallaragione,
sia guidato non da
filosofi, ma da leggi
razionali,
ossia
adeguate ai tempi. La
maggioranza
degli
uomini vive l’esistenza
dello
Stato
come
abitudine e certezza di
far parte della seconda
natura
della
sfera
politica: «Gli uomini
hanno la fiducia che lo
Statodeveesistereeche
in esso soltanto può
realizzarsi
l’interesse
particolare;
ma
l’abitudine
rende
invisibile ciò su cui
poggia tutta la nostra
esistenza. Se alcuno, di
nottetempo,
procede
sicuro nella strada, non
gli viene in mente che
possa essere altrimenti;
poiché questa abitudine
della
sicurezza
è
diventata una seconda
natura; e non si riflette
certamentecomeciòsia
soltanto l’effetto di
particolariistituzioni.La
rappresentazione crede
spesso che lo Stato stia
unitomediantelaforza;
ma ciò che lo mantiene
è
unicamente
il
sentimento
fondamentale
dell’ordine, che tutti
hanno»[193].LoStatoper
Hegel non ha esistenza
al di fuori del consenso
implicito della maggior
parte degli uomini. Se
manca il consenso e la
mediazione
dell’individualità,essoè
«campato in aria»[194].
Lo Stato esiste finché
viene riconosciuto e
viene
riconosciuto
finché
riesce
a
mantenere
una
sufficiente
consenso.
area
Fino
di
ad
allora, l’ideadelloStato,
ossia il concetto che ha
esistenza, continua ad
averpoterenellamisura
in cui gli vien concesso.
Quando lo Stato non ha
più radici nella certezza
e nella coscienza dei
cittadini, quando esso
non è più capace di
modificarsi,
allora
nascono le rivoluzioni.
Giacché spesso tale
carattere ideale dello
Stato hegeliano viene
frainteso
e
lo
si
identifica con forme di
«statolatria» o di banale
«prussianesimo»,
è
opportuno riportare il
seguente brano, tratto
dalla Scienza della logica,
cheillustrachiaramente
la forza del consenso,
l’egemonia
esercitata
dallo Stato in genere, e
dagliStatisingoli,anche
quelli pessimi, finché
esistono: «Che le cose
attuali
non
siano
congrueall’idea,èillato
della loro finità e non
verità, dal quale lato
sono oggetti, e ciascuno
diquestisecondolasua
diversa sfera […] La
possibilità che l’idea
non
abbia
perfettamente elaborata
lasuarealtà,chel’abbia
assoggettata
incompletamente
al
concetto, si basa su ciò
ch’essa stessa ha un
contenuto limitato e
che,
pur
essendo
essenzialmente l’unità
del concetto e della
realtà,
è
altrettanto
anche
essenzialmente la lor
differenza;
poiché
soltanto l’oggetto è
l’unità immediata, ossia
soltanto in sé. Ma dove
un oggetto, per es. lo
Stato, non fosse affatto
conforme alla sua idea,
ossia anzi non fosse
affattol’ideadelloStato,
quando la realtà di
questo, che son gli
individui di sé consci,
non corrispondesse per
nulla al concetto, allora
la sua anima e il suo
corpo
si
sarebbero
separati;
quella
fuggirebbe nelle remote
regioni del pensiero,
questo
si
sarebbe
spezzato
nelle
individualità
singole.
Poiché però il concetto
dello Stato costituisce
così essenzialmente la
natura degli individui,
esso è in loro come un
istinto di tal potenza
che quelli, quando non
fossechenellaformadi
finalità esterna, son
costretti a tradurlo in
realtà
oppure
a
contentarsene così, o se
no dovrebbero perire. Il
pessimo fra gli Stati,
quello la cui realtà
corrisponde meno al
concetto, in quanto
esiste ancora, è ancora
idea;
gl’individui
obbediscono ancora a
unconcettocheesercita
ilpotere»[195].
Nei
periodi
di
rivoluzione
politica
l’effetto della filosofia è
però proprio quello di
far fuggire l’anima dello
Stato, che è poi l’anima
dei cittadini, «nelle
remote
regioni
del
pensiero»
e
di
disgregare il suo corpo
nelle
individualità
singole.
Di
qui
l’inimicizia fra Stato e
filosofia.
Nell’età
moderna e nei paesi
protestanti è tuttavia
possibile
una
collaborazione
‘concordataria’ fra le
due potenze. Da parte
sua, infatti, lo Stato ha
assorbito una dose di
razionalità
maggiore
che nel passato, ha
dovutocioèsviluppareil
pensiero come antidoto
alla disgregazione della
società civile, venendo
così
incontro
alla
filosofia.Quest’ultima,a
sua volta, ha trovato
all’interno dello Stato
uno spazio istituzionale
entro cui esplicarsi: le
università
e
l’insegnamento
pubblico in genere. Lo
Stato, quindi, manifesta
la
tendenza
a
riconoscereeatollerare
il pensiero, invece di
bandirloeperseguitarlo,
e
la
filosofia
a
riconoscere il travaglio
dello Stato e ad aiutarlo
nelle doglie dei suoi
frequenti mutamenti.
L’auspicio hegeliano è
che«nelloStatoaccanto
al governo del mondo
effettuale,
fiorisca
ancheilliberoregnodel
pensiero»[196] – si noti
l’aggettivolibero–eche
lo Stato si renda conto
che
la
filosofia
«costituisce l’autentica
base di ogni cultura
teoretica e pratica»[197].
Il funzionario dello
spirito è disposto a
educare i funzionari
delloStato,affinchéessi
ne
rafforzino
le
strutture razionali. Nel
1820/21 Hegel aveva
persino progettato di
scrivere un libro di
«pedagogia
politica»
(Staatspädagogik), ma la
cosa andò in fumo per
motivi di tempo, in
quanto
la
filosofia
«nondum nobis haec otia
fecit»[198]. Inoltre, dato
cheloStatopoggiasulla
coscienza
e
sulla
Gesinnung, la filosofia
può organizzare un
consenso razionale con
l’agire sulla formazione
della volontà e col
discutereistanzeancora
pocochiareperloStato,
istanze che toccano
problemi
attuali
dibattuti anche a livello
diopinionepubblica[199].
Illuminando l’opinione
pubblica – il cui peso
crescente incide sulle
decisioni politiche[200] –
la filosofia orienta il
consenso
soluzioni
verso
razionali.
Hegel,
vecchio
giornalista, non ignora
la forza di penetrazione
che le idee ottengono
attraverso la stampa:
oggigiorno non è più la
preghiera del mattino
cheguidaeaccompagna
l’uomo nella sua vita
quotidiana,
ma
la
letturadeigiornali[201].
Hegel
sa
però
altrettanto bene che
questo
regime
concordatario non è
stato ancora stipulato
formalmente, né può
esserlo,
perché
il
pensierofilosoficoperla
sua essenza travalica i
confini dello Stato,
riguarda
lo
spirito
umano
nel
suo
complesso e non lo
«spirito di un popolo»
singolo. Può esistere al
massimo un tacito
accordo, con frequenti
violazioni da ambo le
parti: da parte dello
Stato, che tenta di
addomesticare
la
filosofia, facendone la
propria longa manus
spirituale per le zone in
cui la religione non
giunge; da parte della
filosofia,
che
non
sempreaccettailimitie
i ritardi dello Stato. Per
questo
il
filosofo
continua a essere in
pericolo,èespostocome
i trovatelli a tutte le
intemperie
politiche,
anzi «il professore di
filosofia è in sé e per sé
unexpositusnato»[202].
Vi
è
malgrado
comunque,
tutto,
complementarietà fra
l’azione dell’uomo di
Stato e quella del
filosofo.
Il
primo,
quandoècapace,agisce
più sul piano della
‘talpa’, fa scaturire il
nuovo attraverso la
passione, mentre il
secondo agisce più sul
piano ‘della civetta’, del
pensiero cosciente. È
dunque possibile (per la
relazione
isomorfa
esistente fra passionefinalità inconscia e
ragione-finalità
consapevole),
la
traducibilitàcontinuadi
ragione in passione e di
passione in ragione. È
possibile, cioè, che lo
Stato
operi
sulle
passioni e gli interessi
dei
cittadini
con
maggiorconsapevolezza
e che la filosofia decifri
finalmente,
come
Champollion,
«geroglifico
quel
della
ragione» che è lo
Stato[203],esiprendapiù
concretamente cura del
mondo.
Lo Stato deve però
evitare il contagio di un
morboinapparenzaben
strano, di cui i filosofi
sono
inconsapevolmente
i
portatori sani: quello di
un
eccesso
di
razionalità in rapporto
alla situazione storica
concreta di un popolo.
Napoleone, ad esempio,
sbagliò nell’imporre agli
spagnoli
una
costituzione
più
avanzata di quella a cui
erano abituati: «Ciò che
Napoleone diede agli
Spagnoli
era
più
razionale di ciò che essi
avevano
prima;
e,
tuttavia,
essi
lo
respinsero, in quanto
cosa a loro estranea;
poiché
non
erano
ancora inciviliti sino a
quel punto. Il popolo
deve avere a sua
costituzione
il
sentimento del suo
diritto e della sua
situazione; altrimenti,
essa, forse, può esistere
esteriormente, ma non
ha alcun significato e
alcun
valore.
Certamentepuòtrovarsi
spesso nei singoli il
bisogno e l’aspirazione
verso una costituzione
migliore;machetuttala
massa sia penetrata da
tale idea, è cosa
interamente diversa, e
seguesoltantopiùtardi.
Il
principio
della
moralità, dell’interiorità
di Socrate si è prodotto
necessariamente ai suoi
giorni; ma occorse del
tempo,
perché
sia
divenuto autocoscienza
generale»[204]. Lo Stato,
quindi, possiede in un
certo modo il diritto di
frenare
l’irruzione
distruttivadelnuovonel
vecchio,
mentre
il
filosofo ha il dovere di
perseguire,
anche
contro lo Stato, la
ricercadinuoviprincìpi.
È possibile mitigare
questo
attrito
nell’interesse di tutta la
comunità? Convogliare
attentamente il nuovo
delpensieroinstrutture
statali più recettive?
Come ai tempi di
Socrate,«ancheainostri
tempi, avviene, più o
meno,cheilrispettoper
ciò che esiste non c’è
più»[205]; come allora
avviene la fuga nelle
remote
regioni
del
pensiero
e
nella
moralità,
che
è
negazione del costume
vigente e creazione di
un tribunale interiore,
incontrastoconleleggi
dello Stato. Quando la
moralità
dall’«ulteriore
sorge
riflessione», quando si
trasforma in un esame
critico della realtà, «per
motivi che possono
cominciare da qualsiasi
fine,
interesse
e
riguardo individuale, da
timore o da speranza o
da presupposti storici»,
allora «la conoscenza
adeguata dei medesimi
appartiene al concetto
pensante»[206],
cade
nella
sfera
di
competenza
della
filosofia e non dello
Stato e della religione.
Se la filosofia fornisse
dunquealloStatolasua
consulenza,
la
«conoscenza adeguata»
dei motivi di questa
fuga dalla realtà, e lo
Stato, dal canto suo,
ricreasse il «rispetto per
ciò
che
esiste»
modificando la realtà e
adeguandola a «tutta la
massa» (anche se non
dovesse
poi
accontentare a pieno il
filosofo),
ecco
che
l’accordo fra filosofia e
Stato
diverrebbe
fruttuoso.
Bisogna intendersi su
questopunto:Hegelnon
condanna la moralità,
né il suo corrispettivo
politico,
la
«virtù»
giacobina, in quanto
tali, né tanto meno
condanna la violenza
politica
tesa
a
modificare la realtà in
baseaprincipirazionali:
«Il pensiero è divenuto
violenza là dove esso
aveva di
positivo
fronte il
come
violenza»[207]. Finché gli
Statinonsonopermeati
dal pensiero e poggiano
sulla
positività
–
servendosi
della
religione
e
dell’ingiustizia
come
puntello
della
loro
stabilità[208] –, fino ad
allora la violenza, come
quella
del
Terrore,
prodotto della virtù, è
necessaria e giusta. E
anchelamoralità,come
quella degli stoici o di
Kant,
è
giusta
e
giustificabile,
finché
vive a contatto di una
legalità vuota, di un
rispetto ossequioso per
forme politiche e sociali
ormai
inaridite
e
sorrette solo dalla forza
del
positivo.
Hegel
quindi, pur ritenendo
utile, per la Germania e
peripaesiprotestantiin
genere, il prevalere
dell’eticità (che concilia
legge statale e morale
individuale)
e
pur
ritenendo
utile
e
necessariomodificarelo
Stato senza rivoluzioni
violente
(con
la
copertura
ideologica
assai debole che «i
protestanti
hanno
compiuto
rivoluzione
la
loro
con
la
Riforma»)[209], ha come
presupposto che lo
Stato si adegui al
pensiero
e
al
mutamento e che la
filosofia
indichi
il
razionale maturo per
realizzarsi,
pur
mettendo nel conto
l’esistenzadiunoscarto
incolmabile fra ragione
eRealität.
Conquestomodellodi
rapporto filosofia-Stato,
Hegel si propone forse
una
sorta
di
«rivoluzionepassiva»,in
un senso analogo a
quella di Vincenzo
Cuoco? Propone cioè
una rivoluzione politica
da applicarsi a paesi –
come la Germania (e
l’Italia) – che hanno
finora subìto solamente
la«rivoluzioneattiva»di
altripopoli?Èdelparere
del Cuoco che in
Germaniae,ingenerale,
nella sua epoca la
rivoluzione non possa
giacobinamente
distaccarsi dalle masse?
Che «il segreto delle
rivoluzioni»
sia
«conoscereciòchetutto
il popolo vuole, e farlo;
egli allora vi seguirà:
distinguere ciò che
vuole il popolo da ciò
che vorreste voi, ed
arrestarvi tosto che il
popolo più non vuole;
egli
allora
vi
abbandonerebbe»?[210]
Questoècertamenteper
Hegel uno dei compiti
degli Stati e dei politici
(per quanto egli ritenga
che in fondo il popolo
non sa bene quel che
vuole,perchéèinpreda
alla
riflessione
e
all’opinione). Ma non è
ilcompitodellafilosofia,
chedeveprocedereoltre
la coscienza comune
come sua avanguardia
esternaerivoluzionarla,
spianandocosìlastrada
alle trasformazioni che
loStatosaràchiamatoa
operare. Il compito che
Hegel
assegna
alla
filosofia è quello di
plasmarerazionalmente
la
realtà
effettuale
attraverso
la
mediazione
delle
coscienzesingole,incui
si
sviluppa
«pianticella
filosofia».
la
della
È vero che Hegel,
come Cuoco, aveva
ammirato
Napoleone
perchéeglierariuscitoa
far andare avanti la
rivoluzione
retrocedere
senza
nella
controrivoluzione, e a
dar così prosperità e
grandezza
alla
Francia[211].
È
vero
anche che Hegel, con la
sua ottica peculiare,
aveva
visto
la
contraddizione
del
giacobinismo
come
scissione tra aspirazioni
universalistiche (liberté,
égalité,fraternité)erealtà
che non si faceva
impregnare da esse. Ed
è vero infine che Hegel
aveva
ammirato
Napoleone
perché
questi
aveva
realisticamente
e
brutalmente cancellato
ilconflittointernoauna
classefraisuoiidealiei
suoi interessi, ossia in
termini più hegeliani,
fra
le
astrazioni
intellettualistiche e la
realtà storica. In un
certo modo, anche
Napoleone – nel paese
stesso
che
aveva
guidato
le
trasformazioni politiche
d’Europa
–
aveva
convertitolarivoluzione
attiva in rivoluzione
passiva, nel senso che
aveva inteso filtrare le
‘astrazioni’ giacobine,
facendo passare nella
realtà, di volta in volta,
solo quelle idee che gli
sembravano mature per
acquistare diritto di
cittadinanzanelmondo.
Attraverso il dominio
napoleonico, i tedeschi
hanno ricevuto una
lezione di cosa sia la
realtà effettuale: le
fatiscenti istituzioni del
Reich sono crollate, e al
loro posto son sorti gli
Stati nazionali (Prussia,
Württemberg, Baden),
che nell’organizzazione
militare,
nella
burocrazia,
nella
legislazione hanno fatto
tesoro
di
questo
insegnamento impartito
dal grande «professore
di dottrina dello Stato»
che tiene cattedra a
Parigi. Ora, dopo che a
Lipsia e a Waterloo le
Befreiungsbestien alleate
hanno vinto, dopo il
tragico spettacolo del
genio
politico
Napoleone
che
di
si
distrugge da sé, dando
ai mediocri il diritto di
rovesciarlo[212], si apre
per i tedeschi una
eccezionale occasione
storica:potermodificare
da soli, una volta
assimilata
la
Wirklichkeit, le proprie
istituzioni
politiche,
facendo leva sulla loro
unicaricchezza,ilfuoco
sacro del pensiero, che
essi hanno avuto «in
dono dalla natura» e
conservato come gli
Eumolpidi[213]olenuove
Vestalid’Europa.
Il problema centrale
della filosofia politica
hegeliana durante la
Restaurazione diventa
allora
quello
di
conciliare il progresso
inarrestabiledelgigante
con la tenuta oggettiva
delle
istituzioni,
favorendo il formarsi di
strutture
statali
flessibili, che assorbano
e
recepiscano
i
contraccolpi
della
Wirklichkeit,
senza
essernearimorchio;che
promuovano
la
rivoluzione
degli
ordinamenti,
senza
provocare la ricaduta,
sempre attuale, nella
controrivoluzione.
In
questa impostazione di
fondo, Hegel si collega
al gruppo dei riformisti
prussiani, che agisce
dopo il siluramento di
von Stein nel 1816, e i
deliberati di Karlsbad
del1819,daposizionidi
minoranza. Con il 1819,
Metternich,
convinto
che i rivoluzionari dopo
la
sconfitta
di
Napoleone
vogliano
prendersi la rivincita
alla
successiva
generazione[214], decide
di
spoliticizzare
violentemente
l’università,
appoggiandosi
in
Prussia alle iniziative
dei
nemici
di
Hardenberg
e
Altenstein, ossia del
contediWittgenstein,di
von Kamptz, capo della
polizia e autore di un
famigerato Kodex der
Gendarmerie, e degli
ambienti di corte legati
al principe ereditario, il
futuro
Federico
Guglielmo IV, imbevuto
di idee mistiche e
ultrareazionarie.
Il partito riformista,
che aveva il suo punto
di
forza
nella
burocrazia,
comunque,
restava,
un
movimento
attivo
(Hardenberg
fu
cancellierefinoal1822),
che cercava, tra non
poche difficoltà, di far
avanzare
quella
«rivoluzione dall’alto»
avviatadavonStein[215].
Molti dei riformatori e
degli alti funzionari
dell’amministrazione
prussiana erano stati
discepoli di Kant e
seguivano
il
suo
principio per cui una
società è «fattibile»
(machbar)[216]. Così, ad
esempio,
Altenstein,
considerava l’essenza
delloStato«noncomeè,
ma
come
può
essere»[217], mentre in
una
circolare
governativa
del
23
ottobre1817,siindicava
come
compito
del
governo
quello
di
«permettere a tutti lo
sviluppo
e
l’applicazione – il più
possibile liberi – dei
propri mezzi, capacità e
forze, sia dal punto di
vista morale che fisico,
e di rimuovere al più
presto in modo legale
tuttigliostacolichevisi
frapponessero»[218].
Il
nuovo Stato prussiano
era sorto nel 1806 da
una pesante sconfitta
militareedaundisastro
politico
e
finanziario[219].
Si
cominciò
così
a
costruire il nuovo Stato
dallefondamenta,trala
sorda o esplicita ostilità
degli Junker, e ogni
disposizione legislativa
ebbe quindi carattere di
piano[220]. Nel 1807
caddeilvecchiosistema
del gabinetto consiliare
attorno al re e si formò
un governo di ministri
responsabili, per cui il
monarca diventò solo
Souveranitätsrepräsentant[
puntino sulla i. Ma la
direzione effettiva dello
Stato passò a una
«aristocrazia
di
esperti»[222],
i
funzionari,
che
ottennero anche la
maggioranza all’interno
dello Staatsrat, all’atto
della sua costituzione
nel 1817[223]. Per circa
tre
quarti
essi
provenivano
dalla
borghesia e dagli studi
universitari[224]. La loro
ideologia era in genere
caratterizzata
dall’avversione
al
privilegiofeudaleedalla
convinzione di vivere in
un’epoca
di
veloci
mutamenti,allaqualeil
governo
non
deve
restare indietro, perché
– come scrive Hippel a
Hardenberg – «bisogna
dovunque
tenere
l’andatura da galoppo,
in quanto nessuno vuol
più marciare a passo di
parata»[225].
La
pianificazionedall’altoe
l’affidarsi al sapere di
questi funzionari serve
contemporaneamente a
far crescere il nuovo
Statoeapermetterealla
Prussia di colmare il
distacco con gli altri
paesi europei avanzati.
Ilpensiero,lascienza,la
tecnica, la diffusione
dell’istruzione
universitaria vengono
cosìaessereconsiderati
come
fattori
di
avanzamentopoliticoin
un paese che è arrivato
tardi fra le potenze
europee,eachiesamini
lo
svolgimento
successivo della scienza
e della storia tedesca,
nonché l’aureola di
rispetto che circonda a
tutt’oggi
la
parola
Wissenschaft, non potrà
sfuggire
il
peso
determinante, nel bene
enelmale,chehaavuto
questa alleanza fra
Stato
e
scienza,
attraverso
la
mediazione di una forte
burocrazia,
destinata
presto ad abbandonare
le
sue
posizioni
riformistiche.
Questa
élite formerà più tardi
un elemento del blocco
storico
costituito
dall’industria e dal ceto
militare, e avente come
suo perno lo Stato
stesso.
Nella
«rivoluzione dall’alto»,
che corrisponde a una
debolezza dal basso
della società tedesca, è
già
implicita
«degenerazione»
una
autoritaria,
il
cui
riverbero ha illuminato
retrospettivamente
ancheHegel.
Ma per il momento
l’insistenza, da parte di
questo ceto di politici
riformistiedifunzionari
illuminati, sul pensiero
e lo «spirito» ha radici
anche di carattere più
immediatoeristretto:si
tratta di trovare, per
mezzo della cultura e
dei legami spirituali,
quell’unità
nazionale
che
le
divisioni
territoriali e le barriere
politicheedeconomiche
insidiano fortemente.
Dopo il Congresso di
Vienna, la Prussia è un
corpo diviso in un
tronco
centrale,
separato a ovest dai
nuovi
possedimenti
renani (in precedenza
governati dalla Francia
colCodeNapoléon)eaest
dalle antiche marche
orientali (abitate in
prevalenza da slavi),
così che «solo lo spirito
può tenere insieme»
questi
disiecta
membra[226].
Ma
lo
spirito è soprattutto
cultura
nazionale
unitaria, in cui un
«popolo»siriconosce,e,
contemporaneamente,
luogo in cui tale cultura
si produce. Ancora una
volta il discorso cade
sull’università,
tradizionale fucina di
sentimentinazionaliper
glistudentitedeschiche
vi confluivano, fino al
1801, da ben 360
staterellie,dopoil1815,
da
36.
Accanto
all’abbattimento delle
barriere doganali, la
Prussia vuole – per così
dire – realizzare uno
Zollverein spirituale e
presentarsi,
come
afferma Gans (discepolo
di Hegel e professore di
MarxaBonn),nellevesti
di «Stato del pensiero e
dell’intelligenza», ruolo
che le è in un certo
modo imposto dal fatto
che le sue fondamenta
sono ancora deboli e
«gettate
all’improvviso»[227].
10.Ilcontrollo
delladialettica
storica
Si
può,
dunque,
parlare di rivoluzione
passiva, a proposito di
Hegel e dei rapporti tra
filosofiaeStato?Sesidà
alla
espressione
«rivoluzionepassiva»un
accento moderato, nel
senso
di
una
«rivoluzionerestaurazione», in cui
ogni contraddizione è
smorzata e «superata»,
ogni
tensione
cancellata, allora la
risposta è no. Hegel,
gramscianamente, non
ha alcuna volontà di
«mettere le brache al
mondo», e la sua
concezione, anche se in
«forma speculativa, non
consente
tali
addomesticamenti
e
costrizioni mutilatrici,
pur non dando luogo
con ciò a forme di
irrazionalismo
e
di
arbitrarietà»[228].
La
filosofia ha anzi il
carattere di rivoluzione
attiva, in anticipo e in
contrasto col senso
comune di un’epoca. E
anche lo Stato, per
quanto
il
suo
movimentosiapiùlento
di quello del pensiero
filosofico, non può
essere semplicemente a
rimorchio
della
coscienza comune, ma
deve
guidarla
e
intervenireattivamente,
comportandosi
da
volontà razionale che
risolve i conflitti che si
generano
dall’automatismo
sociale. Lo Stato e
l’uomo di Stato sono
grandi nella misura in
cui
riescono
a
discernere ciò che è
importante
nella
volontà popolare, la
quale ha per Hegel un
carattereancoraoscuro:
«Nella
pubblica
opinione, tutto è vero e
falso;matrovareinessa
la verità è cosa del
grand’uomo.
Chi
esprime ciò che vuole il
suo tempo, chi lo dice
ad esso, e lo attua, è il
grand’uomo del tempo.
Egli fa ciò che sono
l’interiorità e l’essenza
del
momento,
le
realizza»[229]. In questo
modo, nella traduzione
e nell’attuazione dei
bisogni collettivi, lo
Stato si innalza al di
sopra di essi e li
modifica, e non si serve
dell’eventuale
arretratezza
del
costume
e
della
situazione storica come
di
un
alibi
per
l’immobilismo. D’altro
lato,poichéla«pubblica
opinione è la maniera
inorganica,concuisidà
a conoscere ciò che un
popolovuoleeritiene»e
poiché «ciò che deve
valere, non vale più
mediante la forza, e
meno per consuetudine
e
costume,
ma
certamente
per
intelligenza
e
per
ragioni»[230], ecco che la
filosofia,
decifrando
organicamente il senso
delle
aspirazioni
popolari,favoriscesiala
loro
migliore
estrinsecazione,
sia
l’intervento dello Stato.
In tal senso, la filosofia
procede
come
rivoluzione attiva nei
confronti
della
coscienza comune e
dell’opinione pubblica.
Maseinvecesitrattadi
distruggere gli ideali
astratti, le utopie delle
anime belle o le
«astrazioni» che hanno
rispetto alla Wirklichkeit
un
carattere
contraddizione
di
insolubile, la filosofia
contribuisceaunapresa
di coscienza di quelli
che sono i limiti
dell’azione politica e
svolge una funzione
fiancheggiatrice
nel
consolidarsi di una
forma di
passiva.
rivoluzione
In questo apparente
equilibrio di rivoluzione
attiva e di rivoluzione
passiva si trova uno dei
più intricati nodi non
solo
della
filosofia
politica, ma anche della
dialettica e dell’intero
impianto
teorico
hegeliano. Tuttavia, di
fronte all’alternativa fra
un
modello
di
movimento storico e
dialettico basato sul
mero
assorbimento
trasformistico
delle
spinte
dal
basso,
sull’Aufhebung
come
addomesticamento
delle contraddizioni, e
un altro modello di
movimento storico e
dialettico, basato sulla
soluzione reale delle
contraddizioni,
dapprimanelpensieroe
poi nella realtà, con lo
Stato come cinghia di
trasmissione
del
mutamento, non c’è
dubbio che Hegel sia
decisamente più vicino
a
questa
seconda
posizione, e che esista
comunque
una
dissimmetria
fra
l’elemento attivo e
quello passivo, con
netta
prevalenza
dell’attivo.Delresto,già
ora si può cominciare a
vedere
come
la
dialettica non sia facile
conciliazione,
pura
compromissione
con
l’esistente (anche se
queste compromissioni
non mancano e sono
importanti come linee
di frattura del sistema),
ma implichi anche,
secondo una tradizione
che risale alla dialettica
antica, la presenza del
novum,
l’inventio,
qualcosa che non è
contenuto, se non in
modo
latente
e
contraddittorio,
nelle
opposizioni di partenza,
e che per sorgere ha
bisogno del movimento
storico di un’epoca, di
un
impulso
reale
esterno
al
sistema
filosofico, del mondo
che entra in essa come
pensiero, discorso. Non
si comprende il senso
delladialetticasenonsi
tiene conto, per la sua
genesi, della decisiva
presenza nella filosofia
hegeliana del «genuino»
scetticismo
antico
(soprattutto di Pirrone e
Sesto Empirico, ma è
ricordatocomepuntodi
riferimento esemplare
anche il Parmenide di
Platone). Esso funge
come una specie di
acido atto a dissolvere
la ragione dogmatica, a
«renderefluidiiconcetti
solidificati»[231] e in ciò
si
distingue
dallo
scetticismomoderno,in
particolare da quello
dello
Schulze
dell’Enesidemo, che si
limita alla sospensione
del giudizio e sfocia
nell’indifferentismo[232].
La scepsi deve essere
invece inclusa nella
filosofia come suo lato
negativo, da prendere
sul serio per poter poi
esseresuperata,un’idea
che rimarrà costante
lungo tutta l’evoluzione
del pensiero hegeliano,
che insisterà sempre
sulla distruzione delle
certezze, come appare
chiaramente, fra l’altro,
nella
prolusione
berlinese alle lezioni
sull’Enciclopedia:
«La
decisione di filosofare si
getta
puramente
nel
pensiero […] si getta
come in un oceano privo
di sponde; tutti i vari
colori, tutti i punti
d’appoggio,tuttelealtre
luci amichevoli sono
spente»[233].
La
catena
delle
cosiddette «triadi» del
sistema ha prodotto
l’impressione, che va
spiegata, non solo di
una
costante
programmatica
soluzione
delle
contraddizioni, di un
salvataggio
finale
annunciato e scontato,
di
un
happy
end
garantito, ma anche
della «chiusura della
storia», ossia che, se il
sistema ha compreso,
inglobato e conciliato
tutta la realtà, non vi
saranno più né futuro,
né novità di rilievo[234].
Questa
presunta
chiusura della storia,
responsabile
dei
maggiori
fraintendimenti
del
pensiero hegeliano, non
ha,
tuttavia,
alcun
riscontro reale e deriva
daunequivocoodauna
sorta di illusione ottica.
Per Hegel infatti –
diversamentedaquanto
aveva affermato il 18
ottobre
del
1806,
allorché si aspettava
«unanuovasortitadello
spirito»,icuilineamenti
la
filosofia
deve
interpretare[235] – non è
la storia che si chiude,
ma la filosofia, che non
può
più
cogliere
l’immagine della nuova
epoca
storica
in
gestazione. Hegel è
consapevole
che
l’oltrepassamento, nella
sua epoca, di una
determinata soglia di
mutamenti provocherà
la disgregazione del suo
sistema, che contiene
già nel suo aggancio al
tempo, un principio
interno
di
autodistruzione.
Da
questa prospettiva, la
questione
della
«chiusura della storia»
non è altro che la
delimitazione,compiuta
da
Hegel
stesso,
dell’area teorica di
validità della sua stessa
filosofia. Non si tratta,
quindi, di negare il
futuro, come sostiene
anche
Bloch,
ma
semplicemente
di
affermare che
nuova «epoca»
ogni
che
sorge
–
definita
dall’intervallodirelativa
continuità
fra
due
rivoluzioni –, sorge con
unsaltoqualitativoicui
risultati
non
sono
prevedibili in anticipo.
Essa necessita perciò di
una nuova filosofia,
senza che si perdano
(come mostrano la
Scienza della logica e le
Lezioni sulla storia della
filosofia) le principali
conquisteteoriche.
Le
plurimillenarie
vicende della civiltà
umana si concludono
inveceperKojèveconla
«fine della storia», una
teoria poi diffusa e
banalizzata
da
Fukuyama[236]. La «fine
della storia» non è
un’utopia,
ma
un
processo
in
corso,
inaugurato
da
Napoleone.
Si
è
raggiunto,
Occidente
infatti, in
lo «Stato
universale»,
basato
sull’uguaglianza di tutti
i cittadini, uno Stato
«omogeneo»,
perché
racchiude una società
senza classi. La lotta di
classe è terminata e il
capitalismo di matrice
fordista,
ridistribuisce
che
la
ricchezza, ha vinto la
sua
battaglia
sul
comunismo
sovietico
(non
donante,
ma
«prendente», in quanto
incamera
monopolisticamente la
ricchezza collettiva e
ridistribuisce
selettivamente, a suo
piacimento, lavoro e
beni di consumo). Ford
è, per Kojève, «il solo
marxista ‘ortodosso’ del
XXsecolo»[237]. L’attuale
consumismononèaltro
che
materialismo
realizzato, giacché il
capitalismo
assicura
vittorioso
la
soddisfazione
dei
bisogni. Ma questa
vittoriaimplicaanchela
ri-animalizzazione
dell’uomo, la caduta dei
confini tra uomo e
animale, la fine della
sua
evoluzione
dialettica
opposizioni
per
e
contraddizioni,
lo
svuotamento
dello
slancioversolalibertàe
della lotta contro la
natura. Si esauriscono i
conflitti dell’umanità,
siasulpianosocialeche
su quello naturale, vale
adireproprioitrattiche
la
caratterizzavano.
Scompare
così,
tendenzialmente,
«l’individuo libero e
storico»
protagonista
non solo delle «guerre e
delle
rivoluzioni
sanguinose», ma anche
delle lotte per il lavoro.
Le masse si sono ormai
imborghesite
e
convertite
al
consumismo e anche la
guerra fredda, prevede
Kojève, sarà vinta con
mezzi economici e non
militari
(non
si
dimentichicheKojèveè
stato a lungo un
funzionario di alto
livello
dello
Stato
francese,coinvoltonelle
discussioni sul piano
Marshall e chiamato a
intervenire nell’ambito
dell’OCSE
e
della
Comunità Europea). La
finedellastoriacoincide
con
la
fine
dell’emancipazionee,in
parallelo,
con
l’americanizzazione del
mondo.
Grazie
al
dominio
del
capitalismo, la distanza
tra paesi ricchi e paesi
poveri sarà destinata a
colmarsi. Una volta
soddisfatti i desideri,
spariscono
sia
l’opposizione soggettooggetto,sialenegatività
storiche e le lotte per il
lavoro.
Kojève,
sospettato perfino di
stalinismo,
non
è,
tuttavia, un apologeta
del capitalismo come lo
saràFukuyama.
Le
cose,
malgrado
però,
alcune
folgoranti anticipazioni,
si sono svolte in modo
diverso da come Kojève
aveva previsto. Le sue
tesi si sono in parte
avverate, ma nel senso
che la globalizzazione
tende sempre di più a
diventare ‘sistema’ in
un mondo unificato ma
conflittuale, dove civiltà
che a lungo si sono
ignorate o che hanno
mantenuto
rapporti
sporadici
con
l’Occidente nel suo
complesso
oggi
si
incontrano
e
si
scontrano (per ora con
mezzipacifici).Inparte,
invece, queste tesi sono
semplicemente
false,
almeno su due aspetti.
In primo luogo, lo Stato
universalenonsolonon
è nato, ma gli Stati
hanno perduto molta
della loro sovranità
rispetto
all’economia
finanziaria, che non
riescono più a tenere
sotto controllo perché
essa
sembra
avere
acquistato una vita
autonoma e anonima.
Sembra che lo schema
della hegeliana Filosofia
del
diritto
si
sia
capovolto: non è più lo
Stato a dominare quella
partedellasocietàcivile
che è l’economia (da
Hegel definita «sistema
dei bisogni»), ma è
piuttosto l’economia a
dominareloStato.
In secondo luogo, dal
puntodivistafilosofico,
le tesi di Kojève non
tengono
conto
–
nell’interpretazione di
Hegel
su
cui
inizialmentesibasano–
del fatto che la talpa
della storia continua
inconsciamente
a
scavaresottoterraconi
suoi ciechi occhi. Hegel
stabilisce, come ormai
sappiamo, un contrasto
e
una
simultanea
complementarità
tra
una filosofia giunta alla
fine di un’epoca, che
vede nel buio con i
grandiocchidicivetta,e
la talpa della storia che
frattanto
continua
inconsciamente
avanzare:
ad
l’una
contempla,l’altrafa.Chi
legge l’Introduzione alla
Storia della filosofia, con
tutti gli innegabili limiti
checontiene,sirenderà
inoltre conto che per
Hegel gli iniziatori, i
filosofi di rottura, sono
Parmenide nel mondo
antico,
Cartesio
all’inizio
dell’età
protomoderna e Fichte
nel
suo
tempo.
Attraverso il distacco
dal passato e l’oblio
delle
posizioni
precedenti, il loro è il
canto del gallo del
rinnovamento, di un
inizio, dell’affermazione
diunnuovo«principio».
Secondo la prefazione
allaprimaedizionedella
Scienza della logica, «nel
suo primo apparire, la
nuova creazione suole
abbandonarsi a una
ostilità fanatica contro
la
larga
sistematizzazione del
principio
precedente.
Essa suole anche in
parte aver paura di
perdersi nell’estensione
del particolare, in parte,
poi, rifugge dal faticoso
lavoro necessario al
perfezionamento della
costruzione scientifica,
onde, in mancanza di
quello, si attacca per lo
più dapprima a un
vuoto formalismo». A
un certo punto, accade,
tuttavia, che «il periodo
di fermentazione» del
nuovo
principio
si
esaurisca e che diventi
urgente il bisogno di
«una elaborazione e di
una
sapiente
trasformazione
del
materiale»
ereditato:
«V’è un periodo nella
formazione di un’epoca
storica,
come
nell’educazione di un
individuo,incuisitratta
soprattutto
conquista
della
e
dell’affermazione
del
principio nella sua
intensità
non
sviluppata. Un compito
superioreèperòdifarsì
che
quel
principio
diventi
scienza»[238].
Quando nelle filosofie
dall’adolescenza
si
passa alla maturità, il
nuovo
principio
si
struttura e si articola in
sistema: non ha più
paura di perdersi nei
particolarienonrifugge
dalla
«fatica
del
concetto». Nessun oblio
del
passato,
ma
integrazione
e
delimitazione della sua
sfera
di
validità
all’interno del sistema
che raccoglie il frutto di
tutti gli sforzi del
pensiero filosofico. Al
pari di Aristotele, Hegel
siconsideracoluicheha
dato una sistemazione
organica
principio
al
nuovo
dell’età
moderna, colui che sta
alla conclusione di
un’epoca, per altro da
poco
iniziata:
storicamente con la
Rivoluzione francese e,
filosoficamente,
con
Fichte (ma per lui in
questo breve arco di
tempo si sono svolti,
correndo con gli «stivali
delle sette leghe», «gli
anni più ricchi che la
storia universale abbia
avuto, e per noi i più
istruttivi,perchéadessi
appartengono il nostro
mondo, e le nostre
idee»)[239]. Ne consegue,
da un lato, che con la
sua filosofia Hegel non
intende
affatto
inaugurare
un’altra
epoca,
ma
ritiene,
appunto, che essa,
grazie allo scavare della
talpa della storia, avrà
un nuovo inizio non
prefigurabile, in quanto
egli
rifiuta
esplicitamente il ruolo
di «profeta»; dall’altro,
che il sistema non è la
forma necessaria che la
filosofia deve assumere,
ma soltanto quella che
si dispiega al culmine
della maturità di un
«principio»checonosce,
nel far della sera, il suo
prossimo declino[240]. In
questo
senso,
per
parafrasare
un’altrimenti bizzarra
considerazione
di
Rosenkranz, Hegel è
davvero «una natura
autunnale, un frutto
maturoesuccoso»[241].
La presunta chiusura
della storia[242] produce
anche un ulteriore
capovolgimento
delle
posizionihegeliane:seil
futuro è già contenuto
nelpresenteevisibileal
filosofo nelle sue linee
essenziali, allora il
filosofo è, nel senso di
Popper,unprofeta,enel
caso di Hegel (e di
Marx),
un
«falso
profeta»[243]. Ma in
realtà Hegel non è
affatto un profeta, né
vero né falso, e ci tiene
ancheadirlo:«Ilfilosofo
non
s’intende
di
profezie. Dal lato della
storia noi abbiamo
piuttosto a che fare con
ciòcheèstatoeconciò
che è, mentre nella
filosofia
non
ci
occupiamonédiciòche
è stato o che soltanto
sarà, ma di ciò che è ed
è eternamente: – della
ragione; e con ciò
abbiamo abbastanza da
fare»[244]. Se questo è
vero,
non
viene
invalidato
quanto
abbiamo affermato in
precedenza, ossia che il
filosofo vede il nuovo e
lo indica allo Stato, che
la filosofia non è senile
rassegnazione?
No,
perché il nuovo è già
visibile nel presente, la
rosa è inchiodata nella
croce, e la filosofia
discerne
proprio
il
nuovo effettuale sia dal
vecchio che dall’utopico
e dal profetico. Del
resto, non c’è in Hegel
tutta quella carica di
«storicismo»
–
di
dominio cioè nella
storiadileggiprevedibili
– che Popper gli
attribuisce. Per Hegel la
storia non ha «leggi»:
«Maciòchel’esperienza
e la storia insegnano è
proprio che i popoli e i
governi non hanno mai
appreso nulla dalla
storia, né hanno mai
agito secondo dottrine
che avessero potuto
ricavare
da
essa.
Ciascun popolo si trova
in una situazione così
individuale che si deve
decidere, e si deciderà,
da sé; ed è proprio solo
il
grande
carattere
quello che in tale scelta
sacoglierenelsegno.Le
situazioni storiche dei
popoli
sono
così
individuali, che rapporti
precedenti
non
si
adattano
mai
completamente a quelli
seguenti, a causa della
totale diversità delle
circostanze.
Nell’incalzare
degli
eventi mondiali a nulla
vale
un
principio
generale, a nulla il
ricordo di casi analoghi;
chéqualcosadisimilea
un pallido ricordo non
ha alcun potere nel
tempestoso
presente,
non ha alcuna forza
contro la vivacità e la
libertà del presente[245].
Non è poi esatto che in
Hegel
tutte
le
contraddizionifiniscano
in gloria, finiscano per
ricomporsi e che se ne
possa quindi simulare
con il pensiero la
soluzione: vi sono nella
storia perdite secche,
negazioni
che
non
comportano
alcun
beneficio,
alcun
progresso, come le
distruzioni
di
un
Tamerlano o di un
GengisKhanolaGuerra
dei
Trent’anni
che
«terminò con la pace di
Vestfalia senza che
fosse stato acquisito
alcunchéperilpensiero,
senza un’idea, con la
stanchezza di tutti, con
la devastazione totale,
in cui erano esaurite
tutteleforze,ecolpuro
lasciar fare e sussistere
entrambi i partiti sulla
base
della
forza
esteriore»[246]. La storia
non
ha
soluzioni
prefabbricate, sebbene
abbia delle tendenze
che sono il risultato
dell’azione di tutti.
Certo,
questo
movimento globale dà
luogoaforzecieche,che
sfuggono al controllo
dei singoli, ma Hegel
ritiene proprio che
queste forze debbano
essere
chiarite
per
essere
dominate,
debbano perdere il loro
aspetto
cieco.
Nel
riconoscerne l’esistenza
e il potere, nel negare
che esse dipendano
dalla coscienza degli
uomini,Hegelèlontano
dall’essere «idealista»
nel significato corrente
del
termine.
Egli
ammette anzi che c’è
una vasta estensione
dell’esistenza
che
sfugge al controllo della
coscienzaedelsaperee
che tutte le forme di
organizzazione sociale
finora
sperimentate
dagliuomininonhanno
ancoraottenutoilpieno
controllo di quelle forze
cieche.Questoperònon
implica affatto che egli
ne tessa gli elogi; al
contrario, ogni suo
sforzo è teso, attraverso
il sapere, a limitarne il
campo di esplicazione.
Non si tratta perciò di
«assecondare» queste
forze, e basta, ma si
tratta di comprenderle,
di
guidarle,
di
modificarle in accordo
con
le
situazioni
concrete,facendosìche
queste situazioni non
divengano, a loro volta,
limiti invalicabili, ma
siano
modificate
anch’esse. In questa
operazione la filosofia
lavora insieme alla
realtà effettuale, non
pretende di cancellarne
per incanto tutta la
cecità in un attimo,
anche perché l’uomo è
un essere incompiuto e
mutevole, che si sottrae
all’idea della presunta
fissità della «natura
umana» e non è
contenutounavoltaper
sempreall’internodiun
immodificabile
concetto: «Il concetto
universale della natura
umanacontieneinfinite
modificazioni […] la
natura
vivente
è
eternamentealtrocheil
suo concetto, per cui
quello che per il
concetto era semplice
modificazione,
pura
accidentalità, qualcosa
di superfluo, diviene
necessario,
vivente,
forse
ciò
che
unicamenteènaturalee
bello»[247]. Sebbene la
filosofia
stia
formalmentealdisopra
della sua epoca, perché
comprenderla significa
invecchiarla,
distruggerla
ulteriormente
per
andare oltre, è l’epoca
nel suo complesso che
deve,tuttavia,cambiare,
elasoluzionehegeliana
nonècosìassurdaquale
vienemostrata,comese
fosse esclusivamente la
coscienza a trainare il
peso del mondo. Hegel
non è il barone di
Münchhausen
che
voleva sollevarsi da
terra tirandosi per il
codino,
e
neppure
l’obbediente burocrate
prussianocheaspettava
l’imbeccata da Federico
Guglielmo III, «il suo
datore
di
lavoro»,
secondol’espressionedi
Popper.
11.Lacecitàdei
conflittieilimiti
diun’epoca
Cosa produce allora
l’illusione,seillusioneè,
che Hegel abbia nello
stesso tempo chiuso la
storia e profetizzato il
futuro? Cosa c’è di
verità
in
questa
illusione, intuìta al di là
degli
errori
d’interpretazioneedella
banalità dei luoghi
comuni?
Hegel
si
era
sicuramente
accorto
delle crepe presenti nel
suo tempo, rilevabili
anche dall’esame in
negativo, seguendo il
metodo che egli stesso
aveva utilizzato per
Platone: l’esistenza di
una «plebe» ai margini
dello Stato, animata da
sentimenti di odio e di
ribellione nei confronti
dell’ordine
costituito[248];
la
disgregazione
atomistica della società
deltempo,chenonsolo
rende difficile trovare
forme
adeguate
di
rappresentanza
politica[249], ma dà agli
organismi statali una
sensibile
fragilità,
ponendoilproblemadel
crollo delle istituzioni
come pericolo costante
da
combattere
e
generando una cesura
fra
governanti
e
governati: «i condottieri
(Führer) si son separati
dal popolo; essi non si
capiscono
a
vicenda»[250]; l’azione di
una
rivoluzione
sotterranea, dai tratti
ancora oscuri, che è in
marcia e non si lascia
facilmenteintendere,ed
è anche per il suo
avanzarecheilpensiero
è costretto a svilupparsi
e a estendere le sue
funzioni; l’acuirsi delle
difficoltà
e
contraddizioni
delle
economiche,
che
travalicano i confini
degli Stati e spingono i
governi a interessarsi
sempre
più
direttamente
della
società civile e dei suoi
sbocchi,
favorendo
l’espansione coloniale e
ponendo in posizioni di
forza quei paesi, come
gli Stati Uniti d’America
e la Russia, che per la
loro vastità potranno
assumere nella storia
futuraunruolodiprimo
piano[251]. Tutti questi
punti, in negativo, ma
soprattutto in positivo,
Hegel li ha esposti con
precisione
oppure,
brechtianamente, con
ironia dialettica: «Egli si
rendeva
conto
che
proprio
accanto
all’ordinepiùperfettosi
trova il più grande
disordine, anzi, giunse
finoadire:proprionello
stesso posto! Per Stato
egli intendeva qualcosa
che sorge là dove si
manifestano i più forti
contrastifraleclassi,di
modo che l’armonia
delloStatovive,percosì
dire, nella disarmonia
delle classi»[252]. Hegel
stesso,
d’altronde,
faceva dell’ironia sulla
situazione oggettiva del
suo tempo, difficile e
contraddittoria.
Scrivendo a un suo
allievoestone,Borisvon
Yxküll,ancheluimalato
di «ipocondria», «Hegel
si metteva a scherzare.
Egli
riteneva
che
l’Europa fosse diventata
una gabbia in cui solo
due espècen di uomini
sembrano
muoversi
liberamente: l’una, che
appartiene anima e
corpo a coloro che
chiudono la gabbia,
l’altra,checercasottola
grande
volta
delle
sbarre un angolino in
cui non debba prendere
posizione pro o contro
le sbarre stesse. Se la
coscienza
entra
in
dissonanza
con
i
rapporti esterni, essa
diventa
malata
o
infelice, se non riesce a
conciliarsi
con
la
veramente
situazione
effettiva delle cose,
allora la sua più
vantaggiosa decisione
sarà quella di vivere da
buon epicureo (o come
meglio lo si voglia
chiamare)edirimanere
per sé una persona
privata, posizione che è
quelladiunospettatore,
ma che lascia nello
stesso tempo anche la
possibilità di un’ampia
sfera di interventi»[253].
Che il più grande
disordine
coesistesse
conilpiùgrandeordine,
che
il
«leggero
mantello», di weberiana
memoria,
fosse
diventatouna«gabbiadi
ferro»[254], Hegel più o
meno chiaramente, più
omenoironicamente,lo
sapeva. Ma nutriva
contemporaneamentela
fiducia che lo «spirito»
avrebbe nel tempo
lungo trovato soluzioni
adeguate
a
queste
contraddizioni, che là
dove maggiore è il
pericolo, maggiore è la
possibilità di salvezza.
Egli condivideva la
concezione di molti
contemporanei,
che
erano riusciti a guadare
tanti
impetuosi
sconvolgimentistorici,e
cioè che la storia non si
arresta e le soluzioni
maturano
continuamente,
solo
che bisogna scoprirle e
applicarle. O, come
diceva Ferguson, un
autore letto da Hegel a
Berna:
quando
«L’umanità,
degenera e
tende alla sua rovina,
comequandomigliorae
ottiene
vantaggi
effettivi,
frequentemente avanza
con passi lenti e quasi
impercettibili […] ma
quando devastazione e
rovina minacciano da
ogni lato, gli uomini
sono di nuovo costretti
ad unirsi […] Quando
sembra giunta al suo
estremo
stato
di
corruzione, è allora che
la natura umana ha
effettivamente
cominciato
a
correggersi. Lo scenario
della vita umana è
frequentemente
cambiato in questo
modo»[255].
L’effetto di chiusura
della storia e nello
stessotempodiprofezia
del futuro è dato da
questacompattafiducia
hegeliana
nell’opera
dello «spirito», nella
capacità
che
esso
possiede di sanare le
sue proprie ferite e di
sorgere più forte di
prima
dalle
contraddizionisuperate.
È dato dal fatto che
Hegel non progetta (né
forse avrebbe potuto
farlo) un mondo nuovo
nella sua articolazione,
ma fa slittare in avanti
le
contraddizioni
irrisolte del presente,
affidando al tempo e
allospiritolacapacitàdi
risolverle. Il futuro
prevedibile
appare
quindi entro lo spazio
omogeneo
dominato
dallo spirito. In questa
prospettiva hegeliana
c’è
un
duplice
riconoscimento: da un
lato che non esiste
ancora
un
piano
cosciente,
concepito
dallesocietàumane,per
progettare e regolare la
realtà,laqualecontinua
così a muoversi alle
spalle degli uomini;
dall’altro
che
le
strutture
storicopolitiche
sono
abbastanza forti per
superare,
con
lo
strumento del pensiero,
le crisi ricorrenti nella
realtà. E questa fiducia
nelle forze della realtà
di autogenerarsi e di
autorigenerarsi
non
deriva dall’accettazione
del famigerato «Stato
prussiano»,
ma
di
qualcosa
di
più
profondo,diunsostrato
roccioso di scelte e di
pregiudizi
storici:
dall’accettazione
dei
meccanismi economici
e ideologici di una
formazione sociale che
accentual’antagonismo,
il conflitto, ma crede
nella
sua
ricomposizione.Sarebbe
ingenuo spiegare la
filosofia hegeliana con
questa opzione, ma
sarebbe
altrettanto
ingenuo
negarne
l’incidenza.
Hegel
accetta e difende sia la
proprietà privata, sia la
divisione del lavoro, sia
il crescente divario fra
grande ricchezza e
grande povertà, sia la
formazione della plebe,
e
non
li
ritiene
realisticamente
modificabili,
pur
giudicandoli fenomeni
negativi e dolorosi[256]. I
ciechi conflitti generati
dal mantenimento di
questi
elementi
fondamentali
devono
per
Hegel
essere
mitigati
e,
possibilmente,
eliminati, ma senza
toccare il motore di
tutto il processo, il
«valoreinfinito»eattivo
della soggettività, la
scoperta del «mondo
moderno»[257], da cui
discendono
come
corollari la proprietà
privata, gli ordinamenti
statali, la «libertà» e la
storia d’Europa. Se si
eliminasse
tale
soggettività,
tale
energeia,cesserebbeogni
dialetticacomesviluppo
e
si
ritornerebbe
all’immobilismo
dei
popoli extraeuropei. La
discriminante
storica
fra Hegel e Marx
consiste, su questo
punto, nel fatto che
Hegel
non
vuole
uccidere
l’«animale
selvaggio»
del
meccanismo economico
vigente,
ma
solo
sottoporlo
ad
«un
continuo
e
rigido
dominio
e
addomesticamento»[258]
dapartedello«spirito».
In questo senso, il
mondo descritto da
Hegel è veramente un
«regno animale dello
spirito»[259],
in
cui
permane la dualità
funzionale
e
ineliminabile di talpa e
civetta, di fiducia in
meccanismi terapeutici
ciechi
e
nel
miglioramento
della
visione notturna. E
quanto più è ignota la
direzione
sotterranea
della talpa, tanto più la
filosofia è costretta a
inoltrarsi nella «notte».
Così, quel che all’inizio
ci si era presentato
come una semplice rete
metaforica,una sorta di
zoologia filosofica, che
rinviava a una tematica
piùarcaicadimetafisica
e
metaforica
della
luce[260],conduceinvece
alla scoperta di nessi
teorici più vasti e
permetteditracciareun
primo
quadro
dei
rapporti fra filosofia
hegeliana ed epoca. Un
quadro
che
ha
cominciato
con
l’utilizzare le immagini
– con compiti di
disturboedierosionedi
interpretazioni diffuse e
di luoghi comuni –, per
avanzare
verso
la
ricostruzione della «rete
adamantina»
dei
concetti.
Procedendo
ulteriormente su questa
strada,
senza
però
abbandonare l’interesse
per i modelli analogici,
si dovrà ora rispondere
con maggiore organicità
alle
domande
di
partenza: Cosa significa
pensare? Cosa significa
comprendere
una
determinata
epoca
storicainpensieri?Cosa
significa comprendere
l’epoca di Hegel? Cosa
significa,infine,pernoi,
comprendere nel nostro
tempo e per il nostro
tempo l’epoca di Hegel
coltainpensieri?
[1] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, a cura di G.
Lasson, Leipzig, 1919-1920,
pp. 75, 77 (trad. it. di G.
Calogero e C. Fatta, Lezioni
sulla filosofia della storia,
Firenze, 1966-1967, rist., vol.
I, pp. 88, 90). Per un elenco
dei vari corsi berlinesi già
pubblicati sulla filosofia
della storia e degli altri
manoscritti ancora inediti
delle
trascrizioni
(Nachschriften),
cfr.
S.
Rodeschini, Costituzione e
popolo. Lo Stato moderno nella
filosofia della storia di Hegel
(1818-1831), Macerata, 2005,
pp. 281-294. Dei corsi sulla
filosofia della storia uno è
stato tradotto in italiano a
curadiS.Dellavalle:Filosofia
dellastoriauniversale.Secondo
corso tenuto nel semestre
invernale 1822-23, Torino,
2001. Tenendo conto che,
per lo più, si tratta di
appunti di studenti e che
quindinonsonostatistesie
riveduti da Hegel, la loro
conoscenza(comeanchenel
caso degli altri corsi sulla
filosofia del diritto, sulla
storia della filosofia, sulla
filosofia della religione e
sull’estetica)
amplia
e
specifica, con cautela, la
nostra attuale conoscenza
delpensierohegeliano.
[2]
Sul
linguaggio
hegeliano,
denso
di
immagini
(«l’elemento
barocco
delle
sue
espressioni mi ha spesso
colpito», racconta Heine nei
Geständnisse,inWerke,acura
di O. Wenzel, Leipzig, 1909
ss., vol. X, p. 171), cfr. K.
Rosenkranz, Hegels Leben,
Berlin, 1844, trad. it. di R.
Bodei, Vita di Hegel, Milano,
2012 (con testo tedesco a
fronte), pp. 813-814 [alla
fondamentale biografia di
Rosenkranzsisonoaggiunte
più recentemente quelle di
H. Althaus, Hegel und die
heroischen
Jahren
der
Philosophie, München-Wien,
1992(trad.it.VitadiHegel.Gli
anni eroici della filosofia,
Roma-Bari, 1993), di J.
D’Hondt, Hegel. Biographie,
Paris, 1998, e di T. Pinkard,
Hegel.
A
Biography,
Cambridge, 2000]; E. Bloch,
Subjekt-Objekt. Erläuterungen
zu Hegel, Frankfurt a.M.,
19622, pp. 18-30, trad. it. di
R. Bodei, Soggetto-Oggetto.
Commento a Hegel, Bologna,
1975, pp. 14-28; A. Koyré,
Notes sur la langue et la
terminologie hégélienne (1931),
ora nelle Études d’histoire de
la pensée philosophique, Paris,
1971, pp. 191-224. Sul
significatogeneraledellereti
dimetafore,cfr.Ch.Mauron,
Des métaphores obsedantes au
mythe personnel, Paris, 1963,
trad. it. di M. Picchi, Dalle
metafore ossessive al mito
personale,Milano,1966,pp.9
ss.
Sulle
implicazioni
teoriche delle metafore e
delle analogie in filosofia,
cfr.
H.
Blumenberg,
Paradigmen
zu
einer
Metaphorologie, Bonn, 1960,
trad. it. di M.V. Serra
Hansberg, Paradigmi per una
metaforologia,Bologna,1969e
E. Melandri, La linea e il
circolo. Studio logico-filosofico
sull’analogia, Bologna, 1968.
Sulla concezione hegeliana
delle metafore e sulla
distinzione fra metafore
morte, già passate nel
linguaggio
comune,
e
metafore vive, cfr. Hegel,
VorlesungenüberdieAesthetik,
a cura di H.G. Hotho, in
Hegel, Werke, Vollständige
Ausgabe durch einen Verein
von
Freunden
des
Verewigten, Berlin, 1832 ss.,
Berlin,1835,vol.X1,pp.517524, trad. it., condotta sulla
seconda edizione tedesca,
con alcune varianti di N.
MerkereN.Vaccaro,Estetica,
Torino,1967,pp.454-460.[La
prima e la seconda edizione
di Hotho divergono, specie
nel
primo
volume,
nell’impaginazione e nei
contenuti,
per
cui
i
riferimenti qui forniti alla
pagina tedesca possono
alcune volte rinviare all’una
o all’altra edizione.] È stata
pubblicata anche un’altra
edizione italiana con le
varianti di Hotho tratte da
diversicorsiberlinesi:G.W.F.
Hegel,
Estetica
secondo
l’edizione di H.G. Hotho con le
varianti delle lezioni del
1820/1821,1823,1826,acura
diF.Valagussa,Milano,2012
(con testo tedesco a fronte).
Vale la pena di osservare
che, in base alle ultime
edizioni e ricognizioni degli
appunti residui di Hegel e
deiquadernideisuoiuditori,
Hotho
ha
ampiamente
rimaneggiato ancora più
quadernideicorsidiestetica
compilatidaglistudenti(uno
aHeidelberg,1818,equattro
a Berlino: 1820-1821, 1823,
1826,
1828-1829,
quest’ultimoancorainedito),
tanto da inserire dei falsi
che hanno avuto poi una
grande diffusione, fino a
diventare
punti
di
riferimento canonici, quali
la definizione della bellezza
quale «apparenza sensibile
dell’idea» (vol. X1, p. 15),
espressione che Hegel non
ha mai usato e che ha
prestato il fianco all’accusa
di «platonismo» estetico,
quasi che Hegel volesse
sminuire
l’elemento
sensibiledell’arteafavoredi
quello concettuale della
filosofia. Si deve allo stesso
modo dire, per evitare
fraintendimenti, che la
formulazione esatta della
discussa teoria della morte
dell’arteèquellachesitrova
nel quaderno del 1826:
«carattere passato dell’arte
riguardo alla sua più alta
possibilità». Ciò significa,
però, non solo che Hegel
concepisce
l’arte
come
un’opera, un lavoro teso a
trasmettere
a
una
determinata comunità in
forma intuitiva, in linguaggi
verbali o figurati, il senso e
del soggetto e del mondo
(cfr. A. Gethmann-Siefert,
Nuove
fonti
e
nuove
interpretazioni dell’estetica di
Hegel, in L’estetica di Hegel, a
curadiM.FarinaeA.L.Siani,
Bologna,2014,pp.13-31),ma
anche che, mentre nel
passato
essa
svolgeva
questa funzione al massimo
delle sue possibilità, nell’età
moderna, dominata dalla
burocrazia,
dall’intelletto
(Verstand) e dalla prosa del
mondo, ciò non è più
possibileallostessolivellodi
intensità.
[3] Cfr. K. Kerényi, Die
Jungfrau und Mutter der
griechischen Religion. Eine
Studie über Pallas Athene,
Zürich,1952,passim.
[4]
Cfr. «Minerva. Ein
Journal
historischpolitischen Inhalts», a cura
di J.W. von Archenholz,
annate
1-20,
BerlinHamburg, 1792-1811, annate
21-42 continuato da F.A.
Braun,Jena,1812-1832.Sulla
metafora hegeliana della
civetta, cfr. J. D’Hondt, Hegel
secret, Paris, 1968, p. 24. In
un articolo sui «Berliner
Jahrbücher» della primavera
del 1831, Michelet, uno dei
discepoli più vicini a Hegel,
aggiungerà,
per
fugare
l’effetto
di
chiusura
dell’immagine della civetta,
che essa si ritira poi di
nuovo al canto del gallo del
mattino, cfr. H. Stuke,
Philosophie der Tat, Stuttgart,
1963,p.64.Sivedanoanche,
con differenti prospettive, i
lavori di D. Shapiro, TheOwl
of Minerva and the Colors of
theNight,in«Philosophyand
Literature», I (1977), pp. 276294; K. Stierle, Der Maulwurf
im Bildfeld. Versuch zu einer
Metapherngeschichte,
in
«Archiv
für
Begriffsgeschichte»,
XXVI
(1982), Heft 1, pp. 101-143;
O.D.Brauer,DialektikderZeit.
Untersuchungen zu Hegels
MetaphysikderWeltgeschichte,
Stuttgart-Bad
Cannstatt,
1982,p.186nota.Attraverso
analogie non verificabili,
quest’ultimo la interpreta
come un’allusione polemica
a un passo di Apuleio (Flora,
13,Iss.),dovesiaffermache
lafilosofianonè,comecerti
uccelli, e la civetta in
particolare, legata a un
tempo determinato, ad
esempio
al
crepuscolo,
mentre Hegel sostiene,
appunto, che è legata
all’imbrunire. I probabili
riferimenti
al
passo
hegeliano mi sembrano
piuttosto essere due: il
primo, più incerto, alla
Bibbia, il secondo, più
diretto, alla Metafisica di
Aristotele. Nel Salmo 102,7,
che contiene un lamento di
desolazione, l’autore dice di
sé: «Sono diventato come la
civetta della muraglia», che
fa sentire la sua voce tra le
rovine,
hegelianamente
quelle di un mondo che
scompare.
Aristotele
sostiene
invece
che
«l’intelligenza della nostra
animastadifronteallecose
che per natura sono più
evidenticomegliocchidelle
civette di fronte allo
splendoredelgiorno»(Arist.,
Met. II, 1,993 b 9-11, trad. it.
di C.A. Viano, Aristotele, La
metafisica, Torino, 1974, p.
229). È, tuttavia, probabile,
anche se Hegel poteva non
saperlo, che il termine
nykterides
utilizzato
da
Aristotele in questo passo
(ossia animali notturni,
come in latino noctua per
designare tanto la civetta
quanto il pipistrello) indichi
in lui proprio i pipistrelli,
anche perché nelle opere
biologiche,separandoquesti
animali dalle civette, dice
anche che le loro ali sono
«fatte di pelle» (cfr. Historia
animalium, I, 1,488 a 26; IV,
13,697b1-13).GiàinPlatone
il pipistrello è un essere
doppio, che non è né
uccello, né topo ed è perciò
paragonato a un eunuco
(Resp., V, 478 C). In quanto
animale notturno, che non
può sopportare la luce del
giorno è spesso paragonato
alla civetta (si veda un
autorecomeSestoEmpirico,
Phys., I, 247, che Hegel
conosceva
bene.
Sulla
natura della conoscenza in
rapporto a civette e,
soprattutto, pipistrelli nella
filosofiaantica,cfr.E.Ruaro,
Ilpipistrelloeilnousdell’anima
in Aristotele, in «Eidos.
Rassegna semestrale di
filosofia», I, 2003, pp. 75-98).
Aristotele sostiene, inoltre,
che la talpa riesce pur
sempre a vedere qualcosa,
cfr. Hist. anim., I, 9,421 b; IV,
8.552b36;Dean.,III,425a10
ss. Sebbene, anche secondo
Hegel, per la maggioranza
degli uomini del suo tempo
le cose più evidenti non
vengano colte, la filosofia
comincia a vedere meglio
proprio quando la luce del
solesiattenua,quando,cioè,
tramontando
il
sole
naturale, si innalza – alla
manieradiPlatone,Convivio,
219 A, secondo cui «l’occhio
spirituale comincia a vedere
con piena acutezza quando
la forza delle pupille
comincia a volgere in giù» –
ilsoledellospirito.
[5] Per E. Bloch, Subjekt-
Objekt. Erläuterungen zu
Hegel, cit., pp. 473-488 (trad.
it. cit., pp. 495-512), Hegel
sarebbe infatti vittima della
«malìa dell’anamnesi», della
teoria platonica per cui
conoscere è ricordare. Nel
Fedone, infatti, Cebete dice a
Socrate: «o Socrate, per
quella dottrina, se è vera, di
cui sei solito parlare così
spesso, che ogni nostro
apprendimento non è altro
in realtà che reminescenza
(anamnesis);anchepercotale
dottrina si dovrà pur
ammettere che noi si sia
appreso in un tempo
anteriorequellodicuioggici
ricordiamo» (Plato, Phaedo,
72 E). Ma su questa dubbia
interpretazione blochiana si
vedapiùavanti,pp.221-222.
[6] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 232
(trad. it. cit., vol. I, pp. 272273).
[7] Cfr. A. Gerbi, La disputa
delnuovomondo.Storiadiuna
polemica 1750-1900, Milano-
Napoli, 1955, pp. 153 ss.
Sulla concezione che Hegel
aveva
dell’America
(settentrionale
e
meridionale)
cfr.
S.
Rodeschini, Costituzione e
popolo, cit., pp. 251-256,
mentre sulle fonti hegeliane
sul mondo extra-europeo,
cfr. G. Bonacina, Note sulla
filosofia della storia di Hegel a
propositodiAustralia,America
e Africa, in «Quaderni di
storia»,
XXIX
(lugliodicembre 2003), pp. 17-66.
Sul rapporto tra geografia e
storia, cfr. invece Pietro
Rossi, Storia universale e
geografia in Hegel, Firenze,
1975.
[8] Hegel, Vorlesungen über
dieGeschichtederPhilosophiea
cura di K.L. Michelet, in
Werke, cit., voll. XIII-XV,
Berlin,1840-1844,2ªed.,vol.
XIII,pp.116,66(trad.it.diE.
Codignola e G. Sanna Lezioni
sulla storia della filosofia,
Firenze,1967,rist.,vol.I,pp.
115, 64). L’immagine dei
filosofi
«fannulloni»
è
riferibile alle parole di
Callicle nella Repubblica di
Platone, secondo cui il
filosofo è un essere inutile
che si separa dalla vita
politica, tipica degli adulti,
per bisbigliare con tre o
quattroragazzi,unimbelle–
insiste–chesipuòprendere
impunementeaschiaffi(cfr.
484Dss.).
[9] Hegel, Vorlesungen über
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XIV, p. 465 (trad. it.
cit.,vol.II,p.493).Ilpassoè
riferito alle proteste di
Catone il Censore contro la
corruzione degli antichi
costumi a cui porterebbe
l’introduzione della filosofia
grecaaRoma.
[10] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 19 Z 3
(seguo
l’edizione
E.
Moldenhauer e K.M. Michel
della Grande Enciclopedia o
System der Wissenschaft,
quella cioè che comprende
oltre al testo e alle note –
Anmerkungen,indicateconA
– dell’edizione 1830 tradotta
in Italia dal Croce, anche le
preziose aggiunte – Zusätze,
indicate con Z –, cfr. G.W.F.
Hegel, Werke in zwanzig
Bänden, a cura di E.
Moldenhauer und K.M.
Michel, Frankfurt a.M., 1970,
voll. 8-10). Della Grande
Enciclopedia esiste ora la
traduzione italiana delle
prime due parti a cura di V.
Verra:
Enciclopedia
delle
scienze
filosofiche
in
compendio, Parte prima, La
scienza della logica, Torino,
1981 e Enciclopedia delle
scienze
filosofiche
in
compendio, Parte seconda,
Filosofia della natura, Torino,
2002. Rispetto ai più famosi
eretici
del
pensiero
filosofico,
che
vennero
condannati a morte per le
loro idee (come Socrate o
Bruno), merita di essere
ricordato il panteista Giulio
Cesare Vanini (autore, fra
l’altro, del poema Deo),
bruciato vivo a Tolosa per
ateismo nel 1619, noto a
Hegel attraverso il manuale
di storia della filosofia di
Jakob Brucker, che lo definì
impietate
nomine
famigeratissimus
(Historia
critica philosophiae a tempore
resuscitatarum in Occidente
litterarum ad tempora nostra,
Tomus IV, pars altera,
Lipsiae, 1749, p. 185) e al
quale Hölderlin dedicò una
poesia che Schiller si rifiutò
di pubblicare sulla sua
rivista: «Empio osarono
dirti? Con anatemi /
Oppressero il tuo cuore e ti
legarono / E ti dettero alle
fiamme,/Osacrouomo![…]
Eppure quella che vivo
amasti e che ti accolse /
Morente, la sacra Natura si
scorda/L’agiredegliuomini,
e i tuoi nemici / Tornarono
come te nell’antica pace»
(Hölderlin, Vanini, in Grosse
StuttgarterHölderlinausgabe,a
curadiF.Beissner,Stuttgart,
1943-77,vol.I,1,p.262,trad.
it. di G. Vigolo, Vanini, in
Hölderlin, Poesie, Torino,
1963, p. 32). Su Vanini sono
da vedere L. Cornovaglia, Le
opere di Giulio Cesare Vanini e
lelorofonti,Roma,1933-1934;
G. Spini, Ricerca sui libertini,
Roma,1950;F.Politi,IlVanini
diHölderlin,in«Quaderni»,n.
10 (1988), pp. 265-281 e D.M.
Fazio, Giulio Cesare Vanini
nella cultura filosofica tedesca
del Sette Ottocento. Da Brucker
a Schopenhauer, Lecce, 1995,
pp.58-61.
[11]Hegel,Vorlesungenüber
die Philosophie der Religion, a
cura di Ph. Marheineke, in
Werke, cit., voll. XI-XII,
Berlin, 1832, vol. XII, p. 277.
Si veda anche l’edizione dei
Vorlesungsmanuskripte I, in
Gesammelte
Werke,
in
connessioneconlaDeutsche
Forschungsgemeinschaft a
cura
della
RheinischWestfälische Akademie der
Wissenschaften, Hamburg,
1968-, vol. 17, a cura di W.
Jaeschke,Hamburg,1987ele
Vorlesungen.
Ausgewälte
Nachschriften
und
Manuskripte, voll. 3-5, a cura
di W. Jaeschke, Hamburg,
1983-1985, trad. it. a cura di
R. Garaventa e S. Achella in
due volumi: G.W.F. Hegel,
Lezioni sulla filosofia della
religione, Napoli, 2003, 2008.
Un’affermazione analoga si
trova nella Prefazione alle
GrundlinienderPhilosophiedes
Rechts, a cura di J.
Hoffmeister,Hamburg,1955,
p.16,trad.it.diF.Messineo,
Lineamenti di filosofia del
diritto, Bari, 1965, p. 16:
«Riconoscere la ragione
come la rosa nella croce del
presente, e quindi godere di
questa–talericonoscimento
razionaleèlariconciliazione
conlarealtà,chelafilosofia
consente a quelli, i quali
hanno avvertito, una volta,
l’interna
esigenza
di
comprendere
e
di
mantenere appunto, la
libertà soggettiva in ciò che
è sostanziale e, al modo
stesso, di stare nella libertà
soggettiva, non come in
qualcosa di individuale e di
accidentale, ma in qualcosa
che è in sé e per sé». Sul
simbolismo rosacrociano e
l’origine alchemica della
rosa, cfr. F. Yates, The
Rosacrucian
Enlightment,
London-Boston, 1972, pp. 65
ss. Per un’immagine visiva
della rosa che ha per stelo
unacroce,cfr.l’illustrazione
inR.Fludd, SummumBonum,
Frankfurt a.M., 1626. Per la
presenza
di
questa
immagine in Hegel, cfr. G.
Lasson, Kreuz und Rose – Ein
Interpretationsversuch,
in
Beiträge zur Hegel-Forschung,
Berlin,1909eK.Löwith,Von
Hegel zu Nietzsche, ZürichWien, 1941, trad. it. di G.
Colli, Da Hegel a Nietzsche,
Torino,1949,pp.47-48.
[12] Cfr. K.L. Reinhold, Der
Geist des Zeitalters als Geist
der Philosofie, in «Neuer
Teutscher Merkur», edito da
C.M. Wieland, fascicolo III,
Weimar,1801,pp.167-193.
[13] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie, in Jenaer kritische
Schriften, a cura di H.
Buchner e O. Pöggeler, in
GesammelteWerke,cit.,p.99,
trad.it.diR.Bodei,Differenza
frailsistemafilosoficodiFichte
e quello di Schelling, in Hegel,
Primi scritti critici, Milano,
1971,pp.80-81.
[14] Cfr. K.R. Popper, The
Open Society and Its Enemies,
London, 19666, trad. it. di R.
Pavetto,acuradiD.Antiseri,
La società aperta e i suoi
nemici,Roma,1973,vol.II,p.
76.
[15]
Cfr. V. Cousin,
Souvenirs d’Allemagne, in
«Revue des Deux Mondes»,
XXXVI (1866), pp. 616, 618:
«egli era, come me, pervaso
dallo
spirito
nuovo:
considerava la Rivoluzione
francese come il più grande
passo che avesse fatto il
genere umano dopo il
cristianesimo e non cessava
di interrogarmi sulle cose e
sui personaggi di questa
grande epoca. Egli era
profondamente
liberale,
senza essere minimamente
repubblicano. Alla pari di
me,
considerava
la
repubblica come necessaria
forse per abbattere l’antica
società, ma incapace di
servire alla creazione di
quella
nuova,
e
non
separava la libertà dalla
monarchia
[…]
Non
dissimulava le sue simpatie
per i filosofi del secolo
scorso,perfinoperquelliche
avevano più combattuto la
causa del cristianesimo e
della filosofia spiritualista.
Come Goethe, li difendeva
fino a Diderot, e mi diceva
qualche volta: “Non siate
così severo, sono les enfans
perdus de notre cause”». Sui
rapporti tra Hegel e Cousin
cfr. P. Becchi, Hegel e Cousin.
Storie di plagi e di censure, in
«Verifiche»,XXIII(1994)n.3,
luglio-dicembre,pp.211-235.
Su altri enfants perdus de
notrecause,cfr.J.-C.Bourdin,
Hegel et les matérialistes
françaisduXVIIIesiècle, Paris,
1992. Per contrasto, sempre
restando nell’ambito della
storia della filosofia, si veda
il
giudizio
di
un
contemporaneo,
il
Tennemann, che nella sua
Geschichte der Philosophie,
Leipzig, 1798-1818, vol. XI,
pp. 312 ss., accusa i
philosophes di «immoralità,
leggerezza,gustodeipiaceri,
vanità, frivolezza, avida
ricerca della novità e del
brillante» (cfr. R. Mortier,
Diderot en Allemagne, 17501850, Paris, 1954, pp. 176177). Sul contributo della
filosofia alla Rivoluzione
francese, ancora valido D.
Mornet,
Les
origines
intellectuelles de la Révolution
française, Paris, 1933. Sugli
scritti di Weil, Ritter, De
Giovanni,
Racinaro,
a
proposito
del
rapporto
Hegel-Rivoluzione francese,
rinvio a R. Bodei, Studi sul
pensiero politico ed economico
di Hegel nell’ultimo trentennio,
in «Rivista critica di storia
della filosofia», XXVII (1972),
pp.476ss.eaC.CesaHegele
la Rivoluzione francese, in
«Rivistacriticadistoriadella
filosofia», XXVIII (1973), pp.
176ss.
[16]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, pp. 460-461
(trad. it. cit., vol. III, 2, p.
243).
[17] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 925
(trad.it.cit.,vol.IV,p.204).
[18] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, a cura di W.
Bonsiepen e R. Heede, in
GesammelteWerke,cit.,vol.9,
Hamburg, 1980, p. 316, trad.
it.
di
E.
De
Negri,
Fenomenologia dello spirito,
Firenze, 1963, vol. II, p. 124.
Esistono oggi altre buone
traduzioni italiane della
Fenomenologia dello spirito
(quella tradotta da V. Cicero
e curata da E. Arrigoni,
Roma, 2000, e quella
tradotta e curata da G.
Garelli, Torino, 2008), ma la
traduzione di Enrico De
Negri
–
che
seguo,
confrontandola
eventualmenteconlealtre–
continua a mantenere il suo
fascino, malgrado qualche
arcaismolinguistico.
[19] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenscheften,§394Z.
[20]
Hegel,
Jenenser
Realphilosophie II, a cura di J.
Hoffmeister, Leipzig, 1931,
pp. 246-248, trad. it. di G.
Cantillo, Filosofia dello spirito
jenese,Bari,1971,pp.185-187
[poiché
la
traduzione
italiana dei testi jenesi è
condotta sulle edizioni della
Jenenser Realphilosophie I e II,
non ho ritenuto utile
riferirmi alle più recenti
edizioni
degli
Jenaer
SystementwürfeI,acuradiK.
Düsing e H. Kimmerle, in
GesammelteWerke,cit.,vol.6,
Hamburg, 1975; degli Jenaer
Systementwürfe II, a cura di
R.-P.HorstmanneJ.H.Trede,
in Gesammelte Werke, cit.,
vol.7,Hamburg,1971edegli
Jenaer Systementwürfe III, a
cura di R.-P. Horstmann in
collaborazione
con
J.H.
Trede, in Gesammelte Werke,
cit., vol. 8, Hamburg, 1976].
Cfr.ibid., p. 248 (trad. it. cit.,
p. 187): «La tirannia viene
abbattuta dai popoli, perché
sarebbe
insopportabile,
infame ecc.; in effetti però
solo perché superflua […] Il
tiranno se fosse saggio
deporrebbeeglistessolasua
tirannia, non appena è
superflua; così invece la sua
divinità è solo la divinità
dell’animale, la necessità
cieca».Èquiavvertibilel’eco
lontana dello Ierone di
Senofonte, del dialogo fra il
tirannosiracusanoeilpoeta
Simonide, cfr. L. Strauss, De
latyrannie…suivideTyrannie
et sagesse par Alexandre
Kojève, Paris, 1954 (trad. it.
di D. De Pretto, Sulla
tirannide, Milano, 2010). Per
la valutazione hegeliana del
terrorerivoluzionario,cfr.D.
Grlic,RevolutionundTerror,in
«Praxis», VIII (1971), pp. 4961.
[21] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 321 (trad.
it.cit.,vol.II,p.132).
[22]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichie der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 467 (trad. it.
cit., vol. III, 2, p. 250). Cfr.
Hegel,
Auszäge
und
Bemerkungen, in Berliner
Schriften, a cura di J.
Hoffmeister,Hamburg,1956,
p. 693: «È ridicolo voler
sminuire i tedeschi perché
hanno imitato molto, non
avrebbero
imitato
se
avessero potuto produrre di
meglio».
[23]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 462 (trad. it.
cit.,vol.III,2,pp.244-245).
[24]Hegel,Vorlesungenüber
die Philosophie der Religion, a
cura di G. Lasson, Leipzig,
1927-1930,vol.II,p.37(trad.
it. di G. Borruso a cura di E.
Oberti, Lezioni sulla filosofia
dellareligione,vol.I,Bologna,
1973,p.370).
[25]JeanPaulanseinenSohn
Max, 20 febbraio 1821, in
Jean Paul, Sämtliche Werke, a
cura
della
Deutsche
Akademie
der
Wissenschaften zu Berlin,
sezioneIII,Briefe,acuradiE.
Berend, Berlin, 1952 ss., vol.
VIII,p.96.
[26] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie,cit.,p.80(trad.it.
cit.,p.98).Cfr.inG.Politzer,
Écrits, Paris, 1969, pp. 2 ss.,
l’accenno
a
una
«fenomenologiadeilumi»in
Hegel.
[27] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., pp. 14-15
(trad.it.cit.,vol.I,pp.8-9).
[28]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XIII, p. 69 (trad. it.
cit.,vol.I,p.67).
[29] Cfr. Hegel, Grundlinien
derPhilosophiedesRechts,cit.,
integrata per gli Zusätze
dall’edizione
Gans,
cfr.
Hegel,
Grundlinien
der
Philosophie des Rechts, a cura
diE.Gans,inWerke,cit.,vol.
VIII, Berlin, 18402, § 280 Z
(trad.it.cit.,p.383).
[30]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XIII, p. 69 (trad. it.
cit., vol. I, p. 67). Queste
affermazioni
hegeliane
contrastano
con
l’interpretazione
che
Althusser dà del ruolo della
filosofia in Hegel: cfr. L.
Althusser e É. Balibar, Lire le
Capital, Paris, 1965, trad. it.
di R. Rinaldi e V. Oskian,
Leggere il Capitale, Milano,
1968, pp. 101-102: «Il
presente
costituisce
in
effetti l’orizzonte assoluto di
ogniconoscenzapoichéogni
conoscenza non è mai altro
che
l’esistenza,
nella
conoscenza, del principio
interiore del tutto. La
filosofia, pur spingendosi il
più avanti possibile, non
supera mai i confini di
questo orizzonte assoluto:
anchesesiinnalzaavolo,la
sera appartiene ancora al
giorno, all’oggi, essa non è
altro che il presente riflesso
su di sé, riflesso sulla
presenzadelconcettoasé:il
domani, per essenza, gli è
proibito».
[31]Hegel,Vorlesungenüber
Rechtsphilosophie, 1818-1831,
Edition und Kommentar in
sechs Bänden von KarlHeinz Ilting, Stuttgart-Bad
Cannstatt, 1973-1974. I:
Naturrecht
und
Staatswissenschaft,nachdem
Vorlesungsmanuskript von
C.G. Homeyer, 1818/19,
Vorwort,pp.232-234.Proprio
perché–adifferenzaditutte
le altre lezioni berlinesi –
esisteva un testo curato
personalmente da Hegel (le
GrundlinienderPhilosophiedes
Rechts, fatta stampare da
Hegel nel 1820 e pubblicata
con data 1821), i quaderni
d’appunti degli scolari sui
corsi di filosofia del diritto
non vennero allora mai
pubblicati. L’edizione Ilting
di tali corsi del 1817-1818
[Hegel, Die Philosophie des
Rechts:
d.
Mitschr.
Wannemann
(Heidelberg
1817/18), a cura, con
introduzioni e commenti di
K.-H. Ilting, Stuttgart, 1983,
trad. it. di P. Becchi, Napoli,
1993, con una lunga Nota
editoriale, pp. 445-555; di
questi testi e di quelli del
1818/1819
esiste
anche
un’altra
edizione:
Vorlesungen über Naturrecht
und
Staatswissenschaft,
Heidelberg
1817/18
mit
Nachträgen aus der Vorlesung
1818/19 Nachgeschrieben von
P. Wannemann, a cura di C.
Becker, W. Bonsiepen, A.
Gethmann-Siefert,
F.
Hogemann,W.Jaeschke,Ch.
Jamme, H.-Ch. Lucas, K.R.
Meist e H. Schneider, con
una Introduzione di O.
Pöggeler, Hamburg, 1983,
che esiste ora anche in
formatoelettronico,assieme
ad altri corsi hegeliani di
diverso argomento), del
1818/1819,del1822/1823,del
1824/1825 e delle due prime
lezioni del novembre 1831
(cfr. Hegel, Vorlesungen über
Rechtsphilosophie 1818-1831,
cit.] riserva però alcune
sorprese: il taglio politico e
teorico di queste lezioni è
molto
più
aperto
e
battagliero rispetto al testo
del1821,el’accentocadepiù
sul necessario realizzarsi
della ragione, contro ogni
privilegio e ritardo nella
realtà storica, che non sul
rispetto
dovuto
alla
Wirklichkeit.
Tutto
ciò
ripropone in un’altra luce il
sensodellaFilosofiadeldiritto
del 1821, che diventa così
solo una delle diverse
formulazioni berlinesi, e si
rivela condizionata da una
precisasituazionestorica.Lo
sforzo dello Ilting, sebbene
guidato talvolta da una
preoccupazione
francamente eccessiva di
dare a Hegel un volto
liberale e progressista (cfr.
anche K.-H. Ilting, The
Structure of Hegel’s Philosophy
of Right, in Hegel’s Political
Philosophy. Probleme and
Perspectives a cura di Z.A.
Pelczynsky,
Cambridge,
1971, pp. 90-110), permette
tuttavia di affrontare in
maniera nuova la tematica
politica hegeliana. Oltre
all’edizione Ilting è stato
pubblicato il corso della
Filosofia del diritto del
1819/20:
Philosophie
des
Rechts. Die Vorlesung von
1819/20ineinerNachschrift, a
curadiD.Henrich,Frankfurt
a.M., 1983. Parti di questi
corsi sono stati tradotte da
D. Losurdo in G.W.F. Hegel,
Le filosofie del diritto. Diritto,
proprietà, questione sociale,
Milano,1989.
[32]Hegel,Vorlesungenüber
die Aesthetik, cit., vol. X1, p.
15(trad.it.cit.,p.15).
[33] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., pp. 766767 (trad. it. cit., vol. IV, pp.
14-15). Interessanti analisi
della concezione che Hegel
ha del mondo romano si
trovano in G. Bonacina,
Hegel, il mondo romano e la
storiografia. Rapporti agrari,
diritto, cristianesimo e tardo
antico,Firenze,1991einV.R.
Lozano, La vieja Roma en el
joven Hegel, Madrid, 2011, in
particolare pp. 151-161.
Malgrado sia evidente –
come è stato spesso
osservato – che il paragone
tra Grecia e Roma sia in
Hegel
completamente
sbilanciato a favore della
Grecia, Arnaldo Momigliano
ha rivendicato la fecondità
dell’interpretazione
hegeliana della storia di
Roma, cfr. Sui fondamenti
della storia antica, Torino,
1984, p. 181. Tra i grandi
personaggi di Roma, non
sempre
apprezzati,
campeggia
però
Giulio
Cesare, cfr. F. Biasutti,
L’occhiodelconcetto.Pensieroe
trasparenza della storia in
Hegel,Pisa,2002,pp.137-156.
[34]
Su questa famosa
espressione vedi più avanti,
pp.69-70.
[35]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XIV, p. 170 (trad. it.
cit.,vol.II,p.177).
[36] Hegel an Schelling, fine
gennaio 1795, in Briefe von
und an Hegel a cura di J.
Hoffmeister (voll. I-III) e R.
Flechsig (vol. IV), Hamburg,
1952-1960, vol. I, p. 18, trad.
it. di P. Manganaro, G.W.F.
Hegel, Epistolario 1785-1808,
vol.I,Napoli,1983,p.11.
[37] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 676
(trad.it.cit.,vol.IV,p.14).
[38] Ibidem, p. 881 (trad. it.
cit.,vol.IV,p.151).Cfr.ibid.,
p.914(trad.it.cit.,vol.IV,p.
190).
[39] Ibid., p. 871 (trad. it.
cit.;vol.IV,p.139).
[40] Ibid., p. 855 (trad. it.
cit.,vol.IV,p.120).
[41] Ibid., p. 871 (trad. it.
cit.,vol.IV,p.139).
[42] Ibid., p. 870 (trad. it.
cit.,vol.IV,p.138).
[43]Ibid., pp. 875-876 (trad.
it.cit.,vol.IV,pp.143-144).
[44]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 240 (trad. it.
cit., vol. III, 2, p. 2). Questa
immagine degli stivali delle
sette leghe, che risale a
Perrault e alla tradizione
popolare, era stata resa
d’attualità nel 1813 dal
racconto di Chamisso, Peter
Schlemihls
wundersame
Geschichte (trad. it. Storia
straordinaria
di
Peter
Schlemihl, Firenze-Viterbo,
1997).
[45] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 884
(trad.it.cit.,vol.IV,pp.154155).
[46]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 485 (trad. it.
cit.,vol.III,2,p.268).
[47] Ibid., vol. XV, p. 250
(trad.it.cit.,vol.III,2,p.13).
Cfr. ibid., vol. XIV, pp. 170171 (trad. it. cit., vol. II, p.
178).
[48]Hegel,Vorlesungenüber
dieAesthetik,cit.,vol.X1, pp.
248-249(trad.it.cit.,pp.220,
219).
[49] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, cit., §
260(trad.it.cit.,p.218).
[50] Ibid., pp. 190, 191, 193
(trad.it.cit.,pp.169,171).
[51] Cfr. Hegel, Philosophie
derWeltgeschichte,cit.,p.932
(trad. it. cit., vol. IV, p. 212):
«La restaurazione della
monarchia non poté portare
la pace in Francia. Si
manifestò di nuovo il
contrasto
tra
il
convincimento
e
la
diffidenza.
I
Francesi
s’ingannavano
reciprocamente,
quando
componevanoindirizzipieni
di devozione e amore per la
monarchia, per i benefizî da
essa arrecati. La farsa durò
quindi anni». Dalla fusione
di
due
affermazioni
hegeliane Marx ha tratto la
sua famosa tesi secondo cui
«tutti i grandi personaggi
della storia universale si
presentano, per così dire,
duevolte.Hadimenticatodi
aggiungere: la prima volta
come tragedia, la seconda
come farsa» (Marx, Der
achtzehnterBrumairedesLouis
Bonaparte, in Marx-Engels,
Werke (MEW), Berlin, 19531990, vol. 8, trad. it. Il 18
brumaio di Luigi Bonaparte,
Roma,2006,p.19).
[52]Hegel,Vorlesungenüber
die Aesthetik, cit., vol. X2, p.
231 (trad. it. cit., p. 676).
Sullohumour,mainrapporto
a Jean Paul e al Divano
occidentale-orientale
di
Goethe, cfr. A. GethmannSiefert, Einführung in Hegels
Aesthetik, München, 2005,
pp.340-347.Conlohumoursi
acquista per Hegel una
maggiore intimità con se
stessi (Verinnigung), cfr. T.
Pinkard, Hegel’s Naturalism.
Mind, Nature, and the Final
Ends of Life, Oxford, 2012, p.
79. Tale maggiore intimità,
aggiungo, deriva anche dal
vedersi distaccati dagli
eventi, perché si è acuita e
consumata,finoaprenderne
ledistanze,lacondizionedel
cristianoinquanto«anfibio»
costretto a vivere in due
mondi
separati,
quello
terreno,realecontuttiisuoi
conflitti e meschinità, e
quello celeste, frutto di
speranza.
[53]Hegel,Vorlesungenüber
dieAesthetik,cit.,vol.X3, pp.
527-528 (trad. it. cit., pp.
1336-1337).
La
tragedia
moderna
è
invece
caratterizzata dal prevalere
di fini soggettivi piuttosto
che dalla collisione delle
potenze etiche: «in generale
nella tragedia moderna gli
individui non agiscono in
vistadellatosostanzialedei
loro fini né questo è ciò che
si afferma come impulso
nella loro passione, bensì è
lasoggettivitàdellorocuore
e animo, la particolarità del
loro carattere quella che
preme
per
essere
soddisfatta» (ibid., vol. X3, p.
566,trad.it.cit.,p.1368).Per
alcune considerazioni sul
declino dell’eroe in tempi
moderni,cfr.R.BonitoOliva,
Frattureericomposizioni.Eroie
uomini in cerca di qualità, in
Labirinti e costellazioni. Un
percorso ai margini di Hegel,
Milano-Udine, 2008, pp. 4152.
[54] Ibid., vol. X3, p. 580
(trad. it. cit., p. 1380). Anche
in questo caso si può
riconoscere nelle parole di
Marx l’eco della lezione di
Hegel: «Gli dèi della Grecia,
chegiàunavoltaeranostati
feriti a morte nel Prometeo
incatenato
di
Eschilo,
dovettero ancora una volta
morire comicamente nei
DialoghidiLuciano.Perchéla
storiaprocedecosì?Affinché
l’umanità
si
separi
serenamentedalsuopassato»
(Marx,
Zur
Kritik
der
Hegelschen Rechtsphilosophie,
in MEW, cit., vol. 1, trad. it.
Per la critica della filosofia del
diritto di Hegel, in Id., La
questioneebraica,Roma,1991,
p.55).
[55]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 250 (trad. it.
cit.,vol.III,2,pp.13-14).
[56] Ibid., p. 249 (trad. it.
cit.,vol.III,2,p.12).
[57]Ibid.,p.82(trad.it.cit.,
vol. III, 1, pp. 89-90). Nelle
Vorlesungen
über
die
PhilosophiederReligion (1821),
nuova ed. a cura di W.
Jaeschke, 3 voll. Hamburg,
1993-1995, vol. 3, pp. 96-97,
Hegel si serve di un altro
paragone e dice che la
«filosofia è un santuario
separato»eisuoiinservienti
(Diener) formano un ceto
sacerdotale isolato, che non
simescolaconilmondoeha
il compito di custodire la
verità.
[58] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.15(trad.it.
cit.,vol.I,p.9).
[59] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, Z zur
Vorrede(trad.it.cit.,p.302).
[60] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§19Z3.
[61]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichie der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 552 (trad. it.
cit.,vol.III,2,pp.340-341).
[62]Hegel,Vorlesungenüber
die Aesthetik, cit., vol. X2, p.
118(trad.it.cit.,p.580).
[63]Ibid.,vol.X1,pp.193ss.
(trad.it.cit.,pp.171ss.).Che
il presente fosse un’epoca
prosaica era un concetto
sviluppato soprattutto da
GoethenelleGeistesepochen.
[64]Hegel,Vorlesungenüber
dieAesthetik,cit.,vol.X2, pp.
216-217(trad.it.cit.,pp.663664). Sulla lotta delle
individualità nel romanzo
modernosecondoHegel,cfr.
F. Rhöse, Konflikt und
Versöhnung. Untersuchungen
zur Theorie des Romans von
Hegel bis zum Naturalismus,
Stuttgart,1978,pp.18ss.
[65] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie,cit.,p.14(trad.it.
cit.,p.15).
[66] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.13(trad.it.
cit.,vol.I,p.7).
[67]Hegel,Vorlesungenüber
die Aesthetik, cit., vol. X1, p.
42(trad.it.cit.,p.40).
[68] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§396Z.
[69] Hegel, Über das Wesen
der philosophischen Kritik
überhaupt, in Jenaer kritische
Schriften,cit.,p.126.
[70] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§396Z.
[71]
«L’esser maturi è
tutto» (ripeness is all; W.
Shakespeare,King Lear, V, II,
v.11).
[72]HegelanWindischmann,
27maggio1810,inBriefe,cit.,
vol.I,pp.314-315(trad.it.di
P. Manganaro [e G. Raciti],
G.W.F. Hegel, Epistolario
1808-1818, Napoli, 1988 [=
vol. 2], pp. 90-91). Questa
«crisi di ipocondria», durata
«un
paio
d’anni»,
probabilmente
tra
il
1796/1797 e il 1799, è
importante da analizzare
perché «ha durevolmente
inciso sul carattere di Hegel
edunquesullasuaopera»(P.
Osmo, Présentation à K.
Rosenkranz, Vie de Hegel
suivi de Apologie de Hegel
contre le docteur Haym, Paris,
2004, pp. 12-13). Hegel ne
aveva parlato anche con il
suo
discepolo
Gabler,
dicendoche«chiunquehain
séqualcosadipiù,unavolta
nella vita deve passare
attraverso una ipocondria,
durantelaqualesidissociadal
suo mondo precedente e dalla
sua natura inorganica» (F.
Rosenzweig, Hegel und der
Staat, München-Berlin, 1920,
trad. it. di A.L. Künkler
Giavotto e R. Curino,
IntroduzionediR.Bodei,Hegel
e lo Stato, Bologna, 1976, p.
115). Sul tema, cfr. R. Bonito
Oliva, Coscienza, inconscio,
follia.Osservazioniintornoalla
«Filosofia dello spirito jenese di
Hegel»,
in
«Atti
dell’Accademia di scienze
morali e politiche», XC
(1979), pp. 383-407; G.
Severino, Inconscio e malattia
mentale in Hegel, Genova,
1983 e F.A. Iannaco, Hegel in
viaggio da Atene a Berlino. La
crisi di ipocondria e la sua
soluzione,Roma,1997,pp.92114. Dell’ipocondria Hegel
avevatrattatonelcorsosulla
filosofia dello spirito del
semestre invernale 18271828,
definendola
«sensazione della propria
negatività, della propria
debolezza
[…]
questa
melanconia
è
spesso
congiunta
all’impulso
suicida, così che la volontà
nonpuòimporsiall’impulso,
e, se non porta a termine il
fatto, accade solo perché
viene ostacolato da altri»
(Hegel, Vorlesungen über
Philosophie des Geistes (182728),trascrizioneacuradiJ.E.
Erdman e F. Walter [Hegel,
Vorlesungen,
vol.
XIII],
Hamburg, 1994, p. 89, trad.
it. di R. Bonito Oliva, Lezioni
sulla filosofia dello spirito:
Berlino, semestre invernale
1827-28, Milano, 2000, p.
195).
[73] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§408Z.
[74] Schelling, Philosophie
der Offenbarung, in Werke, a
cura
di
M.
Schröter,
München, 1927 ss., volume
suppl. VI, p. 299, trad. it. di
A. Bausola, Filosofia della
rivelazione, Bologna, 1972,
vol.I,pp.378-379.
[75] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 408 Z.
Hegel
segue
qui
sostanzialmenteleposizioni
di Pinel. Cfr. Ph. Pinel, Traité
médico-philosophique
sur
l’aliénation mentale ou la
manie, Paris, 1801. Le
posizioni di Pinel sono
contrapposte da Hegel a
quelle, che non gli paiono
all’altezza, di J.C. Reil,
Rhapsodien über Anwendung
der psychischen Kurmethode
aufGeisteszerrüttungen,Halle,
1803, cfr. Hegel, Vorlesungen
über Philosophie des Geistes
(1827-28), cit., p. 86 (trad. it.
cit., p. 193). Sulle cognizioni
che Hegel aveva di problemi
legati alla psichiatria, cfr. i
cenni di H.-Ch. Lucas, Die
«souveräneUndankbarkeit»des
Geistes gegenüber der Natur.
Logische
Bestimmungen,
Leiblichkeit,
animalische
Magnetismus und Verrücktheit
in Hegels «Anthropologie», in
Psychologie und Anthropologie
oder Philosophie des Geistes,
Beiträge zu einer HegelTagung in Marburg 1989, a
cura di F. Hespe e B.
Tuschling,
Stuttgart-Bad
Cannstatt, 1991, pp. 269-296
e, più dettagliatamente, da
D. Berthold-Bond, Hegel’s
Theory of Madness, Albany,
1995.
[76] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§408Z.
[77] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 408 Z. Cfr.
Hegel, Vorlesungen über die
Aesthetik, cit., vol. X1, p. 62
(trad. it. cit., p. 57): «L’uomo
può rappresentarsi cose che
non sono reali come se lo
fossero».
[78] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§408Z.
[79]Ibid.
[80]Hegel,Vorlesungenüber
Philosophie des Geistes (1827-
28),cit.,p.85(trad.it.cit.,p.
191).
[81] Cfr. R. Bodei, Politica e
tragedia in Hölderlin, in
«Rivista di estetica», XIV
(1969), pp. 382-412. Molto si
è scritto e si è discusso,
anche a livello psichiatrico,
sulla follia di Hölderlin. Egli
ha
indubbiamente
continuato
a
scrivere
magnifiche poesie, ma non
ha certo finto di essere
pazzo, come ha sostenuto,
seppur
con
raffinati
argomenti, F. Bertaux in
Friedrich Hölderlin, Frankfurt
a.M., 1978 (su cui si vedano
le critiche di U. Henrik,
Hölderlin.WiderdieThesevom
edlen Simulanten, Reinbek
b.H., 1982). È, invece, più
giusto sostenere che «il
pensatore era già distrutto
quando il poeta era ancora
sano»
(R.
Haym,
Die
romantische Schule, Berlin,
19143, trad. it. La scuola
romantica,
Milano-Napoli,
1965,p.354).Sulsensocheil
termine «giacobino» aveva
tra i giacobini tedeschi, cfr.
Ch.
Prignitz,
Friedrich
Hölderlin. Die Entwicklung
seines politischen Denkens
unter dem Einfluß der
Französischen
Hamburg,1976.
[82]
Revolution,
Sulla
figura
di
Christiane Hegel, cfr. A.
Birkert, Auf den Spuren einer
ungewöhlichen Frau um 1800,
Ostfildern, 2008 e P. Kriegel,
Eine Schwester tritt aus dem
Schatten. Überlegungen zu
einer neuen Studien über
Christiane Hegel, in «HegelStudien», 45 (2010), pp. 19-
34. Della malattia della
sorella, Hegel parla in una
lettera del 31 marzo 1820 al
cugino Friedrich Ludwig
Göritz, cfr. Ein unbekannter
Brief Hegels an Friedrich
LudwigGöritz,comunicatada
B. Kortländer, in «HegelStudien», 24 (1989), pp. 9-13
e di lei si occupa, trattando
argomenti
legati
alla
quotidianità, in una delle
poche altre lettere salvate,
quella del 21 agosto 1825,
cfr.
«An
Madamoiselle
Christiane
Hegel».
Ein
unveröffentlicher Brief Hegels
und ein Briefkonzept des
Dekans Göritz, comunicata e
illustratadaH.-Ch.Lucas,in
«Hegel-Studien», 22 (1987),
pp.9-16.Sull’amorepurotra
sorelle teorizzato da Hegel a
proposito di Antigone, cfr.
H.-Ch.
Lucas,
Zwischen
Antigone und Christiane. Die
Rolle der Schwester in Hegels
BiographieundPhilosophieund
in Derridas «Glas», in «HegelJahrbuch», 1984/85 [1988],
pp.409-442.
[83]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 473 (trad. it.
cit., vol. III, 2, p. 257). Sul
senso della Wirklichkeit in
Hölderlin, cfr. R. Bodei,
Politica e tragedia in Hölderlin,
cit.,eId.,Hölderlin:lafilosofia
e
il
tragico,
Saggio
introduttivo a Hölderlin, Sul
tragico, a cura di R. Bodei,
nuova edizione riveduta e
ampliata,Milano,1989e,sul
rapporto tra Hegel e
Hölderlin, D. Henrich, Hegel
und Hölderlin, in Id., Hegel im
Kontext,Frankfurta.M.,2010,
pp. 9-40. Per la carriera
esemplare del «girella»
emerito dell’epoca e per le
suemotivazionistoriche,cfr.
D. Cooper, Talleyrand, trad.
it.diM.Vinciguerra,Milano,
19742;R.Calasso,Larovinadi
Kash, Milano, 19832, e G.
Ferrero, Tayllerand a Vienna,
acuradiS.Romano,Milano,
1999.
[84] K. Rosenkranz, Hegels
Leben,cit.,Urkunden,p.519.
[85] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, cit., § 20 A
(trad. it. di B. Croce,
Enciclopedia delle scienze
filosofiche,Bari,19513,p.31).
[86] Ibid., § 81 A (trad. it.
cit.,p.87).Conilconcettodi
«dialettica
negativa»,
Adorno non fa altro – in
parte senza rendersene
conto
del
tutto
e
confondendo la «dialettica»
di
Hegel
con
la
«speculazione»
–
che
riprendere a modo suo
l’autentica idea hegeliana di
«dialettica»;rimando,perun
inquadramento, a R. Bodei,
Strappare il vero dal falso,
introduzione
a
Th.W.
Adorno,DreiStudienzuHegel,
Frankfurt a.M., 19712 (ora
ancheinGesammelteSchriften
in zwanzig Bänden, Frankfurt
a.M.,2003,vol.5),trad.it.di
F. Serra, rev. di G. Zanotti,
Tre studi su Hegel, Bologna,
2014, pp. 7-26. Per una
interpretazione
della
dialettica e del metodo
dialetticoinHegeldalpunto
di vista della filosofia
analitica, cfr. F. Berto, Che
cos’è
la
dialettica.
Un’interpretazione analitica del
metodo, Prefazione di D.
Marconi,Padova,2005.
[87]
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, § 82 (trad. it.
cit.,pp.31-32).
[88] Hegel, Wissenschaft der
Logik, a cura di G. Lasson,
Leipzig,19512,rist.,vol.II,p.
58(trad.it.diA.Moni,revis.
diC.Cesa,Scienzadellalogica,
Bari, 1968, vol. II, pp. 490491).
[89]Ibid.,p.59(trad.it.cit.,
p. 492). Per un primo
inquadramento,
cfr.
G.
Rinaldi, A History and
Interpretation of the Logic of
Hegel,Lewiston,1992.
[90]
Cfr.
W.
Sellars,
Empiricism and the Philosophy
of Mind, Cambridge, Mass.,
2000, trad. it. Empirismo e
filosofia della mente, Torino,
2004 (con Introduzione di R.
Rorty);R.B.Brandom,Making
it
Explicit.
Reasoning,
Representing and Discursive
Commitment,
Cambridge,
Mass., 1994, e si veda S.
Poggi, Attraversare il confine:
Interno, esterno, intenzionalità.
Ancora su Brandom interprete
di Hegel, in AA.VV., Lo spazio
sociale della ragione. Da Hegel
in avanti, Milano-Udine,
2009,pp.303ss.
[91]Cfr.piùavanti,pp.118-
119.
[92]Hegel,Vorlesungenüber
die
Philosophie
der
Weltgeschichte (trad. it. cit.,
vol.I,p.153).
[93] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§393Z.
[94]Hegel,Vorlesungenüber
Aesthetik, cit., vol. X1, p. 211
(trad.it.cit.,p.182).
[95] Ibid., vol. X1, p. 221
(trad.it.cit.,p.182).
[96] Cfr. R. Bodei, Il primo
romanticismo come fenomeno
storico e la filosofia di Solger
nell’analisi di Hegel, in «autaut»,n.101,1967,pp.3-15e
J. Reid, L’anti-romantique.
Hegel contre le romantisme
ironique,QuébecVille,2007.
[97] M. Foucault, La folie,
l’absenced’œuvre,in«Latable
ronde»,n.196(1964),pp.1121,inseritopoiinappendice
alla
nuova
edizione
dell’Histoire de la folie à l’âge
classique,Paris,1976,trad.it.
La follia, l’assenza d’opera.
Storia della follia nell’età
classica,Milano,1977,p.628.
Per un chiarimento del
concetto di negazione nel
contesto della Scienza della
logica,
cfr.
Ch.
Iber,
Metaphysik
absoluter
Relationalität, Berlin, 1990,
pp. 219-237. Sulla struttura
dell’assoluto,
V.
Rühle,
Verwandlung der Metaphysik.
ZursystematischenDarstellung
des Absoluten bei Hegel,
München,1989.
[98] Cfr. D. Trombadori,
Colloqui con Foucault (1978),
Roma, 19992, p. 34; B.
GallaghereA.Wilson,Michel
Foucault, an Interview. Sex,
Power and Politics of Identity
(1982), trad. it. Michel
Foucault,un’intervista.Ilsesso,
il potere e la politica
dell’identità,
in
Archivio
Foucault 3. Interventi, colloqui,
interviste, Milano, 1998, p.
298.
[99]Traletanteoccorrenze
di questo tema, cfr., in
rapporto alla follia, M.
Foucault, Les mots et les
choses. Une archéologie des
scienceshumaines(1966),trad.
it. Le parole e le cose.
Un’archeologia delle scienze
umane, Milano, 1988, p. 14:
«lastoriadellafolliasarebbe
la storia dell’Altro – di ciò
che, per una cultura, è
interno e, nello stesso
tempo,estraneo,eperciòda
escludere
(al
fine
di
scongiurarne il pericolo
interno)maincludendolo(al
fine di ridurne l’estraneità);
la storia dell’ordine delle
cose sarebbe la storia del
Medesimo – di ciò che, per
una cultura, è a un tempo
disperso e imparentato, e
quindi
da
distinguere
mediante contrassegni e da
unificare entro identità». Si
vedano, inoltre, G. Deleuze,
Différence et répétition, Paris,
1968, trad. it. Differenza e
ripetizione,Bologna,1971;Id.,
Logique du sens, Paris, 1969,
trad. it. La logica del senso,
Milano,1975;G.DeleuzeeF.
Guattari,
L’Anti-Œdipe.
Capitalisme et schizophrénie,
Paris, 1972, trad. it. L’AntiEdipo.
Capitalismo
e
schizofrenia, Torino, 1975; G.
Deleuze e F. Guattari,
Rhizome, Paris, 1976, trad. it.
Rizoma,Parma,1977.
[100] Sul senso di questa
espressione, cfr. F. Hespe,
«Die Geschichte ist der
Fortschritt im Bewußtsein der
Freihheit». Zur Entwicklung
von Hegels Philosophie der
Geschichte,
in
«HegelStudien», 26 (1991), pp. 193211.
[101] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.15(trad.it.
cit., vol. I, p. 9). Cfr. la
risonanza di questo tema in
Heine, nella prefazione del
1851 alla terza edizione dei
Neue Gedichte: «È una strana
efortunatacreaturailpoeta;
egli vede i boschi di querce
che ancora sonnecchiano
nella ghianda, e conversa
con le generazioni che
ancora devono nascere».
Anche il filosofo vede con
Hegel in una ghianda o in
una «culla» il mondo nuovo
chestapersorgere.
[102] Shakespeare, Hamlet,
attoI, scena V,trad. it. diG.
Baldini,
Amleto,
in
Shakespeare, Opere complete.
III: Tragedie, Milano, 1963, p.
716. Su questa metafora
shakespeariana, cfr. H.
Granville-Barker, Prefaces to
Shakespeare.IIISeries:Hamlet,
London, 1951, trad. it. di G.
Brunacci,
Introduzione
all’Amleto, Bari, 1959, p. 55.
Comemezzodicontrasto,si
può
osservare
quanto
diversa sia l’immagine della
talpainSchopenhauer,dove
rappresenta
il
cieco
avanzare senza scopo degli
uomini: «Si consideri per
esempio la talpa, questa
infaticabile
lavoratrice.
Scavare faticosamente con
le sue enormi zampe a
paletta – è l’occupazione di
tutta la sua vita, la circonda
la notte perpetua: essa ha i
suoi occhi embrionali solo
per sfuggire la luce. Essa
soltanto è un vero animal
nocturnum, non lo sono i
gatti,lecivetteeipipistrelli,
che di notte ci vedono. Ma
cosa ottiene poi la talpa per
questa vita stentata e vuota
di
gioia?
Cibo
e
accoppiamento: cioè solo
mezzi per proseguire lo
stessotristecammino,eper
incominciare da capo in un
nuovo individuo» (Die Welt
als Wille und Vorstellung, in
Sämtliche Werke, a cura di A.
Hübscher,
Wiesbaden,
19723, vol. II, pp. 403-404,
trad. it. di S. Giametta, Il
mondo come volontà e
rappresentazione,
Supplementi al libro II, cap.
28,Milano,2006,p.1665).
[103] Cfr. Herder, Auch eine
Philosophie der Geschichte zur
Bildung der Menschheit (1774),
in Sämtliche Werke, a cura di
B. Suphan, Berlin, 1884 ss.,
trad. it. di F. Venturi, Ancora
una filosofia della storia per
l’educazione
dell’umanità,
Torino, 19712, p. 6, e Kant,
Kritik der reinen Vernunft, A
319; B 375-376 in Kants
Gesammelte
Schriften,
Akademie-Ausgabe, BerlinLeipzig, poi Berlin, 1900 ss.,
vol.V,trad.it.diG.Gentilee
G. Lombardo-Radice, revis.
di V. Mathieu, Critica della
ragionpura,Bari,1966,vol.II,
p.303.
[104]
Nietzsche,
Morgenröthe, in Kritische
Gesamtausgabe,Werke,acura
di G. Colli e M. Montinari,
Berlin,1964-,vol.V/1,Berlin,
1971, pp. 3, 44, trad. it.
Aurora,inAuroraeFrammenti
postumi (1879-1881), in Opere
di Friedrich Nietzsche, a cura
di G. Colli e M. Montinari,
vol. V/1, Milano, 1964, pp. 3,
36.
[105] Cfr. N. De Domenico,
La talpa e il folletto. Apologia
della doppiezza ed elogio della
poiesis in Marx, in AA.VV.,
Marx e i suoi scritti, Urbino,
1987,pp.71-93.
[106] Hegel, Wissenschaft
der Logik, cit., vol. II, p. 58
(trad. it. cit., vol. II, pp. 490491). Sulla natura della
contraddizione, da diversa
prospettiva,
cfr.
le
interpretazioni
di
S.
Landucci,Lacontraddizionein
Hegel, Firenze, 1978; K.
Düsing,
Identität
und
Widerspruch. Untersuchungen
zur Entwicklung der Dialektik
Hegels, in «Giornale di
Metafisica»,n.s.,6(1984),pp.
315-358;J.-L.Vieillard-Baron,
Ledévenirlogique:négativitéet
contradiction,inHegel.Scienza
della logica, numero speciale
di «Teoria», XXXIII (2013), n.
1,pp.49-68.
[107] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, cit., §
236A(trad.it.cit.,p.201).
[108] Questo è il senso del
rapporto necessità-libertà in
Hegel. Non rispetto passivo
della necessità cieca e
inconsapevole (che è poi il
risultato resosi autonomo
dell’agire di tutti), ma
dominio e rettificazione del
suo movimento mediante il
sapere e l’azione che ne
deriva. La libertà non è
quindi soltanto coscienza
della necessità immediata e
suo assecondamento, ma è
dominio
di
essa
nel
riconoscimento della sua
razionalità.
[109]
Hegel,
Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X1,
p.128(trad.it.cit.,p.115).
[110]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften, § 246 Z. Da
unaltropuntodivista,sulla
natura
del
«pensiero
oggettivo», specie nella
Scienzadellalogica,sivedano
i saggi raccolti nel fascicolo
di «Verifiche», XXXVI (2007),
n. 1-4, dedicato al tema
L’oggettività del pensiero. La
filosofia di Hegel tra idealismo,
anti-idealismo e realismo, a
cura di L. Illetterati e con
prefazionediF.Chiereghin.
[111]
Hegel, Rede zum
Antritt des philosophischen
Lehramtes an der Universität
Berlin, in Berliner Schriften,
cit.,p.19.
[112]Hegel,Einleitung in die
Geschichte der Philosophie, a
cura di J. Hoffmeister,
Hamburg,1959,pp.41-42.
[113]
über
Hegel, Vorlesungen
die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XV, p.
624(trad.it.cit.,vol.III,2,p.
418).
[114]
Marx e Engels,
Manifest der Kommunistischen
Partei,inMEW,cit.,vol.IV,p.
480(trad.it.diE.CantimoriMezzomonti, Manifesto del
partito comunista, Torino,
19706,p.155).
[115] Hegel an Niethammer,
28ottobre1808,inBriefe,cit.,
vol.I,p.253,trad.it.cit.,vol.
I, p. 375 e cfr. Hegel,
Aphorismen aus der Jenenser
Periode, in K. Rosenkranz,
Hegels Leben, cit., Urkunden,
p. 540, trad. it. di C. Vittone
[che,ripubblicandoli(Monza,
2006, pp. 29-94), vi aggiunge
una densa Introduzione],
PremessadiR.Bodei,Aforismi
jenensi (Hegels Wastebook
1803-1806), Milano, 1981, p.
76 nota 80: «La filosofia
governa le rappresentazioni
e queste governano il
mondo. Essa è il suo
strumento infinito, dopo
vengono fuori baionette,
cannoni, corpi, ecc. Ma lo
stendardo del dominio del
mondo e l’anima del suo
condottiero è lo spirito».
Anche
per
Croce
la
rivoluzioneelabattaglianel
regno delle idee prepara la
rivoluzioneelabattaglianel
regno della realtà, come egli
osservanel1920aproposito
dello scoppio della prima
guerra mondiale: «la spada
segue il pensiero. Prima
ancora che la guerra si
combattesse nelle trincee e
suicampi,erastatapreparata
e combattuta nelle menti dei
pensatori, dei quali forse la
gente non si accorge, solo
perché non ci si accorge di
solito dell’aria che si
respira»
(Croce,
Pagine
sparse, Bari, 19602, vol. II, p.
430).
[116] Hegel, Grundlinien der
PhilosophiedesRechts,cit.,§4
Z(trad.it.cit.,pp.303-304).Il
rapporto tra pensiero e
volontà coinvolge anche la
dimensione
pratica
e
affettiva dell’agire e il
concetto stesso di libertà,
cfr. A. Peperzak, Hegels
praktische Philosophie. Ein
Kommentar
zur
enzyklopädischen Darstellung
der menschlichen Freiheit und
ihrer objektiven Darstellung,
Stuttgart-Bad
Cannstatt,
1991, e Id., Hegel über Wille
undAffektivität,inPsychologie
und
Anthropologie
oder
Philosophie des Geistes, cit.,
pp.361-395.
[117]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§142Z.
[118]Machiavelli,Ilprincipe,
XV, e cfr. K. Rosenkranz,
HegelsLeben,trad.it.cit.,pp.
473, 557, 579. Sul rapporto
tra Hegel e Machiavelli, da
un un’altra prospettiva, cfr.
O. Pöggeler, Machiavelli und
Hegel. Macht und Sittlichkeit,
in Philosophische Elemente der
Tradition
des
politischen
Denkens,acuradiE.Heintel,
Wien-München, 1979, pp.
173-198. Sulla difficoltà di
tradurre
nelle
lingue
romanze
il
termine
Wirklichkeit, così come altre
parole hegeliane, cfr. G.
Baptist, ‘Wirklichkeit’. Zur
Übersetzungsproblematik
in
den romanischen Sprachen, in
«Hegel-Studien», 34 (2001),
pp. 85-98. Hegel mette in
guardia contro la diffusa
concezione per cui alla
realtà effettuale di ciò che è
razionale «si contrappone,
da una parte, la veduta che
le idee e gl’ideali non siano
senonchimere,elafilosofia
un sistema di questi
fantasmi
cerebrali;
e
dall’altra, che le idee e
gl’ideali siano alcunché di
troppo eccellente per avere
realtà, o anche di troppo
impotente
per
procacciarsela» (Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§6A;trad.it.
cit., p. 8). L’atteggiamento di
scambiare
le
vuote
astrazioni dell’intelletto, i
suoi «sogni» su come la
realtà deve essere, non ha
soltantounvalorefilosofico,
ma anche un rilevante peso
«nelcampopolitico»(ibid.).
[119] Hegel an Schelling, 16
aprile1795,inBriefe,cit.,vol.
I,p.24(trad.it.cit.,vol.I,p.
18).
[120] Kant, Kritik der reinen
Vernunft, A 856; B 884 (trad.
it.cit.,vol.II,p.645).
[121] Pensées de Napoléon,
Paris, 1913, p. 43. Cfr. Lenin,
Filosofskia Tetradi, Moskva,
1933,trad.it.diI.Ambrogio,
Quaderni filosofici, Roma,
1971,p.324.
[122]MarxanL.Kugelmann,
11 luglio 1868, in MEW, cit.,
vol.XXXII,p.553.
[123]
Sul
rapporto
pensiero-ricchezza, cfr. più
avanti, pp. 362-366, e H.J.
Krahl, Bemerkungen zum
Verhältniss von Kapital und
hegelscher Wesenlogik, in
Aktualität und Folgen der
Philosophie Hegels, a cura di
O.Negt,Frankfurta.M.,1970,
pp.137-150;R.Bodei,Hegel e
l’economia politica, in Hegel e
l’economiapolitica,acuradiS.
Veca,Milano,1975.
[124] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, a cura
di J. Hoffmeister, cit.,
Vorrede,p.13enota(trad.it.
cit.,p.12enota).
[125]
Hegel era stato
precettore a Berna presso
l’aristocratica famiglia von
Steiger (su questo periodo
cfr.M.Bondeli,HegelinBern,
Bonn, 1990, e Hegel in der
Schweiz, a cura di H.
Schneider e N. Waszek,
Frankfurt a.M., 1997) e a
Francoforte presso i ricchi
mercanti di vino Gogel.
Anche
Kant,
Fichte,
Reinhold, Hölderlin ecc.
passaronoattraversoilgiogo
del precettorato e dovettero
accettare una posizione
subalterna.
L’estrazione
sociale
dei
filosofi
dell’idealismo tedesco è
relativamente omogenea e
rinvia a un ceto sociale
generalmente modesto di
funzionari,
pastori
protestanti e artigiani; ma
cfr.ancheH.Brunschwig,La
crise de l’Etat prussien à la fin
duXVIIIe siècle et la genèse de
lamentalitéromantique, Paris,
1947,passim.
[126] Cfr. J. Starobinski, Il
pranzo
di
Torino,
in
«Strumenticritici»,IV(1970),
pp.243-287.
[127] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 281 (trad.
it.cit.,vol.II,p.69).
[128] Cfr. Diderot, Le neveu
de Rameau, trad. it. di F.
Uffredduzzi, Il nipote di
Rameau, in Diderot, Il nipote
diRameaueJacquesilfatalista
eilsuopadrone,Torino,1965,
pp. 83 ss., e L. Pozzi
D’Amico, ‘Le Neveu de
Rameau’ nella ‘Fenomenologia
dello spirito’, in «Rivista
critica di storia della
filosofia», XXXV (1980), fasc.
III, pp. 291-306. Si vedano
anche J. Doolittle, Rameau’s
Nephew. A Study of Diderot’s
“secondSatire”,Genève,1960;
M. Launay, Sur les intentions
de Diderot dans le Neveu de
Rameau,
in
«Diderot
Studies», VIII (1966) e J.
Mayer, Le thème de la
tromperie chez Diderot, in
Roman et lumières au XVIIe
siècle,Paris,1971,pp.327ss.
[129]
Cfr. Gramsci, Il
materialismo storico e la
filosofia di B. Croce, Torino,
1955,p.17.
[130]Cfr.Hegel,Grundlinien
derPhilosophiedesRechts,cit.,
§§ 259 Z e 324 Z. La guerra
ha
per
Hegel
sostanzialmente il compito
dilimitareilconsolidamento
dellaproprietàedievitarela
stagnazione
dei
popoli
esponendoli al confronto.
Sulla conoscenza hegeliana
di Clausewitz, cfr. A.H.
Hoffmann von Fallersleben,
Mein Leben. Aufzeichnungen
und Erinnerungen, vol. I,
Hamburg, 1868, p. 311. Sulla
concezione hegeliana della
guerra, cfr. C.I. Smith, Hegel
on War, in «Journal of
History of Ideas», XXVI
(1965), pp. 282 ss.; B.S.
Mankowski,
Aktuelle
Probleme der «Philosophie des
Rechts» von Hegel, in Studien
zu Hegels Rechtsphilosophie in
UdSSR,Moskau,1966,pp.4854; D.P. Verene, Hegel’s
Account of War, in Hegel’s
Political Philosophy, a cura di
A.A. Pelczynski, Cambridge,
1971,pp.168-180;J.D’Hondt,
L’appréciacion de la guerre
révolutionnaire par Hegel, ora
inId.,DeHegelàMarx, Paris,
1972, pp. 74-85; S. Avineri,
Das Problem des Krieges im
Denken Hegels, in Hegel im
Sicht der neueren Forschung, a
cura
di
I.
Fetscher,
Darmstadt,1973,pp.464-482
e, soprattutto, C. Cesa,
Considerazioni sulla teoria
hegeliana della guerra, in Id.,
Hegel filosofo politico, Napoli,
1976,pp.173-201.
[131] Cfr. C.L. von Haller,
Restauration
Wissenschaft,
18202,
trad.
der
StaatsWinterthur,
it.
di
M.
Sancipriano, La restaurazione
della scienza politica, vol. I,
Torino, 1963, pp. 77 ss. e
passim; L.G.A. de Bonald,
Législation primitive, Paris,
1802,pp.93ss.;W.Scott,Life
of Napoleon (1827), con il
causticocommentodiHegel,
Auszüge und Bemerkungen, in
BerlinerSchriften,cit.,pp.697698. Per la diffusione di
queste idee durante la
Restaurazione, cfr. E. Bagge,
Les idées politiques en France
sous la Réstauration, Paris,
1952. È noto il duro giudizio
di Hegel sull’opera di Haller
(Grundlinien der Philosophie
desRechts, cit., § 258 A, trad.
it. cit., pp. 215-217), che
invece fu accolta con
entusiasmo alla corte di
Berlino, cfr. E. Reinhard, C.L.
von Haller. Ein Lebensbild aus
derZeitderRestauration,Köln,
1915. Su Hegel, Haller e il
circolo
del
principe
ereditario
Federico
Guglielmo, cfr. F. Meinecke,
Weltbürgertum
und
Nationalstaat,
München,
1969,pp.192ss.
[132]
Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XV, p.
618(trad.it.cit.,vol.III,2,p.
411).
[133]HegelanNiethammer,5
luglio1816,inBriefe,cit.,vol.
II,pp.85-86(trad.it.cit.,vol.
II,
pp.
304-305).
Sul
significato di questa lettera
in
rapporto
alla
Restaurazione,
cfr.
J.
D’Hondt, Hegel en son temps,
Paris,1968,pp.85-87.
[134]HegelanNiethammer,5
luglio 1816, cit., p. 86 (trad.
it.cit.,p.305).
[135]
Principale
responsabilediquestafigura
di uno Hegel rivoluzionario
in privato è Heine, ma essa
fucomuneatuttalaSinistra
hegeliana.
Sulle
varie
interpretazioni del rapporto
tra Hegel e Heine, cfr. J.
Zinke, Heine und Hegel.
Stationen der Forschung, in
«Hegel-Studien», 14 (1979),
pp. 295-312. A questo
propositosivedanoleparole
diMarx:«RiguardoaHegelè
pura ignoranza dei suoi
discepoli che essi spieghino
questaoquellacaratteristica
del
suo
sistema
con
compromessi o cose del
genere, in una parola
moralisticamente. Che un
filosofo cada, infatti, in
questa o quella apparente
incoerenza per questo o
quell’accomodamento,
è
cosa concepibile; egli stesso
può anzi esserne cosciente.
Ma quello di cui egli non ha
coscienzaècheciòchealui
sembra
solo
un
accomodamento ha la sua
più intima radice in una
insufficienza o in un
insufficiente comprensione
del suo stesso principio. Se
quindi un filosofo stringe
effettivamente
un
compromesso,
i
suoi
discepoli hanno il compito
dispiegare,partendodallasua
coscienza intima ed essenziale,
ciò che per lui stesso aveva
forma di una coscienza
esoterica» (Marx, Dissertation,
inMEGA,I,1/1,pp.137-138).
[136]
Cfr.
L.
Salomon,
Geschichte des deutschen
Zeitungswesens,
vol.
III,
Oldenburg-Leipzig, 1906, p.
206; M.A. Schenk, The
Aftermath of the Napoleonic
Wars, London, 1947, p. 99.
SuideliberatidiKarlsbadcfr.
H. von Treitschke, Deutsche
Geschichte im 19. Jahrhundert,
Leipzig,18975,vol.II,pp.634
ss.; J.A.R. Marriott, The
Evolution of Prussia, Oxford,
1953, pp. 286 ss. Scopo di
Metternich era quello di
approfittare dell’uccisione
del pubblicista Kotzebue,
unaspiazarista,dapartedel
Burschenschaftler Sand, per
colpire ogni discussione
politica all’interno delle
università. Su Sand, le
discussioni contemporanee
suquestodelittopoliticoele
ideedeglistudentilegatialle
Burschenschaften, cfr. K.A.
vonMüller,KarlLudwigSand,
München,19252;K.G.Farber,
Student und Politik in der
ersten
deutschen
Burschenschaft,
in
«GeschichteinWissenschaft
und Unterricht», XXI (1970),
pp. 71 ss. Hegel non
appoggiò mai, tuttavia, il
nazionalismo degli studenti
delle Burschenschaften e
neppure quello del Fichte
dei Discorsi alla nazione
tedesca, tanto che in una
lettera sostiene, con un
gioco di parole, che tutti i
discorsi sul Deutschtum,
germanicità, erano per lui
Deutschdumm, idiozie alla
tedesca (Hegel an Paulus, in
Briefe, vol. II, p. 43, trad. it.
cit., vol. 2, p. 254, dove
Deutschdumm
è
reso
«Crucconia»).
[137] Cfr. J. Hoffmeister,
Anmerkungen ai Briefe, cit.,
vol. II, pp. 432 ss.; K.-H.
Ilting,
Einleitung
alle
Vorlesungen
über
Rechtsphilosophie, 1818-1831,
cit., vol. I, pp. 44 ss. Sulla
denuncia di von Cölln a
Hegelcfr.M.Lenz,Geschichte
der Königlichen FriedrichWilhelms-UniversitätzuBerlin,
Halle, 1910, vol. II, 1, p. 89.
SuAsveruscfr.P.Wentzcke,
Ein Schüler Hegels aus der
Frühzeit der Burschenschaft.
Gustav Asverus in Heidelberg,
Berlin-Jena,1920.
[138] Hegel an Creuzer, 30
ottobre 1819, in Briefe, cit.,
vol. II, p. 220. R.P.
Horstmann
–
nella
recensione alle Vorlesungen
über Rechtsphilosophie, 1818-
1831, in «Hegel-Studien», 9
(1974),pp.246-248–ponein
dubbio l’ipotesi dello Ilting,
che Hegel, fra l’ottobre 1819
e il giugno 1820, abbia
rielaborato un manoscritto
già pronto di filosofia del
diritto,alloscopodisfuggire
meglio
alla
censura.
Horstmann
ritiene,
piuttosto, che Hegel si sia
comportato come faceva
sempre, abbia cioè avuto
intenzione, nell’ottobre del
1819, di cominciare a far
stamparesololaprimaparte
del lavoro, contando di
scrivere il resto a stampa
iniziata. Ora, è vero che
questo era l’abituale modo
di composizione dei volumi
hegeliani
(come
la
Fenomenologia e l’Enciclopedia
di Heidelberg), tuttavia nel
nostro caso sembra che
Hegel abbia effettivamente
rielaborato un testo già
impostato
per
la
pubblicazione, e che il
motivopercuibloccatuttoè
la censura. Infatti, da una
lettera di Hegel al suo
editore, datata 9 giugno
1820, risulta che soltanto in
quel giorno egli aveva
inviato la prima parte del
manoscritto,conlarichiesta
che non si desse inizio alla
stampa prima che l’intero
manoscritto non fosse stato
rimandato indietro dalla
censura (cfr. Hegel an die
Nicolaische Buchhandlung, 9
giugno 1820; questa lettera,
scoperta dal Croce a Berlino
nel 1932, venne pubblicata
dapprima su «La critica»,
XXXVIII, 1940, p. 71 e,
successivamente, in Croce,
Paginesparse,Bari,19602,vol.
III, pp. 313-314, e in Neue
Briefe aus Hegels Berliner
Periode,
comunicate
e
illustratedaH.Schneider,in
«Hegel-Studien», 7, 1972, p.
101). Poiché la prefazione
alla Filosofia del diritto è
datata 25 giugno 1820 e
poiché egli entro il mese di
giugno
ha
consegnato
all’editoreilrestodellavoro,
pare quasi certo che, fra
l’ottobre 1819 e il giugno
1820, Hegel abbia realmente
modificato un manoscritto
relativamente già pronto.
Non è chiaro, semmai, il
motivo per cui Hegel volle
presentare il testo della sua
opera alla censura, dato che
la censura preventiva si
applicavaascrittiinferioriai
20 fogli (Bogen), mentre le
Grundlinien raggiunsero i 24;
a meno che egli non
conoscesse ancora la mole
complessiva del lavoro, una
volta stampato, oppure
volesse dimostrare di non
aver nulla da temere dalla
censura. Sul carattere della
censura prussiana in questo
periodo, cfr. B. Gerhardt,
Handbuch
der
deutschen
Geschichte, Frankfurt a.M.,
19608, vol. III, p. 103. Della
scomparsa del capo della
censura prussiana Hegel
parla con ironia in una
lettera a Cotta, cfr. Hegel an
Cotta, 29 maggio 1831, in
Briefe, cit., vol. III, p. 342.
Altreindicazionisultemain
H.-Ch. Lucas, Furcht vor der
Zensur? Zur Entstehungs- und
Druckgeschichte von Hegels
Philosophie des Rechts, in
«Hegel-Studien», 15 (1980),
pp.63-93.
[139]HegelanNiethammer,9
giugno 1821, in Briefe, cit.,
vol.II,p.272.
[140]
Cfr.
Heine,
Geständnisse, cit., p. 171; Id.,
Briefe über Deutschland, in
Werke,cit.,vol.14,p.484.
[141] Cfr. J.A.R. Marriott,
The Evolution of Prussia, cit.,
p. 286; E. Müsebeck, Das
preussische Kultusministerium
vor hundert Jahren, BerlinStuttgart,1918,pp.208ss.Su
Altenstein, cfr. K.R. Meist,
AltensteinundGans.Einefrühe
politische Option für Hegels
Rechtsphilosophie, in «HegelStudien», 14 (1979), pp. 3972. Altenstein era succeduto
a Wilhelm von Humboldt a
capodelMinisterodelculto,
ora denominato Ministerium
für geistliche Unterrichts- und
Medizinangelegenheiten.
[142] Cfr. F. Förster, 7.
Sitzungsbericbt
der
philosophischen
Gesellschaft
(25-5-1861),
in
«Der
Gedanke», vol. II (1861),
fascicolo 1, pp. 76 ss.; K.A.
Varnhagen von Ense, Blätter
aus
der
preussischen
Geschichte, Leipzig, 1868, vol.
IV, pp. 88 ss.; cfr., per la
conoscenza di Mignet e
Thiers da parte di Hegel,
Hegel an seine Frau, 30
settembre1827,inBriefe,cit.,
vol. III, p. 198. Di Mignet
Hegel possedeva, inoltre,
nella sua biblioteca l’Histoire
de la Révolution française
depuis 1789-1814, Paris, 1826
(e,sull’incontrodiHegelcon
Mignet, si veda anche Y.
Kniebiehler, Naissance des
sciences humaines: Mignet et
l’histoirephilosophiqueauXIXe
siècle,Paris,1973,p.56).Sulle
interpretazioni
della
Rivoluzione da parte di
Thiers e Mignet, cfr. A.
Omodeo, Studi sull’età della
Restaurazione, Torino, 1970,
pp. 253-277. La storia della
Rivoluzione francese del
Migneteragiàstatatradotta
in tedesco (a cura di M.A.
Wagner,Jena,1825).
[143] Hegel, Conclusioni del
corsodifilosofiaspeculativa,18
settembre
1806,
in
Dokumente
zu
Hegels
Entwicklung, a cura di J.
Hoffmeister, Stuttgart, 1936,
p.352.
[144]Hölderlin,DasWerden
im Vergehen, in Grosse
Stuttgarter Hölderlinausgabe,
cit.,vol.IV,1,p.282,trad.it.
di G. Pasquinelli, Il divenire
nel trapassare, in Scritti sulla
poesia e frammenti, Torino,
1958,p.96.
[145] Cfr. R. Bodei, Lastoria
congetturale.
Ipotesi
di
Condorcet su passato e futuro,
in «Mélanges de l’École
Française de Rome (Italie et
Mediterranée)»,108(1996),n.
2,pp.457-468.
[146] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., pp. 24-25
(trad.it.cit.,vol.I,pp.22-23).
[147]Cfr.Hegel,Vorlesungen
über die Philosophie der
Religion, a cura di G. Lasson,
cit.,vol.II,p.11(trad.it.cit.,
vol.I,p.354).
[148]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§246Z.
[149] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, a cura
di J. Hoffmeister, cit.,
Vorrede, pp. 16-17 (trad. it.
cit.,p.17).
[150]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§396Z.
[151]
Hegel,
Vorlesungen
über die Philosophie der
Geschichte,acuradiK.Hegel,
in Werke, cit., Berlin, 18402,
vol.IX,p.134.
[152]C.G.Jung,DieSymbolik
des Geistes, in Psychologische
Abhandlungen, vol. VI, trad.
it. di O. Bovero Caporali, La
simbolica dello spirito, Torino,
1959,pp.26-37.
[153] Cfr. R. Unger, Herder
und der Palingenesiegedanke,
in Herder, Novalis, Kleist.
Studien über die Entwicklung
des Todesproblem in Denken
und Dichtung vom Sturm und
Drang
zur
Romantik,
Frankfurt a.M., 1922 (rist.
Darmstadt,1968).Cfr.anche
E. Benz, Die ewige Jugend in
der christlichen Mystik von
Meister
Eckart
bis
Schleiermacher, in «Eranos
Jahrbuch 1971», vol. 40,
Leiden, 1973, pp. 1-49. Sulla
rivista «Iduna», progettata
da Hölderlin, cfr. Th.
Schwab, Hölderlins Werke,
Stuttgart-Tübingen,
1846,
vol. II, p. 299. Come origine
immediatadiquestaideac’è
il filosofo e naturalista
ginevrino
Ch.
Bonnet,
Palingénésie
philosophique
(1769), in Œuvres complètes,
Neuchâtel,1781,vol.XV.
[154] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 296 (trad.
it. cit., vol. II, p. 92). Cfr.
Hegel,
Philosophie
der
Weltgeschichte, cit., pp. 11-12
(trad. it. cit., vol. I, p. 15): «Il
ringiovanire dello spirito
non è semplice ritorno alla
medesima forma, ma è
catarsi, rielaborazione di sé.
Attraverso l’adempimento
delsuocompito,essosicrea
nuovicompiti,moltiplicando
la materia del suo lavoro.
Così vediamo nella storia lo
spirito espandersi in una
quantità inesauribile di
direzioni, e in ciò godersi e
soddisfarsi. Tuttavia il suo
lavorohal’unicorisultatodi
aumentare di nuovo la sua
attività, e di consumarsi di
nuovo».
[155]HegelanVanGhert, 15
ottobre 1810, in Briefe, cit.,
vol.I,p.329(trad.it.cit.,vol.
II, pp. 105-106). Cfr. Hegel an
Cousin, 5 aprile 1826, in
Briefe, cit., vol. III, p. 110:
«j’appris de même avec
grand plaisir la position
intéressanteparrapportàla
jeunesse dans laquelle vous
soutenez et nourrissez le
besoin de la pensée; c’est
auxindividusqu’estdévolue
la conservation des progrès
de l’esprit et de la
philosophie».
[156]
Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XV, p.
578(trad.it.cit.,vol.III,2,p.
368).
[157]
Hegel, Fragmente
historischen
Studien,
in
Dokumente
zu
Hegels
Entwicklung,cit.,pp.264-265.
[158]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften, §§ 62-64; Id.,
SolgersnachgelasseneSchriften
und Briefwechsel, in Berliner
Schriften,cit.,pp.155-220.
[159] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie, cit., p. 7 (trad. it.
cit.,p.6).
[160]
Sul
ruolo
dell’introduzione
della
coscienza
comune
alla
scienza, cfr. più avanti, pp.
191ss.e355ss.
[161] Cfr. Hegel, Jenenser
Realphilosophie II, cit., p. 273
(trad.it.cit.,p.216).
[162]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften,§42Z1.
[163]
Hegel,
Jenenser
Realphilosophie II, cit., pp.
180-181 (trad. it. cit., p. 107).
Su questo passo hanno
attirato
l’attenzione
A.
Kojève, Introduction à la
lecture de Hegel (1947), Paris,
19622, p. 573 (trad. it. di F.
Frigo, Introduzione alla lettura
diHegel,Milano,1996,p.716;
di questo testo esiste anche
la traduzione parziale di P.
Serini,
con
nuova
Introduzione di R. Bodei (Il
desiderio e la lotta), La
dialetticael’ideadellamortein
Hegel, Torino, 1991); A.
Massolo,«DieSpracheaberist
das Wahrhaftere», in A.
Massolo, La storia della
filosofia
come
problema,
Firenze,1967,pp.198-199;V.
Verra, Storia e memoria di
Hegel, in Incidenza di Hegel, a
cura di F. Tessitore, Napoli,
1970,p.345.
[164] Nächtliche Schacht. Mi
scosto qui dalla traduzione
del Croce, che rende
l’espressione genericamente
«fondotenebroso».
[165]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§453A(trad.
it. di B. Croce, Enciclopedia
delle scienze filosofiche, cit., p.
413).Suquestotestoelesue
implicazioni, cfr. J. Derrida,
Le puits et la pyramide, in
Hegel et la pensée moderne,
testi pubblicati sotto la
direzione di J. D’Hondt,
Paris, 1970, pp. 27-83, ora
anche in J. Derrida, Marges
de la philosophie, Paris, 1972,
pp. 79-127 (trad. it. di M.
Iofrida, Il pozzo e la piramide.
Introduzione alla semiologia di
Hegel, in Margini della
filosofia, Torino, 1997, pp.
105-152).
[166]
Hegel,
Jenenser
Realphilosophie II, cit., p. 184
(trad. it. cit., p. 110). Su
questa
«notte
della
conservazione» si veda C.
Mazzocchi, Riconoscimento,
libertà e Stato. Saggi sull’etica
hegeliana, Pisa, 2012, pp. 85134.
[167]
Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie,cit.,vol.XIII,p.52
(trad.it.cit.,vol.I,p.50).
[168]Hegel,Aphorismen aus
der Jenenser Periode, cit., p.
540 (trad. it. cit., p. 61 nota
18).
[169]Cfr.Hegel,Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XIII, pp.
90-91 (trad. it. cit., vol. I, p.
89).
[170]
Heine, Lutetia, in
Werke,cit.,vol.IX,p.348.La
tematica del sogno e del
mondo «notturno» era in
quelperiodoassaidibattuta:
oltre che da Novalis, da
Carus, da Jean Paul, ecc.,
anche da Gotthilf Heinrich
von Schubert, collega di
Hegel a Norimberga e
autore, nel 1814, di una
Simbolica del sogno; cfr. A.
Beguin,L’âmeromantiqueetle
songe, Paris, 1939, trad. it. di
U.Pannuti,L’animaromantica
e il sogno, Milano, 1967, in
particolare le pp. 151 ss. Ma
sulla radicale differenza fra
queste
impostazioni
romantiche
e
l’atteggiamento di Hegel,
volto alla «veglia» e al
dominio
del
mondo
notturno, esistono diversi
testi.Curioso,daunpuntodi
vista
biografico,
è
il
contrasto fra Hegel e
Schubert,
quale
venne
rilevato
da
Clemens
Brentanoduranteunviaggio
a Norimberga: «Ho visto a
Norimberga Hegel, l’onesto
uomo di legno; leggeva il
LibrodeglieroieiNibelunghie
se li traduceva in greco per
poterne gustare la bellezza!
Ma ho incontrato anche
Schubert,ilfilosofocandido,
quell’essere così virginale,
dolce e commovente; ha
l’ariadiunpulcinocheabbia
spezzato il guscio e resti,
attonito, a guardare la luce
delgiorno»(ClemensBrentano
an Joseph v. Görres, inizio
1810, in J. von Görres,
Gesammelte Schriften, sezione
II, vol. II, Freundesbriefe 1802
bis 1821, München, 1874, p.
75).
[171]
über
Hegel, Vorlesungen
die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XIV, p.
260 (trad. it. cit., vol. II, p.
272).
[172] Ibid., p. 245 (trad. it.
cit., vol. II, p. 257). Per un
inquadramentofilologicodel
testo dei quaderni della
Storiadellafilosofia hegeliana
su Platone, cfr. J.L. VeillardBaron,Les leçons de Hegel sur
Platon dans son Histoire de la
philosophie, in «Revue de
MétaphysiqueetdeMorale»,
LXXVIII(1973),pp.385-419.
[173]
Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XIV, p.
240 (trad. it. cit., vol. II, p.
252).
[174] Hegel, Die Vernunft in
der Geschichte, a cura di J.
Hoffmeister,
Hamburg,
19555, p. 149. Sul rapporto
con Rousseau, cfr. R. Polin,
Philosophie du droit et
Philosophiedel’histoired’après
«LesPrincipesdelaphilosophie
du Droit», in L’esprit objectif.
L’unité de l’histoire. Actes du
IIIe Congrès International de
l’Association
Internationale
pour l’étude de la philosophie
de Hegel, Lille, 1970, pp. 259
ss.
[175]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften, § 3 (trad. it.
cit.,p.4).
[176]
Hegel,
Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X2,
p.340(trad.it.cit.,p.772).
[177]Cfr.Hegel,Fortsetzung
des «Systems der Sittlichkeit»,
in Dokumente zu Hegels
Entwicklung,cit.,pp.324-325;
Hegel,GlaubenundWissen,in
Jenaer kritische Schriften, in
Gesammelte Werke, vol. IV,
cit.,pp.383ss.(trad.it.diR.
Bodei, Fede e sapere, in Primi
scritticritici,cit.,pp.211ss.).
[178] G. Lukács, Ontologie
des gesellschaftlichen Seins.
Hegels falsche und echte
Ontologie, Neuwied-Berlin,
1971, p. 67. Sebbene Hegel,
come rettore del ginnasio di
Norimberga nella Baviera
prevalentemente cattolica,
impongaperdovered’ufficio
agli allievi cattolici l’obbligo
dellacomunionequotidiana,
egli è contrario a un
ossequio
semplicemente
esteriore,
come
quello
teorizzato da Napoleone
dopo il concordato con la
Chiesa: «Eh bien […],
andremo di nuovo a messa,
e i miei veterani diranno: –
Questa è la parola d’ordine»
(Hegel,
Philosophie
der
Weltgeschichte, cit., p. 887,
trad. it. cit., vol. IV, p. 158).
Hegeldiffidaperòdell’utopia
della Chiesa nei confronti
dello
Stato,
che
può
degenerare in fanatismo: «il
fanatismodellaChiesaconsiste
nel voler trasportare l’eterno, il
regno del cielo in quanto tale
sulla terra, cioè in opposizione
alla realtà dello Stato, nel
conservare
il
fuoco
nell’acqua» (Hegel, Jenenser
Realphilosophie II, cit., p. 270,
trad. it. cit., p. 213). Sui
rapporti Stato-Chiesa in
Hegel, cfr. G. Schmidt, Die
Religion in Hegels Staat, in
«Philosophisches Jahrbuch»,
LXXIV (1967), pp. 294-309.
Sul valore di posizione della
religione, anche in rapporto
allo Stato, nel sistema
hegeliano, cfr. A. Chapelle,
Hegel et la religion, vol. I,
Paris,1964;vol.II,Paris,1967
(con
qualche
spunto
interessante) e Hegel and the
Philosophy of Religion. The
WoffordSymposium,acuradi
D.E.Christensen,TheHague,
1970 (dove spicca solo il
saggio di D. Henrich, Some
Historical Presuppositions of
Hegel’s System, pp. 25-44,
peraltro limitato agli scritti
giovanili).
[179] V. Cousin, Souvenirs
d’Allemagne, cit., p. 617. Cfr.
Hegel, Vorlesungen über die
PhilosophiederReligion,acura
diG.Lasson,cit.,vol.I,p.69
(trad. it. cit., vol. I, p. 123):
«La religione è per tutti gli
uomini. Essa non è la
filosofia,chenonèpertutti.
La religione è la specie e il
modo con cui tutti gli
uomini son coscienti della
verità e i modi son
precipuamente
il
sentimento,
la
rappresentazione e poi
anche
il
pensiero
intellettuale».
[180]Cfr.H.vonTreitschke,
Deutsche Geschichte im 19.
Jahrhundert, cit., vol. III, p.
401.
[181]
Hegel, Vorlesungen
über die Philosophie der
Religion, a cura di Ph.
Marheineke, cit., vol. XII, p.
253.
Cfr.
Jenenser
Realphilosophie II, cit., p. 266
(trad.it.cit.,p.209).
[182] This bank and shoal of
time: Shakespeare, Macbeth,
atto I, scena 7. Hegel usa
talvolta
l’espressione
«domenicadellavita»anche
perlafilosofiaeperl’artee,
in sostanza, per tutte le
articolazioni dello «spirito
assoluto»dell’Enciclopedia.
[183]
Hegel, Vorlesungen
über die Philosophie der
Religion, a cura di G. Lasson,
cit., vol. I, pp. 2-3 (trad. it.
cit., vol. I, pp. 62-63).
Sull’idea
hegeliana
dell’amore segnalo, tra i
tanti contributi, quello di C.
Melica, Il concetto dell’amore
in Hegel, in Intersubjectivité et
théologie philosophique. Textes
réunis par M.M. Olivetti,
Padova, 2001, pp. 625-649,
incentrato soprattutto sulla
prospettiva dell’estetica e
dellareligione.
[184] Cfr. Hegel, Philosophie
derWeltgeschichte,cit.,p.105
(trad. it. cit., vol. I, p. 122).
Sulnessocomunitariochela
religione istituisce tra gli
uomini e, più in generale,
sul significato di Dio in
Hegel, cfr. C. Melica, La
comunità dello spirito in Hegel,
Trento, 2007 (Pubblicazioni
di
Verifiche
40),
in
particolarepp.215-235.
[185]Ilsignificatodiquesto
termine
rinvia
all’espressione latina ius
positivum,
spesso
in
contrapposizione allo ius
naturale, cui corrisponde la
parola tedesca per «legge»
Gesetz (dal verbo setzen,
porre, nel senso appunto di
«porre»o«imporre»,percui,
ad esempio, il titolo del
saggiohegelianoLapositività
della religione cristiana si
riferisce alla Chiesa, che
dopo i suoi primi tempi, si
organizzae,venendoapatti
conilmondo,imponeconla
sua
autorità
credenze,
orientamenti e precetti ai
propri fedeli e perfino agli
Stati).
[186]Traipaesiprotestanti
Hegel comprende tutti i
paesi
«nordici»
(anglosassoni e scandinavi),
cfr.W.H.Walsh,Principleand
Prejudice in Hegel’s Philosophy
of History, in Hegel’s Political
Philosophy. Problems and
Perspectives, cit., pp. 181-182.
Sulla trasformazione subìta
dal cristianesimo in Hegel,
«come se Cristo avesse
frequentato le sue lezioni»,
cfr. F. Schnabel, Deutsche
Geschichte im 19. Jahrhundert.
Die religiöse Kräfte, 4 voll.
Freiburgi.B.,1929-1937,trad.
it. di M. Bendiscioli, Storia
religiosa
della
Germania
nell’Ottocento, Brescia, 1944,
p.476.
[187]
C.L. von Haller,
Restauration
der
StaatsWissenschaft, trad. it. cit., p.
76.
[188]Ibid.,p.121.
[189] Per il gran numero di
studenti
delle
università
tedesche del tempo, cfr. W.
Jacob, A View of Agricolture,
Manifacture, Statistics and
StateofSocietyofGermanyand
Parts of Holland and France,
London, 1820, p. 231. Per la
polemica hegeliana sulla
religione, cfr., ad esempio,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,
Vorrede
all’edizione 1827 e §§ 572 e
573 A (ed. 1830, cfr. trad. it.
cit.,pp.515-527).
[190] Cfr. Hegel, Vorrede zu
Hinrichs Religionsphilosophie,
in Berliner Schriften, cit., pp.
74-75. Sull’antipatia che
Hegel
provava
per
Schleiermacher si veda la
testimonianza
di
Karl
AugustVarnhagenvonEnse:
«Alezioneilsignorprofessor
Hegel,accennandoaTersite,
lo ha definito un briccone
piccoloegobbo,comeoggidì
senevedrebberoancoratrai
nostri demagoghi intriganti.
Da ancor più precisi
ragguagli era chiaro che
aveva
di
mira
Schleiermacher. Gli studenti
si agitarono battendo i piedi
insegnodidisapprovazione»
(Tagebuch, in Blätter aus der
preussischen
Geschichte,
Leipzig, 1868-1869, vol. II, p.
320 e cfr. L. Sichirollo,
Ritratto di Hegel, Roma, 1996,
p. 91). Per un bilancio delle
loro reciproche posizioni,
cfr. A. Arndt, Schleiermacher
und Hegel. Versuch einer
Zwischenbilanz, in «HegelStudien», 37 (2002), pp. 5567. Tra la vasta letteratura
sul tema della religione si
veda E.W. Böckenförde,
Bemerkungen zum Verhältnis
von Staat und Religion bei
Hegel, in «Der Staat», XXI
(1982),pp.481-503.
[191]Hegel,Einleitung in die
GeschichtederPhilosophie,cit.,
p.287.
[192] Ibid., p. 286. In questi
periodi, in cui «l’esistenza
politica si rovescia, la
filosofia ha il suo posto, e
alloracapitachenonsoloin
generale si pensa, ma il
pensieroprecedeerimodella
la realtà effettuale (geht der
Gedanke voran und bildet die
Wirklichkeit um). Infatti,
quando una figura dello
spirito
non
è
più
soddisfacente, la filosofia
fornisceunocchioacutoper
individuare ciò che non
soddisfa»
(ibid.).
Anche
questo sembra essere il
compitodellacivetta.
[193] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, cit., §
268Z(trad.it.cit.,p.376).
[194] Ibid., § 265 Z (trad. it.
cit.,p.375).
[195] Hegel, Wissenschaft
der Logik, cit., vol. II, p. 410
(trad.it.cit.,vol.II,p.860).
[196]
Hegel, Rede zum
Antritt des philosophischen
Lehramtes an der Universität
Berlin,cit.,p.4.
[197]HegelanSinclair,inizio
1813, in Briefe, cit., vol. II, p.
6, trad. it. cit., vol. II, p. 216.
La libertà di espressione
della filosofia – dice Hegel a
propositodiSocrate–riposa
su «un tacito accordo con lo
Stato»,perchéloStato,asua
volta,
poggia
«essenzialmente
sul
pensiero,
e
la
sua
sussistenza dipende dai
sentimenti degli uomini;
esso è di fatti un regno
spirituale, non già fisico. E
quindi ha massime e
principichenecostituiscono
l’ossatura, e se questi
vengono assaliti, il governo
deve intervenire» (Hegel,
Vorlesungen
über
die
GeschichtederPhilosophie,cit.,
vol. XIV, p. 95, trad. it. cit.,
vol.II,p.98).Cfr.Grundlinien
der Philosophie des Rechts, a
cura di J. Hoffmeister, cit.,
Vorrede,p.11(trad.it.cit.,p.
10), a proposito di Fries e di
De Wette, vittime della
«persecuzione
dei
demagoghi»: «Ancora meno
è da meravigliarsi, se i
governi hanno rivolto infine
l’attenzione
a
siffatta
filosofia, poiché altresì da
noi la filosofia non è
esercitata,comeforsepresso
i Greci, quale arte privata,
ma ha pubblica esistenza,
riguardante il pubblico,
particolarmente
o
unicamente al servizio dello
Stato. Se i governi han
dimostrato ai loro dotti,
consacrati
a
questa
professione, la fiducia del
rimettersi del tutto a loro,
per lo sviluppo e il
contenuto della filosofia […]
questa fiducia è stata loro
più volte mal compensata».
Siamo qui di fronte a una
delle posizioni più illiberali
di Hegel e a poco serve
affermare che Hegel attacca
qui Fries per divergenze di
carattere ideologico e non
personale (come fa J.
D’Hondt, Hegel en son temps,
cit., pp. 121 ss.). D’altro
canto, non è neppure chiaro
se Hegel riconosca ora al
filosofo il dovere di entrare
in collisione con lo Stato,
come
nel
caso
dei
philosophes. È probabile che,
in un momento di crisi
politica quale quella seguìta
ai deliberati di Karlsbad,
Hegel ritenesse opportuno
usare una tattica più sottile
per evitare lo scontro
frontale,inciòd’accordocon
gli altri riformisti prussiani.
Più tardi, quando si sentirà
sicuro,
Hegel
giungerà
persino a respingere le
pretese del ministero nel
giudicare problemi culturali
(cfr. Hegel, Berliner Schriften,
cit., p. 617) e a difendere
pubblicamente
Cousin
arrestato e imprigionato
comesovversivo,attirandosi
l’inimicizia del capo della
polizia von Kamptz. Su
questo episodio cfr. P.
Becchi, Hegel e Cousin, cit.,
pp.220-221.
[198]HegelanNiethammer,9
giugno 1821, in Briefe, cit.,
vol.II,p.271.
[199] Cfr. H.F. Fulda, Das
Recht der Philosophie in Hegels
Philosophie
des
Rechts,
Frankfurt a.M., 1968, pp. 29
ss.Sull’opinionepubblicaeil
suolegameconlacoscienza
comune,
cfr.
Hegel,
GrundlinienderPhilosophiedes
Rechts, cit., §§ 315-319 (trad.
it.cit.,pp.271-277).
[200]
Cfr. J. Habermas,
Strukturwandel
der
Öffentlichkeit, Neuwied, 1962,
trad. it. di A. Illuminati, F.
MasinieW.Perretta,Storiae
critica dell’opinione pubblica,
Bari,1971,pp.143ss.
[201]Hegel,Aphorismen aus
der Jenenser Periode, cit., p.
543 (trad. it. cit., p. 63 nota
32).
Sulla
attività
giornalistica di Hegel, cfr.
soprattutto W.R. Beyer,
Zwischen Phänomenologie und
Logik. Hegel als Redakteur der
Bamberger Zeitung, Frankfurt
a.M., 1955. Anche Brandes,
considerandoquelcheaveva
contribuito
di
più
al
progresso dello Zeitgeist in
epoca recente, poneva dopo
la Rivoluzione francese e
l’ideadiprogressostessa«la
veloce
diffusione
degli
avvenimenti e delle idee del
giorno attraverso giornali,
riviste e brochures» (E.
Brandes, Betrachtungen über
den Zeitgeist in Deutschland in
den letzten Dezennien des
vorigen
Jahrhunderts,
Hannover, 1808, p. 180).
Sull’abitudine di Hegel di
leggere e commentare le
notizie politiche, da giornali
e
riviste,
insieme
ai
discepoli,cfr.K.Hegel,Leben
und Erinnerungen, Leipzig,
1900,p.10.
[202]HegelanNiethammer,9
giugno 1821, in Briefe, cit.,
vol.II,p.271.
[203] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, cit., §
279Z(trad.it.cit.,p.383).
[204] Ibid. § 274 Z (trad. it.
cit., p. 381). Cfr. Hegel,
Philosophie der Weltgeschichte,
cit., p. 932 (trad. it. cit., vol.
IV,
p.
212):
«La
preponderanzaesteriorealla
lunga
è
impotente:
Napoleone poté costringere
tanto poco la Spagna alla
libertà, quanto Filippo II
l’Olanda alla servitù». Di
Napoleone, tuttavia, Hegel
ha notoriamente apprezzato
l’introduzione in Germania,
ai tempi del regno di
Vestafalia sotto Girolamo
Bonaparte, del Codice civile
napoleonico,mentreiltanto
decantato
Preussisches
Allegemeines
Landrecht
prussiano che, sul piano
penale, sostituiva le pene
corporali anche minime con
la reclusione, in uno scritto
andato perduto gli era
apparso molto più crudele:
«Non è questa roba da
Irochesi, che passano il
tempo a pensare alle pene
deiloronemiciprigionieried
esercitano con voluttà ogni
nuovo tipo di tortura?»
(citato in K. Rosenkranz,
Hegels Leben, trad. it. cit., p.
253).
[205] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, cit., §
138 Z (trad. it. cit., pp. 341342).
[206] Ibid., § 47 A (trad. it.
cit.,p.145).
[207] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., pp. 924925 (trad. it. cit., vol. IV, p.
203).
[208]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften,§552A(trad.
it.cit.,pp.496-497).
[209] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 925
(trad.it.cit.,vol.IV,p.203).
[210]
V. Cuoco, Saggio
storico
sulla
rivoluzione
napoletanadel1799,acuradi
F. Nicolini, Bari, 1913, p. 95.
Del libro di Cuoco uscì una
recensione sulla «Minerva»
di Archenholz: cfr., nell’ed.
del Saggio storico appena
citata, la Prefazione alla
secondaedizione,p.7.
[211]
V. Cuoco, Saggio
storico
sulla
rivoluzione
napoletana del 1799, cit., p.
212. Sulla natura delle
rivoluzioni in Cuoco, cfr.
ibid., p. 15: «Le grandi
rivoluzioni
politiche
occupano
nella
storia
dell’uomoquelluogoistesso
che tengono i fenomeni
straordinari nella storia
dellanatura.Permoltisecoli
le generazioni si succedono
tranquillamente come i
giorni dell’anno: esse non
hanno che i nomi diversi, e
chi ne conosce una le
conosce
tutte.
Un
avvenimento straordinario
sembra dar loro una nuova
vita, nuovi oggetti si
presentanoainostrisguardi;
e in mezzo a quel disordine
generale, che sembra voler
distruggere una nazione, si
scoprono il suo carattere, i
suoi costumi e le leggi di
quell’ordine,delqualeprima
si vedevano solamente gli
effetti».
[212] Hegel an Niethammer,
29 aprile 1814, in Briefe, cit.,
vol.II,pp.28-29(trad.it.cit.,
vol. II, p. 240): «Grandi cose
sonoaccaduteintornoanoi.
È
uno
spettacolo
straordinario vedere un
enomegeniodistruggersida
sé. Questo è il tragikotaton
checisia.L’interamassadei
mediocri, con un’assoluta,
pesante, forza di gravità,
preme incessantemente e
implacabilmente finché non
ha ridotto al suo stesso
livellooaunlivelloinferiore
ciòcheèsuperiore».
[213]
Cfr. Hegel, Die
Heidelberger Niederschrift der
Einleitung
(Beginn
der
Vorlesung am 28. X. 1816), in
EinleitungindieGeschichteder
Philosophie,cit.,p.4.
[214] Cfr. Marriott,
The
Evolution of Prussia, cit., p.
289. Sull’atteggiamento di
Metternich nei confronti
della cultura e sul giudizio
negativo che egli dava della
filosofia hegeliana, cfr. H.
von Srbik, Metternich. Der
Staatsmann und der Mensch,
vol. I, München, 1925, pp.
492 ss.; vol. III, München,
1954,p.184.
[215] Cfr. H. Rosenberg,
Bureaucracy, Aristocracy and
Autocracy.
The
Prussian
Experience
1660-1815,
Cambridge, Mass., 1966, pp.
205 ss.; R.R. Palmer, The Age
of the Democratic Revolution,
Princeton,1959-1964,trad.it.
di A. Castelnuovo Tedesco,
L’era
delle
rivoluzioni
democratiche, Milano, 1971,
pp. 993 ss. Il ministro
prussiano Struensee così si
esprimeva parlando con un
francese:«Quellarivoluzione
chevoiavetefattodalbasso,
si attuerà in Prussia per
gradi.Ilre,amodosuo,èun
democratico. Sta lavorando
costantemente a limitare i
privilegi della nobiltà. Fra
pochi anni non ci saranno
più
in
Prussia
classi
privilegiate» (cfr. J. Droz,
L’Allemagne et la Révolution
française, Paris, 1949, p. 109).
«Princìpi democratici in
governomonarchico.Questa
mi pare la formula per
fissare lo spirito dell’epoca»
(Hardenberg, citato in Die
Reorganisation
des
preussischen Staates unter
Stein und Hardenberg, a cura
di G. Winter, Leipzig, 1931,
vol. I, p. 306). Per gli
avvenimenti prussiani di
questo periodo e per l’opera
dei
riformisti,
cfr.
soprattutto
Kampf
um
Freiheit.
Dokumente
zur
Geschichte der Nationalen
Erhebung1785-1815,acuradi
W. Markow e F. Donath,
Berlin, 1954; G. Ritter, Stein.
Eine politische Biographie,
Stuttgart,
19583;
W.
Gembruch, Freiherr von Stein
im Zeitalter der Restauration,
Wiesbaden,
1960;
R.
Koselleck,
Staat
und
Gesellschaft in Preussen 18151848, in AA.VV., Staat und
Gesellschaft im deutschen
Vormärz, Stuttgart, 1962, pp.
79-112;R.C.Raack,TheFallof
Stein, Cambridge, Mass.,
1965. Sulle vicende e la
debolezza del riformismo
prussiano, cfr. W.F. Simson,
The Failure of the Prussian
Reform Movement, 1807-1819,
Ithaca, N.Y., 1955. Spunti
notevoli anche in L. Krieger,
The German Idea of Freedom,
Boston, 1957. Su Altenstein
come
difensore
degli
studenti perseguitati, cfr. J.
D’Hondt, Hegel en son temps,
cit.,pp.71ss.
[216] Cfr. Kant, Metaphysik
derSitten,Rechtslehre,parteI,
cap.III,§41.Suidiscepolidi
Kant
nella
burocrazia
prussiana,cfr.H.Rosenberg,
Bureaucracy Aristocracy and
Autocrary.
The
Prussian
Experience 1660-1815, cit., p.
189. Sulla rivoluzione nel
regno del pensiero, iniziata
da Kant, che dovrà poi
rifluire nella realtà, cfr. già
l’articolo del «Moniteur» del
3 gennaio 1796, dove si dice
che Kant ha portato in
Germania una rivoluzione
negli spiriti «pareille à celle
que les vices de l’ancien
régime ont laissé arriver en
France dans les choses» (cit.
in G. Eisermann, Die
Grundlagen des Historismus in
der
deutschen
Nationalökonomie, Stuttgart,
1956,p.76)e,inoltre,J.Droz,
La pensée politique et morale
desCisrhénans,Paris,1940,p.
39.
[217] Altenstein, cit. in Die
Reorganisation
des
preussischen Staates unter
Stein und Hardenberg, a cura
di G. Winter, cit., vol. I, p.
462.
[218]Cfr.R.Koselleck,Staat
und Gesellschaft in Preussen
1815-1848, cit., p. 86 nota. Si
vedano anche E. Weil, Hegel
et l’État, Paris, 1950, trad. it.
Hegel e lo Stato e altri scritti
hegeliani, Milano, 1988; R.
Hočevar, Hegel und der
preussische
Staat.
Ein
Kommentar
zur
Rechtsphilosophie von 1821,
München,
1973;
G.
Ahrweiler,
Hegels
Gesellschaftslehre, Neuwied,
1976; G. Pavanini, Hegel e il
BeamtenstandnellaPrussiatra
riforma e restaurazione, in
AA.VV., Per una storia del
moderno concetto di politica,
Padova, 1977, pp. 257-296; P.
Alpino, Stände e Stato nella
«Filosofia del diritto», in
«Rivistacriticadistoriadella
filosofia», XXV (1980), fasc.
III, pp. 252-269; Von der
ständischen zur bürgerlichen
Gesellschaft. Politisch-soziale
Theorien im Deutschland der
zweiten Hälfte des 18.
Jahrhunderts, a cura di Z.
Batscha
e
J.
Garber,
Frankfurt a.M., 1981, e la
monumentale opera di K.
Vieweg, Das Denken der
Freiheit.HegelsGrundliniender
Philosophie
des
Rechts,
München, 2012. Sul variare
delle interpretazioni di
Hegel rispetto al suo
presente storico, cfr. K.R.
Meist, Differenzen in Hegels
Deutung der ‘Neuesten Zeiten’
innerhalbseinerKonzeptionder
Weltgeschichte, in Hegels
Rechtsphilosophie
im
Zusammenhang
der
europäischen
Verfassungsgeschichte, a cura
diH.-Ch.LucaseO.Pöggeler,
Stuttgart-Bad
Cannstatt,
1986,pp.465-504.
[219] M. Duncker, Aus der
ZeitFriedrichsdesGrossenund
FriedrichWilhelmsIII,Leipzig,
1876,pp.503ss.
[220]R.Koselleck,Staatund
Gesellschaft in Preussen 1815-
1848,cit.,p.86.
[221] E.G.G. von Bülow-
Cammerow, Preussen, seine
Verwaltung,seinVerhältniszu
Deutschland, Berlin, 18432, p.
187.
[222]Cfr.O.Camphausenan
R.Camphausen, 10 novembre
1843, in Rheinische Briefe und
Akten zur Geschichte der
politischen Bewegung 1830-
1850, Essen, 1919, vol. II, p.
609.
[223] Cfr. H. Schneider, Der
preussische
Staatsrat,
München-Berlin, 19522, pp.
110ss.
[224] Ibid. Sull’amore dei
tedeschi per i titoli, che ha
«un parallelo solo nella
ricerca di una lunga lista di
nomi
da
parte
degli
spagnoli» e quindi sulla loro
identificazione
con
la
funzione ricoperta, cfr.
Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§394Z.
[225] Hippel an Hardenberg,
13 ottobre 1821, in R.
Koselleck,
Staat
und
Gesellschaft in Preussen 18151848,
cit.,
p.
109.
Considerazioni
analoghe
sull’epoca
«veloziferische»
erano state espresse da
Goethe (cfr. Wilhelm Meister
Wanderjahre, in Gesammelte
Werke, Weimarer Ausgabe,
sezione I, vol. XLII, pp. 170
ss.).
[226]Cfr.R.Koselleck,Staat
und Gesellschaft in Preussen
1815-1848,cit.,p.90.
[227] E. Gans, Beiträge zur
Revision der preussischen
Gesetzgebung,Berlin,1830,p.
6. Sui rapporti fra Hegel e
Gans, cfr. M. Riedel, Hegel
und Gans, in AA.VV., Natur
und Geschichte. Karl Löwith
zum70.Geburtstag,Stuttgart,
1967,pp.257-273.
[228]
Gramsci,
Il
materialismo storico e la
filosofiadiB.Croce,cit.,p.185.
[229] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, cit., §
318Z(trad.it.cit.,p.391).
[230] Ibid., § 316 Z (trad. it.
cit.,p.390).
[231] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.28(trad.it.
cit.,
vol.
I,
p.
27).
Sull’interpretazione
hegeliana del Parmenide di
PlatonesivedanoW.Künne,
Hegel als Leser Platos. Ein
Beitrag zur Interpretation des
platonischen «Parmenides», in
«Hegel-Studien», 14 (1979),
pp. 109-146; A. Cavarero,
Platone e Hegel interpreti di
Parmenide, in AA.VV., La
scuola Eleatica, Napoli, 1988,
pp. 81-99, e R. Santi, Platone,
Hegel e la dialettica. In
appendice la dissertazione del
1823 di Ch. A. Brandis,
Prefazione di
Milano,2000.
G.
Reale,
[232] Cfr. Hegel, Verhältnis
des
Skeptizismus
zur
Philosophie. Darstellung seiner
verschiedenen Modifikationen
und Vergleichung des neuesten
mit den alten, in Jenaer
kritischeSchriften,inWerke in
zwanzig Bänden, cit., vol. 2,
trad. it. di N. Merker,
Rapporto dello scetticismo con
lafilosofia,Roma-Bari,1977;e
si vedano sul tema: G.
Varnier,
Lo
scetticismo
nell’evoluzione della dialettica.
Sul suo significato logico e
gnoseologiconelprimopensiero
jenese di Hegel, in «Giornale
critico
della
filosofia
italiana», LXVI/II (1987), pp.
283-312 (ma, per un più
ampio inquadramento del
sorgere della dialettica cfr.
Id.,
Ragione
negatività
autocoscienza, Napoli, 1990,
in particolare pp. 86 ss.);
M.N. Forster, Hegel and
Skeptizismus,
Cambridge,
Mass., 1989; K. Vieweg,
Philosophie des Remis. Der
junge Hegel und das Gespenst
des Skeptizismus, München,
1999; Id., Il pensiero della
libertà. Hegel e lo scetticismo
pirroniano, Pisa, 2007; M.
Biscuso, Hegel, lo scetticismo
antico e Sesto Empirico,
Napoli, 2005. Un peso, non
sempre
adeguatamente
valutato, ha nella nascita
della dialettica anche la
dimensione etico-politica,
cfr. R. Finelli, Mito e critica
delle forme. La giovinezza di
Hegel1770-1801,Roma,1996.
[233]
Antritt
Hegel, Rede beim
des philosophischen
Lehramtes an der Universität
Berlin,cit.,pp.19-20.
[234]
Cfr. A. Kojève,
Introduction à la lecture de
Hegel, cit.; Id., Entretiens avec
Gilles Lapouge, in «La
Quinzaine Litteraire», n. 53
(1-15luglio1968),cfr.trad.it.
di N. De Sanctis, in «Studi
Urbinati», n.s. B, XLII (1968),
n. 1, pp. 195-203. Questa
interpretazione di Kojève si
basa
anche
sull’interpretazione
del
«sapere assoluto» come
eliminazione del tempo, cfr.
più avanti, pp. 212-214. Sul
problema,
da
una
prospettiva diversa, cfr. R.K.
Maurer, Hegel und das Ende
der Geschichte, Stuttgart,
1965; Id., Hegel et la fin de
l’histoire, in «Archives de
philosophie»,XXX(1967),pp.
483-518; G. Bataille, A.
Kojève, J. Wahl, E. Weil e R.
Queneau, Sulla fine della
storia. Saggi su Hegel, a cura
diM.CiampaeF.DiStefano,
Napoli, 1985; R. Bouton,
Hegel penseur de la «fin de
l’histoire»?, in Après la fin de
l’histoire, a cura di J. Benoist
e F. Merlini, Paris, 1998, pp.
91-112.Peralcuneriflessioni
più generali sull’argomento,
cfr.E.Weil,Lafindel’histoire,
in «Revue de Métaphysique
et de Morale», LXXV (1970),
pp. 377-384; M. Vegetti, La
fine della storia. Saggio sul
pensiero di Alexandre Kojève,
Milano, 1999; Id., Hegel e i
confini
dell’Occidente.
La
Fenomenologia
nelle
interpretazioni di Heidegger,
Marcuse,
Löwith,
Kojève,
Schmitt, Napoli, 2005, pp.
255-335 e più avanti, pp.
114-115,152nota95,224.
[235] Hegel, Conclusioni del
corsodifilosofiaspeculativa,18
settembre 1806, cit., e cfr.
sopra, p. 80, e più avanti p.
197.
[236] Cfr. F. Fukuyama, The
End of History and the Last
Man, New York, 1992, trad.
it.Lafinedellastoriael’ultimo
uomo, Milano, 1992, il quale
ritiene che, con la sconfitta
del
comunismo
e
la
conclusione della Guerra
fredda, il capitalismo e la
democrazia
abbiano
raggiunto uno stadio ormai
insuperabile.
[237] Cfr. D. Auffret, La
philosophie, l’État, la fin de
l’histoire,Paris,2002,e,piùin
generale, M. Filoni, Il filosofo
della domenica. La vita e il
pensiero di Alexandre Kojève,
Torino,2008.
[238] Hegel, Wissenschaft
derLogik,cit.,vol.I,p.5(trad.
it.cit.,vol.I,p.5).
[239] Hegel, Verhandlungen
in der Versammlung der
Landstände des Königsreichs
Württenberg im Jahre 1815
und 1816, in Schriften zur
PolitikundRechtsphilosophie,a
cura di G. Lasson, Leipzig,
19232, p. 199, trad. it.
Valutazionedegliattiastampa
dell’assemblea dei deputati del
regno del Württenberg negli
anni 1815 e 1816, in Hegel,
Scritti politici 1798-1831, a
curadiC.Cesa,Torino,1972,
p. 181. Anni ricchi, certo, di
storia ma anche di paure e
di speranze che non si sono
ancora esaurite: «Ho quasi
cinquant’anni e ne ho
trascorso trenta in questi
tempiinquietiditimoreedi
speranzaesperavochefosse
unabuonavoltafinitaconil
timore e la speranza. Ora
devo constatare che tutto
continua come prima e anzi
– vien da pensare nelle ore
più nere – tutto si
inasprisce»(HegelanCreuzer,
inBriefe,cit.,vol.II,p.219).
[240]
Cfr.
R.
Bodei,
«MetaphysikderZeit»inHegels
Geschichte der Philosophie, in
Hegels Logik der Philosophie, a
cura di D. Henrich e R.-P.
Horstmann, Stuttgart, 1984,
pp.84-85.
[241] K. Rosenkranz, Hegels
Leben,trad.it.cit.,p.127:«In
autunno andò a Tubinga, in
autunno a Bamberga, in
autunno a Norimberga, in
autunno a Heidelberg, in
autunno a Berlino e in
autunno morì; è questo uno
di quegli strani aspetti
dell’umanodestino,dicuisi
preferirebbe
scoprire
il
motivo
nell’individualità
stessa, e per cui si potrebbe
definire Hegel una natura
autunnale,unfruttomaturo
esuccoso».
[242]
Sull’«assioma di
chiusura»
che
sarebbe
presente in Hegel, cfr. le
osservazioni di S. Veca, Sul
Capitale, in Marxismo e critica
delle teorie economiche, a cura
di S. Veca, Milano, 1974, pp.
191-193:
«Il
sistema
hegeliano si presenta come
il massimo possibile di
filosofia, come la teoria più
potente compatibile con le
condizioni e i limiti della
metafora ideologica del
filosofico […] La grandezza di
Hegel – non il suo limite,
come
a
volte
si
è
banalmente creduto – sta
proprio nell’aver saputo e
potuto portare il sistema
dell’ideologia
alla
sua
chiusura […] Un particolare
assioma
di
chiusura
presiede all’organizzazione
della filosofia classica nella
forma hegeliana. […] Il
problema di Hegel diventa
quello di poter pensare,
senza residui, il complesso
ditrasformazionichedanno
luogo al dominio del
presente. Quali le condizioni
di pensabilità del mondo
storico-istituzionale
del
capitalismo?
Questo
compito costringe Hegel a
misurarsi
con
la
contraddizione; porta al
limite estremo di tensione
un sistema teorico che deve
poter
risolvere
continuamente e senza
residui la discontinuità in
continuità, l’eterogeneità in
omogeneità, il passato in
presente».Sulsignificatodel
sistema hegeliano cfr., tra i
tantitestipubblicati,l’utilee
precisa messa a punto di A.
Nuzzo, System, Bielefeld,
2003.
[243] Cfr. K.R. Popper, The
Poverty
of
Historicism,
London, 1944; Id., Prediction
and Prophecy in the Social
Science, in Conjectures and
Refutations, London, 1963,
trad. it. di G. Pancaldi,
Previsione e profezia nelle
scienze sociali, in Congetture e
confutazioni,Bologna,1972,p.
588.
[244] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 200
(trad.it.cit.,vol.I,p.234).
[245] Ibid., p. 174 (trad. it.
cit.,vol.I,pp.201-202).
[246] Ibid., p. 897 (trad. it.
cit.,vol.IV,p.170).
[247] Hegel, Die Positivität
der christlichen Religion, in
Theologische Jugendschriften,
cit., pp. 140-141, trad. it. di
N. Vaccaro e E. Mirri, La
positività
della
religione
cristiana, in Scritti teologici
giovanili,cit.,pp.220-221.
[248]Cfr.Hegel,Grundlinien
derPhilosophiedesRechts,cit.,
§§ 244-244 Z-245 (trad. it.
cit.,pp.204-205,370-371).
[249] Cfr. Hegel, Philosophie
derWeltgeschichte,cit.,p.933
(trad. it. cit., vol. IV, p. 213):
«La volontà dei molti
rovesciailministero,edecco
chevienealsuopostoquella
che era finora l’opposizione;
ma questa, in quanto è ora
al governo, ha di nuovo i
molti contro di sé. Così
continua il movimento e
l’agitazione.
Questa
collisione, questo nodo,
questo problema è quello a
cui ora è ferma la storia, e
che essa deve risolvere nei
tempiventuri».
[250] Hegel an Zellmann, 23
gennaio 1807, in Briefe, cit.,
vol.I,p.138(trad.it.cit.,vol.
I, p. 253). Cfr. Philosophie der
Weltgeschichte, cit., pp. 927928 (trad. it. cit., vol. IV, p.
207): «I pochi debbono
rappresentare i molti, ma
spesso non fanno altro che
conculcarli».
[251] Cfr. Hegel an Boris von
Yxkull,28novembre1821,in
Briefe,cit.,vol.II,pp.297-298;
Philosophie der Weltgeschichte,
cit., pp. 197 ss. (trad. it. cit.,
vol.I,pp.229ss.).Suquesto
personaggio, cfr. G. von
Rauch, Boris von Uexküll und
Hegels
Russlandbild,
in
«Baltische
Hefte»,
4
(1957/58),
pp.
26-36.
Sull’immaturità,
anche
culturaleoltrechegeologica,
dell’America, cfr. Hegel,
Philosophie der Weltgeschichte,
Wintersemester 1830/1831,
Quaderno di Karl Hegel, cit.,
pp. 52 ss. Quando Hegel
scrive, gli Stati Uniti erano
geograficamente meno della
metà di oggi; il Far West, il
Texas e le altre regioni
furono
conquistati
successivamente, con la
guerra contro il Messico e
nel 1849 fu conquistata la
California. Dato che però vi
era tanta terra libera da
coltivare,compreselegrandi
praterie, Hegel intravede
l’espansione
americana
verso Ovest quale premessa
diegemoniapolitica.
[252]
B.
Brecht,
Flüchtlingsgespräche, trad. it.
di M. Cosentino, Dialoghi di
profughi,Torino,1962,p.99.
[253] Hegel an Boris von
Yxkull,letteraperduta,citata
in K. Rosenkranz, Hegels
Leben, trad. it. cit., pp. 699,
701.
[254] Cfr. M. Weber, Die
protestantische Ethik und der
Geist des Kapitalismus (1905),
in Gesammelte Aufsätze zur
Religionssoziologie, Tübingen,
1922, trad. it. di P. Burresi,
L’etica protestante e lo spirito
del
capitalismo,
Firenze,
19652,p.305.
[255]A.Ferguson,AnEssay
on the History of Civil Society
(1767), a cura di D. Forbes,
Edinburgh, 1966, trad. it. di
P.Salvucci,Saggiosullastoria
della società civile, Firenze,
1973,pp.308,314.
[256]
Sulla
proprietà
privata e la sua difesa, cfr.
Hegel,
Grundlinien
der
Philosophie des Rechts, cit., §§
41-70,einparticolare§49A
e 62 A (trad. it. cit., pp. 62,
70).
Sull’origine
della
proprietà
privata
dall’agricoltura, dalla fine
del nomadismo e dal
matrimonio, cfr. ibid., § 203
A (trad. it. cit., p. 179): «A
buon diritto, il principio
proprio
e
la
prima
fondazione degli Stati sono
stati posti nell’introduzione
dell’agricoltura,
accanto
all’introduzione
del
matrimonio, perché quel
principio
importa
la
lavorazione del terreno e,
quindi, la proprietà privata
esclusiva
(cfr.
§
170
annotaz.)eperchériconduce
lavitanomadedelselvaggio,
che cerca la sua sussistenza
nel nomadismo, alla quiete
del diritto privato e alla
sicurezza dell’appagamento
del bisogno, cui si connette
la limitazione dell’amore
sessuale nel matrimonio e,
quindi, l’allargamento di
questo vincolo a un’unione
durevole, universale in sé,
del bisogno a cura della
famiglia, e del possesso a
bene
della
famiglia.
Assicurazione,
consolidazione,
durata
dell’appagamento
dei
bisogni etc., – caratteri, pei
quali si raccomandano
soprattutto tali istituzioni –
sononull’altro,senonforme
dell’universalitàeaspettidel
comelarazionalità,assoluto
scopo finale, si fa valere in
queste
materie».
Sulla
povertà come «questione
che muove e tormenta
particolarmente le società
moderne»,machenontrova
attualmente soluzione, cfr.
ibid., §§ 244, 244 Z e 245
(trad. it. cit., pp. 204-205,
370-371). Sulle ascendenze
storiche della problematica
hegeliana,
cfr.
C.B.
Macpherson, The Political
Theory
of
Possessive
Individualism:HobbestoLocke,
Oxford, 1962, trad. it. a cura
diA.Negri,Libertàeproprietà
alle origini del pensiero
borghese.
La
teoria
dell’individualismodaHobbesa
Locke, Milano, 1973. Sul
rapporto hegeliano libertàproprietà, cfr. W. Euchner,
Freiheit,
Eigentum
und
Herrschaft bei Hegel, in
«Politische
Vierteljahresschrift»,
XI
(1970), pp. 531-555, e S.
Mercier-Josa,
Liberté
et
propriété. Les apories de la
«Doctrine du droit» de Kant et
des «Fondaments de la
Philosophie du droit» de Hegel,
in «La pensée», n. 170,
agosto 1973, pp. 67 ss. Sui
legami
familiari
nella
concezionehegeliana,cfr.C.
Mancina,
Differenze
dell’eticità. Amore famiglia
società civile in Hegel, Napoli,
1991.
[257]
Cfr., ad esempio,
Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§482A(trad.
it.cit.,pp.442-443).
[258]
Hegel,
Jenenser
Realphilosophie I, a cura di J.
Hoffmeister,Leipzig,1932,p.
240,trad.it.diG.Cantillo,in
Hegel, Filosofia dello spirito
jenese, cit., p. 100. Per la
cecità dei meccanismi di
mercato, cfr. ibid., p. 239
(trad.it.cit.,p.99).
[259] Ma per il senso
proprio
di
espressione, cfr.
questa
Hegel,
Phänomenologie des Geistes,
cit.,pp.216-228(trad.it.cit.,
vol. I, pp. 328-348); J.
Hyppolite, Genèse et structure
de la «Phénoménologie de
l’esprit» de Hegel, Paris, 1946,
trad. it. di G.A. De Toni,
introd.diM.DalPra,Genesie
struttura della «Fenomenologia
dellospirito»diHegel,Firenze,
1972,pp.357ss.;S.Landucci,
L’operare umano e la genesi
dello
«spirito»
nella
«Fenomenologia» di Hegel, in
«Rivistacriticadistoriadella
filosofia», XX (1965), pp. 1650e151-181.
[260]Sullametaforicadella
luce, cfr., in generale, H.
Blumenberg,
Licht
als
Metaphorik der Wahrheit, in
«Studium
Generale»,
X
(1957), pp. 442-457. Sulla
metafisica della luce in
Hegel,inrelazionealsorgere
dei concetti di riflessione,
speculazione,
apparenza,
riflesso, immagine ecc. cfr.
K. Hedwig, German Idealism
in the Context of Light
Metaphysics, in «Idealistic
Studies», II (1972), pp. 16-38.
Sull’interesse hegeliano per
la teoria dei colori e gli
scomodi esperimenti che
Hegel compie «steso per
terra»aosservareilgiocodei
colori prodotto dalla luce
provenientedaunafinestra,
cfr. K. Rosenkranz, Hegels
Leben, trad. it. cit., p. 479, e
cfr. ibid., Urkunden, p. 538. S.
Sambursky,LichtundFarbein
den
physikalischen
WissenschaftenundinGoethes
Lehre, in «Eranos Jahrbuch
1972», vol. 41, Leiden, 1974,
pp.199ss.Perunastoriadel
concetto di luce e i rapporti
fra ottica e riflessione, cfr.
A.I. Sabra, Theories of Light
from Descartes to Newton,
London, 1967; Ph. D’Arcy, La
réflexion, Paris, 1972, pp. 9
ss., e Pfaff an Hegel, estate
1812, in Briefe, cit., vol. I, p.
407 (trad. it. cit., vol. II, p.
190).
Per
l’interesse
hegeliano alle teorie di
Malus,cfr.piùavanti,p.318
nota44.
Capitolosecondo
Dallanatura
allastoria
Il capitolo tratta della
relazione tra uomo e
natura, in particolare
prendendo in esame
tremodellianalogicidi
spiegazione
del
processo
di
assoggettamento della
natura
da
parte
dell’uomo. Il primo
equipara
la
conoscenza
all’assimilazione,
mediante la quale gli
oggetti
singoli
vengono idealizzati e
resi proprietà del
soggetto; il secondo fa
un’analogia fra gli
antichi misteri, la
comunione cristiana e
la consustanziazione
del sensibile; l’ultimo
propone l’idea che vi
sia un ordinamento
teleologico
ascendente, in cui
ogni
gradino,
nell’esplicitare
il
precedente, ne è la
"verità".
Questi
modelli
vengono
esaminati
prima
separatamente,
per
poi
venire
abbandonati quando
infine rivelano una
trama
concettuale
unitaria,
da
essi
sottesa. Si tratteranno
dunque
argomenti
qualilarelazionetrala
filosofiadellanaturae
la scienza, l’individuo
eilgenere,l’animalee
l’uomo nonché i tre
elementi
che
lo
caratterizzano ovvero
lavoro,
pensiero
e
istinto.
Il mistero
è sempre
questo:
come
il
pensatore
sviluppa–
come
sorge,
produce
dal
vecchio il
nuovo
che è un
non
ancora
esistito
nel
pensiero?
Pfaffa
Hegel[1].
1.Le
Denkbestimmungen
L’endiadi
ragioneeffettualità si estende
benoltrelasferaumana
e coinvolge tutta la
realtà, che è per sua
natura conforme al
pensiero. Ma quando si
dice che il pensiero,
«come
oggettivo,
pensiero
costituisce
l’intimo nucleo del
mondo, può sembrare
che
si
attribuisca
coscienza alle cose
naturali.
Avvertiamo
ripugnanza a concepire
l’intima attività delle
cose nella forma del
pensare,poichédiciamo
che l’uomo si distingue
da ciò che è naturale
mediante il pensiero.
Noi dovremmo dunque
parlare della natura
come del sistema del
pensiero
inconscio,
come di un’intelligenza
pietrificata, secondo le
parole
Invece
di
di
Schelling.
usare il
termine “pensiero”, è
perciòmegliodire,onde
evitare fraintendimenti,
“determinazione
di
pensiero”
(Denkbestimmung)»[2]. Le
cose hanno in sé una
struttura razionale che
il pensiero esplicita,
rendepersé.Macomeè
possibile trasformare la
singolarità delle cose
nell’universalità
del
pensiero, produrre i
concetti
e
le
rappresentazioni? «Nel
pensare le cose, le
trasformiamo
in
qualcosa di universale;
ma le cose sono singole
e il leone in generale
non esiste. Noi le
trasformiamo
in
qualcosa di soggettivo,
prodotto
da
noi,
appartenente a noi ed
invero di proprio a noi
in
quanto
uomini;
infatti le cose della
natura non pensano e
non
sono
rappresentazioni
o
pensieri»[3].
Resta
tuttavia da spiegare
come
l’oggetto
si
traduca nel soggetto e
comeilsoggettopenetri
nell’alterità dell’oggetto
e ne decifri l’elemento
diuniversalità.Aquesta
seconda questione, in
un’epoca
che
ha
proclamato la distanza
incolmabile fra soggetto
e
oggetto
e
l’inconoscibilità
delle
cose in sé, sanno
rispondere meglio gli
animali dei metafisici:
«nemmeno le bestie
sono stupide come
questimetafisici,poiché
sidirigonosullecose,le
afferrano
e
le
consumano»[4].
In
questa
«più
bassa
scuola della saggezza»,
in cui si celebrano gli
antichimisteridiCerere
e di Bacco, «il segreto
del mangiare il pane e
delbereilvino»,tuttigli
esserianimatimostrano
quale sia la «verità»
delle cose singole e la
loro
presunta
autonomia
e
intangibilità di fronte al
soggetto[5]. «Il mangiare
e il bere riducono le
coseaciòchesonoinsé
oinverità»[6].Epossono
compiere
questa
consustanziazione del
paneedelvinoincarne
e sangue del loro corpo
in quanto «la natura
inorganica che viene
assoggettata al vivente,
sopporta questo perché
essa è in sé la stessa
cosa che la vita è per
sé»[7]. Allo stesso modo,
lo
spirito
è
assimilazione
della
natura: «lo spirito nega
l’esteriorità
della
natura, l’assimila a sé e
così la idealizza»[8] e il
«concetto è l’anima, lo
scopodiunoggetto»[9].
Possiamo
già
cominciare
a
intravedere tre modelli
analogici, strettamente
connessi,dispiegazione
del pensiero e del
processo
di
assoggettamento della
natura
da
parte
dell’uomo.Sitratta:a)di
una equiparazione della
conoscenza
alla
assimilazione,mediante
la quale gli oggetti
singoli
vengono
idealizzati
e
resi
proprietà del soggetto;
b)diunaanalogiafragli
antichi
misteri,
la
comunione cristiana e
laconsustanziazionedel
sensibile;c)dell’ideache
vi sia un ordinamento
teleologico ascendente,
in cui ogni gradino,
nell’esplicitare
il
precedente, ne è la
«verità».
dapprima
Esaminiamo
separatamente
tali
modelli,
per
poi
abbandonarli quando ci
avranno rivelato una
trama
concettuale
unitaria,daessisottesa.
2.Il«comprendere
inconscio»della
digestione
Questa equiparazione
fra assimilazione e
pensiero
non
deve
sorprendere. A partire
dai primi anni di Jena,
allora una delle capitali
della cultura europea,
l’interesse di Hegel per
la fisiologia e per i
processidelladigestione
in
particolare
fu
fortissimo.
Egli
frequentò in quella
cittadina le lezioni di
fisiologiadiJakobFidelis
Ackermann[10]
e
progettò la traduzione
tedesca dei Nouveaux
éléments de physiologie di
Anthelm Richerand, un
giovane
allievo
di
Bichat, ritenendo che in
Germanianoncifossero
opere di quel livello[11].
Lesse
comunque
e
utilizzò a fondo lo
Handbuch der Physiologie
di Johann
Ferdinand
Heinrich
von
Autenrieth, il medico
che curava Hölderlin
nella
clinica
di
Tubinga[12]. Ma, oltre a
questi
autori,
più
Treviranus e Haller[13],
lasuafonteprincipaleè
lo Spallanzani degli
Opuscoli di fisica animale
e vegetabile. I. Della
digestione[14],
che
conobbe nella versione
francese
di
Jean
Senebier, Expériences sur
la digestion de l’homme et
des différentes espèces
d’animaux,
Genève,
1784[15].
Quel che Hegel crede
di aver appreso da
Spallanzani e dalla
moderna fisiologia dei
processi digestivi è che
l’organismo
assorbe
immediatamente,
in
quanto
potenza
universale,
il
cibo
ingoiato, ne «nega» la
sua
natura
«relativamente»
inorganica e lo pone
come identico a sé, lo
as-simila[16]. Infatti, «la
natura
animale
è
l’universale contro le
nature particolari, che
sono in essa nella loro
verità e idealità, poiché
essa è effettivamente
ciò
che
quelle
formazioni sono in sé.
Allo stesso modo, per il
fattochetuttigliuomini
sono in sé razionali, ha
poteresudilorol’uomo
che si appella al loro
istinto della ragione,
poichéciòcheeglirivela
ad essi corrisponde
subito con qualcosa nel
loro istinto che può
accordarsi alla ragione
esplicita; in quanto il
popolo
accoglie
immediatamente
ciò
che riceve, la ragione
appare in esso come
diffusione e infezione, e
con ciò scompare la
scorza, la parvenza di
una separazione, che
era ancora presente.
Questa
potenza
dell’animalità
è
il
rapporto
sostanziale,
l’elemento
più
importante
nella
digestione»[17]. Anche le
idee razionali vengono
dunque
digerite
e
assimilate dagli uomini
che ne sono affamati e,
come nel caso della
preparazione
della
Rivoluzione in Francia,
lalororecezioneappare
come frutto di una
congiura
e
di
un’infezione: «Perciò la
comunicazione
dell’intellezione
pura
[…] è una penetrante
infezione la quale non
rendendosi
in
precedenza osservabile
come opposto di contro
all’indifferente
elemento in cui essa si
insinua,nonpuòquindi
venir
combattuta.
Soltanto
quando
l’infezione si è diffusa,
essaèperlacoscienzache
le si abbandonò senza
nulla sospettare»[18]. Ma
quando ci si accorge
dell’avvenuta
assimilazione di queste
idee, «la lotta vien
troppotardi,eognicura
riesce
soltanto
a
peggiorare
la
malattia»[19];
così
i
philosophes
hanno
spianato la strada alla
rivoluzione.
Spallanzani dimostrò
che la digestione non
avvienepereffettodella
fermentazione o della
putrefazione
degli
alimenti, né a causa di
una fantomatica «forza
triturante»[20].
Dopo
lunghi
esperimenti
condotti su anatre e
struzzi, facendo loro
ingeriresferedicristallo
e tubi metallici (qui
veramente,
secondo
l’emblema e il motto
creati nel Cinquecento
da Paolo Giovio, spiritus
durissima coquit), su
rane, animali domestici
e su se stesso –
inghiottendo
intrepidamente pezzi di
carne
racchiusi
in
sacchetti di stoffa –,
Spallanzani giunse alla
conclusione
che
si
digerisce
tramite
i
succhi gastrici[21], di cui
non
individua
comunque l’acidità[22].
Hegel
interpreta
il
risultato
delle
esperienze
Spallanzani
di
come
negazione della teoria
per cui nella digestione
si avrebbe una scelta
meccanica delle parti
utilizzabili e delle parti
escretibili[23]. Ma, quel
che è strano a prima
vista, nega – contro le
esplicitedichiarazionidi
Spallanzani stesso – il
carattere chimico del
processo
digestivo:
«Questo
immediato
trapasso e metamorfosi
è ciò su cui naufraga e
trova i suoi limiti ogni
chimica
e
ogni
meccanica,giacchéesse
sono
appunto
una
comprensione a partire
daciòcheèpresenteed
ha già la sua esteriore
uguaglianza[…]Ilpane,
ad esempio, non […] ha
alcunrapportocolcorpo
oilchilocolsangue,che
è tutt’altra cosa. Né la
chimica
né
il
meccanismo possono
seguire empiricamente
la trasformazione del
cibo in sangue»[24].
Hegel ha qui allargato il
discorso
all’intera
assimilazione, che ha sì
inizio anche per lui con
l’azione chimica dei
succhi gastrici, ma che
procedepoiperpotenza
«organica». In effetti,
seppure in maniera
confusa, egli ha colto
una delle maggiori
difficoltà della fisiologia
della nutrizione del
tempo, che sarà avviata
a soluzione dapprima
con la scoperta del
carattere animale della
fermentazione e poi
degli
enzimi[25].
In
breve, come è chiaro
dalla Scienza della logica,
Hegel non rifiuta il
meccanismo
e
il
chimismoinquantotali,
ma li subordina negli
organismi viventi a un
processo teleologico, in
cui essi obbediscono
come strumenti, sono
servi sotto il dominio
dell’organico[26].Perloro
tramite,
nell’assimilazione
l’organismo compie un
«sillogismo»,
«un
fondersi con se stesso
nel
suo
processo
esterno», che realizza
una finalità interna e
una
«soddisfazione
razionale»[27].
Questo
inserimento
del
relativamente
inorganico
nell’organico, attraverso
l’assimilazione, è la
comprensioneinconscia
delle cose: «infatti, il
mangiare e il bere fa
delle cose inorganiche
ciò che sono in sé. È la
comprensioneinconscia
(das
bewusstlose
Begreifen) di esse, ed
esse divengono così
qualcosaditolto,poiché
sono tali in sé […]
l’organico
si
impadronisce
immediatamente
dell’inorganiconellasua
materia
organica,
perché esso è il genere
(Gattung)comesemplice
Sé e quindi come forza
dell’inorganico. Quando
l’organico, attraverso i
singoli momenti, porta
gradualmente
l’inorganico all’identità
consé,questiminuziosi
preparativi
della
digestione attraverso la
mediazione
di
più
organi sono invero
superflui
per
l’inorganico, ma non lo
è
il
percorso
dell’organismo in se
stesso, che avviene
grazie a se stesso, per
essere il movimento e
con ciò l’effettualità;
parimenti, lo spirito è
tanto più forte e vitale
quanto maggiore era la
contraddizione che ha
superato»[28].
Come
prove del carattere
immediato
dell’assimilazione, per
l’inorganico,
Hegel
adduce
alcune
esperienze
accettate
dallascienzadeltempo:
il caso di quei marinai
inglesi che, avendo
terminato le scorte di
acqua
potabile,
sopravvissero bagnando
iloroindumentioiloro
corpi in mare, così da
assorbire acqua dolce
attraverso la pelle;
l’assimilazione
dell’oppio
e
dell’ipercacuana
attraversoleascelleela
zona
della
pelle
corrispondente
allo
stomaco; la scoperta di
Cuvier, secondo cui nei
tessuti
della
Salpa
octofora, ma al di fuori
dello
stomaco,
si
trovano talvolta parti di
una Anatifera – ingerita
probabilmente
attraverso l’apertura da
cui la Salpa aspira
l’acqua
–
fuse
e
assorbite dagli organi
circostanti
della
Salpa[29]. Ma, proprio
perché ogni organismo
viventeèdotatodinisus
formativus
o
di
Bildungstrieb[30], proprio
perché
esso
è
teleologicamente
orientato, la sua attività
consiste «nel gettar via
il mezzo dopo aver
raggiunto lo scopo»[31].
Ottenuta la «sazietà»,
esso procede, in una
fase
disgiuntiva,
all’eliminazione
delle
scorie.
In
questo
momento l’ironia della
natura, dice Hegel con
brutale
franchezza,
quasi a sottolineare
l’inferiorità del vivente
rispetto al genere di cui
èportatore,unisceilpiù
basso al più alto: «Gli
organi dell’escrezione e
i genitali, il punto
supremo e l’infimo
dell’organizzazione
animale,
coincidono
intimamente in molti
animali,cosìcomenella
bocca la parola e i baci,
da un lato, e, dall’altro,
il mangiare, il bere e lo
sputare»[32].
Non
soltanto
il
mangiare e il bere sono
una
«comprensione
inconscia» delle cose;
anche
la
cultura
consisteperl’uomo«nel
consumare
la
sua
natura inorganica e
nell’assimilarsela»[33].
L’individuo
singolo,
anzi,
si
appropria
velocemente
della
sostanza dello spirito
universale[34], del lavoro
di
generazioni
di
uomini, perché esso è
già stato metabolizzato
nella cultura e nel
linguaggio. Tuttavia, se
il
singolo
vuol
nuovamente capire il
significato del mondo
che si è costituito, se
vuol ripercorrere «il
calvariodellospirito»[35],
deve soffermarsi a tutte
le
sue
«stazioni»,
digerirlo: il «farsi» dello
spirito,
la
storia,
«presenta un torpido
movimento
e
una
successione di spiriti,
una galleria d’immagini
ciascuna delle quali,
provveduta
della
completa
ricchezza
dello spirito, si muove
con
tanto
torpore
proprio perché il Sé ha
da penetrare e da
digerire tutta questa
ricchezza della sua
sostanza»[36]. Sia che si
segua la via spontanea
dell’assimilazione
attraverso la cultura del
senso comune o del
linguaggio, sia che si
segua la via speculativa
più breve, attraverso il
cammino
fenomenologico,
il
pensieroèdiventatoper
l’uomo più che una
seconda
natura:
si
pensacomesidigerisce,
con
lo
stesso
automatismo inconscio,
con la stessa istintività,
poiché l’istinto non è
altro che «la finalità
operante
in
modo
inconsapevole»[37].
Per
questo
è
assurdo
affermare che lo studio
della logica serva a
imparare a pensare: «è
proprio come se si
dovesse imparare a
digerire o a muoversi
solo con lo studio
dell’anatomia e della
fisiologia»[38]. Oppure:
«Questa affermazione
farebbe il paio con
l’altra, che noi non
potessimo
mangiare
primadiaveracquistato
la conoscenza delle
qualità
chimiche,
botaniche e zoologiche
dei mezzi di nutrizione,
e che noi dovessimo
aspettare a digerire fino
a che non avessimo
prima compiuto lo
studio dell’anatomia e
dellafisiologia»[39].
Se
il
irriflesso
pensiero
funziona
nell’uomo
altrettanto
inconsciamente
e
automaticamente della
digestione, si possono
allora enunciare alcune
conclusioni provvisorie,
il cui contenuto dovrà
essere
ulteriormente
approfondito: 1) Persino
sullapiùaltavettadello
spirito giunge ancora la
relativa
cecità
dell’istinto;2)Ilpensare
non ha a che vedere
solo con se stesso, così
come il digerire, pur
avendoluogoall’interno
del soggetto, non è solo
un processo soggettivo;
3) Col pensiero l’uomo
assimila il mondo, lo
pone in «fluidità» e lo
«idealizza»[40], sebbene
tale
assimilazione
avvenga nella maggior
parte dei casi solo in
maniera spontanea e
casuale,
mediante
l’appartenenza a una
comunità linguistica e
culturale; 4) La logica e
più in generale la
filosofia non insegnano
a pensare, ma portano
alla
luce
quelle
Denkbestimmungen che
sono
già
inconsciamente
presenti nei singoli e
nell’epoca; sotto questo
aspetto la filosofia ha
solo
una
funzione
eminentemente
maieutica: «il compito
della filosofia consiste
solo
nel
portare
esplicitamente
a
coscienza quello che,
rispetto al pensiero, da
tempo inveterato, è
sempre invalso. La
filosofia non stabilisce
nientedinuovo;ciòche
noiestraiamoattraverso
la nostra riflessione, è
già
presupposto
immediato
di
ciascuno»[41], anche se
poi gli uomini
riconoscono
si
difficilmente
nella
trascrizione cosciente,
operata dalla filosofia,
dei
loro
stessi
«presupposti».
3.Manducatio
spiritualise
manducatio
corporalis
Riprendendo
la
tradizionale polemica
fraluterani,zwinglianie
cattolici sulla natura
dell’eucarestia,
sulla
manducatio spiritualis o
corporalis di essa[42],
Hegel vede riprodotti al
livello teologico anche
errori o unilateralità
filosofiche.
Mentre,
infatti,
i
cattolici
considerano
l’ostia
come
una
«cosa
esterna», che ha realtà
indipendentemente dal
soggetto
consuma,
che
e
la
gli
zwingliani la ritengono
semplicemente
un
simbolo con valore
commemorativo(«et hoc
facite
in
commemorationem
meam»), nella chiesa
luterana al contrario
«l’ostia come tale vien
consacrataedelevataal
Dio presente solo nella
fruizione,
cioè
nell’annullamento
dell’esterioritàdiessa,e
nella fede, cioè nello
spirito insieme libero e
certo di sé»[43]. Da parte
cattolica vi è quindi
prevalenza del sensibile
e dell’oggettivo, un
residuo della metafisica
tradizionale (esaminata
da Hegel nella Prima
posizione del pensiero
rispetto all’oggettività)[44],
che
riteneva
inessenziale l’aggiunta
del soggetto alla realtà
della cosa, negava in
altri
termini
l’importanza
determinante
della
«fruizione»
distruggitrice
e
assimilante
della
soggettività
nella
digestione dell’oggetto.
In
questo
valore
assoluto
attribuito
all’oggettivo in sé si
trova
anche
la
spiegazione
della
passivitàpoliticaodelle
rivoluzioni politiche dei
paesi cattolici, latini e
sudamericani[45].
Il
soggetto considera in
entrambi i casi la realtà
esterna come alterità,
sia che la subisca sia
chelarovesci.Nonèper
Hegel ancora giunto –
dinanzi allo strapotere
del
positivo
–
a
considerare la realtà
esterna
come
assimilabile attraverso
un
processo
di
metabolizzazione.
Coscienza e mondo
vivono
nei
paesi
cattolici
in
una
relazione di signoriaservitù, in cui i ruoli
possono alternarsi, ma
incuinonsièraggiunta
ancora
alcuna
conciliazione.
La
certezza protestante, la
fede
luterana,
sta
proprioinquestopotere
di assimilazione e di
fruizione della realtà
mediante la coscienza,
nell’identità
di
manducatiospiritualisedi
manducatio corporalis. E
Lutero, nell’affermare
contro Carlostadio e
Zwingli la presenza del
divinonelsensibile(«hoc
est
corpus
meum»),
poteva dire: «In questa
sentenza si stabilisce
cheilcorpodiCristoeil
pane sono una cosa
sola, e che quando si
spezza sono una cosa
sola, e che, quando si
spezza il pane, è come
spezzare o distribuire il
corpodiCristo,affinché
venga diviso, distribuito
e ricevuto tra molti […]
Occorre professare che
il corpo di Cristo è qui,
nelpane:ecomeilpane
spezzato non perde per
questo la sua essenza o
ilsuonome,echecome
continua a essere e a
chiamarsi
pane,
sebbenevengaspezzato;
così anche il corpo di
Cristo
rimane
qui,
sebbene per molti pezzi
venga distribuito fra
molti»[46]. Il divino è
dunque presente nel
mondo, realmente e
non simbolicamente, ed
esso trapassa negli
uomini e solo in essi
ottiene
verità,
consustanziazione.
L’oggettività sensibile
nonhadaunlatovalore
assoluto, ma dall’altro
non è neppure vuota
allegoria
del
soprasensibile. È questo
uno dei punti della
dottrina luterana che
Hegel mostra di aver
meditato più a fondo: è
nel presente che si
manifesta il razionale,
che è perciò Gegenwart,
parousia, non al di là. E
l’oggettività sensibile –
come vedremo – non è
semplice apparenza o
fenomeno dietro cui si
nasconde un’ipotetica
cosa in sé, ma è invece
realtà che trova la sua
«verità» nella fruizione
soggettiva, essa cioè
non viene distrutta –
comesostengonoquanti
attribuiscono a Hegel
posizioni
platonizzanti[47] – così
da
rivelare
quanto
occultava (poiché non
occulta
nulla),
ma
soltanto assimilata nel
momento
della
conoscenza
teorica.
Nella conoscenza il
sensibile e il mondo
continuano ad aver
esistenza, al pari del
meccanismo
e
del
chimismo
nella
teleologia organica, solo
in quanto finalizzati
internamente,ossianon
vengono
meramente
cancellati ma inseriti in
un
processo
che
vedremo
ritornare
all’immediatezza
del
sensibile.
È pur sempre la
soggettività,nel«mondo
moderno», che guida il
processo,
ma
una
soggettività
che
è
emersa dalla relazione
con l’oggettività, che è
«identità dell’identità e
della non identità»[48].
Una soggettività sorta
daldoloreinfinito,dalla
morte della naturalità,
nella
notte
del
Getsemani, «in cui la
sostanza fu tradita e si
rese soggetto»[49]. In
questo senso non è il
Golgota a rappresentare
il «gradino» etico più
alto
che
l’umanità
avesse fino ad allora
superato. È piuttosto il
Getsemani, l’Orto degli
ulivi, il luogo in cui, in
una notte d’angoscia,
l’umanità compì la
svolta più importante
della propria storia. Fu
allora, infatti, che la
«sostanza» cominciò a
farsi«soggetto».Quando
i
discepoli
si
addormentarono
e
lasciarono Gesù al suo
solitario tormento, a
sudare sangue, è come
se l’uomo antico –
abbandonato
dalla
comunità,
privato
dell’appoggio
della
propria sostanza etica –
scomparisse e venisse
sostituito
da
un
soggetto nuovo, titolare
di un mondo interiore
assai più articolato e
profondo,
dolorosamente abituato
a vivere senza il vigile
sostegno degli altri. Da
allora il singolo è
obbligato a ricostruire
su altre basi una vita
comunitaria che non
può
naturalisticamente
più
presupporre
come
garantita.
Il
cristianesimo,
riconoscendo
quella
«soggettività infinita»
cheerarimastaignotaa
Platone e agli antichi,
trasformando
la
sostanza in soggetto,
inaugura
la
forma
moderna
dell’individualità.
Attraverso il «dolore
infinito»[50] ha reso
infinita
anche
la
soggettività.
RispettoalGetsemani,
il Golgota ha per Hegel
un altro significato, più
vicino al senso dello
«spirito», che rinasce
nella collettività anche
attraverso la scomparsa
fisica degli individui.
Gettando uno sguardo
indietro al periodo della
loro formazione, sia
Hegel, con il Golgota,
che
Hölderlin,
con
l’Etna, hanno voluto
rappresentare i luoghi
elevati della morte
sacrificale, da loro già
descritti negli anni
1796-1800, nel periodo
in cui il giovane poeta
compone
l’Empedocle
(tragedia in versi di cui
possediamo tre stesure)
e il giovane filosofo
scrive
due
saggi
incentratisullafiguradi
Gesù: La positività della
religione cristiana e Lo
spirito del cristianesimo e
il suo destino. In tutte
queste opere il tema
dominante è quello
dellatrasmissionediun
messaggio personale a
unacollettivitàcheliha
sostanzialmente
abbandonati,
la
celebrazionedisconfitte
che
possono
trasformarsi in vittorie
postume: Gesù, che
muore in croce sul
Golgota, ed Empedocle,
che si getta nell’Etna,
sono,
infatti,
espressione di una crisi
chenontrovasoluzione
se non nell’accettare
una morte che li
distacca entrambi dalle
vicende immediate del
loro tempo, ma che
riesce a conservare e a
trasmettere alle epoche
successive il messaggio
di vita migliore, sia in
campo politico che
religioso.
Entrambi, Hegel e
Hölderlin, constatano le
lacerazioni
profonde
che attraversano il
presente, si interrogano
sullaloroorigineesulla
possibilitàdiricomporle
e vogliono capire come
mai la «natura» sia
diventata vittima della
«positività»,
di
imposizioni
che
costituiscono
uno
strumento religioso e
politicodidominio.Esse
servono,
infatti,
a
mantenere il controllo
su una comunità (di
fedeli o di sudditi), a
soffocare le voci di una
vitamigliore.
Empedocle e Gesù
sono latori di un
messaggiodiliberazione
da
una
esistenza
mutilata e deforme in
grado di accorgersi
presto che i loro adepti
non sono disposti a
seguirli sino in fondo
nel
tentativo
di
emanciparli, che non
capiscono
il
loro
messaggio.
Oscillano,
hanno paura di osare,
cadononell’inerziao,in
maggioranza, voltano
loro
le
spalle,
diventando così preda
dei loro nemici. Il
personaggio
di
ErmocratenellaMortedi
Empedocle
(ossia
nell’ultima stesura, la
terza, della tragedia)[51]
oiFariseinellaPositività
dellareligionecristiana(e,
ancor prima, nella Vita
di Gesù) raffigurano gli
esponenti dello spirito
formalistico.Sonolegati
a una tradizione di
«positività» che, avendo
perso di significato,
impedisce
loro
di
tendere verso il meglio.
Lapoesia,perHölderlin,
e la filosofia, per Hegel,
sono
gli
strumenti
vocali attraverso cui la
natura
violata
e
repressa
–
quella
interna e quella esterna
all’uomo
–
può
nuovamente esprimersi
e smascherare tale
forma di oppressione,
invitando gli uomini a
sforzarsi di cambiare il
lorodestino.
Proprio il «destino»
(inteso
come
riconoscimento
della
propria vita da parte di
ciascuno, «un ritorno e
un avvicinamento a se
stesso»nelqualel’uomo
sentendo «quel che ha
perduto, crea nostalgia
per la vita perduta»)[52]
caratterizza in Hegel la
situazione di Gesù, che
avverte
il
ruolo
opprimente di una
religione
diventata
positiva, ma si trova
davanti al dilemma o di
accettare il destino del
popolo
ebraico
sottomesso
a
leggi
positive
(e
di
compromettere in tal
modo lo slancio verso
una
vita
migliore)
oppure di respingere il
destino del suo popolo
per conservare in sé,
non
espressa,
l’aspettativa di questa
vita migliore. Dopo
essersi «innalzato» al di
sopra del destino del
suo popolo e dopo aver
cercato
invano
di
innalzarvi il suo stesso
popolo, Gesù sceglie
consapevolmente
la
seconda
alternativa:
una via crucis che lo
porterà alla morte: «Il
destino di Gesù fu di
patire per il destino
della sua nazione: o
farlosuoesopportarela
necessità, condividere il
godimento e unificare il
suo spirito con quello
della sua nazione, ma
sacrificare
così
la
propria bellezza e la
propria unione con il
divino». «Oppure –
continua
Hegel
–
respingere da sé il
destino del suo popolo
ma conservare in sé la
propria
vita
non
sviluppata
e
non
goduta; in nessuno dei
casicompierelanatura:
nel primo caso sentire
soltanto frammenti di
essa e anche questi
impuri, nel secondo
portarla pienamente a
coscienza
ma
riconoscerne la forma
solo
come
l’ombra
splendente della sua
essenza, della verità
suprema, rinunciare a
sentire tale essenza e a
viverla nell’azione e
nella realtà. Gesù scelse
il secondo destino, la
separazione tra la sua
natura e il mondo, e
richieselostessoaisuoi
discepoli: “Chi ama il
padre o la madre, il
figlio o la figlia più di
me, non è degno di
me”»[53]. Infatti, la sua
unificazione «col tempo
sarebbe stata ignobile e
spregevole», mentre la
sua separazione, il
restare se stesso di
Gesù, sarebbe «ciò che
vièdipiùdegnoedipiù
nobile»[54]. Morendo egli
trasmette
ai
secoli
venturi la speranza di
una vita non più legata
all’osservanza formale
della legge (gli ebrei
sonoperHegelportatori
della scissione tra la
moraleel’amore)[55],ma
fornita del pleroma, di
una pienezza che si
manifestanellaformadi
un impulso costante
verso il cambiamento e
dell’amore in quanto
ampliamento della vita
stessa.
In
altri
termini,
attraverso nessuno di
questi due estremi del
dilemma Gesù riuscì a
compierelanatura,cioè
a
realizzare
quel
bisognodicambiamento
che spinge gli uomini
verso una vita migliore.
Nelprimocasoeglifuin
grado di sentire solo
frammenti della natura
e anche questi impuri;
nel secondo, di portare
la natura pienamente
alla coscienza, ma in
maniera
ineffettuale,
non godendone. Gesù
poteva, dunque, aderire
al destino del suo
popolo e così sentire la
natura, il bisogno di
cambiamento, soltanto
in aspetti secondari (e
quindi
ignorare
l’esigenza
di
cambiamento radicale
che la «natura» esigeva)
oppure
diventarne
consapevole, ma nella
modalità
della
«coscienza infelice»[56],
secondo il più tardo
linguaggio
della
Fenomenologia
dello
spirito. Gesù scelse di
staccarsi dal mondo, di
ripudiarlo: «L’esistenza
di Gesù fu dunque una
separazione dal mondo
eunafugadaessoverso
il
cielo,
una
ricostruzione
nell’idealità di una vita
che
trascorreva
vuota»[57]. Tuttavia, al
finediconservarelasua
buona novella, che
altrimenti
sarebbe
andata perduta, poiché
il suo tempo e il suo
popolo non erano allora
preparati a riceverlo,
«morìconlafiduciache
il suo messaggio non
sarebbe
andato
perduto»[58].
Dopo la notte del
Getsemani,
ognuno
porta da solo la propria
croce, ma dopo il
Golgota ciascuno, come
Giona, deve essere
inghiottito dalla balena,
deve
morire
nella
«morte di Dio»[59], per
poter poi rinascere allo
spirito.ManeppureDio,
se
non
è
fruito,
assimilato
dalla
coscienza
dell’uomo,
può
avere
realtà
indipendente.
Per
questo
Hegel
può
ripetere con Meister
Eckart: «Se Dio non
fosse io non sarei, e se
io non fossi Egli pure
non sarebbe»[60]. La
religiosità hegeliana –
espressione
della
«verità» sul piano della
coscienza comune – ha
appunto
questa
caratteristica peculiare
che ne rende difficile la
comprensioneeprovoca
di volta in volta
l’apparenzadiateismoo
di conservatorismo: che
Dio si rivela nell’uomo;
che senza la sua
manifestazione
sensibile, in carne e
ossa, egli non sarebbe,
sì che uomo e Dio sono
quasi due poli di un
rapporto, l’uomo è,
come abbiamo visto,
«Dio immediato» e Dio,
per converso, si è
incarnato, incuneando
l’eterno nel tempo:
Menschenwerdung.
Anche negando alla
filosofia hegeliana ogni
carattere ‘romantico e
mistico’, non se ne
possono
comunque
tagliare
le
radici
religiose, se la si vuol
capire come il proprio
tempo
appreso
in
pensieri sul piano della
«rappresentazione»[61].
Ogni attualizzazione in
senso esclusivamente
politico
rischia
di
fraintendere la portata
del pensiero hegeliano,
divedernelafilosofiaal
di fuori dei suoi
condizionamenti storici
e dei suoi stessi limiti.
Peraltro,datocheanche
la
religione
è
manifestazione
dello
spirito di un’epoca, le
corrispondenze e le
risonanze di struttura
fra religione e politica
non solo non mancano,
ma sono dichiarate
esplicitamentedaHegel,
enonc’èdubbiochefra
la soggettività cristiana,
che ha tradito la
sostanza immobile, e lo
sviluppo economico e
politico delle società
europee basato sulla
soggettività
degli
individui,illororialzarsi
dopo ogni caduta, vi sia
anche per lui uno
stretto legame. Non
meno
unilaterale
dell’attualizzazione
estrema
in
chiave
sociopolitica è quindi la
ripresa e la riduzione
della filosofia hegeliana
a teologia secolarizzata,
anche se si dà alla
teologia
(della
«speranza»,
della
«morte di Dio» ecc.) un
segno positivo[62]. Come
alsolito,losforzocheva
fatto nell’interpretare
Hegel,
deve
tener
presenti
le
contraddizioni
e
cercare, se possibile, di
risolverle o, almeno, di
individuarle
senza
cancellarle.
4.Losviluppo
della«cosa
stessa»
Così come il concetto
è «lo scopo di un
oggetto»,
anche
lo
«spirito» è «lo scopo
della natura»[63]. Da
questo punto di vista,
essoèaristotelicamente
la causa finale della
natura,ciòchespiegala
capacità di quest’ultima
a essere compresa dal
pensiero. Come causa
finale, e non come
causa efficiente, lo
spirito
precede
la
natura, ne è il telos
implicito,eparimentila
natura ottiene la sua
«verità» nello spirito
stesso. Ma nel tempo
essa viene prima dello
spirito e dell’uomo: «La
natura è il primo nel
tempo, ma l’assoluto
prius è l’idea; esso è
l’ultimo, il vero inizio,
l’A è l’Ω»[64]. Molto
spesso si scambia però
in Hegel la causa
efficiente con la causa
finale, e si crede non
solo
che
sia
effettivamente
lo
spirito, l’Idea «in sé e
per sé», a produrre il
mondo e a guidare
capricciosamente
la
danza delle cose (ed è
questa la vulgata su
Hegel), ma anche che i
gradini «superiori» del
sistema e della realtà
generino, secondo lui,
quelli inferiori, ossia,
comeaffermailgiovane
Marx, che nella filosofia
hegeliana della storia e
della natura «il figlio
genera la madre, lo
spirito la natura, il
risultato il principio»[65].
Ma sebbene Marx abbia
qui colto un punto
essenzialedellafilosofia
di Hegel (che dovrà
essere ancora chiarito
su un diverso piano),
quel che Hegel intende
dire non è altro che
questo:ilpiùcomplesso
segue nel tempo il più
semplice,maloprecede
nella
comprensione,
cioè, per usare le parole
dello
stesso
Marx,
«l’anatomia dell’uomo
spiega l’anatomia della
scimmia». Anche Hegel,
d’altronde,siesprimein
termini
analoghi
a
proposito della scala
animale, di cui l’uomo
«in quanto organismo
più
perfetto
della
vitalità, costituisce il
gradino supremo»: «Ma
per
comprendere
i
gradini
bisogna
più
bassi
conoscere
l’organismo sviluppato,
giacché esso è l’unità di
misuraol’Urtier[66] per i
meno sviluppati; infatti,
poiché in esso tutto è
giunto alla sua attività
sviluppata, è chiaro che
soltanto a partire da
esso si conosce il non
sviluppato.
Non
si
possono
porre
fondamento
infusori»[67].
a
gli
Hegel, piuttosto che
seguire
il
recente
idealismo, è invece qui
fedele a una duplice
tradizione aristotelica:
chevisiaunprimo«per
natura» (physei) e un
primo «per noi» (pros
emas) (hegelianamente,
für uns); che la «cosa
stessa» (auto to pragma)
(hegelianamente,
die
Sache selbst)[68] tenda
irresistibilmente verso
lasua«verità»,contenga
in nuce il movimento
verso
la
sua
realizzazione, che si
presentacomescopo.
Riguardo al primo
punto, Aristotele dice,
fra l’altro: «È naturale
chesiprocedadaquello
che è conoscibile e
chiaro per noi verso
quellocheèpiùchiaroe
conoscibile per natura:
ché non sono la
medesima
cosa
il
conoscibile per noi e il
conoscibile in senso
assoluto»[69]. Per Hegel,
addirittura, rispetto al
nesso serie storica /
serie
logica,
esiste
un’inversione,nelsenso
che ciò che precede nel
tempononpuòspiegare
serialmente quel che
segue,maciòchesegue
può
spiegare
logicamente,postfestum,
ciòcheprecede[70].Così,
ad esempio, nel terreno
del diritto e dello Stato,
lafamigliahapreceduto
lo
Stato
cronologicamente, ma
può
essere
intesa
concettualmente solo
all’interno di un tutto
più sviluppato e più
tardo,
che
diventa
logicamente il prius: «è
da
notare
che
i
momenti,ilcuirisultato
è
una
forma
ulteriormente
determinata, lo [ossia il
concetto] precedono in
quanto determinazioni
concettuali
nello
sviluppo
scientifico
dell’idea, ma non lo
precedono
nello
sviluppo temporale in
quanto configurazioni.
Così l’idea, come è
determinata in quanto
famiglia,
ha
per
presupposto
le
determinazioni
concettuali,
come
risultatodellequaliessa
si presenterà in seguito.
Ma il fatto che questi
interni
presupposti
esistano anche per sé,
già come formazioni,
come
diritto
di
proprietà,
contratto,
moralità etc., è l’altro
lato dello sviluppo, che,
soltanto in una civiltà
più
altamente
compiuta,hacondottoa
questa
esistenza,
peculiarmente formata,
dei suoi momenti»[71].
Questa inversione va
ulteriormente precisata
nelle sue radici più
profonde.Perora,sipuò
osservare che essa non
è
applicabile
meccanicamente, ed ha
delle
eccezioni
dichiarate (ad esempio,
la società civile, in
quanto
creazione
moderna, che segue
cronologicamente
la
formazione dello Stato,
invece di precederla)[72];
che riguarda tutta la
«grande
catena
dell’essere»enonsoloil
rapportologica/tempo;e
che, inoltre, ha una
configurazione
particolare in alcune
storie speciali, come la
storiadellafilosofia,che
corre in generale su
binari paralleli rispetto
allosviluppologicodelle
categorie,sebbenevalga
anche qui il principio
che l’ultima filosofia
comprendeinsétuttele
altre[73].
Di origine aristotelica
èanchel’ideadiunavis
veri,
di
un’«anima
propria del contenuto»
che
si
fa
strada
possentemente da sé e
raggiunge
la
sua
verità[74]. La dialettica
hainquestaprospettiva
un
movimento
oggettivo,
un
«andamento
irresistibile»[75], che è
l’intimapulsazionedelle
cose stesse[76] e il loro
sviluppo
immanente:
«La più alta dialettica
del concetto è produrre
e
intendere
la
determinazione
non
semplicemente
come
limite e opposizione,
ma,traendolidaessa,il
contenuto e i risultati
positivi;
in
quanto
unicamenteconciòessa
è sviluppo e progresso
immanente.
Questa
dialettica non è, poi, un
fare esterno di un
pensiero oggettivo, ma
l’anima propria del
contenuto, la quale fa
germogliare i suoi rami
e
i
suoi
organicamente.
frutti
Di
questo
sviluppo
dell’idea, in quanto
particolare attività della
sua propria ragione, il
pensiero è spettatore,
soltanto in quanto
soggettivo,
senza
aggiungere, da sua
parte,
ingredienti.
Considerare qualcosa
razionalmente,
non
significa recare a un
oggetto una ragione
dall’esterno e con essa
elaborarlo, ma significa
che l’oggetto è, per se
stesso,razionale»[77].
Ladialetticahegeliana
è apparsa, in questo
senso,unaproceduradi
«assimilazione
escludente» che rientra
nella tradizione della
teologia-politica e che
funziona «precisamente
separando
ciò
che
dichiara di unire e
unificando
ciò
che
divide mediante la
sottomissione di una
parte
al
dominio
dell’altra». Tale aspetto
risulterebbe
evidente
soprattutto nel caso
della filosofia della
religione e in quello
della filosofia della
storia: «sostenere, come
fa appunto Hegel, che il
compito
del
cristianesimo sia quello
di includere al proprio
interno ciò che esso ha
storicamente superato,
è il senso ultimo della
teologia
politica».
Inglobare nell’unità la
dualità,
nell’identità
l’alterità,
ma
subordinandoilsecondo
elementodellacoppiaal
primo, è il modo di
procedere
della
dialettica hegeliana: «È
quel fenomeno che egli,
estendendolo all’intero
corso
della
storia,
descrive in termini di
appropriazione
dell’estraneo –
della
Persia da parte della
Grecia, della Grecia da
parte di Roma, della
latinità da parte del
germanesimo. Facendo
proprio
ciò
che
intimamente è altro,
quest’ultimo resta allo
stesso tempo incluso e
escluso–inclusoperché
incorporato nel nuovo
organismo ed escluso
perché privato del suo
contenuto, non più
utilizzabile in quanto
tale»[78]. Questa acuta
interpretazione coglie
bene le analogie della
posizione hegeliana con
quelle di una più ampia
tradizione del pensiero
occidentale,mapernon
fare di ogni erba un
fascio,
occorrebbe
chiarire la specificità
della
posizione
hegeliana[79].
Considerare,inoltre,il
pensiero
come
spettatore del processo
dialettico significa dire
che
esso
non
si
sovrappone all’oggetto.
Da questo punto di
vista,laconoscenzanon
ènostraaggiunta(unsere
Zutat)[80],
poiché
si
limita a esplicitare e a
conoscere ciò che è
inconsciamente
operantenell’oggetto.In
tal modo, è vero, «le
leggi dei movimenti dei
corpi celesti non sono
scritte nel cielo»[81], né
tantomeno quelle della
digestione
nello
stomaco, ma non sono
perciò stesso
invenzione,
nostra
bensì
progetto
teleologico
attivo
in
modo
istintuale,
Denkbestimmungen,
geroglifici della ragione
decifrati. Solo in questo
senso, e non realiter, le
categorie
logiche
precedono
nell’Enciclopedia
le
manifestazioni
della
natura e dello spirito.
Non c’è in Hegel alcuna
posizione
gnostica,
alcuna Ur-sophia che
esista
indipendentemente dal
mondo[82]. E anche la
famosa
affermazione
della Scienza della logica,
secondo cui essa, per il
suo
contenuto,
è
l’«esposizione di Dio,
com’egli è nella sua
eterna essenza prima
della creazione della
natura e di uno spirito
finito»[83], non solo è
una similitudine a uso
della rappresentazione,
introdotta da un «ci si
può quindi esprimere
così»[84], ma è anche
un’allusione probabile a
una nota affermazione
di Goethe, che definiva
la musica di Bach come
ciò che si agitava nel
petto di Dio prima della
creazionedelmondo[85].
L’universale,infatti,non
esiste
«esteriormente
come universale», ma
solo
come
energeia
dell’individuale[86]
e
«l’esempio
della
creazione del mondo è
una rappresentazione.
Dio stesso è questa
rappresentazione, Dio
questo universale in
genere,
in
sé
determinato
in
molteplice maniera. Ma
nella
forma
della
rappresentazione, egli è
determinato in questa
semplice maniera: da
unaparteabbiamoDioe
dall’altra il mondo»[87].
Sia
l’universale
separato,anteremoaldi
fuori di essa, sia
l’oggetto singolo senza
determinazioni,
sono
per Hegel astrazioni
unilaterali, opposti che
hannorealtàeffettualee
«verità»
concreto,
solo
che
nel
è
soppressione/conservazio
diessi.Allostessomodo
«al di fuori del mio
pensiero non c’è nulla
nella cosa; e i miei
pensieri al di fuori della
cosanonsononulla»[88].
Tralasciando per il
momentogliaspettipiù
propriamente
sistematici del rapporto
logica-filosofia
della
natura-filosofia
dello
spirito, di cui tratterò
nell’ultimo capitolo, è
sufficiente
osservare,
per
l’economia
dell’argomentazione,
cheledeterminazionidi
pensiero esistono nella
cosa realiter, però in
forma ideale. Esistono –
dice Hegel – così come
nel seme di una pianta
sono
contenute
implicitamente radici,
rami, foglie, e non in
forma miniaturizzata,
secondo
le
preformiste
teorie
e
dell’«iscatolamento»:
«l’ipotesi
dell’iscatolamento il cui
difettoconsistenelfatto
che considera come già
esistente ciò che è
presente solo in forma
ideale. Il lato giusto di
questa ipotesi è invece
questo: che il concetto
nelsuoprocessorimane
presso se stesso e che
per suo tramite non è
posto niente di nuovo
secondo il contenuto,
ma si produce soltanto
un
mutamento
di
forma»[89].
Questo
concetto della presenza
potenziale
di
un
progetto, che viene
esplicitato
solo
in
seguito, è espresso in
forma
popolare
–
continua
Hegel
–
nell’idea cristiana della
creazione del mondo,
che pone l’opposizione
fra Dio e mondo, fra
Padre e Figlio, ma nello
stesso tempo la toglie
nella dottrina trinitaria,
per cui il Figlio è stato
generato
dall’eternità[90], così che
il «passaggio» dal Padre
al Figlio – come dalla
logicaallafilosofiadella
natura[91] – in realtà
esiste solo a livello
rappresentativo, poiché
non è avvenuto nel
tempo.Insomma:anche
Dio
e
mondo,
determinazioni logiche
e cose, pensiero ed
essere
sono
degli
opposti che non hanno
verità in
Tuttavia
se
stessi.
non
coincidono, e Hegel
aveva ragione da parte
sua nel difendersi dalle
accuse di panteismo[92].
Infatti, queste coppie di
termini
sono
dialetticamente identità
dell’identità e della non
identità, ossia processo,
teleologicamente
in
corso, di assimilazione,
in
cui
non
c’è
l’equilibrio
della
sostanza,
ma
il
propellente del soggetto
edelsuotelos.
5.Lafilosofia
dellanaturaela
scienza
La
differenza
fra
l’uomo e gli altri esseri
naturali è che l’uomo è
in
grado
di
rappresentarsi questo
telos in forma di
pensiero, di universale
per sé. Diversamente
dall’animale, che è
semplicemente
dominato dal concetto
oggettivo del genere
(Gattung) e non attinge
se non la singolarità,
l’uomoconosceeriflette
l’universale, poiché è
l’unico essere che si
sdoppiaeritornaaséda
questa
duplicazione:
«Non si può indicare
l’animale in quanto tale,
ma solo e sempre un
determinato animale.
L’animale non esiste,
ma
è
la
natura
universale dei singoli
animali,
e
ciascun
animale esistente è un
qualcosa
di
più
concretamente
determinato,
specificato. Ma essere
animale, il genere come
l’universale, appartiene
all’animale determinato
e costituisce la sua
determinata
essenzialità.
Se
togliessimo al cane il
suo esser-animale, non
si potrebbe dire che
cosaessosia.Lecosein
generale hanno una
natura
intima
permanenteeunesserci
esterno. Esse vivono e
muoiono, sorgono e
trapassano;
essenzialità,
la
la
loro
loro
universalità è il genere,
e questo non si deve
intendere
semplicemente
come
qualcosa che hanno in
comune […] L’uomo è
pensante ed è qualcosa
di universale, ma è
pensantesoloinquanto
l’universale è per lui.
Anche l’animale è in sé
qualcosa di universale,
ma
l’universale
in
quanto tale non è per
esso, bensì solo e
sempre
il
singolo.
L’animale
vede
un
singolo, per esempio il
suo cibo, un uomo ecc.
Ma tutto questo è per
esso solo un singolo.
Allo stesso modo la
sensazionehasemprea
che fare con un singolo
(questo dolore, questo
buon sapore ecc.). La
natura non si porta alla
coscienza il nous; solo
l’uomo
si
sdoppia
(verdoppelt sich) così da
essere l’universale per
l’universale. Questo è
dapprima il caso, in
quanto l’uomo si sa
come io […] L’io è puro
esserepersé,incuiogni
particolare è negato e
tolto, questo Ultimo,
Semplice e Puro della
coscienza.Noipossiamo
dire l’io e il pensare
sono lo stesso, o, più
esattamente, l’io è il
pensare
in
quanto
pensante. Ciò che io ho
nella coscienza, questo
è per me. L’io è questo
vuoto, il ricettacolo per
tuttoeperciascuno,per
il quale tutto è e che
tutto conserva in sé.
Ogni uomo è un intero
mondo
di
rappresentazioni
sepolte nella notte
dell’io»[93]. Nella notte
dell’io sono dunque
contenuti idealmente i
generi
digeriti
delle
cose,
e posti in
fluidità, e l’uomo ha la
possibilità – negata agli
animali – di porsi
davantiaséigeneri,gli
universali oggettivi che
ha estratto dalla realtà,
compiendone lo scopo.
Perché
l’uomo
si
sdoppiasse, divenisse
oggetto a se stesso «pur
rimanendo se stesso e
non
divenendo
un
altro»[94],c’èvolutotutto
il lungo processo di
disciplina
cominciato
col rapporto signoriaservitù e che prosegue
in quella marcia della
«libertà»cheèperHegel
ilcorsodellastoria(non
manca in questa idea
una visione filosofica
della
Provvidenza).
All’inizio, anche l’uomo
era
dominato
dal
genere, che appariva
nella sua negatività
come morte naturale. Il
vincere la paura della
morte è stato perciò il
primo elevarsi al di
sopra del genere, il
primo sguardo a esso
rivolto come universale
per sé. Ma non tutti gli
uomini
potevano
compiere questo atto di
sfida:vieranoquelliche
per «viltà» preferivano
sottomettersi al più
forte in cambio della
conservazione
della
vita. Il resto è noto: la
paura della morte si
sviluppa anche nel
servo e lo umanizza,
mentre il potere del
padrone
deperisce
nell’ottusità
godimento
e
del
la
relazione
tende
a
diventare, secondo il
metro
dell’economia
classica,
un’interdipendenza
impersonale, anonima,
dituttidatutti,mediata
dall’interesse e dal
lavoro[95]. Però, quello
che per noi è più
importante è che in un
primo
tempo
lo
sdoppiarsi
della
coscienzaeilritornarea
sé avveniva tramite un
altro, fosse esso il servo
per il padrone o il
padrone per il servo o
fosse Dio come entità
esterna all’uomo. Ma
soloquandosirientrain
sé dallo sdoppiamento
senza appoggiarsi ad
altri, si è liberi di
pensare gli universali
oggettivi. Esiste però
una forza del positivo
che tende a creare
autorità esterne o il
dominio dell’abitudine,
col
conseguente
indebolimento
dell’attività
del
pensiero, con un freno
al ritmo dialettico di
lacerazione/ritorno
a
sé/nuova
lacerazione
ecc. Ed ecco che allora
l’universale
si
fa
nuovamente valere nel
suo pauroso aspetto
negativo, ricordando la
sua potenza distruttiva
alla
«positività»,
e
appare come Terrore
nella
Rivoluzione
francese o «in forma di
ussari con sciabole
luccicanti»
guerra[96].
nella
Come accade che il
genereincorporatonella
realtà giunga a rivelarsi
nelpensiero?Perchéper
manifestarsi si deve
passare
attraverso
l’esperienza terrificante
e
«notturna»
della
morte?
Per
rispondere
a
queste
domande
bisogna prima spiegare
alcune premesse e
seguire Hegel nei suoi
sforzi di trovare una
soluzione organica. Per
far
questo,
egli
sottopone la filosofia a
un’immensa dilatazione
di
campo,
le
fa
percorrereirisultatitrai
più
avanzati
delle
scienzeesatteenaturali
delsuotempo.Vengono
così affrontate l’analisi
infinitesimale, la fisica,
la meccanica, l’ottica,
l’astronomia,
la
chimica, la botanica, la
zoologia, la geologia, la
biologia. Una fama
ambigua circonda da
tempo tale parte della
sua opera, la Filosofia
della natura, che è
sembrata sempre la
parte più debole del
sistema,
se
non
addirittura un coacervo
difarneticazioni,doveè
possibile toccar con
mano i risultati delle
costruzioniaprioristiche
e della «disonestà»
hegeliana[97].
Ma
è
ormai
venuto
il
momento di leggere
seriamente la Filosofia
della natura nella sua
integrità, in rapporto
allescienzedell’epoca.E
per diversi motivi. In
primo luogo, perché,
anche ammesso che
tutte le accuse di
apriorismo
e
di
disinvoltura nel trattare
le scienze siano giuste,
restapursempreilfatto
che non si capisce il
pensiero di Hegel se si
prescinde dalla sua
valutazionedellanatura
e delle scienze naturali
e
matematiche,
e
l’asportazione abituale
di un blocco così
importante non solo
rende
inintellegibile
l’insieme, ma dà anche
alla filosofia hegeliana
un
sapore
maggiormente
«idealistico» in senso
volgare. In secondo
luogo, Hegel non era
così digiuno di scienze
naturali
e
di
matematica
vuol
far
come si
credere,
esagerando il pur grave
peso dell’infortunio del
De orbitis planetarum[98],
e, se anche non si
desiderasseprestarfede
alle
sue
esplicite
dichiarazioni, l’edizione
inglese della Philosophy
ofNature, col minuzioso
commento del Petry,
può mostrare quale
enorme ricchezza di
documentazione
scientifica fosse nelle
mani di Hegel, quale
approfondita
conoscenza
egli
possedesse di alcuni
settori della meccanica,
dell’analisi
infinitesimale,
della
botanica
e
della
zoologia[99]. In terzo
luogo, si giudica l’opera
a partire dai secchi e
stringati
paragrafi
dell’Enciclopedia, di fatto
in
sé
quasi
incomprensibili, perché
considerati da Hegel
come schema per le
lezioni a uso dei suoi
allievi, da completarsi
necessariamente
con
l’insegnamento orale,
ora trascritto in quegli
Zusätze che a lungo
pochi si sono presi la
briga di analizzare[100].
In quarto luogo, le
lezioni di filosofia della
natura
in
forma
enciclopedica
erano
rivolte agli studenti dei
primi anni di diverse
facoltà (costituivano il
philosophicum),
erano
previste in funzione
propedeutica
dagli
ordinamentiuniversitari
allora vigenti e avevano
un
carattere
precipuamente
didattico. Perciò, non vi
è da parte di Hegel
alcuna
pretesa
di
esaurire lo scibile, di
pubblicare una sua
«Bibbia», come è stato
detto,
ma
semplicemente
di
offrire uno strumento
didattico
e
teorico
efficace e penetrante,
una visione del mondo
organica, ma non certo
ritenuta definitiva e
perfetta, tanto è vero
cheintredicianniHegel
curò dell’Enciclopedia tre
edizioni (1817, 1827,
1830). Ritorneremo poi
sulla pretesa che la
filosofia
sia
una
«scienza» e, in quanto
scienza, debba anche
assumere la forma di
sistema,maèmegliodir
subito che l’esposizione
enciclopedica era anche
un genere letterario di
lunga
e
ampia
diffusione, che non
implicava affatto la
completezza, né la
negazione dell’empiria
in favore del sistema
astratto,
così
che
persino
dare
Bacone poté
all’instauratio
magna
un
assetto
enciclopedico[101].
Se
guardiamo
al
contenuto delle scienze
trattate, l’atteggiamento
hegeliano non è –
almeno nelle intenzioni
–
quello
di
una
prevaricazione
«filosofica» della loro
natura,
ma
di
accettazionedeirisultati
che gli sembrano più
avanzati e del loro
inserimento in una
«rete adamantina», in
una
«metafisica»
diversa da quella degli
scienziati
che
non
riflettono sull’uso delle
lorocategorie.Suquesto
punto è molto chiaro e
giunge
persino
ad
affermare
che
la
filosofia (moderna) ha
per base l’immenso
materiale
conoscitivo
accumulato
dalle
scienze, e dalla fisica in
particolare:«Nonsolola
filosofia
deve
concordare
con
l’esperienza
della
natura, ma la nascita e
la formazione della
scienzafilosoficahaper
presupposto
e
condizione la fisica
empirica. Ma altra cosa
è
il
processo
di
origenazione e i lavori
preparatori
di
una
scienza, altra cosa la
scienza stessa: nella
scienza
quelli
non
possono apparire più
come fondamento; il
fondamentodeveessere
qui la necessità del
concetto»[102],
ossia
l’ordine cronologico e i
risultati
smembrati
delle scienze devono
poter essere inseriti,
senza
forzarne
la
natura, ma seguendone
anzi
la
teleologia
interna, in un insieme
logicamente coerente di
categorie. Hegel è però
benconsciodeirischidi
questaoperazioneedha
costantemente davanti
agli occhi l’avventura
speculativa di Schelling
e dei suoi discepoli, con
il
loro
ammasso
«barocco e pretenzioso»
di trovate ‘geniali’ e il
loro «brillante fuoco
d’artificio» di analogie
cervellotiche[103].
Per
questo
insiste
sul
carattere problematico
della filosofia della
natura: «Che cos’è la
natura? Essa rimane un
problema.
Nell’osservare i suoi
processi e le sue
metamorfosi,
noi
vogliamocoglierelasua
semplice
essenza,
costringere
questo
Proteo a sospendere le
sue metamorfosi, a
mostrarsieadichiararsi
a noi, così che non
perduri nel mostrarsi a
noi
in
forme
semplicemente
molteplici,
sempre
nuove, bensì rechi alla
coscienza,
nella
maniera più semplice,
nel linguaggio, ciò che
essoè»[104].
La
filosofia
della
natura,
per
Hegel,
raccoglie soltanto «il
materiale che la fisica
ha preparato per essa
dall’esperienza,
nel
punto fino al quale la
fisica lo ha portato, e lo
rimodella senza porre
l’esperienza come unica
verifica. La fisica deve
dunque consegnare il
suo
elaborato
alla
filosofia,
affinché
quest’ultima traduca in
concetto
l’universale
dell’intelletto a essa
trasmesso, mostrando
in qual modo esso,
come un tutto in se
stesso
necessario,
procededalconcetto.La
modalità
filosofica
dell’esposizione non è
unarbitrio,unprovarea
camminare sulla testa –
tanto per cambiare –,
dopo che per lungo
tratto si è camminato
coi piedi, o un vedere il
proprio viso di tutti i
giorniimbellettato;maè
per il fatto che la
modalità della fisica
non appaga che si
procede avanti»[105]. La
filosofia non è barbarie
culturale che stravolge i
risultati dell’intelletto
scientifico;
essa
pretende
solo
di
svilupparli dall’interno,
di chiarirne le zone
d’ombra con la ragione:
«Ilbarbarosimeraviglia
quando sente che il
quadrato dell’ipotenusa
èugualeallasommadei
quadrati dei due cateti.
Egliritienechepotrebbe
anche essere in altro
modo,
ha
specialmente
paura
dell’intelletto e resta
nell’intuizione.
La
ragione senza intelletto
è nulla, ma l’intelletto
senza la ragione è
comunque
qualcosa.
L’intelletto non può
essere
regalato»[106].
Sotto questo profilo,
anche
la
ragione
filosofica è niente se
non passa attraverso la
conoscenza elaborata
dall’intelletto,
ricostruendone
le
contraddizioni latenti, e
anche la filosofia è
niente se resta sapere
immediato, affidato al
sentimento
o
all’intuizione, e non si
costruisce la sua forma
scientifica. La filosofia,
dunque,nonpuò,daun
lato, accontentarsi di
essere un semplice
istinto della ragione
(quale
si
rivela
nell’opera
concreta
delloscienziato,guidato
operativamentedaisuoi
successi), ma deve
essere
esplicitazione
della
razionalità
presente nella scienza,
ragione
dispiegata,
dall’altro,
non
può
sostituirsi alla scienza
nell’elaborazione
dei
dati dell’empirico: «La
filosofiadevepartiredal
concetto; e anche se
essa stabilisce poco,
bisogna
esserne
soddisfatti.
È
un’aberrazione
della
filosofia della natura il
voler far fronte (Face
machen) a tutti i
fenomeni; così accade
nelle scienze compiute,
in cui tutto vuol essere
ricondotto ai pensieri
universali (le ipotesi).
L’empirico
è
qui
soltanto la convalida
dell’ipotesi; tutto quindi
deve essere spiegato.
Maciòcheèconosciuto
attraverso il concetto, è
chiaroperséestasaldo;
e la filosofia non ha
bisogno di farsi il
sangue cattivo se anche
tutti i fenomeni non
sono ancora chiariti. Io
quindi ho buttato giù
solo queste basi iniziali
di una considerazione
razionale delle leggi
matematicomeccaniche
della
natura, come di questo
libero
regno
della
misura. Le persone del
mestiere
non
ci
riflettono sopra. Ma
verràiltempoincuiper
questascienzasiesigerà
il
concetto
razionale»[107].
In tali considerazioni
epistemologiche
hegeliane si innesta
ancora una volta una
riflessione sul ruolo dei
dotti,degliintellettualie
sulla
loro
differenziazione. Dopo
l’avvenuto«divorzio»tra
la filosofia e le altre
scienze[108],
gli
«scienziati» tendono a
considerare – d’accordo
con
la
coscienza
comune–ifilosoficome
degli intrusi nel regno
delle conoscenze utili e
a credere che la
filosofia, quando non è
banale
rimasticatura,
sia in contrasto con
l’esperienza. È vero che
«in nessuna scienza in
effettisiècosìsolicome
nella filosofia», e Hegel
stesso riconosce di
avvertire
«anche
troppo» come i suoi
precedenti
lavori
«risentano
della
mancanza di contatti e
di
reciproca
influenza»[109], ma è
anche vero, per contro,
che sono gli scienziati a
chiudersi in se stessi, a
formare
delle
corporazioni o «gilde»,
in cui si parla un
linguaggio da iniziati e
in cui si predica il
monopolio sulla propria
sfera di competenza.
Nell’approfondire una
zona della realtà ogni
scienza
tende
necessariamente
a
isolarsi
dalle
altre,
anche se di fatto mette
inconsciamente in luce
delle connessioni più
vaste che travalicano il
proprio campo limitato.
Compitodellafilosofiaè
tessere le fila di questa
cospirazione oggettiva e
sotterraneaversol’unità
razionale
«concetto»[110],
del
di
ricostruire
continuamente la «rete
adamantina»secondole
linee implicite poste in
luce
dalla
scienza.
Anche
i
tentativi
enciclopedici e il pathos
sistematico sono in
questo
caso
una
formazione reattiva alla
disgregazioneapparente
del
sapere,
ed
esprimono un’esigenza
storica sempre più
urgente
verso
un
«campo
non-lineare»
della
scienza,
una
«enciclopedia
delle
scienze unificate»[111].
Per mostrare questa
intima
cospirazione
delle singole scienze
versol’unità,lafilosofia
deve sì contribuire allo
scioglimentodellegilde,
ma deve soprattutto
apprendere
le
determinazioni
delle
singole scienze, senza
saltare oltre, fidandosi
delle sole forze della
ragione, la quale, come
la candida colomba
kantiana,nonvolerebbe
se non ci fosse la
resistenza
dell’aria
offerta
dalle
determinazioni
dell’intelletto. Parlando
di
una
polemica
suscitatadaalcunifisici
contro la teoria dei
colori
di
Goethe,
rifiutata anche sulla
basedell’argomentoche
nonsidevedareascolto
a un poeta, Hegel nota:
«Solo quelli che sono in
grado di far valere
idiotismi, determinate
teorie
ecc.
appartengono
al
mestiere;ciòchedicono
gli
altri
viene
completamente
ignorato, come se non
esistesse
nemmeno.
Questepersonevogliono
quindi spesso formare
una casta ed essere in
esclusivo possesso della
scienza,nonpermettere
aglialtrialcungiudizio–
adesempioigiuristi.Ma
il diritto è per tutti, e
altrettanto il colore. In
una tale classe si
formano determinate
rappresentazioni
fondamentali, in
cui
essa si arena. Se non si
parla secondo quel
linguaggio, si dice che
non si è capito nulla,
come se solo la gilda
dovesse
capire
qualcosa. Questo è
giusto; non si ha
l’intelletto di quella cosa,
questa
categoria
–
questa
metafisica
secondolaqualelacosa
devevenirconsiderata.I
filosofi vengono per lo
più respinti indietro in
questo modo; ma essi
devono
appunto
impadronirsi di quelle
categorie»[112]. Già a
Jena, quando Hegel
viveva quotidianamente
a contatto con i suoi
amici
naturalisti[113],
aveva constatato la
tendenzaoggettivadelle
scienze a rinchiudersi
dentro
un
cerchio
magico
e
a
non
comunicare
filosofia.
con
la
Eppure
l’interscambio
fra
filosofia
e
scienze
potrebbe
essere
vantaggioso per tutti;
infatti la filosofia «così
come costituisce, essa
che ha per essenza il
concetto, il punto di
partenzachegiungealle
altrescienze,così,asua
volta, riceve da quelle
l’immagine
della
pienezza del contenuto;
e le spinge ad acquisire
ciò che loro manca del
concetto,cosìcomeessa
è animata dalle scienze
a
ritrarsi
dalla
mancanza
di
realizzazione della sua
astrazione»[114].
Diversamente
dalle
altrescienze,lafilosofia
non ha bisogno di
costruirsi
una
terminologiaspeciale,di
formare
una
corporazione,
perché
essa è tendenzialmente
una
«scienza
per
tutti»[115].
Essa
«rimodella» i contenuti
posti in luce da tutta
un’epoca, nella scienza,
nellacoscienzacomune,
nel diritto, nello Stato
ecc. Perciò la sua forma
deve essere quella di
una «enciclopedia delle
scienze
filosofiche»,
ossia non delle scienze
inquantotali,coniloro
specifici problemi, ma
delle scienze, nella
misura in cui cospirano
verso la totalità del
«proprio tempo appreso
in pensieri». La filosofia
non scopre niente al
livello dell’empirico e
dell’intelletto
scientifico,
ma
trasforma il noto in
conosciuto[116],
rivela
cioè alla coscienza
comune e alle singole
scienze l’architettura di
sensodellorooperaree
delle loro sfere. Ma
questatraduzionenonè
pacifica e incontra una
feroce resistenza a
pensare il noto (perché
«pensare
significa
giungere a riconoscere
come vero ciò che altri
hanno pensato»)[117] e
tale
resistenza
si
manifesta sia da parte
dellacoscienzacomune,
sia della scienza, che
hanno
stretto
un’alleanza contro la
filosofia.
Non
solo
infatti si nega la
competenza
della
filosofia, ma si presume
di
capirla
senza
studiarla, con il sofisma
chetuttigliuominisono
provvisti di ragione: «A
questa scienza tocca
spesso lo spregio che
anche coloro che non si
sono affaticati in essa,
s’immaginano e dicono
di
comprendere
naturalmente di che
cosa si tratti, e d’essere
capaci,
col
solo
fondamento
di
un’ordinariacolturaein
particolare
dei
sentimenti religiosi, di
filosofare e giudicar di
filosofia. Si ammette
che le altre scienze
occorra averle studiate
per conoscerle, e che
solo in forza di siffatta
conoscenza
si
sia
facoltati ad avere un
giudizio in proposito. Si
ammette che, per fare
una scarpa, bisogni
avere
appreso
ed
esercitatoilmestieredel
calzolaio, quantunque
ciascuno
abbia
la
misura della scarpa nel
propriopiede,eabbiale
mani e con esse la
naturale abilità per la
predetta faccenda. Solo
pel
filosofare
non
sarebbero richiesti né
studio,
né
apprendimento,
né
fatica»[118].
Eppure
proprio ciò che è noto è
il meno conosciuto, e
bisogna saperlo vedere
per conoscerlo; ma
saper
vedere
è
imparare, e imparare a
suavoltaèstaccarsidal
noto
e
dai
suoi
pregiudizi. Cosa c’è di
più noto della particella
è,
che
usiamo
quotidianamente?
Eppure,
sono
innumerevoli i nodi di
pensiero che si celano
in essa: «La cultura
consiste in generale in
rappresentazioniescopi
universali, nell’ambito
di determinate potenze
spirituali,
che
governano la coscienza
e la vita. La nostra
coscienza ha queste
rappresentazioni, le fa
valere
come
determinazioni ultime,
procede in esse come
nelle sue connessioni-
guida,manonlesa;non
trasformaessestessein
oggetti e interessi della
sua considerazione. Per
dare
un
esempio
astratto, ogni coscienza
ha
e
usa
la
determinazione
di
pensiero
del
tutto
astratta: essere. Il sole è
nel cielo, quest’uva è
matura; oppure, a un
più alto livello di
cultura, si tratta del
rapporto di causa ed
effetto, di forza e di sua
manifestazione
ecc.;
ogni suo sapere e
rappresentare
è
intessutoegovernatoda
tale metafisica […] Ma
questo tessuto e i suoi
nodi sono immersi,
nella nostra coscienza
comune,inunmateriale
a più strati […] Quei fili
universali non vengono
evidenziatiefattipersé
oggetti della nostra
riflessione»[119].
La
coscienza comune si
adagia così nella sua
routine
e
ritiene
comprensibile
solo
quello che le è già
noto[120]. E la filosofia,
vedremo, è combattuta
proprio
perché
contrasta l’inerzia della
coscienza comune e la
chiusura delle scienze
nelproprioterreno.
6.L’individuoeil
generenella
preistoriadella
natura
Com’è dunque che il
genere si sdoppia e
acquista esistenza nel
pensiero dell’uomo? Per
trovare la risposta,
Hegel fa oggetto della
sua analisi tutta la
realtà naturale quale è
filtrata dalle scienze, a
partire dall’etere[121] e
dallamateriainorganica
fino allo sviluppo degli
organismi
più
complessi. E il «sistema
di
gradini»
della
natura[122] gli appare
come una progressiva
interiorizzazione della
materia,
dimodoché
«l’evoluzione è anche
involuzione, nel senso
chelamateriasiinvolve
verso la vita»[123] e la
vitaversolasoggettività
eilpensiero.Conquesta
conversione
dell’evoluzione
nell’involuzione, Hegel
cerca di oltrepassare
l’unilateralità di due
modellichegliappaiono
tipici,
l’uno
della
metafisica
orientale,
l’altro della metafisica
occidentale:
l’emanazione
e
l’evoluzione. La prima è
un
tentativo
di
spiegazionedellanatura
come una caduta dal
più perfetto (Dio) al
meno
perfetto
e
all’informe; la seconda,
come
un’ascesa
dall’informe e meno
perfetto
al
più
perfetto[124].
Queste
concezioni
(che
corrispondono
rispettivamente
alla
passività
asiatica,
abituataariceveretutto
dall’alto, e al concetto
europeo
sviluppo)
di
libero
sono
entrambe parziali e
oscure
nella
loro
nebulosità, in quanto
sostituiscono
una
rappresentazione – una
scala discendente o
ascendente
–
alla
comprensione
concettuale.
particolare, l’idea
In
di
evoluzione poggia su
una serie temporale
indeterminata
per
spiegare
scientificamente
la
comparsa dei singoli
animali o il succedersi
delleeregeologiche.
Anche
polemica
in
questa
hegeliana
contro il concetto di
evoluzione
bisogna
distinguereenonfaredi
ogni erba un fascio. In
senso stretto, Hegel,
sebbene creda peraltro
all’immobilità
delle
specie, non aderisce né
alfissismodiCuvier,né
al trasformismo di
Lamarck. Al primo,
come si vedrà subito,
perché non crede che
siapossibilestabiliredei
confini fissi nei generi
animali; al secondo –
sebbene conosca e
mostri
di
stimare
Lamarck[125] – perché la
teoria dell’adattamento
all’ambiente, sostenuta
allora già da molti, gli
sembra
altrettanto
debole e indeterminata
del
concetto
di
evoluzione: «per quanto
si
possa
trovar
giustapposto il folto
pelame alle regioni
artiche, o la struttura
dei pesci all’acqua, o la
struttura degli uccelli
all’aria, nel concetto
delleregioniartichenon
c’è il concetto del folto
pelame,nelconcettodel
mare non c’è quello
dellastrutturadeipesci,
nénelconcettodell’aria
quello della struttura
degli uccelli»[126]. Ciò
non significa che egli
consideri falsa questa
dottrina,nécheneghila
comparsa
successiva
degliesseriviventisulla
terraeilloroabituarsial
clima e alle situazioni
esterne. Ciò che nega
ancora una volta (con
unacriticastoricamente
retrograda, ma che
aveva colto delle lacune
reali, come sappiamo
dopo Darwin e Mendel)
è il valore esplicativo
dell’adattamentoedella
serie cronologica. Ma se
laseriesiaccompagnaa
una
struttura
concettuale, vera o
presunta,comenelcaso
della metamorfosi delle
piante di Goethe, egli
non ha difficoltà ad
accettarla[127].
D’altro
canto,
l’indeterminatezza delle
teoriescientifichenonè
imputabile
esclusivamente
allo
scienziato. È il Proteo
della natura, questo
«tutto vivente»[128], che
non presenta contorni
precisi e che non pone
confini fissi ai generi:
«Dappertutto la natura
mescola
le
linee
divisorie essenziali con
prodotti ibridi e cattivi,
che forniscono sempre
argomenti contro ogni
distinzione rigida; e
anche all’interno di
generi determinati (ad
esempio del genere
umano) produce aborti,
che da una parte
bisogna annoverare in
quel
dato
genere,
mentre
dall’altra,
mancano
di
determinazioni,
che
sarebbero
da
considerare
come
caratteri essenziali del
genere. – Per poter
giudicare
prodotti
siffatti
come
manchevoli,
cattivi,
abortivi,
è
da
presupporre un tipo
fisso, che però non
potrebbe essere attinto
dall’esperienza, giacché
questaappuntociporge
anche quei cosiddetti
aborti, mostri, esseri
ibridi ecc.: il tipo
presuppone,
per
contrario,
l’indipendenzaedignità
della
determinazione
concettuale»[129]. Ma è
proprio l’indipendenza
della
determinazione
concettuale
che
l’«impotenza
della
natura» non riesce ad
assicurare[130]. A causa
di tale inadeguatezza
dellanaturaalconcetto,
tutta
la
scienza
sperimentale moderna,
dalRinascimentoinpoi,
appare a Hegel come
un’immanebattagliatra
la ragione che cerca se
stessa nella regolarità
dei
fenomeni
e
l’esperienza
sensibile
che mostra sempre
nuove eccezioni e casi
irrelati[131]. Dopo il
disinteresse
che
il
Medioevo
avrebbe
dimostratoperlarealtà,
le scienze naturali si
dedicarono
all’inventario
del
mondo,
e
si
appigliarono,
per
orientarsi, ai segni
distintivi delle cose. Ad
esempio,perclassificare
la ‘bella d’erbe famiglia
e d’animali’, ricorsero a
«zampe, denti», radici
ecc.[132] Tuttavia, tali
segni caratteristici, col
progresso della scienza
guidata
dall’«istinto
della
ragione»,
si
rivelano inadeguati e
imprecisi.
Allora
sorgono nuovi sistemi e
nuove
tassonomie:
Jussieu sostituisce ai 24
generidipiantestabilito
da Linneo la distinzione
‘più
razionale’
in
monocotiledoni
e
dicotiledoni[133], mentre
Lamarck sostituisce alla
vecchia
divisione
aristotelica fra animali
con sangue e animali
senzasangue,oallepiù
recenti catalogazioni, la
distinzione
fra
vertebrati
e
invertebrati[134]. Ma di
fronte
all’inesauribile
ricchezza e alla relativa
indeterminazione della
natura, l’atteggiamento
della scienza (che deve
rinunciare
necessariamente
ad
abbracciare la natura in
un sistema compiuto)
può diventare protervia
contro
la
ragione
esplicita, glorificazione
del
dato
empirico
isolato, come unica
certezza dettata dalla
sfiducia. Le scienze
naturali erano partite
con la convinzione che
la
realtà
fosse
realmente scritta in
caratteri
razionali
(cerchi, triangoli), che
bastasse «torturare la
natura sul cavalletto»
per farle confessare i
suoi segreti[135]. Ma poi
la ragione scientifica ha
compiuto una amara
esperienza, non si è
riconosciuta a pieno
nell’alterità
della
natura: «dopo aver
frugato in tutte le
viscere delle cose, dopo
averne aperte tutte le
veneaspettandosiquasi
di veder sgorgare se
stessa»[136], essa non ha
avuto questa fortuna,
proprioperchélanatura
èaltrodasérispettoallo
«spirito»ec’èunoscarto
non colmabile tra le
determinazioni
di
pensiero ancora vaghe
dellanaturaelafluidità
e la determinatezza dei
concetti della ragione
dispiegata. Qualora la
scienza empirica non
colga questi limiti, si
accanisce nell’empirico
sino a reificare, per
converso,lospirituale,a
invertire i termini; e
allora,
come
nella
frenologia di Gall, lo
spirito diventa «un
osso»[137], e le bozze
craniche la realtà dello
spirituale. Ma l’istinto
dellaragionepuòanche
non disperare di se
stesso, e in questo
lavoro di scavo verso
l’esterno
riconoscere
ancheilcontemporaneo
lavoro di scavo verso
l’interno, verso il «sole»
della ragione esplicita:
«A quel modo che
l’istinto
dell’animale
cerca e consuma il cibo
senza produrne cosa
diversa
da
sé,
similmente
l’istinto
della ragione nel suo
cercare trova soltanto
lei stessa. L’animale
termina col sentimento
di sé, mentre l’istinto
della ragione è in pari
tempo
autocoscienza»[138]. Nel
riconoscimento
che
l’istinto della ragione si
prolunga
necessariamente nella
ragione autocosciente
giace la possibilità di
una rinnovata alleanza
fra filosofia e scienze,
sullabasedellacomune
impresa
di
assimilazione
della
realtà.
Inpolemicaconl’idea
di evoluzione intesa
come serie fluida e
sfumata,
per
cui
esistono
anelli
di
congiunzione continui
nella «grande catena
dell’essere»,
Hegel
stabilisce sia barriere
invalicabili fra i tre
«regni» della natura
(minerale,
vegetale,
animale), sia una rigida
struttura
gerarchica.
Respinge cioè sia le
ipotesi, sostenute da
Vallisneri,
Bonnet,
Robinet
ecc.,
che
esistano
forme
di
transizione fra i tre
regni, come le «piante
petrose di mare», i
tartufi o i fossili[139], sia
l’ipotesi, ripresa allora
anche da Cuvier, che
l’ordinamento
degli
esseri viventi debba
venirrappresentatonon
come una scala o un
albero, ma secondo un
insieme di posizioni in
un
reticolo
di
coordinate[140].
In
questa
impostazione
hegeliana
–
singolarmente vicina a
quelle di Lamarck o
Bichat
–
la
vita
sopraggiunge come un
novum sulla materia,
comeun«lampo»chela
colpisce, o sorge «quale
Minerva già armata
dallatestadiGiove»[141].
Per cogliere più a fondo
mediante il contrasto
alcunenotevolianalogie
e differenze fra Hegel e
Lamarck, ci può essere
d’aiuto questa bella
pagina di Sainte-Beuve,
incuivengonoricordate
le lezioni di Lamarck al
Jardin des Plantes: «si
mostravamoltoostileai
chimici,
agli
sperimentatoriinpiccolo,
come li chiamava […]
Secondo lui le cose si
andavano facendo da
sé,
da
sole,
per
continuità,
mediante
tratti
di
tempo
sufficienti,
senza
passare
per
trasformazioni
istantaneeocrisi,senza
subire cataclismi o
commozioni
generali
[…] Una lunga pazienza
cieca, questo era il suo
Genio dell’universo […]
Anchel’ordineorganico,
una volta ammesso
questo
potere
misterioso della vita,
piccolo ed elementare
quanto era possibile,
egli supponeva che si
sviluppasse da sé, si
complicasse,sifacessea
poco a poco; il bisogno
sordo, la sola abitudine
ad ambienti diversi,
faceva nascere a lungo
andare
gli
organi,
mentre al contrario il
potere della natura,
costantemente
in
azione, li distruggeva:
perché
Lamarck
separava la vita dalla
natura.Lanaturaaisuoi
occhi era pietra e
cenere, il granito del
sepolcro, la morte! La
vita vi sopraggiungeva
come un accidente
strano e singolarmente
industrioso, una lotta
prolungata,
con
occasionali
fasi
di
maggiore
o
minor
successo, di equilibrio
più o meno durevole,
ma sempre vinta, alla
fine:
la
fredda
immobilità
avrebbe
regnato dopo come
aveva
prima»[142].
regnato
A
prescindere dalle più
ovvie
e
profonde
differenze,
vi
sono
anche, tra Hegel e
Lamarck,
alcune
illuminanticonvergenze
oggettive: per entrambi
la vita è un «accidente
strano» che non si
spiega attraverso leggi
meccanicheochimiche,
ma che ha una potenza
propria; per entrambi
essa sorge ancora, negli
animali
inferiori,
attraverso la generatio
aequivoca[143];
per
entrambi la natura
inorganica è il «granito
del sepolcro» o un
«cadavere»[144];
per
entrambi la vita della
Terra è destinata a
finire: «Cielo e Terra –
dice Hegel, citando
Matteo
–
passeranno»[145],
cosicché
l’universo
hegeliano, malgrado la
marcia
trionfale
dell’idea nello spirito,
contiene anch’esso la
sua
entropia
e
autodistruzione.
Il
giovane discepolo di
Hegel,
Feuerbach,
esprimerà
potentemente
questi
concetti in uno dei suoi
primi scritti, i Pensieri
sulla
morte
e
l’immortalità[146].
Del
resto Hegel non ha una
concezionetrionfalistica
della storia umana: sa
che in essa le pagine di
felicità sono «pagine
vuote»,anchesesicade
in un equivoco quando
si attribuisce al suo
pensiero l’affermazione
che la storia è un
«mattatoio»oun«banco
di
macellaio»
(Schlachtbank),
dimenticando
di
aggiungere che egli
attribuisce
questa
visione
guarda
solo
gli
a chi
eventi
rimanendone
in
disparte, all’«egoismo
che stando sulla riva
tranquilla gode sicuro
delle lontane visioni di
confuse rovine», senza
vedere
come
«la
coscienza della libertà»
avanzi malgrado questi
drammi[147].
L’organismo vivente è
caratterizzato per Hegel
– sulla scia di Bichat,
Richerand e Lamarck –
dalla
contraddizione
che poi ritorna all’unità
indifferenziata
della
morte[148]. Ma il genere
continua
a
vivere
attraversolamortedegli
individui. Invece il
pianeta
Terra
è
geologicamente
già
morto ed inerte, il suo
«processodiformazione
è
un
processo
passato»[149]:«Lastoriaè
in precedenza caduta
sulla Terra, ma ora è
giunta alla quiete»[150].
Nonsipuòcertonegare
chelaTerraabbiaavuto
una storia e sia passata
attraverso
enormi
rivoluzioni,
dovute
anche
al
variare
dell’inclinazione
dell’asseterrestre,come
Hegelaffermaseguendo
Buffon e Laplace: «La
Terrael’interanaturaè
da considerare come un
prodotto; ciò è necessario
secondo il concetto […]
ChelaTerraabbiaavuto
una storia, cioè che la
sua natura sia il
risultato di successivi
mutamenti, lo mostra
immediatamentequesta
natura stessa. Essa
indica una serie di
gigantesche rivoluzioni,
che appartengono a un
lontano passato e che
hanno bene anche un
nesso
cosmico,
in
quanto la posizione
della Terra in relazione
all’angolo
formato
dall’asse
col
piano
dell’orbita poteva esser
cambiato»[151].Hegel,che
erastatoassessoredella
«Societàmineralogicadi
Jena», membro della
«Società
naturalistica
della
Vestfalia»[152],
studioso appassionato
della
«nostra
cara
mineralogia» – come
scriveva al filosofo e
mineralogo Lenz[153] –,
non
poteva
evidentemente credere
che
i
movimenti
tettonici, l’attività dei
vulcani,
l’erosione
dell’acqua ecc. fossero
scomparsi e del resto
nonsieraancoraspento
il ricordo della nascita,
nel 1707, di un’isola
nella baia di Santorini.
Egli, inoltre, ritenendo
superataladisputafrail
nettunismo di Werner
(il quale riteneva che la
Terra
fosse
stata
inizialmente ricoperta
da
un
oceano
primordiale e che le
formazioni
rocciose
fossero sorte nell’acqua
per
«precipitazione»,
una tesi in parte
approvata da Goethe)
[154] e il plutonismo o
vulcanismo
Hutton[155],
di
sostiene
esplicitamente
che
entrambi i princìpi
devono
essere
riconosciuti e che «nel
cristallo della Terra il
fuoco è attivo tanto
quanto l’acqua: nei
vulcani, nelle fonti, nei
processi meteorologici
in genere»[156]. In che
senso bisogna quindi
interpretare la sua
teoria che il «cristallo
della vita», la Terra, è
diventato un «morto
organismo»?[157]
Nel
sensochelaterra,come
un cristallo che ha
ormai quasi compiuto il
suo sviluppo[158], si
avvia verso l’equilibrio
di
un
sistema
omeostatico. Lo «spirito
della
terra»,
dopo
essersi agitato nel suo
sogno notturno, «si
svegliaedottienelasua
coscienza
nell’uomo»[159].
Révolution
est
La
finie!,
questafrecciatadiHegel
contro Reinhold si può
ora ritorcere contro di
lui[160]. Ma perché è
finita? È evidente che
Hegel ha cercato di
«conciliare»
le
due
posizioni
divergenti
nella
geologia
del
tempo:
la
dottrina
cataclismatica e quella
uniformistica,econuno
sbrigativo
giudizio
‘salomonico’
ha
attribuito validità alla
primaperilpassato,alla
seconda per il presente:
«La storia è dapprima
caduta sulla Terra, ma
ora è giunta alla quiete;
una
vita
che,
fermentante
in
se
stessa,avevailtempoin
se
stessa»[161].
L’esperienzadellastoria
umana dopo il Diluvio,
nei presunti 6.000 anni
trascorsi,
sembrava
dargli
ragione[162].
Nessun gran cataclisma
si è verificato, e anzi la
Terra, lucrezianamente
stanca di partorire,
mostra
nel
Nuovo
mondo
la
sua
impotenza
senile;
uomini e animali son
più deboli e piccoli e la
vis generativa è alla
fine[163].
Nell’Europa,
«parte razionale della
Terra», si è svegliato lo
spirito
terrestre
giungendo
nell’uomo
europeo al culmine
dell’autocoscienza[164].
Così, da quando il
pianeta è diventato
«patrianostra[…]patria
dello spirito»[165], i suoi
movimenti si sono
pietrificatierimanesolo
una lenta e sporadica
opera di modificazione
attribuita al fuoco e
all’acqua.
Nella
scenografia del sistema
hegeliano, la relativa
immobilità e ciclicità
dellanaturaservecome
sfondo per far risaltare
il
movimento
di
sviluppo dello spirito
umano, per il quale la
rivoluzione
continua:
«Nella
natura
i
mutamenti,
per
infinitamentemolteplici
che siano, manifestano
soltanto
un
moto
circolare, che si ripete
sempre: nella natura
non accade nulla di
nuovo sotto il sole, e in
tal senso il gioco, pur
cosìmultiformedeisuoi
fenomeni porta con sé
una certa noia. Solo nei
mutamenti che hanno
luogo
sul
terreno
spirituale nascono le
novità
[…]
Se
confrontiamo
i
mutamenti dello spirito
e della natura, vediamo
che in questa il singolo
è
sottoposto
alla
vicenda, nella quale
però le specie restano
immobili.Cosìilpianeta
abbandona questo o
quel luogo, ma il suo
corso complessivo è
costante. Lo stesso
avviene per le specie
animali.Ilmutamentoè
unciclo,unaripetizione
dell’identico […] È vero
che anche la serie delle
forme
naturali
costituisce
una
graduazione, dalla luce
fino all’uomo, in modo
che ogni grado è una
trasformazione
del
precedente,unprincipio
superiore, sorto dal
superamento
e
dall’eliminazione
di
quel che precede. Ma
nella natura questi
elementi si separano, e
tutti
i
germogli
coesistono
l’uno
accanto all’altro: il
trapasso si manifesta
solo
allo
spirito
pensante […] Nella
natura la specie non fa
alcun progresso, nello
spirito
invece
cambiamento
progresso»[166].
Nel
ogni
è
sottolineare
la
distanza
fra
l’immobilismo
della
natura e il progresso
dello
spirito,
nell’indagare sulle zone
più oscure del rapporto
tra prima e seconda
natura, nel respingere
quel dominio della
natura prima che (alla
fine
dell’Ottocento)
diventerà centrale nella
cultura europea, Hegel
vuole, da un lato,
considerare la natura
comebasepre-istoricae
finalisticamente
subordinata della storia
umana in cui l’uomo,
giunto al dominio del
mondo
naturale
attraversolemacchinee
la scienza, «fa valere il
suo diritto e la sua
dignità
nell’interdire
solo
e
maltrattare la natura, a
cui restituisce quella
necessitàeviolenzache
ha subìto da essa»[167].
La natura – contro ogni
«tenerezza
per
le
cose»[168], contro ogni
forma di elevazione
panteistica o romantica
–
va
pertanto
sottoposta,
secondo
Hegel,
al
dominio
dell’uomo,
deve
diventare serva dopo
essere stata a lungo
padrona, in quanto
l’astuzia
umana
la
mette in contraddizione
consestessa,utilizzala
forza degli elementi
naturali (acqua, vento,
vapore) per realizzare
dei fini sociali, senza
creare
niente
di
nuovo[169];
dall’altro
lato, vuole far confluire
nella suprema idealità
delpensiero,cometolti,
tutti i
natura
generi della
che
hanno
invece esistenza in
quanto
giustapposti
spazialmente; in tal
modo
il
pensiero
dell’uomo
diventa
veramente
un
microcosmo,
un
percorrere
tutto
l’universo senza uscire
da
sé,
perché
è
l’universo,lamateria,la
natura che nel pensiero
è tornata a sé, si è
interiorizzata,‘involuta’;
solonelpensiero,allora,
come
materia
che
ritorna in se stessa, i
generi
naturali
ottengono
determinatezza
quella
che
primamancavaloro[170].
In quest’opera di
«disantropomorfizzazione
della natura[171], Hegel
non intende soltanto
salvare
l’alterità
e
l’indipendenza relativa
dell’oggetto, come «ciò
che sta di fronte»
(Gegen-stand) e non si
esaurisce nel soggetto
(contro Fichte che ne
faceva un semplice
limite), ma intende
stabilirne
anche
l’assimilazione
in
posizione
subalterna.
Ricorrendo
alla
terminologia di Adorno,
si potrebbe dire che la
ratio celebra qui il suo
trionfo. Ma la posizione
hegeliana è ancora più
complessa, perché il
dominio sulla natura
deve rendere possibile
laliberazionedell’uomo,
e alla guida di questa
«BefreiungvonderNatur»
sta la filosofia[172], che
ha il suo centro – come
Feuerbach
non
mancheràdiosservare–
nell’anti-naturalismo e
nel
distacco
dall’immediatezza. Con
«sovrana
ingratitudine»[173],
lo
spirito taglia il cordone
ombelicalechelolegava
alla natura e inizia una
marcia autonoma (che
hapursemprelanatura
come presupposto, ma
come
presupposto
dominato) in quelle
zone della Terra dove
l’uomo
è
all’avanguardia,
in
particolare nella «parte
razionale» di essa, ossia
l’Europa e i suoi
«Annexa»,
come
le
Americhe.
Si compie con Hegel
una rivoluzione teorica:
dopo
l’epoca
dell’assimilazione della
natura, egli
cominciata
ritiene
l’epoca
dell’assimilazione della
storia umana. La talpa
dell’istinto
della
ragione, dopo aver
aperto le vene della
natura alla ricerca di se
stessa,sirivolgeoraalla
ricercadiunsensodella
storia. E malgrado ogni
arbitrio costruttivistico,
c’èinquestotentativola
volontà
(o
la
presunzione) titanica di
appropriarsiediguidare
un movimento finora
cieco, di comprendere e
sottoporre
alla
«ragione» anche la
storia umana. Il fatto
stesso
che
questo
problema si cominci a
porre significa che il
lavoro
di
razionalizzazione può
iniziare[174]. La filosofia
della
storia,
nel
ricostruireilsensodella
storia, procede in un
certo
modo
cuverianamente,
attraverso il «principio
di corrispondenza» e
cerca
l’ossatura
complessiva dei singoli
avvenimentiinstrutture
di pensiero. La storia
cessa così di essere
erudizione,
«dotta
spazzatura
raccogliticci
di
fatti
ed
estrinseci» o intreccio
gratuito: «Una storia
senza siffatto scopo e
senza siffatto giudizio
sarebbe soltanto un
abbandonarsi da idiota
alla
mera
immaginazione:
non
sarebbe neppure una
fiaba
da
bambini,
giacchéancheibambini
vogliono
nelle
narrazioni un interesse,
cioè uno scopo, che si
dia loro almeno ad
intravvedere,
e
la
relazione
degli
avvenimenti e delle
azioni
a
questo
scopo»[175]. La storia è
un processo teleologico,
anche se il nomos è da
scoprire, e Hegel crede
di
individuarlo
nel
«progresso
nella
coscienza
della
libertà»[176], ossia nella
progressiva
e
inarrestabiledistruzione
dei
condizionamenti
esterni
all’assimilazione.
La
storia non è quindi per
Hegel
un
semplice
scorrere amorfo, un
progresso senza mèta,
come
lo
concepirà
anche il successivo
storicismo tedesco, ma
è,
per
così
dire,
vertebrata, fornita di
una
struttura
in
divenire. Nella difesa
cheHegelcompiediuna
storia teleologicamente
orientata non c’è solo
unaformadiprofetismo
secolarizzato[177], ma la
polemica
rinascente
contro
il
irrazionalismo
di
Schelling, von Baader e
simili (che negavano la
possibilità di conoscere
positivamente
una
qualche direzione degli
avvenimenti umani)[178]
e contro l’idea dei
teorici
della
Restaurazione per cui
esiste un corso naturale
delle cose voluto da Dio
che l’uomo non è in
gradonédiintravvedere
nédimutare.
Lo
spostarsi
del
baricentro del discorso
hegeliano dalla natura
alla storia accentua i
caratteri ‘idealistici’ di
questa
filosofia
e
produce
contemporaneamente
quel disprezzo per la
naturalità
e
quell’ammirazione per
l’umano che formano
l’anima della teoria di
Hegel.
È
insegnamento
un
che
rimarrà impresso nei
discepoli
diretti
e
indiretti: dal paragone
fra il cielo stellato e
un’eruzione cutanea o
uno sciame di mosche,
ripetuto da Heine[179]
all’affermazione,
predilettadaMarx,della
superiorità del pensiero
di
un
delinquente
rispetto
ai
più
meravigliosi spettacoli
dellanatura:«Spessogli
[cioè a Marx] ho sentito
ripetere il detto di
Hegel, il maestro di
filosofia
della
sua
gioventù: “Persino il
pensierocriminalediun
malfattore
è
più
grandioso e sublime
delle meraviglie del
cielo”»[180]. E questo
spiegainparteanchela
solennità
(ritenuta
prussiana)concuiHegel
parla dello Stato: «Ogni
Stato, lo si dichiari
anche cattivo secondo i
princìpi
che
si
professano, si riconosca
in esso questo o quel
difetto, – ha sempre in
sé, specialmente se
appartiene alla nostra
epoca civile, i momenti
essenziali della sua
esistenza. Ma, poiché è
moltopiùfacilescoprire
un
difetto,
che
intendere l’affermativo,
si
cade
facilmente
nell’errore
di
dimenticare al di sopra
dei suoi aspetti singoli,
l’organismo
interiore
dello Stato stesso. Lo
Stato non è un’opera
d’arte; esso sta nel
mondo e, quindi, nella
cerchia
dell’arbitrio,
dell’accidentalità
e
dell’errore; un cattivo
comportamento lo può
svisaredamoltilati.Ma
l’uomo più odioso, il
reo,unammalatoeuno
storpio, sono sempre
ancora uomini viventi;
l’affermativo, la vita,
esiste,
malgrado
il
difetto;
e
questo
affermativo
importa,
qui»[181]. Dinanzi alle
meraviglie della natura,
l’uomopiùoscurohaun
valore infinito: «La
religiosità,lamoralitàdi
unristrettotipodivita–
quella di un pastore, di
un contadino –, nella
sua
concentrata
interiorità, nel suo
restringersi a pochi e
affattosemplicirapporti
di vita, ha un valore
infinito»[182].
7.Lateleologia
dell’istinto:
animaleeuomo
Seguiamo ancora per
un tratto il processo di
interiorizzazione della
natura sino al sorgere
dello spirito. Già nel
cristallo la materia
comincia a organizzarsi
dall’interno,apartireda
un «germe» che le dà
forme
regolari
e
simmetriche[183].
Col
passaggio «dalla prosa
alla
poesia
della
natura»[184], si dipanano
poi
le
diverse
manifestazioni
della
vita:
dalla
goccia
d’acqua marina, che
contiene un «globo
vivente»
d’infusori,
alghe
ecc.[185],
alla
pianta, in cui si avverte
la
prima
«concentrazione delle
differenze,
uno
svilupparsi al di fuori
dell’interno»[186],
agli
animali,
in
cui
l’individualità organica
«esiste
come
soggettivitàinquantola
propria esteriorità della
figura
si
è
idealizzata»[187].
A
differenza della pianta
che dipende da una
potenza esterna (dalla
luce, quasi «il proprio
Dio»)[188], l’animale è
mosso da una forza
interna, l’istinto. In lui
lavitaèscopoemezzo,
elasua«realizzazioneè
nello stesso tempo un
rientrare in sé»[189].
L’organismo animale è,
infatti, «il microcosmo,
ilcentrodivenutopersé
della natura, in cui
l’intera
natura
inorganicasièriassunta
e idealizzata»[190]. Ma
l’animale è tuttavia
sottopostoaldominiodi
ununiversale,ilgenere,
che resta esterno a lui,
non interiorizzato. La
sproporzione
fra
il
singolo e il genere si
conclude con la morte
del singolo: «la natura
organicaterminaquindi
così: per il fatto che il
singolomuore,ilgenere
giunge a se stesso, e
diventa con ciò oggetto
asé;questocostituisceil
sorgere
dello
spirito»[191]. Il genere
diventa
dunque
autonomo, si sdoppia
attraverso la morte e il
sole interiore nasce da
questo
sacrificio
notturno della natura:
«Loscopodellanaturaè
uccidere se stessa […]
bruciarsi come Fenice e
rivenir
fuori
ringiovanita da questa
esteriorità
come
spirito»[192]. Dalla morte
dellanaturascaturisceil
pensiero, «l’universale
esistente per se stesso»,
«l’immortale»[193].
La
religione cristiana, che
sorgedalla«notteincui
la sostanza fu tradita e
si rese soggetto» e che
introducelavitapiùalta
attraverso il sacrificio
della
naturalità,
rappresenta pur sempre
il
modello
di
riferimento, ma dietro
diessosiaffacciaanche
l’immaginedellasocietà
moderna che vuole
asservire la natura,
cancellare
ogni
immediatezza
risolvendola nel potere
dell’astratto,
della
mediazione incessante
a cui nulla deve
sfuggire.
Non
riuscendo
a
rappresentarsiilgenere,
l’animale agisce per
istinto. Nel costruire
«nidi, tane, giacigli», si
comporta come un
«artigiano inconscio»,
ma solo «nel pensiero,
nell’artista umano, il
concetto è per se
stesso»[194].Perciò–dice
Hegel, riferendosi agli
esempi di Cuvier in Le
Règne Animal distribué
d’après
son
organisation[195] – quanto
più
complessa
è
l’organizzazione
dell’animale, tanto più
debole
è
l’istinto.
L’uomo,invece,«avendo
coscienza del reale
come ideale, cessa di
essere
qualcosa
di
puramente
naturale,
dedito solo alle sue
immediate intuizioni e
tendenze, alla loro
soddisfazione
e
produzione. Che egli
abbia
coscienza
di
questo si manifesta nel
fatto che egli frena i
suoiistinti:tral’impulso
dell’istinto e la sua
soddisfazione egli pone
l’ideale, il pensiero.
Nell’animale
i
due
momenti
coincidono;
esso non scinde da sé
questo nesso, che può
essere interrotto solo
dal dolore o dal timore.
Nell’uomo
l’istinto
sussiste prima o senza
che esso lo soddisfi:
potendo frenare o dar
corso ai suoi istinti, egli
agisce secondo fini, si
determina
secondo
l’universale. È lui che
deve determinare quale
fine debba riconoscere
come valido: e può
porre come suo fine
persino
il
puro
universale. Quel che lo
determinainciòsonole
rappresentazioni di ciò
che egli è o vuole. In
questo è l’autonomia
dell’uomo: ciò che lo
determina,eglilosa[…]
Per
l’animale
le
rappresentazioni non
sono
realtà
ideale,
effettiva […] Esso non
puòintercalarenullafra
il suo istinto e la sua
soddisfazione; non ha
volontà,
non
può
passareall’inibizione.Lo
stimolo si genera nel
suo
interno
e
presuppone
un’esecuzione
immanente. L’uomo è
autonomononperchéil
movimento comincia in
lui, ma perché egli lo
può frenare, rompendo
in tal modo la sua
immediatezza
e
naturalità»[196].
In
questo senso, dato che
anche per Hegel «il
lavoro non è un istinto,
bensì
un
atto
razionale»[197], «attività
in sé riflessa»[198], che
ha a fondamento una
rappresentazione, vale
qui quanto riaffermato
da Marx: «Il nostro
presupposto è il lavoro
inunaformanellaquale
esso
appartiene
esclusivamenteall’uomo.
Il
ragno
compie
operazioni
che
assomigliano a quelle
del tessitore, l’ape fa
vergognare
molti
architetti
con
la
costruzione delle sue
cellette di cera. Ma ciò
che fin da principio
distingue il peggior
architetto
dall’ape
migliore è il fatto che
egli ha costruito la
celletta nella sua testa
primadicostruirlanella
cera. Alla fine del
processo
lavorativo
emerge un risultato che
era già presente al suo
inizio nella idea del
lavoratore, che quindi
era
già
presente
idealmente. Non che egli
effettui
soltanto
un
cambiamento di forma
dell’elemento naturale;
egli
realizza
nell’elemento naturale,
allo stesso tempo, il
proprio scopo, che egli
conosce, che determina
come legge il modo del
suo operare, e al quale
deve subordinare la sua
volontà»[199].
8.Lavoro,
pensiero,istinto
Il problema del lavoro
edellafinalitàcosciente
o inconscia nell’operare
dell’uomo
coinvolge
direttamente
anche
quello della teleologia,
lungamente dibattuto
nellaculturaeuropeada
Aristotele a Kant e
spessosottoposto,inetà
moderna, a critiche
distruttive. A partire da
Spinoza, si è, infatti,
ridottaognicausafinale
a causa efficiente: «La
causa così detta finale,
poi, non è se non la
vogliaumana,inquanto
considerata
come
principio
o
causa
primaria di qualcosa.
Per esempio, quando
diciamochel’abitazione
èstatalacausafinaledi
questa o di quella casa,
altrononintendiamose
non che un uomo,
essendosi immaginato i
vantaggi
della
vita
domestica, ha avuto
voglia di costruire una
casa.
Per
cui
l’abitazione, in quanto
considerata come causa
finale, non è altro che
questa singola voglia,
che in verità è causa
efficiente, considerata
comecausaprimaperil
fatto che gli uomini
ordinariamente
ignorano le cause di ciò
che vogliono»[200]. In
seguito si è attaccata la
teleologia insita nelle
filosofie della storia per
giungere, infine, al suo
netto e globale rifiuto.
Da allora grava su di
essa
il
sospetto
dell’inutilità
o
dell’inganno (che bari
cioè quando introduce
surrettiziamente ipotesi
che
nascondono
l’ignoranza
dei
fenomeni che intende
affrontare).
È largamente noto
come
la
scienza
moderna sia sorta, in
polemica
contro
determinate tradizioni
attribuite
all’aristotelismo, anche
sulla
base
dell’eliminazione
dal
suo ambito delle cause
finali. Esse vengono
ridicolizzate nei loro
ultimi
malinconici
sostenitori, in coloro
che – secondo le
caustiche espressioni di
Voltaire – ritengono che
Dio abbia creato le
maree
«affinché
i
battelli entrino più
agevolmente in porto e
per
impedire
che
l’acqua
del
mare
imputridisca»
o
sostengono «che le
gambe sono fatte per
essere calzate e i nasi
per
portare
gli
occhiali»[201]. Il ricorso
alle cause finali viene
perciò considerato un
pregiudizio teologico e
antropologico da cui lo
scienziato e il filosofo
devono ben guardarsi.
In questo modo, il
finalismo diventa un
tabù culturale e il
meccanicismo trionfa
erigendosi a modello di
ogni sapere, postulando
leggi
esclusivamente
causali-efficienti
e
rinunciando
solennemente
al
presupposto che la
natura sia regolata da
fini, specie se utili
all’uomo.
Dopolosviluppodelle
scienze della vita e il
loro
relativo
autonomizzarsi
dal
riduzionismo
meccanicistico,sièperò
costretti a riconoscere
chegliorganismiviventi
sono
pur
sempre
regolatidaleggichenon
sembrano
esclusivamente
meccanico-efficienti.
Per mantenere il tabù
anti-teleologico
e
rimanere fedele al suo
ideale di scientificità,
Kant
è
pertanto
costretto a ricorrere a
unagenialesoluzionedi
compromesso,
dichiarando la finalità
una «idea regolativa» e
non
un
concetto
scientifico: si può solo
dire che è «come se» in
natura ci fosse un
ordinamento
teleologico. Questo è il
primo grande sintomo
di imbarazzo e di
disagioneiconfrontisia
dell’accettazionechedel
rifiuto della finalità.
Malgrado ogni assalto
vittoriosamente sferrato
contro il finalismo, è,
appunto, «come se» il
compitodibandirlonon
fosse mai terminato e
ciò che è stato cacciato
dalla porta rientrasse,
camuffato,
dalla
finestra. Sebbene la
lotta nei confronti del
finalismo abbia spesso
costituito una forma di
igienementale,ilprezzo
sembraesserestatouna
rimozionemalriuscita.
Compromessi
analoghi sono stati
stipulati anche in tempi
più
vicini
a
noi
attraverso
l’uso
di
categorie
quali
«teleonomia», «quasi-
finalità» o «bricolage».
Ampi
settori
della
biologia contemporanea
hanno interpretato il
formarsi
e
lo
strutturarsi
della
materia vivente in base
al
modello
dello
stabilizzarsi del caso e
delle
mutazioni:
dapprima si producono
combinazionialeatorie–
ad esempio, catene di
aminoacidiediproteine
– e solo dopo la cellula
tende
teleonomicamente alla
riproduzione
di
se
stessa,
alla
reduplicazione secondo
ilmetododel ne varietur
(dimodoché costituisce
problema
più
la
permanenza
che
l’innovazioneevolutiva).
La natura prende ciò
che trova: non è un
architetto,
ma
un
bricoleur. In von Wright
l’uso
del
termine
«quasi-finalità»
sostituisce quello
di
«teleologia»,
accreditandosi
come
alternativo:
quando
diciamo,sostiene,cheil
nostrocuorebattepiùin
fretta sotto sforzo «per»
essere così in grado di
ossigenare
maggiormente i tessuti,
diamo una spiegazione
quasi finalistica, che
esclude sia la finalità
cosciente
che
un
disegno prestabilito e si
riduce
al
modello
omeostatico
della
compensazione e della
eliminazione
degli
elementididisturbo[202].
Il
problema
della
stabilizzazione del caso
passa così in secondo
piano
rispetto
alla
riproduzione di un
equilibrio
alterato.
Rimanedachiedersi–al
di
là
dell’indubbio
spessore scientifico e
culturale di queste
teorie – se, da un punto
di vista categoriale,
termini
come
«teleonomia»
«quasifinalità» o «bricolage»
non
siano
degli
eufemismiperevitaredi
pronunciare la parola
«teleologia»
e
di
evocarneilconcettopur
godendonedeivantaggi,
senonnascondanocioè
ledifficoltà(danotareil
«quasi» nella «quasifinalità») in luogo di
portarle
più
radicalmente alla luce.
Resta da domandarsi in
che
misura
abbia
ragione
il
biologo
franceseGrassé,ilquale
–
parafrasando
La
Rochefoucauld – ha
affermato
che
la
teleonomia rende alla
teleologia lo stesso
omaggio che il vizio
rendeallavirtù[203].
È solo con Hegel che,
in età post-kantiana, la
teleologia
viene
riabilitata e ottiene un
nuovo
diritto
di
cittadinanza
nel
pensiero filosofico. Ciò
accade in due modi. In
primo luogo, Hegel
consideraillavorocome
soluzione del conflitto
teoretico che opponeva
inKantilmeccanicismo
al teleologismo, ossia
come vera cerniera tra
oggettività
e
soggettività[204]. Egli è
certo d’accordo con la
tradizione scientificofilosofica
moderna
secondo cui la natura
non è fatta per l’uomo:
lepietrecadono,ifiumi
scorrono,ilventosoffia,
il vapore si innalza, i
fiori
sbocciano,
le
mucche danno latte e
tutto
ciò
accade
indipendentemente
dalla volontà e dalla
progettualità
umane.
Esistono,dunque,forme
di legalità naturale, che
agiscono secondo i
propri princìpi, senza
bisogno
di
consapevolezza, ma il
lavoroeilsapereumani,
proprio
in
quanto
coscienti,
hanno
appreso a comandare la
natura
obbedendole,
rispettando al massimo
le
sue
leggi
per
potersene poi servire in
vista
di
fini
esclusivamente umani.
In tal modo le case si
costruiscono con pietre
e mattoni che seguono
le leggi della gravità, la
corrente del fiume
muove da sé le pale dei
mulini,
il
vento,
soffiando dove vuole,
gonfialevele,conlasua
forza
espansiva
il
vapore
aziona
le
macchine, dai fiori di
genziana, che crescono
spontaneamente,
si
producono liquori e dal
latte che esce dalle
gonfie mammelle delle
mucche, delle pecore e
delle capre si fa il
formaggio.
L’astuzia del lavoro e
della scienza consiste
quindi nell’assecondare
le leggi naturali prive di
finalità,neltrasformarle
in mezzi per i fini
introdotti
dall’uomo,
chesiimpossessaditali
forze e le piega al
proprio scopo. Egli usa
pertanto
l’energia
dell’acqua
di
un
torrenteperfargirarele
pale di un mulino, in
modo da mettere in
movimento la macina
che trita il grano,
trasformandolo
in
farina. Ma il grano non
cresce per noi, così
comeilventononsoffia
per farci piacere. Noi
raggiungiamo dunque il
nostro scopo unendo e
combinando
forze
naturali separate messe
talvolta in contrasto tra
loroesfidiamolanatura
sul suo stesso terreno.
In
questo
senso,
l’astuzia
delle
macchine,
progettata
dallavorochecatturale
energie
naturali,
è
analoga
all’«astuzia
della ragione» (List der
Vernunft) che si serve
nella
storia
delle
passioni degli uomini,
come energie inconsce
naturali,
per
raggiungere
risultati
preterintenzionali
e
inattesi, che sorpassano
gli
scopi
individui[205].
degli
In secondo luogo,
Hegel allarga la sfera di
validità della teleologia,
distinguendotrafinalità
esterna
e
finalità
interna e dichiarando
che solo la prima deve
essere espunta dal
pensiero
scientifico,
mentre la seconda
costituisce un concetto
indispensabile
per
comprendere non solo
l’attività lavorativa e
progettuale umana, ma
anche il suo nesso con
lanaturaeconlastoria.
Di nuovo – come prima
in Aristotele e poi in
Max
Weber
–
la
razionalità appartiene
perluisoltantoalregno
dei
mezzi,
degli
strumentienondeifini.
Vi è un passo noto, che
occorre
meditare
nuovamente in questo
senso: «A cagione del
suo essere finito, lo
scopo ha inoltre un
contenuto finito. Perciò
non è un assoluto, o
addiritturainséepersé
unrazionale.Ilmezzoè
poi il termine medio
esteriore
di
quel
sillogismo
in
cui
consistelarealizzazione
dello scopo. In esso se
ne
dà
quindi
a
conoscere la razionalità
come quella che si
conservaincotestoaltro
esteriore
e
precisamente per via di
cotesta
esteriorità.
Perciòilmezzoèunche
di superiore agli scopi
finiti e alla finalità
esterna; – l’aratro è più
nobile che non siano i
godimenti che esso
procura
e
che
costituiscono gli scopi.
Lo
strumento
si
conserva, mentre i
godimenti
immediati
passano e vengono
dimenticati. Coi suoi
strumenti
l’uomo
domina
la
natura
esteriore,ancheseperi
suoi scopi le resta anzi
soggetto»[206].
La
«finalità
interna»
mantiene
il
suo
primato,
ma,
nello
stesso tempo, anche il
mezzo conserva la sua
indipendenza:
«Una
casa,
un
orologio
possono apparire come
scopi
rispetto
agli
strumenti adoprati per
produrli;malepietre,le
travi, le ruote, gli assi
etc.,checostituisconola
realtà
dello
scopo,
adempiono ad esso
soltanto colla pressione
che sopportano, coi
processi chimici cui
coll’aria, la luce e
l’acqua
sono
abbandonati, mentre ad
essisottraggonol’uomo,
col loro attrito, etc.
Adempiono dunque alla
destinazione
loro
soltanto col loro uso e
logorio, e soltanto colla
loro
negazione
corrispondono a quel
chedevonoessere»[207].
Nellostabiliredeifini,
nel
rappresentarsi
l’universale
e
nell’inibire il godimento
immediatol’uomoentra
incontraddizioneconse
stesso,
diventa
un
anfibio che ritorna
continuamente
alla
naturalità,
per
poi
strapparsi di nuovo a
essa, e la «cultura
moderna»
ha
«acutizzato»
questa
contraddizione
che
appartieneinsestessaa
ogni
civiltà:
«L’educazione
spirituale, l’intelligenza
moderna,
producono
nell’uomo
questa
opposizione che lo
rende anfibio in quanto
egli deve vivere in due
mondi
che
contraddicono
si
e,
sballottato da un lato e
dall’altro, è incapace di
trovare
per
sé
soddisfazionenell’unoe
nell’altro. Infatti, da un
latonoivediamol’uomo
prigioniero della realtà
comune
e
della
temporalità
terrena,
oppresso dal bisogno e
dalla
necessità,
angustiato dalla natura,
impigliatonellamateria,
in fini sensibili e nel
loro
godimento,
dominato e lacerato da
impulsi naturali e da
passioni, dall’altro egli
si eleva a idee eterne, a
un regno del pensiero e
della libertà, si dà come
volontà
leggi
e
determinazioni
universali, spoglia il
mondo
della
sua
animata, fiorente realtà
e
la
risolve
in
astrazioni»[208].
In
questa contraddizione
l’uomo diventa campo
di battaglia, negazione
estrema
dell’immediatezza: «Io
non sono uno dei due
contendenti, io sono
entrambi i contendenti,
io sono la contesa
stessa»[209].
Ma
nell’uscire dalla pace
dell’animale,
nel
ricevereil«privilegiodel
dolore»
e
della
«follia»[210],
egli
abbandona la ciclicità e
la cattiva infinità del
genere
naturale
e
ottiene
un
soddisfacimento
più
alto:«Lebestievivonoin
paceconsestesseecon
le cose intorno a loro,
ma la natura spirituale
dell’uomo produce il
dualismo
e
la
lacerazione nella cui
contraddizione
egli
s’affanna.Infattil’uomo
non può trattenersi
nell’interno come tale,
nel puro pensiero, nel
mondo delle leggi e
della loro universalità,
ma ha anche bisogno
dell’esistenza sensibile,
del sentimento, del
cuore,dell’animoecc.La
filosofia
pensa
all’opposizione che da
quideriva,qualeessaè,
nella
sua
compenetrante
universalitàeprocedeal
superamento di essa
opposizione in modo
egualmente universale;
ma
l’uomo,
nell’immediatezza della
vita, tende a un
soddisfacimento
immediato. Nel modo
più
diretto
tale
soddisfacimento
ad
operadelladissoluzione
di quell’opposizione è
da noi trovato nel
sistema dei bisogni
sensibili. Fame, sete,
stanchezza, mangiare,
bere, sazietà, sonno
ecc., sono in questa
sfera esempi di tale
contraddizione e della
sua soluzione. Ma in
quest’ambito naturale
dell’esistenza umana il
contenuto
del
soddisfacimento è di
specie finita e limitata;
ilsoddisfacimentononè
assoluto e procede
quindi senza posa a
sempre nuovi bisogni; il
mangiare, il sonno, la
sazietà non giovano a
nulla, la fame, la
stanchezza
incominciano di bel
nuovo
al
mattino.
Nell’elemento
dello
spirituale, poi, l’uomo
tende
al
soddisfacimento ed alla
libertà nel sapere e nel
volere,inconoscenzeed
azioni»[211].
Solo
il
pensiero,
non
la
sensibilità, ha per Hegel
la
capacità
di
emancipare l’uomo, e il
godimento
naturale
resta
sempre
insoddisfazione
che
pungola verso qualcosa
di più elevato, un ubi
consistamdoveildisagio
siplacaallalucedelsole
interiore,lavitapiùalta
del
pensiero
e
dell’azione
razionale[212].
Volendo
nuovamenteguardarela
filosofia hegeliana in
negativo, è possibile
vedere qui la paura di
una
ricaduta
nella
naturalità delle società
pre-moderne:
nella
«violenza senza storia
del tempo» che subisce
unpopoloquandoèsolo
una
«nazione,
una
tribù»[213], nel torpore
asiatico
o
nell’«universale campo
di
battaglia
dei
particolarismi» che è il
mondo medievale, in
cui il pensiero, il vero
universale, vive avulso
dal
particolare
e
conduce un’esistenza
umbratile
nelle
istituzioni (Chiesa e
Impero)
e
nei
chiostri[214].
Affinché
non
si
subisca la «violenza
senza storia» o il
predominio
cieco
dell’epoca, Hegel non
esige
tuttavia
l’eliminazione
dell’istintonelsensodel
dovereonell’imperativo
kantiano, ritiene anzi
che la sua permanenza
sia
essenziale,
in
quanto, come istinto
della ragione, esso è la
guida nell’intrico delle
contraddizioni, il punto
sensibile
di
orientamento inconscio
che spinge sempre
verso l’unità e la
conciliazione
dei
contrasti. C’è nell’uomo
un istinto di verità che
lo accompagna in ogni
suopensieroeazione,e
Hegel lo illumina con
un’altra
metafora
animale,citandoDante:
Io veggio
ben
che
già
mai
non
si
sazia
nostro
intelletto,
se ’l ver
non
lo
illustra
di fuor dal
qual
nessun
vero
si
spazia.
Posasi in
esso come
fera
in
lustra,
tosto che
giunto
l’ha;
e
giunger
pòllo:
se
non,
ciascun
disìo
sarebbe
frustra[215].
Questo
istinto
di
verità, di accordo fra il
pensiero e l’essere, di
realizzazionedell’essere
nel pensiero, è il tacito
presupposto di ogni
nostro agire e pensare,
anche in coloro che
dubitano
della
possibilità del pensiero
di attingere il mondo:
«Quelli
che
non
capiscono niente di
filosofia si mettono le
mani ai capelli quando
sentono questa frase: Il
pensare
è
l’essere.
Eppure,allabasediogni
nostro agire c’è il
presupposto dell’unità
del
pensiero
e
dell’essere. Come esseri
pensanti,
questo
presupposto noi lo
rendiamo
razionale.
Bisogna
tuttavia
distinguere
accuratamente se noi
siamosolopensantiose
ci sappiamo anche
comepensanti.Pensanti
lo siamo in ogni
circostanza; il sapere di
pensarehaluogoinvece
inmanieraperfettasolo
se ci siamo sollevati al
pensare puro»[216]. La
realtà effettuale è già
«ragione
immediatamente
esistente»
(seiende
Vernunft) e il sapere è,
perconverso,essereche
è giunto alla ragione;
«sommo fine» della
filosofia
«è
da
considerare il produrre,
mediante la conoscenza
di questo accordo, la
conciliazione
della
ragione cosciente di sé
con la ragione quale è
immediatamente,conla
realtà effettuale»[217]. Il
problema diventa ora:
Come viene enucleato
nella storia umana il
pensiero
puro
dal
pensare istintivo? Come
avanza
la
ragione
autocosciente,
la
selbstbewussteVernunft?
[1] Pfaff an Hegel, estate
1812, in Briefe, cit., vol. I, p.
405 (trad. it. cit., vol. II, pp.
187-188).
[2] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 24 Z. Sul
concetto di Bestimmung
(«determinazione,
destinazione,
virtualità»),
cfr. Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, pp. 110-111
(trad. it. cit., vol. I, pp. 120121).
[3] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§246Z.
[4]Ibid.
[5] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.69(trad.it.
cit.,vol.I,pp.90-91).
[6]
Hegel,
Jenenser
RealphilosophieII,cit.,p.120.
[7] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§219Z.
[8]Ibid.,§381Z.
[9] Hegel, Vorlesungen über
die Philosophie der Religion, a
cura di G. Lasson, cit., vol. I,
p. 220 (trad. it. cit., vol. I, p.
258).
[10] Cfr. K. Rosenkranz,
Hegels Leben, trad. it. cit., p.
523. J.F. Ackermann (17651835),
professore
di
anatomia a Jena e, dal 1805,
a Heidelberg, è autore della
Darstellung der Lebenskräfte,
Frankfurt a.M., 1799-1800,
utilizzata da Hegel, cfr.
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§396Z.Tutta
la tematica hegeliana della
«vita», negli ultimi anni di
FrancoforteeaJena,nonha
perciòsolountonomisticoo
religioso, come spesso si è
creduto, ma si riferisce a
ricerche di fisiologia e di
biologia.SuJenacentrodella
cultura
scientifica
e
filosofica europea di questi
anni
cfr.
P.
Ziche,
NaturforschunginJenazurZeit
Hegels.
Materialien
zum
Hintergrund der spekulativen
Naturphilosophie, in «HegelStudien», 32 (1997), pp. 9-40;
AA.VV., Die Universität Jena.
Tradition und Innovation um
1800, Stuttgart, 2001; K.
Vieweg, La Roma della
filosofia: Jena intorno al 1800
(lezione all’università di
Siena del 2002), in Id., Il
pensierodellalibertà.Hegelelo
scetticismopirroniano, cit., pp.
11-20e,sull’attivitàdidattica
svolta da Hegel in questa
città, si veda K. Düsing,
Hegels Vorlesungen an der
Universität Jena, in «HegelStudien», 26 (1991), pp. 1524.
[11]
Cfr.
G.
Nicolin,
Verlorenes
aus
Hegels
Briefwechsel,
in
«HegelStudien», 3 (1965), p. 92. Cfr.
A. Richerand, Nouveaux
éléments de physiologie, Paris,
1801; cfr. Hegel, Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§354Z.
[12] Cfr. J.H.F. Autenrieth,
Handbuch der empirischen
menschlichen
Physiologie,
Tübingen, 1801-1802. Cfr.
Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, §§ 354 Z, 362
Z, 364 Z; Sinclair an Hegel, 23
maggio 1807, in Briefe, cit.,
vol.I,p.165(trad.it.cit.,vol.
I, p. 281). L’interesse per
questi temi era già vivo nel
giovaneSchiller,cfr.Schiller,
Philosophie der Physiologie, in
Friedrich Schillers medizinischphilosophische Jugendarbeiten,
Berlin,1959,pp.33ss.
[13] Cfr. G.R. Treviranus,
Biologie oder Philosophie der
lebendigen
Natur
für
Naturforscher und Ärtzte,
Göttingen,1802-1822;A.von
Haller, Elementa physiologiae
corporis humani, Lausanne,
1757-1766.
Cfr.
Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§356Z.Sulla
concezione hegeliana della
biologia si veda A. De Cieri,
Filosofia e pensiero biologico in
Hegel,Napoli,2002.
[14] Cfr. L. Spallanzani,
Opuscoli di fisica animale e
vegetabile, Modena, 1776, in
Le
opere
di
Lazzaro
Spallanzani, Milano, 1932,
vol.I,pp.213-411(oraanche
in L. Spallanzani, Della
digestione, in Opere scelte, a
curadiC.Castellani,Torino,
1978, pp. 864-1115 e si veda,
inoltre, Id., Il giornale della
digestione, a cura di C.
Castellani, Firenze, 1994).
Sul
problema
della
digestione in Spallanzani,
cfr.J.Rostand,Lesoriginesde
la biologie expérimentale et
l’abbéSpallanzani,Paris,1951,
trad. it. Lazzaro Spallanzani e
le origini della biologia
sperimentale, Torino, 19632,
pp. 86-96; P. Di Pietro,
Lazzaro Spallanzani, Modena,
1979,pp.211-216.
[15]
Dell’opera
di
Spallanzani uscì poco dopo
una traduzione tedesca (a
cura di C.F. Michaelis,
Leipzig, 1786). Sul processo
digestivo, cfr. A. Richerand,
Nouveaux
éléments
de
physiologie (cito dalla III ed.,
Paris, anno XII [1804]), t. I,
pp. 28 ss., 143-248; J.H.F.
Autenrieth, Handbuch der
empirischen
menschlichen
Physiologie,cit.,§§551-625.
[16]Cfr.Hegel,Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, 365 A (trad.
it.cit.,pp.332-333)e§365Z.
[17]Ibid.,§365Z.
[18] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 295 (trad.
it.cit.,vol.II,p.91).
[19] Ibid., p. 387 (trad. it.
cit.,vol.II,p.92).
[20] Cfr. L. Spallanzani,
Opuscoli di fisica animale e
vegetabile…, in Le opere di
Lazzaro Spallanzani, cit., vol.
I, pp. 213 ss. Spallanzani
sviluppava alcune teorie di
Réaumur, cfr. R.A. Ferchault
deRéaumur,Observationssur
la digestion des oiseaux, in
Mémoires de l’Académie des
Sciences,1752,t.I,pp.266ss.,
t.II,pp.461ss.Cfr.J.Torlais,
Réaumur.
Un
esprit
encyclopédique en dehors de
l’Encyclopédie,Paris,1961,pp.
347-363.
[21] Cfr. J. Rostand, Les
origines
de
expérimentale
la
et
biologie
l’abbé
Spallanzani, trad. it. cit., pp.
94ss.
[22] La loro natura venne
scoperta da B. Carminati,
Ricerche sulla natura del succo
gastrico,Milano,1785.
[23]Cfr.Hegel,Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, 365 A (trad.
it.cit.,p.333).
[24]Ibid.,§365Z.
[25] Per la scoperta del
carattere animale della
fermentazione, cfr. C.C.
Delatour, in «L’Institut», III
(1835), pp. 133-134. Per la
presenza della pepsina nel
succo gastrico, cfr. Th.
Schwann,ÜberdasWesendes
Verdauungsprozesses,
in
«MüllerArchiv»,1836,p.90.
[26]Cfr.Hegel,Wissenschaft
der Logik, cit., vol. II, pp. 383
ss. (trad. it. cit., vol. II, pp.
883 ss.) e Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 195 Z, per
cui il meccanismo vale «in
dienender
Stellung»,
in
posizione
servile
o
subordinata.
Per
un
commento ai testi hegeliani
corrispondenti
alle
discipline trattate da Hegel,
si veda L. Illetterati, Sul
meccanismo, il chimismo,
l’organismo e il conoscere, in
«Quaderni di Verifiche 7»,
Trento,
1996.
Per
la
teleologia Hegel ha molto
meditato,
oltre
che
ovviamente sulla Critica del
giudizio di Kant, anche sulla
Fisica di Aristotele, in
particolare sul cap. VIII del
libro II (cfr. Aristotele, Phys.,
198 b-200 b). Sulla teleologia
in Hegel, cfr. J. D’Hondt,
Téléologie et Praxis dans la
logiquedeHegel,inHegeletla
penséemoderne,cit.,pp.1-26;
J.N. Findlay, Hegel’s Use of
Teleology, in New Studies in
Hegel’s Philosophy, a cura di
W.E. Steinkraus, New York,
1971,
pp.
92-107;
N.
Badaloni, Teleologia ed idea
del conoscere nella logica di
Hegel, in Per il comunismo,
Torino, 1972, pp. 13-53; C.
Warnke,
Aspekte
des
Zwecksbegriffs
in
Hegels
Biologieverständniss unserer
Zeit, in Zu Hegelverständniss
unserer
Zeit.
Beiträge
marxistich-leninistischer
Hegelforschung, a cura di H.
Ley, Berlin, 1972, pp. 244252.Ecfr.piùavanti,pp.167,
178,295,344.
[27]Cfr.Hegel,Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§365A(trad.
it.cit.,pp.332-333).
[28] Ibid., § 365 Z. Vale la
pena di ripetere questo
passo della Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, pp. 58, 59
(trad. it. cit., vol. II, pp. 490491, 492): «Poiché di fronte
adessa[allacontraddizione]
l’identità non è che la
determinazionedelsemplice
immediato,
del
morto
essere; la contraddizione
invece è la radice di ogni
movimento e vitalità; […]
Qualcosa è dunque vitale
soloinquantocontieneinsé
la contraddizione ed è
propriamente questa forza
di comprendere e sostenere
insélacontraddizione».
[29] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 365 Z. Sul
raccontodeimarinaiinglesi,
cfr.W.Bligh,AVoyagetothe
South Sea…, London, 1790,
pp.191-238.
[30] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 365 Z. Egli
interpreta così, in senso
teleologico, il concetto di
nisusformativus elaborato da
J.F. Blumenbach, Über den
Bildungstrieb
und
das
Zeugungsgeschäfte,Göttingen,
1781, e si veda P.H. Reill,
Vitalizing Nature in the
Enlightenment, Berkeley-Los
Angeles,
2005.
Di
Blumenbach Hegel aveva
nella sua biblioteca lo
Handbuch der vergleichenden
Anatomie,Göttingen,1805.
[31] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§365Z.
[32]
Ibid.
Cfr.
Phänomenologie des Geistes,
cit.,p.192(trad.it.cit.,vol.I,
pp.290-291).
[33]Ibid.,p.25(trad.it.cit.,
vol. I, p. 23). Secondo H.
Schmitz, Hegels Begriff der
Erinnerung, in «Archiv für
Begriffsgeschichte»,
IX
(1964), p. 39, la metafora
della nutrizione applicata
alla vita spirituale si trova
giàinNovalis.Maqui,come
vedremo, si tratta di
qualcosa di più che una
semplice
metafora
accidentale.
[34]
Cfr.
Hegel,
Phänomenologie des Geistes,
cit., p. 25 (trad. it. cit., vol. I,
p.22).
[35] Ibid., p. 564 (trad. it.
cit.,vol.II,p.305).
[36] Ibidem, p. 563 (trad. it.
cit.,vol.II,p.305).
[37] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§360A(trad.
it.cit.,p.329).
[38] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.4(trad.it.
cit.,vol.I,p.4).
[39] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§2A(trad.it.
cit.,p.3).Cfr.ibidem,§19Z2.
[40]Cfr.ibid.,§§365Ze376
Z.
[41]Ibid.,§22Z.
[42]Peruninquadramento
diquestodibattito,cfr.E.De
Negri, La teologia di Lutero,
Firenze, 1967, in particolare
pp. 210-237; A. Asendorf,
Luther
und
Hegel.
Untersuchungen
zur
Grundlegung einer neuen
systematischen
Theologie,
Wiesbaden, 1982, e T. Guz,
Zum Gottesbegriff G.W.F.
Hegels im Rückblick auf das
Gottesverständnis
Martin
Luthers,Frankfurta.M.,1998.
Per un inquadramento più
ampio, cfr. H. Bornkamm,
LutherimSpiegelderdeutschen
Geschichte, Göttingen, 19702,
pp.31-35,225-237.
[43] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§552A(trad.
it. cit., p. 496). Cfr. Hegel,
Vorlesungen
über
die
GeschichtederPhilosophie,cit.,
vol. XIII, p. 90 (trad. it. cit.,
vol. I, p. 88): «La comunione
in senso luterano è divina
soltanto nella fede, nel
godimento, non è più
veneratacomeostia».
[44]Cfr.Hegel,Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§§26-36e,in
particolare,§30(trad.it.cit.,
pp.36-42).
[45] Cfr. Hegel, Philosophie
der Weltgeschichte, cit., pp.
195,931ss.(trad.it.cit.,vol.
I,p.227;vol.IV,pp.213ss.).
[46]
Lutero, in Werke,
Kritische
Gesamtausgabe,
Weimar, 1883 ss., vol. XVIII,
pp. 199-200; cfr. E. De Negri,
La teologia di Lutero, cit., pp.
225-226.
[47] Come, ad esempio,
Ernst Bloch o, in Italia, la
scuoladelDellaVolpe.
[48] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie,cit.,p.64(trad.it.
cit.,p.79).
[49] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 377 (trad.
it.cit.,vol.II,pp.219-220).
[50] Hegel, Glauben und
Wissen, cit., p. 413 (trad. it.
cit.,p.252).
[51] Hölderlin, Empedokles,
prima stesura, Empedokles
aufdemAetna, vv. 171 ss., in
Grosse
Stuttgarter
Hölderlinausgabe, cit., vol. IV,
1, pp. 9 ss., trad. it. di F.
Borio, Empedocle, Torino,
1961, pp. 31 ss. Ermocrate
attacca Empedocle proprio
perché mette in discussione
la positività delle leggi
religiose e civili: «E quanto
innanzi a lui buon tempo e
legge, / Arte e costume han
maturato,
e
santa
/
Tradizione,rovesciaegioiae
pace / Non vuol più
sopportare tra i viventi»
(ibid., p. 11, trad. it. cit., p.
33). Sull’Empedocle e sulla
concezione della tragedia in
Hölderlin rinvio a R. Bodei,
Hölderlin: la filosofia e il
tragico, cit., pp. 7-71 e a M.
Pezzella,Laconcezionetragica
inHölderlin,Bologna,1993.
[52] Hegel, Der Geist des
Christentums
und
sein
Schicksal, in Theologische
Jugendschriften, a cura di H.
Nohl,Tübingen,1907,p.282,
trad. it. di E. Mirri, Lo spirito
del cristianesimo e il suo
destino, in Scritti teologici
giovanili,Napoli,1972,p.395.
[53]Ibid., pp. 328-329 (trad.
it. cit., p. 442). E cfr. ibid., p.
261(trad.it.cit.,p.373).
[54] Hegel, Systemfragment
von 1800, in Theologische
Jugendschriften, cit., p. 351,
trad.it.Frammento di sistema
1800, in Scritti teologici
giovanili,cit.,p.479.
[55]Cfr.J.Cohen,LeSpectre
juifdeHegel,Paris,2005.
[56]Cfr.P.Vinci,«Coscienza
infelice» e «anima bella».
Commentario
della
Fenomenologia dello spirito di
Hegel,Milano,1999.
[57] Hegel, Der Geist des
Christentums
und
sein
Schicksal, cit., p. 329 (trad. it.
cit.,p.443).
[58] Ibid., p. 331 (trad. it.
cit.,p.445).
[59] Hegel, Glauben und
Wissen, cit., p. 414 (trad. it.
cit.,
p.
252).
Cfr.
Phänomenologie des Geistes,
cit., p. 188 (trad. it. cit., vol.
II,p.283).
[60]Hegel,Vorlesungenüber
die Philosophie der Religion, a
cura di G. Lasson, cit., vol. I,
p. 228 (trad. it. cit., vol. I, p.
228).
[61]
In
questo
senso
Lukács, in Der junge Hegel
und
die
Probleme
der
kapitalistischen Gesellschaft,
Berlin, 19542, trad. it. di R.
Solmi, Il giovane Hegel e i
problemi
della
società
capitalistica,Torino,1960,siè
lasciato trascinare troppo
dalla
polemica
contro
Dilthey, Nohl e Kroner e ha
attenuato
gli
apporti
teologici reali al pensiero
hegeliano.
Come
utile
correttivoall’interpretazione
di Lukács si possono vedere
H. Niel, De la Médiation dans
la philosophie de Hegel, Paris,
1945, e A. Peperzak, Le jeune
Hegel et la vision morale du
monde,LaHaye,1960.
[62] Per questa ripresa in
chiave
teologica
della
problematica hegeliana, cfr.
H. Küng, Menschenwerdung
Gottes. Eine Einführung in
Hegels theologisches Denken,
als Prolegomena zu einer
künftigen
Christologie,
Freiburgi.B.,1970.
[63] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§376Z.
[64]Ibid.,§248Z.
[65] Cfr. E. Bloch, Subjekt-
Objekt.
Erläuterungen
zu
Hegel,cit.,p.410(trad.it.cit.,
p.427).
[66] Sull’idea goethiana di
Urtier, tratta da Robinet, cfr.
R. Berthelot, Lamarck et
Goethe: l’evolutionnisme de la
continuité au début du XIX
siècle,
in
«Revue
de
MétaphysiqueetdeMorale»,
XXXVI (1929), pp. 285 ss., e
A.O.Lovejoy,TheGreatChain
of Being, Cambridge, Mass.,
1936,trad.it.diL.Formigari,
La Grande Catena dell’Essere,
Milano, 1966, pp. 302-303; E.
Callot,
La
philosophie
biologique de Goethe, Paris,
1971,pp.87ss.
[67] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§368Z.
[68]
Si
veda
anche
Aristotele, Topici, 108 a;
Metafisica, 984 b; cfr. anche
G. Romeyer-Dherbey, Les
choses mêmes. La pensée du
réel chez Aristote, Lausanne,
1948; A. Ferrarin, Hegel and
Aristotle, Cambridge, 2001,
pp. 47-54 e R. Bodei, La vita
delle cose, Roma-Bari, 2009,
pp. 11-19. Per altri aspetti
dell’idea di Sache selbst in
Hegel, cfr. R. Bubner, Die
‘Sache selbst’ im Hegels
System, in AA.VV., Seminar:
Dialektik in der Philosophie
Hegels, Frankfurt a.M., 1978,
pp.
101-123.
Sull’interpretazione
hegeliana di Aristotele, cfr.
W. Kern, Die Aristoteles
Deutung
Hegels.
Die
Aufhebung des aristotelischen
‘Nous’ in Hegels ‘Geist’, in
«Philosophisches Jahrbuch»,
78 (1971), pp. 237-259; P.
Aubenque, Hegel et Aristote,
inHegeletlapenséegrecque,a
cura di J. D’Hondt, Paris,
1974,pp.97-120;D.Janicaud,
Hegel et le destin de la Grèce,
Paris, 1975, pp. 285 ss.; G.
Lebrun,
Hegel
lecteur
d’Aristote, in «Les études
philosophiques»,
JullietSeptembre1983,pp.329-347
e K. Düsing, Soggettività in
Hegel
e
Aristotele,
in
Soggettività e autocoscienza.
Prospettive storico-critiche, a
cura di P. Palumbo e A. Le
Moli, Milano-Udine, 2011,
pp.45-60.Sull’autocoscienza
in Hegel come causa finale,
che consiste «nel portare al
concettol’implicitaformadi
vita che ci fa essere quegli
uomini che siamo, e al cui
ulteriore sviluppo agendo
(handelnd)partecipiamo»,cfr.
P.
Steckeler-Weithofer,
Philosophie
des
Selbstbewusstseins.
Hegels
System als Formanalyse von
Wissen
und
Autonomie,
Frankfurta.M.,2005,p.10.
[69]Aristotele,Phys.,184a.
[70] Cfr. B. De Giovanni,
Hegel e il tempo storico della
societàborghese,Bari,1970,in
particolare pp. 19 ss. e A.
Schmidt, Geschichte und
Struktur.
Fragen
einer
marxistischen
Historik,
München,1971,trad.it.diG.
Marramao, Storia e struttura.
Problemidiunateoriamarxista
dellastoria, Bari, 1972, pp. 68
ss.
[71] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, cit., §
32A(trad.it.cit.,p.47).
[72]Cfr.ibid.,§182Z(trad.
it.cit.,p.356).
[73] Cfr. Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XV, p.
623(trad.it.cit.,vol.III,2,p.
417). Su questo punto si
veda
R.
Bodei,
Die
«MetaphysikderZeit»inHegels
GeschichtederPhilosophie,cit.,
pp. 79-98 e K. Düsing, Hegel
und die Geschichte der
Philosphie, Darmstadt, 1983,
pp.7-39.
[74] Cfr. H. Blumenberg,
Paradigmen
zu
einer
Metaphorologie, trad. it. cit.,
pp.11-19.
[75] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 36 (trad.
it. cit., vol. I, p. 36). Questo
«andamento
irresistibile»
non
è
lineare,
ma
discontinuo, a salti, cfr. G.
Buck, ‘Die Freundlichkeit jenes
Ursprungs…’.
Negativität,
Diskontinuität
und
die
Stetigkeit
des
Bios,
in
Positionen der Negativität, a
cura di H. Weinreich,
München, 1975, pp. 155-176
e, nello stesso volume, W.
Hübner, Sprung bei Leibniz
undHegel,pp.487-491.
[76] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 16 (trad.
it.cit.,vol.I,p.16).
[77] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, cit., §
31A(trad.it.cit.,p.46).
[78] R. Esposito, Due. La
macchinadellateologiapolitica
e il posto del pensiero, Torino,
2013,pp.5,32.
[79]Sivedaquantodettoin
precedenza,pp.57ss.,137e,
piùavanti,204.
[80] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.61(trad.it.
cit.,vol.I,p.77).
[81] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§21Z.
[82] Cfr. E. Bloch, Subjekt-
Objekt. Erläuterungen zu
Hegel, cit., pp. 161 ss. (trad.
it. cit., pp. 165 ss.). C’è però
nel sistema hegeliano –
almeno
nella
forma
presentata dall’Enciclopedia –
la
reminiscenza
dello
schema di Proclo: mone,
prosodos, epistrophe, cfr. W.
Beierwaltes,
Hegel
und
Proklos, in Hermeneutik und
Dialektik,acuradiR.Bubner,
K. Kramer e R. Wiehl,
Tübingen, 1970, vol. II, pp.
243-272.
Sugli
apporti
neoplatonici al pensiero di
Hegel, cfr. W. Beierwaltes,
Platonismus und Idealismus,
Frankfurt a.M., 1972, passim.
Sull’importanza che Hegel
attribuisce a Damascio, cfr.
Hegel, Vorlesungen über die
GeschichtederPhilosophie,cit.,
vol. XV, p. 93 (trad. it. cit.,
vol.III,1,p.86).
[83] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 31 (trad.
it.cit.,vol.I,p.31).
[84]
Cfr. L.B. Puntel,
Darstellung, Methode und
Struktur. Untersuchungen zur
Einheit der systematischen
Philosophie G.W.F. Hegels,
volume suppl. 10 delle
«Hegel-Studien»,Bonn,1973,
p106.
[85]E.Bloch,Subjekt-Objekt.
ErläuterungenzuHegel,cit.,p.
161(trad.it.cit.,p.165).
[86]Cfr.Hegel,Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, § 21 Z. Cfr.
ibid.,§142Z,sulladifferenza
fra Platone che considera
l’idea come dynamis e
Aristotele che la considera
comeenergeia.
[87]Hegel,Vorlesungenüber
die Philosophie der Religion, a
cura di G. Lasson, cit., vol. I,
p.113(trad.it.cit.,p.164).
[88] Frase di una lettera
perduta di Hegel a Pfaff,
riportata virgolettata nella
risposta di Pfaff, cfr. Pfaff an
Hegel, estate 1812, in Briefe,
cit., vol. I, p. 408. (trad. it.
cit.,vol.II,p.190).
[89] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§161Z.
[90]Ibid.
[91]Cfr.piùavanti,pp.353
ss.
[92] Cfr. G. Lukács, Zur
Ontologiedesgesellschaftlichen
Seins. Hegels falsche und echte
Ontologie, Neuwied-Berlin,
1973,pp.37ss.
[93] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§24Z1.
[94]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XIII, p. 34 (trad. it.
cit.,vol.I,p.31).
[95] In Hegel non c’è la
prospettiva sottintesa da
Kojève,
del
servo
criptoproletariocherovescia
la sua subordinazione – sul
modellodellamarxianalotta
di classe. La dialettica
signoria-servitù si conclude
nella società civile, che è
dipendenza di tutti dai
bisogni sociali e dalla
modalità di soddisfarli, e
autonomia di tutti sotto
formadiegoismoediricerca
delproprioprivatointeresse.
SuquestoaspettorinvioaR.
Bodei, Il desiderio e la lotta,
cit., pp. VII-XXIX e Id., Auf
den Würzeln des Verhältnisses
von
Herrschaft
und
Knechtschaft,
in
Hegels
Phänomenologie des Geistes.
EinkooperativesKommentarzu
einem
Schlüsselwerk
der
Moderne,acuradiK.Vieweg
eW.Welsch,Frankfurta.M.,
2008,pp.238-252.Masiveda
anche, da una differente
prospettiva,J.McDowell,The
Apperceptive I and the
Empirical Self. Toward a
Heterodox Reading of ‘Lordship
and Bondage’ in Hegel’s
Phenomenology, in «Bulletin
oftheHegelSocietyofGreat
Britain», 47/48 (2003), pp. 116.
[96] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, cit., §
324Z(trad.it.cit.,p.392).
[97]
Sulle farneticazioni
della filosofia hegeliana
della natura, cfr. Croce, Ciò
che è vivo e ciò che è morto
della filosofia di Hegel, in
Saggio sullo Hegel, Bari, 1913,
pp. 117 ss. Sulla «disonestà»
hegeliana, cfr. K.R. Popper,
The Open Society and Its
Enemies, trad. it. cit., vol. II,
pp.42ss.
[98] Cfr. K. Rosenkranz,
HegelsLeben,trad.it.cit.,pp.
383-391. Su Hegel e le
scienze, cfr. F. Kaulbach,
Hegels Stellung zu den
Einzelwissenschaften,
in
WeltaspektederPhilosophie.R.
Berlingerzur26.Oktober1972,
a cura di W. Beierwaltes e
W. Schrader, Amsterdam,
1972, pp. 181-206; G.
Buchdahi, Hegel’s Philosophy
of Nature, in «The British
Journal of Philosophy of
Science», XXIII (1972), pp.
257 ss.; J.A. Doull, Hegel’s
Philosophy of Nature, in
«Dialogue», XI (1972), pp.
379-399. Sul De orbitis
planetarum, in particolare,
cfr.laPréfaceallatraduzione
francese di D. Dubarle,
G.W.F. Hegel, Les orbites des
planètes(Dissertationde1801),
Paris,
1979
e
Hegel,
Dissertatio Philosophica de
Orbitis
Planetarum
/
Philosophische Erörterung über
die Planetenbahnen, curato,
introdotto e commentato da
W. Neuser, Weinheim, 1986;
e si vedano Th.G. Bucher,
Wissenschaftstheoretische
Überlegungen
zu
Hegels
Planetenschrift, in «HegelStudien», 18 (1983), pp. 65137 e C. Ferrini, Guida al «De
orbitisplanetarum»diHegeled
alle sue edizioni e traduzioni.
La pars destruens (con la
collaborazione di M. Nasti
De
Vincentis),
BernStuttgart-Wien, 1995. Della
stessa autrice si veda anche
Scienze empiriche e filosofie
della natura nel primo
idealismo tedesco, Milano,
1996,pp.81-90.
[99] Cfr. Hegel’s Philosophy
of Nature, trad., introd. e
note esplicative a cura di
M.J. Petry, London-New
York, 1970. Come segno
dell’interesse dei paesi di
linguaingleseperlafilosofia
dellanaturadiHegel,sipuò
notare
che,
contemporaneamente
a
quella del Petry, è stata
pubblicata a Oxford un’altra
traduzione:
cfr.
Hegel’s
Philosophy of Nature, Being
Part two of the Encyclopaedia
of the Philosophical Sciences
(1830), trad. dall’edizione di
Nicolin e Pöggeler (1959) e
dagli Zusätze nel testo di
Michelet (1847), a cura di
A.W. Miller, con prefazione
di J.N. Findlay, Oxford, 1970.
Della filosofia della natura
sono state pubblicate anche
le lezioni del 1819-1820, cfr.
Hegel, Philosophie der Natur,
vol. I, Die Vorlesung von
1819/20, in collaborazione
con K.-H. Ilting a cura di M.
Gies,Napoli,1980.
[100] L’Enciclopedia sorge
per Hegel come «filo
conduttore»(Leitfaden) per le
lezioni (cfr. Heidelberger
Enzyklopädie
1817
=
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschalten im Grundrisse,
zum
Gebrauche
seiner
Vorlesungen
von
Georg
Wilhelm Friedrich Hegel…,
Heidelberg, 1817, p. III, trad.
it. di F. Biasutti et al.,
Enciclopedia (Heidelberg 1817),
«Quaderni di Verifiche 6»,
Trento,1987,p.1:«Ilbisogno
di dare in mano ai miei
uditori un filo conduttore
perlemielezionidifilosofia
è l’occasione prossima per
cui faccio uscire questo
sguardo
d’insieme
sull’intero ambito della
filosofia prima di quanto
sarebbe
stato
il
mio
intendimento»).Cfr.Hegelan
Cousin, 1o luglio 1827, in
Briefe, cit., vol. III, p. 169, a
proposito della seconda
edizione
(1827)
dell’Encidopedia: «ce livre
n’estqu’unesuitedethèses,
dont le développoment et
l’éclaircissement est réservé
aux cours». E si vedano
anche più avanti, le pp. 155,
158, 352 ss. Hegel aveva
cominciato a riflettere sul
concetto di enciclopedia fin
dai tempi in cui era rettore
del Ginnasio di Norimberga,
allorché aveva indirizzato
nel 1812 al suo amico
Niethammer una Memoria
sull’insegnamento
della
filosofia
nei
ginnasi,
misurandosi
con
la
tradizione francese e con
quella tedesca, che risaliva
almenoaLeibniz(sucuicfr.
U. Dierse, Enzyklopädie. Zur
Geschichte
eines
philosophischen
und
wissenschaftlichen
Begriffs,
Bonn, 1977). Le divergenze
rispetto all’Encyclopédie di
Diderot
e
d’Alembert
diventeranno esplicite nella
Enzyklopädie
der
Philosophischen
Wissenschaften del 1817, in
quanto per Hegel non si
tratta di analizzare i
contenuti secondo vari
principi ordinatori o di
intendere
il
termine
«systématique» nel senso di
«dogmatico», come sono
soliti fare i francesi, ma di
mostrare attraverso un
unico principio come la
ragioneoperiintuttiicampi
dello scibile (cfr. W. Tega,
Tradizione
e
rivoluzione.
Scienza e potere in Francia
(1815-1840), Firenze, 2013,
pp. 37-46) e si vedano, più
avanti,lepp.349-350.
[101] Per la diffusione e la
storia delle enciclopedie
(alfabetiche e sistematiche)
nella cultura europea, cfr. R.
Collinson,
Encyclopaedias:
Their History throughout the
Ages, New York-London,
1964 e, anche rispetto a
Hegel,
J.
Henningen,
Enzyklopädie. Zur Sprach- und
Bedeutungsgeschichte
eines
pädagogischen Begriffs, in
«Archiv
für
Begriffsgeschichte»,X(1966),
pp. 287 ss.; U. Dierse,
Enzyklopädie. Zur Geschichte
eines
philosophischtheoretischen Begriffs, Bonn,
1977; L’ideale enciclopedico e
l’unitàdelsapere,acuradiW.
Tega, con introduzione e
indicazioni
bibliografiche,
Bologna,
1984.
Sulla
struttura enciclopedica, con
riguardo all’Encydopédie di
Diderot e d’Alembert cfr. J.
Starobinski, Remarques sur
l’Encyclopédie, in «Revue de
MétaphysiqueetdeMorale»,
LXXV (1970), pp. 377-384.
Sull’insoddisfazione
hegeliana per la propria
Enciclopedia, cfr. Hegel an
Daub, 15 agosto e 19
dicembre1826,inBriefe, cit.,
vol. III, pp. 125-126 e 147150.
[102]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§246A(trad.
it.cit.,p.204).
[103]
Ibid., § 246 Z
dell’Einleitung alla Philosophie
der Natur (cfr. Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, a cura di E.
Moldenhauer e K.M. Michel,
cit.,vol.9,pp.9-10).
[104]Ibid.,Betrachtungsweise
derNatur,vol.9,p.12.Perun
altroaspettodeltema,cfr.R.
Wahsner, Die Macht des
Begriffs als Tätigkeit (§ 208).
Zu Hegels Bestimmung der
Betrachtungsweisen der Natur,
in Preprint 196 del MaxPlanck-Institut
für
Wissenschaftsgeschichte;
Ead.,ZurKritikderHegelschen
Naturphilosophie. Über ihren
Sinn im Lichte der heutigen
Naturerkenntnis,
Frankfurt
a.M., 1996 (con preziose
indicazioni
comparative
rispetto
alle
conquiste
attuali delle scienze); Ead. e
H.H. von Borzeszkowski,
Erkenntnis statt Erbauung.
Hegel
und
das
naturwissenschaftliche Denken
der Moderne, in Preprint 412
del Max-Planck-Institut für
Wissenschaftsgeschichte,
Berlin,2011,pp.34.
[105]Ibid.,§246Z.
[106]Hegel,Aphorismen aus
der Jenenser Periode, cit., p.
546 (trad. it. cit., p. 68 nota
46).
[107]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§270Z.
[108]
Hegel,
Vorwort
all’edizione
1827
dell’Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften (a cura di E.
Moldenhauer e K.M. Michel,
cit.,vol.8,p.15).
[109] Hegel an Daub, 20
agosto 1816, in Briefe, cit.,
vol. II, p. 116 (trad. it. cit.,
vol.II,p.337).
[110]
Sulla cospirazione
oggettivadellescienze,cfr.J.
d’Alembert,
Discours
préliminaire
all’Encydopédie
(cfr. d’Alembert, Discorso
preliminare, in Enciclopedia
1751-1772,acuradiA.Pons,
trad.it.diA.Devizzi,Milano,
1966, vol. I, p. 30): bisogna
«porre, per così dire, il
filosofoaldisopradiquesto
vasto
labirinto
delle
conoscenze, in un punto di
vista molto elevato, donde
gli sia possibile scorgere
contemporaneamente
le
scienze e le arti principali,
vedere con un sol colpo
d’occhio gli oggetti delle sue
speculazioni e le operazioni
che può fare su questi
oggetti;
distinguere
le
branche
generali
delle
conoscenze umane, i punti
che le separano e le
accompagnano,
ed
intravedere persino, a volte,
le vie segrete che le
uniscono. È una specie di
mappamondo che deve
mostrare i principali paesi,
la loro posizione e le loro
vicendevoli dipendenze»; A.
Richerand,
Nouveaux
éléments de physiologie, cit., t.
I, p. III: «Più di un lettore
saràcolpitodall’identitàche
esiste nella direzione che
seguonooggitutticoloroche
coltivano
le
scienze
dell’uomo,
di
questa
analogia di vedute e di
principi che si osserva nei
loroscritti,feliceconformità
che prova la certezza dei
loro risultati e la bontà del
loro metodo. Capita ai
fisiologi dell’epoca attuale
come a molti uomini che,
posti sulla cima di una
stessa montagna, vedono
tutti la stessa estensione di
paesaggio dispiegarsi ai loro
sguardi, e che, rendendo
conto
delle
loro
osservazioni,
hanno
necessariamente nei loro
racconti più punti di
contatto e di similitudine».
Cfr. inoltre, per gli sviluppi
più
rilevanti
della
confluenza delle scienze in
organismi sistematici, il
libro, che ha aperto un
nuovocampodiricerca,diL.
von Bertalanffy, General
System Theory, New York,
1968, trad. it. di E. Bellone,
Teoria generale dei sistemi,
Milano, 1971, pp. 63 ss., e,
per una recente messa a
punto, G. Minati, Strutture di
mondo. Il pensiero sistemico
come specchio di una realtà
complessa, 2 voll. Bologna,
2010-2013.
[111]
Sull’enciclopedia
hegeliana delle scienze
come «campo non-lineare»,
cfr. M. Kosok, The Dialectics
of Nature, in «Telos», Fall
1970,n.3,pp.47-103,trad.it.
diA.M.Sioli,Versounanuova
dialetticadellanatura,Milano,
1973,pp. 25 ss.,61 ss. e,per
l’articolata vastità della
trattazione,M.Rossi, Hegel e
l’enciclopedia delle scienze, in
Enciclopedia ’72, a cura
dell’Istitutodell’Enciclopedia
Italiana, Roma, 1971, pp.
107-195. Per una difesa di
Hegel dalle accuse di aver
volutoimporreisuoiastrusi
schemi alle scienze della
natura,cfr.E.Renault,Hegel.
La naturalisation de
dialectique,Paris,2001.
la
[112]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§320Z.
[113] Cfr. K. Rosenkranz,
HegelsLeben,trad.it.cit.,pp.
523-524.
[114] Hegel an Voss, maggio
1805, in Briefe, cit., vol. I, p.
101 (trad. it. cit., vol. I, p.
207).
[115] Cfr. il testo jenese
riportato in Dokumente zu
Hegels Entwicklung, cit., p.
342:
«C’è
da
notare
brevemente che la filosofia,
in quanto scienza della
ragione, per il modo
universale del suo essere e
secondo la sua natura è
scienza per tutti. Non tutti
riescono a giungere ad essa,
ma questo c’entra così poco
comel’osservazionechenon
tutti gli uomini riescono a
diventar prìncipi. Ciò che è
fastidioso nel fatto che
alcuni uomini stiano al di
sopra di altri, è solo
l’affermare che essi sono
diversi per natura, che essi
sono esseri di un’altra
specie».
[116]
Cfr.
Hegel,
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol. I, p. 11 (trad. it. cit., vol.
I,p.11).
[117]Hegel,Aphorismen aus
der Jenenser Periode, cit., p.
552 (trad. it. cit., p. 74 nota
66).
[118]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§5A(trad.it.
cit.,p.6).
[119]Hegel,Einleitung in die
GeschichtederPhilosophie,cit.,
pp. 41-42. Cfr. Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§3A(trad.it.
cit.,p.4).
[120] Cfr. Hegel, Einleitung
in
die
Geschichte
der
Philosophie, cit., pp. 50-51 e
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§3A(trad.it.
cit.,p.5).
[121] Per la storia e la
diffusione
di
questo
concetto, che ritorna spesso
in Hegel, cfr. E. Whittaker,
History of the Theories of
AetherandElectricity,London,
1951.
[122]
Cfr.
Enzyklopädie
philosophischen
Hegel,
der
Wissenschaften,§249(trad.it.
cit.,p.207).
[123]Ibid.,§252Z.
[124]Ibid.,§249Z.
[125]Cfr.ibid.,§368Z,dove
Lamarck è definito un
«geistreicher Franzose» ed è
citata spesso la Philosophie
zoologique,
Paris,
1809.
Cuvier, conterraneo e quasi
coetaneo di Hegel, aveva
studiato a Stoccarda, prima
ditrasferirsiinFranciacome
precettore. Su Hegel, Cuvier
e l’ambiente svevo, cfr. F.
Courtès, George Cuvier et
l’origine de la négation, in
«Revue
d’histoire
des
sciences»,XXIII(1970),pp.13
ss.
[126]
Cfr.
Hegel,
Phänomenologie des Geistes,
cit., pp. 132 ss. (trad. it. cit.,
vol. I, p. 216). Ma cfr. anche
Aristotele,Phys.,198b.
[127]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften, § 345 Z. Cfr.,
sull’argomento,
A.
Portmann, Goethe und der
Begriff der Metamorphose, in
«Goethe-Jahrbuch»,
XC
(1973),pp.11-21.
[128]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§251(trad.it.
cit.,p.210).
[129] Ibid., § 250 A (trad. it.
cit., pp. 209-210). Hegel
riferisce
esplicitamente
questa
teoria
dell’indeterminatezza della
natura e dei mostri a Locke,
cfr. Vorlesungen über die
GeschichtederPhilosophie,cit.,
vol. XV, p. 388 (trad. it. cit.,
vol. III, 2, p. 165). Cfr. Locke,
An Essay concerning Human
Understanding, vol. III, cap.
III,§17(trad.it.diC.Pellizzi,
Saggio sull’intelligenza umana,
Bari,1972,libroIII,p.25).
[130]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§250(trad.it.
cit.,p.208).
[131] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., pp. 132 ss.
(trad. it. cit., vol. I, pp. 193
ss.).
[132]Ibidem,p.140(trad.it.
cit.,vol.I,p.207).
[133]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften,§280Z.
[134]Ibid.,§368Z.
[135]
Noi
non
ci
meravigliamo più – dice
Hegel – che la natura sia
retta da leggi razionali,
perché ormai ci siamo
abituati a questa idea, che è
una conquista storica (cfr.
DieVernunftinderGeschichte,
cit., p. 37). Egli afferma così,
implicitamente, che anche
la presenza della ragione
nella storia potrebbe un
giorno essere considerata
comunementeaccettabile.
[136] Hegel, Phanomenologie
des Geistes, cit., p. 138 (trad.
it.cit.,vol.I,p.203).
[137] Ibid., p. 190 (trad. it.
cit.,vol.I,p.287).
[138] Ibid., p. 147 (trad. it.
cit.,vol.I,p.218).
[139]
Cfr.
Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, § 339 Z.
Secondo
Vallisneri,
le
«piante petrose del mare»
erano esseri intermedi fra
vegetalieanimali,alparidei
tartufi per Bonnet, mentre
per
Robinet
i
fossili
costituivano
forme
di
transizione dalla materia
inorganica alla materia
vivente (cfr. J.-B.-R. Robinet,
Vue philosophique de la
gradation naturelle des formes
de l’être, Paris, 1768; M.J.S.
Rudwick, The Meaning of
Fossils. Episodes in the History
of Paleontology, London,
1972). L’accenno hegeliano
aifossilipresentinelcalcare
(cfr.
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, § 340 Z) ha
fattopensarealFindlaychei
fossili siano per Hegel
«imitazioni e anticipazioni
delle forme organiche, ma
prodotte da forze che erano
inorganiche»
cfr.
J.N.
Findlay, Hegel:
A
Reexamination, London, 1958,
trad. it. di L. Calabi, Hegel
oggi,Milano,1972,p.295.Ma
il testo hegeliano è oscuro e
potrebbe
riferirsi
semplicemente al fatto che
spesso non si capisce se i
fossili siano di natura
vegetaleoppureanimale.
[140] Cfr. G. Cuvier, Leçons
d’anatomie comparée, Paris,
anno VIII [1800], vol. I, pp.
59-60;J.-B.Lamarck,Discours
d’ouverture de l’an X, trad. it.
di P. Omodeo, Prolusione al
corsodell’annoX,inLamarck,
Opere, a cura di P. Omodeo,
Torino,1969,p.78;L.Febvre,
Un chapitre de l’histoire de
l’esprit humain: les sciences
naturelles de Linné à Lamarck
etàGeorgesCuvier,in«Revue
de synthèse historique»,
XLIII (1927), pp. 42-43. Su
Cuvierelasuaopera,cfr.W.
Coleman, Georges Cuvier,
zoologist, Cambridge, Mass.,
1966; D. Outram, Georges
Cuvier: Vocation, Science and
AuthorityinPost-Revolutionary
France,London,1984,eM.J.S.
Rudwick, Georges Cuvier,
Fossil Bones, and Geological
Catastrophes,Chicago,1997.
[141]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften, § 339 Z. Cfr.
J.-B.
Lamarck,
Histoire
naturelle des animaux sans
vertèbres, trad. it. di P.
Omodeo, Storia naturale degli
invertebrati,inOpere, cit., pp.
143 ss.; M.F.X. Bichat,
Recherches physiologiques sur
la vie et la mort, Paris, 1800,
che nega ogni continuità tra
l’inorganico e il vivente.
Bichat ha stabilito che «la
vita è l’insieme delle
funzioni che resistono alla
morte»,cheviè,dunque,un
conflitto incessante per
arginare le forze distruttive
che condurranno l’individuo
a una fine inevitabile. Se,
infatti, tutto tende a
distruggere gli organismi, la
vita è resistenza a questi
attacchi. Bichat ha però
anche osservato che esiste
nell’uomo una doppia vita:
quella
«organica»,
caratterizzata
dalla
spontaneità
e
dal
ripiegamento in se stessa
(circolazione
sanguigna,
respirazione ecc.), e quella
«animale», che regola le
attività motorio-sensorie e
intellettuali ed è rivolta
all’esterno. La vita organica
è continua, anche durante il
sonno, mentre la vita
animale è intermittente. La
prima domina e guida
l’uomo
con
i
suoi
automatismi, la seconda è
sostanzialmente al traino.
Schopenhauer tradurrà tale
dicotomia nella polarità tra
Volontà
di
vivere
e
rappresentazione.SuBichat,
cfr.N.DoboeA.Role,Bichat,
la vie fulgurante d’un génie,
Paris,1989.
[142] Ch. A. de Sainte-
Beuve, Volupté, Paris, 1834,
pp.136ss.
[143]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften, § 341 Z. Cfr.
J.-B.
Lamarck,
Histoire
naturelle des animaux sans
vertèbres, trad. it. cit., p. 221.
Questa teoria era d’altronde
stata accettata anche da
Diderot, d’Holbach e Buffon,
e si dovettero attendere gli
esperimenti
di
Pasteur
perché
tutto.
[144]
scomparisse
Cfr.
del
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften,§339Z.
[145]
Ibid. Cfr. Matteo,
24,35.
[146]
Cfr.
Feuerbach,
Gedanken über Tod und
Unsterblichkeit, in Sämtliche
Werke, nuova ed. a cura di
W. Bolin e F. Jodl, Stuttgart,
1903-1910,
volumi
supplementari a cura di H.M. Sass, Stuttgart, 1962 ss.,
vol. XI, pp. 73 ss.; cfr. C.
Cesa, Il giovane Feuerbach,
Bari, 1963, pp. 133 ss.; L.
Casini, Storia e umanesimo in
Feuerbach,Bologna,1974,pp.
57ss.
[147] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte,cit.,pp.71,58
(trad. it. cit., vol. I, pp. 82,
68). Hegel allude all’incipit
del secondo libro del De
rerum natura di Lucrezio (vv.
1-4),dovelospettatorediun
naufragiogode,nondeimali
altrui, ma dello stare al
sicuro, sulla terraferma:
Suave,
mari
magno
turbantibus aequora ventis / e
terramagnumalteriusspectare
laborem; / non quia vexari
quamquamstiocundavoluptas,
/ sed quibus ipse malis careas
quis cernere suave est. Su
questa immagine, che ha
avuto una lunga storia, cfr.
H. Blumenberg, Schiffbruch
mit Zuschauer, Frankfurt
a.M., 1979, trad. it. Naufragio
conspettatore,Bologna,1985.
[148] Cfr. M.F.X. Bichat,
Recherches physiologiques sur
la vie et la mort, cit.; A.
Richerand,
Nouveaux
éléments de physiologie, cit., t.
I, p. 13; J.-B. Lamarck,
Recherches sur les causes des
principaux faits physiques,
Paris, 1792, vol. II, p. 289. È
questa un’idea che ha larga
eco in Hölderlin, nel
conflitto fra l’organico e
l’«aorgico», e nel giovane
Schelling.
In
Hölderlin
l’organico è la forza che
unisce e determina le figure
particolari, mentre l’aorgico
èlapotenzainfinitaepanica
che le confonde, cfr. H.
Schwerte,
Aorgisch,
in
«Germanisch-Romanische
Monatsschrift»,34(1953),pp.
29-38.
[149]
Cfr.
Enzyklopädie
philosophischen
Hegel,
der
Wissenschaften,§339(trad.it.
cit.,p.313).
[150]Ibid.,§339Z.
[151] Ibid. Sul susseguirsi
delleepochedellanaturaeil
loro
rapporto
con
l’inclinazione
dell’asse
terrestre, cfr. G.-L. Leclerc
comte de Buffon, Époques de
la nature (1778), in Œuvres
philosophiques, a cura di J.
Piveteau,Paris,1954,trad.it.
di M. Renzoni, Epoche della
natura, Torino, 1960, pp. 31
ss.
[152] Cfr. K. Rosenkranz,
Hegels Leben, trad. it. cit., p.
523.
[153] Hegel an Lenz, 17
novembre 1807, lettera fino
ad allora inedita, di cui F.
Nicolin ha riportato un
estratto in Hegel 1770-1970.
Leben,
Werk,
Wirkung,
Stuttgart,1970,p.34,mache
ora
è
riportata
integralmente in traduzione
italianainHegel,EpistolarioI,
cit., p. 310: «la nostra cara
mineralogia al cui studio
sotto la Sua direzione mi
sono
appassionato».
Johannes Georg Lenz aveva
fondato a Jena nel 1796 la
Società mineralogica di cui
Hegeleraassessore.
[154] Su Werner e la sua
influenza quale scienziato
(autore, soprattutto, della
Neue Theorie über die
Entstehung
der
Gänge,
Freiberg, 1791) e direttore
della Accademia mineraria
di Freiberg in Sassonia –
dove studiarono e si
formarono
personaggi
influenti in tutti i campi
della cultura, tra cui Franz
von Baader, Alexander von
Humboldt, Friedrich von
Hardenberg(Novalis),Henrik
Steffens e August von
Herder – si veda, da ultimo,
il
bell’articolo
di
A.
Bonchino, L’«oscuro abisso
della terra». Werner e la
filosofiaromanticadellanatura
(1788-1799),
in
«Intersezioni», XXXIV (2014),
n. 1, pp. 73-95. Per le
posizioni di Goethe, che
sarebbero state più vicine a
quellediWerner,cfr.W.von
Engelhardt,
Goethe
in
Gespräch mit der Erde.
Landschaft,
Gesteine,
Mineralien und Erdgeschichte
in seinem Leben und Werk,
Weimar, 2003. Goethe, con
maggiore cautela, sembra
tendenzialmente favorevole
alla
conciliazione
tra
nettunismo e plutonismo,
così
come
viene
rappresentata nel Faust II
(vv. 10075-10121) attraverso
il dialogo tra Mefistofele,
ovviamente sostenitore del
plutonismo (nel cui fuoco
sotterraneositual’inferno)e
Faust, più incline, invece, al
nettunismo. Ma si veda
anche
J.P.
Erdmann,
Gespräche mit Goethe, 18
maggio1824,Zürich,1948,p.
555.
[155] Cfr. J. Hutton, Theory
of Earth, Edinburgh, 1795, su
cui S.I. Tomkieff, James
Hutton and the Philosophy of
Geology, in «Transactions of
the
Royal
Society
of
Edinburgh»,LXVII(1950),pp.
387-400; W.F. Cannon, The
Uniformitarian-Catastrophist
Debate,in«Isis»,LI(1960),pp.
38-55; R. Hooykaas, The
PrincipleofUniformity,Leiden,
1963; Id., Continuité et
discontinuité en géologie et
biologie, trad. franc., Paris,
1970; R. Laudan, From
Mineralogy to Geology. The
Foundation of a Science 16501830, Chicago, 1987, e D.R.
Oldroyd, Die Biographie der
Erde.
Zur
Wissenschaftsgeschichte
der
Geologie, Frankfurt a.M.,
1998. Lamarck, come già
abbiamo visto attraverso
Sainte-Beuve,
era
per
l’uniformismo (cfr. J.-B.
Lamarck, Sur les fossiles des
environs de Paris, Paris, 18021806),
mentre
il
suo
avversario Cuvier era su
posizioni opposte (cfr. G.
Cuvier,Essaisurlagéographie
minéralogique des environs de
Paris,Paris,1808).
[156]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften, § 339 Z. Per
alcune puntualizzazioni, cfr.
J.-M. Barrande, ‘Géo-logique’
(Hegel et les sciences de la
Terre), in «Annales publiés
par l’Université de Toulous-
Le Mirail», XIII (1977), n. 6,
pp. 5-21; B. Fritscher, Hegel
und die Geologie um 1800, in
Hegel
und
die
Lebenswissenschaften, a cura
O. Breidbach e D. von
Engelhardt, Berlin, 2002, pp.
55-74 e C. Ferrini, From
Geological to Animal Nature in
Hegel’sIdeaofLife,in«HegelStudien», 44 (2009), pp. 4593.
[157]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§341(trad.it.
cit.,p.314).
[158] Secondo le teorie di
RomédeL’IsleediR.J.Haüy,
le
maggiori
autorità
dell’epoca in materia, i
cristalli si formavano per
effetto di un «germe
invisibile»
presente
nell’acqua,cfr.J.-B.Roméde
L’Isle, Cristallographie, Paris,
1783, vol. I, p. 13; R.J. Haüy,
Traité de minéralogie, Paris,
1801 (ben noto a Hegel, cfr.
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, §§ 315 Z, 324
Z). Cfr., sull’argomento, R.
Hooykaas, La naissance de la
cristallographie en France au
XVIIIe siècle, trad. franc.,
Paris,1953.
[159]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§339Z.
[160] Cfr. Hegel, Differenz
des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie,cit.,p.81(trad.it.
cit.,p.100).
[161]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§339Z.
[162] Hegel segue nella
cronologia una posizione
tradizionalistica.
[163] Cfr. A. Gerbi, La
disputa del nuovo mondo.
Storia di una polemica 17501900,cit.,pp.475ss.
[164] Cfr. il citato passo di
Hegel in Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 339 Z. Cfr.
Pietro Rossi, Storia universale
e geografia in Hegel, in
Incidenza di Hegel, cit., pp.
369-407.
[165]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§280Z.
[166] Hegel, Die Vernunft in
der Geschichte, cit., pp. 149,
151.
[167]
Hegel,
Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X1,
p.72(trad.it.cit.,p.65).
[168]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften, § 48 A (trad.
it.cit.,p.52).
[169] Cfr. Hegel, Jenenser
Realphilosophie II, cit., pp.
206-207(trad.it.cit.,pp.126127); Wissenschaft der Logik,
cit., vol. II, p. 402 (trad. it.
cit.,vol.II,p.852).Suquesto
punto,cfr.R.Bodei,Dialettica
e controllo dei mutamenti
sociali in Hegel, in R. Bodei e
F. Cassano, Hegel e Weber.
Egemonia e legittimazione,
Bari,1977,pp.51ss.epassim
e Id., Macchine, astuzia,
passione. Per la genesi della
società civile in Hegel, in L.
Lugarini, M. Riedel e R.
Bodei, Filosofia e società in
Hegel, Trento, 1977, pp. 6169.
[170]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften,§368Z.
[171] Cfr. G. Lukács, Zur
Ontologiedesgesellschaftlichen
Seins. Hegels falsche und echte
Ontologie,cit.,p.37.
[172]
Cfr.
Hegel,
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften,§376Z.
der
[173]Ibid.,§381Z.
[174]
Cfr.
Hegel,
Phänomenologie des Geistes,
cit., p. 49 (trad. it. cit., vol. I,
p.
60):
«Dobbiamo
persuaderci che la natura
del vero è quella di farsi
largo quando è arrivato il
suo tempo, e che solo allora
appare, quando il tempo è
venuto: e che quindi non
appare mai troppo presto,
né trova un pubblico non
maturo».
[175]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§549A(trad.
it.cit.,pp.489-490).
[176] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 40
(trad.it.cit.,vol.I,p.47).
[177] Come sostengono, ad
esempio,PoppereLöwith.
[178] Cfr. G. Lukács, Die
Zerstörung
der
Vernunft,
Berlin, 1953, trad. it. di E.
Arnaud, La distruzione della
ragione, Torino, 1974, rist.,
vol.I,pp.160ss.,185ss.
[179]
Cfr.
Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, §§ 268 Z e
341 Z (cfr. anche LogikMetaphysik-Naturphilosophie,
in Jenaer Systementwürfe II,
cit., p. 192). Cfr. Heine,
Geständnisse, in Werke, cit.,
vol.X,pp.171ss.;Briefeüber
Deutschland, in Werke, cit.,
vol. IX, p. 484. Su questa
immagine
si
è
poi
soffermato C. Cattaneo,
Prolusione a un corso di
filosofia civile (1852), in Storia
universale e ideologia delle
genti.Scritti1852-1864,acura
di D. Castelnuovo Frigessi,
Torino,1972,p.15.
[180] P. Lafargue, Das Recht
auf Faulheit und persönliche
Erinnerungen an Karl Marx, a
cura
di
I.
Fetscher,
Frankfurt-Wien,1966,p.62.
[181] Hegel, Grundlinien der
PhilosophiedesRechts,§258Z
(trad.it.cit.,p.372).
[182] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 88
(trad.it.cit.,vol.I,p.102).
[183]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften,§310Z.
[184]Ibid.,§336Z.
[185]Ibid.,§341Z.
[186]Ibid.,§381Z.
[187] Ibid., § 350 (trad. it.
cit.,p.319).
[188]Ibid.,§344Z.
[189]Ibid.,§352Z.
[190]Ibid.
[191]Ibid.,§367Z.
[192]Ibid.,§376Z.Qualche
dato, anche non legato alla
teologia, si può ricavare da
A. Brunkhorst-Hasenklever,
Die
Transformierung
der
theologischen Deutung des
Todes bei G.W.F. Hegel,
Frankfurta.M.,1976.
[193]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften, § 376 Z. Cfr.
EinleitungindieGeschichteder
Philosophie,cit.,p.97,doveil
pensiero è definito in
terministoicil’egemonikon.
[194]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§365Z.
[195] Cfr. ibid., e G. Cuvier,
Le Règne Animal distribué
d’aprèssonorganisation,vol.I,
Paris, 1817, pp. 47-55. Di
CuvierHegelconosceanche,
e cita, le Recherches sur les
ossements
fossiles
des
quadrupèdes, Paris, 1812 (cfr.
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§368).
[196] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 34
(trad.it.cit.,vol.I,pp.40-41).
[197]
Hegel,
Jenenser
Realphilosophie I, cit., p. 236
(trad.it.cit.,p.95).
[198]
Ibid., pp. 205-206
(trad.it.cit.,p.125).
[199] Marx, Das Kapital,
Berlin, 1962, vol. I, p. 193,
trad. it. di D. Cantimori, Il
capitale, Roma, 1956, vol. I,
pp. 1, 196. Sul finalismo
umano nel lavoro in
rapporto a Marx, cfr. C.
Luporini,Le«radici»dellavita
morale, in AA.VV., Morale e
società, Roma, 1966, pp. 52
ss.; G. Lukács, Zur Ontologie
desgesellschaftlichenSeins,cit.
[200] Spinoza, Ethica, IV,
praef., mi servo dell’Etica,
edizione critica del testo
latinoetraduzioneitalianaa
cura di P. Cristofolini, II ed.
riveduta e aggiornata (che
innova il testo rispetto alla
classicaedizionediSpinoza,
Opera, im Auftrag der
Heidelberger Akademie der
Wissenschaften,acuradiC.
Gebhardt, 4 voll. Heidelberg,
s.d. [ma 1924], vol. II, grazie
alla
copia
manoscritta
recentemente
scoperta
pressolaBibliotecaVaticana
e a suo tempo utilizzata per
condannare l’opera e, in
seguito,
per
metterla
all’Indice),Pisa,2014,p.241.
[201]Voltaire,Causesfinales
/ Cause finali, in Dictionnaire
philosophique / Dizionario
filosofico, trad. it. con testo
franceseafrontediD.Felice
e R. Campi, Milano, 2013, p.
839.
[202] Cfr. G.H. von Wright,
ExplanationandUndestanding,
Ithaca, N.Y., 1971, trad. it.
Spiegazione e comprensione,
Bologna,1977.
[203]
Cfr. P. Grassé,
L’Évolution du vivant, Paris,
1973,p.277.
[204]
Cfr.
Hegel,
ReisetagebuchdurchdieBerner
Oberalpen, in K. Rosenkranz,
Hegels Leben, cit., Urkunden,
pp. 470-490, trad. it. di T.
Cavallo,Diariodiviaggiosulle
Alpi bernesi, Como-Pavia,
1990, pp. 54 ss., e cfr. R.
Bodei, ibid., Introduzione, pp.
20 ss.; Hegel, System der
Sittlichkeit, in Schriften zur
PolitikundRechtsphilosophie,a
cura di G. Lasson, Leipzig,
1923, trad. it. di A. Negri,
Sistemadell’eticità,inScritti di
filosofia del diritto, 1802-1803,
Bari, 1971, pp. 186-187 (su
cuisivedaS.Schmidt,Hegels
System der Sittlichkeit, Berlin,
2004, con un articolato
commentario di questo
saggio, giudicato uno dei
testi più difficili di tutta la
storia della filosofia). Per
alcune approfondite analisi
sul tema della teleologia,
specie nell’ambito della
Scienzadellalogica,sivedano
V. Giacché, Il problema
«teleologia»
nella
sezione
«soggettività» della Scienza
della logica, in «Rivista di
storia della filosofia», 43
(1988),pp.45-75;L.Lugarini,
Finalità kantiana e teleologia
hegeliana, in «Archivio di
storia della cultura», V
(1992),pp.87-103eT.Pierini,
TheoriederFreiheit.DerBegriff
des
Zwecks
in
Hegels
Wissenschaft
der
Logik,
München, 2006, pp. 75-207.
Sulla finalità in Aristotele e
in Kant in rapporto all’uso
dell’ideadivitainHegel,cfr.
A.DeCieri,Filosofiaepensiero
biologicoinHegel,cit.
[205] Per alcuni di questi
aspetti cfr., al livello della
filosofia della storia, H.D.
Kittsteiner,
Listen
der
Vernunft.
Motive
geschichtsphilosophischen
Denkens, Frankfurt a.M.,
1998, e W. Jaeschke, Die List
der Vernunft, in «HegelStudien, 43 (2008), pp. 87-
102.
[206] Hegel, Wissenschaft
der Logik, cit., vol. II, p. 398
(trad. it. cit., vol. II, pp. 848849).
[207] Ibid., vol. II, p. 402
(trad.it.cit.,vol.II,p.852).
[208]
Hegel,
Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X1,
pp.71-72(trad.it.cit.,p.65).
[209]
Hegel, Vorlesungen
über die Philosophie der
Religion, a cura di Ph.
Marheineke, in Werke, cit.,
vol.XI,Berlin,18402,p.39.
[210]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften, §§ 359 Z, 408
Z.
[211]
Hegel,
Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X1,
pp. 127-128 (trad. it. cit., pp.
114-115).
[212] Per le forme di «vita
buona» come antecedenti
classici della posizione
hegeliana, cfr. Aristotele,
Eth. Eud., 1249 b, Eth. Nic.,
1177 a-1178 b e, in generale,
A.Grilli,IIproblemadellavita
contemplativanelmondogrecoromano, Milano-Roma, 1953,
pp. 125 ss.; H. Arendt, The
Human Condition, Chicago,
1958,trad.it.diS.Finzi,Vita
activa, Milano, 1964, passim.
Per converso, sul potere
liberatorio della sensibilità
in Feuerbach, cfr. A.
Schmidt,
Emanzipatorische
Sinnlichkeit.
Ludwig
Feuerbachs anthropologischer
Materialismus,
München,
1973,inparticolarepp.75ss.
[213]
Hegel,
Vorlesungen
überdieAestbetik,cit.,vol.X2,
p.45(trad.it.cit.,p.517).
[214] Cfr. Hegel, Philosophie
der Weltgeschichte, cit., pp.
814 ss. (trad. it. cit., vol. IV,
pp.71ss.).
[215]Dante,Paradiso,IV,vv.
124-130
(cfr.
Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, § 440 Z).
Sull’istinto di verità che
penetra
all’interno
dei
sistemi filosofici al di là
della consapevolezza stessa
del filosofo, ad esempio di
Kant quando si imbatte
nell’idea di triplicità, cfr.
Hegel, Phänomenologie des
Geistes, cit., p. 36 (trad. it.
cit.,vol.I,p.40).
[216]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§465Z.
[217] Ibid., § 6 (trad. it. cit.,
p.7).
Capitoloterzo
Apparenzaed
epoca
Con
la
filosofia
occidentale
e
la
comparsa dell’essere
fermo
rispetto
al
mutamento
si
infrange la muraglia
della
rappresentazione,
tanto che fin dal
principio la filosofia è
paradosso e scandalo
e può nascere solo
laddove ci sia libertà
politica e al contempo
dove viene meno ogni
certezza. Il capitolo si
occupa del legame tra
realtà e apparenza, e
le sue conseguenze
etiche e politiche. Si
può
concepire
l’universale
perché
esso è apparso nella
realtà, sotto forma di
popololiberochesidà
un’organizzazione
politica,
sottoposta
non alla volontà del
singolo o al diritto
consuetudinario, ma
alla legge oggettiva e
riconosciuta
della
polis.
Per
questo
vengono trattati qui
temi quali il legame
tra
apparenza
e
rovesciamento,
apparenza
e
rivoluzione, tempo e
eternità,
fino
a
considerare
la
possibilitàdellospirito
come
revoca
dell’alienazione.
Dai tempi
più
remoti gli
uomini
comuni
hanno
opposto
ai
maggiori
filosofi
cose che
anche i
bambinie
gli infanti
capirebbero.
Si sta a
sentire, si
legge e ci
si
meraviglia
che
sì
grandi
uomini
abbiano
ignorato
cose
sì
comuni
che
uomini
notoriamente
piccoli
avrebbero
potuto
insegnare
loro.
Nessuno
pensache
probabilmente
essi tutte
queste
cose
le
sapevano,
altrimenti
come
avrebbero
potuto
nuotare
in
tal
modo
contro la
corrente
dell’evidenza?
Schelling,
Ideeper
una
filosofia
della
natura[1].
1.L’universale
nellastoria
Ilprimopensieropuro
che appare nel mondo,
la
prima
categoria
espostanellaStoriadella
filosofia e nella Scienza
della logica è, com’è
noto,
l’essere.
Con
Parmenide ha inizio la
filosofia come scienza[2]
e,
contemporaneamente,
la prima rivoluzione
attuata col «coraggio»
della ragione[3] contro
l’evidenza sensibile. Nel
tener fermo l’essere
dinanzi al mutamento,
si
infrange
quella
muraglia
della
rappresentazione da cui
la maggior parte degli
uomini, e il mondo
orientaleinblocco,resta
ancora circondato. La
filosofia è quindi, fin
dalle origini, paradosso
e scandalo: è una sfida
non solo all’autorità
della tradizione, ma
anche all’autorità dei
sensi. Essa può nascere,
da un lato, solo in
presenza della libertà
politica (nell’area greca
e
non
nell’Asia
dispotica),
dall’altro,
soloinunperiodoincui
vien meno ogni salda
certezza,incuilarealtà
effettuale vacilla sotto i
colpi
dell’apparenza,
quando
un
sole
esteriore è al tramonto.
Nell’Oriente,
dove
domina – secondo lo
schema
diffuso
da
Montesquieu – il timore
o la paura[4], c’è
unicamente l’inizio del
sapere e della civiltà
umana (Timor Domini
initium sapientiae)[5], ma
non il distacco da esso
che giunge fino alla
sapienza
come
universalità per sé.
Neppure il despota,
coluichetrattaisudditi
come schiavi, si innalza
al di sopra della
coscienza naturale e
dell’arbitrio:
«L’uomo
che vive col timore, e
chi domina l’uomo col
timore,
si
trovano
entrambi al medesimo
livello; la differenza sta
solo nella maggiore
energia della volontà,
che può condurre a
sacrificare ogni cosa
finita a uno scopo
particolare»[6].
Per
questo,
il
rapporto
signoria-servitù è posto
all’inizio della storia
dell’autocoscienza. In
Grecia, invece, la libertà
di «alcuni» – che
coesiste
con
la
schiavitù[7] – permette
di
cogliere
un’universalità,
per
quanto ristretta: «il
singolo
spirito
concepisce il proprio
essere come universale;
l’universalità
è
costituita per l’appunto
da questa relazione con
se stesso. Questo essere
presso di sé, questa
personalità e infinità
dell’io
costituisce
l’essere dello spirito;
essoècosì,népuòessere
altrimenti. Un popolo
che si sa libero, lo è
soltanto in quanto
universale: ecco il fatto
che costituisce l’essere
suo, il principio che
costituisce tutta la sua
vita sia nel campo etico
sia in ogni altro»[8]. Si
può
concepire
l’universale perché esso
è apparso nella realtà,
sotto forma di popolo
libero
che
si
dà
un’organizzazione
politica, sottoposta non
alla volontà del singolo
o
al
diritto
consuetudinario,
ma
alla legge oggettiva e
riconosciuta della Polis:
con Creonte il potere
sotterraneo del legame
di sangue, la forza della
natura, è spezzato in
favore
del
nomos
universale a cui tutti
devonoobbedienza[9].
2.Lafilosofia
come
rovesciamento
dell’evidenza
Parmenide e Zenone,
l’inventore
della
dialettica[10], negando il
mutamento
e
presentando le aporie
del moto, facevano sì
violenza alla coscienza
comune, ma istituivano
anche nessi razionali
più vasti e comprensivi,
in grado di ricostruire,
una volta sviluppati
adeguatamente,
l’esperienza a un livello
di
maggiore
articolazione. Definire
sofismi
tali
aporie
significa non vedere il
pungolo razionale che
essi costituiscono per
l’ampliamento
dell’esperienza stessa.
Significa restar fermi
all’immediato
«percepire
empirico,
secondo
il
procedimento
(così
lampante per il senso
comune) tenuto da
Diogene,ilqualeavendo
undialetticomostratala
contraddizione
contenuta nel
moto,
non si sarebbe più oltre
sforzato di confutarlo
con la sua ragione, ma
lo avrebbe ripreso in
maniera visibile con un
muto andare avanti e
indietro[11] – asserzione
econfutazionecertopiù
facili,chenondientrare
a fondo nei pensieri,
tenendo
fermi
e
risolvendo col pensiero
stesso i viluppi cui il
pensiero
(e
propriamente
il
pensieroaddestrato,ma
appunto
formantesi
nella
coscienza
ordinaria) conduce»[12].
Diogene
ha
così
mostrato di ragionare
coi piedi e non con la
testa, ha rovesciato
meccanicamente
la
posizione a testa in giù
della coscienza comune
rispetto alla scienza[13].
Da questo aneddoto
deriva
probabilmente
l’immagine hegeliana,
ripresaeresafamosada
Marx, del poggiare sulla
testa e del conseguente
rovesciamento.
Ogni nuova filosofia e
ogni grande scoperta
scientifica produce un
rovesciamento,
una
rivoluzione nel senso
comune di un’epoca.
Anche la «rivoluzione
copernicana»
nella
scienza moderna non è
forse
un’apparente
distruzione
dell’apparenza,
un
capovolgimento dei dati
piùimmediatideisensi,
per cui la Terra sta
ferma e il Sole le gira
attorno? Anche Goethe
aveva osservato: «Ciò
che ci inganna tanto,
quando
dobbiamo
riconoscere l’idea del
fenomeno, è che essa
spesso e volentieri
contraddice i sensi. Il
sistema copernicano si
basa su un’idea che era
difficilmente afferrabile
e che ancora oggi
contraddice i nostri
sensi»[14].
Conoscere
realmentequalcosavuol
dire attraversare le
aporie che si generano
dai sensi e dalle
credenze del senso
comune, nonché dai
«sistemi»
scientifici
vigenti,edesporlainun
modellodipensieroche
inquadri i fenomeni in
misura
più
estesa,
«salvandone»
un
maggiornumero.Manel
momento stesso in cui
la
nuova
struttura
concettuale allarga il
raggio dell’esperienza,
la filosofia diventa
sempre
meno
intelligibile al senso
comune.
Tale
incomprensibilità
«nasce in parte da
un’incapacità, che è in
sésoltantomancanzadi
abitudine, di pensare
astrattamente, cioè di
tener fermi innanzi allo
spirito pensieri puri e
muoversi in essi. Nella
nostra
coscienza
ordinariaipensierisono
vestiti e uniti con la
consueta
materia
sensibile e spirituale, e
nel nostro ripensare,
riflettereeragionarenoi
mescoliamo sentimenti,
intuizioni
e
rappresentazioni
con
pensieri
(in
ogni
proposizione
–
per
esempio: ‘questa foglia
è verde’, – sono già
mescolate
categorie
come
l’essere
e
l’individualità)»[15].
Trascinato dalle «onde
del pensiero», il senso
comunesisentesperso;
rotto «il circolo delle
rappresentazioni
abituali», gli sembra di
essere capitato in «casa
del
diavolo»[16].
La
ripulsa della filosofia è
anche
una
manifestazione
di
paura.Lafilosofianonsi
adagia
quindi
passivamente sul senso
comune di un’epoca,
non riflette l’epoca, ma
la pensa, ossia la
concepisce
in
movimento, in divenire.
Perciò,quandolostorico
della filosofia Dietrich
Tiedemann afferma che
«Gorgia è andato molto
oltre il segno cui può
giungere un uomo di
buon senso»[17], Hegel
commenta:
«Questo
avrebbe potuto dirlo
d’ogni filosofo: infatti
ogni filosofo va oltre il
sano intelletto umano,
perché ciò che suol
chiamarsi
sano
intelletto umano, non è
filosofia,
e
spesso
tutt’altro che sano[18]. Il
sano intelletto umano
contiene il modo di
pensare, le massime e i
pregiudizi della propria
età, ed è governato dal
pensiero determinato di
essa
senza
averne
coscienza. In questo
senso
certamente
Gorgiaèandatopiùinlà
del sano intelletto degli
uomini.
Similmente
prima di Copernico
sarebbe stato contrario
a ogni intelletto umano
sostenere che la Terra
gira attorno al Sole; e
prima della scoperta
dell’Americadirecheda
quella parte c’era un
altro
continente.
Similmente nell’India o
nellaCinasarebbeancor
oggi contrario a ogni
sano intelletto umano
un
governo
repubblicano»[19].
In
questa prospettiva, la
filosofia
precorre
i
tempi
rispetto
alla
coscienza comune, e si
chiarisce quanto Hegel
scriveva a Schelling già
nel1795:«Iltuosistema
avràlostessodestinodi
tutti i sistemi elaborati
da uomini il cui spirito
ha precorso la fede e i
pregiudizi
del
loro
tempo.
Li
hanno
screditati, li hanno
confutati a partire dal
proprio sistema; nel
frattempo la cultura
scientificahaproseguito
silenziosamente il suo
cammino,
e
cinquant’anni più tardi,
la folla, che si lascia
trascinare solo dalla
corrente del proprio
tempo,
scopre
con
meraviglia – appena
accidentalmente
le
capitatralemaniunadi
quelleopere,cheinuna
polemica di seconda
mano
essa
aveva
imparato a conoscere
come piena di errori già
da
lungo
tempo
confutati
–
che
quest’operaracchiudeva
il sistema dominante
del
tempo»[20].
Nell’andare contro la
corrente del proprio
tempo, il filosofo risale
la massa dei pregiudizi
in
circolazione
e
anticipa la coscienza
comune.
3.Apparenzae
rovesciamento
Provehimur
portu,
terraeque
urbesque
recedunt.
Virgilio,
Aen.III,
72[21].
Alla
coscienza
comune, che non si è
sottomessa alla «fatica
del
concetto»,
la
filosofia appare come
mondo
capovolto,
assurdità: «Ai profani
essa [cioè la filosofia
speculativa]
deve
apparire, secondo il suo
contenuto, come un
mondo rovesciato (eine
verkehrte
Welt),
in
contrasto con tutti i
concetti
cui
sono
abituati e con ciò che
essi prima ritenevano
valido
secondo
il
cosiddetto
intelletto
sano
umano»[22].
L’opposizione
fra
coscienza comune e
scienza,
fra
fenomenologia e logica,
è però un’opposizione
reciproca:
ognuna
appare all’altra come
capovolta[23]. Nessuna
filosofia può essere
veramente
efficace
finché non oltrepassa
questa situazione di
stallo,nonescefuorida
quella
«logica
dell’apparenza» che era
per Kant il risultato
necessario
della
dialettica
della
ragione[24]. Non appena,
secondo
Kant,
si
scambia
il
focus
imaginarius
dell’idea
regolativa con la realtà,
«per
noi
sorge
veramente
qui
l’illusione, come se
queste linee direttive si
diramassero (come gli
oggettisonvedutidietro
la
superficie
dello
specchio) da un oggetto
stesso, che giaccia fuori
dal
campo
della
conoscenza
empirica
possibile»[25].
E
l’illusione che si genera
è un fatto naturale e
inevitabile, «come non
possiamo evitare che il
mare nel mezzo non ci
apparisca più alto che
alla spiaggia, poiché lì
noilovediamoperraggi
più alti che qui, o come
anche
lo
stesso
astronomo non può
impedire che la luna al
levarsinongliapparisca
piùgrande,quantunque
egli
non
si
lasci
ingannare
da
tale
apparenza»[26]. Come lo
stesso Kant osserva
anche nell’Antropologia
pragmatica, la stessa
illusione è generata
anche in altri casi
comuni:
«le
calze
bianche fanno apparire
legambepiùpienedelle
calze nere; un fuoco
accesonellanottesopra
un’altura sembra più
grande di quello che sia
alla
misurazione»[27].
Compito di Hegel sarà
quello di fondare la
realtà dell’apparenza,
mostrarecomeessanon
sia semplice illusione;
istituire
anzi
una
scienza dell’apparenza,
unendo fra loro due
termini contraddittori e
rendendo
il
giusto
tributo alla coscienza
comune,ossiaalterreno
in cui le forze di
un’epoca si muovono
inconsciamente. Se si
riesce a portare la
coscienza comune al
livellodelpropriotempo
appreso nel pensiero e
se si riesce a far
ridiscendere la filosofia
dal
suo
polemico
distacco nei confronti
della coscienza comune
e dell’opinione, c’è la
possibilitàdiaffrettareil
trapasso,
il
superamento
delle
condizioni attuali, il
«balzo» in avanti che lo
spirito si appresta a
eseguire[28].L’apparenza
va perciò riconosciuta
come
ineliminabile
manifestazione
della
realtà e della «verità»:
«L’apparenza
è
un
sorgereeunpassareche
né sorge né passa, ma
che è in sé e costituisce
l’effettualità
e
il
movimento della vita
della
verità»[29].
La
filosofiahegelianaèuna
filosofia
che
parte
dall’assimilazione della
coscienza comune, che
la comprende in sé
prima di prenderne
congedo e di iniziare la
suamarciafraiconcetti
puri. Essa non può,
dunque,
prescindere
dalla «corrente del
proprio tempo» anche
quando
nuota
in
direzione
opposta
all’immediatopresente.
Attenersi al pensiero,
contro la naturalità e
l’apparenza
del
concreto,
significa
salvare i fenomeni, far
vedere
come
l’apparenzanonèvuoto
fantasma. Nel dipanare
il finito, la «trama
aperta» dei concetti[30],
si produce la totalità
come
struttura
processuale
che
contiene le singole
determinazioni, che si
mostrano
come
apparenze solo finché
non sono comprese
nell’insiemeindivenire.
ConHegelilmondonon
ha più doppi fondi:
finisce la più che
bimillenaria tradizione
(schematicamente: da
Aristotele a Kant) per
cui ciò che appare è
sostenuto
da
una
qualche
ousia,
ypokeimenon,substantiao
cosa in sé che funge da
supporto o da Atlante
delreale,o,perricorrere
a un’immagine della
mitologia
indiana
utilizzata da Hegel, non
c’è più alcuna tartaruga
chesorreggeunelefante
cheasuavoltasorregge
il mondo[31]. Scomparso
ogni punto di sostegno
solido,
immediato,
poggiante su se stesso,
laveritànonpuòessere
che un sistema di
relazioni, in cui ogni
singolo elemento ha il
suosensosoloinbaseal
suo valore di posizione
nel tutto. La filosofia
porta così alle estreme
conseguenzelosviluppo
della scienza moderna:
trasforma il mondo in
un insieme di nessi, lo
spolpa
di
ogni
sostanzialità, ma, nello
stesso tempo, vuol
trovare una coerenza a
queste relazioni in un
orditodiconcetti,inuna
«rete adamantina». Se
non c’è più alcun
Atlante che regge il
mondo, se la dialettica
rovescia
anche
quest’ultimo
residuo
tolemaico,alloralecose
e gli avvenimenti non
sono altro che «punti
nodali»[32], più o meno
stabili, di relazioni.
Dalla
bipartizione
kantiana in fenomeni o
noumeni si passa a una
complessa articolazione
gerarchica di gradi di
verità, a un ordine
teleologico in cui tutto
ha,topologicamente,un
valorediposizione.
4.Apparenzae
rivoluzione:i
segnipremonitori
I Farisei,
inaccessibili
agli
insegnamenti
di fede di
Gesù che
metteva
loro
dinanzi
l’insufficienza
della
moralità
della loro
condotta
legalistica,
esigettero
diverse
volte da
lui, come
convalida
del suo
discorso
che
negava
valore
alla loro
legislazione,
un
qualsiasi
straordinario
segno
celeste,
così come
il
loro
Geova
aveva
sanzionato
la
sua
solenne
rivelazione.
Gesù
rispose
loro: «A
sera voi
dite:
“Domani
sarà un
bel
tempo,
perché il
cielo ha
un
bel
rosso”; se
invece il
mattino è
di
un
rosso
cupo voi
ne
presagite
pioggia.
Così voi
comprendete
l’aspetto
del cielo
per
pronosticare
iltempoe
non
conoscete
isegnidel
tempo
per
giudicarli?
Non
avvertite
che negli
uomini si
sono
ridestati
bisogni
superiori?
Che si è
ridestata
la ragione
che
avanzerà
pretese di
fronte ai
vostri
insegnamenti
e principi
arbitrari,
al vostro
avvilimento
del fine
ultimo
dell’uomo,
dellavirtù
e
in
particolare
di fronte
alla
coercizione
con cui
volete
mantenere
salda tra
il popolo
l’autorità
della
vostra
fede e dei
vostri
precetti?».
Hegel,
Vitadi
Gesù[33].
Un’epoca di crisi è
un’epoca
dominata
dall’apparenza
e
dall’oscuro bisogno di
un «mondo nuovo».
L’immediatezza
del
costumeedellafedesiè
scissa: da una parte le
vecchie leggi, civili o
religiose,nonesercitano
più
una
attrazione
sufficiente per ottenere
un’obbedienza
spontanea,
dall’altra,
proprio a causa della
loro debolezza, se ne
richiede un’osservanza
scrupolosa. Nasce così
l’ipocrisia, il farisaismo,
fenomeni oggettivi (non
colpe individuali) che si
manifestano
ogniqualvoltasicreaun
vuoto storico fra una
nuova situazione in
movimento e le vecchie
istituzioni e idee che
nonriesconoacapirlae
a
sintonizzarvisi.
All’interno di questo
spazio, apparenza e
positività, dissoluzione
e irrigidimento del
vecchio
appaiono
insieme e offuscano la
visibilità dei sintomi
premonitorideltempoe
la comprensione dei
«bisognisuperiori»degli
uomini. La totalità dei
fenomeni che si riflette
nella coscienza assume
così un aspetto di
contraddizione
inconciliabile, in cui
però
gli
opposti
sembrano
avere
ciascuno la loro dignità
e
verità
e,
contemporaneamente,
la loro immoralità e
falsità.
Mancando
qualsiasi comprensione
unitaria del mondo che
riporti i fenomeni a un
fondamento esplicativo,
larealtàsipresentaalla
coscienza in forme
contraddittorie
ma
complementari: come
vanità, degenerazione,
fatuità, minaccia, attesa
messianica
e
‘pantoclastica’,passività
o
surriscaldamento
dell’immaginazione. Il
costume si irrigidisce
nel formalismo o si
lascia
andare
sregolatamente a nuove
esperienze morali e
religiose, le sètte si
moltiplicano,
l’inquietudine politica
aumenta, ma l’attesa di
una soluzione si fa
spasmodica e attira e
orienta le coscienze
come
un
invisibile
campo magnetico. Si fa
allora
avanti
una
dottrina, religiosa o
filosofica,chedàvoceai
muti
bisogni,
che
interpreta
i
segni
premonitori,
che
diventa una diagnosi e,
insieme, una terapia
collettiva. Ma prima di
giungereaquestasvolta
rivoluzionaria,
allo
scoprirsi del nuovo
mondo, che diventerà a
posteriori il fondamento
esplicativo
della
molteplicità irrelata dei
fenomeni precedenti, si
passa attraverso una
fase
depressiva,
ipocondriaca: lo spirito
del «mondo nuovo» che
si innalza sull’orizzonte
della realtà, a fugare le
ombre dell’apparenza
dal loro isolamento,
«dissolve brano a brano
l’edificiodelsuomondo
precedente;
lo
sgretolamento che sta
cominciando
è
avvertibile per sintomi
sporadici: la fatuità e la
noia che invadono ciò
che ancor sussiste,
l’indeterminato
presentimento di un
ignotosonosegniforieri
di qualcosa di diverso
che è in marcia»[34]. È
questoilmomentodella
«rivoluzione intima e
silenziosa»,
descritta
anchedaFerguson,icui
modelli Hegel aveva già
trovato in Montesquieu
e Gibbon, per la caduta
dell’Impero romano[35],
e in Diderot per la
società francese dei
decenni
immediatamente
precedenti il 1789: «Alla
vigilia di una tale
rivoluzione nei costumi
[…]
quando
si
avvicinano a questo
statodicose[gliuomini
di rango elevato], privi,
come sono, di ogni
occupazione, avvertono
una scontentezza e un
abbattimento che non
sanno
spiegarsi.
Deperiscono nel mezzo
di godimenti apparenti,
o,perlavarietàinstabile
e il capriccio, che
caratterizzanolediverse
occupazioni
e
divertimenti,
manifestano uno stadio
di agitazione e di ansia
che,
come
l’inquietudineprovocata
da una malattia, lungi
dall’essere il segno del
godimentoedelpiacere,
esprime uno stato di
sofferenza e di pena.
Alcuni
scelgono
di
preoccuparsi di edifici,
di
carrozze
o
di
banchetti; altri solo di
svaghi letterari o di
qualche
altra
occupazione frivola. Gli
sport locali, i diversivi
offerti dalla città, il
tavolo da gioco, i cani, i
cavalli e il vino sono le
risorse alle quali si
ricorre per riempire il
vuoto di una vita
svogliata ed inutile»[36].
Anche per Hegel prima
della
rivoluzione
esplicitasimanifestaun
malessere
veramente
sotterraneo
nella
società, e il lavoro di
scavo che conduce alla
rivoluzione non è opera
della talpa ma di un
popolo sommerso: «Lo
stesso accade in una
rivoluzione
che
sconvolge lo Stato. Noi
possiamo
rappresentarci il popolo
sepolto sotto uno strato
di terra, che ha un lago
sopra di sé. Ciascuno
crede di lavorare per sé
e per la conservazione
del
tutto
quando
prende, dall’alto, una
pietra per servirsene
nella sua universale
costruzione sotterranea.
Ma
in
tal
modo
comincia a modificarsi
la tensione
dell’elemento
dell’aria,
universale, ed essa fa
sorgere il desiderio
dell’acqua. Con un
senso di malessere non
sanno cosa manchi loro
e per far qualcosa
continuanoascavarpiù
in
alto,
nella
convinzione di poter
migliorare
la
loro
costruzione sotterranea.
La superficie diventa
trasparente. Qualcuno
se ne accorge e grida:
“Acqua”, toglie l’ultimo
diaframma ed il lago
precipita nell’interno di
questa sacca e li affoga
nel mentre dà loro da
bere»[37].
La
«fatuità,
che
avverte se stessa»[38]
crede persino, per non
annoiarsi,
di
poter
introdurre il nuovo
senza danno per il
vecchio,
di
farli
coesistere
entrambi.
Così in un passo del
Nipote
di
Rameau,
sottolineato da Hegel, il
pubblico francese si
illude
di
poter
introdurre la nuova
musica italiana di un
Pergolesi,
di
uno
Jommelli, di un Duni,
nei propri teatri senza
chelamusicanazionale
ne abbia a soffrire, non
accorgendosichequesta
creatura più robusta la
distruggerà.
Succede
così che i frequentatori
dell’Accademia reale e
dell’Opéra, i «vecchi
parrucconichecivanno
da più di trenta o
quarant’anni tutti i
venerdì,
invece
di
spassarsi
come
in
passato, si annoiano e
sbadigliano senza saper
perché; se lo chiedono
ma
non
trovano
risposta»[39], finiscono
inconsapevolmente,
dopo tanti sbadigli, per
rivolgersi alla musica
nuova:
«Che
brava
gente!Hannorinunciato
allelorosinfonieperfar
eseguire le sinfonie
italiane. Han creduto
che si sarebbero fatti
l’orecchio a queste
senza danno per la loro
musica vocale […] Han
credutodipoterprovare
incessantemente
con
quale
facilità,
flessuosità,
mollezza,
con
che
armonica
prosodia, le ellissi, le
inversioni della lingua
italiana si prestassero
alla
espressione
artistica, al movimento,
ai giri del canto, al
valore ritmico dei suoni
e continuare a ignorare
al tempo stesso fino a
chepuntolalorolingua
sia
rigida,
sorda,
pedantescaemonotona.
Eh, sì; si son convinti
che
dopo
aver
mescolato
le
loro
lacrimealpiantodiuna
madrechesidisperaper
la morte del figlio, dopo
aver rabbrividito al
comando di un tiranno
che ordina un delitto,
non
si
sarebbero
annoiatidelleloroscene
di fate, della loro
insipida mitologia, dei
loro
meschini
e
dolciastri
madrigali
rivelatori a un tempo
del cattivo gusto del
poeta e della miseria
della musica che se ne
appaga […] Il dio
forestiero
si
pone
umilmente sull’altare
accanto
all’idolo
indigeno; si fa più forte
poco alla volta e un bel
giorno dà un urtone al
suocompagno;patatrac,
ed ecco l’idolo caduto.
Così, si narra, i gesuiti
hanno introdotto il
cristianesimo in Cina e
in India e, per quanto
criticato dai giansenisti,
questo metodo politico
che marcia diritto allo
scopo senza baccano,
senza versamento di
sangue, senza martiri e
senza
torcere
un
capello, mi sembra di
granlungailmiglioredi
tutti»[40]. Questa marcia
«senza baccano» è la
rivoluzione silenziosa,
inconsciamente
prodotta
o
gesuiticamente
preparata, che precede
il «patatrac» dei grandi
mutamenti politici: «Le
grandi e folgoranti
rivoluzioni
devono
essereprecedutedauna
rivoluzione intima e
silenziosa nello spirito
dell’epoca che non a
tutti è visibile, meno
ancora osservabile dai
contemporanei, ed è
tantodifficiledaesporre
a parole quanto da
discernere»[41].
La
rivoluzione,
politica o spirituale, è
realmente «folgorante»,
perché il nuovo mondo
appare
fra
bagliori
temporaleschi e nella
sua semplicità non
sviluppata. Compito dei
fondatori di nuove
religioni (come Gesù), o
dei filosofi, è quello di
articolare
il
nuovo
mondo, bonificare il
terrenodell’apparenzao
negandone interamente
la
realtà,
contrapponendo
il
mondo terreno a un
mondo
celeste,
o
legando l’apparenza a
una
ossatura
concettuale che funge
da supporto. Hegel va
ancora
più
avanti:
instaura una scienza
dell’apparenza,
la
«fenomenologia»,
appunto, in quanto
‘sintomatologia
generale’
della
coscienza nell’atto in
cui si compie la svolta
storica, il «patatrac», il
momento in cui lo
spirito fa «un balzo».
Sotto questo punto di
vista, la fenomenologia
è una guida al nuovo
mondo,
realizzata
mediante una serie di
rivoluzioni
della
coscienza, di esperienze
che
la
coscienza
attraversa per giungere
alla comprensione della
grande e folgorante
rivoluzione
collettiva
compiuta dallo spirito
umano.
Come
per
d’Alembert, anche per
Hegel
si
devono
conoscere le «révolutions
del’esprithumain»[42]per
comprendere il proprio
tempo.Manelcammino
fenomenologico
alla
coscienza pare che la
rivoluzione
interiore
non avvenga in se
stessa, bensì in un
oggetto
esterno:
«Sembra
invece
comunementecheinun
altro
oggetto
noi
facciamo
esperienza
della non-verità del
nostro primo concetto;
in un altro oggetto che
noi
troviamo
accidentalmente
ed
esteriormente,
per
modo che in noi cada
soltanto
il
puro
accogliere ciò che è in-sé
e per-sé. In quel modo
di vedere, invece, il
nuovooggettosimostra
come
divenuto
mediante
un
rovesciamento
della
coscienza
stessa
(Umkehrung
Bewusstseins
des
selbst).
Nostra aggiunta è una
tale
considerazione
della cosa, per cui la
serie delle esperienze
della coscienza si elevi
ad andatura scientifica:
considerazione che non
èperlacoscienzadanoi
considerata»[43].
Attraverso
questo
succedersidirivoluzioni
interiori, la coscienza
comune ritorna così
continuamente
sui
piedi, per essere poi
rimessa di nuovo sulla
testa
dalla
figura
successiva,
fino
a
quando, nel «sapere
assoluto»,
non
ha
assorbito
tutte
le
inversioni ed è pronta a
comprendereilpercorso
della scienza senza più
l’apparenzadell’alterità.
Il
movimento
dialettico è lo sforzo
continuo del pensiero
nella coscienza attiva
per far sì che il mondo
usuale
di
rappresentazioni non
poggi tranquillamente
sui piedi, ma venga
disturbato nella sua
inerzia. Per usare una
espressione italiana di
Jacobi e di Sinclair, si
può dire che Hegel fa
compiere alla coscienza
una serie di «salti
mortali»[44], mediante i
quali la coscienza –
superato di volta in
volta il momento di
straniamento prodotto
da una nuova figura, il
momento della testa
all’in giù (ossia l’effetto
di
sbalordimento
generato dalle scoperte
scientifiche
e
filosofiche,nonchédalle
rivoluzioni religiose sui
«pregiudizi»
di
un’epoca) – ritorna sui
piedi.
Coscienza
comune e coscienza
filosofica vengono così
saldate
attraverso
queste Umkehrungen des
Bewusstseins, ma anche
il sapere, a sua volta,
abbandona la fase del
suoapparireedentrain
una
nuova
congiunzione con lo
spirito del tempo, di cui
diventa
ora
adeguata[45].
forma
L’apparenza
e
il
sensibile vengono in tal
modo
recuperati
e
reintegrati nell’insieme
tramite la negazione
dellanegazioneeseguita
dal «salto mortale».
Vedere
in
Hegel
unicamente
distruzione
la
dell’apparenza e del
sensibile è prendere in
considerazione solo la
prima
parte
del
processo,quellacheper
comodità
possiamo
chiamare della testa
all’in giù, e non la
seconda,quelladelsalto
mortale, con il quale si
poggia nuovamente sui
piedi, ma dopo essere
passati attraverso il
rovesciamento.
Nel
primo movimento, nel
porre la testa all’in giù,
non
sono
inoltre
l’apparenza
o
il
sensibileinquantotalia
essere distrutti, ma la
loro inesprimibilità[46].
Ritornare sui piedi è
spiegare, all’interno di
un quadro più vasto, di
un
«sistema»
più
comprensivo,
un
maggior numero di
fenomeni o di concetti
precedentemente
irrelati,
è
dare
soddisfazione
alle
aporie che si erano
presentate.
Tale
soddisfazione non è
però data dalla sola
filosofia, ma dall’epoca
nuova che ha offerto il
fondamentooggettivo,il
fuoco virtuale per farvi
convergere l’immagine
del
mondo.
Col
salvataggiodelsensibile
e dell’apparenza Hegel
vuole appunto evitare il
platonismo, presentare,
secondo le parole di
Goethe, un mondo «che
non ha nocciolo né
corteccia», in cui la
«verità» appare e in cui
l’apparire è la sua
naturaessenziale[47].
5.Riflessionee
culturadi
un’epoca
Per
Schelling
la
riflessione
è
una
malattia dello spirito,
una
scissione
metastorica:
«Non
appena l’uomo si pone
in opposizione con il
mondo esterno […] è
fatto il primo passo
verso la filosofia. Con
quella separazione ha
inizio la riflessione;
d’ora in poi egli separa
ciò che la natura aveva
unito
per
sempre,
separa
l’oggetto
dall’intuizione,
il
concetto dall’immagine,
e alla fine, facendosi
oggetto a se stesso,
separa sé da sé […] La
mera
riflessione
è
dunque una malattia
dello spirito dell’uomo,
soprattutto in quanto
essa instaura la sua
signoriasututtoquanto
l’uomo, signoria che
uccide in embrione la
sua più alta esistenza e
alle radici la sua vita
spirituale che rampolla
soltanto
dall’identità.
Essa è un male, che
accompagna
l’uomo
nella vita e distrugge in
lui
ogni
intuizione
anche per i più comuni
oggetti
della
conoscenza. La sua
opera di separazione
non si limita al mondo
fenomenico; separando
da questo il principio
spirituale, riempie il
mondo intellettuale di
chimere contro le quali
non è possibile lotta
alcuna, perché esse
stanno del tutto al di là
della
ragione.
Essa
rende permanente la
separazione dell’uomo
dal
mondo,
considerando
quest’ultimo come una
cosa in sé, che né
intuizioni,
né
immaginazione,
né
intelletto, né ragione
riescono a raggiungere.
Di fronte a essa sta la
filosofia che considera
lariflessioneingenerale
semplicementecomeun
mezzo. La filosofia deve
presupporre
quella
separazione originale,
ché senza di quella non
avremmo bisogno di
filosofare»[48]. Malgrado
questi
temi
schellinghiani
condivisi anche
–
da
Hölderlin e Sinclair[49] –
abbiano lasciato una
traccia durevole in
Hegel, per lui la
riflessione che separa
l’uomo dal suo mondo
non è un destino, ma il
risultato di una crisi
storica. E anche il
bisogno della filosofia è
una
risposta
alle
contraddizioni
di
un’epoca,
un
superamento dei limiti
delle vecchie filosofie,
possibile solo quando si
sono infrante o stanno
per
infrangersi
le
vecchie
storiche.
barriere
Di
conseguenza,
«la
confutazione di una
filosofia ha il senso che
ne vengono oltrepassati
ilimitiecheilprincipio
determinato di essa
viene degradato a un
momentoideale»[50].Ma
se questi limiti non
vengono
realmente
superati,
si
resta
prigionieri
dell’apparenza.
Il
proprio tempo viene
allora
rispecchiato
passivamente
e
frammentariamente
dalla riflessione, e la
coscienza, qualora non
riesca ad «acclimatarsi»
alla scissione, si aggira
smarrita
nella
fantasmagoria
dei
fenomeni.Nonècapace
di superare la soglia
oltre la quale comincia
la scienza, ossia una
coscienza
che
è,
insieme,
spiegazione
dell’apparenza.
La
Reflexionsphilosophie,
anche
quando
si
propone di non farsi
dominare
dalle
contraddizioni
del
tempo,
ma
di
assoggettarle, resta in
loro balìa, come mostra
l’io fichtiano: «così la
beatitudineincuil’ioha
tutto come opposto,
tuttosottoipiedi,èuna
manifestazione
del
tempo, che ha in fondo
lo stesso significato di
quella di dipendere da
un
essere
assolutamenteestraneo,
che
non
può
farsi
uomo»[51]. Infatti, se «la
separazione è infinita,
allora il fissare del
soggettivo
o
dell’oggettivo
è
indifferente»[52].
Il
titanismo di Fichte, la
suavolontàdipiegareil
non-io
rendendolo
evanescente,
è
anch’esso simbolo di
sudditanza
all’epoca.
Quando la filosofia non
coglie in pieno i bisogni
di un’epoca, gli opposti
rimangono separati o
uniti artificiosamente
nella cattiva infinità:
«Se il bisogno della
filosofia non raggiunge
il suo centro, mostra
separati i due lati
dell’assoluto(cheèaun
tempo
esteriore
e
interiore, essenza e
manifestazione),
in
particolare
l’essenza
interiore
e
la
manifestazione
esteriore»[53]. La vera
filosofia adeguata ai
bisogni del tempo vuole
liberarsi
dal
mero
riflesso del tempo, non
però
dalla
sua
comprensione
concettuale. Essa è
presadicoscienzadiciò
che nella riflessione
appare come semplice
rispecchiamento
passivo. Per questo la
filosofia
si
muove
rettificando
continuamente la sua
rotta
fra
le
contraddizioni
segnalate
dalla
riflessione, avendo per
guidaibisognisuperiori
dell’epoca e l’istinto
della ragione, prima di
raggiungere il sistema.
Per questo, essa non
può costruirsi se non in
relazione polemica o di
attualizzazione
del
pensiero e della cultura
generale del proprio
tempo.
Tale
rapporto
intenzionale con la
cultura e l’esperienza
della propria epoca è
sfuggito a critici come
Haym, che osservava a
proposito dei contenuti
della Fenomenologia: «Lo
spirito del mondo non
viene
rappresentato
come si è sviluppato
realmente, bensì come
esso avrebbe potuto e
dovuto
svilupparsi,
qualoraincertomodosi
fosse
adattato
allo
schema
dell’astratta
dottrinadellacoscienza.
Intalmodosonogettate
alla rinfusa le figure
storiche. La scelta è
assolutamente
arbitraria.
Come
all’autore una figura
storica
era
o
particolarmente
familiare
o
particolarmente
presente
per
una
recente lettura, allora
essa viene afferrata e
bollata come simbolo di
uno
stadio
della
coscienza,
sedicente
necessario e inevitabile.
E invero, se lo spirito
della
Rivoluzione
francesevieneelevatoa
questa dignità, non è
assolutamente
comprensibile
perché
quello
spirito
caratteristico
del
puritanesimo nella sua
lotta contro Carlo I non
appaia
ugualmente
degno
di
considerazione»[54]. In
effetti – a prescindere
da un certo margine di
arbitrarietà,
ma
il
problemanonstaqui[55]
– il motivo per preferire
la Rivoluzione francese
al puritanesimo o ad
altri eventi risiede nel
fatto
che
Hegel
riproduce solo le figure
sintomatiche
della
culturaedell’esperienza
storica
del
tempo,
quelle che servono da
puntidiriferimentoeda
bersagli
per
la
costruzione
della
filosofia coi materiali
dell’epoca: «La vera
peculiarità
di
una
filosofia è l’interessante
individualità,incui,con
i
materiali
da
costruzione di una
determinata epoca, la
ragione si è organizzata
una figura»[56]. Non si
tratta
soltanto
di
servirsi dei contenuti
delle figure come di
«segnali indicatori» agli
«incroci» della storia[57],
ma
di
utilizzarli
realmente
come
materiale. Senza il
riferimento a essi, la
filosofia non sarebbe «il
proprio tempo appreso
nel
pensiero».
La
costellazione
delle
figure
evocate
o
«ricordate» è quella
delle «stazioni» del
calvario che servono
alla resurrezione della
nuova
figura
dello
spirito. La Fenomenologia
non è un qualsiasi
innalzarsi
della
coscienza comune alla
scienza o un qualsiasi
sorgere della scienza a
se stessa, ripetibili in
modo invariato in ogni
tempo, tanto è vero che
lo stesso Hegel – pur
senza sminuire il valore
della Fenomenologia, che
considerò in seguito un
lavoro
giovanile
peculiare,
da
non
rielaborare
prevista
nella
seconda
edizione – la giudicò
legata al periodo della
composizione[58] e cercò
altre
forme
di
introduzionealsistema,
più adeguate alle nuove
situazioni storiche, più
comprensibili
agli
studenti, più funzionali
all’insieme
già
sviluppato
del
suo
pensiero. Su questi
differenti «vestiboli» al
sistemaesulperchédel
loro variare (Logica di
Jena,
Fenomenologia,
Preliminari e Posizioni del
pensiero
rispetto
all’oggettività
dell’Enciclopedia) si è di
recente sviluppata una
complessa discussione
di carattere filologico e
teorico,
specie
fra
studiosi tedeschi e
francesi. In particolare
ci si chiede se la
Fenomenologia
sia
un’introduzione interna
o esterna al sistema, se
abbia o no la stessa
estensione di esso, se
percorra o no gli stessi
contenutiinunadiversa
dimensione, se Hegel
giudichi terminato o no
il tempo in cui il sapere
deve
apparire
e
giustificarsi di fronte
alla
coscienza
comune[59].
6.Tempoed
eternità:ricordoe
obliodella
continuità
La Fenomenologia è
dunque un cammino
storicamentetracciatoe
datato, la preparazione
di una determinata
svolta storica, in cui la
coscienza comune e il
saperediun’epocasono
chiamati a raccolta
nell’imminenza
del
balzo perché non si
cancellino le tracce del
processo che ha portato
al
costituirsi
del
«mondo nuovo». Infatti,
«soltanto la memoria
conserva poi come una
storia,nonsisabenein
qual modo trascorsa, la
morta
guisa
della
precedente figura dello
spirito»[60].Oralospirito
vuol conservare nel suo
«balzo» il ricordo della
propria continuità e
identità attraverso la
serie delle rivoluzioni
della coscienza, vuole
riconoscersi come un
prodotto storico, prima
di costituirsi come un
sistema in cui l’ordine
cronologico
interiorizzato
viene
o
invertito. La novità di
quest’ultimarivoluzione
dello spirito e della
filosofia che la esprime
ècheentrambesisanno
perlaprimavoltacome
risultato di un lungo
dipanarsi di révolutions
de l’esprit humain e
intendonoconservarela
loro connessione con la
storia e il divenire. La
filosofia è sempre stata
il
proprio
tempo
appreso in pensieri, ma
solooralosa.Soloorail
movimento della storia
e della realtà irrompe
nel tranquillo mondo
dei concetti, li mette in
tensione,
dà
loro
l’apparenza di una
autokynesis. La filosofia
cessa di essere sapere
analitico, analisi di
concettipersaggiarnela
validità e i limiti, e
diventa
processo
genetico[61], costruzione
di un sistema con il
fluido materiale di
un’epoca. Penetrando
coscientemente
nel
regno del pensiero, il
movimento dell’epoca
lo stana dal suo
immobilismo, dalla sua
tendenza inerziale a
cristallizzarsiinformule
eideerigide.
La Fenomenologia è la
ricapitolazione
del
cammino dimenticato
che ha condotto alla
formazione inconscia
dellospiritodiun’epoca,
allacoscienzacomunee
alla Reflexionsphilosophie,
che lo contengono in
modo contraddittorio e
non lo sanno esprimere
se non per frammenti.
In questo senso, l’opera
diReinhold(autoredegli
Elemente
der
Phänomenologie,
l’antecedente
immediato
della
Fenomenologiahegeliana)
[62]
è
«immersa
completamente»
nel
«bisogno del tempo»[63],
ma non lo sa afferrare.
Anche a lui del truncus
ficulnusodelgranitodel
MonteBiancodell’epoca
resta in mano solo un
«Mercurietto
maledettamente
piccolo»ounascheggia:
«Uno illumina l’epoca,
l’altro la esalta col
sentimentoinsonetti,la
educa, la riflette, la
eleva con intuizioni e
preghiere. L’epoca è per
tutti il truncus ficulnus,
dal cui insieme ognuno
vuol
fabbricare
un
Mercurio. Ma il diavolo
gli porta via sottobanco
il truncus, ovvero, per
dirla
con
un’altra
metafora, il granito del
Monte Bianco, e gliene
lascia solo una piccola
scheggia o un granello,
di modo che, quando
unovuoleosservarealla
luce il proprio lavoro
ormaifinito,nehatirato
fuori
un
piccolo,
maledetto Mercurietto,
e non potrà mai
abbastanza insultare la
cattiveria dei tempi e
del
diavolo»[64].
La
filosofia deve dunque
uscire
da
immersione
questa
nella
superficiale
immediatezza
dello
spirito del tempo, deve
rifiutare le briciole e
tendere alla totalità e
può
farlo
soltanto
congiungendo il tempo
all’eterno e il relativo
all’assoluto. Se nella
Differenza fra il sistema
filosofico di Fichte e quello
di Schelling vi è soltanto
l’affermazione secondo
cui «il vero togliere del
tempo è un presente
senza
tempo
o
eternità»[65], più tardi il
superamento del tempo
attraverso
la
conservazione
sua
nell’eternità condurrà
all’esplicita
conciliazione
tra
eternità e tempo e tra
verità e storia. La
storicizzazione
dell’assoluto potrà così
venire formulata con
maggiore
chiarezza.
Infatti, solo dopo i
tentativi non riusciti
(risalenti al periodo che
precede
immediatamente
la
stesura
della
Fenomenologia) di legare
il tempo della natura
con quello dello spirito,
Hegel sarà infine in
grado
di
mostrare,
contestualmente, sia il
dispiegarsi dell’assoluto
nel tempo, sia la
circolarità delle tre
dimensioni del tempo
stesso, sia il processo
dello sciogliersi della
fissità delle categorie
logiche atemporali nel
tempo della natura,
della storia e dello
spirito[66]. L’assoluto –
pur
nella
sua
ascendenza spinoziana
dall’idea di sostanza in
cui
il
finito
è
inconcepibile qualora
venga
separato
dall’infinito
–
si
configura ora come
«divenire», eternità che
non
procede
all’annullamento
del
tempo, bensì alla sua
«bella unificazione» con
esso: «Porsi […] nella
prospettiva
del
conoscere
assoluto
dell’assoluto
concepire
significa
ogni
determinazione finita
nel tutto e quindi
intuirla
come
espressione dell’eterno
[…]Pertantolospiritosi
pone insieme nella
distensione
e
dispersionedellanatura
e del suo tempo, ma
non è abbandonato alla
fuga senza fine del
tempo,inquantoessoè
finalmente colto nella
sua
realtà
di
concetto»[67].
In questo senso il
tempo è eterno e «lo
spirito è tempo»[68].
Hegel ha in questo
modo trovato una via
d’uscita all’alternativa
tradizionalmente posta
fra un’eternità statica e
immutabile e un tempo
che si autodistrugge,
ossia, parallelamente,
fra una verità senza
storiaeunastoriasenza
verità. Nello sforzo di
conciliare, non senza
difficoltà e ambiguità, il
tempo e l’eternità, il
divenire e l’assoluto,
Hegel
ha
però
considerato, almeno al
livello della parte finale
della
Fenomenologia,
l’assoluto stesso, da un
lato, come «verità e
certezza del suo trono»
(Wahrheit und Gewißheit
seines Throns), dall’altro,
come
«calvario»
(Schädelstätte) e, questo,
per
evitare
che
l’assoluto stesso fosse
«solitudine senza vita»
(lebloses
Einsame).
Eppure,
acuto
secondo un
interprete,
«calvario e trono non
sono su un piede di
parità: l’eterno non è il
tempo, bensì lo contiene in sé, ne tiene
insieme
i
singoli
momenti, le figure
astratte della coscienza
e le figure reali del
mondo, e lo ha ad
oggetto».
Il
sapere
assoluto
non
può,
quindi,
dare
esaurientemente conto
della sua storia: resta
uno iato tra la sua
conclusione e ciò che la
precede. I tre sillogismi
dell’Enciclopedia
«dovrebbero essere la
risposta al problema
[alla convergenza di
questi due aspetti]. E
anche lo sarebbero, se
questo circolo venisse
inteso e presentato
come tale che il ritorno
del circolo su di sé è
determinato da ciò, che
ogni rapporto lascia
sempre fuor di sé
qualcosa, sì che il
circolo di circoli lascia
sempre
fuori
della
ragione
un
irraggiungibile
residuo»[69].
Unproblemaulteriore
insito
in
rinnovato
questo
concetto
hegeliano di tempo, ma
pocovisibilesenonlosi
guarda
da
una
prospettiva
a
noi
cronologicamente più
vicina, è quello relativo
alla realtà del tempo
stesso.
Per
comprenderlo, si deve
partire dagli studi del
filosofo
hegeliano
inglese McTaggart, che
hanno affermato, nel
1908, l’esistenza di due
diverse
strutture
temporali,
rivelatesi
reciprocamente
intraducibili: 1) Quelle
che
si
dispongono
secondolacosiddettaAserie di determinazioni
«tensionali»
(passato,
presente
e
futuro)
all’interno
di
un
modello dinamico e
aperto, eracliteo, in cui
daltroncodelpassatosi
protendonoimoltirami
dei
futuri
possibili
(irreali finché non si
attualizzano
nel
presente,
il
quale
cambia
però
continuamente,
dislocandosi in istanti
sempresuccessivi).Tale
modello corrisponde a
una versione stilizzata
della nostra esperienza
intuitiva del tempo, in
cui ciò che esiste viene
equiparatoalsuoessere
attuale nel tempo. 2)
Quelle costituite dalle
determinazioni
«atensionali» della Bserie, articolate dal
«prima-
di/contemporaneoa/dopo-di»[70].Essesono
statiche,parmenidee,in
quanto
non
presuppongono né il
venire all’attualità nel
presente di ciò che era
soltanto possibile o
irreale,
né
l’arretramento
nel
passato e nel nonessere di quanto ora è.
In
base
a
tali
determinazioni,larealtà
possiede, dunque, un
carattere
sostanzialmente
atemporale e il futuro
risulta
altrettanto
determinato
del
passato.
I
fatti
atensionali di cui si
compone il mondo
sono, in quest’ottica,
indipendenti dal tempo.
Tale temporalità statica
viene talvolta spiegata
dai
suoi
fautori
mediante l’analogia con
i singoli fotogrammi di
una
pellicola
cinematografica,
che
esistono
simultaneamente pur
venendo proiettati in
successione. Anche in
termini
logici,
gli
enunciati
di
tipo
atensionale esprimono
verità immutabili che
trascendono il tempo di
asserzione, sia in modo
onnitemporale,
ossia
validoinognitempo,sia
in modo atemporale,
valido fuori dal tempo.
A essi si applica il
«principiodibivalenza»,
per
cui
qualsiasi
proposizione al tempo
futuroopassatoèverao
falsa a prescindere dal
momento
dell’enunciazione. Gli
enunciati tensionali del
genere «sono le ore
8:00» assumono, al
contrario, un valore di
verità in rapporto al
momento
in
cui
vengono pronunciati, in
quanto subito prima o
subito dopo sono falsi
(proprio questa, per
inciso, è la «certezza
sensibile» di cui Hegel
ha
mostrato
l’autodissoluzione nel
capitolo
iniziale
«Coscienza»
della
Fenomenologia
spirito).
dello
LaserieAèdinamica,
perché
l’istante
si
spostacostantemente,è
un moving now, mentre
la serie B è statica,
permanente, priva di
sviluppo. Nella prima
un evento è situato in
unparticolaremomento
del tempo che viene
incessantemente
oltrepassato
(ad
esempio, l’uccisione di
Cesare ha luogo in una
certa ora delle Idi di
marzo del 44 a.C., a cui
seguono innumerevoli
altri minuti, ore, giorni,
anni e secoli); nella
seconda, la battaglia di
Filippi avviene dopo la
morte di Cesare e la
proposizione che lo
asserisce vale sempre.
La serie A è considerata
da
McTaggart
incoerente, in quanto
un evento passato non
può essere presente o
futuro,
un
evento
presentenonpuòessere
passato o futuro e un
evento futuro non può
essere
passato
o
presente. Eppure, ogni
dimensione del tempo
contiene le altre due
(l’evento passato sarà
presenteefuturo;quello
futuro
sarà
stato
presente e passato; e
quello presente sarà
futuro e passato). Si
potrebbe obiettare che
l’incoerenza può esserle
attribuita solo nel caso
in cui si presupponga
che lo stesso evento
contenga
simultaneamente tutte
e tre le dimensioni del
tempo.
Ma
questa
confutazione vale solo
se presuppone un’altra
serie A, il che è
contraddittorio
e
conduce a un circolo
vizioso.
Dalla
sovrapposizione della
serieBallaserieAsorge
una serie C, che non è
temporale, in quanto
possiede un ordine ma
non una direzione, nel
senso
che
un
determinato evento si
ponetraaltrieventi,ma
non prima o dopo di
essi. In questo senso,
concludeMcTaggart(ma
la sua ipotesi non è del
tutto persuasiva), nel
suotrascorrereiltempo
è
irreale.
Per
dimostrarne l’irrealtà,
basterà provare che
questa
serie
è
intrinsecamente
contraddittoria e non
può esistere. Inizia così
il secondo momento
della sua riflessione, in
cui è contenuto il noto
paradosso. Il filosofo
osserva che i termini
della
serie
A
si
presentano
come
caratteristiche di eventi
tra loro incompatibili,
ossia, come si è già
detto,uneventopassato
nonpuòesserepresente
o futuro; un evento
presentenonpuòessere
passato o futuro; un
evento futuro non può
essere
passato
o
presente.
Ora, il punto è che in
Hegelnonesisteun’idea
dell’irrealtà del tempo
nel senso di McTaggart,
autore, fra l’altro, di un
ancora
valido
commento alla Scienza
della logica[71]. Nella sua
concezione
«speculativa»,
Hegel
considerailtempocome
ciò che non si annulla,
ma
coesiste
contraddittoriamente
con l’eternità, perché,
partendo
dall’immediata
contraddizione
del
tempo stesso in quanto
«l’essere che, mentre è,
non è, e mentre non è,
è», passa da questo
«divenireintuìto»[72] (un
divenire,
come
già
sappiamo, che non
coincide
con
il
movimento) al divenire
speculativamente
pensato come proprio
dell’eternità.
Ma
perché
sia
possibile
tendere
all’eternità che coesiste
con la storia bisogna
dominare il proprio
tempo
dall’interno,
conoscerne la genesi e
non
dimenticarla.
Rompere l’alleanza con
lo spirito del tempo nel
suo
momento
stagnazione
di
e
rinnovarlanelmomento
di avanzata. All’oblio
delle origini di tutte le
filosofie del passato, la
filosofia del presente
deve
contrapporre
l’Erinnerung, il ricordo
interiorizzante,
l’appropriazione
e
l’universalizzazione del
passatonelpresente.La
verità, aletheia, diventa
un’altra volta uscire dal
Lete
dell’oblio[73],
memoria, e la musa
della
storia,
Mnemosyne, presiede,
nel «sapere assoluto» al
passaggio
Fenomenologia
dalla
al
sistema.
Un parallelo implicito
conCartesiochiariscela
posizione hegeliana. Il
cogito si presenta in
Cartesio come certezza
immediata di essere
ogni realtà, ma è una
certezza astratta che ha
dimenticatoecancellato
le
orme
del
suo
precedente cammino.
La coscienza «che è tale
verità ha lasciato dietro
le spalle e obliato quel
cammino quando essa
sorge immediatamente
come ragione; ossia:
questa ragione nel suo
immediato affacciarsi si
presenta soltanto come
certezzadiquellaverità.
Essa
meramente
asserisce di essere ogni
realtà,
ma
non
riconduce al concetto la
sua asserzione; infatti
quell’obliatocamminoè
la
giustificazione
concettuale di questa
affermazione espressa
in modo immediato»[74].
Cartesio, «come più
tardi anche Fichte,
prende le mosse dall’io
come da quel che è
senz’altro certo: io so
che in me si affaccia
qualchecosa.Conciòla
filosofia è d’un tratto
trasferita su un terreno
e in un punto di vista
affatto nuovi, nella
sfera,
cioè,
della
soggettività»[75]. Ma è
una soggettività che
ignora la sua genesi
storica, per quanto in
Fichte ci sia già l’oscuro
presentimento di una
«storia
prammatica»
dello spirito umano. La
coincidenza di certezza
e
verità
è
così
presentata–sottoforma
di cogito o di primo
principio – come punto
di partenza, non come
risultatodiunitinerario,
di un viaggio, Erfahrung[76],
della
coscienza, e il sapere si
fondaunicamentesuse
stesso. Lo straordinario
statuto
della
Fenomenologia hegeliana
èinvecequellodiessere
contemporaneamente
movimento
della
inconscio
coscienza,
teleologia
spontanea,
oblio delle origini dopo
ogni
passaggio,
accompagnati, nel für
uns,
dalla
consapevolezza del fine
storicamente
già
raggiunto, di essere
quindi talpa e civetta
insiemeall’internodella
stessa filosofia[77]. Da
una parte, la ‘mano
invisibile’
dell’istinto
guidalacoscienzaafare
esperienza da sé delle
contraddizioni,
dall’altra, la coscienza
vigile, che conosce la
strada in precedenza
percorsa dallo spirito,
sta a guardare; la
riflessione si intreccia
alla speculazione. Si
danno in tal modo due
piani fenomenologici,
quello della spontaneità
(o
della
buona
riflessione) e quello
della speculazione, e il
ricordo è la loro
saldatura nel processo
oggettivo per cui la
scienza si innalza a se
stessa. Un automatismo
simile, una teleologia
del contenuto, Hegel la
ritrova
nel
calcolo
matematico, nell’analisi
infinitesimale, memore
forse del detto di
d’Alembert «Allez en
avant, la foi vous
viendra», e sicuramente
delle osservazioni di
Laplace, sulla ‘buona
riflessione’ che si lascia
andare all’oggetto: «La
cattiva riflessione è la
paura di sprofondarsi
nella cosa, riflessione
che scavalca sempre la
cosa e torna in sé.
L’analista, come dice
Laplace,siabbandonaal
calcolo e gli sfugge il
compito, e cioè la
visione d’assieme e la
dipendenza dei singoli
momentidelcalcolodal
tutto. Non solo la
considerazione
della
dipendenza del singolo
dal tutto è l’essenziale,
ma anche che ogni
momento
stesso,
indipendentemente dal
tutto,èiltutto,equesto
è lo sprofondarsi nella
cosa»[78].
La
buona
riflessione si identifica
quindi
con
la
spontaneità
del
pensiero quando segue
la cosa, che è «spesso
migliore
della
coscienza»sudiessa[79],
cioè
della
«cattiva
riflessione».Perquesto–
afferma Hegel – quando
si intraprende lo studio
di una scienza è
«necessario
non
lasciarsi frastornare dai
princìpi», ma andare
avanti, in un primo
momento, secondo il
fluiredelragionamento,
senza voler capire e
dimostrare subito ogni
singolo
passaggio:
«All’iniziolacoscienzaè
torbida […] si va avanti
aleggeretralavegliaeil
sonno […] Così io ho
studiato
il
calcolo
differenziale e altro.
Così ho sentito di altri,
che studiarono la Critica
della ragion pura di
Kant»[80]. Ma a questo
automatismo
della
coscienza in trance, a
rimorchio della cosa
stessa, si intreccia nella
Fenomenologia
lo
«sguardod’assieme»del
für uns – assente nel
calcolo –, che tocca il
culmine
assoluto,
nel
sapere
nella
congiunzione
di
certezza e verità. Qui
finalmente
questo
scavare inconscio dello
spirito cessa e si
raggiunge il sole del
concetto,
dove
il
movimento cosciente
del für uns procede di
pari passo con «la cosa
stessa», il prosemas con
l’autotopragma.Avendo
giustificato
la
sua
apparenza di mondo
allarovesciaedessendo
diventata trasparente a
se stessa nel suo
cammino, la scienza
può ora iniziare la sua
marcia apparentemente
autonoma,elafilosofia,
superata la soglia di
soggettività avulsa dal
mondo, dirigersi verso
quella «mèta raggiunta
la quale sia in grado di
deporre il nome di
amore del sapere per
essereverosapere»[81].
Fin
dalla
pubblicazione
della
Fenomenologia il «sapere
assoluto» è sembrato
presunzione o punto
debole della filosofia
hegeliana.Daunlato,lo
si è interpretato come
pretesa di aver capito
tutto
o
attingimento
come
di una
saggezza
conclusiva,
dall’altro,
come
deludente
ricaduta
anamnestica dopo il
torrente
impetuoso
delle figure precedenti.
Ma sapere assoluto è
sapere
non
più
inconsciamente
condizionato dall’epoca,
slegato
quindi
dai
presupposti
che
lo
vincolavano,
è
un
sapere
povero,
addirittura vuoto, ma
capace di produrre un
nuovo inizio. Non è
quindi
sapienza
onnisciente, capace di
dareunsensoatutto,o
scienza senza limiti. Il
suo vuoto è, per così
dire, la camera di
compensazione
per
abituare la coscienza al
puro «etere»[82] del
sapere sistematico, del
mondo
nuovo
in
potenza che ora appare
come una «ghianda». Il
sapere, insomma, è qui
«assoluto» perché può
oracominciare,comein
Cartesio o in Fichte, a
costruire da sé, ma
avendo alle spalle il
ricordo della strada
percorsa: «Consistendo
la sua perfezione nel
sapereperfettamenteciò
ch’esso è, ossia la sua
sostanza, questo sapere
è il suo insearsi, nel
quale
lo
spirito
abbandonailsuoesserci
e ne consegna la figura
alla memoria. Nel suo
insearsi lo spirito è
calato
nella
notte
dell’autocoscienza; ma
ivi è conservato il suo
dileguato esserci; e
questo tolto esserci, –
quello di prima, ma
rinatoororadalsapere,
– è il nuovo esserci, un
mondo nuovo e una
nuova figura spirituale.
In essa e con la sua
immediatezza,lospirito
ha da ricominciare da
principio,
in
modo
altrettanto fresco, e da
farsigrandepartendoda
essa, come se tutto ciò
che precede fosse per
luiperduto,edessonon
avesse imparato nulla
dall’esperienza
degli
spiriti antecedenti. Ma
la memoria
li
ha
conservatiedèl’interno
elaforma,ineffettopiù
elevata, della sostanza.
Se
dunque
questo
spirito ricomincia da
principio la sua cultura
sembrando prender le
mosse soltanto da sé,
tuttavia esso comincia
in pari tempo da un
grado
più
alto»[83].
L’Erinnerung del sapere
assoluto non è dunque,
come sostiene Bloch,
rinuncia
all’aspetto
progressivo
della
dialettica a favore di
una ruminazione del
passato,diunconoscere
platonicamente uguale
al ricordare, di una
«malia
dell’anamnesi»[84],nonè
ricordo come mera
catalogazione di dati,
unasortadicontenitore
o ripostiglio in cui si
raccolgono frammenti
del passato, ma è
piuttosto
vicino
alla
platonica ἀνάµνεσις, al
rimando reciproco di
ricordi che, nella loro
somiglianza, rinviano al
futuro
in
quanto
proiezione dell’indagine
intrapresa (sarei tentato
di
tradurre
proustianamentequesto
termine con recherche):
«Se uno, veduta una
cosaouditalaoavutane
comunque
un’altra
sensazione,
non
solamente venga a
conoscere quella cosa,
ma anche gliene venga
in mente un’altra –
un’altra di cui la
cognizione non è la
medesima,madiversa»,
allora, al pari degli
«innamorati
che,
vedendo
la
lira,
rivedono
la
figura
dell’amato», egli sta
compiendo una ricerca,
creando un tessuto
connettivo di pensieri,
sentimenti e immagini,
articolando
e
arricchendo la propria
esperienza»[85].
L’anamnesis è quindi,
anche
per
Hegel,
conservazione
dell’«esistenza
precedente»
nell’interiorizzazione
del ricordo (Er-innerung)
sottratto al suo essere
sprofondato
nella
«notte» della coscienza
che lo conserva. È
raccoglimentoprimadel
balzo; è, come Hegel
diceinuntestocoevoal
capitolo sul «sapere
assoluto»,
ossia
la
Prefazione
della
Fenomenologia[86],
una
ricapitolazione
delle
figure
depotenziate
dello spirito prima di
affrontare un’ulteriore
avanzata: «L’individuo
percorre questo suo
passato, la cui sostanza
è quello spirito che sta
più in su, proprio come
colui che è sul punto di
avventurarsi in una
scienza
superiore,
percorre le cognizioni
preparatorie, già in lui
da
lungo
tempo
implicite, per rendersi
presente
il
loro
contenuto; e le rievoca
senzachequiviindugiil
suo interesse»[87]. In
genere questo aspetto
resta nascosto per due
motivi:a) perché non si
vede la Fenomenologia
come parte di un
insieme sistematico –
quale
Hegel
progettava –, e
lo
si
considera il suo finale
davvero
un
finale
«assoluto», invece che
uninizio«inparitempo
daungradopiùalto»;b)
perché
l’apparente
punto
morto
dell’Erinnerung
viene
interpretato come un
ripiegamento in se
stessi
e
non,
contemporaneamente,
come il punto di
inversione – l’apparente
velocità zero al culmine
dellatraiettoria,analoga
all’exaiphnes platonico,
almomentoimprovviso,
inclassificabile (atopos)
ed extraterritoriale al
tempo[88] – che precede
e accompagna ogni
rivoluzionedellospirito.
Perciò anche Fries, in
una lettera a Jacobi del
20dicembre1807,aveva
intesoilsapereassoluto
comesempliceristagno:
perHegel,dice,«nonha
valore alcuna verità
stabile, bensì solo la
verità nel suo fluire […]
Ma in quanto Hegel, al
culmine di tutte queste
panoramiche
del
mondo,ponedinuovoil
sapere assoluto, che
deve essere qualcosa di
più che non gli altri
modi del conoscere,
contraddice se stesso.
Infatti, la verità vera
non è più il fluire, ma
soltanto il Mar Morto
dell’assoluto, in cui si
riversa e alla cui
spiaggia
finalmente
giungiamo»[89].
Hegel
stesso
però
aveva
offerto la giusta chiave
di lettura della sua
opera, come sapere in
divenire e prima parte
di
un
sistema,
nell’autopresentazione
(Selbstanzeige)
della
Fenomenologia apparsa
sulla
«Allgemeine
Literaturzeitung»diJena
del 28 ottobre 1807:
«Questo volume espone
il sapere in divenire. La
fenomenologia
dello
spirito deve prendere il
posto delle spiegazioni
psicologiche o delle più
astratte discussioni sul
fondamento del sapere.
Essa
considera
la
preparazione
alla
scienza da un punto di
vistapercuiessastessa
è
una
nuova,
interessante
scienza
prima della filosofia.
Essaabbraccialediverse
figure dello spirito come
stazioni della strada in
sé, attraverso le quali
esso diviene sapere
puro o spirito assoluto
[…] La ricchezza dei
fenomeni dello spirito,
che si presenta a un
primo sguardo come
caos, è portata a un
ordine scientifico […]
Un
secondo
volume
conterràilsistemadella
logica, come filosofia
speculativa, e le due
rimanenti parti della
filosofia, le scienze della
natura e dello spirito».
Ma, si sa, con la
«catastrofe
jenese»,
Hegel fu ridotto dalla
guerraallamiseria,ebbe
la casa saccheggiata dai
soldati francesi, dovette
abbandonare il suo
posto all’università e
ricominciare da capo
una nuova vita, a
trentasette anni e in
una situazione precaria:
dapprima
come
giornalista a Bamberga,
quotidianamente
a
caccia di notizie e in
lottaconlacensura,poi,
come
rettore
del
ginnasio di Norimberga,
carico di lavoro e con
preoccupazioni
finanziarie. Il progetto
di un secondo volume
fucostrettoadaspettare
e, nel frattempo, a
modificarsi, anche sulla
base di circostanze
esteriori. Così, quando
nel 1812 apparve infine
il primo tomo della
Scienzadellalogica,Hegel
poté
scrivere
a
Niethammer: «Non è
pocoscrivere,nelprimo
semestre del proprio
matrimonio, un libro di
trenta fogli del più
astruso contenuto. Ma
iniuriatemporum!,ionon
sono un accademico;
per
dargli
forma
conveniente
avrei
dovuto
impiegare
ancoraunanno,mentre
ho bisogno di denaro
per vivere»[90]. Tuttavia,
malgrado
ogni
mutamento
di
prospettiva, mai la
Fenomenologia
fu
considerata un’opera a
sé,conchiusa.
Soprattutto dalle sue
pagine finali è però
derivatalatesidiKojève
secondo cui il sapere
assoluto coincide con la
«Saggezza», la capacità
di dare un senso al
Tutto una volta giunti
alla
«fine
della
storia»[91]. L’idea di
«Saggezza» è, infatti,
esplicitamente
connessa alla nozione
hegeliana di «Sapere
assoluto (= Saggezza o
Verità discorsive)», che
«risulta
dalla
‘comprensione’ o dalla
‘spiegazione’dellastoria
integrale (o integrata
entroemediantequesto
stesso
Sapere)
per
mezzo di un ‘discorso
coerente’
(Logos)»[92].
Nel Sapere assoluto la
storia coincide secondo
Kojève con l’eternità
(ossia, per lui, con la
totalità
del
tempo
umano).Finchénonsiè
giuntiaquestostadio,il
filosofononèancoraun
saggio. Può, dunque – e
deve – partecipare alla
politica, influire sulla
prassi.
7.Assimilarela
tradizionevivente
Bisogna
che
l’eredità
della
filosofia
classica
tedesca
sia non
solo
inventariata,
ma fatta
ridiventare
vita
operante.
Gramsci,
Il
materialismo
storicoela
filosofiadi
B.
Croce[93].
«L’animale
compie
presto
la
sua
educazione: ma non si
deve considerare ciò
come un benefizio della
natura per l’animale. Il
suo crescere è solo un
rinforzarsi
qualitativamente»[94].
L’uomo invece, rispetto
all’animale,
ha
un’infanzia più lunga e
un’educazione
più
prolungata,
ma
in
compenso in quest’arco
di
tempo
si
impadronisce di tutta
l’esperienza
storica
accumulata dal genere.
«Nelle altre classi di
animali – dice Ferguson
– l’individuo avanza
dall’infanzia
alla
maturità e, nel giro di
una
singola
vita,
acquista
tutta
la
perfezione che la sua
natura è in grado di
conseguire; ma, per
quello che concerne gli
uomini, c’è progresso
sia nella specie, sia
nell’individuo.
Essi
costruiscono in ogni età
successiva,
su
fondamenta che sono
state poste nell’età
precedente e, nella
successione degli anni,
tendono a un grado di
perfezione,
nell’esercizio delle loro
facoltà,cheèilrisultato
di una lunga esperienza
odellosforzocongiunto
di più generazioni»[95].
Anche Hegel delinea
così
l’educazione
dell’individuorispettoal
genere umano, con
l’aggiunta significativa
che il singolo, nel rifare
la strada del genere,
trova
il
cammino
spianato: «Il singolo
deveripercorrereigradi
di formazione dello
spirito
universale,
anche
secondo
il
contenuto, ma come
figure dello spirito già
deposte, come gradi di
una via già tracciata e
spianata.
Similmente
noi, osservando come
nel campo conoscitivo
ciòcheinprecedentietà
teneva all’erta lo spirito
degli adulti è ora
abbassato a cognizioni,
esercitazioniefingiochi
da
ragazzi,
riconosceremmo quasi
in
silhouette
[im
Schattenrisse],
nel
progressopedagogico,la
storia della civiltà»[96].
Le
grandi
scoperte
scientifiche,
che
avevanopostoatestain
giùlacoscienzacomune
dei
contemporanei,
vengono
nell’educazione
riportateacognizionida
ragazzi, entrano a far
partediunacostruzione
logico-didattica che ha
un ordine diverso da
quello
cronologico,
articolandosi in un
insieme coerente di
passaggi, non previsti,
di volta in volta, dai
singoli scienziati o
pensatori, guidati nello
sviluppo della verità
solo dall’istinto della
ragione. Ora, invece, in
qualsiasi manuale di
geometria, di fisica, di
botanica, in parte di
storia della filosofia,
quelle scoperte che
hanno «tenuto all’erta»
le menti degli uomini
più
svegli,
meno
dormiglioni,«berrettida
notte», sono lì, allineate
e
articolate
in
concatenazioni
sistematiche. Oppure:
l’azione collettiva di
tutte le generazioni – e
non solo degli individui
che hanno segnato la
storia universale, i
cosiddetti
«individui
cosmico-storici», che la
organizzano
–
si
cristallizza negli istituti
giuridico-politici dello
«spirito oggettivo» o si
fa avanti nel divenire
della
storia.
Ogni
individuo
assimilando
vive
questo
prodotto di generazioni,
di tutti e di ciascuno,
senzadoverpartireogni
voltadazero.
Certo,
lo
spirito
oggettivo,
questo
prodotto
collettivo
spesso
domina
i
produttori,
tragga
la
sebbene
propria
esistenza solo dal loro
lavoro e dal loro
consenso
implicito.
Così, ad esempio, le
forme della famiglia,
dellasocietàcivile,dello
Stato, la lingua, il
costume e la cultura si
generano
sviluppano
e
si
per
oggettivazione
o
alienazione
(Entäusserung, nel senso
etimologico
di
«estrinsecazione», ossia
il
contrario
della
interiorizzazione,
dell’Erinnerung, che è la
revocadell’Entäusserung)
[97]; ma poi avvolgono
l’individuo fin dalla
nascita
nella
loro
atmosfera impalpabile,
ne organizzano la vita
secondo
binari
relativamente
rigidi,
penetrano nei suoi più
intimi recessi, lo pre-
condizionano.
Hegel
aspira
alla
libertà degli individui
all’interno della società,
ma – per fare in modo
cheessinonnevengano
assorbiti, che non siano
annullati nello «spirito
oggettivo»,
nelle
istituzionienellastoria,
per non consegnarli
quindi all’alienazione –
deve
concepire
la
società, lo Stato e la
storiacomeprodottidel
loro agire, in parte
inconscio e sottoposto
all’eterogenesi
dei
fini[98].
Nell’eticità
(Sittlichkeit) hegeliana il
singolo è libero e trova
un senso al suo agire
quandoirapportisociali
in cui è inserito gli
appaionorazionalmente
giustificabili,
seppure
all’interno
degli
inevitabili conflitti e dei
valori
storicamente
vigenti nella comunità
di cui fa parte. Questo
stadio,perHegel,èstato
raggiunto solo in età
moderna, per effetto
dellascopertadellearmi
da fuoco, che tolgono
valore
all’eroismo
individuale,
e,
soprattutto,
della
Riforma, che ha abolito
la «positività» della vita
religiosa tra i popoli
germanici
(che
includono non solo i
tedeschi,
ma
gli
scandinavi, i britannici,
gli
svizzeri
e
gli
olandesi, con l’ovvia
anomaliadegliaustriaci)
[99].
Finché
questo
processo inconscio di
assorbimento
dello
spirito
oggettivo
è
soltanto subìto dal
singolo,
questi
è
costretto ad accettare
passivamente o con un
senso di inspiegabile
malessere
quelle
istituzioni
oscuramente
che
avverte
come inadeguate. Ma
quando
prende
coscienza dello spirito
oggettivo,
quando
procede alla revoca
della alienazione – che,
malgrado tutto, Hegel
ha
distinto
dall’oggettivazione
e
dall’estraneazione[100] –,
alla assimilazione di
tutto ciò che dapprima
gli appare come «sua
natura
inorganica»,
allora può veramente
farlasua,interiorizzarla,
trasformarla in cibo
adeguato e modificarla.
La
dialettica
Entäusserung-Erinnerung
ha soprattutto questo
significato. Al pari della
comunione
luterana,
anche qui le istituzioni,
lo «spirito oggettivo»,
non hanno alcun valore
senza la fruizione del
singolo,
senza
il
ritornare
soggetto,
in
sé,
nel
dall’alienazione.
Per
questo il soggetto è
vuoto qualora non si
riversi continuamente
nella Wirklichkeit e la
Wirklichkeit si degrada a
«positività» qualora non
venga ravvivata dal
consenso dei soggetti.
Se non si è capaci di
togliere alle istituzioni
l’apparenza
di
esteriorità
o
di
estraneità rispetto ai
singoli, esse non vivono
a lungo ed è giusto che
vengano
rovesciate.
Anche la cultura, del
resto, senza
veramente
essere
fruita,
diventa una «collezione
di mummie»[101]. Per
questo il consenso è
necessario
alle
istituzioni,elospiritoè,
inoltre, da intendersi
sostanzialmente come
epistrophe,
ritorno
dall’alienazione, presa
di possesso di quanto è
stato prodotto dagli
uomini
in
modi
relativamente inconsci,
Itaca spirituale in cui
ciascuno
incontra
finalmentesestessoper
come è divenuto grazie
alle istituzioni e alla
civiltàincuisiètrovato
a vivere e che ha
contribuito, seppur in
misura
minima,
a
modificare. Vi è qui
implicito
il
riconoscimento che è
esplicito nella Filosofia
della storia: nei suoi
progetti e nelle sue
azioni, l’uomo è mosso
soprattutto
dalla
passione,
che
è
«qualcosa
di
animalesco»[102],
da
opachi interessi i cui
portatori
perseguono
istintivamente i loro
scopi,
senza
ben
conoscerli.
Eppure,
malgrado il fatto che il
prodotto collettivo delle
azioni di tutti e di
ciascuno
non
sia
immediatamente
riconosciuto dal singolo
anche
come
opera
propria, esso si origina
dal complicarsi delle
intenzioni
e
dei
comportamenti
(consapevoli o,
più
spesso, inconsapevoli)
degli individui. Ogni
nostro atto entra nel
circolo della società e
della
storia
come
quantità evanescente
cheincideperòsultutto
e che, una volta
raggiunto
cumulativamente
un
certogrado,sitrasforma
inunrapportonuovo,in
grado di creare e di
distruggere determinate
situazioni
proporzionalmente alla
suaforzad’urto:«Talora
vediamo il più vasto
corpo di un interesse
generale procedere con
maggior difficoltà e
disgregarsi, lasciato in
preda a un infinito
complesso di piccoli
rapporti;taloravediamo
nascere il piccolo da un
enorme spiegamento di
forze, e l’enorme da ciò
che
appariva
insignificante»[103].Mail
nostro contributo non
sempre si distingue
perché le passioni e i
progetti si elidono a
vicenda e la razionalità
nascepropriodaquesta
elisione, dall’utilizzare
le passioni contro le
passioni,
l’animalità
contro l’animalità o gli
elementi contro gli
elementi, come accade
quando si costruisce
una casa: «tutti gli
elementi
debbono
aiutarlo
[l’uomo]
nell’impresa. Eppure la
casa è lì per proteggere
gli uomini contro gli
elementi […] In modo
analogosisoddisfanole
passioni: esse attuano
se stesse e i loro fini
secondo la loro finalità
naturale,
e
fanno
sorgere l’edificio della
società umana, in cui
hanno
conferito
al
diritto e all’ordine il
potere
contro
loro
medesime»[104]. Ma le
passioni non sono che
un
ingrediente,
l’«ingrediente attivo», è
vero;
ma
l’altro
ingrediente
è
«il
momento
razionale»[105], quello in
cui lo spirito ritorna in
sé dall’alienazione e
dall’animalesco
e
procede
al
riconoscimento del già
fattoeallapreparazione
del da farsi, in una
continua
oscillazione
che è però una crescita
esponenziale
della
realtà,unarricchimento
continuo attraverso la
reciproca conversione
dei due ingredienti.
Nessuno dei due, del
resto,
può
esistere
separatamente, perché
la ragione costruisce
con l’«animalesco» e
questo, a sua volta,
contiene già la ragione
come sua causa finale,
anche se la causa
efficiente delle passioni
èl’interesse.
È bensì vero, sotto
questo aspetto, che la
storia umana è per
Hegel un processo di
alienazione cominciato
da sempre, un «processo
senza
soggetto»,
oggettivamente
impersonale[106].Macon
l’aggiunta che, secondo
Hegel, al di sopra della
storia c’è lo «spirito
assoluto», il ritornare in
sé dall’alienazione dello
spirito nello spirito
oggettivo e nella storia,
la
mediazione
del
singoloconl’universale,
ossia, in un linguaggio
diverso, l’esistenza di
meccanismi
di
riappropriazione e di
comprensione
del
proprio agire e della
propria sfera di vita in
istituzioni
transstoriche: nell’arte, nella
religioneenellafilosofia
(o scienza). In esse il
soggetto,cheemergeda
quella che Hegel aveva
chiamato
nella
Fenomenologiadellospirito
la «sostanza», si prende
la rivincita e fruisce al
livello più alto dei
prodotti collettivi del
genere umano, intuisce,
sente
o
sa
di
appartenere a un tutto
che non è soltanto
processo
senza
soggetto,
meramente
oggettivo e alienato, ma
anche
progetto
di
riappropriazione
del
processo
oggettivo,
messo, appunto, in
opera dall’energia della
soggettività
giunta
all’universale.Chepoila
soluzione
sia
inadeguata, in quanto
non coglie alla radice le
cause
dell’opacità
dell’agire umano o di
queiconflittidiinteressi
talmente antagonistici
che
la
loro
composizione resta un
mistero per il singolo, è
qualcosa che per ora
non ci riguarda, così
come non ci tocca
ancora
direttamente
l’ipotesi che lo spazio
dell’alienazione,
la
dialettica
di
un
estrinsecarsiinconscioe
di
un
recupero
cosciente,corrispondaa
una prassi storica o di
classereale.
Prima di rispondere a
questi
problemi,
bisognerà ancora una
volta spiegare la realtà
dell’apparenza,
domandarci
perché
Hegel si rappresenti il
proprio tempo come
una
gigantomachia
spirituale (ammettendo
che
questa
sia
l’immagine che ne ha),
ricordandoquantoMarx
sostiene nel Capitale,
allorché spiega perché
all’interno
di
una
determinata società i
rapporti fra uomini si
presentino
fenomenicamente come
rapporti fra cose, o
perché il «capitalista
pratico»
concepisca,
senza alcuna malafede,
lo scambio salariolavoro
come
un
contratto equo, uno
scambiodiequivalentie
non riesca invece a
scorgere in esso la
dissimmetria del pluslavoro
e
dello
sfruttamento,
lo
scambio
ineguale[107].
Secondo i noti e
ampiamente
discussi
passidelCapitale,anche
la merce, al pari delle
categorie
hegeliane,
contiene il segreto del
nesso realtà/apparenza:
essa è «una cosa
imbrogliatissima, piena
di
sottigliezza
metafisica e di capricci
teologici». Un tavolo, ad
esempio, come valore
d’uso non ha niente di
incomprensibile,
ma
non«appenasipresenta
come merce, il tavolo si
trasforma in una cosa
sensibilmente
sovrasensibile.Nonsolo
sta coi piedi per terra,
ma, di fronte a tutte le
altre merci, si mette a
testaingiú,esgomitola
dalla sua testa di legno
dei grilli molto più
mirabili
che
se
cominciasse
spontaneamente
ballare»[108]. Ma
a
per
capire l’essenza della
merce non è sufficiente
rimettere il tavolo coi
piedi per terra, così
come
non
basta
camminareallamaniera
di
Diogene
per
confutare le aporie del
movimento. La realtà
dell’apparenza trova la
suasoluzionesoloinun
modello più ampio che
salvi i fenomeni. In tal
modo,
il
sistema
copernicano,
ad
esempio, spiega meglio
di quello tolemaico le
«apparenze»
delle
stazioni,retrogradazioni
ed
elongazioni
dei
pianeti,
e
rende
superflua la teoria degli
epicicli e dei deferenti;
del pari, il Capitale
spiega l’«arcano della
merce» o la coscienza
del «capitalista pratico»
non solo con un
meccanico
rovesciamento
(come,
fino a un certo punto,
fece Aristarco di Samo
per l’eliocentrismo), ma
con un ritornare sui
piedi, un legittimarsi
dell’apparenza,
attraverso i molteplici
passaggi e le diverse
Umkehrungen
del
sistema complessivo. In
breve,
comprendere
l’apparenza è sottrarla
al
suo
isolamento
inserendone le ragioni
in
una
cornice
concettualepiùgrande.
Anche
interpretare
Hegel
significa,
in
questo
quadro,
rovesciarlo nella misura
in cui il nostro tempo
appreso in pensieri non
è
più
il
suo,
comprenderlo
all’interno
di
un
orizzonte che spieghi
anchelesueapparenze;
ma con l’avvertenza di
non considerarlo un
«cane morto», proprio
perchéspiegarelarealtà
delle sue apparenze è il
modo migliore per
commisurare il nostro
tempo
appreso
in
pensieri con il suo
tempo e con il suo
pensiero, capire cosa ci
tengaancoralegatialui
per decifrare il senso di
problemi ancora aperti
che
ci
riportano
apparentemente
indietro. Per questo,
come segno dei nostri
tempi, si può osservare
come
la
filosofia
hegeliana, dopo essere
stata a lungo vilipesa
nell’ambitodelpensiero
anglossassone
del
Novecento (soprattutto
dai filosofi analitici),
goda
negli
ultimi
decenni
di
una
attenzione e di un
prestigio tale che – in
particolare rispetto agli
Stati Uniti – si parla
ormai
di
una
consolidata
HegelRenaissance,
i
cui
rappresentanti maggiori
sono Stanley Rosen,
CharlesTaylor,RobertB.
Brandom, Terry Pinkard
e Robert B. Pippin[109], i
quali
piegano
comprensibilmente
il
pensiero hegeliano alle
lorotradizioniculturali.
Solo quando ci si
appropria
di
quel
passato che agisce
ancora nel presente, ed
è
leibnizianamente
gravido di futuro come
una molla compressa,
solo allora si entra nel
corso della tradizione
viva,
del
«fiume
impetuosochetantopiù
siingrossaquantopiùsi
allontana dall’origine».
Essocessacosìdiessere
un
indecifrabile
«geroglifico» e alimenta
in
maniera
non
«positiva» la vita dei
popoli e dei singoli: «La
tradizione
non
è
soltanto una massaia
chesilimitaacustodire
fedelmente quel che ha
ricevuto e a conservarlo
e
a
trasmetterlo
immutato ai posteri […]
La tradizione non è una
statua immobile, ma
viveerampollacomeun
fiume impetuoso che
tanto più s’ingrossa
quanto più s’allontana
dalla sua origine. Il
contenuto di essa è
costituito da ciò che il
mondo spirituale ha
prodotto; e lo spirito
universale non riposa
mai […] E ciò che in tal
modo ogni generazione
hafattonelcampodella
scienza,
della
produzione spirituale, è
un’eredità,
cui
ha
contribuito con i suoi
risparmi tutto il mondo
anteriore,
è
un
santuario,allecuipareti
gli uomini d’ogni stirpe,
grati e felici, hanno
appeso ciò che li ha
aiutatinellavita,ciòche
essi hanno attinto alle
profondità della natura
e dello spirito. E
quest’eredità è a un
tempo un ricevere e far
fruttarel’eredità.Questa
plasma l’anima di ogni
generazione seguente,
ne forma la sostanza
spirituale sotto forma
d’abitudine,
ne
determinalemassime,i
pregiudizi, la ricchezza;
e nello stesso tempo il
patrimonio
ricevuto
diventa a sua volta
materiale disponibile,
che viene trasformato
dallo spirito. In guisa
checiòchesièricevuto
viene mutato, e la
materiaelaboratagrazie
appunto
all’elaborazione
s’arricchisce e al tempo
stesso si conserva.
Questa è precisamente
la posizione e la
funzionedell’etànostra,
come di ogni altra:
impadronirsi
della
scienza già esistente,
assimilarla, e in tal
modoappuntosvolgerla
e portarla a grado più
elevato.
Nell’appropriarcela, noi
ne facciamo qualche
cosa di nostro in
confronto a ciò ch’essa
era
precedentemente»[110].
La tradizione diventa
forza viva, continuità
creatricedell’esperienza
delgenere,quantopiùè
compenetrata
e
rinnovata dai singoli,
quanto più essi sanno
modificarla dall’interno,
essere non migliori del
proprio tempo, ma «il
propriotemponelmodo
migliore»[111].
Nel
mobilitare
tutto
il
passato
comprendere
per
il
presente, nell’intendere
il presente non come
epoca statica, ma come
fronte che avanza in
una compatta «falange
corazzata», Hegel ha
colto
una
nuova
dimensione della storia
moderna. L’area dei
soggetti attivi aumenta
nel
mondo
in
proporzione
all’estendersi
della
«libertà di tutti»: la
storiahafinitodiessere
gestita
nell’interesse
esclusivo dei Grandi
dellaTerraperdivenire,
in un processo sempre
in
corso,
opera
collettiva; lo scavare
dellatalpaèorapiùche
mai risultato dell’agire
di tutti. E persino i
cosiddetti
«individui
cosmico-storici»
non
sono per Hegel eroi alla
Carlyle, ma funzionari
della storia, interpreti e
realizzatori di bisogni
collettivi,cherestanoin
sella allo «spirito del
mondo» solo finché
sonoingradoditrottare
o galoppare al suo
passo, finché rivelano
aglialtriladirezionedei
loro
interessi
oscuramente percepiti:
«Essi attingono il loro
fine e la loro missione
non
dal
sistema
tranquillo e ordinato,
dal consacrato corso
delle cose. La loro
giustificazione non è
nello stato di cose
esistente; è un’altra
sorgente quella a cui
attingono. È lo spirito
nascosto, che batte alle
portedelpresente,cheè
tuttora sotterraneo, che
nonèancoraprogredito
a esistenza attuale ma
che vuole prorompervi;
lo spirito per cui il
mondo presente non è
che un guscio, il quale
contiene in sé un
nocciolo diverso da
quello che converrebbe
al guscio […] Essi
conoscono
bensì
e
vogliono la loro opera,
perché è giunto il suo
tempo. Essa è ciò che
già esiste nell’intimo.
Loro
compito
era
conoscere
questo
universale, cioè il grado
necessario e supremo
del
loro
mondo,
proporselo come fine e
mettere in esso la loro
energia. Essi hanno
attinto a se medesimi
l’universale che hanno
recato in atto […] In
quanto
l’attingono
dall’intimo, da una
fonte che prima non
sussisteva
ancora,
sembra che essi lo
traggano soltanto da
loro stessi; e le nuove
situazioni mondiali, le
gesta
che
essi
realizzano
come loro
appaiono
creazioni,
loro interesse e loro
opera. Ma essi hanno il
dirittodallaloro,perché
sono i veggenti; essi
sannoqualesialaverità
del loro mondo e del
loro tempo, quale sia il
concetto,
l’universale
prossimoasorgere;egli
altri, come si è detto, si
riuniscono intorno alla
loro bandiera, perché
essi esprimono ciò di
cui è giunta l’ora […] Lo
stato del mondo non è
ancora conosciuto; il
fine è di produrlo.
Questo è lo scopo degli
uomini cosmico-storici,
edessivitrovanolaloro
soddisfazione»[112].
Sotto la veste di
creazione «popolare»,
sulla scia di Herder,
Hegel
ha
preso
coscienzadelpoteredel
collettivo nella «società
moderna»:
i
veri
protagonisti della storia
non sono i singoli, ma i
popoli. Gli individui
eminenti, i «geni», sono
soltanto le espressioni
piùaltedelpopoloodel
tempo, sue variabili
dipendenti, ma nello
stesso
tempo
suoi
incrementi, fini della
tradizione vivente che
in
essi
giunge
a
compimento. Così è
nella politica e nelle
altre attività umane;
cosìènell’arte:«L’opera
d’artedellamitologiaha
le sue radici nella
tradizione
vivente.
Come le stirpi crescono
nella
progressiva
liberazione della loro
coscienza,
così
anch’essa cresce, si
purifica
e
diventa
matura. Tale opera
d’arte è tanto un bene
universale che un’opera
di
tutti.
Ogni
generazione
la
tramanda alla seguente
abbellita
oppure
continua a lavorare per
la liberazione della
coscienza
assoluta.
Coloro che si chiamano
geni hanno acquistato
una qualche particolare
abilità
con
cui
trasformano in opera
propria le forme del
popolo,
come
altri
trasformano altro. Ciò
che essi producono non
è una loro invenzione,
ma l’invenzione di un
intero popolo, ossia il
ritrovamento di ciò che
un popolo ha trovato
nella propria essenza.
Quel che appartiene
all’artista in quanto
singolo è la sua attività
formale,
la
sua
particolareabilitàintale
tipodirappresentazione
e a questa stessa egli è
stato educato dalla
abilità universale. Egli è
simile a colui che si
trova fra dei muratori
che costruiscono un
arco di pietra, la cui
armatura è presente in
modo invisibile come
idea. Ognuno aggiunge
la sua pietra. Lo stesso
vale per l’artista. Gli
capita casualmente di
essere
l’ultimo;
in
quanto pone la pietra,
l’arcosostienesestesso.
Vedendo che, poiché ha
posto questa pietra,
l’intero è diventato un
arco, lo dice ed è
ritenuto
l’inventore
dell’arco. Lo stesso
succede fra gli operai
che scavano alla ricerca
di una sorgente: colui a
cui tocca il compito di
portarvial’ultimostrato
di terra ha lavorato
come gli altri, ma chi fa
sgorgare
l’acqua
è
lui»[113]. Allo stesso
modo, anche la filosofia
non deve essere ricerca
di originalità a ogni
costo, «idiosincrasia di
alcune
teste
trascendentali»,
ma
«patrimonio comune»
(Gemeingut):
il
suo
compito è di rendere
«evidente,comunicabile»e
accresciuto
questo
lascito collettivo, di
elaborarlo
scientificamente; infatti
solo
una
«filosofia
formata
scientificamente già nel
suostessoambitorende
giustizia al pensare
determinato
e
alle
conoscenzefondate,eil
suo
contenuto,
l’universale
delle
relazioni spirituali e
naturali,conducedipersé
immediatamente
alle
scienze positive, le quali
mostrano a essa in
forma concreta ulteriori
compimenti e sviluppi,
tanto
che,
inversamente, il loro
studio
si
dimostra
necessario per una
profonda comprensione
della
stessa»[114].
filosofia
Da ciò deriva l’intima
storicità di tutte le
manifestazioni
dello
spirito, sebbene, per la
forma, si pongano al di
sopra
dell’immediata
storiadelpresente.Esse
rivelanoquantosiviene
producendodapartedel
genere
umano
in
intuizioni,
rappresentazioni
e
pensieri. Arte, religione
efilosofiasonoquindiil
linguaggio più pieno di
comunicazione
dell’intero:
prendiamo
in
esse
coscienza
del Tutto, che si muove
altrimenti inavvertito,
lontano o al di fuori del
nostro sguardo. Anche
nella
pittura,
ad
esempio,
ricreiamo
soggettivamente,
«nell’elemento sensibile
del colore e della luce»,
quel mondo storico che
ci circonda e di cui
generalmente non ci
accorgiamo.
Lo
strappiamo
all’immediatezza
del
noto e del già visto e lo
riscopriamo all’interno
delpiùvastoprocessodi
produzione spirituale,
riconoscendo in esso,
anche come fruitori, la
nostra partecipazione.
Nellapitturaolandesesi
manifesta
così,
ad
esempio,
la
nuova
attenzionechelospirito
moderno dedica alla
vitaterrena,quotidiana,
e ai suoi bisogni, dopo
aver raffigurato per
secoli angeli, santi e
Madonne: «In tal modo
per es. la pittura
olandese ha saputo
trasmutare in mille e
mille effetti le esterne,
fuggevoliparvenzedella
natura
in
quanto
ricreate
dall’uomo.
Velluto, splendore di
metalli, luce, cavalli,
servi, vecchie, contadini
che soffiano il fumo
dalla pipa, il brillare del
vino
in
bicchieri
trasparenti, gente in
giacche bisunte che
giuoca con vecchie
carte, questi e cento
altrisoggettidicuinella
vita quotidiana appena
ci curiamo – giacché
anche
noi
quando
giochiamo
a
carte,
beviamo
e
chiacchieriamo
di
questo o di quello,
siamo pieni di tutt’altri
interessi – ci sono posti
dinanzi
in
questi
quadri»[115]. Parimenti,
al
livello
religioso,
anche nel culto egizio
degli
animali
si
manifesta il momento
storico
in
cui
la
soggettività
umana
vieneperlaprimavolta
colta e rappresentata,
ma
sotto
forma
inconscia e naturale:
«Se
Dio
non
è
conosciutocomespirito,
ma come la potenza in
genere, questa potenza
è azione inconscia,
qualche
cosa
di
genericamente vivente:
talepotenzainconsciasi
esprime poi in una
fıgurazione, dapprima
nella forma animale.
L’animale
stesso
è
inconscio, conduce una
vita rinchiusa in sé,
oscuraeottusadifronte
al
libero
arbitrio
dell’uomo, cosicché può
sembrare che abbia in
sé
questa
potenza
inconsciacheagiscenel
tutto.
In
modo
specialmente strano e
caratteristico
ci
si
presenta la figurazione
percuisacerdotiescribi
appaiono spesso nelle
rappresentazioni
plastiche e nelle pitture
con maschere animali;
altrettanto facevano gli
imbalsamatori per le
mummie.
Quel
raddoppiamento
con
una maschera esteriore,
chenascondesottodisé
un’altra forma, dà a
vedere che la coscienza
non
è
soltanto
sprofondata nell’ottusa
vitalitàanimale,bensìsi
sa anche separata da
essaeinciòsiriconosce
un
ulteriore
significato»[116].
Nel
culto degli animali gli
egizi
prendono
coscienza
del
loro
ambiente
geografico,
dell’«infinito brulicare
della vita animale»
lungo il Nilo[117] e si
innalzanoaldisopradei
culti solari o astrali,
iniziando la scoperta
dell’interiorità dal suo
gradino più basso: «gli
Egizi hanno intuito nel
mondoanimalel’intimo
e
l’incomprensibile.
Anche
noi,
contemplando la vita e
il comportamento degli
animali,
ammiriamo
sorpresi i loro istinti, la
loro attività indirizzata
a un fine, la loro
irrequietezza,mobilitàe
vivacità:
essi
sono
infatti
estremamente
agili e abili per il
raggiungimento dei loro
scopi vitali, e nello
stesso tempo muti e
chiusi. Non si sa cosa
sia celato in questi
esseri,enonsipuòaver
fiducia in loro. In un
gatto nero, dagli occhi
ardenti, ora strisciante
ora balzante, si sentiva
lapresenzadiunessere
cattivo, una specie di
spettro incompreso e
chiuso in sé»[118]. La
sfinge, metà figura
umana,metàanimale,è
l’enigma degli egiziani,
il loro intendere l’uomo
ancora come un ibrido,
legato
all’inconscia
natura ferina. La sfinge
viene uccisa da un
greco, che rivela il suo
enigmanell’uomo:«Una
sfinge,
l’immagine
egiziana
dell’enigma
stesso, comparve in
Tebe, e propose un
enigma così concepito:
“Che cosa è ciò che la
mattina cammina su
quattropiedi,amezzodì
su due, e alla sera su
tre?”. Il greco Edipo
risolse
l’enigma,
e
precipitò la sfinge dalla
rupe, dicendo che era
l’uomo.Questoègiusto:
l’enigma degli Egizi è lo
spirito,
l’uomo,
la
consapevolezza
della
sua essenza peculiare.
Ma
questa
antica
soluzione di Edipo, che
simanifestainciòcome
coluichesa,siaccoppia
in lui alla più enorme
ignoranza
circa
se
stessoecircaciòchefa.
Il sorgere della chiarità
spirituale nella vecchia
reggia è ancora legata
agli orrori nascenti
dall’ignoranza.
È
il
vecchio
dominio
patriarcale, cui il sapere
è
qualcosa
di
eterogeneo, e che ne è
perciò dissolto. Questo
sapere viene purificato
solo da leggi politiche;
nella sua immediatezza
esso è pernicioso»[119].
Edipo
ha
quindi
indovinato
l’uomo
dietro la sfinge, ma si
tratta di un uomo
ancora
immerso
nell’ignoranza,
nell’inconscio
della
sostanza. Per risolvere
più a fondo l’enigma
bisogna trasformarlo in
mistero, indovinare Dio
dietrol’uomo,attendere
la notte del Getsemani
«in cui la sostanza fu
tradita
e
si
rese
soggetto». Per concepire
l’uomo come spirito,
come attività, «Dio
presente»[120],
essere
cheattraversoil«dolore
infinito» ha soggiogato
la sua animalità e la
natura, si deve trovare
unasoluzionepiùaltadi
quella dei greci, che
hanno sviluppato il
pensierofinoagiungere
all’idea, ma non lo
hanno
colto
come
spirito[121]:
«Cristo,
rappresentato uomo, è
un
enigma
completamente diverso
da quello egizio. Questo
è il corpo animale dal
qualescaturisceunviso
umano – ma là è un
corpo umano dal quale
scaturisceilDio»[122].
8.Lospiritocome
revoca
dell’alienazione
Il
fanciullo
lancia
delle
pietre nel
fiume ed
ammira i
cerchi
che
si
disegnano
nell’acqua
come
opera in
cui
acquista
l’intuizione
di ciò che
èsuo.
Hegel,
Estetica[123].
Lo spirito si perpetua
nellatradizionevivente,
nella storia che si
rinnova, in cui ogni
generazione consegna
alla successiva il suo
lascito perché lo faccia
«fruttare». Così, nella
prolusione
di
Heidelberg,
del
28
ottobre 1816, Hegel
espone con accenni
commossi
questa
trasmissione
della
propria
esperienza
filosofica: «Sennonché
anche a noi l’angustia
dei
tempi
e
l’interessamento
destato
dai
grandi
eventi mondiali […]
hannoimpeditodipoter
attendere a fondo e con
serietà alla filosofia, e
hanno allontanato da
questa
l’attenzione
generale. È avvenuto
pertanto che mentre le
tempre meglio dotate si
volgevano verso la vita
pratica, in filosofia
alzavano la voce e si
facevano
largo
la
fiacchezza e la fatuità
[…]
Richiamare
la
filosofia dal deserto in
cui essa ha trovato
rifugio: ecco il compito
cui dobbiamo ritenerci
chiamati dal profondo
genio
dell’età.
Salutiamo l’alba di
un’etàpiùbella,incuilo
spirito finora attratto
verso l’esterno potrà
ripiegarsi su se stesso e
rientrare
in
sé
conquistando spazio al
suo proprio regno […]
Noi
vecchi,
che
diventammo uomini fra
le tempeste dell’età
nostra,
possiamo
considerare ben felici
voi che vivete in un
tempo in cui potete
dedicare
senza
preoccupazionilavostra
gioventú alla verità e
alla scienza […] Prima
condizione
della
filosofia è possedere il
coraggio della verità, la
fede nella potenza dello
spirito. L’uomo che è
spirito, può e deve
ritenersi degno delle
cose più elevate, deve
avere la più completa
fiducia nella grandezza
e potenza del suo
spirito; con questa
fiducia niente vi sarà di
così
refrattario
e
resistente
da
non
svelare il suo intimo.
L’essenza dell’universo,
in un primo tempo
celata e chiusa, non ha
forza da resistere al
coraggio
che
vuol
conoscerla:
deve
schiuderglisi
dinanzi
agliocchiemostrarglie
fargli godere la sua
ricchezza
profondità»[124].
e
Comenell’artel’uomo
intuisce il cammino
dello spirito e nella
religionelorappresenta,
allo stesso modo nella
filosofia lo pensa, con
un
massimo
profondità,
di
articolazione
e
di
fluiditàrispettoalledue
formeprecedenti.Perlo
spirito
umano
–
diversamente
dal
succedersi delle ere
geologiche o dal ciclo
dellespecieanimali–le
rivoluzioni non sono
finite, le stratifcazioni
dellacoscienzavengono
continuamente
sconvolte dallo «spirito
nascosto, che batte alle
porte del presente».
Proprio a causa di
questo
sviluppo
incessante è necessaria
l’interiorizzazione,
propria dell’Erinnerung,
che universalizza e
conserva le tappe del
mutamento. Nell’uomo,
in misura eminente,
l’evoluzione
è
«involuzione», ritorno a
sé;schellinghianamente
Odissea dopo l’Iliade.
Ma per Hegel ciò non
significa che la verità
abiti
nell’uomo
interiore; al contrario,
essa abita nel tutto di
cuiilsingoloèparteedi
cui
deve
prender
coscienza
in
un
continuo alienarsi e
revocare l’alienazione.
Lo spirito, opera di tutti
e
di
ciascuno[125],
pervade l’intera realtà,
ma è presente già
nell’individuo, e questo
ne
rende
possibile
l’assimilazione:
«Per
esempio, considerando
ciò che un libro è, nella
sua essenza, io posso
astrarredallarilegatura,
dallacarta,daicaratteri,
dalle
parole,
dalle
migliaia di lettere che
esso contiene; ma il
semplice
contenuto
generale,comeessenza,
non è esterno al libro.
Parimentilaleggenonè
fuori dall’individuo, ma
costituisce il vero modo
d’essere dell’individuo.
Pertanto l’essenza del
mio spirito risiede nel
mio spirito stesso, non
fuori; è il mio essere
essenziale,
la
mia
sostanza
medesima,
altrimenti io sarei privo
di essenza. Questa
essenza
rappresenta,
percosìdire,lasostanza
infiammabile, che può
venire
accesa
e
illuminata
dalla
sostanza universale, in
quanto tale, in quanto
oggettiva; e solo in
quanto nell’uomo esiste
questo
fosforo,
è
possibile il capire, sono
possibili la fiamma e la
luce»[126]. Da questo
puntodivista,lospirito
non è «una specie di
astrazione della natura
umana»[127], ma una
vivente presenza in
ciascuno,
che
si
trasforma in cultura,
tradizione,
costume,
lingua,
istituzioni,
storia, e si riassorbe in
arte, religione, filosofia,
scienza. Lo spirito è
pensiero, sentimento,
fantasia,
sensibilità,
azione,
creazione
collettiva che plasma i
singoliedèplasmatoda
essi,
che
permea
persino il corpo umano,
somatizzandosi:
«All’espressione umana
appartiene,
per
esempio, il portamento
eretto in genere, la
formazione in ispecie
della
mano
come
l’istrumento assoluto,
della bocca, riso, pianto
ecc., e il tono spirituale
diffusosultutto,ilquale
manifesta
immediatamente
il
corpo come l’aspetto
esterno di una natura
più
alta
[…]
Per
l’animale, la forma
umana è il modo più
alto in cui lo spirito gli
appare. Ma, per lo
spirito, la forma è solo
la
sua
prima
apparizione; e la lingua
èlasuaespressionepiù
completa»[128].Inquesta
«somatizzazione»
(Verleiblichung),lospirito
si manifesta soprattutto
nel viso – «sede vera e
propria dello spirituale»
–,nellaposizioneeretta,
prodotto non solo della
natura, ma frutto della
«energia della volontà»
umana
(mentre
«l’orang-utan riesce a
stare
diritto
solo
appoggiandosi a un
bastone»),enellamano,
«strumento
degli
strumenti»[129]. Perciò «la
figura umana non è,
come quella animale, la
corporeità
solo
dell’anima, bensì lo è
dello spirito. Spirito e
anima, in effetti, vanno
essenzialmente distinti.
Infatti
l’anima
è
soltanto questo ideale
semplice essere per sé
del corporeo come
corporeo, mentre lo
spirito è l’essere per sé
della vita cosciente e
autocosciente, con tutti i
sentimenti,
le
rappresentazioni e i fini
di questa esistenza
cosciente»[130].
Ogni
atteggiamento umano,
esteriore o interiore, è
compenetrato
dallo
spirito: come esiste nel
«pensiero criminale di
un
malfattore»,
lo
spirito si rispecchia
anche nell’accidentalità
e nella banalità delle
espressioni quotidiane:
«Così,
per
es.
osservando nei gesti e
nel
sembiante
le
persone
che
si
incontranoperlestrade,
soprattuttonellepiccole
città, si vede che molti,
anzi la maggior parte,
sono presi solo da se
stessi,
dai
loro
ornamenti e vestiti, in
generale dalla loro
particolarità soggettiva
oppure
dagli
altri
passanti e dalle loro
eventuali eccentricità e
bizzarrie»[131]. Lo spirito
diun’epocapenetracosì
dovunque, anche nelle
manifestazioni esteriori
opiùfrivoledellamoda,
che corrispondono però
a bisogni reali, sono
espressione di essi e
della loro mutevolezza:
«Le nostre maniche
strette e i nostri
pantaloni seguono i
contorni delle figure e,
rendendo
visibile
l’intera forma delle
membra,
sono
di
minimoimpedimentoal
camminare e al gestire.
Le lunghe ed ampie
vestieicalzoniasbuffo
degliorientalisarebbero
invece
del
tutto
incompatibili con il
nostromododivita,così
vivace e così pieno di
occupazioni, ma si
adattano solo a gente
che, come i Turchi, se
ne sta seduta tutto il
giorno con le gambe
incrociate
o
che
cammina lentamente e
con estrema gravità […]
Ciononostante
il
moderno
modo
di
vestire presenta a sua
volta
numerose
difficoltà,perilfattoche
èsoggettoallamodaedè
comunque
mutevole.
Infatti la razionalità
della moda consiste nel
fatto che essa esercita
sul gusto dell’epoca il
diritto di rinnovarlo
continuamente.
Un
abito passa ben presto
dimodanelsuotaglio,e
perpiacereènecessario
appunto che sia alla
moda. Ma se essa è
passata, cessa anche
l’assuefazione e quel
che pochi anni prima
ancora piaceva, diviene
subitoridicolo»[132].
Lo spirito che si
manifesta nel gestire e
nel vestire è lo stesso
che
pervade
ogni
aspetto della realtà:
«Qui bisogna ribadire
chevièsolounospirito,
solo un principio, il
quale si esprime nello
Statopolitico,cosìcome
si
manifesta
nella
religione,
nell’arte,
nell’eticità,
nella
socialità,nelcommercio
e nell’industria»[133]. Da
questa impostazione di
fondo deriva: a) che la
conoscenza dello spirito
non si può attingere
soltanto dal «pozzo
notturno»dell’io,madal
«giorno
dell’effettualità»;sideve
cioè esplorare ogni
aspetto della realtà
spirituale,
che
è
espressivo del tutto
perché già lo contiene;
b) che la filosofia deve
abbandonare
la
solitudine del cogito e
invadere
tutte
le
manifestazioni
della
realtà,
per
poter
procedere
poi,
rientrando in sé, a
ricostruire
i
tratti
fondamentalidell’intero
inun«sistema»;c)cheil
sistema è l’unico modo
adeguatodicogliereuna
totalità già esistente
nellarealtàstessa.
Quando si parla di
spirito siamo abituati a
pensare a un fantasma
o
a
qualcosa
immateriale,
di
di
evanescente,
che
possiede una sedicente
nobiltà nei confronti
della
materia.
Ma
questo non è affatto il
senso hegeliano, che
indica
piuttosto
la
totalità
vivente
nell’unioneindissolubile
con le parti, come nella
parabola
evangelica
della vite e dei tralci o
nell’ideadiespritcheha
Montesquieu nell’Esprit
des lois (la legislazione
animata da un tutto
vivente, come avviene
per il corpo grazie alla
circolazione del sangue,
che prefigura a suo
modounmodelloanche
per l’idea di «sistema»),
oppure, ancora, nel
Volksgeist
herderiano[134].
Lo
spirito è, semmai, il
contesto in movimento,
contrapposto
alla
lettera, al limitato, al
morto. Perciò lo spirito
si
distingue
dalla
natura,
esteriorità
reciproca delle parti, ed
è la «verità» della
ragione[135], in quanto
questa è ritorno dalla
dispersione e dalle
scissioni dell’intelletto.
Alterità,
conflitto,
resistenza,
alienazione
costituiscono le matrici
dello spirito che si
rafforzaquantopiùduri
sono gli ostacoli da
superare per ritornare
in sé. Lo spirito è la
rinnovata
vittoria
dell’unità
sulla
dispersione,
l’affermazione
della
continuità della vita
attraversoladistruzione
delle parti. Guardando
‘in negativo’ il concetto
hegeliano di spirito, vi
potremmo riconoscere
lo sforzo immane di
dominare
la
disgregazione reale del
suo
mondo
e,
contemporaneamente,
l’idea di un soggetto
collettivo,
che
si
alimenta dei singoli
individui,maguidaesso
stesso la danza e
compone
gli
avvenimenti; potremmo
vederci la proiezione
ingigantitadiunarealtà
che effettivamente si
autonomizza,
un’astrazionechevivee
comanda su «uomini in
carne ed ossa» di una
determinata forma di
società e che Marx ha
descritto. Ma, insieme,
nel
suo
aspetto
sovrumanoodisumano,
l’idea
hegeliana
di
spiritocontieneancheil
tendereaciòchenonsi
è realizzato ancora,
all’umanizzazione del
mondo;
nella
sua
crescita cieca c’è anche
il
segno
della
redenzione, del ritorno,
della nostalgia di una
realtà conciliata. Lo
statodelmondo,infatti,
«non
è
ancora
conosciuto» e lo spirito
è divenire, progresso
che «si affatica intorno
agli oggetti solo finché
restainessiqualcosadi
segreto,
di
non
rivelato»[136]. Lo spirito
non svolge in proprio
alcunlavoroconcreto:la
sua
forza
consiste
invece
nell’analisi,
nell’astrazione,
nella
scomposizione
del
concreto in molti lati
astratti[137] e poi nel
riassorbimento
nell’assimilazione
e
di
quanto ha scomposto.
Lospiritohegelianonon
è affatto negazione
dell’esistenza reale del
mondo,
come
banalmente
si
è
creduto, ma negazione
della sua irresistibilità,
refrattarietà e chiusura
di fronte al «coraggio»
delconoscere.L’oscurità
del reale, il lavoro
sotterraneo della talpa
potrebbero scomparire
solo
se
l’«essenza
dell’universo» potesse
svelarsicompletamente.
Ma questo, per Hegel,
non è possibile, perché
eliminata la resistenza,
si elimina anche lo
spirito, che deve perciò
procedere con il doppio
regime dell’inconscio e
del
suo
recupero
cosciente, del progetto
cosciente e del suo
trasformarsiinconscioe
cosìvia.
Nello spirito assoluto
l’opacità del reale e la
devastazionedelmondo
vengono
drammaticamente
conciliati in un sistema
carico di tensioni, teso
adaddomesticareillato
animale dell’epoca, con
la certezza di riuscirvi,
malgrado la «tragedia
dell’etico». Diversa e
illuminante
per
contrasto è la posizione
deiduegrandiavversari
di Hegel, Schopenhauer
e del tardo Schelling, in
cui la crisi storica e le
lacerazioni dell’epoca
non sono soggiogate al
«coraggio» dello spirito,
non vengono risolte
dalla luce apollinea del
pensiero,marimangono
potenze
ctonie,
inquietanti[138],
divengono causa della
disperazione che si
manifesta nelle parole
di
«Veramente
Schelling:
egli,
l’uomo, mi spinge alla
suprema
domanda,
piena di disperazione:
perché in generale c’è
qualcosa? Perché non è
il nulla?»[139]. La vita
allora acquista così un
senso
oscuro
e
sotterraneo e la talpa,
per così dire, assume il
comando e pone la
civetta della filosofia al
suo servizio. L’uomo
non è più strumento di
uno spirito proiettato in
avanti, ma di una
insondabile Volontà di
vivere, come insegnava
Schopenhauer,
l’ammiratore di Bichat,
inpassichemeritanodi
essere meditati come
potentechiavedilettura
del
lato
oscuro
dell’epoca: «È davvero
incredibilevedereinche
modo insignificante e
privodisenso,guardata
da fuori, scorra la vita
della
stragrande
maggioranza
degli
uomini. È un fiacco
struggersi e torturarsi,
un barcollare come in
sogno attraverso le
quattro età della vita
fino
alla
morte,
accompagnati da una
serie di pensieri banali.
Sono come orologi che
vengono
caricati
e
camminano
senza
sapere perché; e ogni
voltachevienegenerato
e nasce un uomo,
l’orologio della vita
umanavienecaricatodi
nuovo, per ripetere
ancora una volta, frase
per frase e battuta per
battuta, con variazioni
minime, la sua musica,
suonata e risuonata già
innumerevoli volte […]
Se poi si volessero
mettere sotto gli occhi
di ognuno gli orribili
dolori e tormenti, a cui
la vita di tutti è
costantemente esposta,
si sarebbe colti da
raccapriccio; e se si
volesse condurre il più
impenitente ottimista
per gli ospedali, i
lazzaretti, le camere di
tortura e le stalle degli
schiavi, sui campi di
battaglia e nei tribunali,
e aprirgli poi tutti i
tenebrosi alloggi della
miseria, dove essa si
rincantuccia
per
sfuggire agli sguardi
della fredda curiosità, e
fargli
gettare
uno
sguardo a conclusione
nellatorredellafamedi
Ugolino,
anch’egli
finirebbe col capire di
che specie sia questo
meilleur des mondes
possibles. Da dov’altro
mai ha preso Dante la
materia per il suo
inferno se non da
questo nostro mondo
reale? E tuttavia è
venuto fuori un inferno
in piena regola»[140]. Il
deperimento oggettivo
dell’individualità e il
condizionamento
economico vengono qui
rappresentati in squarci
indicativi della vita
quotidiana: «Il desiderio
è, per sua natura,
dolore;
il
conseguimento genera
rapidamente sazietà: la
meta
era
solo
apparente; il possesso
toglie l’attrattiva; sotto
una nuova forma si
ripresentaildesiderio,il
bisogno; dove no, segue
la desolazione, il vuoto,
la noia, contro cui la
lotta
è
altrettanto
tormentosa che contro
la necessità […] Ma alla
parte di gran lunga
maggiore degli uomini i
puri
godimenti
intellettuali non sono
accessibili; della gioia
che c’è nel puro
conoscere, sono quasi
deltuttoincapaci[…]Le
ingenue manifestazioni
di questo modo di
essere
si
possono
cogliere da piccolezze e
fatti quotidiani; così ad
esempio scrivono il loro
nome sui monumenti
chevisitano,perreagire
in tal modo, per agire
sul monumento, visto
cheessononhaagitosu
di loro. Inoltre, non
sanno
facilmente
limitarsi a contemplare
un animale esotico e
raro,
ma
devono
provocarlo, stuzzicarlo,
giocare con esso, solo
per sentire azione e
reazione»[141].
Il presupposto del
pensierohegelianosullo
spirito è invece la
possibilitàditradurrela
realtàinragione,dinon
lasciare in linea di
principio, niente di
inaccessibile
al
«coraggio» dello spirito.
Ciò è possibile all’uomo
perchélarealtànaturale
da cui proviene e il
mondo storico che egli
ha creato non sono
l’assoluto altro: c’è
l’ostacolo, ma c’è anche
la
trasparenza
conquistata,
l’assimilazione.O,come
dice Weil: «L’uomo può
parlare di ciò che è
perché ne fa parte: ne
rappresenta
il
linguaggio.
Ma
la
manifestazione non si
manifesta
in
un
discorso unico. L’uomo
nonèpurospirito,sopra
o fuori della natura.
Parla perché agisce e
agisce perché parla.
Agisce
e
pensa
insomma
perché
dispone di una piccola
parola: no. L’uomo è
nella natura. Ma non è
naturacomeilminerale
ol’animale:èscontento,
insoddisfatto di ciò che
è, e nel suo discorso
parladiciòchenonè,di
ciò che egli vuole
introdurre
nell’essere»[142].InHegel
non è stata ancora
oscurata
l’idea
di
progresso, la sicurezza
di poter prefigurare il
futuro
come
un’avanzatadelgigante.
Il movimento dello
spirito non ha in lui un
motoreisolato;ètuttala
realtà che si muove
insieme, anche se a
passipiùomenoveloci.
In questo senso «non si
può dire che la storia
politica sia la causa
dellafilosofia,perchéun
ramo non è la causa
dell’albero,
ma
entrambe hanno una
radice
comune,
lo
spiritodell’epoca,cioèil
determinato grado di
formazione dello spirito
di un’epoca, che ha la
causa prossima nel
grado precedente, ma,
in generale, in una
forma
dell’idea.
Disegnare questa unità,
rappresentare
tutta
questa
pianta,
concepirla
come
procedente da una sola
radice, è un oggetto
dellastoriafilosoficadel
mondo»[143].
Se, dunque, lo spirito
ha in Hegel molti rami
paralleli e una sola
radice nell’epoca, non
c’èevidentementealcun
modo di stabilire un
settore della realtà
«determinanteinultima
istanza», non c’è – in
termini
marxisti
–
alcuna distinzione fra
struttura
e
soprastruttura.
Lo
spirito, nel suo aspetto
«olistico», resta una
spiegazione
debole,
indeterminata,
una
visualizzazione, se si
vuole, sfuocata della
realtà,chenoncogliein
maniera
sufficientemente chiara
il luogo da cui si irradia
il mutamento e la
complessa articolazione
scientifica
che
lo
rispecchia.
D’altro
canto, Hegel sapeva
molto bene che la
società civile, al proprio
livello,èunasorgentedi
contraddizioni irrisolte,
maadifferenzadiMarx,
pensava che questi
antagonismi
non
dovessero
essere
cancellati
bensì
strumentalizzati,
inseriti in un processo
teleologico
e
che
esistessero ancora gli
strumenti
‘soprastrutturali’
per
mitigarnelavirulenza.
È
tuttavia
completamente errato
credere che in Hegel sia
la ‘soprastruttura’ dello
spirito
trainare
assoluto
a
la
realtà:
l’«elementoattivo»sono
pur sempre le passioni,
quegli stessi interessi
che
agiscono
selvaggiamente
nella
società civile e che poi
vengono utilizzati come
materiale
da
costruzione nelle sfere
superiori.
Arte,
religione, filosofia sono
modalità di prendere
coscienza dello spirito,
di quel regno che è «ciò
che
vien
prodotto
dall’uomo»
come
seconda natura, per
rendere
il
«mondo
conforme al concetto»
dello spirito stesso[144];
sono forme mobili che
accolgonoeorganizzano
le
contraddizioni
(sorgentidalbasso,dagli
stratiincuil’animalitàe
la
passione
sono
maggiorielarazionalità
esplicita minore) per
trovar
loro
una
soluzionenelpresentee
nel
futuro.
Arte,
religione, filosofia sono,
per così dire, terminali
delle
contraddizioni,
meccanismi
di
autoregolazione
dell’insieme o, con
immagini
hegeliane
riferite alla
«scandagli»
filosofia,
del
razionale
o
«stella
polare»[145].
È
nel
particolare impasto di
passioneediragione,di
finalità inconscia e di
coscienza che si deve
cercare il senso del
discorso hegeliano sullo
spirito. Esso adombra
inoltrel’unificazionedel
genere umano, al di
sopra di ogni divisione
statale e di ogni
conflitto storico, la
percezione
che
il
discorso
umano
abbraccia ormai l’intero
pianeta,
con
il
sottofondo che l’Europa
e i suoi Annexa (i
continenti extraeuropei
ormai
abitati
prevalentemente
da
europei)[146]
sono
destinati a esportare la
«ragione» nel mondo, a
diffondervi, per usare il
linguaggio di Marx – in
questocasononlontano
dalle affermazioni di
Hegel, specie quelle
relativeaicorsiberlinesi
difilosofiadeldiritto[147]
–
la
missione
«civilizzatrice
del
capitale»[148]. Infatti, a
differenza del mondo
antico e, soprattutto, di
quelloromano,incui«è
fine dello Stato che gli
individui, nella loro vita
etica,
vengano
sacrificati ad esso»[149],
nel mondo moderno la
politica non soddisfa
più
l’uomo,
l’organizzazione dello
Statonongliapparepiù
come
sua
essenza
totale. Egli cerca nello
spirito assoluto «una
garanzia e sanzione più
alta […] la regione di
una verità più alta e
sostanziale, in cui tutte
le
opposizioni
e
contraddizionidelfinito
possano trovare la loro
ultima soluzione, e la
libertà il suo pieno
soddisfacimento»[150].
Sono anche le carenze
dello«Statomoderno»e
i conflitti della storia,
che
non
si
istituzionalizzano
in
forme sovrastatali, a
spingere verso il «pieno
soddisfacimento» dello
spirito assoluto. La
«ragione» che si trova
nello Stato non è
sufficiente a garantire
l’appagamento
dello
spirito, perché dallo
Stato lo spirito stesso
non ritorna in sé del
tuttosoddisfatto.
Anche la storia delle
comunità
umane
continua
a
essere
dominata
da
forze
sconosciute:«Gliscontri
tra le innumerevoli
volontàeattivitàsingole
creano
sul
terreno
storico una situazione
che è assolutamente
analoga a quella che
regna
nella
natura
incosciente. Gli scopi
delle azioni sono voluti,
ma i risultati che
succedono
effettivamente
alle
azioni non sono voluti
oppure,
se
anche
sembrano a tutta prima
corrisponderealloscopo
voluto, in conclusione
hanno
delle
conseguenze del tutto
diversedaquellevolute.
Gli avvenimenti storici
sembrano dunque, nel
loro
complesso,
dominati essi pure dal
caso. Ma laddove, alla
superficie,regnailcaso,
ivi il caso stesso è retto
sempre da intime leggi
nascoste,enonsitratta
che di scoprire queste
leggi»[151]. Così Engels,
in un testo di taglio
molto hegeliano. Ma
come
è
possibile
conoscere
e
specialmente eliminare
le cause di questa
opacità e inadeguatezza
dei fini singoli al fine
generale, sottrarre allo
spirito e alla ragione
collettiva
la
sua
«astuzia», che si beffa
delle azioni individuali?
Sembra ora chiaro che
lo «spirito» assoluto è il
contrappeso
della
spontaneità inconscia
delle passioni e che
questo spettro non
potrà essere fugato se
non quando, e nella
misura in cui, saranno
diventati trasparenti i
rapporti fra gli uomini,
sarà‘bonificato’l’agiree
il pensare inconscio
attraverso forme di
società
in
cui
si
raggiunga il «pieno
soddisfacimento».
Finchéquestamètanon
sarà
realmente
prefigurata
e
conquistata in un lungo
processo, finché la vita
individuale e sociale
non si svilupperà fuori,
nondagliantagonismie
dallecontraddizioni,ma
dagli antagonismi e
dalle
contraddizioni
cieche, la civetta della
filosofia
non
potrà
veramente scomparire
«dallanostrasera»[152],il
suo sguardo notturno
saràadeguatoascrutare
l’oscurità effettiva del
mondo.Finoadalloralo
«spirito
assoluto»
corrisponderà a un
bisogno reale, a un
surrogatodiunasocietà
che non esiste, ma
anche alla nostalgia,
sempre tenuta viva
nell’assenza di una
«conciliazione»
esistente,diunritornoa
sé dalla contraddizione,
cheèpoiilgodimentoe
la soddisfazione[153] e,
contemporaneamente,
lavera«mediazione»fra
individualeeuniversale.
Fino ad allora lo spirito
hegeliano
sarà
prevalenza
dell’universale
resosi
autonomo
ed
estraneato, proiezione
di un potere sociale
collettivo che non ha
ancora raggiunto la
comprensione
e
il
controllo su se stesso e
che appare perciò come
padrone degli uomini,
ed essi come suoi servi
o strumenti inconsci
(almeno
nella
loro
maggioranza).
Hegel non è così
«spiritualista» in senso
deteriore da non sapere
che è una «scissione»
reale nella «vita degli
uomini» a spingerli
verso
forme
di
compensazione
religiosa o filosofica, né
ignora
che
la
conciliazione
deve
avvenire nella realtà
effettuale, nella sfera
politica e storica e non
solo
nella
rappresentazione e nel
pensiero: «Questo è il
fine della storia del
mondo: che lo spirito si
plasmiinunanatura,in
un mondo che gli sia
adeguato, così che il
soggetto trovi il suo
concetto di spirito in
questasecondanatura,in
questa realtà effettuale
prodotta mediante il
concetto dello spirito, e
abbia
in
questa
oggettività la coscienza
della sua libertà e
razionalità
soggettiva»[154].
E
neppure nega, in linea
di principio, che le
trasformazioni debbano
avvenire
in
forma
rivoluzionaria – qualora
il positivo non si possa
rovesciare che con la
violenza –, giacché,
abbiamo
visto,
i
cataclismi della Terra
sono finiti, ma non
quellidellospiritoverso
ilraggiungimentodiuna
forma a esso più
adeguata. Ciò che a
Hegelancorasfugge,ciò
che in parte ci sfugge
ancora, è il progetto
articolato,
il
piano
storicopergiungerealla
realizzazione di questa
«seconda natura» che
non sia cieca come la
prima[155].
Ciò
che
ancora
gli
sfugge,
perchéèaldilàdelsuo
orizzonte storico, e che
giustifica l’apparenza di
una chiusura della
storia, è la concreta
individuazione
degli
ostacoli da rimuovere
perché sia possibile un
mutamentoreale,chesi
trasmetta poi sullo
«spirito assoluto». Ma
proprio perché questo
processo storico è «der
lange Verlauf»[156]
–
presuppone cioè un
lungocammino–,anche
la filosofia hegeliana
continua con esso ad
avercorso.
[1]Schelling,Einleitung alle
Ideen zu einer Philosophie der
Natur,inWerke,acuradiM.
Schröter, cit., vol. I, p. 669
(trad. it. di G. Preti,
Introduzione alle Idee per una
filosofia della natura, in
Schelling,
L’empirismo
filosoficoealtriscritti,Firenze,
1967,p.9).
[2] Cfr. Hegel, Wissenschaft
derLogik,cit.,vol.I,pp.73-74
(trad. it. cit., vol. I, p. 78):
«cominciamento
della
scienza,
compiuto
da
Parmenide,
il
quale
chiarificò ed elevò il suo
rappresentarsi
(epperò
anche il rappresentarsi di
tutti i tempi che verranno
poi) fino al puro pensiero,
all’essere come tale, che
creò
l’elemento
della
scienza. Quello che è il
primo della scienza si dové
dimostrare
storicamente
come il primo». Ci si è
spesso soffermati sulla
cosidetta prima «triade» di
concetti
esposta
nella
Scienza della logica (essere,
nulla,
divenire)
per
affermare che le categorie
utilizzate da Hegel si
sviluppano – secondo uno
schema diffusissimo ma
falso, anche perché Hegel
nonsièmaiservitodiquesti
termini – al ritmo di «tesi»,
«antitesi»,
«sintesi».
In
realtà, il «superamento»
(Aufhebung) degli opposti in
conflitto avviene nel senso
del
tollere
latino,
in
particolare dell’espressione
Ecce agnus qui tollit peccata
mundi, che «toglie» i peccati
nel senso che ne toglie il
peso,
senza,
però,
dimenticare ciò che è
accaduto, il passato. La
presunta «sintesi» consiste
nel non dimenticare o
cancellare le opposizioni di
partenza,
che
servono
astrattamente a pensare il
concetto che ne risulta, nel
passare dalla «dialettica»
alla«speculazione».Nelcaso
della
cosiddetta
prima
triade, il «divenire» è
pensabile
in
quanto
categoria che, nello stesso
tempo, include e cancella
l’«essere» e il «nulla». Lo
sviluppo delle successive
categorie,
fino
alla
conclusione della Scienza
della logica, appare come un
auto-movimento, un loro
spontaneo dispiegarsi in cui
il pensiero soggettivo fa da
spettatore, cfr. sopra, pp.
147-148.
[3] Hegel, Rede zum Antritt
des philosophischen Lehramtes
an der Universität Berlin, cit.,
p.6.
[4] È il tema della crainte
affrontato da Montesquieu,
a proposito della schiavitù
nell’Esprit des lois (cfr. trad.
it. di S. Cotta, Lo spirito delle
leggi, Torino, 1952, vol. I, pp.
403 ss.). Sul dispotismo
cinese e il dominio della
crainte in Montesquieu, cfr.
E. Carcassonne, La crainte
dans l’‘Esprit des lois’, in
«Revue d’histoire littéraire
de France», XXXI (avril-june
1924), pp. 193 ss. Cfr. anche
P. Jameson, Montesquieu et
l’esclavage: étude sur les
origines
de
l’opinion
antiesclavagiste en France au
XVIIIe siècle, Paris, 1911, pp.
306 ss.; V. Goldschmidt, État
de nature et pacte de
soumission chez Hegel, in
«Revue philosophique de la
France et de l’Étranger»,
LXXXIX (1964), pp. 45 ss.; S.
Landucci,
Note
sulla
«Fenomenologia dello spirito»,
CapitoloIVA,inAA.VV.,Studi
in memoria di Carlo Ascheri,
Urbino, 1970, pp. 139-148; A.
Grosrichard, Structure du
Sérail.Lafictiondudespotisme
asiatique
dans
l’Occident
classique, Paris, 1979, pp. 34
ss., 49 ss. Sulla concezione
hegeliana dell’Oriente e del
dispotismo, cfr. E. Schulin,
Die
weltgeschichtliche
ErfassungdesOrientsbeiHegel
und Ranke, Göttingen, 1958;
D.-U.Song,DieBedeutungder
asiatischen Welt bei Hegel,
Marx und Max Weber, Diss.,
Frankfurt a.M., 1972, pp. 2563; M. Hunlin, Hegel et
l’Orient, suivi de la traduction
annotée d’un essay de Hegel
sur la Bhagvad-Gîtâ, Paris,
1979.
[5] Prov., 9,10. Cfr. Hegel,
Vorlesungen
über
die
GeschichtederPhilosophie,cit.,
vol. XIII, p. 113 (trad. it. cit.,
vol.I,p.113).
[6] Hegel, Vorlesungen über
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XIII, pp. 113-114
(trad.it.cit.,vol.I,p.113).
[7]Ibid.,p.116(trad.it.cit.,
vol.I,p.116).
[8] Ibid. (trad. it. cit., vol. I,
pp.115-116).
[9]
Cfr.
Hegel,
Phänomenologie des Geistes,
cit.,pp.242-260(trad.it.cit.,
vol.II,pp.13-36).
[10] Cfr. Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XIII, p.
282 (trad. it. cit., vol. I, p.
287).
[11] Cfr. Diogene Laerzio,
VI, 39; Sesto Empirico Pyrrh.
Hyp., § 66. Su Diogene il
Cinico che passeggia per
dimostrare l’esistenza del
moto, cfr. Spinoza, Principi
dellafilosofiadiCartesio, trad.
it. di F. Mignini, in Opere, a
cura di F. Mignini, Milano,
2007, p. 298. Nella prima
edizione delle Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, a cura di K.L.
Michelet, in Werke, cit., vol.
XIII, Berlin, 1833, p. 314,
l’aneddoto continuava così:
«Quando un discepolo si
dichiarò soddisfatto di tale
confutazione, Diogene prese
a picchiarlo, perché, se il
maestro aveva discusso con
argomenti, egli doveva far
valere anche contro di lui
una confutazione motivata.
Non si deve dunque star
paghi
della
certezza
sensibile,
ma
bisogna
capire».
[12] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.192(trad.
it. cit., vol. I, pp. 211-212).
Cfr. ibid., vol. II, p. 493 (trad.
it.cit.,vol.II,p.944).
[13]
Per la coscienza
comune la scienza è
dapprima una violenza, cfr.
piùavanti,pp.195ss.
[14] Goethe, Maximen und
Reflexionen, in Gedenkausgabe
der
Werke,
Briefe
und
Gespräche, a cura di E.
Beutler,Zürich,1949,vol.IX,
acuradiP.Stöcklein,p.505.
[15] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§3A(trad.it.
cit.,pp.4-5).
[16] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 19 Z.
Interessante il commento di
Feuerbachaquestaesigenza
del pensiero posta da Hegel
ai suoi contemporanei:
«L’arte era l’être suprême.
Schiller pose l’educazione
estetica come la vera
educazione. In connessione
a questo periodo, è da
riconoscereilsignificatoche
Schelling ne dà nella
filosofia dell’arte e la facile
entratura, applauso e gloria
che Schelling così presto
trovò nello spirito dei
giovani.
Non
c’è
da
meravigliarsi
se,
predominandoilsentimento
estetico,
l’intuizione,
l’interesse per il pensiero, il
senso per il pensare serio
retrocedettero. Hegel entrò
dunque in assoluto contrasto
con il suo tempo ponendo
l’imperativo
categorico:
pensa! solo nel pensiero la
verità si trova nella sua vera
figura.Larichiestadipensare
era per la gente un vero
Memento Mori. Essi si
spaventarono e inorridirono
davantiaessocomesefosse
l’Uomo
Nero
(der
Sensenmann).Persinooranon
si sono ancora rimessi, il
concetto aleggia pur sempre
come uno scheletro dinanzi
alla
loro
fantasia»
(Feuerbach, Vorlesungen über
die Geschichte der neueren
Philosophie, edite da C.
Ascheri
e
E.
Thies,
Darmstadt, 1974, p. 148; si
tratta delle lezioni di
Erlangen del 1835/1836,
scoperte da Carlo Ascheri e
pubblicate dopo la sua
scomparsa).
[17] D. Tiedemann, Geist
der spekulativen Philosophie,
Marburg,1791-1797,vol.I,p.
362.
[18]Intedesco‘buonsenso’
suona
‘sano
intelletto
umano’
(gesunder
Menschenverstand).
[19]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie
(1840), cit., vol. XIV, pp. 3334(trad.it.cit.,vol.II,pp.3233).
[20] Hegel an Schelling, 30
agosto 1795, in Briefe, cit.,
vol. I, p. 31 (trad. it. cit., vol.
II,p.225).
[21]CitatodaLaplacecome
esergo per il secondo libro
dell’Exposition du système du
monde,Paris,1797.Iltestodi
Laplace (che Hegel conosce
assai bene, cfr. Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, § 270 Z e
GrundlinienderPhilosophiedes
Rechts, cit., § 270 A, trad. it.
cit.,p.233n.)toccainquesto
punto il tema dei moti
apparenti nell’astronomia:
«Trascinati
da
un
movimento comune a tutto
ciò che ci circonda, noi
assomigliamo
a
un
navigante che i venti
trasportano sul mare con il
suo battello. Egli si crede
immobile, e la riva, le
montagne, tutti gli oggetti
fuori
dal
battello
gli
sembrano muoversi. Ma
confrontando l’estensione
della costa e delle pianure,
l’altezzadellemontagnealla
piccolezza del suo battello,
egli riconosce che il loro
movimento non è che
un’apparenza prodotta dal
suo movimento reale. I
numerosi astri sparsi nello
spazio celeste sono nei
nostri riguardi ciò che la
costaelemontagnesonoin
rapporto al navigante, e gli
stessi motivi per cui egli è
sicuro della realtà del suo
movimento
ci
provano
quello della Terra» (P.S.
Laplace,Expositiondusystème
du monde, cit., trad. it. di O.
Pesenti
Cambusano,
Esposizione del sistema del
mondo, in Opere, Torino,
1967,p.471).
[22] Hegel an Van Ghert, 18
dicembre1812,inBriefe, cit.,
vol.I,p.426(trad.it.cit.,vol.
II, p. 209). Su questo
concetto, cfr. M. Moneti,
Hegel e il mondo alla rovescia.
UnafiguradellaFenomenologia
dellospirito,Firenze,1986.
[23]
Cfr. R.
Problemgeschichte
Bubner,
und
systematischer Sinn einer
Phänomenologie, in «HegelStudien», 5 (1969), pp. 149150. Sulla fenomenologia
dellaverkehrteWelt,cfr.H.-G.
Gadamer, Die verkehrte Welt,
in Materialen zu Hegels
«Phänomenologie des Geistes»,
a cura di H.F. Fulda e D.
Henrich, Frankfurt a.M.,
1973,pp.106-130.
[24] Cfr. Kant, Kritik der
reinen Vernunft, A 293, B 349
(trad. it. cit., vol. II, p. 285).
Kantstessoavevaipotizzato
la possibilità di una scienza
«semplicemente negativa»
da far precedere alla
«metafisica»
e
l’aveva
chiamata
Phaenomenologia
generalis, riferendosi a J.H.
Lambert, Neues Organon oder
Gedanken über Erforschung
und Bezeichnung des Wahren
unddessenUnterscheidungvon
Irrtum und Schein, Leipzig,
1764 (cfr. Kant an J.H.
Lambert,2settembre1770,in
Briefwechsel, in Gesammelte
Schriften, a cura della
Königliche
Preussische
Akademie
der
Wissenschaften zu Berlin,
vol.X,Berlin,1900,p.94).
[25] Kant, Kritik der reinen
Vernunft, A 644-645; B 672-
673 (trad. it. cit., vol. II, p.
504).
[26] Ibid., A 297, B 353-354
(trad.it.cit.,vol.II,p.288).
[27] Kant, Anthropologie in
pragmatischer Hinsicht, in
Kants Gesammelte Schriften,
cit.,vol.VII,p.137A,trad.it.
di G. Vidari e A. Guerra,
Antropologia
pragmatica,
Roma-Bari,1985,p.20nota.
[28] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., pp. 14-15
(trad. it. cit., vol. I, pp. 8-9);
Lezione conclusiva del corso di
filosofia
speculativa,
18
settembre
1806,
in
Dokumente
zu
Hegels
Entwicklung,cit.,p.352.
[29] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.35(trad.it.
cit.,vol.I,pp.37-38).
[30] J.N. Findlay, Hegel: A
Re-examination, trad. it. cit.,
p. 15 «l’attualità di Hegel
risiede principalmente nel
suo riconoscimento della
“trama aperta”, dei lati
oscuridituttiiconcettivivi,
nel fatto che essi implicano
più di quanto coprano
manifestamente». Findlay,
chepartedaposizionivicine
a quelle di Wittgenstein,
chiarisce così la sua
affermazione: «la dialettica
diventa un riflessivo far la
spolatraconcettidicuisisa
che sono interdipendenti e
correlativi e a livelli ancor
più alti diventa un mero
sviluppodeinostriconcetti,il
più ristrettamente astratto
non facendo che accrescersi
in quello più “concreto” e
riccodi“lati”»(ibid.,p.57).La
dialettica vale per Findlay
negli
interstizi,
negli
intermundia dei concetti: «La
dialettica hegeliana assolve
in realtà a una funzione
complementare rispetto al
pensiero
dei
Principia
mathematica e di sistemi
analoghi: essa è il pensiero
degli interstizi che esistono
fra concetti ben delimitati,
assiomi fissi e catene
deduttive
rigorose;
gli
interstizi nei quali non ci è
ancorabenchiarochecosai
nostri concetti coprano e
che cosa non coprano, nei
quali
costantemente
li
stiriamo e li costringiamo
mano a mano che li
mettiamo
alla
prova
applicandoli a un materiale
nuovo,
nei
quali
ci
preoccupiamo di guardare a
essi dal di fuori e di vedere
se compiano bene o male
unacertaoperaconcettuale,
nei quali ci occupiamo di
innumerevoli
rapporti
reciproci
di
concetti,
rapporti allentati, mobili,
sfumati, ma non meno
importanti per il fatto di
essere
allentati»
(La
pertinenza contemporanea di
Hegel,ibid.,pp.404-405).
[31]Cfr.Hegel,Glauben und
Wissen, cit., p. 367 (trad. it.
cit., p. 191) e D. Henrich, Die
«wahrhafte Schildkröte». Zu
einer Metapher in Hegels
Schrift «Glauben und Wissen»,
in «Hegel-Studien», 2 (1963),
pp. 281-291. Sul senso della
distinzione kantiana fra
fenomeni e noumeni (che
richiama la separazione
platonicadeiphainomena dal
noumenoninPlatone,Tim. 51
D,cfr.E.Fink,Sein,Wahrheit,
Welt. Vor-Fragen zum Problem
des Phänomen-Begriffs, den
Haag,1958,pp.92ss.),cfr.E.
Stenius, On Kant’s Distinction
between
Phenomena
and
Noumena, Lund, 1963, e G.
Prauss, Erscheinung bei Kant,
Berlin-New York, 1971. Per
un’interpretazione
della
cosainsédalpuntodivista
della conoscenza in vista
dell’azione, cfr. E. Weil,
Penser et connaître, la foi et la
chose-en-soi, in Problèmes
kantiens,Paris,19702,pp.1355.
[32]Cfr.Hegel,Wissenschaft
der Logik, cit., vol. I, p. 16
(trad.it.cit.,vol.I,p.16).
[33] Hegel, Leben Jesu, in
Theologische
Jugendschriften,
cit., p. 103 (trad. it. cit., pp.
151-152).
[34] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., pp. 14-15
(trad.it.cit.,vol.I,p.9).
[35] Cfr. K. Rosenkranz,
Hegels Leben, trad. it. cit., p.
199.
[36] A. Ferguson, An Essay
on the History of Civil Society,
trad. it. cit., pp. 293-294. La
noia delle classi alte è vista
anche come un effetto del
«lusso», cfr. d’Holbach, La
politique naturelle, ou Discours
sur les vrais principes du
gouvernement, Londres, 1773,
t. II, pp. 242-243: in una
nazione in cui vi è interesse
solo per il danaro e per
l’opulenza «la sazietà la
intorpidisce, il continuo
cambiamento
diviene
necessario, il languore e la
noia,
carnefici
costanti
dell’opulenza,
tengono
dietro ai bisogni soddisfatti.
Per trarre i ricchi fuori da
questo letargo, l’ingegno è
costretto a immaginare
continuamente
nuove
sensazioni: i piaceri si
moltiplicano, la novità, la
rarità, la bizzarria hanno
esse sole il potere di
risvegliareesseriperiqualii
piaceri
semplici
sono
divenuti insipidi» (mi servo
della trad. it. di C. Borghero,
in La polemica sul lusso nel
Settecento francese, Torino,
1974,pp.155-156).
[37] Hegel, Frammento di
testo jenese, in Dokumente zu
Hegels Entwicklung, cit., p.
337.
[38] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 285 (trad.
it.cit.,vol.II,p.75).
[39] Diderot, Le neveu de
Rameau,trad.it.cit.,p.97.
[40] Ibid., pp. 98-99. Cfr.
Hegel, Phänomenologie des
Geistes,cit.,pp.395-396(trad.
it. cit., vol. II, p. 92): La
«malattia»
del
nuovo,
l’«infezione» erompe «in
sintomi e manifestazioni
sporadiche»,mapoicolpisce
in pieno. Infatti: «Essendo
uninvincibileeinavvertibile
spirito, essa si insinua
attraverso le parti nobili,
impadronendosi a fondo di
ogni viscere e di ogni
membro
dell’idolo
incosciente, e un bel mattino
dà
una
gomitata
al
compagno e – patatrac –
l’idoloèaterra».
[41]Hegel,DiePositivitätder
christlichen Religion, cit., p.
220 (trad. it. cit., p. 311). Su
questo passo, cfr. O.
Pöggeler, Philosophie und
Revolution beim jungen Hegel,
inEnciclopedia’72,cit.,p.225,
e, in un contesto più
generico,
F.G.
Nauen,
Revolution,
Idealism
and
Human Freedom Schelling,
Hölderlin and Hegel and the
Crisis of Eearly German
Idealism,TheHague,1971.
[42] Cfr. d’Alembert, Essai
sur les éléments de la
philosophie (1759) in Œuvres
complètes, Paris, 1821, vol. I,
p. 123, e E. Behler, Die
Geschichte des Bewusstseins.
Zur
Vorgeschichte
eines
hegelschenThemas,in«HegelStudien»,7(1972),pp.190ss.
[43] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., pp. 60-61
(trad.it.cit.,vol.I,p.77).
[44] Cfr. Jacobi, Über die
LehredesSpinozainBriefenan
denHerrnMosesMendelssohn,
in Werke, Leipzig, 1812-1825,
vol.IV,1,p.XL(trad.it.diF.
Capra, revis. di V. Verra, La
dottrina di Spinoza. Lettere al
signor Moses Mendelsshon,
Bari, 1969, p. 25); I. von
Sinclair,
Philosophische
Aufzeichnungen 1796, testo
dello Hölderlin-Archiv di
Stoccarda(STGT,cod.hist.4o
668, II 3 b, 1-11 Werner
Kirchner Nachlass), trad. it. di
R. Bodei, in R. Bodei, Un
documento
sulle
origini
dell’idealismo.
Le
«Note
filosofiche» di Isaak von
Sinclair, in «Annali della
ScuolaNormaleSuperioredi
Pisa», serie III, vol. II, 2
(1972), pp. 722, 725 e cfr. H.
Hegel, Isaak von Sinclair
zwischen Fichte, Hölderlin und
Hegel, Frankfurt a.M., 1971,
pp.246ss.
[45] Cfr. Heidegger, Hegels
Begriff der Erfahrung, in
Holzwege, Frankfurt a.M.,
1950, trad. it. di P. Chiodi, Il
concetto
hegeliano
di
esperienza,
in
Sentieri
interrotti, Firenze, 1968, pp.
129-130, per il quale
l’apparire del sapere, e non
già
l’itinerario
della
coscienza, è il tema della
Fenomenologia.
Per
un
approfondimento
della
posizione di Heidegger nei
confrontidellaFenomenologia
dellospiritodiHegelsivedail
Commento
all’Introduzione
della Fenomenologia dello
spirito di Hegel (1942),
contenuto nel volume Hegel,
Frankfurt
a.M.,
1993
[Gesamtausgabe,
Frankfurt
a.M.,1975-,vol.LXVIII],trad.
it.diC.GiannieacuradiG.
Moretti, Hegel, Rovereto,
2010,pp.65-149.
[46] Cfr. J. Simon, Das
Problem der Sprache bei Hegel,
Stuttgart,1966,p.25.
[47]Cfr.Hegel,Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§140A(trad.
it. cit., p. 131) e Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X1,
p.12(trad.it.cit.,p.13):«Ma
la parvenza è essenziale
all’essenza, la verità non
sarebbe, se non paresse e
apparisse (wenn sie nicht
schiene und erschiene), se non
fosse per qualcosa, per se
stessa quanto lo spirito in
generale».SecondoW.Marx,
Die
Bestimmung
der
Philosophie im Deutschen
Idealismus, Stuttgart, 1964,
pp. 1-32, l’idealismo tedesco
cercherebbe la parousia del
Logos
mediante
l’Erscheinung,l’apparenzaoil
fenomeno. Può darsi che sia
cosìperalcuniaspetti,maè
chiaro che non si può
ridurre tutto a un problema
teologico e che dietro il
fenomeno sta la tematica
della scienza e della
tradizione gnoseologica. Per
uninquadramentodiquesta
tematica nell’ambito della
cultura filosofica del tempo,
cfr. G. Tagliavia, Critica della
parvenza:
Kant,
Hegel,
Schelling,
Milano-Udine,
2006.
[48]
Schelling, Einleitung
alle Ideen zu einer Philosophie
der Natur, cit., pp. 663-664
(trad. it. cit., pp. 3-4). Anche
per Rousseau, specie nella
prefazione
al
Narcisse,
l’uomo è nato per pensare e
agire e, come notoriamente
dicenelDiscorso sull’origine e
i
fondamenti
della
disuguaglianza tra gli uomini,
l’uomo che riflette è un
«animaledegenerato».
[49]
Cfr. R. Bodei, Un
documento
sulle
origini
dell’idealismo.
Le
«Note
filosofiche» di Isaak von
Sinclair,cit.,pp.703-735.
[50] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§86Z.
[51] Hegel, Systemfragment
von 1800, in Theologische
Jugendschriften, cit., p. 351
(trad. it. di N. Vaccaro e E.
Mirri, Frammento di sistema
del 1800, in Scritti teologici
giovanili, cit., p. 479). Sulla
polemicahegelianacontrola
Reflexionsphilosophie, cfr. W.
Marx, Hegels Phänomenologie
des Geistes. Die Bestimmung
ihrer Idee in «Vorrede» und
«Einleitung», Frankfurt a.M.,
1971,pp.59ss.
[52] Hegel, Systemfragment
von1800,cit.,p.351(trad.it.
cit.,p.479).
[53] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie,cit.,p.91(trad.it.
cit.,p.112).
[54] R. Haym, Hegel und
seine Zeit, Berlin, 1857 (rist.
Hildesheim,1962),p.242.
[55]
Sulla
tormentata
stesura del testo della
Fenomenologia e sulle fasi
della sua pubblicazione, cfr.
già
Th.
Haering,
Entstehungsgeschichte
der
PhänomenologiedesGeistes,in
Verhandlungen des dritten
Hegelkongresses
in
Rom,
Tübingen-Haarlem,1934,pp.
118-138 (su cui cfr. Lukács,
Der junge Hegel und die
Probleme der kapitalistischen
Gesellschaft, trad. it. cit., p.
625); O. Pöggeler, Zur
Deutung der Phänomenologie
des Geistes, in «HegelStudien», 1 (1961) pp. 255294
(trad.
franc.,
leggermente
modificata:
Qu’est-ce
que
la
«Phénoménologie de l’Esprit»?,
in
«Archives
de
Philosophie»,XXIX,1966,pp.
189-236);Id.,HegelsIdeeeiner
Phänomenologie des Geistes,
Freiburg-München, 1973; Id.,
Introduction à la lecture de la
Phénoménologie de l’esprit,
Paris, 1979; P.-J. Labarrière,
Structures et mouvement
dialectique
dans
la
Phénoménologie de l’esprit de
Hegel,Paris,1968,pp.17-30.
[56] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie,cit.,p.12(trad.it.
cit.,pp.12-13).
[57] Cfr. Lukács, Der junge
Hegel und die Probleme der
kapitalistischen Gesellschaft,
trad. it. cit., p. 650. Cfr. G.
Bedeschi, Storia e politica in
Hegel,Bari,1973,pp.117ss.
[58]
In un appunto
dell’autunno 1831, scritto in
vista della II ed. della
Fenomenologia,
è
detto:
«Eigentümliche frühere Arbeit
nicht umarbeiten, auf die
damalige Zeit der Abfassung
bezüglich»,cfr.J.Hoffmeister,
Zur Feststellung des Texts, in
appendice
a
Hegel,
Phänomenologie des Geistes,
cit., p. 578 (si veda anche
l’Editorialischer
Bericht,
nell’edizione
delle
Gesammelte Schriften, cit., pp.
474
ss.).
Per
un
approfondimento, cfr. R.
Bodei, La Fenomenologia dello
spirito:
un
«viaggio
di
scoperta», in «Iride», 52
(dicembre2007),pp.559-563.
[59] Su questo dibattito fra
Fulda,
Gauvin,
Puntel,
Labarrière ecc. cfr. più
avanti,pp.355ss.
[60] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 296 (trad.
it. cit., vol. II, p. 92). Il
compito della Fenomenologia
vuol essere proprio il
contrariodellacancellazione
della storia che Jähnig le
attribuisce,cfr.D.Jähnig,Die
Beiseitigung der Geschichte
durch
«Bildung»
und
«Erinnerung»,in«Praxis»,VIII
(1971), pp. 63-72 e, per
contro,A.Nuzzo,History and
Memory
in
Hegel’s
Phenomenology, in «Graduate
Faculty Philosophy Journal»,
29(2008),pp.161-198.
[61]Suquestopassaggioda
una concezione «analitica»
della
filosofia
a
una
concezione «genetica» in
Fichte e «dialettica» in
Hegel, cfr. A. Massolo, Per
una lettura della «Filosofia
della storia» di Hegel (1959),
ora in A. Massolo, La storia
della filosofia come problema,
cit.,pp.175ss.
[62] Cfr. K.L. Reinhold,
Elemente der Phänomenologie
oderErläuterungdesrationalen
Realismus
durch
seine
Anwendung
auf
die
Erscheinung = Beyträge zur
leichtern
Übersicht
des
Zustandes der Philosophie
beym Anfange des
Jahrhunderts,
fasc.
Hamburg,1802.
19.
4,
[63] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie, cit., p. 7 (trad. it.
cit.,p.5).
[64] Hegel, Aphorismen aus
der Jenenser Periode, cit., p.
555 (trad. it. cit., p. 82 nota
100). L’espressione truncus
ficulnusètrattadaOrazioed
è riferita – Hegel cita a
memoria – non a Mercurio,
ma a Priapo: Olim truncus
eram ficulnus, inutile lignum /
cum faber, incertum faceretne
Priapum, maluit esse Deum
(Satire,I,8).
[65] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie,cit.,p.47(trad.it.
cit., p. 56). Ciò è possibile
anche
perché
–
classicamente, secondo il
modello aristotelico – il
divenire non è soltanto
legato al movimento, ma
anche
all’attività,
all’energeia; cfr. L. Ruggiu, Lo
spiritoètempo.SaggisuHegel,
Milano-Udine,2013,pp.112113. Sulla circolarità del
tempo e sul nesso tempoeternità
in
quanto
eternizzazione del tempo e
temporalizzazione
dell’eternità,cfr.ibid.,pp.18,
19,
22.
Come
testo
d’appoggio
a
questa
convergenza di tempo ed
eternità,
cfr.
Hegel,
Heidelberger
Enzyklopädie
1817,trad.it.cit.,p.135:«Ciò
che è naturale è quindi
sottoposto al tempo in
quanto è finito; il vero, al
contrario, l’idea, lo spirito, è
eterno.
Il
concetto
dell’eternitàquindinondeve
essere compreso nel senso
che essa sia il tempo tolto e
nemmeno nel senso che
l’eternità venga dopo il
tempo; in tal caso l’eternità
diventerebbe il futuro, un
momento
del
tempo;
nemmeno dev’essere inteso
nel
senso
che
neghi
semplicemente il tempo e
chel’eternitàsialasemplice
astrazione da esso, bensì il
tempo nel suo concetto è
come in generale il concetto
stesso, l’eterno, e perciò
anche assoluto presente».
Sul concetto hegeliano di
tempo, come appare in
diversi scritti e periodi, si
vedaanchel’ampiostudiodi
G. Grießer, Geist zu seiner
Zeit.MitHegeldieZeitdenken,
Würzburg,2005.
[66]
Sul concetto di
«eternità» in Hegel come
eterno presente che negli
scritti jenesi non riesce
ancora a conciliarsi con il
tempoenonmetteancoraa
fuocoilrapportotrailtempo
naturale
dell’esteriorità
reciproca delle sue parti e il
tempo storico e spirituale,
cfr. F. Frilli, Tempo naturale e
tempo
storico
nelle
Realphilosophien jenesi di
Hegel, in «Verifiche», XLII
(2013),n.4,pp.33-68.Pergli
sviluppi successivi sono da
vedere G. Wohlfahrt, Über
Zeit und Ewigkeit in der
PhilosophieHegels,in«Wiener
Jahrbuch für Philosphie», 13
(1980), pp. 150-154; M.
Murray, Time in Hegel’s
Phenomenology of Spirit, in
«The
Review
of
Metaphysics», 14 (1981), pp.
682-705;
O.D.
Brauer,
Dialektik
der
Zeit.
Untersuchungen zu Hegels
MetaphysikderWeltgeschichte,
cit.;G.Rametta,Ilconcettodel
tempo. Eternità e Darstellung
speculativa nel pensiero di
Hegel, Milano, 1989; S.
Majetschak, Die Logik des
Absoluten. Spekulation und
Zeitlichkeit in der Philosophie
Hegels, Berlin, 1992 e,
soprattutto, L. Ruggiu, Lo
spiritoètempo.SaggisuHegel,
cit. Dato che l’oggetto della
speculazione è l’assoluto
(cfr. Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 384 A), con
un cambio di prospettiva è
necessario che l’assoluto
inglobi la vita, cfr. K. Drilo,
Leben aus der Perspektive des
Absoluten. Perspektivwechsel
und
Aneignung
in
der
Philosophie Hegels, Würzburg,
2003. Sulla relazione tra
tempo, eternità e memoria,
cfr.anchepiùavanti,pp.220
ss., 291 ss., 316 ss. Sul
rapporto tra tempo ed
eternità, inteso come il
momento infinito, divino,
assoluto,eternodellospirito
si
rapporti
a
quello
temporale, finito, oggettivo,
umano, politico dandogli
senso, cfr. B. Bourgeois,
Éternitéethistoricitédel’esprit
selonHegel,Paris,1991.
[67] Cfr. S. Majetschak, Die
Logik
des
Absoluten.
Spekulation und Zeitlichkeit in
derPhilosophieHegels,cit.,pp.
245,268,281.
[68]
Hegel,
Jenaer
Systementwürfe. Das System
derspekulativenPhilosophie,in
GesammelteWerke,cit.,vol.6,
a cura di K. Düsing e H.
Kimmerle,Hamburg,1975,p.
4 (nota al margine): «Der
Geist ist Zeit, er hat die
Vergangenheit,seineErziehung
vernichtet». Va detto che per
Hegel «il tempo non è, per
così dire, un contenitore in
cui tutto è posto come in
unacorrente,chescorreeda
cuituttovienetrascinatovia
esommerso.Iltempoèsolo
questa
astrazione
del
consumare. Poiché le cose
sono finite, per ciò sono nel
tempo; non perché sono nel
tempo, perciò sprofondano,
bensì le cose stesse sono
l’elemento temporale (das
Zeitliche)»
(Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§258Z).
[69] V. Vitiello, Hegel: la
solitudine
della
ragione
comunitaria, in AA.VV., Lo
spaziosocialedellaragione.Da
Hegel in avanti, cit., pp. 59,
61-62. Sui tre sillogismi si
veda l’ampia trattazione più
avanti,pp.355ss.
[70] J.M.E. McTaggart, The
Unreality of Time, in «Mind»,
17 (1908), pp. 457-474, trad.
it. L’irrealtà del tempo, a cura
diL.Cimmino.Milano,2006.
[71] Cfr. J.M.E. McTaggart,
Commentary
on
Hegel’s
«Logic»,Cambridge,1910.
[72] Hegel, Enzykopädie der
philosophische Wissenschaften,
§ 258 (trad. it. cit., p. 217).
Nel tempo, come è detto
nelle lezioni del semestre
invernale
1821-1822,
«L’essere
si
converte
immediatamente in nonessere, e altrettanto il nonessere in essere»: Hegel,
HegelsRaum-ZeitLehre,acura
di W. Bonsiepen, in «HegelStudien», 20 (1985), pp. 72.
Su questi temi, per alcuni
aspetti del confronto non
solotraleposizionidiHegel
e le tesi di McTaggart, ma
anche del dibattito attuale
all’interno della filosofia
analitica, tra fautori delle
tesi statiche e di quelle
dinamiche del tempo, cfr. F.
Perelda,Hegelelafilosofiadel
tempo contemporanea, in
«Verifiche», XXXIX (2010), n.
1-4,pp.135-185.
[73]
Sull’aletheia come
memoria, commemorazione
di avvenimenti che non
devonocaderenell’oblio,eil
suo primitivo legame con la
poesiagrecaarcaica(᾽Αλήϑεια
è il nome di una nutrice di
Apollo),cfr.M.Detienne,Les
maîtresdevéritédanslaGrèce
archaïque,Paris,1967,pp.3233e130ss.
[74] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 133 (trad.
it.cit.,vol.I,pp.195-196).
[75]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 308 (trad. it.
cit.,vol.III,2p.77).
[76] Erfahrung, da fahren
(«viaggiare»)ècosìintesoda
Heidegger: «Il procedere è
uno studiare la direzione da
prendere» (Heidegger, Hegels
Begriff der Erfahrung, trad. it.
cit.,p.168).DiHeideggercfr.
anchel’edizionedellelezioni
friburghesi del semestre
invernale 1930/1931 sulla
Fenomenologia:
Hegels
PhänomenologiedesGeistes,in
Gesamtausgabe,
Frankfurt
a.M.,1975ss.,vol.32.
[77] Da vedere, in questo
contesto, l’interpretazione –
interessante,
ma
filologicamente
poco
attendibile – che della
Fenomenologia dello spirito dà
Robert B. Brandom sia nel
saggio del 1999, Some
Pragmatist Themes in Hegel’s
Idealism: Negotiation and
Administration in Hegel’s
Account of the Structure and
Content of Conceptual Norms,
in «European Journal of
Philosophy», 7 (1999), pp.
164-189, sia nelle lezioni
tenuteall’IMUdiMonaconel
2012, che si possono
ascoltare
in
Podcast
(https://itunes.apple.com/it/itu
u/hegel-lectures-by-robertbrandom/id447762850?
mt=10)escaricareiniTunes.
Laprimadiquestelezionisi
trova anche su Youtube:
http://www.youtube.com/wat
v=WtFS7Or-X_E.
[78] Hegel, Aphorismen aus
der Jenenser Periode, cit., p.
548 (trad. it. cit., p. 70 nota
50).
[79] Ibid., p. 545 (trad. it.
cit.,p.66nota43).
[80]Ibid.
[81] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.11(trad.it.
cit.,vol.I,p.4).
[82] Sulla ricorrenza di
questa metafora del «puro
etere del pensiero», cfr. E.
Bloch,
Das
Materialismusproblem, seine
Geschichte und Substanz,
Frankfurta.M.,1972,pp.236239. Sul sapere assoluto
inteso come idea della
scienza, cfr. L. Lugarini,
Sapere assoluto e filosofia
speculativa, in Hegel dal
mondo storico alla filosofia,
Roma, 1973, pp. 153-180. Sul
sapereassoluto,prodotto,da
un lato dalla «dottrina
dell’esperienza», dall’altro
dalla «nostra aggiunta»
(unsere
Zutat,
secondo
l’espressione hegeliana), cfr.
F. Grimmlinger, Zum Begriff
des absoluten Wissens in
Hegels «Phänomenologie», in
Geschichte
und
System.
Festschrift für Erich Heintel
zum60.Geburtstag, a cura di
H.-D. Klein e E. Oeser,
München-Wien, 1972, pp.
279-300.
Per
un
inquadramento
e
un
commentario, cfr. G.W.F.
Hegel, Le savoir absolu.
Introduction,
commentaire,
notes par B. Rousset, Paris,
1977, e, per alcuni aspetti,
AA.VV., Che cos’è il sapere
assoluto?, in «Verifiche»,
XXXVII(2008),n.1-3.
[83] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 433 (trad.
it.cit.,vol.II,pp.304-305).
[84] Cfr. E. Bloch, Subjekt-
Obiekt.ErläuterungenzuHegel,
cit., pp. 473 ss. (trad. it. cit.,
pp.495ss.);Id.,ÜberMethode
und System bei Hegel,
Frankfurt a.M., 1970, pp. 49
ss.
[85]
Come molti altri
interpreti, Bloch ignora il
fatto che Platone mette
questa famosa teoria del
conoscere come ricordare in
bocca
a
un
filosofo
pitagorico, Cebete, discepolo
di Filolao. Inoltre, non tiene
conto della differenza in
Platone tra la mneme (che
designa la memoria come
unaspeciedicassettieraodi
ripostiglio)el’anamnesis,che
èunprocedimentoeuristico,
un genere di ricerca che
sembra partire dal passato,
ma che invece, andando
avanti,
ritrova
le
connessioni, le giunture
interne del sapere come
accade in un teorema.
Rinviene cioè quella che
Platone
chiama
oikeia
episteme,allalettera«scienza
domestica, a noi familiare»,
ma, per meglio dire, sapere
connaturato
all’anima:
«Poiché, d’altra parte, la
natura tutta è imparentata
con se stessa e l’anima ha
tutto
appreso,
nulla
impedisce che l’anima,
ricordando (ricordo che gli
uomini
chiamano
apprendimento) una sola
cosa, trovi da sé tutte le
altre, quando uno sia
coraggioso e infaticabile
nellaricerca»(Plato,Meno,81
C-D, trad. it. di F. Adorno,
Menone,
Platone,
Opere
complete, vol. 5, Roma-Bari,
1990, p. 270). Per Platone
(Fedone, 73 C-D), l’anamnesis
è un percorso di rimandi
reciproci, che si muove,
comunque,inavanti:avanza
rammemorando
qualcosa
per mezzo di qualcos’altro.
In sostanza si basa non
sull’intentio
recta,
ma
sull’intentioobliqua,nelsenso
che A mi ricorda B (Simmia
miricordaCebete,percitare
un esempio platonico) e da
queste associazioni, per
somiglianza
o
dissomiglianza, scaturisce
una
rete
aperta
di
riferimenti,
mobile
e
potenzialmente
infinita.
L’anamnesis,
come
accennato, procede a zigzag: «Se uno, veduta una
cosa o uditala o avutane
comunque
un’altra
sensazione, non solamente
venga a conoscere quella
cosa,maancheglienevenga
in mente un’altra – un’altra
dicuilacognizionenonèla
medesima, ma diversa»
(Menone, 73 C). Per le
complesse implicazioni di
questo tema, si vedano L.
Robin, Sur la doctrine de la
réminescence, in «Revue des
Études Grecques», XXXII
(1919), pp. 541-561; J.M.
Paisse, Le thème de la
réminescence
dans
les
dialogues de Platon, in «Les
Études Classiques», XXIII
(1965), pp. 225-252, 377-400;
Id.,
Réminescence
et
dialectiques
platoniciennes,
ibid.,XXV(1967),pp.225-248;
E.G.McClain,ThePythagorean
Plato,Boulder,Colo.,1978;V.
Meatini,
Anamnesi
e
conoscenza in Platone, Pisa,
1981; J.T. Bedu-Addo, Senseexperience and the Argument
for Recollection in Plato’s
Phaedo,
in
«Phronesis»,
XXXVI (1991), pp. 27-60; J.-L.
Chrétien, L’inoubliable et
l’inespéré,
Paris,
1991.
Secondo alcuni interpreti, la
teoria del conoscere come
ricordare viene trattata nel
Fedone in forma di mito o in
vista della sua indiretta
confutazione (cfr. T. Ebert,
Sokrates als Pythagoreer und
die Anamnesis in Platons
Phaidon, München, 1974),
perché una memoria ciclica,
legata
alle
infinite
reincarnazioni
dell’anima
nel tempo – dato che il
mondo è eterno, non ha
nascita,
è
agenetos
–
condurrebbe a un regresso
all’infinitoenonaunaoikeia
episteme, in cui le nozioni si
incastrano le une con le
altrefuoridaltempo(perun
semplice accenno, cfr. J.
Klein, A Commentary on
Plato’s Meno, Chapel Hill,
N.C., 1965, pp. 94-99, in
particolare,p.96).
[86] La Prefazione, com’è
noto, venne scritta per
ultima,
e
quindi,
verosimilmente,subitodopo
il capitolo sul sapere
assoluto.
[87] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., pp. 24-25
(trad. it. cit., vol. I, p. 22).
Sulla
memoria
come
caratteristica delle scienze
storiche, cfr. d’Alembert,
Discours
préliminaire
all’Encyclopédie, trad. it. cit.,
vol.I,pp.76,89.
[88]Cfr.Platone,Parmenide,
156C-D.
[89] Fries an Jacobi, 20
dicembre 1807, in Aus F.H.
Jacobi’sNachlass, a cura di R.
Zoeppritz, Leipzig, 1869, vol.
II,p.20.
[90] Hegel an Niethammer, 5
febbraio 1812, in Briefe, cit.,
vol.I,p.393(trad.it.cit.,vol.
II, p. 174). Della prima
edizione1812delprimolibro
della Scienza della logica è
stata curata una ristampa
fotostatica, che permette di
controllare più agevolmente
l’altonumerodivariantiedi
aggiunte introdotte nella
seconda edizione del testo
curatodaHegelnel1831,cfr.
G.W.F. Hegel, Wissenschaft
der Logik. Erster Band, Erstes
Buch, Das Sein, facsimile
della 1a ed. del 1812, a cura
di W. Wieland, Göttingen,
1966 (citata in seguito:
Wissenschaft der Logik 1812).
Sulla situazione di Hegel
dopolabattagliadiJena,cfr.
K. Rosenkranz, Hegels Leben,
trad. it. cit., pp. 539 ss. e
W.R.
Beyer,
Zwischen
Phänomenologie und Logik.
Hegel als Redakteur der
Bamberger
Zeitung,
cit.,
passim.
[91]
Cfr. A. Kojève,
Introduction à la lecture de
Hegel,cit.
[92] A. Kojève, Tyrannie et
sagesse, in L. Strauss, De la
tyrannie, Paris, 1954, trad. it.
Tirannide e saggezza, in L.
Strauss e A. Kojève, Sulla
tirannide, Milano, 2010, p.
186.
[93]Gramsci,Ilmaterialismo
storicoelafilosofiadiB.Croce,
cit.,p.200.
[94] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 35
(trad.it.cit.,vol.I,p.42).
[95] A. Ferguson, An Essay
on the History of Civil Society,
trad.it.cit.,p.7.
[96] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.25(trad.it.
cit., leggermente modificata
per
rendere
meglio
l’immagine della silhouette,
vol.I,pp.22-23).
[97]
In generale sul
significato
di
questo
termine, cfr. A. Massolo,
«Entäusserung»-«Entfremdung»
nella Fenomenologia dello
spirito (1966), ora in La storia
della filosofia come problema,
cit.,
pp.
202-215;
M.
D’Abbiero, «Alienazione» in
Hegel. Usi e significati di
Entäusserung, Entfremdung,
Veräusserung,Roma,1970;K.
Boey, L’aliénation dans la
‘Phénoménologie de l’esprit’ de
G.W.F. Hegel, Paris-Brügge,
1970.
[98]
L’aspirazione
hegeliana
a
integrare
l’individuo nella società
modernasottoilsegnodella
libertà è stata al centro non
solo della lettura di Ch.
Taylor in Hegel, CambridgeNew York, 1975 e in Hegel
and
Modern
Society,
Cambridge-New York, 1979
(trad. it. Hegel e la filosofia
moderna, Bologna, 1984), ma
anche
di
diversi
rappresentanti
americani
della
cosiddetta
Hegel
Renaissance (sulla recezione
americana di Hegel cfr.
AA.VV., Contemporary Hegel.
La recezione americana di
Hegel a confronto con la
tradizione europea, Milano,
2003, e si veda più avanti,
pp. 232-233), come, ad
esempio, F. Neuhouser in
Foundations of Hegel’s Social
Theory. Actualizing Freedom,
Cambridge, Mass., 2000, che
considerala«libertàsociale»
come il più importante
contributo di Hegel alla
teoria politica. Essa sottrae,
infatti, l’individuo a una
concezione
puramente
negativa e privata della
libertà, legandola, in quanto
autodeterminazione,
alla
razionalità. Come chiarisce
G. Cesarale, Hegel nella
filosofia
pratico-politica
anglosassone dal secondo
dopoguerra ai giorni nostri,
Milano-Udine, 2011, p. 126,
sul piano della libertà
sociale «l’individuo deve,
cioè, sapere che, in primo
luogo, le istituzioni sono lo
scopo del suo agire; che, in
secondo luogo, esse sono la
suaessenza;che,infine,esse
sono il prodotto della sua
attività». E si veda più
avanti,pp.366-367nota160.
[99] Per questo aspetto si
vedanoleargomentazionidi
R.B. Pippin in Hegel’s
Idealism. The Satisfactions of
Self-Consciousness,
Cambridge,
1989;
The
Persistence of Subjectivity,
Cambridge, 2005, e Hegel’s
Practical
Philosophy,
Cambridge, 2008; Hegel on
Self-Consciousness. Desire and
Death
in
Hegel’s
Phenomenology
of
Spirit,
Princeton,N.J.,2010(ma,per
una critica delle sue
posizioni, condotta da uno
studioso che non ha
aspettatolaHegelRenaissance
per dare il giusto peso alle
ragioni del filosofo di
Stoccarda, cfr. A. Peperzak,
ModernFreedom.Hegel’sLegal,
Moral,andPoliticalPhilosophy,
Dordrecht,
2001).
La
questione
del
riconoscimento, già toccata
da
Kojève,
è
stata
tematizzata esplicitamente
da L. Siep, Anerkennung als
Prinzip
der
praktischen
Philosophie. Untersuchungen
zu Hegels Jenaer Philosophie
des
Geistes,
FreiburgMünchen,1979,mahaavuto
maggiore risonanza grazie
all’opera di A. Honneth,
Kampf um Anerkennung.
Grammatik sozialer Konflikte,
Frankfurta.M.,1992,trad.it.
Lotta per il riconoscimento.
Proposte per un’etica del
conflitto, Milano, 2002, e Id.,
Das Ich im Wir, Frankfurt
a.M., 2010 (in quest’ultima
opera si sostiene che Hegel
hacercatopertuttalavitadi
esaminare
lo
«spirito
oggettivo», vale a dire le
istituzioni
giuridiche
e
politiche,
quali
stratificazioni
del
riconoscimento, presupposti
concreti della libertà umana
come, ad esempio, lo sono,
nella Filosofia del diritto, la
famiglia,lasocietàcivileelo
Stato). Il dibattito, sollevato
daHonneth,hatrovatoecoe
sviluppi notevoli in diversi
altri autori, tra cui F.
Neuhouser in Foundations of
Hegel’s
Social
Theory.
ActualizingFreedom,cit.Perla
dialettica
del
riconoscimentocfr.ancheR.
Bodei, Le prix de la liberté,
Paris,1995,eId.,Ildesiderioe
la lotta, Introduzione a A.
Kojève, La dialettica e l’idea
dellamorteinHegel,cit.
[100]
Cfr. A. Massolo,
«Entäusserung»-«Entfremdung»
nella Fenomenologia dello
spirito, cit., sulla differenza
fra alienazione dello spirito,
come strada per il ritorno a
sé (senso positivo), e
alienazionedellapersonalità
(senso
negativo),
cfr.
GrundlinienderPhilosophiedes
Rechts, cit., § 66 A (trad. it.
cit., p. 73): «Esempi di
alienazionedellapersonalità
sono:laschiavitù,laservitù,
l’incapacità di possedere
proprietà, la non-libertà
della
medesima
etc.;
un’alienazione
della
razionalitàintelligente,della
moralità, dell’eticità, della
religione, si presenta nella
superstizione,enell’autorità
enelpotere,cedutoadaltri,
di
determinare
e
di
prescrivere a me ciò che io
debbocompierecomeazioni
(quando uno si impegna
espressamente alla rapina,
all’omicidioecosìvia,oalla
possibilità del delitto), a me,
che cosa sia obbligo di
coscienza, verità, religione
etc.».Inbrevenonèsempre
vero che l’alienazione sia
per Hegel un processo
positivo coincidente con
l’oggettivazione.
[101] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie, cit., p. 9 (trad. it.
cit.,p.10).
[102] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 79
(trad.it.cit.,vol.I,p.93).
[103] Ibid., p. 10 (trad. it.
cit.,vol.I,p.14).
[104] Ibid., pp. 61-62 (trad.
it.cit.,vol.I,pp.72-73).
[105] Ibid., p. 62 (trad. it.
cit.,vol.I,p.73).
[106] Cfr. L. Althusser, Sur
le rapport de Marx à Hegel, in
Hegel et la pensée moderne,
cit.,pp.106-107,rist.inLenin
et la philosophie, Paris, 1972,
trad.it.diF.Madonia,Lenine
la filosofia, Milano, 1972, pp.
68-69. Ma sul «processo
senza
soggetto»
che
accomunerebbe
per
Althusser Hegel a Marx, cfr.
le osservazioni di C.
Luporini, Marx secondo Marx,
ora
in
Dialettica
e
materialismo,Roma,1974,pp.
239ss.
[107]Marx,DasKapital, cit.,
vol. I, pp. 85 ss., vol. III, pp.
784,877ss.(trad.it.cit.,vol.
I,1,pp.84ss.,vol.III,3,trad.
it. di M.L. Boggeri, Roma,
1956, pp. 182, 286 ss.). Sullo
scambioinegualedisalarioe
lavoro e la sua apparenza
(meglio: parvenza, Schein),
cfr. anche Marx, Grundrisse
der Kritik der politischen
Ökonomie, Berlin, 1953, pp.
194-195, 368, 566 (trad. it. di
E.
Grillo,
Lineamenti
fondamentali della critica
dell’economia politica, Firenze,
1969-1970,vol.I,p.267evol.
II, pp. 86, 363-364) e R.
Rosdolsky,
Zur
Entstehungsgeschichte
des
Marxschen
«Kapital»,
Frankfurt a.M.-Wien, 1968,
trad. it. di B. Maffi, Genesi e
struttura del «Capitale» di
Marx,Bari,1971,pp.239ss.
[108]Marx,DasKapital, cit.,
vol. I, p. 85 (trad. it. cit., vol.
I,1,pp.84-85).
[109]Perlaricostruzionedi
queste vicende si vedano
Hegel
contemporaneo.
La
ricezione americana di Hegel a
confronto con la tradizione
europea,acuradiL.Ruggiue
I. Testa, Milano, 2003; G.
Cesarale, Hegel nella filosofia
pratico-politica anglosassone
dal secondo dopoguerra ai
giorni nostri, cit., e Hegel and
the Analytic Tradition, a cura
di A. Nuzzo, London-New
York,2010.DiStanleyRosen,
che può essere considerato
uno dei pionieri della Hegel
Renaissance,cfr.G.W.F. Hegel.
An Introduction to the Science
of Wisdom, New HavenLondon, 1974. Sui vari
aspetti della ricezione di
Hegel
in
ambito
anglosassone, cfr. sopra, pp.
227-228. È da ricordare che
nella filosofia americana
Peirce, James e Dewey
furono
invece
grandi
estimatori di Hegel. Le
ragioni della diffidenza per
la filosofia hegeliana nel
mondo anglosassone sono
ben riassunte da Pippin
quando
sotttolinea
il
contrasto
tra
la
sua
influenza
e
la
sua
incomprensibilità: «Hegel è
uno dei più idolatrati e
vilipesi filosofi di tutta la
storia e, nello stesso tempo,
si ritiene diffusamente che
nessunosappiarealmentedi
cosa parli» (R.B. Pippin,
Hegel’s
Idealism.
The
Satisfaction
of
SelfConsciousness,
Cambridge,
cit.,p.3).
[110]
Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XIII, pp.
13-14 (trad. it. cit., vol. I, pp.
10-12). Per una parziale
revisione dei tradizionali
accostamentifralosviluppo
storico, la tradizione e la
Rivoluzione francese in
HegeleinBurke,aproposito
della continuità storica, cfr.
anche J.F. Suter, Burke, Hegel
and the French Revolution, in
Hegel’s Political Philosophy,
cit.,pp.72ss.
[111]
Cfr.
la
poesia
hegeliana Entschluss del
1801: «Strebe, versuche du
mehr als das Heut und das
Gestern/Sowirstdu/Besseres
nicht, als die Zeit, aber auf’s
Beste sie sein!» («Sforzati,
tenta, più di oggi e di ieri! /
Così tu non sarai migliore
deltempo,mail[tuo]tempo
nel
modo
migliore!»)
(Dokumente
zu
Hegels
Entwicklung, cit., p. 388), e
cfr.Hegel,Aphorismenausder
Jenenser Periode, cit., p. 550
(trad. it. cit., n. 52, p. 72):
«Ognuno vuole e ritiene
essere migliore di questo
suo mondo. Chi migliore è,
esprime solo questo mondo
megliodeglialtri».
[112] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., pp. 75-77
(trad.it.cit.,vol.I,pp.88-90).
Sulla concezione hegeliana
degli individui «cosmicostorici», cfr. G.V. Plechanov,
La funzione della personalità
nella storia, trad. it. di P.
Flores d’Arcais, in La
concezione materialistica della
storia, Roma, 1970, pp. 77113. Questa tematica è da
vedere anche alla luce del
risultato
dell’anonimo
operare di tutti e di
ciascuno, cfr. S. Landucci,
Hegel: la coscienza e la storia.
Approssimazioni
alla
‘Fenomenologia dello spirito’,
Firenze, 1976, e É. Balibar,
Zur ‘Sache selbst’. Comune e
universale
nella
‘Fenomenologia’ di Hegel, in
«Iride», n. 52, XX (dicembre
2007),pp.553-558.
[113] Hegel, Frammento di
testo jenese, in Dokumente zu
Hegels Entwicklung, cit., pp.
336-337.
[114] Hegel an Friedrich von
Raumer, 2 agosto 1816, in
Briefe,cit.,vol.II,pp.100-101
(trad.it.cit.,vol.II,p.319).
[115]
Hegel,
Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X1,
p.209(trad.it.cit.,p.185).È
interessanteosservarecome
uno degli allievi di Hegel,
Heinrich Gustav Hotho,
abbiascrittounastoriadella
pittura tedesca: Geschichte
der deutschen Malerei, Berlin,
1842-1843.
Sulla
«inabitabilità della vita
moderna»,masullacapacità
degli olandesi, come appare
nella loro pittura, di porre
energia in tutto ciò che
fanno, in ogni compito, per
banale che sia, così da
rendere il mondo familiare,
cfr. T. Pinkard, Hegel’s
Naturalism.Mind,Nature,and
the Final Ends of Life, cit., pp.
147-172.
[116]
Hegel, Vorlesungen
über die Philosophie der
Religion, a cura di G. Lasson,
cit., vol. II, 1, p. 233 (trad. it.
cit.,vol.I,p.543).
[117] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 478
(trad.it.cit.,vol.II,p.250).
[118] Ibid., p. 477 (trad. it.
cit.,vol.II,p.248).
[119]
Ibid., pp. 510-511
(trad. it. cit., vol. II, p. 287).
Cfr. Vorlesungen über die
PhilosophiederReligion,acura
diG.Lasson,cit.,vol.II,1,p.
234 (trad. it. cit., vol. I, p.
544). Per il rapporto Diouomo nella filosofia della
religione di Hegel, cfr. M.
Wendte,
Gottmenschliche
Einheit bei Hegel. Eine logische
undtheologischeUntersuchung,
Berlin,2007.
[120]
Hegel, Vorlesungen
über die Philosophie der
Religion, a cura di Ph.
Marheineke, in Werke, cit.,
Berlin,1832,vol.XII,p.253.
[121]Cfr.Hegel,Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XIII, p.
118 (trad. it. cit., vol. I, p.
118).
[122] Hegel, Auszüge und
Bemerkungen, in
Schriften,cit.,p.702.
[123]
Hegel,
Berliner
Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X1,
p.42(trad.it.cit.,p.40).
[124]Hegel,DieHeidelberger
Niederschrift der Einleitung
(Beginn der Vorlesung am 28.
X.1816),cit.,pp.4-6(trad.it.
in Hegel, Lezioni sulla storia
dellafilosofia,cit.,vol.I,pp.23).
[125]
Cfr. S. Landucci,
L’operare umano e la genesi
dello
«spirito»
nella
«Fenomenologia» di Hegel, cit.,
passim.
[126]
Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie,cit.,vol.XIII,p.91
(trad.it.cit.,vol.I,p.89).
[127] Cfr. Hegel, Philosophie
der Weltgeschichte, cit., p. 31
(trad.it.cit.,vol.I,p.37).
[128]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften,§411A(trad.
it. cit., pp. 387-388). Sulla
mimica
e
la
spiritualizzazione del corpo
umano, cfr. I. Fetscher,
Hegels Lehre vom Menschen,
Stuttgart,1970,pp.92-94.
[129]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§411Z.
[130]
Hegel,
Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X2,
pp. 370-371 (trad. it. cit., p.
800).
[131] Ibid., p. 374 (trad. it.
cit., p. 803). Sembra di
sentire le osservazioni di
Walter Benjamin in Angelus
Novus relative al flanieren
nella poesia di Baudelaire À
une passante, al vagare privo
di scopo dell’individuo che
gode nel perdersi nella
confusione della folla (cfr.
W.Benjamin,Angelus Novus,
in Schriften, Frankfurt a.M.,
1955, trad. it. di R. Solmi,
Angelus Novus, Torino, 1962,
p.100).
[132]
Hegel, Vorlesungen
über die Aesthetik, cit., pp.
410,415(trad.it.cit.,pp.834,
838-839).
In
queste
considerazioni sulle mode
degli orientali c’è forse la
reminiscenza di un passo di
Volney, cfr. C.-F. Volney,
Voyage en Syrie et en Egypte,
trad. it. di E. Del Panta, a
curadiS.Moravia,Viaggioin
Egitto e in Siria, 1782-1785,
Milano, 1974, pp. 441 ss.,
453-455.
[133]Cfr.Hegel,Systemund
Geschichte der Philosophie, a
cura di J. Hoffmeister,
Leipzig,1944,p.148.
[134] Sul rapporto Hegel-
Montesquieu e sul concetto
hegeliano di spirito cfr. G.
Planty-Bonjour, De l’«Esprit»
général selon Montesquieu au
«Volksgeist»
hégélien,
in
«Recherches hégéliennes»,
Poitiers, 1971, pp. 9 ss.; R.C.
Salomon, Hegel’s Concept of
Geist,
in
«Review
of
Metaphysics», XXIII (19691970), pp. 642-661. Sulla
storia del concetto di
«spirito», cfr. in generale, E.
Schweizer,
Pneuma,
pneumatikos, in Theologisches
Wörterbuch
zum
Neuen
Testament, a cura di G.
Friedrich, Stuttgart, 1959,
vol. VI, pp. 330-450; R.
Hildebrand, Geist, Halle,
1926,rist.Darmstadt,1966.
[135]
Cfr.
Hegel,
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol.I,p.6(trad.it.cit.,p.6).
[136]
Hegel,
Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X2,
p.231(trad.it.cit.,p.676).
[137] Cfr. Hegel, Jenenser
Realphilosophie II, cit., pp.
224-225(trad.it.cit.,p.147).
[138] Cfr. l’interpretazione
del passo eschileo delle
Eumenidi,vv.566ss.(giudizio
di Apollo su Oreste) in Über
die
wissenschaftliche
Behandlungsarten
des
Naturrechts,
in
Hegel,
Schriften zur Politik und
Rechtsphilosophie,acuradiG.
Lasson,Leipzig,19232,p.381
(trad. it. di A. Negri, Le
maniere
di
trattare
scientificamente
il
diritto
naturale, in Scritti di filosofia
del diritto, 1802-1803, Bari,
1971,p.113).Perun’ampiae
approfondita trattazione di
questotestoedell’ideadella
«tragedia dell’etico» ivi
contenuta, cfr. M. Schulte,
Die ‘Tragödie des Sittlichen’.
Zur Dramentheorie Hegels,
München,1992.
[139] Schelling, Philosophie
der Offenbarung, cit., p. 7
(trad.it.cit.,vol.I,p.103).
[140]
Schopenhauer, Die
WeltalsWilleundVorstellung,
cit., §§ 58, 59, vol. I, pp. 379,
383 (trad. it. cit., pp. 629,
635). Su Schopenhauer e
Bichat, cfr. Die Welt als Wille
und Vorstellung, cit., vol. II,
Ergänzungen, pp. 300-304; F.
Colonna
d’Istria,
La
psychologie de Bichat, in
«Revue de Métaphysique et
de morale», XXXIII (1926), p.
34.
[141] Ibid., § 57, vol. I, pp.
370-371(trad.it.cit.,pp.613,
615). Su questa ricerca di
emozioni, cfr. la risonanza
del tema schopenhaueriano
in W. Benjamin, Angelus
Novus, trad. it. cit., pp. 110111.
[142] E. Weil, Hegel (1956),
ora in Essais et conférences,
Paris, 1970, pp. 133-134; cfr.
L.
Sichirollo,
Dialettica,
Milano,1973,pp.149-155.
[143] Hegel, System und
GeschichtederPhilosophie,cit.,
p.154.
[144] Hegel, Die Vernunft in
derGeschichte,cit.,pp.50ss.,
256-257. Cfr. R. Bodei,
Dialettica e controllo dei
mutamentisocialiinHegel,cit.,
pp.111ss.epassim.
[145]Cfr.Hegel,Grundlinien
der Philosophie des Rechts, a
cura di J. Hoffmeister, cit.,
Vorrede,p.14(trad.it.cit.,p.
13), Rede zum Antritt des
philosophischen Lehramtes an
der Universität Berlin, cit., p.
20.
[146] Cfr. Hegel, Philosophie
der Weltgeschichte, cit., pp.
365, 936 (trad. it. cit., vol. II,
pp. 117-118; vol. IV, p. 217),
DieVernunftinderGeschichte,
cit., p. 214. Sullo spirito
come progetto idealistico di
unificazione culturale del
genere umano, cfr. Gramsci,
Il materialismo storico e la
filosofia di B. Croce, p. 142:
«Ciò che gli idealisti
chiamano“spirito”nonèun
punto di partenza, ma
d’arrivo, l’insieme delle
soprastrutture in divenire
versol’unificazioneconcreta
e oggettivamente universale
e non già un presupposto
unitario».
[147] Cfr. più avanti, pp.
368-369.
[148]
Cfr.
R.
Bodei,
Systematische Aspekte und
Perspektiven einer Epoche in
Hegels
Philosophie
der
Weltgeschichte, in L’esprit
objectif. L’unité de l’histoire,
cit.,pp.48-49.
[149] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 661
(trad. it. cit., vol. III, p. 161).
Nel periodo di massimo
dominio
di
questo
universale astratto, che è
l’organizzazione
politica
romana, la filosofia si ritira
in se stessa, cerca nel
pensiero e non nella realtà
la conciliazione, promette
agli individui angosciati dal
mondo l’imperturbabilità di
fronteaesso,cfr.ibid.,p.718
(trad. it. cit., vol. III, p. 229).
La religione cristiana, e non
lafilosofiastoicaoepicurea,
erainquelperiodostoricola
formapiùaltadellospirito.
[150]
Hegel,
Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X1,
p.130(trad.it.cit.,p.116).
[151]
Engels,
Ludwig
Feuerbach und der Ausgang
der klassischen deutschen
Philosophie,Berlin,1946,trad.
it. di P. Togliatti, Ludwig
Feuerbach e il punto d’approdo
della filosofia classica tedesca,
Roma,19722,p.63.
[152] Per una cruda critica
a Hegel, che anticipa le
posizioni più radicali che
l’autoreassumeràinseguito,
si veda questo passo di
Antonio Negri, Rileggendo
Hegel, filosofo del diritto, in
Incidenza di Hegel, cit., pp.
269-270: «La realtà non è
dialettica
ma
parziale,
autonoma, singolare; la
realtà non è universale, ma
radicalmente unilaterale; è
prassi che si anticipa e
rischia se stessa nel
costruirsi
come
potere
particolare.Finalmentefuori
dalladialettica,fuoridaogni
processo compositivo che è
solo
processo
di
mistificazione, fuori dal
lavoro come sintesi di
opposti,–fuoridallafilosofia
cometerrenodiusurpazione
ideale
del
reale,
del
particolare: così il rifiuto del
lavoro trae le conseguenze
della
scoperta
della
Rechtsphilosophiecomeindice
supremo
dell’ideologia
borghese e della pratica
capitalistica
dell’organizzazione
dello
sfruttamento.Quiilpensiero
del particolare col liberarsi
della dialettica del lavoro si
libera della filosofia come
apparizione notturna di una
comprensione apologetica
del reale; la nottola di
Minerva scompare dalla
nostra sera […] Forse solo
l’odio, come espressione
della
particolarità
insubordinata nella quale
cresce il nostro pensiero,
può ancora definire la
qualità di un rapporto con
Hegel.
Eppure
tuttavia
proprio questo sentimento,
con la sua intensità, ci lega
ancoracontraddittoriamente
alui».
[153] Il godimento infatti,
anche come soddisfazione
deibisognipiùelementari,è
per Hegel un ritornare a sé
dalla scissione, cfr. Hegel,
System der Sittlichkeit, in
Schriften zur Politik und
Rechtsphilosophie, cit., pp.
418-419 (trad. it. di A. Negri,
Sistemadell’eticità,inScritti di
filosofia del diritto, 1802-1803,
cit.,pp.168-169).
[154] Hegel, Die Vernunft in
der Geschichte, cit., pp. 256257.
[155] Ha ragione Trotsky a
dire che «i rapporti sociali
continuano a formarsi alla
maniera
delle
isole
coralline»
(Storia
della
rivoluzione russa, Milano,
1969,vol.II,p.1258)?
[156] Hegel, Die Vernunft in
derGeschichte,cit.,p.62.
Capitoloquarto
L’esperienzae
leforme:
analisi
infinitesimale
elinguaggio
La filosofia hegeliana
vuole essere l’erede e
la conciliazione sia
dell’empirismochedel
razionalismo:
dell’empirismo, con la
'Fenomenologia',
scienza
dell’esperienza della
coscienza, in cui il
sapere apparente è
condotto al sapere
assoluto o scientifico;
del
razionalismo,
perché
dopo
la
'Fenomenologia',
la
ragione può costruire
a partire da se stessa,
ma avendo alle spalle
ilricordodelcammino
fenomenologico
percorso e l’energia
potenziale di seimila
anni di storia. Questo
legame
ora
evidenziato dopo un
percorsomillenariotra
esperienza
e
universale,
tra
esperienza e filosofia,
tra
analisi
infinitesimaleegenesi
dell’esperienza stessa,
così come la nascita
dell’idealismo
avvenuta a seguito
dell’idealismo, sono il
punto di partenza per
un
incontro
tra
scienza, Io e spirito. Si
indaga infine il nesso
che
Hegel
seppe
cogliere e porre tra
linguaggio
ed
esperienza storica dei
popoli.
È
stata
una
grande
epoca
quella in
cui sorse
questo
principio
dell’esperienza
quando
l’uomo
cominciò
a vedere,
a sentire,
a gustare
da sé, a
darvalore
alla
natura, a
far valere
la
testimonianza
dei sensi
come
qualcosa
di
importante,
di sicuro,
a ritener
vero solo
quel che
veniva
conosciuto
mediante
i
sensi.
Questa
convinzione
sicura,
immediata,
attraverso
isensiera
il
fondamento
di questa
filosofia
così
chiamata;
da questa
testimonianza
dei sensi
sono
appunto
scaturite
le scienze
naturali.
E questa
testimonianza
dei sensi
è
stata
contrapposta
alle
precedenti
maniere
di
considerare
la natura:
in
precedenza
si partiva
da
princìpi
metafisici.
In quanto
sipartìda
rappresentazio
sensibili,
sientròin
conflitto
con
la
religione
eloStato.
Non
è
però
soltanto
la
testimonianza
dei sensi
che
è
stata
opposta
alla
metafisica
dell’intelletto,
ma
un’altra
testimonianza
ancora è
stata
tenuta in
alta
considerazione
e
cioè
questa,
che
il
vero può
aver
valore
solo
in
quanto si
trova
nell’animo,
nell’intelletto
dell’uomo;
e
mediante
questo
intelletto,
questo
pensare e
sentire
autonomo
si
è
venuti a
contrasto
ancor di
più con il
positivo
della
religione
e
delle
costituzioni
statali di
allora.
L’uomo
imparò
ora
a
osservare,
pensare e
farsi
rappresentazio
da
sé
contro le
verità
stabilite, i
dogmi
della
Chiesa e
allo
stesso
modo
contro il
diritto
statuale
vigente;
o,
perlomeno
ha
cercato
nuovi
princìpi
per
il
vecchio
diritto
statuale,
per
rettificarlo
secondo
questi
princìpi.
Hegel,
Einleitung
indie
Geschichte
der
Philosophie[1].
1.L’esperienza
dell’universale
Come
ci
si
impossessa, in modo
adeguato all’epoca, del
«lungo percorso» finora
compiuto dallo spirito
nella
sua
storia
millenaria? Con quali
tratti
peculiari
la
filosofia
moderna
rispecchia
questa
«nuova figura» dello
spirito e ne utilizza
l’energia
potenziale
accumulata in «seimila
anni»?Infatti,lo«spirito
del mondo presente è il
concettochelospiritosi
fa di se stesso; è esso
che si tien su e governa
il mondo; ed è il
risultato delle fatiche di
seimila anni, ciò che lo
spirito ha effettuato
attraverso il lavorio
della storia del mondo,
ciò che è dovuto
risultare da questo
lavoro»[2].
Per capire, dobbiamo
iniziare dalla fine del
Medioevo,dalperiodoin
cui, con la filosofia
scolastica, «erano stati
cavati
gli
occhi
all’uomo»[3]. Allora il
«punto centrale» era
quello «dell’individuo
separato dal mondo e
chiusoinsestesso»:«Di
fronte alla vita religiosa
c’erailmondoesteriore,
in
quanto
mondo
naturale, mondo dei
sentimenti,
delle
inclinazioni,
della
natura dell’uomo, che
aveva valore soltanto in
quanto
veniva
superato»[4]. Ma con lo
svanire, «dopo lunghe
tempeste» della «lunga,
terribile, gravida di
conseguenze notte del
Medioevo»[5], l’«occhio
dell’uomosirischiarò,la
sua
recettività
fu
eccitata, il pensiero si
accinse a un’opera di
chiarificazione. Era per
gli uomini come se solo
allora Dio avesse creato
il sole, la luna, le stelle,
le piante e gli animali,
come se solo allora
fossero state fissate le
leggi:chésoloadessogli
uomini
presero
interesse a queste leggi,
riconoscendo la loro
ragione
in
quella
ragione, e scoprendo
l’universalenellanatura
e nell’intelletto»[6]. Con
ciò viene reso onore al
finitoealpresente,eda
un lato si procede per
estensione alla scoperta
dell’universo,
aguzzando lo sguardo e
ampliando il dominio
dei sensi con strumenti
che
permettono
di
vedere l’infinitamente
lontano
e
l’infinitamente piccolo,
da
un
lato
intensivamente,
scavando dentro se
stessiallaricercadiuna
conciliazione
fra
pensiero ed essere: «La
filosofia
moderna
dell’età
[…] porta
all’opposizione il punto
divistadelMedioevo,la
diversità del pensato e
dell’universoesistentee
ha da fare con la sua
soluzione. L’interesse
precipuoadunquenonè
tanto di pensare gli
oggetti nella loro verità,
quanto di pensare il
Pensare e il Concepire
gli oggetti, di pensare
questa medesima unità,
che in sostanza è il
divenire cosciente di un
oggetto presupposto»[7].
Nell’era moderna –
come già si è accennato
– l’invenzione della
polvere
da
sparo
modifica i rapporti
sociali ed elimina le
forme di dipendenza
personale, così che la
forza e l’abilità del
singolo abdicano a
favore
dell’organizzazione
collettiva
e
della
dipendenza di ciascuno
dall’insieme, che è
guidato dallo spirito
come
«momento
direttivo»:
«Le
fortificazionideicastelli,
gli
strumenti
dell’isolamento
individuale, armature e
corazze,questepreziose
armi di difesa del
singolo furono rese
inutili:ladistinzionefra
signoreeservoperdette
così ogni sua forza […]
Si può ben deplorare la
fine o la decadenza del
valore
dell’eroismo
personale (l’uomo più
coraggioso e più nobile
può essere ucciso da
lontano da un vile
appiattatoinunangolo).
Ma, in realtà, l’arma da
fuoco fece nascere il
coraggio
superiore,
quellopiùspirituale,più
razionale,piùcosciente;
il momento direttivo
divenne ora la cosa
principale»[8]. L’umanità
si distacca ridendo dal
suo passato, e nel Don
Chisciotte si inverte il
rapporto servo-padrone
e ci si beffa del nobile
eroismo dei cavalieri
erranti,
mentre
il
sanguigno e sensato
Sancho
consapevole
Panza,
dei
molteplici
bisogni
dell’uomo e alieno dai
misteridellafedeedella
cavalleria, diventa il
prototipo del nuovo
uomo della società
civile[9].
L’isolamento
del
singolo
viene
incrinato
dall’abolizione
anche
del
celibato ecclesiastico da
parte di Lutero. In tal
modo,
«l’uomo,
attraverso la famiglia,
entra nella comunità,
nel reciproco rapporto
di dipendenza della
società,equestovincolo
è etica: mentre i
monaci, separati dalla
società
etica,
costituiscono l’esercito
stanziale del papa,
come i giannizzeri la
base della potenza
turca. Col matrimonio
del sacerdote scompare
anche la differenza
esterna fra laici ed
ecclesiastici (Geistliche).
Parimenti
anche
l’astensione dal lavoro
nonfupiùritenutacosa
santa, ma si considerò
come superiore il fatto
che l’uomo, nel suo
stato di dipendenza, si
rendesse autonomo con
la
sua
attività,
intelligenza e diligenza.
È più onesto che colui
che ha denaro lo
spenda, anche se per
bisognisuperflui,invece
di regalarlo a oziosi e
mendicanti, e per lo
meno a condizione che
essi
abbiano
attivamente lavorato.
L’industria, i mestieri
hanno ormai acquistato
dignità etica, e sono
scomparsi gli ostacoli
che venivano opposti a
essi da parte della
chiesa. Questa aveva
infatti
dichiarato
peccaminoso il prestar
danaro per interesse;
ma la necessità delle
cose
portò
proprio
all’opposto»[10].
In
questa difesa dello
‘spirito del capitalismo’
ci sono i tratti più
caratteristici di quella
cheHegeldefiniscel’età
moderna:
dominio
collettivo del prodotto
dell’«attività» e del
lavoro
di
tutti;
interdipendenza degli
uomini; natura astratta
e
impersonale
dei
legami che li uniscono;
elogio
del
lavoro
produttivo; prevalenza,
al livello economico,
della forma monetaria
sui«bisogni»concreti.
Ma la più grande
rivoluzione
che
si
compie con la fine del
Medioevoèlaconquista
della
certezza
soggettiva:
l’autorità
cessa di essere verità
insondabile,
fondata
sulla tradizione e sulla
parola di Dio, e deve
esibirelasualegittimità.
Le «due linee»[11], infine
convergenti,
l’empirismo
e
il
razionalismo,
sono
unitedaquestacomune
ricerca di una certezza
indipendente da ogni
autorità esterna. La
differenza consiste nel
fatto che l’empirismo si
appoggia ai sensi, al
mondo esterno (senza
accorgersi che da essi
non può ricavare leggi
universali
e
che
l’esperienza non è un
mero vedere, toccare
ecc.maun’articolazione
di
conoscenze
che
coinvolge il soggetto
conoscente e tutte le
manifestazionidellasua
epoca), mentre invece il
razionalismo
si
appoggia all’intelletto e
alla metafisica, senza
rendersi
conto
del
cammino percorso per
giungere al sapere, e
anzi cancellandone le
tracce in concetti e
proposizioni
generali
definiti
fondanti.
Empiristi e razionalisti
tuttavia,
nel
loro
momentodiverità,sono
entrambi accompagnati
dall’istinto
della
ragione[12], che li spinge
difattoaoltrepassarela
loro unilateralità e le
loro stesse intenzioni.
Così i primi, seguendo
l’esperienza sensibile,
giungono alle teorie
generali, e credendo di
aver a che fare solo col
mondo
esterno,
penetrano invece nel
«quieto mondo delle
leggi»[13],cheèl’opposto
intellettuale di ogni
mutevole
fenomeno.
Succede in tal modo
loro quel che era
successo a Newton:
«Dalle esperienze egli
trasse punti di vista
generali, che pose poi a
fondamento,
e
su
questo
costruì
l’individuale: ecco le
teorie […] Ma nel far
questo
Newton
è
talmente barbaro nei
concetti, che gli capita
quel che è accaduto a
un
altro
suo
connazionale, che fece
le gran meraviglie e si
rallegròquandoapprese
che in tutta la sua vita
aveva parlato in prosa,
non essendosi mai
accorto di possedere
questa
capacità.
Newton, come i fisici in
generale, non se ne
accorseinvecemai,non
seppe mai di pensare e
d’aver a che fare con
concetti;credevadiaver
a che fare soltanto con
le cose fisiche»[14]. I
razionalisti invece, pur
partendo dall’intelletto,
scoprono nessi reali nel
mondo, sperimentano il
potere della ragione
inconscia nel rivelare il
mondo e teorizzano
allora: ordo et connexio
idearum idem est ac ordo
etconnexiorerum.
Empirismo
e
razionalismo lavorano
entrambiistintivamente
alla costruzione di un
nuovo
modello
di
ragione coincidente con
l’effettualità; nella loro
ricerca
di
certezza
prefigurano
l’autocoscienza
dello
spirito, la raggiunta
consapevolezza storica
del
suo
cammino,
assimilabile
dall’individuo
nel
percorso
fenomenologico.
La
filosofiahegelianavuole
essereappuntol’eredee
la conciliazione sia
dell’empirismo che del
razionalismo:
dell’empirismo, con la
Fenomenologia, scienza
dell’esperienza
della
coscienza, in cui il
sapere apparente è
condotto al sapere
assoluto o scientifico
(col
mostrare
alla
coscienza,
attraverso
una
serie
di
rovesciamenti,
Umkehrungen, che essa
non ha a che fare solo
con oggetti esterni, ma
che
l’esperienza
è
proprioquestocontinuo
intreccio di soggetto e
oggetto, di singolo e
sostanzauniversale);del
razionalismo,
perché
dopolaFenomenologia,la
ragione può costruire a
partire da se stessa, ma
avendo alle spalle il
ricordo del cammino
fenomenologico
percorso e l’energia
potenziale di seimila
anni di storia. Sapere
apparente e sapere
costituito,
ordine
naturale-cronologico e
ordinelogico-scientifico,
si presuppongono ora a
vicenda nell’insieme, e
questo spiega infine
perché ognuno appaia
all’altrocomeunmondo
rovesciato. L’apparenza
è
penetrata
nella
scienza e la scienza
nell’apparenza.
Fenomeno e ragione
non si escludono più, e
anchedalpuntodivista
storico la verità è
baconianamente
filia
temporis, proprio tempo
appreso in pensieri. Ma
ciò non è accaduto,
come in Kant – la cui
filosofia è da Hegel
considerata
essenzialmente
fenomenologia
e
sviluppo
dell’empirismo[15]
–
trasformando tutto il
sapere in fenomeno e
risolvendo il contrasto
empirismo/razionalismo
con i «giudizi sintetici a
priori»,
bensì
assimilando
il
fenomeno nel sapere
senzaridurreilsaperea
fenomenoeattribuendo
al movimento generale
«dello spirito», e non
alle trovate dei filosofi,
la capacità di conciliare
i due opposti versanti
della verità e della
certezza.
2.Ilpatrimonio
dell’esperienzae
lafilosofia
La filosofia moderna
poggiasuunpatrimonio
di
conoscenze
scientifiche
concrete
che la filosofia antica
non possedeva e che
danno al movimento
della filosofia moderna
l’apparenza
di
un
movimento autonomo,
di
un’«aeronave»
(Luftschiff)
dei
Fernromanen,
termine
chehalasuatraduzione
più adeguata nel nostro
«romanzi
di
fantascienza»[16].
Poggiandosullespalledi
questo gigante che
avanza con gli stivali
delle sette leghe (ossia
lo spirito moderno, e
nonquellodegliantichi,
su cui posa il nano,
come nella famosa
querelle)[17], la filosofia
tocca il suo «etere» e
sembratagliaredietrodi
sé tutti i ponti con
l’esperienza, con le
scienze, col proprio
tempo. Così dice infatti
Hegel, in un passo
significativo riferito a
Bacone: «L’empiria non
è un puro osservare,
udire, sentire, ecc., un
percepire il singolo, ma
tende essenzialmente a
scoprire
generi,
universalità, leggi. Nel
compierequestovienea
imbattersi nel campo
del concetto,
qualcosa,
genera
che
appartiene
all’ambito
dell’idea:preparaquindi
il materiale empirico
per il concetto, sicché
questo è allora in grado
di
accoglierlo
così
preparato.
Senza
dubbio,
quando
la
scienza è già costituita,
l’ideadeveprocedereda
se stessa; la scienza
come
scienza
non
prende
più
inizio
dall’empirico.
Ma
perchélascienzagiunga
all’esistenza
è
necessario
il
procedimento
dal
singoloedalparticolare
al generale: attività
questa, ch’è reazione
alla
materia
data
dall’empiria
per
elaborarla. L’esigenza
del conoscere a priori,
quasi
che
l’idea
costruisca dal proprio
interno, non è dunque
altro che un ricostruire,
come fa in sostanza il
sentimento
nella
religione.
Senza
l’elaborazione
delle
scienzesperimentaliper
sé, la filosofia non
avrebbe
potuto
oltrepassareilpuntocui
erano giunti gli antichi.
Il tutto dell’idea in se
stessa è la scienza
compiuta; l’altro però è
l’inizio, il corso del suo
sorgere.
Questo
processo del sorgere
della scienza è diverso
dal corso di essa in se
stessa quando è già
compiuta, allo stesso
modo che il corso della
storia della filosofia è
diverso dal corso della
filosofia medesima. In
ogni scienza si procede
da princìpi, che da
principio risultano dal
particolare; ma quando
lascienzaècompiuta,si
prendono le mosse da
essi. Così accade anche
nella
filosofia:
l’elaborazione del lato
empirico è diventata in
tal modo condizione
essenziale perché l’idea
possa pervenire al suo
svolgimento e alla sua
determinazione.
Per
esempio, perché ci
possa essere la storia
della filosofia moderna,
occorre la storia della
filosofia in generale, il
percorso della filosofia
attraverso
tanti
millenni: questo lungo
viaggio
ha
dovuto
compiere lo spirito per
produrre
quella
filosofia.Nellacoscienza
essa prende poi allora
una posizione come se
tagliassedietroasétutti
i ponti: pare che non
facciaaltrochelasciarsi
andare liberamente nel
proprio etere, che si
spieghiinquestomezzo
senza resistenza: altra
cosaèperòlaconquista
di questo mezzo e la
possibilitàdispiegarvisi.
Nondobbiamoperderdi
vistachesenzaavercosì
proceduto la filosofia
non sarebbe mai giunta
all’esistenza, poiché lo
spiritoèessenzialmente
come una lavorazione
fattadaaltro»[18].
La filosofia moderna
non costruisce quindi
dal proprio interno, ma
poggiando sul cumulo
dell’esperienza,
e
l’enorme
dilatazione
della filosofia hegeliana
nell’accogliere l’intera
realtà, questo lavoro
ciclopico, dipende dal
fatto che essa ha voluto
passare
attraverso
l’esperienza:
«niente
vienesaputochenonsia
nell’esperienza», «tutto
deve
essere
sperimentato»[19].
L’esperienza stessa è
statainoltreampliataal
soggetto e alla filosofia
ed ha coinvolto nel suo
movimento
il
conoscenteela«verità».
Per questo Hegel, per
quanto appaia, per altri
versi,
un
nemico
dell’empiria, è in realtà
«uno dei più forti
empirici»[20]. Ma tale
affermazione di Korsch,
oggettivamente
condivisa anche da
Adorno, è vera solo se
riferita
al
sapere
apparente
nel
suo
costituirsi. L’empirismo
resta infatti, come il
razionalismo
coevo,
qualcosa di unilaterale,
istintodellaragioneche
non
può
ancora
innalzarsi al pensiero
puro, perché a ciò i
tempinoneranoancora
maturi:«Dall’empirismo
silevòungrido:lasciate
l’aggirarvi a tentoni in
astrazioni
vuote,
guardatelevostremani,
coglieteilquidell’uomo
o della natura, godete il
presente – e non è da
disconoscerecheinesso
è
contenuto
un
momento
essenzialmente
giustificato […] Trovare
una
determinazione
infinita era in generale
l’istinto della ragione;
ma non era ancora
giunto il tempo di
trovarla
nel
pensiero»[21].
L’empirismo non è
sbagliato,
è
solo
unilaterale,
perché
considera unicamente
laformafenomenicadel
sapere,
il
presentarsi
suo
alla
coscienza, e non la sua
organizzazione in un
edificio razionale e
insegnabile,
a
prescindere
dalla
certezzasoggettivadello
sperimentare: «Certo,
ognuno sa che quando
la sua coscienza si
svolge empiricamente,
egli prende le mosse da
sensazioni,
da
circostanze
affatto
concrete; e che, in
ordine
di
tempo,
soltanto
più
tardi
appaiono
le
rappresentazioni
generali,
concreto
che
col
della
sensazione hanno il
legame
di
esservi
contenute. Per esempio
lo spazio viene nella
coscienzapiùtardidella
spazialità, la specie più
tardi del singolo; ed è
soltanto l’attività della
mia
coscienza
il
separare il generale dal
particolare
della
rappresentazione ecc. Il
sentireaognimodoèla
guisapiùbassa,laguisa
animalescadellospirito;
ma lo spirito in quanto
pensa, vuol trasformare
il sentire a suo modo.
Sicché il procedimento
seguito da Locke è
perfettamente corretto;
sennonché egli trascura
affatto
la
considerazione
dialettica, in quanto si
limita ad analizzare il
generale
dall’empiricamente
concreto»[22]. È anche
esatto, per Hegel, dire
che «l’uomo muove
dall’esperienza quando
vuole
pervenire
a
pensieri». In effetti,
«tuttoèesperienza,non
solo il sensibile, ma
ancheciòchedetermina
e muove il mio spirito.
Quindi la coscienza ha
certamente tutte le
rappresentazioni e tutti
i
concetti
dall’esperienza
e
nell’esperienza»[23]. Ma
bisogna intendersi sul
significato del termine
«esperienza»:essanonè
altro che «la forma
dell’oggettività», come
sapere
immediato,
percezione,presupposto
fondamentale:
«È
assurdo che si sappia
alcunché ecc., che non
sia nell’esperienza: per
esempio
l’uomo,
sebbene
non
sia
necessario ch’io li abbia
veduti tutti, lo conosco
certamente
per
esperienza, giacché, in
quanto sono uomo,
attività,
volere,
ho
coscienza di quel che
sono io e di quel che
sono
gli
altri.
Il
razionaleè,ossiaènella
forma di un esistente
per la coscienza, vale a
dire questa ne ha
esperienza; dev’essere
veduto, udito, esserci o
esserci
stato
come
fenomeno
cosmico.
Sennonché, in secondo
luogo, questa unione
dell’universale
con
l’oggettivo non è la
forma unica: altrettanto
assoluta ed essenziale è
quella dell’in sé, vale a
dire il concepirsi dello
sperimentato, ossia il
togliersi
di
questa
apparenza
dell’esser
altro, e il conoscersi la
necessità della cosa per
se stessa. Ed è del tutto
indifferente
che
si
prenda questo come un
che di sperimentato,
come una serie di
concettisperimentali,se
così può dirsi, o di
rappresentazioni,
oppure si assuma la
stessa serie come serie
dipensieri,valeadiredi
termini che sono in
sé»[24].
Il concepirsi dello
sperimentato non era
però stato afferrato in
tuttalasuaestensionee
l’empirismo fece un
passo avanti rispetto al
razionalismodiCartesio
e di Spinoza, in quanto
rifiutò di partire da
definizioni
come
sostanza,infinito,modi,
estensione ecc. e cercò
l’origine delle idee,
kantianamente
la
«noogonia»[25].
Locke
allora, per quanto sotto
forma prevalentemente
psicologica, compì il
tentativo di dedurre i
concetti universali[26].
Per far questo fu
costretto ad attaccare
l’innatismo,
a
dimostrare
che
i
concetti
sono
dei
derivati, non un prius
assoluto e indeducibile,
comelevecchieautorità
medievali.
Tuttavia,
secondo Hegel, l’idea di
concetti
innati
conteneva un elemento
importante, che Locke
ha sfiorato appena: «il
loro vero significato è
ch’essi sono in sé,
momenti
essenziali
della
natura
del
pensiero, proprietà di
un germe, che non
esistono ancora; solo
rispetto a quest’ultima
determinazione c’è del
giusto nell’osservazione
di Locke»[27]. Ciò che
sfuggesiaaLockecheai
razionalisti
è
la
differenzafraprimoper
noi e primo in sé, fra
concreto
della
sensibilità
o
della
rappresentazione
e
concreto del pensiero,
passato
attraverso
l’esplicitazione
dei
germi
delle
Denkbestimmungen; è, in
breve,ladifferenzafrail
sorgere della scienza e
la scienza già costituita,
fra il concreto sensibile
o rappresentativo e il
concreto del pensiero:
«Sentimento
e
intuizionesonoilprimo,
il pensiero l’ultimo; per
questo il sentimento ci
sembrapiùconcretodel
pensiero, che è attività
d’astrazione,
d’universalità. In realtà
però avviene tutto il
contrario. È innegabile
che
la
coscienza
sensibile in generale è
più concreta, e sebbene
la più povera di
pensieri, è tuttavia la
più ricca di contenuto.
Dobbiamo
quindi
distinguere il concreto
naturale dal concreto
del pensiero, il quale a
sua volta è povero di
sensibilità»[28].Delresto,
non esiste per Hegel il
sensibileallostatopuro,
la sensazione vergine e
innocente: in tutte le
manifestazioni
della
vita psichica umana è
già presente il pensiero
che
universalizza,
ritaglia,collega,nomina,
anche se mediante
processi così veloci e
abitudinari
che
la
coscienza comune non
riesce ad avvertirli.
Adorno
ha
perciò
stabilitounrapportofra
questa
concezione
hegeliana e quella della
Gestaltpsychologie.
Infatti, anche la «teoria
dellaGestalthamessoin
chiarochenonsidàmai
ilsensibileisolatoenon
qualificato,macheesso
è
sempre
già
strutturato»[29]. Hegel,
dunque, cercando di
armonizzareleposizioni
di Locke e di Leibniz,
sostiene che la vita
psichica dell’uomo è un
amalgama di diverse
facoltà, che non vanno
concepite
come
«sacchi»,macomeforze
operanti,conildominio
alterno di un momento
o dell’altro, ma nella
compresenza del tutto.
Si passa così da un
minimo di pensiero nel
sensibile a un massimo
nel pensiero puro, ma
non secondo lo schema
leibniziano
della
continuità
e
del
passaggio dall’oscuro al
chiaro,bensìsecondolo
schemateleologicodella
linea
dall’implicito
all’esplicito e dalla
subordinazione
del
momento più basso a
quello più alto. In
questo senso, il detto
«chesisuolefalsamente
attribuireadAristotele»,
nihilestinintellectu,quod
non fuerit in sensu, deve
essere integrato con il
suoopposto:«nihilestin
sensu, quod non fuerit in
intellectu»[30]. Se tutto è
perciòcompenetratodal
pensiero,
anche
l’esperienza non potrà
restare un al di là
inesprimibile e limitato,
ma dovrà costituirsi in
sapere organizzato, in
scienza dell’esperienza
e poi in scienza senza
aggettivi.
Questo
processo si compie nel
corsodiunsecolocirca,
a partire dal Saggio di
Locke.
Con l’illuminismo «il
pensiero fu insediato
nel trono»[31] e si sono
prodotte le condizioni
generaliperunincontro
fra
ragione
ed
effettualità, fra ragione
ed
esperienza.
Attraverso
la
Rivoluzione francese è
stato idealmente tolto il
positivo, e ora il
pensiero
procede
dovunque – secondo i
diversi«princìpilocali»–
a consolidare il suo
regno, a far diventare
consapevole
il
suo
cammino. Le scienze
naturali
e
la
matematica,
abbandonate le vecchie
diatribe, sono giunte
senza saperlo ai confini
della ragione dialettica
e, talvolta, li hanno
oltrepassati,
nell’analisi
come
infinitesimale
con
Lagrange e Carnot.
Tuttavia esse hanno
ancora
paura
di
affrontare
le
contraddizioni che si
generano all’interno dei
loro stessi campi: «La
rappresentazione della
polarità, che è di tanto
uso
nella
fisica,
contiene in sé la più
esatta determinazione
dell’opposizione;
ma,
benchélafisica,nelsuo
modo di considerare i
pensieri, si attenga alla
logica
ordinaria
(gewöhnliche Logik), essa
si spaventerebbe se
svolgesse la polarità e
giungesse ai pensieri
che in quella sono
contenuti»[32].
La
filosofiahegelianavuole
assimilare e tradurre in
termini concettuali la
nuova problematica che
sorge sul terreno della
scienza,
prolungarne
idealmente le linee di
tendenza implicite ed
eliminarne
le
rappresentazioni
inadeguate. Questo vale
soprattutto
per
l’avanguardia di questa
nuovascienza,ilcalcolo
infinitesimale, e anche
qui, seppur al livello di
intenzioni, Hegel è
molto
chiaro:
la
filosofia, come non può
assumere una veste
matematizzante,
alla
Spinoza, così non deve
pretendere di creare
una
«matematica
filosofica». Essa deve
anzi conservare alla
matematica
«il
vantaggio che ha di
fronte alle altre scienze
della medesima sorta, e
non lo si turbi col
mescolarvi il concetto a
essa eterogeneo, o gli
scopi empirici»[33]. Il
compito della filosofia,
nell’assorbire le scienze
empiriche,intellettualie
confinanti
con
la
ragione dialettica è
sempre lo stesso, già in
parte
esposto:
«La
genesidellafilosofiadal
bisogno […] ha per suo
punto
di
partenza
l’esperienza,
la
coscienza immediata e
raziocinante. Da ciò
eccitato come da uno
stimolo, il pensiero si
comporta
essenzialmente
così
che, dalla coscienza
naturale, sensibile e
raziocinante, si solleva
nel puro elemento di se
stesso, e così si pone
dapprima
in
una
relazionenegativaverso
quel punto di partenza
da cui s’è allontanato
[…]Talestimolostrappa
il
pensiero
da
quell’universalità e da
quella
soddisfazione
che si è procacciata
soltanto in sé, e lo
spinge
a
svolgersi
movendo da se stesso.
Questo svolgimento, da
una
parte,
è
semplicemente
ad
accogliere il contenuto
con le sue molteplici
determinazioni
date;
dall’altra parte, plasma
questo in modo che
proceda
liberamente,
nel senso del pensiero
originario,eseguendola
necessità della cosa
stessa»[34].
3.Analisi
infinitesimalee
genesi
dell’esperienza
Non
posso
non fare
un’osservazion
sul
vecchio
Hegel, al
quale Lei
nega la
più
profonda
conoscenza
nel
campo
della
matematica
e
delle
scienze
naturali.
Hegel
sapeva
tanta
matematica
che
nessuno
dei suoi
scolari fu
in grado
di
pubblicare
i
numerosi
manoscritti
del suo
lascito.
L’unica
persona,
a quanto
neso,che
capisce
abbastanza
di
matematica
e
di
filosofia
per
poterli
pubblicare,
èMarx.
Engelsa
Lange[35].
Il
calcolo
infinitesimale, nei suoi
più recenti sviluppi,
contiene per Hegel
implicitamente sia il
concetto
di
«vero
infinito», sia il modello
astratto del processo
mediante il quale la
massa delle variazioni
minime si risolve in
«rapporti» e costituisce
lo
sviluppo
dell’esperienza verso il
concetto.
Dividerò
l’argomentazione
hegeliana – nel suo
intreccio
con
la
matematicadell’epoca–
in
tre
aree
intersecantesi: 1) La
relazione finito-infinito
nell’interpretazione del
calcolo differenziale e
integrale; 2) L’analisi
infinitesimale
e
l’immagine del sistema;
3) Il problema della
‘distruzione’
del
sensibile e il fluire
dell’esperienza.
I
matematici
posseggono,
secondo
Hegel, il vero infinito,
ma non lo evidenziano:
si accontentano dello
«sbrigativo:
Développons»[36] e dei
successi
operativi
ottenuti,ma«ilsuccesso
non giustifica di per sé
la
maniera
di
procedere»[37].
Nel
calcolare il differenziale
(o,newtonianamente,la
flussione)dx,nonsipuò
infatti né uguagliare dx
a zero, né attribuirgli
una quantità finita.
Bisogna
che
l’«infinitamente
piccolo», la «quantità
evanescente»,
sia
contemporaneamente
conservata e soppressa
(proprio
aufgehoben,
come
gli
opposti
dialettici), utilizzata e
ripudiata, sia = 0 e non
lo
sia.
Altrimenti
l’edificiodelcalcolonon
regge, e, ad esempio,
l’integrale definito
f
(x) dx = 1 non ha alcun
senso, perché esso vale
solo a condizione che
siadx≠0,perquantodx
si rapporti invece a x
come
se
fosse
effettivamente = 0[38]. A
causa
di
questa
contraddizione
concettualmente
non
risolta
nella
sfera
matematica, il calcolo è
travagliato
«dall’apparenza
dell’inesattezza»[39] ed è
costretto a ricorrere per
giustificarsi
o
all’immaginazione,
all’analogia cinematica
di un punto che scorre
su
una
retta,
o
all’ipotesi nebulosa di
quantités
négligeables,
così piccole che nel
complesso
possono
essere
trascurate.
All’analista,
però,
rimane,
come
retrogusto, il sospetto
che
qualcosa
non
quadri.Anchequi,come
nell’economia politica
classica, si cerca la
spiegazione
del
miracolo
operativo
mediante la «mano
invisibile» che guida il
calcolo,
la
ratio.
Malgrado
l’infinito
matematico non riesca
a fondare la
legittimità
se
sua
non
attraverso l’esibizione
dei risultati conseguiti,
esso ha per Hegel una
funzione
decisiva
perché
annienta
il
concetto di «infinito
metafisico»,
di
un
infinito
cioè
assolutamente opposto
al finito: «Dal punto di
vista filosofico l’infinito
matematico è però
importante per questo,
che, nel fatto, vi sta in
fondo il concetto del
vero infinito, e ch’esso
stamoltoaldisopradel
cosiddetto
infinito
metafisico, in base al
quale si muovono le
obiezioni
contro
il
primo.
Da
queste
obiezioni la scienza
della matematica non
sa spesso salvarsi altro
che
rigettando
la
competenza
della
metafisica,
coll’affermare di non
aver nulla da spartire
con questa scienza, né
di doversi curare dei
concetti di essa, purché
rimanga conseguente a
sé sul suo proprio
terreno. La matematica
non avrebbe cioè da
ricercare ciò che è vero
in sé, ma ciò che è vero
nel campo suo proprio.
La metafisica colle sue
obiezioni
contro
l’infinito
matematico
non sa negare né
abbattere i brillanti
resultati dell’uso di
esso, e la matematica
non sa venire in chiaro
circa la metafisica del
suo proprio concetto e
quindi nemmeno circa
la
deduzione
delle
maniere di procedere,
che l’uso dell’infinito
rendenecessarie»[40].
In effetti, c’è stato,
secondo Hegel, negli
ultimitempiunfecondo
movimento
convergenza
di
tra
metafisica e calcolo
infinitesimale, e con il
Sur
les
principes
métaphysiques du calcul
infinitésimal
di
d’Alembert,
con
la
Théorie des fonctions
analytiquesdiLagrangee
con le Réflexions sur la
métaphysique du calcul
infinitésimal di L.N.M.
Carnot[41]sisonoattinte
vedute profonde. In
precedenza,
se
si
prescinde
dall’intuizione
spinoziana
di
un
infinitum actu[42], le
concezioni dell’infinito,
in
particolare
dell’infinitamente
piccolo,
erano
inadeguate,
«conformemente
alle
condizioni in cui il
metodo scientifico si
trovava
a
quell’epoca»[43],
ossia
non
facevano
che
spiegare «quel che si
doveva intendere sotto
una
determinata
espressione».
Così
Newton, nei Principia
(libro I, lemma XI,
scolio), considera i
divisibili
evanescenti
comelimitesdisommee
dirapportinelmomento
in
cui
svaniscono
(quacum evanescunt), né
prima
né
dopo[44].
Oppure si procedeva,
come il Marchese de
l’Hospital, nell’Analyse
des infiniment petits, pour
l’intelligence des lignes
courbes, o come Wolff,
nel Der Anfangs-Gründe
aller
mathematischen
Wissenschaften
letzter
Theil[45], circondati dalla
«nebbia
dell’infinitamente
piccolo»[46], a trattare il
dx in quanto stato di
una grandezza così
piccola, secondo le
immagini di Wolff, che
la
si
potrebbe
paragonare
a
un
granello di sabbia che il
vento abbia portato via
dalla cima di una
montagna – senza per
questo renderla più
bassa
–,
o
così
insignificante
e
indiscernibile come il
profilo delle asperità
dellasuperficieterrestre
nell’ombra
proiettata
dalla Terra sulla Luna
duranteun’eclissi[47].
Dopo d’Alembert, con
loscrittosopraricordato
econlevociDifférentiele
Limitedell’Encyclopédie,il
più acuto indagatore
delle
implicazioni
teoriche dell’infinito fu,
alla fine del Settecento,
Lagrange. Quando era
ancora a Berlino come
successore di Eulero al
dipartimento
matematico
dell’Accademia
delle
scienze, egli fece indire
nel1784unconcorsosul
tema:
trovare
«une
théorie claire et précise de
ce qu’on appelle Infini en
Mathématique»[48].
Il
premio fu vinto da
Simon L’Huilier, con la
Principiorum
calculi
differentialis et integralis
expositio
elementaris,
pubblicata a Tubinga
solo nel 1795, quando
Hegel era ormai a
Berna[49].
Successivamente
Lagrange, dopo il suo
trasferimento a Parigi,
decise di dedicarsi di
persona alla soluzione
delproblemaprendendo
una nuova strada, nelle
sue
intenzioni
puramente
algebrica,
cheavrebbeeliminatole
nozioni di limite e di
infinitamente piccolo,
come
è
programmaticamente
annunciato
nel
sottotitolo stesso della
Théorie des fonctions
analytiques: Les principes
du calcul différentiel,
dégagés
de
toute
considération d’infiniment
petits ou de limites. In tal
modo, riprendendo il
modello
newtoniano
della serie, Lagrange
ottenne
estremo
risultati di
rilievo:
dimostrò la formula di
Taylor,
con
l’espressione del resto
(restodiLagrange)come
integrale,
valutabile
attraverso il teorema
della media. Tuttavia,
malgrado
l’impostazione
di
Lagrange avesse dato
tuttiquestifruttieposte
le basi del metodo di
Weierstrass sulla teoria
delle funzioni di una
variabile
complessa
(nonché delle moderne
serie
formali
algebriche), essa fu «in
relazione al suo scopo
immediato[…]unpasso
indietro piuttosto che
un progresso»[50]. La
tendenziale rimozione
del concetto di limite
contrasta
infatti
singolarmente con la
nuova direzione che
l’analisiassumeràdilìa
poco con Abel, Gauss e
Cauchy[51]; inoltre la
formula di sviluppo di
Lagrange non ha valore
generale,
ma
è
estensibile solo a un
determinato gruppo di
funzioni. Per Hegel,
invece,
«la
scuola
francese»,
ossia
Lagrange e l’ultima leva
di matematici francesi,
hanno toccato il punto
più
alto
della
matematica
contemporanea[52]. Egli
considera determinante
il principio lagrangiano
per cui «la differenza,
senza che diventi zero,
può esser presa così
piccola, che ciascun
termine della serie
superi in grandezza la
somma di tutti i
seguenti»[53].
Disgraziatamente per
lui, la «fastidiosa serie»
non è un di più: «La
serie, poiché non è
dessa che nel fatto vien
cercata, si porta dietro
un troppo, nel levar
daccapo
il
quale
consiste la superflua
fatica.Daquestafaticaè
oppresso
anche
il
metododiLagrange,che
nuovamente
ha
di
preferenza accolto la
forma della serie»[54].
Nel
sovrapporre
il
«concetto» filosofico al
reale piano operativo
dellamatematica,Hegel
ha qui lasciato cadere
quell’aspetto
seriale
che, da J.B. Fourier in
poi, avrebbe assicurato
alla
matematica
i
maggiori
successi[55].
L’analisi infinitesimale
ha
imboccato
storicamenteunastrada
diversa
da
quella
indagata da Hegel, il
qualetuttaviahaintuìto
l’importanza della serie
di potenze[56] ed è stato
inoltre
–
come
riconosceràB.Bolzano–
forse l’unico filosofo
che, grazie al rifiuto
della forma seriale, ha
concepito l’infinito in
un punto: «Così una
parte
semplice
del
tempoodellospazio(un
puntoneltempoonello
spazio) non possiede
alcun
limite,
piuttosto viene
ma
esso
stessoconsideratocome
un limite (di un
intervallo di tempo o di
una linea); la maggior
parte delle persone
infatti
lo
definisce
proprio così, come se
questafosselasuavera
e propria essenza; ma
con tutto ciò non si è
mai dato che qualcuno
(con l’eccezione forse di
Hegel)
scorgesse
un’infinità
in
un
semplice punto»[57]. È
altresì
interessante
osservare come Hegel
abbia
utilizzato
la
possibilità offerta da
Lagrange di presentare
il tempo, all’interno
della meccanica, come
quartadimensionedello
spazio,
e
abbia
dialetticamente esposto
ilpassaggiodallospazio
al tempo in questi
termini:
«Poiché,
dunque,lospazioèsolo
questa
intima
negazione di se stesso,
cosìiltogliersidasédei
suoi momenti è la sua
verità; il tempo è ora
appunto l’esserci di
questo
continuo
togliersi da sé; il punto
ha,
dunque,
realtà
effettualeneltempo»[58].
La
diffidenza
hegeliana nei confronti
della forma seriale si
spiega con la sua
avversioneneiconfronti
del «cattivo infinito»,
evocato
nuovamente
dalla
serie.
Così,
secondo lui, l’infinito
affermativo
effettivamente
racchiuso
è
come
rapporto in
e non
nel suo sviluppo seriale
(per a < 1), sotto forma
di 1 + a + a2 + a3 …, in
cui la totalità contenuta
in
deve essere
rincorsa
invano
all’infinito[59].
Analogamente,l’infinito
affermativo è racchiuso
nellafrazione enonin
0,285714…
Nel
coefficiente
differenziale
, in
quanto «unico segno
indivisibile»[60], e non
nel dx, in quanto
«infinitamente piccolo».
Nel
coefficiente
differenziale
il
quantum è tolto come
taleeladeterminazione
qualitativa, negata dalla
quantità, ritorna in sé
dalla sua differenza,
oltrepassando i limiti e
le
barriere
quantitative[61].
La
quantità,
attraverso
l’infinitesimo,
si
trasformainrapporto.
GiànellaLogicadiJena
(1804/1805) il rapporto
finito-infinitoèmutuato
dal
calcolo
infinitesimale,
interpretato
come
campo
in
cui
la
grandezza scompare e
lascia come residuo dei
rapporti: «Una cosa non
svanisce
nell’assolutamente
piccolo, come non va
oltre
di
sé
nell’assolutamente
grande; lo svanire non
diviene comprensibile
mediante aumento o
diminuzione, poiché la
grandezza
è
essenzialmente questo:
non
è
una
determinatezza
della
cosa
stessa
[…]
Nell’infinitamente
piccolo,
in
verità,
scompare interamente
lagrandezza»[62]. Con la
scomparsa
della
quantità e la sua
trasformazione
in
rapporto
si
genera
l’insieme come sistema
di momenti, in cui
ciascuno di essi si
conserva proprio nel
suo
essere
tolto,
superato: «Un sistema
di momenti è un’unità
dioppostichenonsono
nulla al di fuori di
questa opposizione, al
di fuori di questo
rapporto, e neppure
hanno,percosìdire,più
un resto l’uno rispetto
all’altro
per
cui
sarebbero per sé, ma si
regolano in un certo
modo l’uno sull’altro,
così che, in effetti, si
tolgono nell’atto stesso
in
cui
vengono
rappresentati nella loro
opposizione al sistema
come
unità
[…]
L’irrequietezza
annientantedell’infinito
è soltanto attraverso
l’essere di ciò che
annienta; il tolto è
proprio assoluto in
quantoètolto;nascedal
suo trascorrere, perché
il trascorrere è soltanto
in quanto è qualcosa
che scompare. Ciò che
in verità è posto
nell’infinitoècheessoè
il vuoto in cui tutto si
toglie»[63]. Nella rete di
rapporti che si viene
così a costituire, ogni
momentohavalorenon
in sé ma in quanto si
riferisce ad altro, si
rettifica continuamente
sulla base di tutti gli
altri, diventa variabile
dipendente del tutto. Il
quanto infinito, come
momento, «è in unità
essenziale col suo altro,
solo come determinato
mediante questo suo
altro, vale a dire ha un
significato
solo
in
relazioneaqualcosache
sta con lui in rapporto.
Fuor di questo rapporto
è zero»[64]. Attraverso il
calcolo
infinitesimale
Hegel oltrepassa la
concezione di Schelling,
dell’«Assoluto»
come
insieme di differenze
meramente
quantitative,
e
sostituisce alla serie
schellinghiana
delle
«potenze»
(all’interpretazionedella
realtà come una base
identica con diversi
esponenti successivi: a,
a2, a3, a4 …) il concetto
dialettico
di
qualitativo,
salto
di
trasformazione
della
quantità dei quanta in
rapporto in cui riaffiora
la qualità. E in questo
stesso modo Hegel
interpreta i mutamenti
della sua epoca: il
vecchio
mondo
si
dissolve,
si
«sbocconcella», ma non
cade nel nulla. Come il
dx,
è
contemporaneamente =
e ≠ 0. Resta di esso una
negazione determinata,
un fitto reticolo di
rapporti in continua
modificazione
e
rettificazione reciproca;
una totalità di dx quasi
impercettibilichenonsi
risolve
in
lente
modificazioni, ma in
rivoluzioni, in nuovi
rapporti, nel «nuovo
mondo».
Si ricordi ancora la
Prefazione
alla
Fenomenologia:«Delresto
non è difficile a vedersi
come la nostra età sia
un’etàdigestazioneedi
trapasso a una nuova
èra; lo spirito ha rotto i
ponticolmondodelsuo
esserci e rappresentare,
durato fino a oggi; esso
sta per calare tutto ciò
nel passato e versa in
un travagliato periodo
di
trasformazione.
Invero lo spirito non si
trova mai in condizione
diquiete,presocom’èin
un movimento sempre
progressivo. Ma in quel
modo
che
nella
creatura, dopo lungo
placido nutrimento, il
primo respiro, – in un
salto
qualitativo,
–
interrompe quel lento
processo
di
solo
accrescimento
quantitativo,
e
il
bambino è nato; così lo
spirito che si forma
matura lento e placido
verso la sua nuova
figuraedissolvebranoa
brano l’edificio del suo
mondo precedente»[65].
Ma il nuovo mondo che
sorge non è mai un
mondo
senza
articolazioni nuove, un
puro
incremento
quantitativo
del
vecchio: esso è anche
qualitativamente
diverso,
irripetibile.
Perciò lo studio della
storia non insegna
niente; perciò Hegel
attacca ferocemente le
utopie come semplici
inversioni positive del
presente; perciò, infine,
è così duro con Fries e
quanti propongono la
distruzione dei rapporti
politici
‘razionali’
attraverso il richiamarsi
alla
confusa
immediatezza
del
sentimento, in cui tutto
si risolve in una pappa:
«È questo il principale
intento
della
superficialità: collocare
la scienza, invece che
nello
sviluppo
del
pensiero e del concetto,
più
tosto
nell’osservazione
immediata
e
nell’immaginazione
accidentale;
far
dissolvere, quindi, la
ricca
membratura
dell’ethosinsé,cheèlo
Stato, l’architettonica
della sua razionalità,
che con la determinata
distinzionedellecerchie
della vita pubblica e dei
suoi diritti e col rigore
dellamisura,nellaquale
si regge ogni pilastro,
arco e sostegno, fa
nascere la forza del
tutto dall’armonia delle
sue
parti;
–
far
dissolvere, dico, questa
plastica
costruzione
nella pappa del “cuore,
dell’amistà
e
dell’ispirazione”»[66].
Pensareilpropriotempo
secondo il modello
offerto
da
questa
interpretazione
del
calcolo
infinitesimale
significa anche, per
Hegel, tradurre questi
piccoli mutamenti, ‘da
talpa’, in mutamenti
rivoluzionari (la caduta
della «crosta terrestre»);
oppure
concepire
l’avanzata del «gigante»
quale «un movimento
impercettibile
come
quello del sole», lento
ma inesorabile. I segni
premonitori
della
rivoluzione
non
consistonoquindi,come
nellastoriografiaantica,
nell’apparizione
di
fenomeni
soprannaturali
o
mostruosi[67], ma nella
capacità di trasformare
concettualmente queste
impercettibili
modificazioni
in
rapporti di tendenza, in
linee di frattura non
ancora evidenti a tutti;
nel vedere cioè l’epoca
come
insieme
di
relazioni
che
si
modificano
continuamente,
rettificandosi a vicenda,
inunospaziocomplesso
in cui continuo e
discontinuo si negano
dialetticamente in salti
qualitativi o in una
«linea
nodale»
(Knotenlinee)[68].
Il
movimentocomplessivo
dell’epoca
infrange
continuamente i limiti
precedentemente posti
e questo movimento
deve riprodursi nella
filosofia, altrimenti si
colgono soltanto gli
aspetti parziali, come
nella
Reflexionsphilosophie, e
dell’insieme dell’epoca
restano in mano i
«Mercurietti»
o
i
«granelli» del Monte
Bianco,
cioè
l’infinitamentepiccoloe
insignificante nel senso
diWolff.
4.Distruzionedel
finitoeidealismo
La
cosiddetta
‘distruzione’ del finito e
del sensibile da parte di
Hegel – sulla quale ha
particolarmente
insistito
storiografia
certa
filosofica
italiana[69] – non nasce
tanto sul terreno della
mistica o del ritorno a
Platone, quanto sulla
base
del
calcolo
infinitesimale e della
sua «metafisica», della
trasformazionedeldxin
.
La
polemica
condotta
contro
la
‘cancellazione’
del
sensibile e del finito in
Hegel ha tuttavia degli
aspetti che non si
possono ridurre a una
semplice
interpretazione di testi.
Essa acquista il suo
senso pieno e il suo
versantepositivoinuna
situazione storica, più o
meno fra il 1948 e il
1962[70], in cui la
rivendicazione
del
sensibile, dell’«uomo in
carne e ossa» come
soggetto di bisogni
sociali e agente della
trasformazione,
contrastava sia con la
tradizione
culturale
idealistica,
sia
con
l’egemonia di forze
religiose e politiche. In
questo contesto, la
ripresa e lo sviluppo di
temi di Feuerbach o del
giovaneMarx,l’accenno
posto sulla scientificità
della
filosofia,
sull’astrazione
«determinata»
o
sull’intelletto, aveva un
peso diverso rispetto a
oggi,aunperiodoincui,
fral’altro,l’interesseper
le funzioni dell’astratto,
delleforme,deisistemi,
deriva dalla percezione
storica del loro potere
sul «concreto»; a un
periodo, insomma, in
cui il problema del
sensibile
va
riformulato[71].
Nell’atteggiamento
hegeliano nei confronti
del sensibile e del finito
non è il platonismo
l’elemento
caratterizzante, ma la
mancanzadi«tenerezza
per
le
cose»[72],
l’affermazione
–
ideologica, se si vuole –
della prevalenza del
movimento e della
mediazione sulla stasi
del riposante su se
stesso
e
dell’immediatezza. La
soppressioneconservazione del finito
e del sensibile da parte
di Hegel è il pendant del
rafforzamento
dei
concetti di Wirklichkeite
di Gegenwart. Contro il
sublime kantiano del
«cielo stellato sopra di
me» e della «legge
morale in me», Hegel
vuole
operare
una
convergenza di questi
due
elementi
insondabili sul presente
effettuale, sull’infinito
affermativo che esso
contiene; di fronte al
progresso infinito di
Fichte,alrifugiarsinegli
ideali dei romantici e
dei «giovani», di fronte
alla «mestizia» che
provoca la dissoluzione
del finito, il suo è un
invito all’immanenza,
ad accettare e a
guardare in faccia il
«negativo» con la sua
«mostruosa
potenza»
(ungeheure Macht) e
senza
fuggire,
a
dominare
la
«devastazione» e a
ritornare in sé da essa:
«Il finito non solo si
muta, come il qualcosa
in generale, ma perisce;
e non è già soltanto
possibile che perisca,
quasichepotesseessere
senza
perire,
ma
l’esseredellecosefinite,
cometale,stanell’avere
perloroesseredentrodi
sé il germe del perire:
l’oradellaloronascitaè
l’ora della loro morte. Il
pensiero della finità
delle cose porta con sé
questa mestizia, perché
una tal finità è la
negazione qualitativa
spinta al suo estremo,
perché alle cose, nella
semplicità di codesta
determinazione, non è
più lasciato un essere
affermativo
distinto
dallalorodestinazionea
perire»[73]. Ma il finito
non si riduce a nulla,
esso vive nel suo stesso
annullarsi,nell’integrale
dell’intero: «Ché se il
finito
non
dovesse
perire nell’affermativo,
masidovesseintendere
lasuafinecomeilnulla,
allorasaremmodacapo
a quel primo, astratto
nulla, che è esso stesso
perito da un pezzo»[74].
Invece esso esiste nel
movimento del tutto e
astrattamente
stesso
ha lo
valore
dell’infinitoseparatodal
finito, per cui si
potrebbe anche dire, da
questo punto di vista,
che Hegel distrugge
l’infinito,comedelresto
fu affermato da quanti
gli
attribuivano
la
negazione
trascendenza
della
di Dio.
Difatti, «tanto il finito
quanto l’infinito son
così questo movimento,
di tornare ciascuno a sé
per mezzo della propria
negazione. Essi son
soltanto
come
mediazione in sé, e
l’affermativo
ambedue contien
di
la
negazione di ambedue,
ed è la negazione della
negazione
[…]
L’intelletto
recalcitra
tanto contro l’unità del
finitoedell’infinito,solo
perché
presuppone
comepersistentitantoil
termine e il finito
quanto l’essere in sé.
Con ciò gli sfugge la
negazione di ambedue,
laqualesitrovadifatto
nel progresso infinito;
come anche gli sfugge
che il finito e l’infinito
stan costì solo come
momenti di un tutto, e
che vi si presentano
ciascunosolopermezzo
del suo opposto, ma
insieme,
essenzialmente,
per
mezzo del togliere del
suoopposto»[75].
L’idealismoèappunto
per Hegel la negazione
della realtà del finito al
difuoridelsuorapporto
all’insieme:
«La
proposizione che il
finito
è
ideale,
costituisce l’idealismo.
L’idealismo
della
filosofia
consiste
soltanto in questo, nel
non riconoscere il finito
come un vero essere».
Al livello di «coscienza
comune» si associa
l’idealismo di Hegel alla
negazione della realtà
esterna in quanto tale,
al credere che esso
consideri il sensibile
come vuota apparenza.
Ma
idealismo
non
significa affatto questo:
èilrisvoltonegativodel
concetto di spirito («il
vero
e
proprio
idealista»)[76],
ossia
esprime quella stessa
totalità, espressa dallo
spirito come confluenza
del tutto, sotto forma
negativa del tutto di
contro alle parti. Il
dissolversi del finito e
del sensibile in rapporti
permette al pensiero e
allo spirito la sua
estrema mobilità: le
cose e gli avvenimenti
vengono ora strappati
dallaloroimmediatezza
ed elaborati. L’altro
grande
modello
ausiliariodellarelazione
idealecolfinitoèinfatti
il lavoro umano: a
differenza
dell’«appetito» (Begierde)
che consuma l’oggetto
(anchesepoinesegueil
processo
di
assimilazione), il lavoro
non distrugge l’oggetto
ma lo plasma, lo
«idealizza» secondo un
fine.Daquilafrequenza
delle
metafore
hegeliane sul «lavoro
dellospirito»elanatura
stessa
del
suo
operare[77],
una
frequenza che colpì
molto
Adorno[78].
L’idealismo si presenta,
dunque, piuttosto come
volontà di lavorare e
assimilare il mondo, di
varcarne
continuamente i limiti,
che come negazione di
esso. In questo senso, è
affermazione
della
fluidità del mondo
contro ogni zona di
stagnazione, ogni difesa
dei propri limiti. È
«coraggio»
del
conoscere al quale
l’essenza
dell’«universo»
deve
squadernarsi
davanti
nelsuoprocesso.
5.Genesiefluire
dell’esperienza
Nell’interpretare
le
Réflexions
sur
la
métaphysique du calcul
infinitésimal di Carnot,
Hegel osserva che il
conservarsidelrapporto
attraverso il dileguare
dei quanti è possibile
grazie alla «legge della
continuità».
Essa
esprime la «vera natura
della cosa», poiché non
produce un cattivo
infinito,
ma
un
passaggio
al
«vero
infinito»,incuiciòcheè
continuo è solo il
rapporto: «Esso è tanto
continuo e tanto si
conserva, che anzi non
consistechenelmettere
in rilievo il puro
rapporto e nel far
dileguare
la
determinazione
irrelativa,
la
determinazionecioèche
un quanto, il quale è
lato o termine di un
rapporto, sia ancora un
quanto, anche quando
sia posto fuor di questa
relazione»[79]. A questo
punto Hegel aggiunge
significativamente:
«Questa
depurazione
del
rapporto
quantitativo non è
quindi altro che ciò che
accade
quando
un
esistere empirico viene
concepito.
Cotesto
esistere viene allora
elevato sopra se stesso,
per modo che il suo
concetto contiene bensì
le
medesime
determinazioni
che
sono in esso, ma però
comprese nella loro
essenzialità e nell’unità
del
concetto,
dove
hanno perduto la loro
sussistenza indifferente
e
inconcettuale»[80].
Come si deve intendere
questo passo? In prima
approssimazione,sipuò
dire che Hegel istituisce
un parallelismo o una
proporzione
fra
il
processo per cui il
dileguare dei quanti si
trasforma in rapporto e
quellopercuil’«esistere
empirico» si trasforma
inconcetto:a:b=c : d.
In entrambi i casi, il
primo elemento delle
due relazioni (a e c)
viene «elevato sopra se
stesso», non cancellato,
e tradotto in rapporti
che
contengono
le
stessedeterminazionidi
partenza
ma
«nell’unità» (b e d). In
altritermini,ilrapporto,
cosìcomeilcoefficiente
differenziale
, deve
essereinteso,alparidel
concetto,
come
contenente «l’identità
dell’identità e della non
identità»,
cioè
le
determinazioni
del
rapporto
condotte
all’unità,
sottratte
all’immediato, al fluire
quantitativo e al fluire
dell’esperienza
e
inseritenellafluiditàdei
rapporti
concettuali
dialettici. Lo svanire del
sensibile e il suo
progressivo tradursi in
relazioni
percettive,
intellettualierazionaliè
da Hegel esposto sia
nella Fenomenologia (col
passaggio
dalla
«certezza sensibile» alla
«percezione»,
all’«intelletto» e alla
«ragione»), sia, per
quanto
riguarda
il
linguaggio,
che
è
«l’uccisione»
del
sensibile[81],
nella
Realphilosophie di Jena e
nell’Enciclopedia.
Per cogliere il senso
del discorso hegeliano
bisogna riferirsi a Kant.
Dietro la trattazione del
calcolo
infinitesimale
sta la critica alle
Anticipazioni
della
percezione, e cioè al
principio kantiano per
cui: «In tutti i fenomeni
il reale che è oggetto
dellasensazionehauna
quantità intensiva»[82].
Kant si pone qui il
problema del passaggio
dalla
coscienza
empirica, la percezione,
«quella coscienza in cui
c’è
insieme
la
sensazione»,
alla
coscienza pura. C’è
qualcosa
nella
sensazione che si può
conoscereaprioriedèil
grado, ossia la sua
intensità reale. Noi
possiamo così sapere in
anticipo
che
ogni
sensazione ha un grado
e che l’assenza di
sensazioni
nella
coscienzaè=0.Dazero
in poi c’è un continuo
fluente, che viene però
appreso
istantaneamente dalla
coscienza,
e
non
attraverso
sintesi
successive. Ma poiché
spazio e tempo sono
«quanta continua», punti
e istanti sono allora
limiti
o,
newtonianamente,
quantità
fluenti:
«Quantità di questo
genere
si
possono
chiamare anche fluenti,
poiché
la
sintesi
(dell’immaginazione
produttiva) è nella loro
formazione un processo
nel tempo, la cui
continuità
si
suole
indicare in particolare
coll’espressione fluire
(scorrere)»[83]. Il grado è
irrappresentabile nello
schema
spaziotemporale dell’estetica
trascendentale
e
presenta
notevoli
difficoltà teoriche nella
costruzione della Critica
della ragion pura; infatti,
esso,conilsuocarattere
«granulare» è aspaziale
e atemporale[84]. Per
Hegelinvecenonesiste,
inprimoluogo,quantità
intensiva che non sia
anche estensiva: «Il
grado di calore, p. es. il
10o, il 20o ecc., è una
sensazione semplice, è
unchedisoggettivo.Ma
questo grado ci è anche
presente come una
grandezza
estensiva,
come dilatazione di un
liquido,
dell’argento
vivo nel termometro,
dell’aria
oppure
dell’argilla ecc. Un più
alto
grado
di
temperatura si esprime
con una più lunga
colonna di mercurio
oppure con un più
ristretto cilindro di
argilla;essoriscaldauno
spazio più grande nella
stessa maniera che un
grado inferiore riscalda
soltanto lo spazio più
piccolo […] Così pure
nello spirituale l’alta
intensità del carattere,
del talento, del genio, è
insieme un esistere che
arriva lontano, di una
efficacia estesa e di un
concettomultilaterale.Il
più profondo concetto
ha il significato e
l’applicazione
più
universali»[85].Inoltre,in
secondo luogo, per
Hegel nella formazione
dell’esperienza non si
tratta
tanto
di
un’apprensione
istantanea
del
quantitativo, di una
sintesi del fluente, ma
della
sua
trasformazione
in
rapporti; nell’elevare la
sensazionealdisopradi
se stessa, la quantità
intensiva
e
quella
estensiva
vengono
entrambe tradotte e
condensate in relazioni
concettuali.Equestosia
perché nell’uomo, come
si è detto, non esiste il
sensibile allo stato puro
(«L’uomo
è
perciò
semprepensante,anche
quando intuisce; se
considera un qualche
cosa
lo
considera
sempre
come
un
universale, se fissa un
singolo, lo pone in
evidenza, allontanando
la sua attenzione da
altro»)[86]; sia perché –
contro Kant – allo
spirituale compete una
ben altra intensità che
non quella quantitativa:
«Allo spirito compete
certamente l’essere, ma
di
una
tutt’altra
intensitàchenonquella
del quanto intensivo,
anzi, di una intensità
tale, che la forma
dell’essere
soltanto
immediato e tutte le
categorie di esso vi
stanno come tolte. Non
bisognava
soltanto
concedere la rimozione
della
categoria
del
quanto estensivo, ma
rimuovere addirittura
quella del quanto in
generale. Altra cosa è
poi di conoscere come
nellaeternanaturadello
spirito sia, e come da
essa sorga, l’esistere, la
coscienza, la finità,
senza che lo spirito
diventi
perciò
una
cosa»[87],
Nello
«spirituale»delpensiero
umano il sensibile è
conservato
nel
movimentodeirapporti,
e
l’esperienza
si
potrebbe
appunto
definire, da questo
angolovisuale,comeun
processo incessante di
trasformazione
dell’essere empirico e
del finito in relazioni
chetendonoessestesse,
per la vis veri, al
concetto e alla sua
totalità,
giacché
la
totalità non è una
sommatoria, un cumulo
quantitativo
di
determinazioni, ma la
loro
articolazione
dialettica nell’unità del
concetto. La totalità è
già
presente
implicitamente
nel
finito e nelle parti, che
vialludonoelacercano,
allo stesso modo che il
singolo organo allude
all’interoorganismoelo
presuppone[88].
Il
«concepirsi
dello
sperimentato», ossia la
suaconcettualizzazione,
nonèalloraaltrosenon
il porre in evidenza
l’organizzazione
implicita del finito,
visibile solo nella sua
connessione
e
articolazione totale. In
terminihegeliani,anche
qui il finito ha la sua
«verità»nell’insiemedei
rapporti.
Al
livello
fenomenologico,
del
come dalla natura dello
spirito sorga il sapere
per se stesso e per la
coscienza,l’Erinnerungsi
rivela quindi come il
ricordo universalizzante
dello svanire del finito
nel flusso, e come
possibilità di fissare il
fluire
dell’esperienza
attraverso il ricordo in
quanto ‘legge della
continuità’.
Pur
nel
legame,
Lagrange aveva tenuto
sempre distinti calcolo
matematico
ed
esperienza[89], e Hegel
nota
che
nella
«moderna
forma
analitica
della
meccanica», le leggi
vengono
enunciate
«senza guardare se
abbiano per sé in se
stesse un senso reale,
cuicorrispondacioèuna
esistenza
e
senza
preoccuparsi di fornire
di ciò una prova»[90]. In
tal modo, mentre i
matematici precedenti
presentavano i loro
calcoli in costruzioni
geometriche, ora con il
metodo analitico «si dà
come un trionfo della
scienza, di trovare al di
là dell’esperienza, per
mezzo del semplice
calcolo, delle leggi, cioè
dei
principi
dell’esistenza, i quali
non
hanno
alcuna
esistenza»[91].
Prima,
con
l’ausilio
delle
costruzioni
geometriche, accadeva
spesso che ciò che
doveva
essere
dimostrato attraverso il
calcolo
veniva
solamente
attraverso
intuìto
la
raffigurazione spaziale;
ora
invece,
col
prescindere
dall’esperienza,
si
vogliono
distinguere
dalla
realtà
le
proposizioni
matematiche. La «via
semplice e giusta» che
Hegel sostanzialmente
approva è quella di
Lagrange nella Théorie
des
fonctions
analytiques[92]: separare
il
«miscuglio
di
esperienzaeriflessione»
che
c’è
nella
matematica[93] e tenere
distinti,
anche
se
ovviamente
non
estranei, i suoi dominii
da quelli della fisica.
Finché non sia stato
chiarito «il divario tra
quelli che son soltanto
termini dello sviluppo
analitico e quelle che
sono esistenze fisiche,
lospiritoscientificonon
puòaffinarsiinmododa
arrivare a condursi in
maniera rigorosa e
pura»[94]. Lagrange, da
un lato, prende così le
leggi del moto, «com’è
qui
legittimo,
dall’esperienza, e poi vi
applica la trattazione
matematica»[95];
tali
leggi, infatti, «scoperte
immortali che fanno il
più
grande
onore
all’analisi
dell’intelletto», hanno
bisogno
di
una
conferma analitica, di
una«dimostrazionenon
empirica […] onde si
vede che anche la
scienza, che si fonda
sull’esperienza, non è
soddisfatta
del
dimostrare o mostrare
meramente
empirico»[96]. Dall’altro
lato,
presuppone
l’indipendenza
della
trattazione matematica
eapplicalefunzionialla
meccanica,
distinguendo, per s = ft,
fra ft anche bt2, che si
trova nella natura, e s=
ct3,che«nonsipresenta
nella natura»[97]. In
ambedue i casi, piano
fisico-empirico e piano
matematico-analitico
sono tenuti distinti. Per
quanto l’analisi sia una
trascrizione
rigorosa
dell’esperienza, essa –
alla
pari,
come
vedremo, del linguaggio
edellecategorielogiche
– si solleva al di sopra
dell’esperienza
immediata
e
già
compiuta, e si sviluppa
in forma autonoma e
pura.
6.Linguaggioed
esperienzastorica
deipopoli
Così
il
pane e il
vino non
valgono
solo per
l’intelletto,
non sono
soltanto
un
oggetto;
l’azione
del
mangiare
e del bere
non
è
semplicemente
un’unificazion
avvenuta
fradiloro
per
mezzo
dell’annientam
del cibo e
della
bevanda,
né
la
sensazione
è quella
di
una
semplice
degustazione
diessi.Lo
spirito di
Gesù in
cui i suoi
discepoli
sono uno
è
divenuto
presente
come
oggetto
per
il
sentire
esterno, è
divenuto
un reale.
Ma
l’amore
reso
oggettivo,
questo
elemento
soggettivo
divenuto
cosa,
torna di
nuovo
alla sua
natura,
ridiventata
soggettivo
nel
mangiare.
Questo
ritorno
può forse
da questo
punto di
vista
essere
paragonato
al
pensiero
che
diventa
cosanella
parola
scritta e
checonla
lettura,
da
qualcosa
di morto,
da
oggetto,
riacquista
la
sua
soggettività.
Hegel,Lo
spiritodel
cristianesimo
eilsuo
destino[98].
Anche il linguaggio è
una soppressione del
sensibile
e
dell’immediato,
ma,
nello stesso tempo, è il
prodotto
e
la
produzione
di
una
esperienza più alta e
collettiva rispetto a
quella del singolo. Nel
linguaggio «l’immagine
viene uccisa e la parola
sta
al
posto
dell’immagine.
Il
linguaggio è la potenza
umana più alta […] Il
linguaggio è l’uccisione
del mondo sensibile
nella sua esistenza
immediata»[99]. In tal
modo,
tuttavia,
«il
discorso e il sistema di
questo, il linguaggio, dà
alle
sensazioni,
intuizioni
rappresentazioni
e
una
seconda esistenza, più
alta
di
quella
immediata,un’esistenza
in universale, che ha
vigoreneldominiodella
rappresentazione»[100].
Attraverso
una
complessa
serie
di
passaggi ‘notturni’, che
coinvolgono
l’Erinnerung, la fantasia,
lamemoriameccanicae
la
«memoria
produttiva», attraverso
un
lungo
«lavorio
interno»[101], si produce
il risveglio dello spirito
nel regno dei nomi,
trasformati in sudditi e
in servi: «Il mondo, la
natura non è più un
regno
di
immagini,
interiormente tolte e
che non hanno alcun
essere, bensì un regno
di nomi. Quel regno
delle immagini è lo
spirito sognante, che ha
da
fare
con
un
contenuto, che non (è)
alcuna realtà, alcuna
esistenza. Il risveglio
dellospiritoèilregnodei
nomi[…]L’ioèdapprima
in possesso dei nomi, e
deve conservarli nella
sua notte, come servi,
che
a
lui
ubbidiscono»[102].
Nel
«deposito
generale»
dell’io sono stivate le
immagini che poi si
traducono in segni, si
manifestano
come
esteriorizzazione
dell’interno nella loro
arbitrarietà[103].
Il
rapporto fra il segno e
l’intuizione
ivi
contenutaèquellodella
«piramide,nellaqualesi
è messa e si serba
un’anima straniera»[104].
La memoria, connessa
all’abitudine, fissa e
rielabora i segni nello
«spazio»dell’io[105].
Quando il linguaggio
si costituisce nella sua
autonomia
dalle
immagini, noi possiamo
pensare,
parlare
e
leggere
senza
appoggiarci a nessuna
figura, senza che ci
appaiano
più
le
«fantasmagoriche
rappresentazioni
notturne» delle teste
insanguinate e delle
bianche figure[106]. Ora,
senza
il
sillabario
dell’immaginazione,
pensiamo nel nome:
«Pel nome leone, noi
nonabbiamobisognoné
dell’intuizionediuntale
animale, e neppure
dell’immagine; ma il
nome, in quanto noi
l’intendiamo,
è
la
rappresentazione
semplice
e
senza
immagine.
Noi
pensiamo
nel
nome»[107]. L’io, così, in
quanto
«potenza
dominatrice dei nomi
diversi» è «il legame
vuoto,cherafforzainsé
leseriediessieletiene
in ordine fermo»[108].
Anche le immagini
metaforichesonoperciò
asservite,alorovolta,al
sistema linguistico, che,
procedendo verso il
pensiero,
tende
a
subordinarle ai ‘legami
vuoti’ e a restringere lo
spazio
dell’immaginazione. Ciò
produce, tra l’altro, una
divisione
all’interno
della storia del mondo:
mentre
infatti
gli
abitanti
dell’Europa,
della «parte razionale
della Terra», hanno
sviluppato il pensiero
astratto, il «legame
vuoto»,
a
spese
dell’immaginazione, gli
Orientali e in genere
tutti
i
popoli
extraeuropei
sono
ancora alla prevalenza
dell’immaginazione e
della metafora[109]. La
stessa
scrittura
geroglifica è il segno di
questo restare chiusi
all’immediato concreto
sensibile
e
rappresentativo:
«la
scrittura per geroglifici
designa
le
rappresentazioni
mediante
spaziali; la
figure
scrittura
alfabetica,invece,suoni,
che sono gia essi stessi
segni. Questa consiste
perciò di segni di segni,
e in modo da risolvere i
segni
concreti
del
linguaggio fonico, le
parole,neiloroelementi
semplici, e designare
questi elementi. Leibniz
si è fatto traviare dal
suo intellettualismo a
porre come cosa molto
desiderabile
un
completo
linguaggio
scritto, formato alla
maniera geroglifica: il
che
ha
luogo
parzialmente con la
scrittura
alfabetica
(come nei nostri segni
dei numeri, dei pianeti,
delle materie chimiche,
ecc.): dovrebbe essere
una lingua universale
scritta pel commercio
dei
popoli,
e
specialmente dei dotti.
Ma bisogna ritenere per
contrario
che
il
commercio dei popoli
(come forse accadde in
Fenicia,
e
accade
presentemente
in
Kanton: si veda il
Viaggio di Macartney di
Staunton)[110]
ha
piuttosto prodotto il
bisogno della scrittura
alfabetica e l’ha fatta
sorgere. Inoltre, non è
da pensare a un esteso
linguaggio
geroglifico
stabile:
gli
oggetti
sensibili, sì, sono capaci
disegnipermanenti;ma
pei
segni
della
spiritualità il progresso
nella
coltura
del
pensiero, il progressivo
svolgimento
logico,
produce vedute nuove
intorno ai loro rapporti
interni,equindiintorno
allaloronatura;ondeda
ciò dovrebbe nascere
una
nuova
determinazione
geroglifica […] Solo al
carattere
stazionario
della coltura spirituale
cinese
la
scrittura
geroglificaèadeguata;e
inoltre, questo modo di
scrittura può essere
proprio solo di quella
più piccola parte di un
popolo, che si tiene in
esclusivo possesso della
colturaspirituale[…]Un
linguaggio di scrittura
geroglificarichiederebbe
una
filosofia
tanto
stazionaria, quanto è in
generale la coltura dei
cinesi»[111].
Questo
genere di scrittura, con
la molteplicità dei suoi
segni e con il suo
carattere
rigido,
favorisce da un lato il
monopolio della cultura
e della vita spirituale in
pochemani,dall’altrola
lentamarciadellastoria
orientale, che può per
Hegel essere accelerata
solo dall’esterno. La
scrittura
alfabetica,
invece, è il supporto
dello
sviluppo
più
generale e più veloce
della vita spirituale e
della storia: «in essa, la
parola, che è per
l’intelligenza il modo
più caratteristico e
degno di manifestare le
sue rappresentazioni, è
messa dinanzi alla
coscienzaefattaoggetto
della riflessione. Nel
lavorio dell’intelligenza
intornoaessa,laparola
viene analizzata; cioè la
creazione dei segni
viene ridotta ai suoi
pochi
e
semplici
elementi
(i
gesti
originari dell’articolare).
Essi sono il materiale
sensibile del discorso,
recato
nella
forma
dell’universalità;
il
quale,
in
questa
maniera
elementare,
raggiunge insieme la
piena determinatezza e
purità»[112]. Infatti, «la
nostra scrittura è assai
semplice da imparare,
in
quanto
noi
analizziamo la lingua
parlata risolvendola in
circa 25 suoni (col che
essa viene determinata,
èlimitatalaquantitàdei
suoni possibili, e sono
eliminate le tonalità
medie poco chiare); noi
nondobbiamoimparare
che questi segni e la
loro
composizione.
Quandopressodinoiun
individuo conosce i 25
segni dei suoni ed è
capace di comprenderli
nel loro nesso, tutte le
scritture
gli
accessibili.
sono
Le
rappresentazioni,
invece,
sono
infinitamente
più
svariatecheglielementi
che, presso di noi,
compongono le parole.
Per poter dire che un
Cinese sa leggere, si
calcola
che
debba
conoscere
novemila
segni»[113].
Inserendosi
nella
grande
discussione
contemporanea
sulla
natura del linguaggio
che si svolgeva accanto
a lui con Friedrich
Schlegel, Franz Bopp,
Jacob Grimm e Wilhelm
vonHumboldt[114],Hegel
distingue tra la «forma»
grammaticale di una
lingua, opera di un
«istinto logico», e le sue
altre
manifestazioni
lessicaliefonetiche.È,a
prima vista, abbastanza
sorprendente che il
linguaggiodeipopolipiù
colti
«abbia
la
grammatica
più
imperfetta; e che un
medesimolinguaggio,in
uno stadio più incolto
del
popolo
cui
appartiene, ne abbia
una più perfetta che
non nello stadio più
colto»[115].Taledato,che
Hegel
desume
direttamente dall’opera
di
Wilhelm
von
Humboldt, Über den
Dualis[116],
era
nel
complesso il risultato
delle osservazioni di
molti
viaggiatori
e
studiosi,
che
modificavano in parte
l’idea che i selvaggi, i
barbari
o
i
rappresentanti di civiltà
stazionarie dovessero
avere
strutture
linguistiche altrettanto
imperfette[117].
Hegel
fornisce
di
questa
apparenteincongruenza
laseguentespiegazione:
«È un fatto provato dai
monumenti
che
le
lingue hanno raggiunto
un grado di sviluppo
estremamente alto già
in un’età in cui i popoli
che le parlavano non
erano ancora evoluti:
l’intelletto, evolvendosi,
aveva
ampiamente
preso
possesso
di
questo
campo
teoretico […] È inoltre
un fatto che, con il
progredire
della
civilizzazione
nella
società e nello Stato,
questo
sistematico
interventodell’intelletto
si attutisce, e la lingua
divieneinciòpiùincolta
e più povera; – ed è un
fenomeno caratteristico
che lo sviluppo, il quale
in sé si spiritualizza
generando
e
costituendo
la
razionalità,
trascuri
quell’esattezza
ed
esaustività intellettuale,
la trovi d’impaccio, e la
renda
superflua
o
almeno
non
indispensabile»[118].
Accade così, anche al
livello
della
grammatica,
che
l’istinto della ragione
prema
sui
confini
dell’intelletto,
faccia
assumere a quel «corpo
del pensare» (Leib des
Denkens)[119] che è il
linguaggio andamenti
più sciolti. Quel che di
determinatezza e di
precisione perde la
lingua,
a
un
determinato livello del
suo sviluppo,
guadagnato
viene
dal
pensiero.
Certo, le «forme del
pensiero sono anzitutto
esposte e consegnate
nel
umano»[120]
grammatica
«sviluppata
linguaggio
e
la
stessa
e
sistematizzata, è opera
del pensiero, che vi
mette in luce le sue
categorie»[121]. Ed è
ancheveroche«intutto
ciò che l’uomo fa suo si
èinsinuatoillinguaggio;
equellodicuil’uomofa
linguaggio e ch’egli
estrinseca
nel
linguaggio, contiene, in
unaformainviluppatae
meno pura, oppure
all’incontro elaborata,
una categoria […] Il
vantaggio di una lingua
sta nell’essere ricca di
espressioni
logiche,
proprie cioè e separate,
per le determinazioni
stesse del pensiero. Fra
le proposizioni e gli
articoli,
molti
appartengono già a
rapporti tali che hanno
per base il pensiero. La
lingua cinese, nel suo
svolgimento,
sembra
esser andata innanzi
poco o nulla, da questo
lato.
Ma
coteste
particelle si presentano
in una forma del tutto
dipendente, solo un
pocopiùseparata,come
aumenti,
segni
di
flessione ecc. Molto più
importanteècheinuna
lingualedeterminazioni
delpensierosianvenute
a mettersi in rilievo
come sostantivi e verbi,
ricevendo
così
l’impronta
dell’oggettività»[122].
Tutto questo è giusto,
ma il pensiero non
coincide col linguaggio,
colsuocorpo,edèstato
l’errore di Hamann
quello di aver compiuto
questa
identificazione[123].
Infatti, anche le lingue
più provviste di «spirito
speculativo», come il
tedesco, in cui molte
parole posseggono «la
proprietà
di
aver
significati non solo
diversi,maopposti»[124],
hanno pur sempre una
struttura troppo rigida
per poter esprimere
immediatamente nuove
forme
di
pensiero.
Ovviamente il pensiero
si manifesta attraverso
illinguaggio,malodeve
piegare e asservire,
dimodoché ogni nuova
filosofia,
pur
non
utilizzandounaspeciale
terminologia, forza la
grammatica, la «forma»
di una lingua, fino a
farne sprigionare tutte
le possibilità nascoste.
Ad esempio, una delle
maggiori difficoltà che
la forma di alcune
lingue(noidiremmoqui
la sintassi) oppone al
pensiero dialettico è la
struttura
della
proposizione, nel suo
aspetto di giudizio,
poiché«ilgiudizioèuna
relazione identica fra
soggettoepredicato.Nel
giudizio si prescinde da
ciò che il soggetto ha
altre
determinatezze
oltre a quella del
predicato, come vi si
prescinde da ciò che il
predicato è più esteso
del soggetto. Se ora il
contenutoèspeculativo,
anche il non identico,
del soggetto e
predicato,
è
del
un
momento
essenziale;
ma questo nel giudizio
non
è
espresso.
L’aspetto paradossale e
bizzarro che una gran
parte della filosofia
moderna assume per
chi non ha familiarità
col pensare speculativo,
dipende spesso dalla
forma del semplice
giudizio, quando viene
adoperata a esprimere i
resultati
speculativi»[125].
Per
rimediare a questa
unilateralità
della
proposizione,
si
aggiunge allora «la
proposizione contraria»,
e dopo aver affermato,
adesempiocheesseree
nulla sono la stessa
cosa, si deve dire che
essere e nulla non sono
la stessa cosa, ma «così
sorge un altro difetto, il
difetto cioè che queste
proposizioninonsonfra
loro collegate, epperò
presentano il contenuto
soltanto nell’antinomia,
mentre d’altra parte il
contenuto
loro
si
riferisce a uno stesso, e
ledeterminazioni,chesi
trovano espresse nelle
due
proposizioni,
debbono assolutamente
essereunite(unioneche
si può allora designare
solo
come
una
inquietudine
d’incompatibili, o come
un movimento)»[126]. In
questo senso è da
intendersi anche la
metafora
adorniana:
«Per usare un paragone
anacronistico,
le
pubblicazioni di Hegel
sono più film del
pensierochetesti.Come
l’occhioinespertofapiù
fatica a trattenere i
dettagli di un film
rispetto a quelli di
un’immagine in quiete,
lo stesso accade con i
suoi scritti»[127]. Da qui
ledifficoltàdiintendere
il pensiero dialettico, la
relativa inadeguatezza
dellinguaggioinquanto
prodotto
dell’«intelletto». Da qui,
inoltre, la resistenza
della
dialettica
hegeliana
a
essere
ricondotta a una logica
formale diacronica, a
una
«filiazione
di
strutture»[128], a un
calcolo
proposizionale[129].
Il
movimento
dialettico
infrange infatti per sua
natura «l’ordine del
discorso»[130]
attingendo al
e,
novum
della storia[131], si pone
esso
stesso
nello
sviluppo del linguaggio,
produce nuove forme
linguistiche, sposta in
avanti, con le barriere
dell’intelletto,
quelle
dellacoscienzacomune.
Il pensiero, in sostanza,
assimila anche qui il
linguaggio e lo plasma
nellatradizionevivente.
Perquantoriguardala
comprensione
dei
processi cognitivi, Jean
Piaget, nel suo ultimo
libro, apparso appena
quattro mesi prima
della morte, Les formes
élémentaires
de
la
dialectique (Paris, 1980),
giunge,percertiversi,a
conclusioni innovative
involontariamente
simili a quelle di
Hegel[132]. In lui la
dialettica è una fase
della ricerca (e, dal
punto di vista dell’età
evolutiva, una fase
tarda dello sviluppo del
pensiero
dell’adolescente), che si
apre quando non si
riesconopiùarisolverei
problemi in cui ci si
imbatte, a eliminare
cioè le antinomie e le
dissonanze
cognitive
che permangono in un
dato insieme di teorie,
ipotesi o credenze.
Comincia
allora
l’esplorazione a tentoni
diparadigmialternativi.
Le anomalie – passando
gradualmente,
dai
margini
al
centro
dell’attenzione
vengono allora
–
viste
all’interno delle loro
contraddizioniedeiloro
conflitti. Dopo una
tormentata
rielaborazione ci si
accorge infine di essere
giunti a una nuova,
soddisfacente
teoria,
che
ingloberà
retroattivamente, après
coup, le teorie di
partenza,
restringendone
la
vanità,
ma
riconoscendole
come
propri casi particolari.
Intalmodo,acosefatte,
a risultato conseguito,
sembra–aggiungo–che
il percorso trovato per
prove ed errori sia
l’unico
giusto,
che
costituisca una «via
regia»,comeperEuclide
il metodo seguito negli
Elementi. E non solo:
sembra che sia ‘sempre
stato lì’, che si trattava
soltanto di vederlo con
maggiore perspicacia e
checisipotevaarrivare
prima.
Se si considera la
questione dal punto di
vista
dell’inizio
dell’indagine,
questo
stesso cammino risulta
tuttavia
costruito,
appare
come
una
procedura che si è
mostrata efficace, una
strada
che
ha
prolungato
rischiosamente
se
stessa,unarottachesiè
scoperta
quasi
accidentalmente e che
in seguito è, tuttavia,
diventata insegnabile e
ripercorribiledaaltri.La
dialettica si mostra così
in
Piaget
quale
soluzione creativa di
antinomie, strategia per
pilotare
crisi
di
trasformazione, ponte
gettato verso soluzioni
capaci di spiegare e
giustificare il perché le
antinomie
si
sono
formate e di sbloccare
quindi, secondo una
espressione
di
Wittgenstein,
determinati «crampi del
pensiero».
Anche
in
questo
senso, Hegel ha già
prima completamente
rinnovato la concezione
della dialettica. Mentre,
da Aristotele a Kant,
essa
designava
soprattutto
la
conoscenza
del
probabile e dell’incerto
(sillogismi
dialettici
sono
quelli
che,
partendo da premesse
probabili, conducono a
conclusioni probabili e
sillogismi analitici sono
quelli, al contrario, che,
partendo da premesse
certe, conducono a
conclusioni certe, una
posizione tradotta da
Kant nella distinzione
tra
Analitica
trascendentale e Dialettica
trascendentale),
con
Hegel
la
dialettica
diventa quella mossa
audace che erode le
certezze e conduce,
attraverso
una
navigazione azzardata,
verso la conoscenza
«speculativa»,chepassa
dal finito kantiano, dai
limiti
posti
alla
conoscenza di ciò che
cade
al
di
fuori
dell’esperienza
all’infinito speculativo,
dalla
analitica
alla
dialettica, dalla logica
formaleall’ontologia.Se
quindi Kant paragonava
la conoscenza vera,
basata sull’esperienza,
al solido terreno di
un’isola dai confini
immutabili,
in
contrapposizione
alla
dialettica,
alla
metafisica, al pensiero
puro
(rappresentati
come un nordico mare
tempestoso, pieno di
nebbia e di ghiacci)[133],
per
Hegel
l’attraversamento
dell’incertezza conduce
invece alle certezze
della
ragione
speculativa[134].
L’elemento
mobile,
infido, su cui naviga la
filosofia, il suo mare
procelloso, è dato dal
non poter presupporre
alcuno stabile e certo
terreno di partenza. In
quanto la filosofia «non
ha il vantaggio, del
quale godono le altre
scienze,
di
poter
presupporre
oggetti
i
suoi
come
immediatamente dati
dalla
rappresentazione»[135],
succede che su di essa
cada il discredito e
l’accusa
di
incomprensibilità: «Alla
conoscenza della verità
si
contrappone
la
pavidità. Per uno spirito
pigro è facile dire: non
venga in mente di
prendere sul serio il
filosofare.
Certo,
ascoltiamo anche delle
lezioni di logica, ma
questo deve lasciare il
tempo che trova. Si
crede che se il pensiero
vaoltrelasferaabituale
delle rappresentazioni,
prende
una
brutta
strada; questo vorrebbe
dire avventurarsi in un
mare dove si è sbattuti
qua e là dalle onde del
pensieroe,allafine,cisi
trova sulla spiaggia di
questa temporalità che
si è abbandonata per
niente e niente di
niente. I risultati di un
talmododivederesono
alla luce del sole. Si
possono
acquisire
capacità e conoscenze
di
ogni
genere,
diventare
esperti
funzionari e per il resto
coltivarsi per scopi
particolari. Ma è cosa
ben diversa formare il
proprio spirito anche
perciòcheèpiùelevato
e
sforzarsi
di
raggiungerlo»[136]. Hegel
è un nuovo Cristoforo
Colombo della filosofia,
un
esploratore
coraggioso
dei mari
ignoti della dialettica
che giunge al Nuovo
Mondo
della
«speculazione» o è
invece un avventuriero
della
filosofia,
kantianamente
destinato al naufragio
che
può
tuttavia
rivendicare per sé il
dettobenenavigavinunc,
cumnaufragiumfeci?[137]
[1] Hegel, Einleitung in die
GeschichtederPhilosophie,cit.,
pp.159-160.
[2] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., pp. 165166 (trad. it. cit., vol. I, pp.
189-190). Non sembra che
Hegel – cui erano ben noti
naturalisti e geologi come
Buffon, Lamarck, Cuvier,
Werner e Hutton – accetti
qui la cronologia biblica
dell’età del mondo ridotta a
pochi millenni. Egli si
riferisce piuttosto agli inizi
delle civiltà umane, della
loro storia che – secondo gli
insegnamentidiCondorcet–
subisce
una
forte
accelerazionedopolafasein
cui si passa dal nomadismo
all’agricoltura.
[3] Hegel, Vorlesungen über
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 245 (trad. it.
cit.,vol.III,2,p.7).
[4]Ibid.,p.239(trad.it.cit.,
vol.III,2,p.1).
[5] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 871
(trad.it.cit.,vol.IV,p.139).
[6]Ibid.,p.912(trad.it.cit.,
vol.IV,p.188).
[7] Hegel, Vorlesungen über
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 242 (trad. it.
cit.,vol.III,2,p.4).
[8] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 855
(trad.it.cit.,vol.IV,pp.120121).
[9] Cfr. Hegel, Vorlesungen
überdieAesthetik,cit.,vol.X2,
pp. 231-232 (trad. it. cit., p.
676):«Masel’arteharivelato
da tutti i lati le concezioni
essenziali
del
mondo
contenutenelsuoconcettoe
lacerchiadelcontenutoche
a esse appartiene, essa si è
liberata di questo contenuto
che è di volta in volta
determinatoperunpopoloe
un’epoca particolari; e il
vero bisogno di riaccoglierlo
si ridesta esclusivamente a
quello di volgersi contro il
contenuto che era finora
unicamente valido così
come per es., in Grecia
Aristofanesièvoltocontroil
suo presente e Luciano
controilsuopassatogreco,e
come in Italia e in Spagna
nel declino del Medioevo
Ariosto
e
Cervantes
incominciarono a volgersi
contro la cavalleria». Su
Sancho
Panza
che
–
contrariamente
a
Don
Chisciotte – non ama i
misteri e preferisce farsi
dareinanticipolasoluzione
degli indovinelli, cfr. Hegel,
Aphorismen aus der Jenenser
Periode, cit., p. 545 (trad. it.
cit., p. 67 nota 46). Sull’arte,
che non solo seppellisce il
passato o il presente
divenuto inessenziale, ma
che annuncia il futuro, cfr.
Philosophie der Weltgeschichte,
cit., p. 869 (trad. it. cit., vol.
IV, p. 137), a proposito del
fiorire della pittura italiana
ai tempi di Giotto, che
prelude alla conciliazione
dell’arte rinascimentale in
Europa: «Lo spirito, non
potendo
trovare
soddisfazione, si costruiva
mercé la fantasia immagini
più belle, e di guisa più
serenaelibera,diquelleche
offriva la realtà. In Italia
sorgeun’artenuova.L’uomo
ha cessato di contentarsi
solo di una pietà che non
nasce da se stessa, e di
lasciare d’altro canto il
sensibile nella sua mera
materialità: egli lo vuole
ormaispiritualizzare».
[10] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., pp. 888889 (trad. it. cit., vol. IV, pp.
159-160).
[11] Cfr. Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XV, p.
299(trad.it.cit.,vol.III,2,p.
67).
[12]
Cfr.
Hegel,
Phänomenologie des Geistes,
cit., pp. 140 ss. (trad. it. cit.,
vol. I, pp. 207 ss.);
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§38Z.
[13] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.96(trad.it.
cit.,vol.I,p.130).
[14]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 402 (trad. it.
cit., vol. III, 2, p. 180). Per
l’antinewtonianesimo
di
Hegel, cfr. Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, pp. 353-354
(trad. it. cit., vol. I, pp. 383384);
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, §§ 266 A
(trad. it. cit., pp. 228-229);
267 A (polemica indiretta,
trad.it.cit.,pp.231-232);270
A(trad.it.cit.,p.236);270Z;
D. Dubarle, La critique de la
mécaniquenewtoniennedansla
philosophiedeHegel,inL’esprit
objectif. L’unité de l’histoire,
cit.,pp.113-136;E.Oeser,Der
Gegensatz von Kepler und
Newton in Hegels ‘Absoluter
Mechanik’,
in
«Wiener
Jahrbücher für Philosophie»,
III(1970),pp.69-93.
[15]Cfr.Hegel,Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§§40(trad.it.
cit., p. 45) e 415 A (trad. it.
cit.,p.390).
[16] Hegel, Unveröffentlichte
Vorlesungsmanuskripte,acura
e con commento di H.
Schneider,
in
«HegelStudien»,7(1972),p.17.
[17] Sul significato della
querelle, cfr. le osservazioni
di G. Macchia, I nani sulle
spalledeigiganti,inIlparadiso
della ragione, Bari, 1964, pp.
111-127 e di Paolo Rossi, I
filosofi e le macchine 14001700,Milano,1962,passim.
[18]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, pp. 258-259
(trad.it.cit.,vol.III,2,pp.2122).
[19] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 429 (trad.
it. cit., vol. II, p. 298);
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,420Z.
[20]
Cfr. K. Korsch,
L’empirismo nella filosofia di
Hegel, conferenza tenuta a
Berlinoil27ottobre1931alla
Società per la filosofia
empirica pubblicato da un
dattiloscritto inedito in K.
Korsch,Dialetticaescienzanel
marxismo, a cura di G.E.
Rusconi, Bari, 1974, pp. 1141; Th.W. Adorno, Der
Erfahrungsgehalt
der
HegelschenPhilosophie,inDrei
StudienzuHegel, cit., trad. it.
cit., pp. 83-114, per il quale
inoltre
la
dialettica
hegeliana è «lo sforzo
inflessibile di costringere
insieme
l’autocoscienza
critica della ragione e
l’esperienza critica degli
oggetti»
(Aspekte
der
hegelschen Philosophie, in Drei
Studien zu Hegel, trad. it.
Aspetti, in Tre studi su Hegel,
cit.,
p.
41).
Per
i
fraintendimentidelrapporto
hegeliano fra ragione ed
esperienza, valga come
esempioH.Reichenbach,The
Rise of Scientific Philosophy,
Berkeley-Los Angeles, 1951,
trad. it. di D. Parisi e A.
Pasquinelli, La nascita della
filosofia scientifica, III ed.,
Bologna, 1972, pp. 76-81. Sul
concetto di esperienza in
Hegel si veda la puntuale
analisi di D. Emunds,
Erfahren und Erkennen. Hegels
Teorie
der
Wirklichkeit,
Frankfurt a.M., 2012, pp. 23166.
[21] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§38Z.
[22]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 379 (trad. it.
cit., vol. III, 2, p. 155). Cfr.
Unveröffentlichte Diktate aus
einer Enzyklopädie-Vorlesung
Hegels,pubblicatiacuradiF.
Nicolin, in «Hegel-Studien»,
4(1969),p.19:«L’altrastrada
consiste nel prendere le
mosse empiricamente dalla
percezione, di trovare in
essaordine,unità,leggi,edi
sollevarla a punti di vista
universali. Se questa strada
empirica
procedesse
coerente e razionale, essa
elaborerebbe e preparerebbe
l’esperienza della natura
interna ed esterna – che è
l’immagine della ragione –,
così che i suoi risultati
sarebbero suscettibili di
essere
accolti
nella
filosofia».
[23]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 382 (trad. it.
cit.,vol.III,2,pp.158-159).
[24]Ibid., pp. 382-383 (trad.
it.cit.,vol.III,2,p.159).
[25] Cfr. Kant, Kritik der
reinen Vernunft, A 271; B 327
(trad.it.cit.,vol.I,p.268).
[26] Cfr. Hegel, Vorlesungen
über
die
Geschichte
der
Philosophie, cit., vol. XV, pp.
378-379 (trad. it. cit., vol. III,
2,p.154).
[27] Ibid., p. 380 (trad. it.
cit.,vol.III,2,p.156).
[28] Ibid., vol. XIII, p. 54
(trad. it. cit., vol. I, p. 51).
Sulla coscienza sensibile, si
veda, fra l’altro, A.F. Koch,
Sinnliche
Gewißheit
und
Wahrnehmung. Die beiden
ersten
Kapitel
der
PhänomenologiedesGeistes,in
Hegels Phänomenologie des
Geistes, cit., pp. 135-152.
Sulla
questione
dell’indicibile, affrontata da
Hegel nella giovanile poesia
Eleusis, del 1796, dedicata a
Hölderlin,cfr.G.Agamben,Il
linguaggio e la morte, Torino,
1982,pp.13-23.Sulpeculiare
senso del concetto di
«astratto» in Hegel, in
relazionealsaggioWerdenkt
abstrakt? del periodo di
Bamberga (ora in edizione
critica, a cura di A.
Bennholdt-Thomsen,
con
commento,
in
«HegelStudien», 5 (1969), pp. 161164 e 165-199), cfr. R.
Racinaro,
Sul
concetto
hegeliano di «astratto»: la
«riconciliazione alla Kotzebue»,
in «Critica marxista», X
(1972),n.5,pp.78-107.
[29] Th.W. Adorno, Der
Erfahrungsgehalt
der
Hegelschen Philosophie, trad.
it.cit.,p.77.
[30] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§8A(trad.it.
cit.,p.11).
[31] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 920
(trad.it.cit.,vol.IV,p.197).
[32] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§119A(trad.
it.cit.,p.119).
[33] Ibid., § 259 A (trad. it.
cit.,p.220).
[34] Ibid., § 12 (trad. it. cit.,
pp.15-16).
[35]EngelsanF.A.Lange, 29
marzo 1865, in MEW, cit.,
vol.XXXI,pp.467-468.Perla
conoscenza
dell’analisi
infinitesimale da parte di
Marx
cfr.
K.
Marx,
Matematiceskie
rukopisi,
Moskva, 1968. Hegel si era
dedicato con passione allo
studio della matematica fin
dai
primi
tempi
del
soggiorno jenense: «Ella sa
che mi sono occupato
moltissimo […] anche di
matematica,erecentemente
di analisi superiore, del
calcolo differenziale […]»
(Hegel an Paulus, 30 luglio
1814, in Briefe, vol. II, cit., p.
31, trad. it. cit., vol. II, p.
242).Popperfadell’ironiasu
affermazioni
simili,
ritenendole
frutto
di
millanteria, il che è falso
(cfr. K.R. Popper, The Open
Society and Its Enemies, trad.
it. cit., vol. II, p. 43). Dal
semestre invernale 18051806 e per tre semestri di
seguito – nel periodo cioè in
cui
componeva
la
Fenomenologia dello spirito –
Hegel
infatti
insegnò
aritmetica
e
geometria
all’università di Jena, sulla
base, come era l’uso, di
alcuni affermati manuali.
Cfr. l’annuncio delle lezioni
per il semestre 1805-1806:
«Ge. Wilh. Frid. Hegel, D a)
Mathesin puram, et quidem
Arithmeticam ex libro: Stahls
Anfangsgründe der reinen
Arithmetik,
2te
Auflage.
Geometriam ex libro Lorenz
erster Cursus der reinen
Mathematik 2te Auflage» (cfr.
H. Kimmerle, Dokumente zu
HegelsJenaerDozententätigkeit
(1801-1807),
in
«HegelStudien»,4(1967),pp.55,69,
83). I testi utilizzati sono
quelli di C.D.M. Stahl, Reine
Mathematik, Arithmetik und
Geometrie.
Parte
I:
Anfangsgründe der Arithmetik
zum
Gebrauche
bey
Vorlesungen,
Jena-Leipzig,
18022,
e
J.F.
Lorenz,
Grundrisse der reinen und
angewandten Mathematik oder
der erste Cursus der gesamten
Mathematik,
Helmstedt,
17982.Lorenzèl’autoredella
prima grande traduzione
tedesca di Euclide: Euclids
Elemente,
aus
dem
Griechischen übersetzt von
Johann Friedrich Lorenz.
Zweyte
durchhaus
verbesserte Ausgabe, Halle,
1798. È da osservare, per
inciso, che l’aritmetica e la
geometria, al pari della
logica formale, non hanno
mairappresentatoperHegel
un problema di fondazione.
Come la maggior parte dei
suoi contemporanei, Hegel
leconsideravascienzesolide
echiaredipersé.Duranteil
suo
insegnamento
a
Norimberga, egli aveva però
progettato di pubblicare un
manualedimatematicaperi
ginnasi, cosa che poi non
ebbe seguito: «Avrei in
mente già da tempo di
redigereuncompendiocirca
il
modo
di
svolgere
l’insegnamento
teoretico
della
geometria
e
dell’aritmetica nei ginnasi,
perché tanto a Jena che qui
ho trovato nelle mie lezioni
che questa scienza, senza
mescolarvi la filosofia, che
non c’entra, può essere
trattata in modo più
intellegibile e sistematico
del solito, mentre in genere
non si riesce a scorgere da
dove provenga il tutto e
dove
sia
diretto,
dal
momento che non vi è
indicata norma teoretica
alcuna»
(Hegel
and
Niethammer, 24 marzo 1812,
in Briefe, cit., vol. I, p. 398;
trad.it.cit.,vol.II,p.179).Su
alcuniaspettidelrapportodi
Hegel con la geometria, cfr.
A.L.T. Paterson, Hegel’s early
Geometry, in Hegel-Studien»,
voll. 39/40 (2004/2005), pp.
61-124. Su Hegel e la
matematica, con particolare
riguardo
al
calcolo
infinitesimale, sono da
vedere: H. Schwarz, Versuch
einer
Philosophie
der
Mathematik verbunden mit
einer Kritik der Austellungen
HegelsüberdenZweckunddie
Natur der höheren Analysis,
Halle, 1853; W.R. Smith,
Hegel and the Methaphysics of
the Fluxional Calculus, in
«Transactions of the Royal
Society of Edinburgh», XXV
(1869), pp. 491-511; R. Baer,
Hegel und die Mathematik, in
Verhandlungen des zweiten
Hegelkongressesvon18.bis21.
Oktober
1931,
BerlinTübingen, 1932, pp. 104-120;
M. Rehm, Hegels spekulative
Deutung
der
Infinitesimalrechnung,
DissertationKöln,discussail
16 dicembre 1963; D.
Dubarle, La critique de la
mécaniquenewtoniennedansla
philosophie de Hegel, cit., pp.
118ss.;V.Verra,Hegel critico
della
filosofia
moderna:
matematica e filosofia, in
Enciclopedia ’72, cit., pp. 8395; N. Badaloni, Teleologia ed
idea del conoscere nella logica
di Hegel, cit., pp. 35-40; E.
Doumit,
Hegel
et
l’infinitésimal, in AA.VV., Les
signes et leur interprètation,
Lille, 1972, pp. 75-93; J.-T.
Desanti,
Notes
sur
l’épistémologie hégélienne, in
«Dialectiques»,
n.
1-2,
settembre1973,pp.55-87;M.
Vadée, Nature et fonction des
Mathematiques et de leur
histoire dans le système
dialectiquehégélien,in«HegelJahrbuch», 1972 [1973], pp.
33-39; J.O. Flockenstein,
Hegel’s Interpretation der
Cavalierischen
Infinitesimalmethode,
in
«Hegel-Studien», vol. suppl.
11, Bonn, 1974, pp. 117-124;
T. Pinkard, Hegel’s Philosophy
of
Mathematics,
in
«Philosophy
and
Phenomenological
Research»,41(1981),pp.452464; A. Moretto, Hegel e la
‘matematica
dell’infinito’,
Trento,
«Quaderni
di
Verifiche 8», 1984; P. Ziche,
Mathematische
und
NaturwissenschaftlicheModelle
in der Philosophie Schellings
und Hegels, Stuttgart-Bad
Cannstatt, 1996. Più in
generale si veda Ch. Houzel,
Philosophie et calcul de l’infini,
Paris,1976.
[36] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.306(trad.
it.cit.,vol.I,p.333).
[37]Ibid.,vol.I,p.241(trad.
it.cit.,vol.I,p.266).
[38] Sullo sviluppo delle
matematiche in questo
periodo e sui problemi
teorici
del
calcolo
infinitesimale,
cfr.
J.-B.
Delambre, Rapport historique
sur les progrès des sciences
mathématiques depuis 1789,
Paris, 1810; L. Geymonat,
Storia e filosofia del calcolo
infinitesimale
moderno,
Torino,1947;O.Toeplitz,Die
Entstehung
der
Infinitesimalrechnung, Berlin,
1949; C.B. Boyer, The History
of the Calculus and its
Conceptual Development, New
York, 1949; N. Bourbaki
(pseudonimodiungruppodi
matematici, fra cui Cartan,
Dieudonné, A. Weyl ecc.),
Éléments
d’histoire
des
mathématiques, Paris, 1960,
trad. it. di M.L. Vesentini
Ottolenghi, Elementi di storia
della matematica, Milano,
1963, pp. 161-211; H. Cohen,
Das
Prinzip
der
Infinitesimalrechnung
und
seine Geschichte, ristampa,
Frankfurt a.M., 1968; I.
Grattan-Guiness,
The
Development of the Foundation
of the Mathematical Analysis
from Euler to Riemann,
Cambridge, Mass., 1970; G.
Birkhoff, A Source Book in
Classical
Analysis,
Cambridge,Mass.,1973.
[39] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.241(trad.
it.cit.,vol.I,p.266).
[40]Ibid.,vol.I,p.240(trad.
it.cit.,vol.I,pp.264-265).
[41]Cfr.d’Alembert,Surles
principes métaphysiques du
calcul
infinitésimal,
in
Mélanges
de
littérature,
d’histoire et de philosophie,
nuovaedizione,Amsterdam,
1768, t. V, pp. 207-219 (non
risulta tuttavia che Hegel
avesse una conoscenza
diretta di questo scritto
mentre è assai verosimile
che
conoscesse
di
d’AlembertlevociDifférentiel
e Limite dell’Encyclopédie); J.L.
Lagrange,
Théorie
des
fonctions analytiques, Paris,
1797(oraancheinŒuvres,t.
IX, Paris, 1881, di questa
primaedizionedel1797uscì
subito
una
traduzione
tedesca:
J.-L.
Lagrange,
Théorie
der
analytischen
Funktionen…, Berlin, 17981799; anche della seconda
edizione francese del 1813
uscì la traduzione tedesca
nel 1823, cfr. A.L. Crelle,
Lagranges
mathematische
Werke, vol. I, Berlin, 1823);
L.N.M. Carnot, Réflexions sur
la métaphysique du calcul
infinitésimal,Paris,1797(trad.
tedesca: L.N.M. Carnot,
BetrachtungenüberdieTheorie
der
Infinitesimalrechnung,
Frankfurt a.M., 1800). Di
Carnot Hegel possedeva
anche Neue Eigenschaften der
Vierecke.
Mit
einer
Kupfertafel. Frei aus dem
Französische
übersetzt…
von Karl Friedrich Schelling,
Dresden, 1802. Su Lagrange
comeunodegliiniziatoridel
calcolo simbolico, cfr. L.A.
Lusternik e S.S. Petrova, Les
premières étapes du calcul
symbolique,
in
«Revue
d’histoiredessciences»,XXV
(1972), pp. 202 ss. Devo alla
cortesia dei colleghi dello
«Hegel-Archiv»diBochumla
conoscenza anticipata della
lista dei libri della biblioteca
privata di Hegel (non tutti,
ma quelli che erano stati
venduti all’asta): Verzeichniß
der von dem professor Herrn
Dr. Hegel und dem Dr. Herrn
Seebeck hinterlassenen BücherSammlungen […], Berlin,
Gedruckt bei G.F. Müller,
1832. Mancano in questa
lista quelli che riguardano il
calcolo infinitesimale e che
Hegel ha comunque letto e
citato. Si vedano, in ordine
cronologico rispetto alla
data di pubblicazione: G.-F.A. de L’Hospital, Analyse des
infiniment
petits,
pour
l’intelligencedeslignescourbes,
Paris, 1696 (II ed. 1716); L.
Euler, Einleitung in die
Analysis des Unendlichen,
tradottodaMichelsen,3voll.
Berlin,
1788-1791;
Id.,
Differentialrechnung, 2 voll.,
tradotto
da
Michelsen,
Berlin,
1790-1793;
J.Ph.
Grüson, Supplement zu Eulers
Differential, Berlin, 1798; S.F.
Lacroix, Traité du calcul
différentialetducalculintégral,
Paris, An VIII [1800]; J.-L.
Lagrange,
Traité
des
différences et des series, Paris,
An
VIII
[1800];
C.
Bunzengeiger,Überdiewahre
Darstellung des DifferentialCalculs, Ansbach, 1808; J.-L.
Lagrange, Traité de la
résolution
des
équations
numeriques de tous les
degrès…, Paris, 1808; F.W.
Spur, Neue Prinzipe des
Fluentcalculs, Brauschweig,
1826.
[42]Cfr.Hegel,Wissenschaft
der Logik, cit., vol. I, pp. 250251 (trad. it. cit., vol. I, pp.
275-276):
«L’esempio
matematico, con cui egli
illustra (Epist. XXIX) [nella
numerazione odierna è la
XII] il vero infinito è uno
spazio fra due circoli
diseguali, l’uno dei quali
cade dentro l’altro senza
toccarlo, e che non sono
concentrici
[…]
“I
matematici
dic’egli,
concludono
che
le
ineguaglianze,
che
son
possibili in un tale spazio,
sono infinite, non già a
cagione
dell’infinita
moltitudine delle parti,
perocché la sua grandezza è
determinata e limitata e io
posso porre simili spazi più
grandi e più piccoli ma
perché la natura della cosa
sorpassa
ogni
determinazione”».
Cfr.
Spinoza, Epistulae, in Opera,
cit., vol. IV, trad. it. di A.
Droetto, Epistolario, Torino,
1951, pp. 82-83. Hegel aveva
aiutato Paulus nell’edizione
delle opere di Spinoza –
Benedicti de Spinoza operae
quaesupersuntomnia…, Jena,
1802-1803, controllando le
traduzioni francesi, cfr. K.
Rosenkranz, Hegels Leben
(trad. it. cit., p. 533). Per un
succinto
e
chiaro
inquadramento
del
problemadell’infinito,cfr.P.
Zellini,
Breve
storia
dell’infinito,Milano,19932.
[43] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.256(trad.
it.cit.,vol.I,p.282).
[44]Cfr.Hegel,Wissenschaft
der Logik 1812, cit., p. 42:
«Queste grandezze sono nel
loro svanire, ma non prima
del loro svanire e neppure
dopo, perché altrimenti
sarebbero grandezze finite».
Èdatenerpresentechenella
Wissenschaft der Logik del
1812 – a prescindere dalle
aggiunteecorrezioniminori
– mancavano, rispetto alla
seconda edizione che Hegel
ebbeiltempodicurare,poco
prima della morte, le note II
e III della Sez. II, Quantità,
cap.
II,
Il
Quanto
(corrispondenti
a
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol. I, pp. 278-322, cfr. trad.
it. cit., vol. I, pp. 305-350).
Dall’ampiezza
della
trattazione si può vedere
quale importanza centrale
avesseperHegelilcalcolo,e
come sia quindi inadeguato
considerare queste parti
della Wissenschaft der Logik
come un semplice excursus
chesquilibral’insieme.Tale,
adesempioèlaposizionedi
H.
Rademaker,
Hegels
objektive
Logik.
Eine
Einführung, Bonn, 1969, pp.
46 ss. (sulla quale cfr. V.
Verra, Hegel critico della
flosofiamoderna:matematicae
filosofia,cit.,p.88).
[45]
Cfr. Marquis de
L’Hospital,
Analyse
des
infiniment petits, cit. (è il
primo trattato di calcolo
differenziale pubblicato, in
buona parte un plagio
dell’opera
di
Johann
Bernoulli, composta nel
1691,marimastapoiinedita
fino al 1924: J. Bernoulli, Die
Differentialrechnung, Leipzig,
1924); Ch. Wolff, Der
Anfangs-Gründe
aller
mathematischen
Wissenschaften letzter Theil,
welcher so wohl die gemeine
Algebra, als die Differential =
und Integral = Rechnung… in
sich begreift…, Halle, 1750.
Cfr. Hegel, Logik-MetaphysikNaturphilosophie, in Jenaer
Systementwürfe II, cit., p. 18;
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol. I, pp. 259-260 (trad. it.
cit.,vol.I,pp.285-286).
[46] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.276(trad.
it.cit.,vol.I,p.304).
[47] Cfr. Ch. Wolff, Der
Anfangs-Gründe
aller
mathematischen
Wissenschaften letzter Theil,
cit.,pp.1800ss.
[48] Nouveaux Mémoires de
l’Académie Royale des Sciences
et Belles Lettres, Berlin, 1784,
p. 12. Sulla figura e il ruolo
di Lagrange nella cultura
dell’epoca, cfr. J.J. Virey,
Précishistoriquesurlavieetla
mortdeJoseph-LouisLagrange,
Paris, 1813, e M.T. Borgato e
L.Pepe,Lagrange.Appuntiper
una
biografia
scientifica,
Torino,1990.
[49] Anche le Réflexions sur
la métaphysique du calcul
infinitésimal di Carnot erano
state scritte in origine in
vista del concorso berlinese
(al quale non furono poi
presentate). Nel settembre
1822 Hegel andò a trovare il
vecchio
Carnot,
a
Magdeburgo, cfr. Hegel an
seine Frau, 15 settembre
1822, in Briefe, vol. II, cit., p.
340 e K. Rosenkranz, Hegels
Leben(trad.it.cit.,p.821):«A
Magdeburgo non poté fare a
menodivisitareCarnot,che
viveva in esilio in quella
città, e di rallegrarsi per
l’amichevole
accoglienza
fattagli da questo eroe della
Rivoluzione, dell’Impero e
dellascienza».
[50] N. Bourbaki, Éléments
d’histoire des mathématiques,
trad.it.cit.,p.209.
[51]
Buona parte delle
ricerche di questi autori si
svilupparono mentre Hegel
eraancorainvita.L’impulso
determinantefudatodaA.L.
CauchyconilCoursd’analyse
del’ÉcoleRoyalePolytechnique,
I. Partie: Analyse algébrique,
Paris, 1821, e con il Résumé
des leçons… sur le calcul
infinitésimal, Paris, 1823. Sul
rapportotraHegeleCauchy,
cfr. M. Wolff, Hegel und
Cauchy.EineUntersuchungzur
Philosophie und Geschichte der
Mathematik,
in
Hegels
Philosophie
der
Natur.
Veröffentlichungen
der
Internationalen
HegelVereiningung. vol. 15, a cura
di R.-P. Horstmann e M.J.
Petry, Stuttgart, 1986, pp.
197-263. A Berlino Hegel
strinse amicizia con il
matematico E.H. Dirksen,
autore di una Analytische
Darstellung
der
Variationsrechnung,
pubblicata nel 1823, e di un
articolo
sui
«Berliner
Jahrbücher» del 1827, scritto
forse su invito di Hegel, che
di fatto dirigeva la rivista
(cfr. Hegel an Van Ghert, 10
agosto1823,inBriefe,vol.III,
cit., pp. 22-23; Wissenschaft
der Logik, cit., vol. I, p. 272,
trad.it.cit.,vol.I,p.299),ma
non sembra che abbia
recepito nulla di questi
sviluppi
dell’analisi
infinitesimale. Per lui ormai
Lagrange
e
Carnot
rappresentavano quasi una
«figura» nello svolgimento
dell’analisi. Su Cauchy e la
disputa
sulla
priorità
rispetto a Bolzano di alcune
scoperte, cfr. H. Sinaceur,
Cauchy et Bolzano, in «Revue
d’histoire des sciences»,
XXVI (1973), pp. 97-112. Di
GaussHegelpossedevaperò,
in
altri
campi
della
matematica, le Theorematis
fundamentalis in doctrina de
residuis
quadracticis
demonstrationes
et
ampliationes
novae,
Göttingen,
1818
e
l’Allgemeine Auflösung der
Aufgabe: die Theile einer
gegebenenFläche…inkleinsten
Theilen ähnlich wird. Als
Beantwortung der von der
Königlichen
Societät
der
Wissenschaften in Copenhagen
für
1822
aufgegebenen
Preisträger.
[52]Cfr.HegelanVanGhert,
18 dicembre 1812, in Briefe,
cit.,vol.I,p.426(trad.it.cit.,
vol.II,p.209):«Perpenetrare
più
profondamente
in
questocampo[l’astronomia]
si esige prontezza nel
calcolo
differenziale
e
integrale, in particolare
secondo
le
nuove
esposizionifrancesi».
[53] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.268(trad.
it.cit.,p.296).
[54]Ibid.,vol.I,p.309(trad.
it.cit.,vol.I,p.336).
[55]Cfr.J.-T.Desanti,Notes
sur l’épistémologie hégélienne,
cit., p. 83. Sullo sviluppo del
problema in Fourier, cfr. I.
Grattan-Guiness
(in
collaborazione
con
J.R.
Ravotz), Joseph Fourier, 17681830, Cambridge, Mass.,
1972, passim. Sulla forma
seriale
dell’analisi
in
Newton, cfr. Ph. Kitscher,
Fluxions, Limits and Infinite
Littleness, in «Isis», LXIV
(1973),n.221,pp.33-49.
[56]Cfr.J.-T.Desanti,Notes
sur l’épistémologie hégélienne,
cit.,p.78.
[57] B. Bolzano, Paradoxien
des Unendlichen, Leipzig,
1851, trad. it. di C. Sborgi, I
paradossi dell’infinito, Milano,
1965,p.10.
[58] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, cit., § 257 Z.
Sulla quarta dimensionetempo in rapporto a
LagrangeeaHegel,cfr.A.M.
Bork,The Fourth Dimension in
Nineteenth-Century Physics, in
«Isis», LV (1964), n. 181, p.
327 e M.J. Petry, Hegel’s
Philosophy of Nature, cit., vol.
I,p.314.
[59] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, pp. 246-251
(trad. it. cit., vol. I, pp. 271277).
[60]Ibid.,vol.I,p.269(trad.
it.cit.,vol.I,p.297).
[61]Cfr.ibid.,vol.I,pp.236
ss.(trad.it.cit.,vol.I,pp.261
ss.).
[62]
Hegel,
LogikMetaphysik-Naturphilosophie,
in Jenaer Systementwürfe II,
cit., pp. 17, 18. Cfr.
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol.I,p.236(trad.it.cit.,vol.
I,p.261):«Ilquantoinfinito,
come infinitamente grande
o infinitamente piccolo, è
esso stesso in sé progresso
infinito;èquantoperciòch’è
ungrandeounpiccolo,edè
inparitempononesseredel
quanto.
L’infinitamente
grande e l’infinitamente
piccolo son quindi figure
della rappresentazione, che
a una considerazione più
particolaresidannoavedere
comevananebbiaeombra».
[63]
Hegel,
LogikMetaphysik-Naturphilosophie,
in Jenaer Systementwürfe II,
cit., p. 36. Per un commento
alla logica hegeliana del
1804/1805sivedaC.Meazza,
L’occhio e il testimone: dalla
logica alla fenomenologia in
Hegel,
Pisa,
1992,
in
particolarepp.101-130.
[64] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.244(trad.
it.cit.,vol.I,p.269).
[65] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., pp. 14-15
(trad.it.cit.,vol.I,pp.8-9).
[66] Hegel, Philosophie des
Rechts,cit.,Vorrede,p.9(trad.
it.cit.,Prefazione,pp.8-9).
[67]
Sul concetto di
rivoluzione
nel
mondo
antico
e
in
termini
comparativi,
si
vedano
questi due testi ormai
classici: H. Ryffel, Metabolé
politeion. Der Wandel der
Staatsverfassungen,
Bern,
1949;
H.
Arendt,
On
Revolution, New York, 1965,
trad. it. Sulla rivoluzione,
Milano, 1983, passim e, per
una messa a punto della
questione,
L.
Bertelli,
Metabolè
politeion,
in
«Filosofiapolitica»,III(1989),
pp.275-326.Periprodigiche
annunciano
i
grandi
mutamenti politici basterà
ricordare, fra i tanti passi,
quelli di Plutarco per la
morte di Cesare e di Tacito
perlaguerracivilefraGalba,
Otone e Vitellio, cfr.
Plutarco,Caes.,63,trad.it.di
C. Carena, Cesare, in
Plutarco,Viteparallele,2voll.
Torino, 1958, vol. II, p. 348:
«Maildestinosembrachesi
possa
più
facilmente
prevedere,cheevitare.Segni
e visioni miracolose si dice
che siano apparse durante
quei giorni. Luci che
brillarono nel cielo, fragori
che durante la notte
trascorsero
un
po’
dappertutto, uccelli solitari
che vennero a posarsi nel
Foro […] il filosofo Strabone
dicechesividerointerefolle
d’uomini correre in preda al
fuoco;echeloschiavodiun
soldato gettò una lunga
fiammata dalla mano, tanto
che gli astanti credettero
bruciasse,einvecequandoil
fuoco si spense, videro che
non aveva riportato nessun
danno.Cesarestessofeceun
sacrificio e non trovò il
cuore della vittima: prodigio
terribile, dice Strabone,
poiché in natura non
esistonoanimalicuimanchi
il cuore». E cfr. Tacito, Hist.,
I, 3. trad. it. di C. Giussani,
Storie,inOpere,Torino,1968,
p. 545: «E a codesto turbine
di umani eventi, aggiungi i
prodigidelcieloedellaterra,
le minacce della folgore, i
presagi del futuro, lieti o
tristi, misteriosi o palesi; né
mai con più terribili colpi al
popoloromano,maiconpiù
eloquenti segni apparve
manifestocheglidèi,nondi
proteggerci hanno cura, ma
di punirci». Sul moderno
concetto di rivoluzione, cfr.
in particolare, K. Griewank,
Der
neuzeitliche
Revolutionsbegriff, Jena, 1955,
trad. it. Il concetto di
rivoluzione nell’età moderna,
Firenze,1979.
[68] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.381(trad.
it.cit.,vol.I,p.411).
[69] Cfr. soprattutto G.
Della Volpe, Logica come
scienza positiva, MessinaFirenze,19562,pp.113ss.;M.
Rossi, Introduzione alla storia
delle interpretazioni di Hegel,
Messina, 1953, pp. 71 ss.; L.
Colletti, Il marxismo e Hegel,
Introduzione a V.I. Lenin,
Quaderni filosofici, Milano,
1958,pp.XI-XXVI;N.Merker,
Leoriginidellalogicahegeliana,
Milano,1961,passim.
[70]
Come
date
convenzionali si possono
scegliere, appunto, il 1948
(Convegno di studi hegelianomarxisti presso l’Istituto di
filosofia
del
diritto
dell’università di Roma, con
la partecipazione, oltre che
di Della Volpe, di Massolo,
Panzieri,
Spirito,
S.
Timpanaro senior ecc.; cfr.
gli atti sul «Costume
politico-letterario», maggio
ottobre 1948, ora riprodotti
in «Studi urbinati», nuova
serie B, XLI (1967), pp. 183248) e il 1962 (discussione
del rapporto Hegel-Marx fra
studiosi
marxisti
sulle
colonne di «Rinascita»). Su
questi punti e le loro
implicazioni, cfr. anche L.
RicciGarotti,Interpretiitaliani
di Hegel nel dopoguerra, in
Heidegger
contra
Hegel,
Urbino, 1965, pp. 113 ss.; M.
Rossi, Galvano della Volpe:
dalla gnoseologia critica alla
logica storica, in «Critica
marxista», VI (1968), n. 4-5,
pp. 186 ss.; N. Badaloni, Il
marxismo italiano degli anni
sessanta, Roma, 1971, pp. 31
ss.
[71]Èunatendenzaquesta
che, sotto la pressione della
realtà
storica
e
la
mediazione culturale della
Scuola di Francoforte e di
unanuovaletturadiMarx,si
èavvertitaancheinItaliafin
dagli inizi degli anni
Settanta del secolo scorso,
cfr.B.DeGiovanni,Hegeleil
tempo storico della società
borghese,cit.,pp.183ss.eId.,
Prefazione a F. Papa, Logica e
Stato in Hegel, Bari, 1973, pp.
12-17. Sulla diffusione di
analoghe interpretazioni in
Franciacfr.L.Marino,Recenti
studi hegeliani in lingua
francese,in«Rivistacriticadi
storia della filosofia», XXIX
(1974),pp.57ss.
[72]
Cfr.
R.
Bodei,
«Tenerezza per le cose del
mondo»: sublime, sproporzione
e contraddizione in Kant e in
Hegel, in Hegel interprete di
Kant, a cura di V. Verra,
Napoli,1981,pp.181-218.
[73] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.117(trad.
it.cit.,vol.I,pp.128-129).La
negazione del carattere
perituro
del
finito
e
l’immagine
stessa
dell’evanescenza graduale e
dell’infinitamente piccolo è
anche
un
modo
per
esorcizzare il nascere e il
perire,
la
dialettica
qualitativa e la distruzionecreazione
che
la
accompagna. Cfr. Hegel,
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol. I, pp. 383-384 (trad. it.
cit.,vol.I,pp.413-414):«Ogni
nascita e morte, invece di
essereuncontinuoApocoa
poco,sonoanziuntroncarsi
dell’A poco a poco e il salto
dal mutamento quantitativo
nel mutamento qualitativo
[…]Lagradualitàdelnascere
sibasasull’immaginarsiche
ciò che nasce esista già
sensibilmenteo,ingenerale,
realmente, e che solo a
cagione della sua piccolezza
non sia ancora percepibile;
parimenti nella gradualità
del perire si suppone che il
non essere o l’altro che
subentra in luogo di ciò che
perisce esista pur esso, ma
soltanto non sia ancora
osservabile […] Con ciò si
toglie via in generale il
nascere e il perire». Il salto
qualitativo ha per Hegel
ancheunsignificatopolitico,
poiché
mutamenti
qualitativi, si verificano
nelloStatoquandosisupera
una determinata soglia
quantitativa,
cfr.
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol.I,p.384(trad.it.cit.,vol.
I, p. 414) e C. Schmitt, Le
categorie del politico, saggi
raccolti
per
l’edizione
italiana e trad. it. di P.
Schiera, Bologna, 1972, pp.
146-147.
[74] Hegel, Wissenschaft der
Logik, vol. I, p. 118 (trad. it.
cit.,vol.I,p.130).
[75]Ibid.,vol.I,pp.136-137
(trad.it.cit.,vol.I,p.151).
[76]Ibid.,vol.I,pp.145-146
(trad. it. cit., vol. I, pp. 159160).
[77] Sul rapporto spirito-
lavoro, cfr. B. Lakebrink,
Geist und Arbeit im Denken
Hegels, in «Philosophisches
Jahrbuch», LXX (1962), pp.
107-108.
[78] Adorno ha spesso
rilevato l’analogia esistente
in Hegel tra «lavoro» e
«spirito»: «Il primato del
logos fu sempre un pezzo di
moraledellavoro.[…]Infatti
in ogni pensiero c’è anche
quel momento di sforzo
violento – riflesso del
bisogno
vitale
–
che
caratterizzaillavoro;faticae
sforzodelconcettononsono
metaforici» (Adorno, Drei
StudienzuHegel, trad. it. cit.,
p.52).Nonsempre,tuttavia,
Hegelidealizzaillavoroegli
dà un significato positivo.
All’interno della società
civile, inoltre, esso non ha
per lui un valore autonomo,
ma dipende dalle leggi dello
Stato.
Per
un
approfondimento di questi
temi, cfr. R. Bodei, Hegel e
l’economiapolitica,cit.,pp.2977.
[79] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.258(trad.
it.cit.,vol.I,p.284).
[80] Ibid. Nel porre in
evidenza questo passo,
Badaloni nota: «[…] per
Hegel la coscienza sensibile
assume il suo significato
nell’atto del suo svanire
entrolaretedeirapportiche
la
penetrano.
La
immaginazione
sensibile
non è il contrario del vero,
ma invece essa è la
manifestazione evanescente
di eventi che assumono il
lorosignificatosoloinnesso
alreticolodelleformee,fuor
di questo, svaniscono […]
Tutta la teoria hegeliana
dell’esperienza ha alle sue
spalle questa riduzione» (N.
Badaloni, Teleologia ed idea
del conoscere nella logica di
Hegel,cit.,p.39).
[81] Hegel, Philosophische
Propädeutik, in Werke, a cura
di H. Glockner, vol. III,
Stuttgart,19583,§159,p.211
(trad. it. di G. Radetti,
Propedeutica
filosofica,
Firenze,1951,p.225).
[82] Kant, Kritik der reinen
Vernunft, B 207 (trad. it. cit.,
vol.I,p.183).
[83] Ibid., A 270, B 211-212
(trad.it.cit.,vol.I,p.186).Su
questo punto, cfr., in
particolare, L. Scaravelli,
Saggiosullacategoriakantiana
della realtà, Firenze, 1947
(ora,coltitoloKantelafisica
moderna, in L. Scaravelli,
Scritti kantiani, Firenze, 1973,
pp. 5-189) e C. Luporini,
Spazio e materia in Kant,
Firenze, 1961, pp. 205 ss.
(anche sul rapporto fra
grado
e
analisi
infinitesimale).Cfr.ancheG.
Mihaud,
La
connaisance
mathématique et l’idéalisme
transcendental, in «Revue de
MétaphysiqueetdeMorale»,
XII (1904), pp. 393 ss., e G.
Böhme,
Über
Kants
Unterscheidung von extensiven
und intensiven Grössen, in
«Kant-Studien», LXV (1974),
fasc.3,pp.239-259.
[84]Cfr.L.Scaravelli,Kante
la fisica moderna, cit., pp. 38
ss.,87ss.
[85] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, pp. 219-220
(trad. it. cit., vol. I, pp. 241242).
[86] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§24Z1.
[87] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, pp. 220-221
(trad.it.cit.,vol.I,p.244).
[88]
Cfr. L. Landgrebe,
Hegels
Systembegriff,
in
Phänomenologie
und
Geschichte, Gütersloh, 1968,
trad. it. di M. von Stein,
Fenomenologia
e
storia,
Bologna, 1972, pp. 84 ss. Si
tratta di un concetto
chiaramentearistotelico,cfr.
Aristotele, Politica, I, 1253 a,
trad. it. di R. Laurenti, Bari,
1966, pp. 9-10: «il tutto
dev’essere necessariamente
anteriore alla parte, infatti,
soppresso il tutto, non ci
sarà più né piede né mano
se non per analogia verbale,
comesesidicesseunamano
dipietra(talesaràsenz’altro
una volta distrutta)». Cfr. il
passo in Hegel, col relativo
commento, in Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XIV, p.
354 (trad. it. cit., vol. II, p.
371).
[89]
Sul
rapporto
matematica-esperienza in
Lagrange, cfr. A.L. Crelle,
Lagranges
mathematische
Werke,vol.I,cit.,p.572;M.J.
Petry, Hegel’s Philosophy of
Nature,cit.,vol.I,p.337.
[90] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.276(trad.
it.cit.,vol.I,p.303).
[91]Ibid.
[92] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§267A(trad.
it. cit., p. 231); cfr. J.L.
Lagrange,
Théorie
des
fonctions analytiques, cit.,
parteIII,cap.I,art.4.
[93] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.277(trad.
it.cit.,vol.I,p.305).
[94]Ibid.
[95] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§267A(trad.
it.cit.,p.232).
[96] Ibid. (trad. it. cit., p.
230). La posizione hegeliana
sul rapporto esperienzateoria è in sostanza questa:
«Il vero problema consiste
nel far sì che le due
operazioni, lo svolgimento
del particolare dall’idea, e la
sussunzione del particolare
sotto
l’universale,
si
vengano
incontro.
I
fenomenidelmondofisicoe
spirituale
debbono
incominciare, sotto il loro
aspetto particolare, a essere
elaborati
e
avviati
a
concetto, perché le altre
scienze possano ricavarne
leggi e principi generali:
soltanto allora la ragione
speculativa può esprimersi
nei pensieri determinati, e
recare compiutamente a
coscienzailloronesso,cheè
interiore»(Hegel,Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XIV, pp.
375-376, trad. it. cit., vol. II,
p.394).Manellamatematica
la
teoria
va
distinta
dall’esperienza.
[97] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§267(trad.it.
cit., p. 232). Per un refuso,
nella traduzione italiana c’è
s = ct2, invece di s = ct3. Su
queste funzioni di Lagrange
cfr.
anche
Hegel,
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol. I, p. 266 nota (trad. it.
cit.,vol.I,p.294nota).
[98] Hegel, Der Geist des
Christentums
und
sein
Schicksal, in Theologische
Jugendschriften, cit., p. 299
(trad.it.cit.,p.412).
[99] Hegel, Philosophische
Propädeutik,cit.,§159,p.211
(trad. it. cit., p. 225). Sul
problema del linguaggio in
Hegel, cfr. J. Simon, Das
Problem der Sprache bei Hegel,
cit., assai dettagliato; K.
Löwith,HegelunddieSprache,
in
Vorträge
und
Abhandlungen. Zur Kritik der
christlichen
Überlieferung,
Stuttgart,1966,pp.97-118;T.
Bodammer, Hegels Deutung
der Sprache. Interpretationen
zu Hegels Äusserungen über
die Sprache, Hamburg, 1969;
M.Zuefle,ProsaderWelt.Die
Sprache Hegels, Einsiedeln,
1968;I.Fetscher,HegelsLehre
vom Menschen, cit., pp. 170
ss.
[100]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§459A(trad.
it. cit., p. 420). Per un
commento e per le fonti di
questa problematica, cfr.
Hegel,
Philosophie
des
subjektiven Geistes, trad. e
cura di M.J. Petry, 3 voll.
Dordrecht,1978.
[101] Ibid., §§ 453-457. Su
questi
nessi,
cfr.
J.
Habermas,
Arbeit
und
Interaktion. Bemerkungen zu
Hegels «Jenenser Philosophie
des Geistes», in Technik und
Wissenschaft als «Ideologie»,
Frankfurt a.M., 1966, pp. 947;V.Verra,Storiaememoria
inHegel,cit.,pp.344ss.Nella
sua biblioteca Hegel aveva
anche
un
libro
di
mnemotecnica:A.L.Kästner,
Mnemonik
oder
die
Gedächtniskunst der Alten
systematisch
gearbeitet,
Leipzig,18052.
[102]
Hegel,
Jenenser
RealphilosophieII,cit.,pp.184,
186 (trad. it. cit., pp. 110,
112).
[103]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften, §§ 455-458.
Come osserva M. Rossi,
Hegel definisce il segno
willkürlich, ossia arbitrario, e
nonconvenzionale,secondola
tradizione (cfr. M. Rossi,
Hegel e l’enciclopedia delle
scienze, cit., p. 178). Sul
rapporto tra memoria e
linguaggio, cfr. G. Cantillo,
Natura umana e senso della
storia,Napoli,2005,pp.9-38.
[104]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§458A(trad.
it. cit., p. 419). Su questo
punto
e
su
questa
immagine, cfr. J. Derrida, Le
puits et la pyramide, cit., pp.
27ss.Siveda,inoltre,Hegel,
Philosophie der Weltgeschichte,
cit., pp. 492 ss. (trad. it. cit.,
vol.II,pp.265ss.).
[105]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§463(trad.it.
cit.,p.427).
[106]Cfr.sopra,p.87.
[107]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§462A(trad.
it.cit.,p.426).
[108] Ibid., § 463 (trad. it.
cit.,p.427).
[109]
Cfr., ad esempio,
Hegel, Vorlesungen über die
Aesthetik, cit., vol. X1, pp.
544-545 ss. (trad. it. cit., pp.
464 ss.); Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§573A(trad.
it.cit.,pp.519ss.).
[110] Des Grafen Macartney
Gesandschaftsreise
nach
China…indenJahren1792bis
1794…, von sir Georg
Staunton, trad. dall’inglese,
3 voll. Berlin, 1797-1799. Sir
George
Staunton
era
segretario di Macartney
durante l’ambasciata in
Cina. Il testo esisteva nella
biblioteca
di
Hegel
nell’edizione Zürich, 179899.
[111]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§459A(trad.
it. cit., pp. 421-422, 424).
Hegel trae le sue nozioni
sulla lingua e la cultura
cinese
soprattutto
dal
grande sinologo francese
Abel
Rémusat,
che
insegnava il cinese al
Collège de France ed era
statofondatoredellaSocietà
Asiatica di Parigi (Hegel lo
conobbepersonalmenteefu
da lui invitato a una seduta
della
Académie
des
Inscriptions,cfr.Hegelanseine
Frau, 19 settembre 1827, in
Briefe, vol. III, cit., p. 189) e
dall’opera di W. von
Humboldt, Lettre à M. Abel
Rémusat sur la nature des
formes grammaticales en
général et sur le génie de la
langue chinoise en particulier,
Paris, 1827. Per quanto
riguarda
l’interesse
dell’epoca per la lingua e la
cultura dell’Oriente, cfr. Th.
Benfey,
Geschichte
der
Sprachwissenschaft
und
orientalischen Philologie in
Deutschland, München, 1869,
e R. Gérard, L’Orient et la
Pensée romantique allemande,
Nancy, 1963; R.F. Merkel,
Herder und Hegel über China,
in «Sinica», XVII (1942), pp.
11 ss.; J. Schinckel, Hegels
China. China Hegels, in
Aktualität und Folgen der
Philosophie Hegels, a cura di
O.Negt,Frankfurta.M.,1970,
pp. 183-194; D. De Pretto,
Oriente assoluto. India, Cina e
«mondo
buddista»
nell’interpretazione di Hegel,
Milano-Udine,
2011.
In
relazione
poi
all’antico
Egitto e ai geroglifici, c’è
appena il bisogno di
ricordare l’attualità della
questione, sia per la recente
decifrazione (1822) di tale
scrittura, da parte di
Champollion, sia per le
polemiche seguitene, cfr. M.
Brown, Aperçu sur les
hiéroglyphes d’Egypte et les
progrès faits jusqu’à présent
dans
leur
déchiffrement,
traduzione
dall’inglese,
Paris, 1827; H. Hartleben,
Champollion, sein Leben und
sein Werk, Berlin, 1906,
passim; B. Bravo, Philologie,
Histoire,
Philosophie
de
l’histoire. Étude sur J.G.
Droysenhistoriendel’antiquité,
Wroclaw-Varsovie-Cracovie,
1968, pp. 191-205, per il
quale rinvio alla mia
recensione, in «Rivista di
filologia e di istruzione
classica», 98 (1970), pp. 483490.
[112]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§459A(trad.
it.cit.,pp.422-423).
[113] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 314
(trad.it.cit.,vol.II,p.59).
[114]GiàFriedrichSchlegel,
in Über die Sprache und
Weisheit
der
Indier,
Heidelberg, 1808, aveva
posto
l’accento
sulla
grammatica come forma
organica del linguaggio. In
seguito Franz Bopp, collega
di Hegel a Berlino, e Jacob
Grimm avevano fondato la
grammatica
storica
e
comparata (per Grimm si
vedaH.Jendreieck,Hegelund
Jacob Grimm, Berlin, 1975);
cfr. F. Bopp, Über das
Conjugationssystem,Frankfurt
a.M., 1816; Id., Vergleichende
Grammatik, Berlin, 1833; J.
Grimm, Deutsche Grammatik,
vol. I, Göttingen, 1819; S.
Lefman, Franz Bopp, sein
Leben und seine Wissenschaft,
in appendice a W. von
Humboldt, Briefwechsel mit
Bopp, Berlin, 1897. Ma fu
soprattutto Humboldt a
distingueretrala«forma»di
una lingua e il suo
«carattere». Sulla filosofia
del linguaggio del tempo, la
figura di Humboldt e la
discussione sulla natura
delle singole lingue, cfr. E.
Fiesel, Die Sprachphilosophie
der
deutschen
Romantik,
Tübingen, 1927; L. FontaineDe Visscher, La pensée du
language comme forme. La
«forme intérieure» du language
chez W. von Humboldt, in
«Revue philosophique de
Louvain», terza serie, LXVIII
(1970), pp. 449-472; Id., La
notion de ‘grammaire’ chez W.
von Humboldt, in «Revue
philosophique de Louvain»,
LXXV (1977), pp. 436-452; O.
Hansen-Love, La Révolution
copernicienne dans l’oeuvre de
Wilhelm von Humboldt, Paris,
1972; S. Timpanaro, Il
contrastofraifratelliSchlegele
Franz Bopp sulla struttura e la
genesidellelingueindoeuropee,
in «Critica storica», nuova
serie, X (1973), pp. 553-590
(che pone in luce anche il
rapporto tra grammatica
comparata
e
anatomia
comparata di Cuvier in
FriedrichSchlegel).
[115]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften,§459A(trad.
it.cit.,p.421).
[116] Cfr. ibid. e W. von
Humboldt, Über den Dualis,
Berlin, 1828, I, 10, 11 (ora in
Gesammelte Schriften, a cura
della Königlich-preussische
Akademie
der
Wissenschaften,Berlin,1903
ss.,vol.VI,pp.4-30).W.von
Humboldt polemizza qui
contro
coloro
che
disprezzavano le lingue dei
«selvaggi» in quanto legate
«alla stupidità dell’esistenza
naturale» e osserva, a
proposito
degli
Indiani
dell’America del Nord: «Le
assemblee che tengono le
nazioni dell’America del
Nord, i discorsi di certi loro
capi ci forniscono, se
dobbiamo
credere
ai
resocontidicuidisponiamo,
una
tutt’altra
idea.
Numerosi sono i passaggi di
questi
discorsi
che
testimoniano
di
una
eloquenzapossente,eanche
se è vero che questi popoli
intrattengono
strette
relazioniconicittadinidegli
Stati Uniti, le espressioni
che essi impiegano portano
il segno irrefutabile di una
originalitàcheèloropropria.
Seessirifiutanodicambiare
la libertà delle loro foreste e
delle loro montagne per il
lavoro dei campi e una
dimora fissa, conservano
però nella loro vita nomade
un’anima intrisa di verità e
di nobiltà […] Le lingue
parlatedauominichesanno
dare alla loro espressione
tanta chiarezza, tanta forza,
tanta vita, non possono
essere
indegne
dell’attenzione dei linguisti»
(W. von Humboldt, Über den
Dualis,
in
Gesammelte
Schriften, cit., vol. VI, p. 6
nota,
cfr.
Über
die
Verschiedenheiten
des
menschlichen
Sprachbaues,
ibid., p. 140). Il duale è un
esempio tipico di questa
estrema specificazione del
linguaggio. Esso si trova
quindi nell’antico dialetto
attico, nel groenlandese, nel
neozelandese ecc., mentre è
scomparso dalle moderne
lingueeuropee,osiconserva
al massimo in certi idiomi
dialettali di aree isolate,
come in Polonia o in
Bretagna, dimodoché in
Europa la grammatica più
ricca è in effetti quella delle
lingue morte o quella dei
dialetti
(cfr.
W.
von
Humboldt, Über den Dualis,
cit., pp. 11-15). Sul rapporto
Hegel-Humboldt, cfr. H.
Steinthal,
Die
Sprachwissenschaft W. von
Humboldts und die Hegelsche
Philosophie,Berlin,1848.
[117]
Sull’estrema
specificazione delle lingue
dei ‘primitivi’ hanno in
tempi più vicini a noi posto
l’accento (traendone vaste
implicazioniteoriche)Frazer
e Lévi-Strauss, cfr. J.G.
Frazer, The Golden Bough. A
Study in Magic and Religion,
London, 1922, trad. it. di L.
De Bosis, Il ramo d’oro,
Torino, 1965, vol. II, pp. 391
ss.;C.Lévi-Strauss,Lapensée
sauvage, Paris, 1962, trad. it.
di P. Caruso, Il pensiero
selvaggio, Milano, 1964, pp.
151-234.
[118] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 147
(trad. it. cit., vol. I, pp. 169170). In questa perdita di
rigiditàdellinguaggiosipuò
forsevedereilrisultatodella
grande mobilità della vita
sociale
ed
economica
europea dei «commerci» e
della divisione del lavoro,
che stimolano la rapidità e
la varietà delle associazioni,
cfr.GrundlinienderPhilosophie
desRechts,cit.,§197(trad.it.
cit.,
p.
176):
«Nella
molteplicità
della
destinazione degli oggetti
che interessano, si sviluppa
l’educazione teoretica, non
soltanto una molteplicità di
rappresentazioni
e
conoscenze, ma anche una
mobilità e rapidità del
rappresentare
e
del
trapassare
da
una
rappresentazione all’altra, il
comprendere le relazioni
intricate e universali etc., –
l’educazione dell’intelletto
in generale e, quindi, anche
del linguaggio». Sul lavoro
come
produttore
dell’educazione teoretica e
del linguaggio, cfr. J. Simon,
Das Problem der Sprache bei
Hegel,cit.,pp.92ss.
[119]Hegel,Enzyklopädieder
philosophischen
Wissenschaften, § 145 Z. È
curioso osservare che ci fu
anche una grammatica di
tipo hegeliano: G.L. Städler,
Wissenschaft der Grammatik,
Berlin,
1833
(cfr.
K.
Rosenkranz,
Psychologie,
Königsberg,18633,p.378).
[120] Hegel, Wissenschaft
derLogik,cit.,vol.I,p.9(trad.
it.cit.,vol.I,p.10).
[121] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 147
(trad.it.cit.,p.169).
[122] Hegel, Wissenschaft
der Logik, cit., vol. I, p. 10
(trad.it.cit.,vol.I,p.10).
[123]
Hegel,
Hamanns
Schriften, in Berliner Schriften,
cit.,pp.270ss.
[124] Hegel, Wissenschaft
der Logik, cit., vol. I, p. 10
(trad.it.cit.,vol.I,p.10).
[125] Ibid., p. 76 (trad. it.
cit.,p.80).La«dialettica»ela
«speculazione» trovano in
Hegel la loro giustificazione
proprio nei limiti del
linguaggio
(si
potrebbe
aggiungere:
più
specificamente nelle lingue
‘indo-europee’)
e
dei
correlativi giudizi in forma
di proposizione. Ciò spiega
sia perché la filosofia
hegeliana
appaia
particolarmente oscura, sia
perché Hegel venga spesso
costretto a contorsionismi
espressivi, peraltro non
sempre indispensabili. Che
egli non avesse grandi
abilità retoriche lo avevano
giànotatoisuoiprofessorial
SeminariodiTubinga,dacui
era definito orator haud
magnus (cfr. Rosenkranz,
Hegels Leben, trad. it. cit., p.
111). Più tardi, nelle lezioni
berlinesi,isuoiscolari,come
Heinrich Gustav Hotho,
hanno
testimoniato
le
oggettive difficoltà del loro
maestro nel formulare i
concetti:
«Spossato,
corrucciato,
sedeva
là
afflosciato a testa china, e
parlando
continuava
a
sfogliare e a cercare nelle
lunghe pagine di quaderno,
avantieindietro,suegiù;il
continuo tossire e schiarirsi
la voce intralciava il flusso
deldiscorso,ognifrasesene
stava isolata, e usciva con
sforzo, spezzata e gettata
alla
rinfusa
[…]
Un’eloquenza
scorrevole
presuppone la completa
padronanza interiore ed
esteriore del suo oggetto, e
la destrezza formale può
scivolare loquace con tutta
lagraziapossibileinciòche
è incompleto e banale. Ma
luidovevaestrarreipensieri
più potenti dai fondi più
remoti delle cose, e se
volevano
agire
come
pensieri vivi dovevano,
anche se già sviscerati ed
elaborati ogni volta e per
anni, prodursi di nuovo in
luistesso,inunsemprevivo
presente»
(H.G.
Hotho,
Vorstudien für Leben und
Kunst [1835], Stuttgart-Bad
Cannstatt,2002,trad.it.diG.
Zanotti, in appendice alla
trad. it. di Adorno, Drei
StudienzuHegel,cit.,p.182).
[126] Hegel, Wissenschaft
der Logik, cit., p. 76 (trad. it.
cit., vol. I, pp. 80-81). Sul
problemadelgiudizioedella
proposizione
speculativa,
cfr.J.Simon,DasProblemder
SprachebeiHegel,cit.,pp.191
ss. e H. Lenk, Kritik der
logischen
Konstanten.
Philosophische Begründungen
der
Urteilsformen
von
Idealismus bis zur Gegenwart,
Berlin, 1968, pp. 257 ss. Cfr.
anche S. Otto, Die Kritik der
historischenVernunftinnerhalb
der Denkfigur des hegelschen
«Vernunftschlusses»,
in
«Philosophisches Jahrbuch»,
LXXXI(1974),pp.30-49.
[127]
Th.W.
Adorno,
SkoteinosoderWiezulesensei,
inDreiStudienzuHegel(trad.
it.cit.,p.126).
[128] Per questo genere di
studi di logica diacronica,
che ha una spiccata
tradizione
culturale
in
Polonia,cfr.R.Suszko,Logika
formalna
a
niektore
zagadnienia teorii poznania
(Diachroniczna
logika
formalna),
in
«Mysl
Filozofiezna», nn. 2-3, 1957,
o S. Rogowski, Logika
Kierunkowa. A Hegelowska
Teza O Sprzecznosci Zmiany,
in
«Studia
scientiarum
Torunensis»(testicitatidaL.
Apostel,Logiqueetdialectique,
in AA.VV., Logique et
connaissance
scientifique,
volume pubblicato sotto la
direzione di Jean Piaget,
Paris, 1967, p. 371). Secondo
Rogowski, a quanto si può
ricostruire attraverso Leo
Apostel, esiste la possibilità
di tradurre la dialettica,
almeno in parte, secondo
una logica modale a quattro
valori, con simboli come
cioèpcominciaaesserevero
o cioè p cessa di essere
vero. Sulla dialettica come
«filiazionedistrutture»esul
rapporto struttura-genesi e
sulpensierodialettico,cfr.J.
Piaget, Les courants de
l’épistémologie contemporaine,
in AA.VV., Logique et
connaissance scientifique, cit.,
pp.1241ss.
[129]
Per
evitare
l’inadeguatezza del calcolo
proposizionaleapplicatoalla
dialetticahegeliana,Dubarle
ha costruito un complesso
edificio concettuale, una
sorta di algebra «iperbooleana», che ha il suo
«termine vuoto» (più altre
tre costanti) e tre operatori.
La dialettica viene così
espressa in termini di logica
matematica, cfr. D. Dubarle,
Logiqueformalisanteetlogique
hégélienne, in Hegel et la
pensée moderne, cit., pp. 114159,cfr.D.DubarleeA.Doz,
Logique et dialectique, Paris,
1971. Una delle ricerche più
singolari – sul piano della
formalizzazione
della
dialettica
hegeliana
–,
condotta attraverso l’Air
Force Office of Scientific
Research degli Stati Uniti, è
quella di G. Günther, Das
Problem einer Formalisierung
der
transzendentaldialektischen Logik, unter
besonderer Berücksichtigung
der Logik Hegels, in «HegelStudien», volume suppl. 1,
Heidelberger Hegel-Tage 1962,
Bonn, 1964, pp. 65-123,
zeppa di grafici e di
«morfogrammi». Per altri
tentativi di formalizzazione,
cfr.
M.
Kosok,
The
Formalization
of
Hegel’s
Dialectical Logic, ora in
AA.VV., Hegel. A Collection of
Critical Essays, a cura di A.
MacIntyre,GardenCity,N.Y.,
1972, pp. 237-287; R. Kaher,
Materialien zur Formalisierung
der dialektischen Logik, in
appendiceaG.Günther,Idee
und Grundriss einer nichtAristotelischen
Logik,
Hamburg, 19782, pp. 5-117.
Più in generale, si veda La
formalizzazionedelladialettica.
Hegel, Marx e la logica
contemporanea, a cura di D.
Marconi, Torino, 1980. Sui
tentativi di W. Harich, G.
Klaus e G. Günther di
formalizzare la dialettica,
cfr. anche R. SimonSchaefer, Dialektik. Kritik
eines
Wortgebrauchs,
Stuttgart-Bad
Cannstatt,
1973, pp. 136 ss. e R.
Schaefer, Die Dialektik und
ihre besonderen Formen in
Hegels Logik, in «HegelStudien», volume suppl. 45,
2001. Per una rinnovata
visione della dialettica, cfr.
F.Berto,Checos’èladialettica.
Un’interpretazione analitica del
metodo,cit.,e,soprattutto,P.
Masciarelli, Un’apologia della
dialettica,Bologna,2014.
[130]Diamoall’espressione
ilsensodiFoucault,dilimiti
istituzionali che ogni forma
di discorso umano assume
all’interno delle diverse
società, sebbene Foucault
sembrinegarealladialettica
hegeliana la funzione di
modificare
positivamente
l’«ordine del discorso», cfr.
M. Foucault, L’ordre du
discours (testo della lezione
inaugurale al Collège de
Francedel2dicembre1970),
trad. it. di A. Fontana,
L’ordine del discorso. I
meccanismisocialidicontrolloe
di esclusione della parola,
Torino, 1972, in particolare
suHegel,pp.54ss.
[131]Cfr.J.Simon,DasNeue
in
der
Geschichte,
in
«Philosophisches Jahrbuch»,
LXXIX(1972),pp.269-287.
[132] Cfr. J. Piaget, Les
formes élémentaires de la
dialectique,Paris,1981.Inuna
prospettivadiversadaquella
da me presentata, sul
rapportotraPiageteHegelsi
vedano: P. Dammerow,
Handlung und Erkenntnis in
der
genetischen
Erkenntnistheorie Piagets und
in der Hegelschen Logik, in
«Hegel-Jahrbuch», 1977/78,
pp. 136-160; J. Lawler,
Dialektische Philosophie und
Entwicklungspsychologie:Hegel
und Piaget über Widerspruch,
in Zur Ontologie dialektischer
Operationen, a cura di K.F.
Riegel, Frankfurt a.M., 1978,
pp. 7-29; Th. Kesselring,
Entwicklung und Widerspruch.
Ein Vergleich zwischen Piagets
genetischer
Entwicklungstheorie
und
Hegels Dialektik, Frankfurt
a.M.,
1981;
Id.,
Die
Produktivität der Antinomie,
Frankfurta.M.,1984.
[133] Cfr. Kant, Kritik der
reinen Vernunft, A 236; B 294
(trad. it. cit., vol. I, p. 243):
«Noi abbiamo fin qui non
solo percorso il territorio
dell’intelletto
puro
esaminandoneconcuraogni
parte; ma l’abbiamo anche
misurato, e abbiamo in esso
assegnato a ciascuna cosa il
suoposto.Maquestaterraè
un’isola, chiusa dalla stessa
natura
entro
confini
immutabili. È la terra della
verità (nome allettatore!)
circondata da un vasto
oceano tempestoso, impero
propriodell’apparenza,dove
nebbie grosse e ghiacci,
prossimi a liquefarsi, danno
a ogni istante l’illusione di
nuove
terre,
e,
incessantemente
ingannando
con
vane
speranze
il
navigante
errabondo in cerca di nuove
scoperte, lo traggono in
avventure, alle quali egli
non sa mai sottrarsi, e delle
quali non può mai venire a
capo. Ma, prima di affidarci
aquestomare,perindagarlo
in tutta la sua distesa, e
assicurarci se mai qualche
cosa vi sia da sperare, sarà
utile che prima diamo uno
sguardo alla carta della
regione,
che
vogliamo
abbandonare, e chiederci
anzitutto se non potessimo
in ogni caso star contenti a
ciò che essa contiene; o
anche, se non dovessimo
accontentarcene
per
necessità, nel caso che
altrove
non
ci
fosse
assolutamente un terreno,
sul quale poterci fabbricare
una casa; e in secondo
luogo, a quale titolo noi
possediamo questa stessa
regione, e come possiamo
assicurarla contro ogni
nemicapretesa».
[134]
Cfr.
R.
Bodei,
Scomposizioni.
Forme
dell’individuo
moderno,
Torino, 1987, pp. 61-73. Da
un diverso punto di vista, si
veda A. Arndt, Hegels Begriff
derDialektikimBlickaufKant,
in
«Hegel-Studien»,
38
(2003),pp.105-120.
[135]
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften,§1.
der
[136]Ibid.,§19Z1.
[137]Lafrase,utilizzataper
la prima volta da Zenone di
Cizio con allusione al suo
fortunato naufragio che lo
portò a conoscere il proprio
maestro
Cratete
(cfr.
Diogene Laerzio, Vite e
opinioni dei filosofi, VII, 4),
resa in latino da Erasmo,
Adagia (2,9,78: Bene navigavi
nunc, cum naufragium feci),
ripresadaSchopenhauernei
Parerga e paralipomeni, viene
ripetutamente citata da
Nietzsche e amata da
Jaspers.
Capitoloquinto
Movimento
logico,
sistemae
mutamento
storico
In
questo
ultimo
capitolo si indaga la
relazione
tra
movimento
logico,
sistema e mutamento
storico,
passaggio
centrale della filosofia
hegeliana. Il punto di
partenza è la 'Scienza
della logica', testo nel
quale Hegel poneva la
logica
come
una
materia metodica e
insegnabile come la
geometria – e per
poter fare questo la
filosofia
deve
esprimereilcontenuto
concreto del proprio
tempo al massimo
livellodiastrazione.La
logica è per Hegel la
dimensione astratta
della vita spirituale,
mostrando
l’innalzamento
dell’Idea fino al grado
da
cui
diventa
creatrice della natura
e passa alla forma di
una
immediatezza
concreta,
il
cui
concetto rompe da
capoquestaformaper
diventare a se stesso
quale spirito concreto.
Per tali ragioni la
logica, l’ordine, il
movimento
sistematicosonopunti
imprescindibili nella
filosofiahegeliana,che
ha lasciato comunque
alcuni problemi aperti
espostiquiinchiusura
dicapitolo.
[…]
soltantoil
metodo è
in grado
di
mettere
le redini
al
pensiero,
di
condurlo
alla cosa
e
di
mantenervelo.
Hegel,
Enciclopedia
delle
scienze
filosofiche[1].
1.Leduestrade
pergiungerealla
logica
Per attraversare il
desertodighiacciodelle
astrazioni della logica
hegeliana si possono
prendere due strade: o
partire dal concreto e
dalle singole scienze,
per
ritrovare
nelle
categorie il tessuto
connettivo
di
ogni
conoscenza,
immergersi
o
subito
«nella incolore e fredda
semplicità delle […]
determinazioni pure»[2].
Le due strade, pur
convergendo,
non
hanno
lo
stesso
significato: «Altro è la
logica per chi si accosta
perlaprimavoltaaessa
e in generale alle
scienze, e altro è la
logica per chi dalle
scienze ritorna a lei.
Colui che comincia a
imparar la grammatica
trova nelle sue forme e
leggi delle astrazioni
aride,
delle
regole
accidentali, in generale
una moltitudine isolata
di determinazioni, le
quali lascian soltanto
vedere il valore e il
senso di ciò che sta nel
loro
significato
immediato: il conoscere
non conosce dapprima
in quelle altro che loro
stesse. Se all’incontro
uno è padrone di una
lingua e insieme è in
grado di confrontarla
con altre, a lui soltanto
si può far sentire lo
spirito e la civiltà di un
popolo
nella
grammatica della sua
lingua; quelle stesse
regole e forme hanno
ormai un valore pieno,
vivente. Attraverso la
grammatica costui può
conoscere l’espressione
dellospiritoingenerale,
la logica. Così chi si
accosta alla scienza
trova dapprima nella
logica
un
sistema
isolato di astrazioni che
è limitato a se stesso e
non si estende sopra
altre
cognizioni
e
scienze»[3].
Si prospettano quindi
immediatamente due
modi di leggere la
Scienza della logica e di
connetterla
all’articolazione
sistematica. Dal punto
di vista didattico della
costruzione scientifica,
essaprecedeilconcreto,
dal punto di vista
genetico, lo segue. Allo
stesso modo gli uomini
hanno parlato secondo
regole grammaticali o
emettendo determinati
suoni prima che queste
regole
venissero
individuate o i suoni
caratterizzati secondo
lettere dell’alfabeto, ma
per imparare a scrivere
o
a
parlare
correttamente bisogna
iniziare dalla semplice
intelaiatura
del
concreto: «Accade come
quando si impara a
leggere, allorché non si
può cominciare ad un
tratto leggendo l’intera
parola, come hanno
preteso i super-acuti
pedagogisti[4], ma si
deve cominciare con
l’astrazione,
dalle
singole aste. Così nel
pensare, nella logica,
proprio ciò che è più
astratto è ciò che è più
ricco, in quanto è del
tutto semplice, puro e
non mescolato. Solo
gradualmente si può
procedere a esercizi di
pensiero sul sensibile e
sul concreto, quando
quei semplici suoni si
sono
adeguatamente
fissati
nelle
loro
differenze»[5].
Storicamente,
«il
bisogno di occuparsi di
puri
pensieri
presuppone un lungo
cammino, che lo spirito
umano
deve
aver
percorso.Èpercosìdire
il bisogno del già
soddisfatto bisogno di
necessità, il bisogno
nascente
dalla
mancanza
di
ogni
bisogno»[6].
Questa
situazione di libertà dai
bisogni si riproduce
nella
vita
di
un
individuo durante la
gioventù,
prima
di
affrontare «il serio della
vita», ed è allora che lo
studio della logica vale
come
«lavoro
preliminare»[7].
Nella
scuola,checostituisceil
luogo di «transizione
dalla
famiglia
alla
società
civile»[8],
il
«sistema dei bisogni» di
quest’ultima non è
ancora sorto, ma già si
fa valere la disciplina
dell’universale contro
l’immediatezzanaturale
dell’«amore»
della
famiglia: il giovane
infatti ha valore nella
misura in cui riesce a
impadronirsi
dell’astratto[9],acuisolo
inunsecondomomento
potrà
dare
il
riempimento
dell’effettualità. Per ora
«pensieri e concetti
devono
appresi
essere
come
ben
si
apprende che c’è un
singolare e un plurale,
tre persone, le diverse
parti del discorso»[10].
Fissati dall’abitudine e
dallamemoria,ricordati
e
interiorizzati
dall’Erinnerung,
assimilati nella Bildung
come una seconda
natura, essi forniranno
ai giovani la «rete
adamantina» entro cui
cogliere e inquadrare il
proprio
tempo;
un
tempo
in
cui
l’«aggrovigliata
situazione della vita
civile e politica […] non
concedeall’animo[…]di
liberarsi
verso
fini
superiori»[11], in cui
sorge persino il dubbio
(nella
distrazione
«cagionata
dalla
grandezza
e
dalla
molteplicità
degli
interessi dell’epoca» e
dal «rumoroso tumulto
dei nostri giorni») che
noncisiapiùspazioper
«la serena calma della
conoscenza
semplicemente
pensante»[12].
Questo
tipo di educazione, che
parte dal più astratto
per giungere al più
concreto,
acquisizioni
dalle
dello
«spirito» o del genere
umano per giungere
all’esperienza
individuale, è conforme
alle vigenti condizioni
storiche, al bisogno di
attenersi a «punti di
vista generali e di
regolarediconseguenza
il particolare, cosicché
forme universali, leggi,
doveri, diritti, massime
valgono come motivi
determinanti e sono ciò
che fondamentalmente
ci guida»[13]. Nell’età
moderna l’astratto si
trova già elaborato,
pronto
per
essere
consumato dal singolo,
eilcumuloattualedelle
conoscenze
non
potrebbe
essere
altrimenti fruito che a
partire dalle esperienze
già cristallizzate nella
culturaenellinguaggio:
«Il genere di studio
proprio dell’antichità si
differenziadaquellodei
tempi moderni, perché
era propriamente il
processo di formazione
della
coscienza
naturale.
Allora,
l’individuo,
esercitandosi
dettagliatamente
in
ciascunapartedellasua
esistenza e filosofando
su ogni accadimento, si
educòaunauniversalità
intimamente
concretata. Nei tempi
moderni
egli
trova
invece bella e preparata
la forma astratta […]
Ora, quindi, il compito
non consiste tanto nel
purificare
l’individuo
dal
modo
dell’immediata
sensibilità per renderlo
una sostanza pensata e
pensante,
quanto
piuttosto nell’opposto:
nell’attuare,
cioè,
l’universale
e
nell’infondergli spirito,
togliendo i pensieri
determinati
e
solidificati. È peraltro
assai
più
difficile
rendere fluidi i pensieri
solidificati, che render
fluida
l’esistenza
sensibile»[14].
Inizialmente, dunque,
la forma astratta già
preparata si presenta
all’apprendimentocome
qualcosa di estraneo o
di rigido, che deve
essere poi posto in
fluidità dall’esperienza
concreta e, al livello più
alto, dalla filosofia: «Già
albambinovieneofferta
la riflessione. Gli viene
ad esempio assegnato il
compito di connettere
aggettivi con sostantivi.
Qui ha da stare attento
e da distinguere; deve
ricordarsi una regola e
applicarla secondo il
caso particolare. Ma la
regola non è nient’altro
che un universale, e il
bambinodeverendereil
particolare conforme a
questo universale»[15].
Nella
difesa
del
«cominciamento»
astratto, e del carattere
isagogico della logica
per i giovani, c’è anche
unrisvoltopolemiconei
confrontidiFriesedelle
Burschenschaften,
dell’affermazione che i
giovani abbiano in se
stessi la verità: «Si è
dato a intendere alla
gioventù che essa sia
già in possesso del vero
(nella
religione
e
nell’etico), così come
esso realmente è. In
particolare si è detto
anche, sotto questo
aspetto, che tutti gli
adulti sono immersi,
sclerotizzati e ossificati
nella non-verità. Alla
gioventù
sarebbe
apparsa l’aurora, ma il
mondo dei più anziani
si
troverebbe
nel
pantano, nella palude
del quotidiano»[16]. In
effetti – dice Hegel,
proponendo
questa
disciplina
mediante
l’astratto –, bisogna
riporre in generale delle
speranze nella gioventù
solo
perché
non
rimanga «come è, ma si
assuma il duro lavoro
(saure
Arbeit)
dello
spirito»[17],ossiavadaal
di
là
del
sapere
immediato e produca il
«mondo
nuovo»,
passando
però
attraverso
la
comprensione
del
vecchio.
La Scienza della logica
va
vista
anche
all’interno della paideia
hegeliana,
senza
staccarla
dalla
Propedeutica che ne
costituisce la premessa
di insegnabilità[18]. «Io
sonounuomodiscuola,
che
deve
insegnar
filosofia, è forse anche
per questo che reputo
che la filosofia debba
diventare
una
costruzionemetodica,al
pari della geometria,
insegnabile
come
questa»[19].
Per
acquistaretalenaturala
filosofia deve esprimere
il contenuto concreto
del proprio tempo al
massimo
livello
di
astrazione (che è poi
non
soltanto
la
massima concretezza
del pensiero, ma il
miglior
punto
di
diffusione,
di
comunicabilità,
una
volta
depurato
dall’accidentalità delle
esperienze soggettive),
deve diventare perciò
«evidente, comunicabile e
capace di essere un
patrimonio comune»[20].
Hegel aveva difeso
questa
concezione
dell’astratto
contro
le
anche
autorità
scolastiche
della
Baviera, che, sotto il
pretesto di evitare lo
spirito opprimente dei
sistemi e di dare ai
giovani una conoscenza
più immediata della
realtà, imponevano le
esercitazioni pratiche
nell’insegnamento della
logica: «Nei chiarimenti
ufficiali del programma
dell’autunno 1810 è
indicato espressamente
di non insegnare un
tutto sistematico, ma di
assegnare
esercizi
pratici nel pensiero
speculativo. Ma questa
appunto mi sembra la
cosa più difficile di
tutte. Volgere in forma
speculativa un oggetto
concreto
o
una
situazione
reale,
prepararlo e sgrossarlo
in modo che possa
essere
compreso
speculativamente,
questa è certo la cosa
che deve venire da
ultima,
come
nell’insegnamento
musicale il giudicare un
pezzo secondo il basso
fondamentale.
Come
esercizio pratico nel
pensiero
speculativo,
non so intendere altro
che trattare i concetti
puri, reali, nella loro
forma speculativa, e
questaèlalogicastessa
nel suo nucleo più
intimo. Al pensare
speculativo, in quanto
articolazione
del
significato, può e deve
precedere il pensare
astratto, il concetto
intellettuale
astratto
nella
sua
determinatezza; ma la
serie dei medesimi è di
nuovo
un
tutto
sistematico»[21].
La logica è infatti la
dimensione
astratta
della vita spirituale, «la
semplice impalcatura
interna delle forme
dello spirito»[22]. Sotto
questo profilo, essa è
«scienza formale», che
non può contenere
ancora «quella realtà
che è il contenuto delle
altre successive parti
dellafilosofia,cioèdelle
scienze della natura e
dello spirito. Queste
scienze
concrete
riesconoaognimodoad
una forma più reale
dell’Idea, che non la
logica,mainparitempo
non quasi si volgessero
daccapo a quella realtà,
che
la
coscienza
elevatasi al di sopra
dellasuaapparenzafino
a farsi scienza ha
abbandonata, o quasi
nuovamente tornassero
all’uso di forme, come
son quelle categorie e
quelle determinazioni
della riflessione, la cui
finità e non verità si è
fattavederenellalogica.
Anzi la logica mostra
l’innalzamento dell’Idea
fino al grado da cui
diventa creatrice della
natura e passa alla
forma
di
una
immediatezza concreta,
il cui concetto però
rompe da capo questa
forma per divenire a se
stesso quale spirito
concreto. A fronte di
questescienzeconcrete,
che però hanno e
conservanoillogico(das
Logische)
ossia
il
concetto performatore
interno come l’avevano
per preformatore, la
logica stessa è a ogni
modo
la
scienza
formale, ma scienza
della forma assoluta, la
quale è in sé totalità e
contiene la pura idea
della verità stessa»[23].
Sono
oggetto
della
logica
solo
le
determinazioni pure del
pensiero, a prescindere
da ogni applicazione
particolareaduncampo
specifico[24]. Ma questo
non vuol dire che la
logica sia forma e
astrazione vuota, che
poi debba applicarsi
dall’esterno ai singoli
contenuti: essa è tale
solodidatticamente,nel
momento della sua
insegnabilità
sistematica,inquantole
singole
categorie
logiche, dopo essere
state
al
culmine
dell’attività
spirituale
delle singole epoche,
ridiventano
«cognizioni
«aste» o
[…]
da
ragazzi».
2.Laviabreve
Per chi giunge invece
alla logica dal cammino
dellaesperienzamatura
oppure
dopo
aver
percorso le singole
scienze, la logica è un
risultato,nonl’iniziodel
sistema, ma il suo
coronamento.Inquanto
punto d’approdo, essa è
filosofia o scienza della
logica, appartiene cioè
allaformapiùaltadello
spirito assoluto, del
ritornare
in
sé
dall’alienazione, e non
al punto di partenza,
allalogicacomescienza
«formale» che precede
didatticamente
nella
Enciclopedia il concreto
della natura e dello
spirito.Èevidentechela
logica in sé è sempre la
stessa,
ma
che,
mutandoilsuovaloredi
posizione nell’insieme,
muta anche il suo
senso,finoadassumere
significatiopposti.Sorge
così, ad esempio, il
problema, in genere
male impostato, del
«doppio
cominciamento»[25]
oppure
l’universale
effetto ottico di un
Logos
che
crea
demiurgicamente
il
mondo. Malgrado la
tradizionale
compattezza di questa
interpretazione
della
logica di Hegel, che ne
ratifica
l’«idealismo»,
essa si fonda sulla
parzialità del punto di
vista
(quello
della
costruzione didattica) e
sull’oblio del cammino
storico
e
fenomenologico
percorso. È già strano,
inoltre,checoluicheha
tanto sottolineato il
legame della filosofia
colpropriotempo,abbia
poi potuto capovolgere
leproprieposizionisino
a rovesciarle, senza
rendersene conto, ed è
veramente
ridicolo
attribuire
a
un
pensatore con tanto
senso della realtà delle
costruzioniteorichecosì
ingenue. Né si può
rimediare a queste
difficoltà
concettuali
con dei piccoli trucchi,
certo
empiricamente
utili ma insufficienti,
come quello di Litt, che
consiglia di leggere
l’Enciclopedia a rovescio,
cominciando
dalla
fine[26].Sidevepiuttosto
capire alla base questa
presunta incongruenza,
vedere le categorie
logiche come risultato
del processo storico,
come serie dialettica di
espressioni concettuali
delle diverse epoche
storiche,
incapsulate
nella
struttura
in
movimento dell’ultima
epoca
storica
considerata
dalla
filosofia,
e
tutte
convergenti
come
patrimonio
collettivo
attualmente fruito e
assimilato. Il pensare
puro
è
geneticamene,
infatti,
il
prodotto di un lungo
tirocinio che la ragione
umana ha compiuto sul
concreto del mondo
naturale e sociale. Tale
bene
comune
(Gemeingut) cumulativo
e
trasmissibile
si
presenta solo a prima
vista come immediato:
«Un difficile pezzo per
pianoforte può essere
facilmente
suonato
dopo che è stato
ripetuto parecchie volte
in singoli passaggi; ogni
singola nota si è
impressa
nella
coscienza e il tutto, che
può
apparire
immediato, è solo il
risultato
di
molte
mediazioni. Così è della
natura del pensiero;
questa identità con se
stesso, questa pura
trasparenza dell’attività
con sé, è in sé la
negazione del negativo
edèilrisultatochesifa
immediato, che appare
come immediato»[27]. È
da cercarsi qui la
spiegazione del perché
la Scienza della logica,
l’opera che contiene il
più di idealismo, sia
anche quella che ha in
sé
«il
più
materialismo» e
di
del
perché Lenin possa fare
questa constatazione:
«QuandoHegelsistudia
(e talora persino si
sforza e si spreme) di
ricondurre
l’attività
finalistica umana sotto
le categorie della logica,
dicendo
quest’attività
che
è
il
‘sillogismo’(Schluss),che
ilsoggetto(l’uomo)hala
funzione
di
un
“termine” nella “figura”
del “sillogismo”, ecc.,
questa non è soltanto una
forzatura, non è soltanto
un gioco. C’è qui un
contenuto molto profondo,
puramente materialistico.
Bisogna ribaltare la cosa:
la attività pratica umana
ha dovuto condurre la
coscienza dell’uomo a
ripeteremiliardidivoltele
diverse figure logiche,
affinché
tali
figure
potessero assumere il
significato di assiomi»[28].
In
parte,
questo
ribaltamento
della
«cosa» è già presente in
Hegel,ancheseeglinon
procede
dall’«attività
pratica
umana»
in
quanto tale, ma dalle
operazioni
della
coscienza,
mediate
tuttaviadallavoro.
Se la filosofia, quindi,
non
è
altro
che
«immediatezza
ripristinata»[29]; se «la
serie
dei
sistemi
filosofici
quale
si
presenta nella storia, è
uguale alla successione
che si presenta nella
deduzione logica delle
determinazioni
concettualidell’idea»[30],
allora si può affermare
che
la
logica
(«deduzione
delle
determinazioni
concettuali dell’idea») è
la
trascrizione
concettuale abbreviata
di tutta la ricchezza
delle singole epoche, lo
stenogramma teorico di
tutta la storia umana, e
che, di conseguenza, la
successione
delle
categorie,
che
si
presenta
come
autokynesis (o come
autarchia)[31], ha già
ricevuto il suo impulso,
il suo nisus dall’epoca,
poiché
il
suo
movimento è lo stesso
movimento storico al
livello del pensiero. Al
pari
delle
figure
fenomenologiche–ilcui
contenuto
«è
già
l’effettualità affievolita
nella
possibilità,
l’immediatezza
già
forzata, è la figurazione
già ridotta alla sua
abbreviazione
(Abbreviatur),
alla
semplice
determinazione
di
pensiero»[32] –, anche le
categorie, nel loro uso
«naturale»
e
non
riflesso, valgono come
«abbreviazioni»
nelle
quali
è
«riassunta
(epitomiert) una infinita
moltitudine
di
rappresentazioni,
di
attività, di stati o
condizioni etc.»[33]. Le
tappe percorse dal
pensiero umano con
lungo e faticoso sforzo
vengono così accorciate
e facilitate per poter
essere
rapidamente
fruibili dal singolo,
sebbene in tal modo
scompaia allo sguardo
quella tensione dello
spiritoche,asuotempo,
hatessutooevidenziato
ciascuno
dei
punti
nodali
della
«rete
adamantina». In quanto
abbreviazioni,
le
categoriehannorispetto
alla realtà lo stesso
rapporto che il danaro
ha rispetto alla totalità
dei bisogni; infatti,
anche il «danaro è
l’abbreviazione di tutti i
bisogni
esteriori»[34].
Tuttavia, nella Scienza
della logica, a Hegel non
interessa
tanto
il
momento
storicogenetico del sorgere
delle
categorie,
l’«itinerario»
dell’esperienza o della
storiadellafilosofia(che
viene qui presupposto),
quantoilloroarticolarsi
apparentemente
autonomo di «via che
costruisce se stessa»[35],
l’esperienza categoriale
che il pensiero di una
determinataepocafasu
se stesso e la propria
origine, ma al livello
delle «forme» in cui è
stata
colta
la
successione
delle
diverseepocheeinvista
dell’autocomprensione
del presente. A partire
dall’«essere»
parmenideo,
il
contenuto concreto di
ciascuna
epoca
è
considerato da Hegel
ormai
intimamente
inglobato
nella
categoria,
assimilato
nella sua inquietudine
dialettica che già fu
storica,
conservato
come sfondo soppresso,
alparideldx.L’effettodi
autarchia e di chiusura
delpensieroinsestesso
che la logica hegeliana
produce deriva dal fatto
che questa grammatica
delpropriotempoviene
vista
dimenticando
completamente il suo
rapporto con la serie
delle epoche colte nel
pensiero,
come
grammatica cui non
corrisponda
alcuna
linguastorica,unasorta
di
esperanto
bizzarramente
e
arbitrariamente
costruito[36].
Nella sfera logica – al
di
fuori
della
successione meramente
cronologica
e
dell’opposizione nella
coscienza di certezza e
verità – si assiste al
sistematico
dipanarsi
della «rete adamantina»
del presente, quale si è
venuta
intrecciando
attraverso
patrimonio
tutto
il
collettivo
del pensiero umano.
Non
è
che,
plotinianamente,
il
tempo sia «nientificato,
quando
l’anima
si
unisce
all’intellegibile»[37];
è
veropiuttostoche,nella
sua
trascrizione
concettuale, il tempo
viene
strutturato
mediante forme più
complesse che non
quella della semplice
serie lineare, viene
strutturato nientemeno
che dalla totalità delle
categorie (non solo
logiche)dellafilosofiadi
volta
in
volta
dominante,
dal
«sistema». Per Hegel il
tempo
cronologico,
nella sua forma seriale,
è
unicamente
la
modalità più povera di
unificazione
e
comprensione
del
molteplice storico. Ma
anche il sistema, nel
suo specifico terreno,
non
ha
affatto
cancellato quell’aspetto
‘diacronico’,
di
«filiazione di strutture»,
che
caratterizza
la
cadenza dialettica. Lo
ha
universalizzato
nell’Erinnerung
del
«sapere
assoluto»,
prima
di
lasciarlo
sviluppare nell’«etere»
delpensieropuro,come
carenza avvertita in
ogni singola categoria e
visveri.
3.Concatenazione
eautarchialogica
Impieghi
bene
il
tempo.
Corre via
così
presto!
Ma
a
guadagnarlo
le
sarà
d’aiuto
l’ordine.
Quindi,
amico
caro,
il
mio
consiglio
è,
anzitutto,
Collegium
Logicum.
La mente
sua sarà
là dentro
cosìbene
ammaestrata
e stretta
in calzari
spagnoli
che più
prudente
poi
percorrerà
la strada
del
pensiero.
Eadestra
e
a
manca
non
sfarfalli
come le
lucciole,
di qua e
dilà.
Quello
che tutti
subito
fanno
da sé, ad
esempio
bere
e
mangiare,
per vari
giorni le
insegneranno
che in tre
tempi si
devefare.
In realtà,
la
fabbrica
dei
pensieri
va come
va
un
telaio:
pigi
il
pedale,
mille fili
siagitano
le spole
volano di
qua e di
là,
i
fili
corrono
invisibili,
un colpo
lega mille
maglie.
A questo
punto
entra il
Filosofo
e
le
dimostra
che così
dev’essere.
Mefistofele,
in
Goethe,
FaustI,
vv.1908-
1929[38].
Il
pensiero
logico
permea costantemente
la
vita
quotidiana
dell’uomo, in maniera
altrettanto spontanea
(una volta acquisito e
ritornato
all’immediatezza), della
digestione o del respiro:
«Se,
ad
qualcuno,
esempio,
in
una
mattina
d’inverno,
appena sveglio, ode per
strada stridere le ruote
delle carrozze e da
questo è portato a fare
la considerazione che
potrebbe esserci stata
una bella gelata, egli
esegue una operazione
sillogistica, e questa
operazione
noi
la
ripetiamo
quotidianamente fra le
più
molteplici
complicazioni.Dovrebbe
quindi,
perlomeno,
essere di non poco
interesse
diventare
esplicitamente
consapevoli di questo
proprio fare quotidiano,
in quanto fare di un
uomo che pensa, allo
stesso modo che è di
riconosciuto interesse il
prendere
conoscenza
non solo delle funzioni
della
nostra
vita
organica
(quali
digestione,
la
la
formazione del sangue,
larespirazioneecc.),ma
anche degli eventi e dei
prodotti della natura
che ci circonda»[39]. In
quantoscienza,lalogica
non ha altro compito
che
evidenziare
e
ordinare in un tutto
sistematico le categorie
eiprocedimentidiquel
pensare che è presente
in tutti gli uomini:
«Depurare
pertanto
queste categorie, che
operano
soltanto
istintivamente
come
impulsi, e che son
dapprima portate nella
coscienza dello spirito
come isolate, epperò
come mutevoli e come
intralciantesi, mentre
procuran
così
allo
spirito una realtà a sua
volta
isolata
e
malsicura, depurarle, e
sollevar con ciò in esse
lo spirito alla libertà e
allaveritàquestoèilpiù
alto compito logico»[40].
Il concetto puro, così
enucleato, si manifesta
non come una morta
ossatura del sensibile,
bensìcome«lasemplice
pulsazione vitale tanto
degli oggetti stessi,
quantodelloropensiero
soggettivo»[41].
Esso
appare tuttavia alla
coscienza – con una
reminiscenza
schilleriana e con un
significativo
rovesciamento
del
platonico mito della
caverna[42]
–
sotto
l’aspetto di una pallida
ombra: «Il sistema della
logica è il regno delle
ombre. Il mondo delle
semplici
essenzialità,
libero
da
ogni
concrezione sensibile.
Lo studio di questa
scienza, la dimora e il
lavoro in questo regno
delle ombre è l’assoluta
educazione e disciplina
della coscienza»[43]. Il
soggiorno in questo
mondo diafano, in cui
diventa percettibile la
rete
«adamantina»,
altrimenti invisibile ai
sensi, richiede una
potente capacità di
astrazione e di rinuncia
ai
sensi
e
alle
rappresentazioni[44]. In
compenso, però, è qui
che si attinge la verità
formale del sensibile e
delrappresentativo,che
si conoscono – è il caso
di dirlo – quelle
eminenze grige che
governano la vita non
soltanto teoretica; ed è
qui, infine, che le
categorie,
lungi
dall’essere
immobili
essenze, si presentano
dotate di quell’energia
cinetica
che
è
l’espressione
del
movimento
già
compiuto dallo spirito e
del suo attuale tendere.
Che la scienza della
logica riproduca, con
sequenza rigorosa di
arricchimento
dell’astratto
del
pensiero, un processo
che in parte si è già
svolto,inpartecontinua
a svolgersi, è detto
nuovamente da Hegel:
«Quindi
la
scienza
logica, in quanto tratta
quelle determinazioni
che attraversano in
generaleilnostrospirito
istintivamente e senza
che
se
ne
abbia
coscienza,
mantenendosi
non
oggettive, inavvertite,
anchequandoentranoa
far parte del linguaggio,
è insieme anche la
ricostruzione di quelle
altre, che sono state
rilevatedallariflessione,
e da essa fissate quali
forme
soggettive,
esterne alla materia e
alla sostanza»[45]. La
logica–epiùingenerale
la filosofia, in quanto
«sistema
nello
sviluppo»[46]
–
si
impadronisce
infatti
dello«spiritonuovo,che
è sorto per la scienza
non meno che per la
realtà»[47]. Finora esso
non si è fatto sentire
molto nella logica, che
vien sempre ammirata
da lontano come un
edificio venerabile in sé
compiuto e bisognoso,
al massimo, di qualche
restauro. E di fronte
all’esigenza diffusa di
una logica radicalmente
nuova (ossia di un
nuovo reticolo formale
perilpropriotempo)siè
risposto
con
dei
surrogati di spiegazione
antropologica
o
psicologica (Fries e
Kant)[48].Ma,daunlato,
quando una «forma
sostanziale»
dello
spirito è mutata, è
«vano voler ritenere le
forme di una cultura
anteriore.Cotesteforme
sono
allora
foglie
flaccide, che vengono
spinte via dalle nuove
gemme già sorte al loro
piede»[49];
dall’altro,
l’impostazione
antropologica
e
psicologica riguarda il
concetto
nel
suo
«apparire» e non nella
sua
concatenazione
scientificamente
insegnabile.Alparidelle
«aste» nello scrivere o
del«puntoelalinea»in
geometria[50],
la
partenza della logica
dall’astratto ha due
ulteriori
motivazioni,
una storica e una
didattica:
storica,
perchélarealtàsirivela
nel
pensiero
progressivamente,inun
crescendo
di
concretezza concettuale
che
corrisponde
al
processo ‘a valanga’ di
accumulazione
dell’esperienza
collettiva
e
di
complicazionedellavita
sociale;
didattica,
perché la successione
delle categorie forza
nella coscienza del
singolo la via di minor
resistenza, non solo in
quanto essa è quella di
fatto già spianata, ma
anche in quanto le
«differenzesincrone»,in
cui
si
risolve
la
successione, sono «i lati
necessari di un unico
principio»[51], cioè, le
singole categorie, che
nella loro epoca erano
ciascuna
il
concretissimo
del
pensiero, sono di per sé
astratte
ed
hanno
concretezza solo nella
totalità
dell’orizzonte
strutturato dell’ultima
filosofia dominante. In
talmodoèillorostesso
nisus
che
le
fa
convergere nel punto
focale di quell’unico
principio
egemonico.
Nella
sequenza
teleologica
delle
categorie si scopre la
cospirazione
tramata
dall’istintodellaragione
(sulterreno«formale»)a
favore
dell’«unica»
filosofia egemone in
ciascun periodo. Questa
«comprendeinsestessa
tutti gli stadi, è il
prodotto
e
la
conclusione di tutte le
filosofie precedenti»[52].
In quanto tale, «la
filosofia più tarda, più
recente,piùgiovane,più
nuova, è anche la più
progredita,
ricca,
profonda. Essa deve
conservare e contenere
tuttoquellocheaprima
vista sembra passato, e
deve essere essa stessa
il riflesso di tutta la
storia. Il primordio è il
più astratto, appunto
perché è primordio e
non
ha
ancora
proceduto
innanzi;
l’ultima forma, che
nasce da questo moto
progressivointesocome
progressiva
determinazione,
è
anche la più concreta.
Questa, bisogna subito
rilevarlo, non è affatto
presunzione orgogliosa
della
filosofia
contemporanea: infatti
lo spirito di tutta la
presente
esposizione
consistenelconsiderare
la
più
progredita
filosofia d’un periodo
posteriore
come
risultato, in sostanza,
del precedente lavoro
dello spirito pensante;
sicché essa, stimolata e
sospinta da queste
vedute anteriori, non è
spuntata
come
un
fungo,dalnulla»[53].Una
filosofia non è però più
progredita
per
il
semplice fatto di venire
dopo,masoloinquanto
riesca a impossessarsi
dei princìpi di tutte le
filosofie precedenti, a
essere «il riflesso di
tutta la storia» e non
dell’immediato
presente; e il presente
(la
Gegenwart)
che
l’ultima filosofia riflette
non è unicamente la
propria epoca racchiusa
entro precisi confini
cronologici, ma il fronte
del presente, che è alla
testa di tutto il passato
inquadrato secondo le
sue direttive ed è in
marciaversoilfuturo,è
la «falange corazzata»
della
lettera
a
Niethammer.
Un
sistema filosofico non
dipende per Hegel da
«un principio limitato e
diverso da altri: è, per
contrario, principio di
vera filosofia contenere
in sé tutti i princìpi
particolari»[54]. L’unica
filosofia egemone in
ciascun periodo è lo
sforzo
immane
di
fondare
l’autocomprensione
del
proprio
tempo
sul
terreno
dall’intero
ereditato
processo
storico. Che il progetto
hegeliano di inserire
coscientemente
nella
propria filosofia tutto il
patrimonio
collettivo
della storia umana sia
riuscito o no, resta pur
sempre
l’audacia
dell’impresa
e
fecondità della
la
sua
direzione, nonché la
significativaotticadiun
pensatore e di un’epoca
che si sentono eredi
diretti, malgrado ogni
discontinuità
rivoluzionaria,
dell’intero passato. La
Rivoluzione francese e
Napoleone,
la
Restaurazione
e
la
Rivoluzione di luglio
avevano
generato
l’esperienza storica del
riassorbimento
delle
lacerazioni
e
della
rottura degli equilibri,
trasformato
in
avvenimenti sofferti lo
schema
sottostante
della
continuità
attraverso
la
discontinuità e il salto
qualitativo.
E
la
polemica
hegeliana
contro
il
«cattivo
infinito» è, da questo
punto di vista, rivolta
contro
la
paralisi
nell’avviare a soluzione
i problemi del proprio
tempo, con una fuga in
avanti
o
con
la
dispersione nei dettagli
marginali. Solo nel
previo riconoscimento
chelasoluzionesitrova
già
dentro
le
contraddizioni
della
realtà effettuale e che
gli equilibri vigenti non
sono eterni, solo nel
rendersi conto che il
processo di formazione
del mondo storico è un
travaglio millenario, è
possibile per Hegel non
cadere in una passiva
disperazione o in una
velleitaria utopia. Ma si
può
anche
fuggire
all’indietro – e non
unicamente
nei
vagheggiamenti
romantici del Medioevo
o negli ideali da ancien
régime
della
Restaurazione –, bensì
ritornando
dalle
contraddizioni, poste in
luce
efficacemente
dall’intelletto,
alla
certezza
sensibile.
Questo
è
l’atteggiamento
più
generale al livello della
coscienzacomune,della
religione e anche delle
scienze, e ciò spiega
l’asprezza della lotta
hegeliana:
l’intelletto
individua il «necessario
contrasto» delle proprie
determinazioni,manon
compie «il gran passo
negativo» di risolvere
dialetticamente
le
contraddizioni; infatti,
la riflessione «non si
accorge
che
la
contraddizione
è
appunto il sollevarsi
della ragione sopra le
limitazioni
dell’intelletto,
e
il
risolver queste. Invece
di muover di qui
l’ultimopassoinalto,la
conoscenza
insoddisfacenti
delle
determinazioni
intellettuali è fuggita
indietro
all’esistenza
sensibile, persuasa di
possedere in questa la
stabilità
e
la
concordia»[55].
Si
può
ormai
constatare
certezza
come la
sensibile
moderna sia meno che
mai ingenua, come sia
piuttosto una certezza
sensibile di ritorno, che
nasconde
nell’immediatezza
le
contraddizioni irrisolte
dell’intelletto, una falsa
coscienza che reifica le
contraddizioni irrisolte
nel concreto sensibile.
Ecco perché il «qui» e
«l’ora» contengono già
l’universale: essi sono
una incertezza che si
spaccia per certezza
sensibile, ma che si
fonda in realtà sulla
retroazione
dell’astratto, e si serve
del
sensibile
come
àncora per fissare le
determinazioni
dell’intelletto nella loro
rigidità.
Da
tale
prospettiva, l’indugiare
sulsensibileosuciòche
si ritiene il sensibile è
per Hegel uno dei più
diffusi
segni
di
inadeguatezza
nei
confronti dello spirito
dei tempi, di quella
fluidità continua e di
quel ritmo fatto di
scissioni,
provvisoria
revoca di esse, nuove
scissioni a più alto
esponente e così via.
Certo,
«l’interesse
dell’umanità di questo
tempo» è che l’uomo
vuole
«soddisfazione
per sé»[56], ed è più
facile
credere
di
«possedere la stabilità e
laconcordia»poggiando
sul substrato sensibile
che non dimorando nel
«regno delle ombre» in
cuiilpensierosimuove.
Ma tale dimora non è
tuttavia per Hegel un al
dilà,unafuga,bensìun
passaggio
necessario
tanto dell’educazione,
quanto dell’esperienza,
sia
quella
della
coscienza comune che
quella delle scienze:
«Così la logica deve a
ogni modo impararsi
sulle
prime
come
qualcosa
che
certamente s’intende e
si penetra, ma di cui
peròdaprincipiononsi
sa vedere l’estensione,
la
profondità
e
l’ulteriore importanza.
Soloinseguitoaunapiù
profonda
conoscenza
delle
altre
scienze
l’elemento logico si
eleva per lo spirito
soggettivo fino a valere
non già semplicemente
come un universale
astratto,
ma
l’universale
come
che
abbraccia in sé la
ricchezza
del
particolare. In egual
maniera una stessa
sentenza morale non
ha, nella bocca del
giovinetto, che pur
l’intendeperfettamente,
quel significato e quella
portata che ha nello
spirito di un uomo
ormaiespertodellavita,
per il quale, pertanto,
esprime l’intiera forza
della
sostanza
contenutavi.
Così
l’elemento logico non
ottiene
la
giusta
estimazione del suo
valore,senoninquanto
sia divenuto il resultato
dell’esperienza
delle
scienze.Essosipresenta
allora allo spirito come
laveritàuniversale,non
come una conoscenza
particolare accanto ad
altra materia e ad altre
realtà,
ma
come
l’essenzadituttoquesto
rimanente
contenuto»[57]. Subìta la
disciplina logica, il suo
agire
ritorna
sotterraneo;
le
categorie, una volta
interiorizzate (erinnerte),
divengono nuovamente
potere
inconscio,
dimodoché nella logica
il più di coscienza si
ribalta nel più di
inconscio;
talpa
e
civetta scambiano i loro
ruoli: «Ma soprattutto il
pensiero arriva con ciò
[conladimoranelregno
delle
ombre]
a
sussistere per sé e a
essere
indipendente.
Esso si familiarizza
coll’astratto
e
coll’avanzare attraverso
a
concetti
senza
substrato
sensibile,
diventa
il
potere
inconscio di accoglier
nella forma razionale la
rimanente molteplicità
delle cognizioni e delle
scienze, di afferrarle e
tenerle ferme in ciò che
hanno di essenziale, di
spogliarle
dell’estrinseco, e di
estrarneinquestaguisa
l’elemento logico, – o,
ch’è lo stesso, il
pensierodiventaconciò
il potere inconscio di
riempire colla sostanza
d’ogni
verità
quell’astratta
base
logicagiàacquistataper
mezzo dello studio, e di
dare all’elemento logico
il
valore
di
un
universale, che non sta
più come un particolare
accanto a un altro
particolare,
ma
si
impone sopra a tutto
questo ed è la sua
essenza,
l’assolutovero»[58].
Rispetto alle altre
forme dello spirito, le
categorie logiche hanno
una
vischiosità
maggiore
e
permanenza, formano
un reticolo di più lunga
durata, proprio perché
coinvolgono
l’intera
comprensione
della
realtà.Ilfattostessoche
da Aristotele in poi la
logica non abbia fatto
unpassoavanti(giacché
i mutamenti consistono
«quasi per intiero in
semplici
omissioni»),
implica per Hegel non
solo la lentezza con cui
si
producono
le
variazioni su questo
terreno, ma anche il
bisogno, ormai maturo,
di un suo «totale
rifacimento». In effetti,
«un continuo lavoro di
duemil’anni deve aver
procurato allo spirito
una più alta coscienza
intorno al suo pensare,
e intorno alla sua pura
essenzialità
in
se
stessa»[59]. Le nuove
categorienonsonostate
tuttavia
finora
compenetrate
e
sistemate, e inoltre,
durante
tutto
il
Medioevo,perquantola
coscienza
si
sia
sviluppata
e
abbia
prodotto delle «figure»,
non
c’è
stata
l’acquisizione di alcuna
nuova categoria logica.
Dopo la caduta del
mondo antico, gli arabi,
diversamente
dai
barbari insediatisi in
Europa, «con la stessa
rapiditàconcuigrazieal
loro
fanatismo
si
estesero sul mondo
orientale e occidentale,
percorsero anche i vari
stadi della civiltà, e in
breve
tempo
si
procuraronounacultura
moltosuperioreaquella
dell’Occidente»[60]. Essi
peròseguironolastessa
direzionechelafilosofia
e le scienze avevano
seguito anteriormente
tra i Greci e non fecero
quindi progredire la
filosofia[61]. Neppure gli
Scolastici in Occidente
fecero progredire la
filosofia,
ma
nell’esercizio
del
pensiero,
analogo
all’esercizio delle armi
nei
tornei
cavallereschi[62],
essi
imposero alla coscienza
la dura disciplina del
regno delle ombre, e fu
proprio
la
lunga
incubazione
nella
«notte»delMedioevo,in
luogo
della
rapida
assimilazione da parte
degli arabi, che estrasse
il nuovo pensiero a
partiredallabarbarie.Lo
«sprofondarsi in sé»
dell’Occidente nel sole
interiore,
il
suo
sottosviluppo, di contro
all’«espansione» della
civiltà islamica[63], fu la
premessa
di
uno
sviluppo accelerato. Ma
il «giogo» inizialmente
imposto alla rozzezza
barbarica fu tremendo,
anche se aveva come
scopo
«l’infinita
elasticità»
e
come
premio «la libertà dello
spirito»[64]. La nuova
verità, l’assoluto, si
rivelò
in
maniera
concreta e immediata
già nella figura del
Cristo,
in
cui
l’abbandono
della
naturalità assunse la
forma
tragica
e
individuale
della
morte[65].
Perciò
la
filosofia cristiana fu, fin
dalleorigini,«untorbido
agitarsi nelle profondità
dell’idea,
nelle
configurazioni di essa,
che ne costituiscono i
momenti, un aspro
combattimento
della
ragione, che non riesce
a farsi strada dalla
fantasia
e
dalla
rappresentazione
concetto»[66].
al
Nel
Medioevo
la
verità
infinita, sotto forma di
spirito e sotto la
parvenza dell’alterità,
venne affidata «a un
popolo di barbari, che
non posseggono la
coscienza della loro
umanità spirituale, che
hanno
bensì
petto
umano, ma non ancora
spirito umano. La verità
assoluta ancora non si
realizza, non diventa
ancora presente nella
coscienza reale, ché
anzi gli uomini sono
strappati fuori di se
stessi. Per gli uomini,
questo contenuto dello
spirito si trova ancora
deposto in loro come in
un vaso estraneo, pieno
dei più intensi stimoli
della vita fisica e
spirituale,macomeuna
pietra pesantissima, di
cui possono soltanto
sentire
l’enorme
pressione, ma ch’essi
non digeriscono e non
ancora
assimilano
coll’istinto»[67]. Tuttavia,
proprio perché spiritus
durissima coquit, anche
questo masso viene
dapprima sbriciolato e
poi
assimilato.
Il
compitodellaScolastica
è stato, appunto, quello
di
trasformare
la
rozzezza del sensibile e
della fantasia nella
forma
dell’intelletto.
Parallelamente,
la
grande
rivoluzione
apportata
dal
cristianesimo in questo
periodoèstataquelladi
diffondere l’intellegibile
fralemasse,tradurrela
filosofia nel linguaggio
dellacoscienzacomune,
ampliando
così
il
numero degli individui
consapevoli e ponendo
le premesse di una
svolta qualitativa della
storia europea: «in virtù
della nuova religione il
mondo
intellegibile
della
filosofia
è
diventato mondo della
coscienza
comune;
perciòilGellertafferma:
– “Oggi i bambini sanno
di
Dio
ciò
che
nell’antichità seppero
soltanti
i
maggiori
sapienti”. Ma perché
tutti possano sapere la
verità, è necessario che
quest’ideapervengaloro
come un oggetto, non
per
la
coscienza
pensante e coltivata
filosoficamente, ma per
la coscienza sensibile,
ancora ferma ad un
modo
rozzo
di
rappresentarsi le cose
[…] Nel Cristianesimo
questoessereinséeper
sé
del
mondo
intellettuale,
dello
spirito, è diventato
coscienzagenerale»[68].
Per
combattere
la
rozzezza
della
rappresentazione,
gli
Scolastici
procedono,
per così dire, ad una
sorta di iconoclastia del
sensibile
e
dell’esperienza,
fondando un «regno del
pensiero»
che,
evangelicamente, non è
ancora un regno di
questomondo,manella
sua aridità si oppone a
esso; o meglio, proprio
la sua separazione dal
mondo sensibile è la
cifra di questa scissione
esistente. La Scolastica
ha nel Medioevo la
stessa
funzione
di
ginnastica mentale che
in precedenza aveva
svolto
la
Sofistica:
«Come i Sofisti greci si
erano
aggirati
in
concetti
astratti
a
serviziodellarealtà,così
fecero gli Scolastici al
servizio del loro mondo
intellegibile»[69].
Essi
astraggono
completamente
infatti
dall’esperienza
nel
forgiare
i
propri
concetti,
perché
disprezzano la realtà e
non provano alcun
interesse per essa, e
fanno camminare il
pensierosenzal’apporto
di ciò che è esterno[70].
In un periodo in cui la
Chiesa si garantisce
«dagli
attacchi
dei
potenti
coi
terrori
dell’inferno»[71], anche
la
filosofia,
per
difendersi dalla cattiva
realtà dell’esistente, si
arrocca nella cittadella
dell’intelletto
e
costituisce lo scenario
superiore
e
complementare
del
mondo degli inferi.
Dopo un lungo periodo
di diffidenza, anche la
filosofia è ammessa
nellacivitasDeietendea
identificarsi con questa
realtà soprannaturale. Il
cristianesimo era sorto,
infatti, dal sentimento
giudaico della propria
«nullità», e contro tale
«miseria»
aveva
innalzato «il mondo
intiero […] in questo
elemento del nulla […]
ma appunto però in
base a questo principio
s’innalzò nel regno del
pensiero,inquantoquel
nulla si cangiò in una
conciliazione positiva. È
stata
questa
una
seconda creazione del
mondo, seguita alla
prima»[72].Diunasimile
seconda creazione del
mondo, cominciata con
latragediadellacroce,il
pensiero è il segreto
artefice.Solochelarosa
della conciliazione non
è ancora fiorita e se ne
ha un vago sentore
unicamente nel suono
delle campane o nella
debolelucedeiceri,che
sostituisce
il
sole
esteriore e illumina la
«notte» di quest’epoca:
«Ciò che la coscienza di
séavevadasuperareera
da un lato questa
immediatezza sensibile
del
suo
mondo
intellegibile, d’altro lato
l’opposta immediatezza
sensibile della realtà,
cheperlasuacoscienza
vale come nulla. Essa
esclude il sole, lo
sostituisce con candele,
si
adorna
soltanto
d’immagini;
la
conciliazione
è
avvenuta soltanto in sé,
nell’interno, non per la
coscienza:
per
l’autocoscienza non c’è
che
un
mondo
peccaminoso, malvagio.
Giacché
il
mondo
intellegibile
della
filosofia non aveva
appunto ancora in sé
finito di farsi anche
mondo
reale,
di
conoscere nel
l’intellegibile,
reale
nell’intellegibile
il
reale»[73].
Nella
Fenomenologia, laddove
la coscienza sperimenta
la
conciliazione
interiore come pensiero
devoto, «il suo pensare,
come devozione, resta
un vago brusio di
campane o una calda
nebulosità, un pensare
musicalechenonarriva
alconcetto,chesarebbe
l’unica e immanente
guisaoggettiva»[74].
C’è voluto del tempo
prima che il mondo
intellegibileassorbisseil
mondo reale, prima che
l’ideasiinnestassenella
realtà, giungendo infine
– con la Rivoluzione
francese,chehapostoil
pensiero «sul trono», e
con
energica
determinazione lo ha
concretamente
applicato–agovernarla.
La conciliazione ha
dovuto abbandonare la
sua calda intimità, la
luce delle sue candele,
per diventare «aurora»
rivoluzionaria
dell’esistente. Essa ha
tolto,
nell’endiadi
ragione-effettualità, le
astrazioni unilaterali di
uncattivoesistenteedi
un
pensiero
ultraterreno, ed ha
trasformato il salto
utopico in un regno che
non è di questa terra,
nel
continuo
trascendere i limiti di
questa terra stessa. Ha
eliminato la duplice
immagine di un mondo
superno fatto solo di
luce, di verità e di
amore e di un mondo
terreno fatto di tenebre,
dierroreediodio:«Cisi
potrebbe
bene
immaginare
una
comunione universale
dell’amore,unmondodi
piiedisanti,unmondo
di
fratellanza,
di
agnellini e di frivolezze
spirituali,
una
repubblica divina, un
cielosullaterra.Macosì
non vanno le cose del
mondo: perciò quelle
fantasiesiindirizzanoal
cielo, cioè altrove, cioè
alla morte. Ogni realtà
viventeesigeinveceben
altri
sentimenti,
istituzioni e azioni. Al
primo apparire è stato
detto “il mio regno non
èdiquestomondo”:ma
la realizzazione doveva
enonpotevanonessere
nel mondo. In altri
termini, le
costumi,
leggi,
i
gli
ordinamenti politici, e
in generale tutto quello
che appartiene alla
realtà della coscienza
spirituale,
debbono
diventare razionali»[75].
La verità ormai non è
più – come nella
tradizione del pensiero
antico medievale – phos
noetos
o
lux
intellegibilis[76],
ma
differenza e contrasto,
dialettica di un mondo
che ha in se stesso, e
non al di fuori, il
negativoeilpositivo:«è
facile accorgersi che
nell’assoluta chiarezza
noncisivedenépiùné
meno che nell’assoluta
oscurità,echecosìl’uno
comel’altrovederesono
un puro vedere, un
vedernulla.Lapuraluce
e la pura oscurità son
due vuoti, che son lo
stesso. Solo nella luce
determinata–elaluceè
determinata
nell’oscurità –, quindi
solo
nella
luce
intorbidata,
si
può
distinguer
qualcosa.
Parimenti qualcosa si
distingue
solo
nell’oscurità
determinata
–
e
l’oscurità è determinata
dalla luce –, quindi solo
nell’oscurità
rischiarata»[77].
Il mondo moderno, di
fronte
a
quello
medievale, è contrasto
che si supera dentro la
realtà effettuale stessa,
è la contraddizione
accompagnata da una
redenzione immanente.
Il mondo intellegibile,
discendendo dal suo
isolamento, procede qui
veramente
a
una
seconda creazione e
rifondazione
dell’esistente,
progettata dal pensiero.
La sua marcia è più o
meno
violenta,
a
seconda delle diverse
nazioni, più o meno
percepibile,
ma
è
costante e inarrestabile.
Appunto
perché
il
pensiero
sta
già
dettando legge dal suo
«trono» invisibile, lo
studio
logica
della nuova
assume
un
diverso valore, e la
pedagogia
a
essa
collegatanonèsemplice
iniziazione a un mondo
qualsiasi,
statico
e
uniforme,
ma
introduzione a questo
mondo
particolare
dominato
dall’universale
esistente.
Il
nuovo
principio egemone del
mondomoderno–come
si è ricordato in
precedenza–sipresenta
anch’esso, al pari di
ogni nuovo elemento,
caratterizzato da una
faziosa inimicizia nei
confronti del vecchio
mondo: «Nel suo primo
apparire,
la
nuova
creazione
suole
abbandonarsi a una
ostilità fanatica contro
la
larga
sistematizzazione del
principio
precedente.
Essa suole anche in
parte aver paura di
perdersi nell’estensione
del particolare, in parte,
poi,
rifuggire
dal
faticoso
lavoro
necessario
al
perfezionamento della
costruzione scientifica,
onde in mancanza di
quello si attacca per lo
più dapprima ad un
vuoto formalismo»[78].
Tale ostilità fanatica si
presenta nella storia
ogniqualvolta
il
principio nuovo, ancora
astratto,
vuole
affermarsi nella sua
immediatezza e unicità
contro tutte le restanti
determinazioni
concrete. Per imporsi
devealloraricorrerealla
violenza. Così avviene
durante la caccia alle
streghe,
quando
il
sorgere della «coscienza
della
soggettività
dell’uomo»,
dell’interiorità delle sue
decisioni, porta con sé
«questa fede nel male,
come forza immensa
della mondanità»[79]. E
così
avviene
nell’islamismo, il cui
principio era «la religion
etlaterreur,comepresso
Robespierreeralaliberté
et la terreur»[80]. Così
avviene, appunto, con il
Terrore
della
Rivoluzione
francese,
quando l’immediatezza
dell’universale,
della
«volontà generale» del
citoyen, vuole cancellare
subito la particolarità
esistente degli individui
in una società tuttora
atomizzata. In ciascuno
di questi casi – che
hanno in comune solo
l’impatto che il nuovo
subisce a contatto del
vecchio e la spietata
difesa che esso fa di se
stesso,
il
suo
ineliminabile aspetto di
negatività – al terrore si
accompagna il sospetto,
e la pena è sempre la
negazione astratta, la
morte. Vi ricorrono i
califfi arabi per imporre
la fedeltà e vi ricorrono
cattolici e protestanti
contro le streghe fino al
1780,quandol’ultimafu
bruciata a Glarus in
Svizzera.
Queste
«povere
donne,
chiamate
streghe,
dovevano limitarsi alla
soddisfazione di piccole
vendette
contro
le
vicine,guastandoillatte
alla vacca o facendo
ammalare
il
bambino»[81]. La caccia
alle streghe fu «come
unaimmensapeste,che
imperversò fra i popoli,
soprattutto
nel
Cinquecento.
Sua
ragione principale fu la
sospettosità. Con lo
stesso
spaventoso
carattere
questo
principio del sospetto si
manifesta nel dominio
imperiale a Roma e
sotto il terrore di
Robespierre,
quando
veniva punita anche
l’intenzione
come
tale»[82].
Una volta passato il
primo
necessario
«periodo
fermentazione»[83],
di
l’impulso rivoluzionario
si cristallizza e muore
oppure la sua tensione
si abbassa e si intreccia
con
una
tensione
opposta che ne riduce
l’aggressività e ne muta
la natura o, ancora, la
rivoluzionesicodificae,
abbandonata
l’immediatezza
devastatrice, si articola
in
istituzioni,
procedendoadunritmo
piùlentomapiùsicuro.
Abbiamo quindi tre
sbocchi esemplari di un
principio nuovo, con la
progressiva riduzione
delladuratadivirulenza
e di riflusso: l’Islam, la
religionecristianainetà
moderna,laRivoluzione
francese.
Nell’Islam,
dopo
la
rapida
assimilazione
della
cultura superiore, si
assiste ad un lento
declino, intervallato da
«ondate» via via più
deboli
di
vitalità:
«Raffreddatosi
il
fanatismo,
nessun
principio
etico
era
rimasto negli animi.
L’Oriente precipitò nella
più grande dissolutezza
[…]
Presentemente
l’Islam, ricacciato verso
l’Asia e l’Africa, e
tollerato in un angolo
d’Europa solo dalla
reciproca gelosia delle
potenze cristiane, è già
da
lungo
tempo
scomparso dal piano
della storia del mondo,
e ricaduto nell’inerzia e
tranquillità
orientale»[84].
Nella
religione
cristiana,
invece, il fanatismo, la
superstizioneelacaccia
allestreghesiscontrano
col pensiero, e nella
lotta fra il pensiero e la
superstizione, quale è
descritta
nella
Fenomenologia,
religione,
e
la
in
particolare
quella
protestante, è costretta
a mediare la sua
immediatezza,adivenir
cosciente
della
razionalità e a fare i
conti con essa (per
quanto l’ostilità latente
trafedeesaperenonsia
ancora finita, né possa
in
assoluto
finire).
L’impulso
rivoluzionario,
attenuato
nel
suo
principio
terroristico
interno allo Stato, si
conserva invece nella
Francia napoleonica: il
Code Napoléon ha infatti
riconosciuto in parte le
conquiste
della
Rivoluzione,
ma
contemporaneamente,
sul piano del diritto
privato, ha riconosciuto
anche
quella
particolarità soggettiva
che il Terrore voleva
assorbire
immediatamente nella
volontà generale. Dopo
la Rivoluzione, infatti,
già con il Direttorio, si
era affacciata l’esigenza
di un ritorno ad una
situazione
più
‘normale’:«sicostituisce
di
nuovo
l’organizzazione delle
masse spirituali, nelle
qualivienedistribuitala
folla delle coscienze
individuali. Queste, che
hanno provato la paura
del
loro
signore
assoluto, la morte, si
rassegnano di nuovo
alla negazione e alle
differenze, si ordinano
sotto le masse e
ritornano a un’opera
frazionata e limitata;
ma, con ciò, anche alla
loro
effettualità
sostanziale»[85].
Il
Terrore
viene
ora
interiorizzato
in
dominio della morte in
guerra
e
trasferito
all’esterno,neicampidi
battaglia dell’Egitto e
dell’Europa.
Ma
la
guerra ha il suo limite
nella proprietà, così
come questa ha il suo
correttivo nella guerra,
nella
necessaria
insicurezza
del
possesso, onde evitare
che la vita privata, il
particolare, prenda il
sopravvento sulla vita
pubblica, l’universale.
Riconoscimento
della
particolarità sotto il
controllo
dell’universale,
diffidenza nei confronti
dell’universalità vuota e
astratta (che rievoca
fantasmi
giacobini),
assenza
di
ogni
«tenerezza» per le cose
e per gli uomini: questi
sono i punti di contatto
oggettivi,
filtrati
attraverso l’esperienza
globale dell’epoca, fra
Napoleone e Hegel.
Anche Hegel, a modo
suo,havolutocodificare
nel sistema il nuovo
principio
dispiegato,
«sorto per la scienza
non meno che per la
realtà»;
ha
voluto
enucleare
dalla
«ghianda» del nuovo
mondo
il
concettuale
codice
che
comincia già a imporsi
non solo nella realtà,
ma anche sul terreno
della filosofia, dove il
periodo
della
«fermentazione»
del
nuovo sembra «ormai
passato».Sitrattaoradi
abbandonare il «vuoto
formalismo» che lo ha
caratterizzato
e
di
porgere
ascolto
all’esigenza
di
un
universale
concreto
nella forma di sistema,
come
risposta
al
sistema di fatto già
vigente nell’epoca: «Il
bisogno
di
una
elaborazione e di una
sapientetrasformazione
del materiale diventa
ora tanto più urgente».
Valelapenadirileggere
quanto segue: «V’è un
periodo
nella
formazione di un’epoca
storica,
come
nell’educazione di un
individuo,incuisitratta
soprattutto
della
conquista
e
dell’affermazione
del
principio nella sua
intensità
non
sviluppata. Un compito
superioreèperòdifarsì
che
quel
principio
diventiscienza»[86].
La
struttura
del
presente è contenuta
nel
sistema
come
totalità, ma essa si
manifesta anche nella
dimensionelogica,nella
«rete adamantina». Qui
l’insieme
potrebbe
essere esposto con
«rigore di immanente
plasticità»,
in
una
concatenazione analoga
aquelladellageometria
di
Euclide,
ma
«l’inquietudine e la
dissipazione
propria
della nostra coscienza
moderna»[87]
impediscono
uno
sviluppo senza intralci
della «cosa stessa». Si
deve così procedere con
digressioni, soffermarsi
continuamente
a
riflettere su qualche
aspetto che l’abitudine
rende
non
chiaro,
rettificare
le
rappresentazioni
inadeguate, richiamare
la coscienza al filo
dell’argomento
dalla
sua
dispersione,
costringerlaasollevarsi,
con una sorta di argano
fenomenologico,
dal
concreto sensibile e dal
noto, farla pensare. È
vero infatti che il
pensierodominaquesto
tempo, ma più sotto
forma di riflessione che
sotto
forma
di
speculazione.
La
speculazione, tuttavia,
non
può
ormai
prescindere
dalla
riflessione:
deve
concederle spazio, se
vuol penetrare nella
coscienza del singolo;
deve
momentaneamente
aderire
alla
sua
inquietudine
e
dissipazione, se vuole
trascinarlo nel regno
delleombre.
Non
sono
soltanto
l’arte e la religione a
essere insidiate nella
loro autonomia dalla
riflessione; è anche la
filosofia, almeno finché
non
riesce
a
subordinarla ai suoi
scopi, a trasformarla in
appigli ausiliarî per la
coscienza. C’è in questa
impostazione hegeliana
del
rapporto
concatenazione
rigorosa/digressioni un
nodo complesso, che
rinvia non tanto al
problema del pubblico
al
quale
un’opera
filosofica si rivolge[88],
quanto alla convinzione
di fondo che ora non
esiste più, come nella
metafisica antica e
medievale, una verità
oggettivachestapersé,
indifferente
nei
confronti
della
coscienza; oggi la verità
esiste solo nella sua
fruizione soggettiva, nel
rivivificare
soggettivamente
la
«lettera» mediante lo
«spirito»:«lospiritonon
significa se non ciò che
èdentrocoloroiqualisi
accostano alla lettera
per
intenderla
e
vivificarla
spiritualmente, vale a
dire che sono le
rappresentazioni
che
unosiportaseco,quelle
che si debbono far
valerenellalettera[…]È
vero che l’affermazione
che lo spirito deve
vivificarelanudalettera
è più precisamente
intesanelsensoch’esso
debba
limitarsi
a
spiegare il dato: esso
dovrebbe cioè lasciare
intatto il senso di
quanto è contenuto
immediatamente nella
lettera. Ma si dà prova
di cultura non molto
progredita, se non si
scorge
l’inganno
contenuto in questo
rapporto. È impossibile
“spiegare” senza che
intervenga il nostro
spirito, quasi che il
significato
fosse
soltanto
un
dato.
Spiegare
vuol
dire
render
chiaro,
e
propriamente chiaro a
me: ora non può
diventar chiaro a me se
non ciò ch’è già in me.
Essodevecorrispondere
al
mio
modo
di
giudicare soggettivo, ai
bisogni del mio sapere,
del mio conoscere, del
mio cuore ecc.: soltanto
così è per me. Si trova
ciò che si cerca, e
nell’atto in cui io me lo
rendo chiaro, vi faccio
valere
la
mia
rappresentazione,ilmio
pensiero:
altrimenti
esso è un che di morto,
di esteriore, che non
esiste
affatto
per
me»[89].
L’individuo
si
impossessa dunque del
vero traducendolo nel
suolinguaggio,madeve
anche, nello stesso
tempo, depurare la
propria coscienza degli
aspetti
meramente
soggettivi e arbitrari e
«sprofondarsi
nella
cosa».Perchéquestosia
possibile, perché si
formi un antidoto nei
confronti
della
soggettività vuota e
delle
sue
presunte
certezze, è necessario il
«sistema», che non vuol
essere una modalità di
prevaricazione
sul
concreto,
ma
un
mettere alla prova il
sapere e l’esperienza
raggiunti,unverificarne
latenutadinanziatutte
le possibili obiezioni
soggettive:
«Un
filosofare senza sistema
non può esser niente di
scientifico;eoltrechéun
siffatto filosofare per sé
preso esprime piuttosto
un modo di pensare
soggettivo, è, rispetto al
suo
contenuto,
accidentale.
Un
contenuto ha la sua
giustificazione
solo
come momento del
tutto,efuoridiquestoè
un
presupposto
infondato
o
una
certezza
meramente
soggettiva: molti scritti
filosofici si restringono
intalmodoaesprimere
soltanto
pareri
e
opinioni»[90]. Il sistema
non è la diabolica
tentazione del serpente
dell’Eden di rendersi
uguali a Dio con una
conoscenza
globale
della realtà, ma lo
sforzo
supremo
di
pensare
il
proprio
tempo con la massima
coerenza
e
profondità[91], proprio
perché, al livello di
pensiero, le categorie si
stringono fra loro con
«nodi più fermi» (festere
Knoten) di quelli delle
intuizioni
o
delle
rappresentazioni[92].Èla
filosofiastessa,giuntaa
una certa epoca, che
esige
il
pensare
sistematico
(almeno
asintoticamente, ossia
come
avvicinamento
progressivo a una meta
irraggiungibile,
ma
irrinunciabile)
come
unico
modo
di
esprimere e articolare
coerentementelaverità,
didarleunaparadossale
fondazione
senza
fondamento,nellaquale
la fissità di un astratto
«cominciamento» (che
dovrebbe, comunque,
essere
infondato,
assiomatico, per evitare
il pericolo del regressus
ad
infinitum)
sia
scardinata e il principio
si
mostri
quale
dinamico processo di
autoproduzione.
L’operazione hegeliana
consiste,
dunque:
nell’«eliminare l’idea di
una
fondazione
riposante
su
un
substrato o centrata su
un primum fisso»; nel
«sostituire
a
tale
substrato un processo
che produca se stesso
insieme alle leggi del
proprio movimento e
alle regole della sua
comprensione
razionale; e infine – e
questa
è
l’idea
veramente cruciale ed
essenziale
della
posizione hegeliana –
[nel] fare di questo
autogenerarsi
della
forma
nei
suoi
contenuti (la ‘forma
assoluta’) il principio
logico di una struttura
sistematica»[93] Per tale
motivo l’inizio deve
potersi
ricongiungere
circolarmente
fine[94].
alla
4.Ordinee
movimento
sistematico
È
triste
che
soltanto
dopo aver
lungo
tempo
dietro la
guida di
un’idea
che giace
nascosta
in
noi
raccolte
rapsodicament
molte
conoscenze
ad essa
relative, a
guisa di
materiali
da
costruzione
e messele
magari
insieme
per lungo
tempo
tecnicamente
diventi
possibile
per
noi
vedere
l’idea in
piena
luce
e
abbozzare
un tutto
secondo
gli scopi
della
ragione
architettonicam
I sistemi
paiono,
come
i
vermi,
essere
nati per
una
generatio
aequivoca
dal
semplice
concorso
di
concetti
raccolti
assieme,
da prima
mutili,
poi, col
tempo,
formati
completament
quantunque
avessero
tutti
il
loro
schema,
come
germe
originario,
nella
ragione
che
semplicemente
si
sviluppa;
e perciò
non
soltanto
ciascuno
per sé è
organato
secondo
un’idea,
ma
inoltre
tutti,
a
lorovolta,
sono tra
loro
riuniti
opportunamen
come
membri
di
un
tutto, in
un
sistema
di
conoscenza
umana, e
permettono
un’architetton
di tutto il
sapere
umano;la
quale,
oggi che
già tanta
materia è
stata
raccolta o
può
essere
presa
dalle
rovine
delle
antiche
costruzioni
crollate,
non
soltanto
sarebbe
possibile,
ma non
sarebbe
neanche
tanto
difficile
[…]
Kant,
Critica
della
ragion
pura[95].
Sistemaè,com’ènoto,
un termine di origine
stoica (systema) che
designa
l’ordine
dell’universo.
Tale
significato
si
è
conservato a lungo,
attraverso l’astronomia,
e non è andato perduto
neppure dopo che il
concetto di «sistema» si
estese a diversi campi.
In Condillac, infatti, che
col Traité des Systèmes
del 1749 aprì il dibattito
modernosullateoriadei
sistemi,illegameconla
natura
resta
paradigmatico
(in
precedenza il termine
«sistema» era stato
usatoincontestimedici
o, dagli stoici, in
rapporto al kosmos)[96]:
«Un sistema non è altro
cheladisposizionedelle
diversepartidiun’arteo
di una scienza in un
ordine in cui esse si
sostengono a vicenda, e
dove le ultime si
spiegano attraverso le
prime. […] I sistemi
sono più antichi dei
filosofi: la natura ne fa
fare, e non se ne
facevano
di
cattivi
quando gli uomini non
avevano che essa per
padrona»[97].Eancorain
Schelling: «Come è
possibile in generale un
sistema?
Risposta:
prima
che
l’uomo
pensasse a farne uno,
esistevadamoltotempo
un sistema – il sistema
dell’universo»[98]. Con
Condillaciniziaanchela
polemica contro l’esprit
de système, la pretesa di
costruire un edificio
coerente e astratto di
conoscenze,
secondo
massime generali non
comprovate
dall’esperienza. A una
tale struttura secondo
princìpi,
Condillac
contrappone l’insieme
delle ipotesi controllate,
e affaccia l’idea – che
ritornapoiinFichtecon
segno positivo – che il
«sistema
astratto»
rifletta
soltanto
le
passioni e il carattere
del filosofo che lo
prospetta: sono «di
solito le passioni [che]
decidono tutte da sole.
Uno
spirito,
naturalmente dolce e
benevolo, adotterà i
princìpi che si traggono
dalla bontà di Dio […]
Infine, un carattere
chiuso,
melanconico,
misantropo, odioso a sé
e agli altri, avrà
predilezione per queste
parole: destino, fatalità,
necessità, caso»[99]. D’ora
in avanti, la disputa sui
sistemi diventerà più
accesa, rivelando da un
lato la tendenza del
sapere a presentarsi in
forma
organica,
a
seguire una tendenza
‘architettonica’,
dall’altro il timore che
l’elemento estetico, di
simmetria
e
di
completezza, costringa
il concreto a piegarsi
all’arbitrio di schemi
precostituiti.
Per
limitarci all’immediato
retroterra del discorso
hegeliano,
è
interessante osservare
come nella cultura
filosoficatedescaenella
cultura
scientifica
francese del tempo il
concetto di sistema
fosse ritenuto in genere
essenziale
strutturazione
alla
del
sapere e lo si ritrovi
anche in autori che
hanno, sotto questo
profilo,
una
fama
migliore di Hegel. Così
per Kant il filosofo è il
legislatore dell’umana
ragione, che riporta a
quest’unica fonte tutte
le manifestazioni del
sapere e trasforma un
aggregatodiconoscenze
in scienza: «Sotto il
governo della ragione le
nostre conoscenze in
generale non possono
formare una rapsodia,
madevonocostituireun
sistema […] Per sistema
poi intendo l’unità di
molteplici conoscenze
raccolte sotto una idea
[…] L’unità del fine, a
cui tutte le parti si
riferiscono, riferendosi
intanto, nell’idea del
fine stesso, anche tra
loro, fa che ciascuna
parte
non
mancare
possa
nella
conoscenzadellealtre,e
che non possa esserci
alcuna
addizione
accidentale, o alcuna
grandezza indeterminta
di perfezione, che non
abbia i suoi limiti
determinati a priori. Il
tutto
è
quindi
organizzato(articulatio)e
non
ammucchiato
(coacervatio);
può
crescere
dall’interno
(per intussusceptionem),
manondall’esterno(per
appositionem), come un
corpo animale il cui
crescere non aggiunge
nessun membro, ma,
senza alterazione della
proporzione, rende ogni
membro più forte e più
utile […] Nessuno tenti
di fare una scienza
senza avere un’idea a
base […] la filosofia è la
scienza della relazione
di ogni conoscenza al
fine essenziale della
ragione
umana
(teleologia
rationis
humanae); e il filosofo
non è un ragionatore,
ma
il
legislatore
dell’umanaragione»[100].
Come
vedremo,
il
modello
analogico
dell’organismo animale
sostienespessol’ideadi
sistema e tende anzi a
sovrapporsi al modello
astronomico
precedente,
facendo
cadere l’accento sul
«sistemanellosviluppo».
Tale
è
la
prima
posizione di Schelling,
nel 1797: «Ma questo
sistema generale non è
una catena che scenda
verso il basso, nella
qualeognianellopenda
dall’altro
all’infinito,
bensìunaorganizzazione,
in cui ogni singolo
membro
è
reciprocamente
fondamento
e
conseguenza, mezzo e
fine, rispetto a ogni
altro. Ogni progresso in
filosofia
è
quindi
soltanto un progresso
mediante sviluppo»[101].
InseguitoSchellingsarà
più guardingo e dirà: «I
maggiori
sistemi
filosofici sono mere
costruzioni, più o meno
ben trovate, dei loro
inventori: equivalgono
press’a poco ai nostri
romanzi storici»[102]. In
Hegel,invece,loschema
organicistico raggiunge
la
sua
massima
espansione, e il sistema
diventa veramente una
creatura viva che si
sviluppa nel tempo,
seppure
in
quanto
«riflesso di tutta la
storia». Il filosofo ne
scruta i movimenti con
paterna trepidazione, al
pari
dei
«genitori»
quando
fanno
esperienza per la prima
volta della crescita
spontanea del loro
bambino e «si vedono
davanti una specie di
miracolo»[103].
La
‘filosofica famiglia’ è in
effetti per Hegel una
realtà
vivente,
un
rapportarsi commosso
all’eredità degli avi per
farla
fruttare,
una
continuità ideale tra le
generazioni: «come per
la contadina sono il
fratello e lo zio morti,
così per il filosofo sono
Platone,
Spinoza
ecc.»[104]. Il sistema è
così opera collettiva di
tutti
i
filosofi
precedenti,èunportare
a compimento le grandi
filosofie del passato,
superandone i limiti
rispetto al presente e
scoprendonelanascosta
finalità.
L’ultimo
sistema apparso nel
tempo è perciò il più
ricco, perché esprime
un presente più ricco; è
ilpiùadeguato,perchéè
la risposta a problemi
che sono sorti sul
terrenodelpresenteeai
quali i pensatori del
passato non potevano
dare risposta. È inutile
quindi volersi rifare ad
unafilosofiadelpassato
(e ciò vale per Hegel
stesso)
e
proporre
impossibiliritorni:«Non
dobbiamo credere di
poter trovare negli
antichi
la
risposta
agl’interrogativi
della
nostra
coscienza,
agl’interessi del mondo
odierno:
tali
interrogativi
presuppongono
una
determinata educazione
del
pensiero.
Ogni
filosofia, per il fatto di
rappresentare
un
particolare stadio di
svolgimento, appartiene
al tempo suo ed è
chiusa
nella
sua
limitatezza. L’individuo
è figlio del suo popolo,
del suo mondo, di cui
egli non fa altro che
manifestarelasostanza,
sebbene in una forma
peculiare. Il singolo può
ben gonfiarsi quanto
vuole,manonpotràmai
uscire
dal
proprio
tempo, come non può
uscire dalla propria
pelle[…]Ognifilosofiaè
filosofia dell’età sua, è
un anello della catena
complessiva
dello
svolgimento spirituale,
e può dar soddisfazione
soltanto agli interessi
del suo tempo»[105]. Il
volertornareindietro,in
filosofia, è una fuga
dinanzi alle difficoltà
del
presente,
corrisponde ad una
forma di regressione
psicologica,
a
una
«stoltezza
simile
a
quella d’un uomo che
volesse sforzarsi di
ritornare alle idee che
avevadagiovinetto,odi
un
giovinetto
che
volesse
ridiventar
fanciullo
o
bambino»[106]. Ma che
necessità c’è allora di
conoscerelefilosofiedel
passato? Tanto più che
ogni filosofia non è
trasferibile e imitabile
neltempo:essaè«insé
compiuta ed ha, come
un’autentica
opera
d’arte la totalità in sé.
Come le opere di Apelle
ediSofocle,seRaffaello
e
Shakespeare
le
avessero
conosciute,
non sarebbero potute
loro apparire di per sé
come semplici esercizi
preparatorî – bensì
espressioni
di
uno
spirito affine – così
anche la ragione nelle
sue precedenti figure
nonpuòvederviesercizi
preliminari
semplicemente utili. E
proprio perché Virgilio
ha considerato Omero,
rispetto a sé e alla sua
epoca più raffinata, un
eserciziodiquelgenere,
il suo poema è rimasto
un
esercizio
di
imitazione»[107].
Un’opera d’arte non si
può smembrare per
sottrarne delle parti da
utilizzare in seguito;
così
un
sistema
filosofico del passato
nonsipuòassimilarein
quanto tale: bisogna
negarlonellasuastorica
immediatezza e trovare
soluzioni più alte che
rispondano anche agli
interrogativi posti da
esso. Si studiano le
filosofie del passato per
trovare in esse la
«radice»[108]delpresente
e del suo sistema
concettuale,
per
scoprire le fondamenta
del proprio tempo e del
suo
movimento.
Il
passato
è
sistemato
dunque
continuamente
dal
‘campo magnetico’ del
presenteinmutamento,
ed ha la sua «verità»
nella struttura che di
volta in volta assume
all’internodell’orizzonte
temporale dell’ultima
epoca. Se la verità è nel
tempo, non ha senso
per Hegel chiedersi
quale sia la verità di un
sistema in assoluto:
esso è valido nella
misura in cui riesce a
fornire
la
rete
adamantina (o parte di
essa)perladecifrazione
dellapropriaepoca.Ele
affinità elettive che
fanno
rivolgere
il
sistema più evoluto alle
filosofiedelpassato–ad
alcune più o piuttosto
che ad altre – si spiega
col
bisogno
di
attualizzare
quegli
aspetti di esse che
possono fornire un
embrione di risposta ai
nuoviinterrogativiposti
dal proprio tempo.
Attualizzare le filosofie
del
passato
è
indirizzarle verso il
futuro. L’Erinnerung è
anche
qui
il
ripiegamento in vista di
un’avanzata. Ma se in
tal modo i filosofi
precedenti non sono
«canimorti»,èveroperò
cheilriferirsialpassato
è solo un momento, il
momento che precede
la
soluzione
dei
problemi del presente.
Quando un’epoca si
attarda nelle filosofie
del passato, come il
Medioevo,
con
la
Scolastica, questo è un
segno di crisi, della
mancanza di sbocchi
immediati
per
il
presente.
Allora
l’Erinnerung diventa un
lungo «sprofondarsi» in
sé,
la
sotterranea
preparazione del nuovo
attraverso un’immane
attività di assimilazione
della
tradizione
e
dell’esistente.
E
il
sistema è solo una
summa, un resoconto
dettagliato
di
quest’opera
di
conquista, ma non una
scoperta
consapevole
del nuovo. Anche il
periodo
della
Reflexionsphilosophie,
dopo la rivoluzione
kantiana, mostra, sotto
l’opposto
profilo
dell’originalità
soggettiva
e
della
proliferazione
dei
sistemi, l’incapacità di
formulare
concettualmente
la
realtàglobaledelnuovo,
e
la
fuga
nella
dissipazione
quantitativa: «Un’epoca
chehadietrodisécome
passato
una
tale
abbondanza di sistemi
filosofici sembra dover
pervenire
a
quell’indifferenzachela
vita raggiunge dopo
essersi cimentata in
tutte le forme. Quando
l’individualità
fossilizzata non rischia
più se stessa nella vita,
l’impulso alla totalità si
esprime ancora come
impulso alla totalità
delle conoscenze. Essa
cerca di procurarsi,
attraverso
la
molteplicità di ciò che
ha, l’apparenza di ciò
che non è»[109]. Per
innalzarsi formalmente
aldisopradeicontenuti
del proprio tempo, il
sistema che ne è
l’espressione deve sì
poggiare sulle filosofie
del passato, ma le deve
negare
nella
loro
rigidità, inserendole in
funzione subordinata al
suo interno, così da
comprendere il loro
esser-divenute come un
«divenire», un processo
sempreapertoesempre
apribile. Nel divenire il
sistema più compiuto
rimodella la sostanza
resa fluida del passato,
che non appare più in
età moderna come un
duro e opprimente
macigno, ma come un
materiale
con
cui
plasmare il presente.
Neppureilpassatodeve
sfuggire alla presa di
quest’epoca ‘totalitaria’,
che si specchia in un
sistema
onnicomprensivo, che
coinvolge nel suo corso
l’intero pianeta ormai
sostanzialmente
esplorato
e
circumnavigato, che ha
postoperlaprimavolta
in contatto reciproco
tuttiipopolidellaTerra,
facendone confluire i
prodotti e le ricchezze
verso un centro, nella
«parte razionale» di
essa, l’Europa. Il pathos
di Hegel nel trattare la
coppia
indissolubile
totalità-sviluppo riflette
la diffusa esperienza
storica dell’epoca, come
impossibilità di sfuggire
ormai
all’interdipendenza
dall’intero – fin nei suoi
contraccolpi più remoti
– e al mutamento
storico, resosi in larga
misura autonomo dalla
volontà cosciente dei
singoli. Tale condizione
era stata efficacemente
espressa
anche
da
Hölderlin nella poesia
Zeitgeist
(Spirito
del
tempo):
Già
da
troppo
tempo tu
domini
sopra
il
miocapo,
Tu nella
oscura
nuvola,
dio
del
Tempo!
ovunque
Io
guardi
tutto va in
frantumi o
vacilla.
Ah! come
un
fanciullo
mi affiso
al
suolo
sovente,
Cerco
uno
scampoda
te
nella
grotta
e
vorrei,
Stolto,
trovare un
luogo
Dove
non fossi
tu
che
tutto
sconvolgi!
Concedimi
infine, o
padre,
d’affrontarti
Con
fermo
ciglio! Non
hai
dunque,
per primo,
lospirito
Suscitato
in me col
tuo raggio,
nonm’hai
Splendidame
alla vita
portato, o
padre! –
[110]
.
L’enfasicheinvestein
Hegel la potenza divina
del tempo, la totalità e
lo sviluppo organico, in
quanto rivelatrice di
una situazione storica,
nonhanulladineutroo
di
innocente.
Ogni
sottolineatura
manifesta l’urgenza di
arginare il principio
opposto, avvertito come
pericolo, di venire a
patti
con
esso,
riconoscendogli
un
diritto subordinato. Il
sistema appare così
come
dominio
sul
caos[111];
la
totalità
come
modo
esorcizzare
di
la
disgregazione
atomistica della società;
l’insistenzasullavitalità
delle idee come rivalsa
contro «l’arida vita di
intelletto»[112] a cui gli
uominisonocondannati
dalla
divisione
del
lavoro e dall’ottusità
mentale prodotta dalla
ripetizione
nelle
fabbriche di poche e
monotone
operazioni[113];
la
sublimità dello Zeitgeist
come confessione di
debolezza nei confronti
di forze imperscrutabili
o
nascoste.
La
questione, qui, non è
più tanto quella di
vedere
Hegel
in
negativo, ma di capire
inchemodoilsistemae
la dialettica – in quanto
risposta
agli
«interrogativi»
dell’epoca
–
siano
appunto
sottomissione
e
la
la
gestione del pericolo
rappresentato
dall’opposto
negativo
nella dinamica del
processo,
istituzionalizzato
in
nessi concettuali. La
soluzionehegeliananon
è
tuttavia
ideologica,
soltanto
né
tantomeno il sistema è
in Hegel – come voleva
Solger
–
la
manifestazione
del
«militärischer Geist» dei
tempi
che
intende
imporre a tutti la sua
«uniforme»[114].
E
d’altronde in Hegel, in
contrastoconl’opinione
diCondillac,ilsistemaè
appunto una garanzia
contro l’intrusione delle
passioni
e
dei
sentimenti personali in
filosofia, da cui egli
tendeva a separare la
sua opera: «Quel che vi
è di personale nei miei
libri, – disse a questo
proposito Hegel a una
commensale che lo
guardava
ammirata
comesefosseuntenore
e si sentiva onorata di
sedere accanto a una
figura così interessante
–, quel che vi è di
personale nei miei libri
è falso»[115]. Alla base
della forma sistematica
vi sono importanti
problemi
reali
di
carattere storico-sociale
e scientifico. Come è
possibile, ad esempio,
orientarsi in un mondo
in sé aperto alla
dimensione planetaria
quando
l’esperienza
diretta del singolo si fa
sempre più ristretta e
settoriale,
rendendo
impossibilelapersonale
verifica di tutta la
congeriediinformazioni
che
lo
colpiscono?
Quando si crea un
rapporto
di
proporzionalità inversa
fra
l’allargarsi
del
mondoedelpatrimonio
collettivo dell’umanità
come genere e le
capacità dell’individuo
di tener dietro a questi
sviluppi? Quando le
epitomi
e
le
abbreviazioni tendono a
ridurre la complessità,
semplificando
e
diventando sbrigative,
come accadde nel tardo
impero romano, ai
tempi di Eutropio, che
nel Breviarium ab urbe
condita riassumeva Tito
Livio, Svetonio e altri
perchésapevacheisuoi
potenziali
lettori
avevano meno tempo
per opere di maggior
mole?
Quando
la
politica e la religione
non sono più (o non
sonoancora)ingradodi
dare un inquadramento
pieno alla vita, così che
il «regno del pensiero»,
trasformatosi in luogo
diraccoltadimoltiesuli
insoddisfatti
dalla
realtà,
lascia
alla
filosofia solo il compito
di «darsi da fare con la
religione» e ai filosofi,
unavoltaaffievolitasila
fede
religiosa,
di
sostituirsi ai parroci, di
predicare
la
conciliazione?[116]
Il
sistema,nelsuoaspetto
dinamico, svolge allora
una
funzione
pedagogica in senso
lato,
offre
un
orientamento più solido
e organico di quanto
non
facciano,
spontaneamente,
la
tradizione, la cultura
limitata,
l’opinione
pubblica o i giornali.
Sembravainoltregiunto
il momento – per Hegel
e
diversi
suoi
contemporanei – di
ordinare il cumulo delle
conoscenze,
alla
maniera di Cuvier in
paleontologiaodiFranz
Bopp nello stabilire le
relazioni tra le lingue
indoeuropee, secondo
un modello sorto «nella
scienza non meno che
nella realtà», di dar loro
una sistemazione meno
casuale, di scoprire le
segrete corrispondenze
fra elementi diversi,
nella certezza che tale
riorganizzazione
non
solo
non
avrebbe
nuociuto all’esperienza
successiva o l’avrebbe
resa superflua, ma che
anzi
si
sarebbe
riverberata su di essa e
le avrebbe indicato
nuovestrade.
Persino le numerose
forzature hegeliane su
questioni di fatto, i suoi
fraintendimenti, i suoi
ritardi rispetto alla
scienza o alla politica
del
tempo,
vanno
guardatiinquestalucee
commisurati allo sforzo
gigantesco compiuto; e
non
per
malintesa
indulgenza, per inutili
apologie o per la mera
rettifica
di
critiche
filologicamente
ingiustificate,
ma
perchéaltrimentisfugge
il nucleo essenziale dei
problemi
e
la
complessità
degli
elementicheentranoin
gioco.
Nel
diffuso
giudizio negativo sui
sistemi in quanto tali
pesa il fastidio per le
orge speculative che in
loro nome sono state
celebrate,
diffidenza
la giusta
contro
i
«ragni» di baconiana
memoria,
i
quali
secernono
le
loro
elucubrazioni traendole
semplicemente da se
stessi, e il sospetto,
formulato
da
Rosenzweig,Benjamine
Adorno, che il ricorso
alla totalità, in un
mondo
scisso
e
attraversato
da
lacerazioni attualmente
non componibili, sia un
mezzo per occultare i
conflitti reali e quindi,
in ultima analisi, una
patente di legittimità
rilasciata al cattivo
esistente, concepito in
termini armonicistici. Si
dovrebbe quindi, da
questa
prospettiva,
contrapporre a Hegel il
motto
adorniano
«l’intero è il falso»; al
sistema, il pensiero
volutamente
frammentario,
l’aforisma che secondo
Kraus «non coincide
mai con la verità; o è
una mezza verità o una
verità e mezzo»[117];alla
totalità plastica, ancora
perseguita da Lukács
sulle orme dei classici
(Goethe,Hegel,Ricardo),
l’allegoria benjaminiana
della totalità, a cui le
parti possono soltanto
alludere, pur restando
incommensurabili,
oppure la «dialettica
negativa» come forma
antagonistica di ogni
«conciliazione forzata»;
allo
sviluppo
teleologicamente
orientato dell’insieme,
la
«stella
redenzione»
Rosenzweig[118].
Le
posizioni
della
di
di
Benjamin,
di
RosenzweigediAdorno,
teseadenunciarequello
che appare loro un
sacrificio
dell’individualità,
costituiscono un’utile
pietra di paragone per
mostrare la grandezza,
ma anche le peculiari
malformazioni,
della
dialettica
hegeliana.
Interessante
è,
soprattutto,laposizione
di Benjamin, che, per
evitare che la totalità
schiacciasse
il
particolare,
aveva
opposto
a
quella
hegeliana
la
sua
Dialektik im Stillstande,
una dialettica in quiete
che si articola sia in un
movimento in grado di
arrestarsi
e
cristallizzarsi in
di
una
monade, sia in una
universalità
che
si
individualizza,
sia,
infine, in una filosofia
che è anche filologia.
L’idea leibniziana di
monade gli permette di
rinchiudere la ricchezza
del mondo e del
divenire in un punto di
vista singolo che non
contrasta
con
l’universale, ma ne
selezionaun’angolatura.
La
monade,
la
contrazione della realtà
in
unità,
è
impoverimento che si
rivela
ricchezza:
autentica
«L’idea è
monade – ciò significa
in breve: ogni idea
contienel’immaginedel
mondo.
Alla
sua
rappresentazione
è
posto
il
compito,
nientedimeno, che di
disegnare in scorcio
precisamente
immagine
questa
del
mondo»[119].
La
dialettica,
che
hegelianamente
è
«inquietudine»,
viene
così bloccata. Benjamin
insiste costantemente
sulla
necessità
di
salvare il dettaglio,
l’individuale, il piccolo,
e – a partire da esso e
con esso – di salvare
l’universale.Tuttiquesti
insegnamenti
li
raccoglie da più autori
di
riferimento:
dai
fratelli Grimm (a causa
della loro «devozione
[…] per il piccolo»)[120],
dal
Freud
della
Psicopatologia della vita
quotidiana, che lavora
sui residui e sugli scarti
del mondo fenomenico,
e dai romanzi di Proust
ediJoyce.Ilsuosforzoè
rivolto a evitare che la
dialettica diventi quello
che Sartre – più tardi e
in polemica con il
marxismo – chiamerà
un «bagno di acido
solforico»
in
cui
l’individualità
e
la
particolarità
si
dissolvono.
Il secondo problema
reale,
di
carattere
scientifico,
che
il
sistema pone è quello
della sua utilizzazione
in campi diversi dalla
filosofia, e del modo in
cui
veniva
inteso.
Nell’anatomia
comparata, nello studio
delle
lingue,
nella
cristallografia,
nella
‘teratologia’deltempoil
concetto di sistema è
euristicamente fecondo
e
pressoché
universalmente
affermato. Che esistano
delle strutture oggettive
simmetriche
(ad
esempio la costanza
degli angoli diedri di un
cristallo), che le parti
siano
solidali
strettamente
col tutto è
esemplarmente
affermato nel principio
di corrispondenza di
Cuvier, nella sua nota
affermazione di poter
ricavare da un singolo
ossolaformadell’intero
scheletro
dell’animale[121]. Nelle
lingue
indoeuropee,
parole apparentemente
lontanissime fra loro
(greche,
latine,
germaniche,
indiane)
venivano ricondotte a
radici
comuni
e
sottoposte
a
una
complessa dinamica di
trasformazioni che non
escludeva
un
fondamento
unitario.
Ma
ancora
più
caratteristico è che,
contemporaneamente,
queste
strutture
acquistassero
anche
una
forma
di
movimento (Bildung) e
perdessero l’aspetto di
forma statica (Gestalt).
La ‘dialettica’ – nel
senso più lato di
movimento di forme, di
sviluppo
sistematico
mediante opposizione o
contraddizione – si era
presentatagiàdatempo
sulterrenodellescienze
naturali (nel passaggio
dal germe invisibile alla
struttura cristallina in
Romé de L’Isle, nel
concetto di polarità in
fisica, nella «vita» come
insieme di funzioni che
sioppongonoallamorte
in Bichat e Richerand,
nel
goethiano
svolgimento degli esseri
organici dalla Urpflanze
e
dall’Urtier),
della
linguistica
storica,
dell’analisi
infinitesimale
ecc.,
stringendo in un nodo
sempre più stretto
processo e struttura.
Quelchevieradinuovo
rispetto a concezioni
molto più antiche, era
che lo sviluppo veniva
segnato
attraverso
modificazioni di forme
per salti qualitativi,
veniva cioè spezzata in
diversi punti la «grande
catena dell’essere», ad
esempio quando Bichat
sostiene l’impossibilità
di spiegare la fisiologia
attraversoleggifisichee
chimiche, o quando
Lamarck considera i tre
regni della natura come
nettamente
separati.
Oppure nella chimica,
aspetto sottolineato da
Hegel, attento lettore
dell’Essai de Statique
Chimique di Berthollet e
dell’Essai sur la théorie
des proportions chimiques
di Berzelius: «Nelle
combinazioni chimiche
si
presentano,
col
progressivo mutarsi dei
rapportidimistione,tali
nodi e salti qualitativi,
che due sostanze, in
certi particolari punti
della scala di mistione,
formanoprodottiiquali
mostrano
particolari
qualità. Questi prodotti
non si distinguono già
semplicemente
uno
dall’altro per un più o
meno,néliabbiamogià
dinanzi (quasi in un
grado più debole) con
queirapportichestanno
accanto
a
cotesti
rapporti nodali, ma son
legati proprio a cotesti
punti. Per esempio, le
combinazioni
dell’ossigeno
e
dell’azoto
danno
i
diversi ossidi di azoto e
acidi nitrici, che si
producono solo con
determinati
rapporti
quantitativi
della
mistione, ed hanno
essenzialmente qualità
diverse,inmodochecoi
rapporti di mistione
intermedii non hanno
luogo
combinazioni
nessune
di
esistenze
specifiche»[122]. Non è
questa la sede per
articolare una casistica
tratta dalla storia della
scienza; quello che
immediatamente
mi
preme di rilevare è
comeinHegelcifosse–
dilatata
all’intero
universo
delle
conoscenze – la stessa
fiducia nella possibilità
discoprireilmovimento
razionale delle forme
che animò, ad esempio,
la storia della chimica e
della scienza in genere
dalle
notazioni
di
Berzelius al sistema
periodico degli elementi
di Mendeleev, e come
infine i suoi modelli
dialettici non fossero
solo
la
storia,
l’economia capitalistica
olatrinitàcristiana,ma
anche la complessa
‘dialettica della natura’
che la scienza stava
portando alla luce e ai
cuiconfinieragiunta.
Lametaforahegeliana
del
sistema
come
«circolo»,chesisvolgea
partire da un punto, o
come
circolo
di
circoli»[123],
ha
contribuito anch’essa
alla rappresentazione
del
sistema
come
sistema chiuso. Ma
l’immagine del circolo
ha
un
significato
dinamico, rinvia ad un
movimento circolare di
progressiva
estensione[124]
(si
vedanoperòleriservee
ilimitiaquestatesi)[125].
Sebbene l’Enciclopedia di
Hegel costituisca una
ripresa
in
senso
etimologico del tema
della circolarità del
sapere,
essa
rappresenta una novità
sia rispetto al modello
delle scienze ad albero,
che era proprio della
tradizione[126],
sia
rispetto
all’idea
di
circolarità enciclopedica
che non partiva da un
unico principio e non si
articolavanellaformadi
«sistemainmovimento»
dituttiicircoli.
Solo
in
quanto
sistema la filosofia può
per
Hegel
essere
«scienza»[127].
Certo,
ogni sistema esige la
completezza,
è
concluso. Eppure, Hegel
non ha mai pensato a
una chiusura definitiva
rispetto al futuro, non
ha mai creduto che la
sua filosofia fosse il
culminediognifilosofia
e che dopo di essa non
ci sarebbe stato più
niente di importante da
dire
(una
interpretazione, a ben
pensare, assurda, ma
sostanzialmente
accettata da Kojève che
l’approva e la fa sua
traendone però notevoli
implicazioni).
Questo
perché il «bisogno della
filosofia»dieliminarele
scissioni
che
attraversano la vita e
che, in forma nuova, si
riproducono in ogni
epoca,
non
può
esaurirsi[128]. Hegel ha
individuato
queste
scissioni e, con la sua
filosofia, ha cercato di
depotenziarle
comprendendole. E lo
ha fatto proprio in
un’epoca che invecchia,
che è entrata nel
crepuscolo sotto gli
occhidicivettadellasua
filosofia,laqualeèperò
consapevole del fatto
che la talpa della storia
continua a scavare le
sue
sotterranee
(e
quindiperorainvisibili)
gallerie.
Il sistema ricapitola,
trasformandoneilsenso
e
interiorizzandolo
nell’Er-innerung,
il
percorso compiuto con
maggiore
consapevolezza grazie
all’esperienza
accumulata nell’intero
cammino:
«il
vero
contenuto non è altro,
pertanto, che l’intero
sistema, il cui sviluppo
abbiamo
finora
considerato. Si può
quindi anche dire che
l’idea
assoluta
sia
l’universale,
non
semplicemente
come
forma astratta, alla
quale si contrappone il
contenuto particolare
come qualcosa d’altro,
bensì
come
forma
assoluta, in cui sono
ritornate
tutte
le
determinazioni, l’intera
pienezza del contenuto
posto per loro tramite.
L’idea assoluta, sotto
questo
aspetto,
è
paragonabile al vecchio
che pronuncia le stesse
frasi
religiose
del
fanciullo, ma per il
vecchio queste frasi
hanno il significato di
tutta quanta la sua vita
[…]Seancheilfanciullo
comprende il contenuto
religioso, questo vale
per lui certo soltanto
come qualcosa al di
fuori del quale sta
ancoralasuavitaintera
e il suo intero mondo
[…] Allo stesso modo
anche il contenuto
dell’idea assoluta è
l’intera espansione che
avevamo finora davanti
anoi»[129].
Nelle sue opere Hegel
ha
sempre
posto
l’accentosulcaratteredi
infinita perfettibilità, ed
èquasiincredibilechea
molti
interpreti
sfuggano
passi
di
lampante
evidenza,
come questo, tratto
dalla Prefazione alla
seconda edizione della
Scienza
della
logica,
datata
«Berlino,
7
novembre 1831», una
settimana esatta prima
della morte del filosofo:
«A
proposito
dell’esposizione
platonica,achilavoraa
innalzar di nuovo, nei
tempi moderni, un
edifizio indipendente di
scienza filosofica si può
ricordareilraccontoche
Platone rifacesse sette
volte i suoi libri sulla
repubblica.
Questo
ricordo – un confronto,
inquantopuòsembrare
che
ne
contenga
appunto uno – potrebbe
solo far nascere tanto
piùforteildesiderioche
per un’opera, la quale,
appartenendo al mondo
moderno, ha un più
profondo principio, un
oggettopiùdifficileeun
più ampio materiale
innanzi
a
sé
da
elaborare, fosse stato
concesso
agio
di
rifonderla settantasette
volte. L’autore invece,
considerando
l’opera
suadifronteallavastità
del
compito,
dové
contentarsi di quello
ch’essa poté diventare,
in
mezzo
circostanze
di
alle
una
esterna necessità»[130].
Ortega y Gasset ha
scritto,
con
spirito
polemico che rafforza
una critica tradizionale,
che
la
filosofia
hegeliana(inparticolare
quella della storia) è
«chiusa al domani» e
che il suo è «un
pensierodafaraone,che
guarda il formicaio dei
lavoratori affannati nel
costruire
la
sua
piramide»[131]. Queste
non erano certo le sue
intenzioni.
Semmai,
Hegel ha elaborato, per
così dire, un’immagine
della filosofia come
scienza rigorosa che
conserva elementi fin
troppo
euclidei
o
spinoziani. Per questo il
sistema deve potersi
chiudere, in qualche
modo, alla maniera del
quod
erat
demonstrandum,
mediante la forzatura
(spesso consapevole) di
non lasciare residui nel
trattare lo sfuggente e
profondo
«principio»
moderno
rispetto
all’«ampiomateriale[…]
da elaborare». È come
se, nel cercare la
perfezioneformaleenel
voler far tornare i conti,
Hegel
non
si
contentassediaccettare
come
inevitabili
le
circostanze esterne in
cui l’Enciclopedia era
stata composta e rivista
per ben tre volte (1817,
1829 e 1830), cosciente,
peraltro, che, in quella
forma, essa è uno
strumento didattico, un
compendio a uso degli
studenti, scritto in uno
stile«conciso,formalee
astratto», che deve
«ricevere le spiegazioni
necessarie per mezzo
dell’esposizione
orale»[132]. Si potrebbe,
quindi, affermare che
Hegel
non
intende
lasciare didatticamente
residui a livello del
sistema,
anche
se
diventa sempre più
conscio della difficoltà
di
articolare
il
«principio»
moderno
nella sua complessità e
profondità ora che,
giuntoallozenitdelsuo
sviluppo, comincia a
tramontare.
Dato che il sistema è
uncircolodicircoli,non
dovrebbe esistere un
ingresso privilegiato a
esso, nel senso che il
«cominciamento»
potrebbe
situarsi
ovunque. Ma se si
accetta questa ipotesi
fino in fondo, allora la
progressione canonica
logica-natura-spirito (il
«sistemahegeliano»,per
antonomasia,
dell’Enciclopedia)cessadi
essere vincolante, e
cadonoositrasformano
radicalmente tutti quei
‘classici’problemichesi
trascinanofindaitempi
di Schelling e di
Trendelenburg,sucome
sia
possibile,
ad
esempio, all’idea logica
licenziare o «lasciar
uscire liberamente» (frei
entlassen) da sé la
natura, sul carattere
premondano
delle
categorieecc.[133]Infatti,
sarebbe allora possibile
– ciò che Hegel sembra
fare – considerare la
triade maggiore del
sistema
come
un
sillogismo, in cui ogni
membro è a turno il
termine medio. In tal
modo, lo schema di
progressione
dell’Enciclopedia sarebbe
soltanto il primo dei tre
sillogismiottenibili:
1) Logica-naturaspirito
2) Natura-spiritologica
3) Spirito-logicanatura(?).
Considerate
le
importanti conseguenze
che deriverebbero da
una soluzione, in un
senso o in un altro, di
questo problema dei tre
sillogismi,
la
contrapposizione di tesi
fortemente divergenti
nelle
interpretazioni,
nonchélastringatezzae
l’oscurità dei §§ 574-577
dell’Enciclopedia
del
1830, sui quali verte la
polemica,
è
utile
presentare i testi per
esteso:
§574
Questo concetto
della filosofia è
l’Idea che pensa
se stessa, la
verità che sa (§
236), la logicità,
col
significato
che
essa
è
l’universalità
convalidata dal
contenuto
concreto come
dalla sua realtà.
Lascienzaè,per
talguisa,tornata
al
suo
cominciamento;
e la logicità è il
suo
risultato
come
spiritualità: dal
giudizio
presupponente,
incuiilconcetto
erasoloinséeil
cominciamento
alcunché
d’immediato, e
quindi
dall’apparenza,
che aveva colà,
la spiritualità si
è elevata al suo
puro principio
come a
elemento.
suo
§575
Questo apparire
è ciò che fonda
dapprima
lo
svolgimento
ulteriore.
La
prima
apparenza
è
costituita
dal
sillogismo, che
ha per base,
come punto di
partenza,
la
logicità; e la
natura
per
termine medio,
checongiungelo
spirito con se
stesso.
La
logicità diventa
natura; e la
natura, spirito.
La natura, che
sta tra lo spirito
elasuaessenza,
non si scinde in
estremi
di
astrazionefinita,
né si separa da
essi facendosi
alcunché
d’indipendente,
che congiunge
gli altri soltanto
come un altro;
giacché
il
sillogismo
è
nell’idea e la
natura
è
essenzialmente
determinata
come un punto
di passaggio e
momento
negativo,edèin
sé l’idea; ma la
mediazione del
concetto ha la
formaestrinseca
deltrapasso,ela
scienza quella
dell’andamento
necessario,
cosicché
la
libertà
del
concetto è posta
soltantonell’uno
degli
estremi
come il suo
congiungersi
consestesso.
§576
Questa
apparenza
è
soppressa
nel
secondo
sillogismo,
in
quanto questo è
già il punto di
vista
dello
spirito stesso; il
quale
è
il
mediatore
del
processo,
presuppone la
natura, e la
congiungeconla
logicità. È il
sillogismo della
riflessione
spirituale
nell’idea:
la
scienza appare
come
un
conoscere
soggettivo, il cui
fine è la libertà,
ed esso stesso è
la
via
di
produrla.
§577
Il
terzo
sillogismo
è
l’idea
della
filosofia,
la
quale ha per
termine medio
laragionechesa
se
stessa,
l’assolutamente
universale:
termine medio,
che si dualizza
in
spirito
e
natura, fa di
quello
il
presupposto
come processo
dell’attività
soggettiva
dell’idea, e di
questa l’estremo
universale,
in
quanto processo
dell’idea, che è
in
sé
e
oggettivamente.
L’autogiudizio
dell’idea nelle
due apparenze
(§§
575-6)
determina
queste come le
sue
manifestazioni
(manifestazioni
della
ragione,
chesasestessa);
e si riunisce in
essa in modo
che è la natura
della cosa, il
concetto,ciòche
si
muove
e
svolge, e questo
movimento
è
altresì l’attività
del conoscere.
L’idea, eterna in
sé e per sé, si
attua,siproduce
e gode se stessa
eternamente
come
spirito
assoluto[134].
Le maggiori difficoltà
di
interpretazione
riguardano almeno due
punti, sui quali le
divergenze, di carattere
estremamente tecnico,
sono nette e su cui si
richiede,
ragione
proprio in
della
loro
importanza,l’attenzione
elapazienzadellettore,
ammesso che le voglia
esaminare: a) Secondo
Lasson, Van der Meulen
e Puntel, i tre sillogismi
corrispondono a tre
diverse
scienze
filosofiche (identificate
rispettivamente,
e
nell’ordine,
come
enciclopedia,
fenomenologia,
complesso delle lezioni,
e
in
enciclopedia,
fenomenologia,
una
scienza x, impossibile
da determinare) o a tre
ordini
sistematici
diversi, che hanno la
loro base nell’origine
comune
di
logica,
fenomenologia
e
‘noologia’[135]; secondo
Fulda e Gauvin, essi
corrispondonoinvecead
una
suddivisione
interna all’Enciclopedia,
alla modalità con cui
l’elementologicoappare
nelle parti della scienza
già trattate[136]; b) Il
terzosillogismo(§577)è
anomalo?[137] Ha la
logica o no come
termine
medio?[138]
Accantoalsuosviluppo,
come
Spirito-logica-
natura, va posto un
visibile
punto
interrogativo?
Sullo
sfondo
di
questo
dibattito stanno delle
ulteriori domande, sulla
natura
della
Fenomenologia (se sia
un’introduzioneomeno
al sistema, se sia
internaoesternaaesso)
e sulla possibilità di
distinguere
fra
un
sistema in senso stretto
(Enciclopedia)
e
un
sistema in senso lato
(Fenomenologia
+
Enciclopedia + Storia della
filosofia)[139]. Che le
difficoltà siano serie lo
indicaindirettamentelo
stesso Hegel; infatti,
nell’Enciclopedia
di
Heidelberg del 1817 il
testo è assai diverso da
quello del 1830, mentre
nella seconda edizione
del 1827 la dottrina dei
tre sillogismi manca
addirittura.
Coscienti di queste
difficoltà e del fatto che
dietro certi bizantinismi
filologicisinascondeun
problemaessenzialeper
la comprensione del
pensiero hegeliano, si
può tentare un abbozzo
di risposta, anche alla
luce di quanto sono
venuto dicendo. In
primoluogo,ècertoche
coni§§su«lafilosofia»
dell’Enciclopedia,
la
logica, come punto di
partenza,
si
è
trasformata in risultato,
si
è
riempita
di
contenuto
attraverso
tutto
il
percorso
enciclopedico;nonèpiù
l’arida
grammatica
dell’esempio hegeliano,
maunaformavivente.Il
nocciolodellaquestione
è qui: come avviene il
passaggiodellalogicain
quanto prius didatticoscientifico alla logica
come
«spiritualità»,
scienza dello spirito,
ritorno
a
sé
dall’«espansione»
nel
concreto?
E,
per
converso,
come
si
retrocede
–
nell’assimilazione
abbreviata
della
«spiritualità» da parte
delsingolo–dallalogica
come
sapere
culmine
del
autocosciente
alla
logica
come
costruzione
astrattamente
insegnabile,
dal
concreto di nuovo alle
«aste»? Con due strade,
lo
sappiamo
già,
convergenti. Ora, quel
che Hegel vuol dire è
che sia il percorso
didattico-scientifico
(primo sillogismo), sia il
«conoscere soggettivo»,
l’essere immersi nella
riflessione
(secondo
sillogismo),
nei
confronti
dell’«idea
della filosofia», della
logica in quanto vetta
dell’attività spirituale,
sono due apparenze.
Ossia: la verità più alta
non è né la costruzione
didattica (che deve
ricorrere alla «forma
estrinseca
del
trapasso»),
né
l’accostarsi soggettivo
allascienza(chehatutti
gli
svantaggi
della
riflessione
e
della
soggettività), bensì il
movimento unitario nel
conoscere della Sache
selbst,
che
solo
astrattamente si può
distinguere
nel
movimento
oggettivo
del primo sillogismo e
in quello soggettivo del
secondo. È «la natura
della cosa, il concetto,
ciò che si muove e
svolge,
e
questo
movimento è altresì
l’attività del conoscere»
(§ 577); è, insomma,
quella
stessa
«pulsazione vitale tanto
degli oggetti stessi,
quantodelloropensiero
soggettivo»cheabbiamo
già incontrato o, con
significativa allusione
ad Aristotele[140], è il
sistema
in
quanto
risultato, pensiero che
pensa
se
stesso,
superando nella sua
energeia le opposte
apparenze
di
processo
semplicemente
oggettivo e di
processo
semplicemente
soggettivo
conoscere.
un
un
del
Se questa ipotesi di
soluzione è corretta, le
conclusioni che se ne
possono trarre per la
comprensione
dell’intera
filosofia
hegeliana non sono
insignificanti. Intanto,
sia il preteso ordine
scientificamente
oggettivo
dell’Enciclopedia, sia il
preteso
ordine
scientificamente
soggettivo
della
Fenomenologia
o
dell’esperienza
in
genere, si dimostrano
«apparenza»,
manifestazioni parziali
della «ragione che sa se
stessa». La «verità» del
sistema è allora da
cercare
nel
terzo
sillogismo, non esposto
innessunaoperaperché
presente come totalità
(e perciò, a prima vista,
introvabile,
punto
interrogativo),
né,
d’altronde
esponibile
secondo un ordine
privilegiato, didatticooggettivo o temporalesoggettivo,inquantoèil
«semplice fuoco» sul
quale convergono i due
ordini, la possibilità di
intendere
dialetticamente il tutto
come«circolodicircoli».
Qui realmente Hegel –
comediceKierkegaard–
chiede
all’uomo
di
parlare con la «lingua
deglidèi»,dipensare,in
altri termini, i due
ordini come conservati
e
soppressi
nella
conoscenza assoluta e
di
considerare
la
ragione autocosciente
come
astrattamente
scindibile
in
un
processo oggettivo e in
uno soggettivo; chiede,
per servirci di un
paragone matematico,
che il tutto sia pensato
come un geometrale,
ossia come un solido
geometrico
(cubo,
piramideecc.)qualorasi
potesse
vedere
contemporaneamente
da tutti i lati. Questa
totalità di prospettive è
certamente impossibile
all’intuizionesensibilee
all’immaginazione, ma
non al pensiero e al
concetto,
giacché
quando penso a un
solidononhobisognodi
appoggiarmi ad alcuna
immagine
e
posso
quindi prescindere, per
intenderlo come tutto,
da ogni prospettiva, ciò
che
equivale,
hegelianamente,
affermare
che
ad
il
concetto di un solido
conserva
tutte
le
prospettivecometolteo
le contiene come lati
parziali e modi di
apparire. Tale è l’idea
del sistema nel suo
punto più alto, nel
ricongiungersi
della
logica come inizio alla
logica come ritorno in
sé. E questo spiega
anche perché vi sia
nell’itinerario
dell’esperienza
(Fenomenologia) o in
quello
del
sapere
sistematico(Enciclopedia)
un
rapporto
apparenza
e
di
di
inversione
reciproca.
Infatti, da una parte, il
cammino
dell’esperienza
della
coscienza non è solo
soggettivo – poiché
contemporaneamente
sorge il sapere –,
dall’altra, il cammino
del sapere che si
costituisce non è solo
oggettivo,
verità
neutrale
–
poiché
contemporaneamente,
nella marcia verso lo
spirito
assoluto,
si
produce e si esalta la
‘soggettività’, che si
svincola continuamente
dal suo contrario. La
verità è autocoscienza
cherientrainséefonde
in sé, nella sua attività
‘soggettiva’,
mediata
dall’oggettività astratta
e dalla soggettività
astratta, i due processi
dell’oggettività e della
soggettività
generare il
per
«sapere
assoluto»[141]. Vi è in
Hegel quindi una fame
di oggettività che lo
induce a rifiutare sia
l’idealismo soggettivo,
sialameraempiria,così
dagiungereaunaforma
di
oggettività
che
costituisce la base della
soggettività concreta, a
un pensiero oggettivo
(objektiver Gedanke)[142].
Egli
illustra
tale
concezione per mezzo
dellaFiabagoethianadel
barcaiolo,delserpentee
dei tre re (d’oro,
d’argento e di bronzo).
Parlando del re di
bronzo, Hegel dice che:
«un’autocoscienza
umana
lo
pervade
grazie
alle
vene
dell’oggettività, sicché
egli sta dritto come una
statua; queste vene
sono
svuotate
dall’idealismo
trascendentale formale
dimodochelastatuasi
accascia,edèunaviadi
mezzo tra forma e
ammasso
informe,
ripugnante
a
vedersi»[143]. In maniera
analoga,
anche
il
soggetto
si
regge
soltantofinchéilsangue
dell’oggettività (e del
sistema) continua a
circolare
in
lui:
altrimenti
crolla,
rivelando il proprio
vuotointeriore[144].
Per fare il punto in
relazione alle altre
interpretazioni, si può
affermare:
a)
che
l’ordine di successione
dei
paragrafi
dell’Enciclopedia è un
ordine
didattico
e
subalterno
rispetto
all’intero della «ragione
che sa se stessa»; esso
non è dunque l’ordine
scientifico in assoluto,
in quanto segue nella
successione
natura-spirito
logicauna
tradizioneenciclopedica
consolidata sotto forma
didivisioneinscienzadi
Dio,scienzadellanatura
e scienza dell’uomo[145];
b) che, sebbene non
manchino nel primo e
nel secondo sillogismo
le
allusioni
all’Enciclopedia e alla
Fenomenologia, non è
necessario presupporre
il
riferimento
immediato a opere
diverse dall’Enciclopedia,
e si può ben concedere
(questa volta d’accordo
con Fulda) che i tre
sillogismi
l’articolazione
siano
interna
del sistema, con la
precisazionecheilterzo
sillogismo esprime la
«vera»
natura
del
sistema, che non è
quindi
nemmeno
necessario ricorrere alla
macchinosa distinzione
fra sistema in senso
stretto e sistema in
senso lato; c) che nel
terzo
sillogismo
il
termine medio è sì la
logica, come «ragione
che sa se stessa,
l’assolutamente
universale», ma anche
come punto d’arrivo e
ragione autocosciente;
d)cheilterzosillogismo
non si riferisce a una
scienza misteriosa o
impossibile,
ma
all’«idea» stessa della
filosofiaedelsistemain
cui essa deve essere
espressa;e)cheilpunto
d’accesso al sistema
non è indifferente, il
«cominciamento» non
può
essere
astrattamente
dovunque,
bensì
è
funzionale ai diversi
scopi
(didattici,
fenomenologici, per chi
parte senza esperienza,
per
chi
ritorna
dall’esperienza) e si
conclude comunque nel
«sole» del concetto,
nella«pulsazionevitale»
tanto degli oggetti,
quanto del soggetto; f)
che
la
«coscienza
intorno
alla
forma
dell’interno muoversi
del suo contenuto»[146]
non è altro che il
«metodo»
dialettico
inseparabile
dal
contenuto del sistema;
non vi sono dunque tre
itinerari a scelta in
assoluto, secondo la
progressione dei tre
sillogismi,
ma
un
‘geometrale dialettico’
di ordine superiore
rispetto ai primi due
itinerari,
dimodoché
non è più nemmeno il
caso di far ricorso a
comuni
radici
noologiche per spiegare
quella
«Elementarstruktur» che
sembra
in
Puntel
giustificare
l’intercambiabilità delle
tre forme di unità
sistematica
e
la
permanenza di uno
stesso schema, con
successive estensioni,
nellalogica,nellanatura
e nello spirito[147]. In
conclusione, non esiste
realiter alcun passaggio
dalla logica alla natura
se
non
per
la
rappresentazione
espositiva
dell’Enciclopedia,chenon
coincide con il sistema
inquantotale.
Anche ammettendo,
dunque,
che
la
Fenomenologia
e
l’Enciclopedia abbiano la
stessa
ampiezza
–
espongano
cioè
la
totalità
sistematica
secondo due diverse
dimensioni,soggettivae
didattica – non è il loro
itinerario in quanto tale
a costituire l’idea di
sistema, ma il sapersi
della
totalità
autocosciente al quale
entrambe conducono.
Da questo punto di
vista, la domanda posta
da Ernst Bloch se, oltre
il metodo dialettico, si
possa
in
Hegel
rovesciare anche il
sistema[148],
deve
ottenere una risposta
diversadaquelladiuna
mera
inversione
dell’ordine
dell’Enciclopedia
(dal
leggere
a
rovescio,
secondo il già ricordato
suggerimento di Litt). E
la risposta è che il
sistema si rovescia,
assiemealmetodo–che
ne è la «coscienza»
inscindibile – quando il
campo
degli
interrogativi
posti
dall’epoca storica come
tutto non trova più una
soluzione adeguata e
organica. Ma ciò che fa
saltareilsistema,nonè
una
sua
semplice
obsolescenza, il fatto
che sia passato del
tempo,bensìilfattoche
si
sia
presentata
un’altra
filosofia
a
rivelare l’inadeguatezza
dellaprecedente.Esela
nuova
filosofia
si
riferisce con insistenza
aunsistemaoasistemi
precedenti, è segno,
appunto,cheessooessi
non
sono
ancora
completamente inattivi
o esauriti. E se la
filosofiahegeliananonè
certo la più alta
espressione del nostro
tempo «appreso in
pensieri»,tuttavialasua
presenza
insistente
«nella nostra sera» non
può
essere
senza
significato.
5.Espansionedel
sistemae
problemiaperti
La vera
confutazione
deve
penetrare
dov’è il
nerbo
dell’avversario
e prender
posizione
là dove
risiede la
suaforza.
Hegel,
Scienza
della
logica[149].
Il «circolo di circoli»
del sistema non è
chiusura al nuovo, ma
piuttostolasuacostante
assimilazione
per
espansione e ritorno in
sé. Come risulta ormai
dall’intero contesto –
nonché da un’ulteriore
possibilità di raffronti
più
precisi
–,
la
circolarità del sistema è
unininterrottoprocesso
di
«arricchimento»,
analogo alla «ricchezza
circolante», la quale
aumenta ogni volta la
sua
massa
in
proporzione
alle
dimensioni
già
raggiunte, inglobando il
concreto,
attraverso
contraddizioni,
e
trasformandolo
nella
sua «abbreviazione», il
danaro.
Guardiamo
ancora più da vicino
questo aspetto, che ci
permette di presentare
anche alcuni scorci
significatividellelezioni
berlinesi. Partiamo, per
ora, da questo passo
della Scienza della logica
in cui il processo di
«arricchimento»
del
pensiero nel «circolo di
circoli» è presente già
con
la
massima
precisione:
«Quella
determinatezza che era
unresultatoè,comesiè
mostrato, a cagione
della
forma
della
semplicità in cui si è
ristretta e fusa, essa
stessa
un
nuovo
cominciamento.
In
quanto
questo
cominciamento
è
distinto, appunto per
questa determinatezza,
dal suo cominciamento
precedente,ilconoscere
si va svolgendo da
contenuto a contenuto.
Prima di tutto, questo
avanzare si determina
per ciò che comincia da
determinatezze
semplici,
e
le
susseguenti diventano
sempre più ricche e
concrete.
Infatti
il
resultatocontieneilsuo
cominciamento
e
questosiènelsuocorso
arricchito di una nuova
determinatezza.
L’universale costituisce
la
base;
quindi
l’avanzamentononèda
prendersi come uno
scorrere da altro ad
altro.
Nel
metodo
assoluto il concetto si
conserva nel suo esser
altro, l’universale si
conserva nella sua
particolarizzazione, nel
giudizioenellarealtà;a
ogni grado di ulterior
determinazione,
l’universalesollevatutta
la massa del suo
contenutoprecedente,e
non solo col suo
avanzare dialettico non
perde nulla, né nulla
lasciaindietro,maporta
con sé tutto quello che
ha acquistato e si
arricchisce
e
si
condensa in se stesso.
Questo allargamento si
può riguardare come il
momentodelcontenuto
e, nell’insieme, come la
prima
premessa;
l’universale
è
comunicato
alla
ricchezzadelcontenuto,
è
conservato
immediatamente in lui.
Mailrapportohaanche
il secondo lato, il lato
negativo o dialettico.
L’arricchimento
progredisce
nella
necessitàdelconcetto,è
contenuto da questo, e
ogni determinazione è
una riflessione in sé.
Ogni
nuovo
grado
dell’andar fuori di sé,
cioè
di
ulterior
determinazione,
è
ancheunandareinsé,e
la maggior estensione è
parimenti la più alta
intensità. Il più ricco è
quindi il più concreto e
il più soggettivo, e
quello che si ritira nella
più semplice profondità
è il più potente e
invadente»[150].
arricchimento
Tale
del
pensiero,
mediante
‘circolazione allargata’ –
che è ad un tempo
aumentodiintensità(ed
ecco perché nell’ambito
spirituale
quantità
estensive e quantità
intensive
non
si
possono separare) – è
anche lo schema di
sviluppo economico e
politico di tutta la
civilisierte Welt, poiché
tutti i fenomeni più
diversi hanno la radice
comune nello Zeitgeist
che ha «dato l’ordine di
avanzare»
e
di
ingrandire le proprie
forze. Ormai «la morta
ricchezzaesiste[…]solo
nei tesori dei Cosacchi,
dei Tartari; nel mondo
civilizzato si tratta della
ricchezza circolante»,
che,
tuttavia,
si
distribuisce in maniera
estremamente
disuguale: «Nella stessa
proporzione in cui si
accresce la ricchezza, si
accresce
pure
la
miseria, se non si
provvede a deviarla
diversamente tramite
ad
esempio
la
colonizzazione»[151].
Uno dei meriti maggiori
della
francese,
Rivoluzione
con
l’abolizione
del
feudalesimo, è stato
appunto per Hegel
l’impulso dato alla
proprietà
e
alla
ricchezza circolanti, sia
pure
all’interno
di
laceranti
contraddizioni[152]. La
dialetticadel«danaro»e
del«Kapital» si presenta
informaassaiarticolata
soprattutto
nelle
Vorlesungen
über
Rechtsphilosophie
del
1824-1825.Ildanaroele
banche appaiono qui
come strutture portanti
non solo della vita
economica, ma anche
della vita politica delle
nazioni:
«Poiché
il
danaro è il grande
mezzo,
il
ceto
commercialeèoratanto
legato alla politica. Esso
è, così, particolarmente
occupato con i bisogni
dei diversi Stati in
quantocorpipolitici,eil
commercio del danaro,
le banche, ha ottenuto
questa
grande
importanza […]; dato
che gli Stati hanno
bisogno di danaro per i
loro
interessi,
essi
dipendono da questa
circolazione di danaro
(Geldverkehr)
in
sé
indipendente»[153]. Nel
periodo che precede
immediatamente
la
Rivoluzione di luglio –
che avrebbe visto i
Laffitte, i Périer e i
Rothschild
assumere
anche il controllo del
poterepolitico–nonera
sfuggito a Hegel il fatto
nuovo che il danaro, in
veste
di
potenza
astratta
e
«indipendente»,
limitava
nella
sua
assolutezza persino la
sovranità di quel dio
terreno,
di
quel
«geroglifico
della
ragione» che è lo Stato.
Del resto, a prescindere
dalla
traduzione
filosofica compiuta da
Hegel con acutezza di
questi temi, essi non
erano
poi
tanto
reconditi
per
un
contemporaneo
del
primo Balzac, per un
amico di banchieri e di
uomini d’affari, quali
Beer e August Friedrich
Bloch,
per
un
conoscitore
attento,
attraverso i giornali e
attraverso Cousin, della
grande
politica
londineseoparigina[154],
perunfrequentatoredel
salotto di Rahel, la
signora Varnhagen von
Ense, dove si discuteva
dieconomiapoliticaedi
saint-simonismo[155]. È
l’abitudineconsolidataa
vedere Hegel come
filosofo «puro» che fa
guardare
ancora
a
questasuatematicacon
l’occhio
rivolto
a
semplici
«precorrimenti»
di
Marx, mentre in realtà
si tratta di problemi
ampiamente dibattuti
(in
quell’epoca
‘prosaica’ seguita alla
caduta del mito eroico
napoleonico), che Hegel
ha comunque saputo
cogliere«nelpensiero».
Il Kapital, oltre a
possedere
questa
caratteristica di dettare
legge ai governi, ha
anche
la
mirabile
capacità di crescere per
forza
propria,
di
sconfiggere
i
concorrenti più deboli e
di costringere gli operai
a lavorare a salari più
bassi:
«Quanto
più
grande è il capitale, più
grandi sono le imprese
chesipossonocondurre
a
termine,
e
il
possessore del capitale
può accontentarsi di un
profitto minore, per cui
il capitale viene di
nuovo ingrossato […] In
una
situazione
di
grande
miseria,
il
capitalista trova molta
gente che lavora per un
salario minore e ciò ha,
a sua volta, come
conseguenza
che
i
capitalisti più piccoli
cadono in miseria»[156].
La«logica»delcapitaleè
un
circolo
di
espansione,
di
lievitazione dialettica,
ma non è facile entrare
dentro di esso, né è
facilelosvilupposenon
si è raggiunto un certo
grado
quantitativo.
Infatti, tale logica si
riassume
nella
proposizione hegeliana:
«A chi ha già, a questo
vien dato», e, per
converso,achihapoco,
anche questo poco vien
tolto. La ricchezza si
alimenta della povertà
dei più: «La ricchezza,
come
ogni
massa,
diventa
forza.
L’accumulazione della
ricchezza si verifica in
parte per caso, in parte
per
l’universalità
prodottadalladivisione.
Èunpuntomagneticoin
un modo tale che esso
getta il suo sguardo su
tutto il resto e lo
raccoglie in sé – come
unamassagrandeattira
a sé la massa più
piccola. A chi ha già, a
questo vien dato. Il
guadagno diventa un
sistema multilaterale, che
dàprofittodatuttiilati,
cheun’impresapiùpiccola
non può utilizzare»[157].
Inoltre:«Chihacapitale,
può guadagnare.Questa
però è soltanto la
condizione di base,
l’elemento principale è
costituito
dall’abilità.
Ma essa, a sua volta, è
condizionata
capitale, poiché
dal
[per
conseguirla] ci vogliono
spese, da investire solo
sul soggetto, senza che
nel frattempo questi
produca
dapprima
qualcosa di scambiabile
(ein Vertauschbares)»[158].
L’avanzare
della
ricchezza e del capitale
avviene – come è noto
anche dalla Filosofia del
diritto del 1821 –
attraverso
immani
rivolgimenti sociali e la
condanna di grandi
masse
d’uomini
all’abbrutimento,
alla
«ribellione interiore» e
al risentimento della
povertà. L’introduzione
delle
macchine
ha
provocato, da un lato,
un vertiginoso aumento
della
produzione,
dall’altro
l’ottundimento
spirituale del lavoro di
fabbrica, i bassi salari e
la
disoccupazione.
Tuttavia,perHegel,non
sipuòtornareindietroa
improbabili stati di
natura, a ‘robinsonate’,
né
si
può
utopisticamente
immaginare
una
qualche
soluzione
immediata,
bisogna
accettare
le
contraddizioni e trovare
una soluzione che passi
attraverso di loro: Hic
Rhodus, hic salta![159]
Certo,
la
miseria
generata dal capitale e
dall’industria
è
impressionante: «Non
possiamo
neppure
immaginare come a
Londra, questa città
infinitamente
ricca,
siano spaventosamente
grandi
indigenza,
miseria,
povertà.
Accrescendosi,
la
ricchezza si concentra
in poche mani; e una
volta verificatasi questa
differenzapercuigrossi
capitali sono in poche
mani, ciò permette di
guadagnare vendendo a
prezzipiùbassidiquelli
consentiti
da
un
capitale più ridotto,
sicché la differenza
diviene sempre più
grande»[160]. Gli operai
se la prendono con le
macchineelespaccano:
«in Inghilterra sono
[state] in parte distrutte
da operai disoccupati
(brodtlose Arbeiter); ma
gli uomini potrebbero
essere utilizzati per
qualcosa di meglio che
non per le operazioni
che sono in grado di
svolgere
le
macchine»[161].Ilfattoè,
però, che il lavoro, una
voltaricondottoapoche
operazioni
semplicissime, secondo
la scissione imposta
dall’«intelletto»,
non
richiedepiùuomini,ma
soltanto
macchine:
«Non appena il lavoro è
diventato del tutto
semplice,
astratto,
allora si può sostituire
l’uomoconlemacchine.
L’Inghilterra
avrebbe
bisogno
di
molte
centinaia di migliaia di
uomini per sostituire il
lavoro delle macchine.
Gli operai, soprattutto
gli operai di fabbrica,
che perdono il loro
sostentamento a causa
delle
macchine,
divengono facilmente
scontenti, e bisogna
necessariamente
schiudere loro nuovi
settori»[162].
Hegel
sembra
adombrare
molto
cautamente
l’ipotesi che il lavoro
delle macchine (dato
cheaumentailprodotto
socialecomplessivo,pur
sacrificando i singoli)
possa essere alla fine
uno
strumento
di
liberazione, nel senso
che
le
macchine
potrebbero
svolgere
quei compiti per i quali
l’uomo è sprecato e gli
uomini potrebbero fare
«qualcosa di meglio»:
«L’industria sarà certo
abbandonata
spontaneamente,
ma
col sacrificio di questa
generazione
e
l’accrescimento
della
povertà»[163]. Passato un
determinato
periodo,
presumibilmente non
limitato
a
«questa
generazione», sarà forse
lecito liberarsi dagli
effetti
negativi,
individuali e sociali,
dell’industrializzazione
e del lavoro meccanico:
«Inoltre, l’astrazione del
produrre rende il lavoro
sempre più meccanico
e, quindi, alla fine, atto
a che l’uomo ne sia
rimosso e possa essere
introdotta, al suo posto,
la macchina»[164]. Ma
attualmente,
questa
soluzioneèprematurae
la difficoltà di trovare
unosbocconelpresente
alle
contraddizioni
spinge verso l’ottativo o
il
passato
remoto:
«L’orripilante
descrizione
della
miseria,
la
impedisce
quale
la
soddisfazione
dei
bisogni, la troviamo
particolarmente
in
Rousseau e in alcuni
altri. Si tratta di uomini
profondamente colpiti
dalla miseria del loro
tempo, del loro popolo,
di
uomini
conoscono
che
profondamente
ed
espongono in modo
commovente
la
corruzione etica che ne
deriva, la rabbia, la
ribellione degli uomini
per la loro miseria, per
lacontraddizionefraciò
cheessisonoingradodi
pretendere
e
la
condizione in cui si
trovano,
la
esasperazione per tale
contraddizione,
la
vergogna per questa
situazione e con ciò
l’interna amarezza, la
cattiva volontà che ne
scaturisce. Tutto questo
è causato veramente
dalla
società
civile
(bürgerliche Gesellschaft),
e,nellaribellionecontro
tutto ciò, quegli spiriti,
che
pensavano
e
sentivano
profondamente,l’hanno
rifiutataesonpassatiad
un altro estremo. Essi
non hanno visto altra
salvezza in quanto tale
che nell’abbandonare
interamente un sistema
(ein
System
ganz
aufzugeben) e, giacché
non potevano negare i
vantaggi della società
civile, hanno ritenuto
più
vantaggioso
sacrificarla interamente
e ritornare ad una
situazionechesiasenza
bisogni così molteplici,
ad uno stato di natura
comequellodeiselvaggi
del
Nord-America,
pressoiqualilamiseria
e l’infelicità non può
aver luogo così»[165].
Non si sono accorti che
non è più possibile
tornare indietro e che,
anzi, persino quelle
zone
residue
di
naturalità
e
di
limitazione dei bisogni
stanno
per
essere
travoltedaun«sistema»
economico
che
ha
necessitàdinonlasciare
fuoridiséildiversonon
assimilato,
di
espandersi se non vuol
morire, un sistema che
è
costretto
ad
«avanzare»: Esso deve
artificialmente svegliare
i bisogni dei popoli per
poter esportare, e deve
esportareperinfrangere
divoltainvoltailcircolo
sovrapproduzione/sottoco
In tal modo, le nazioni
che più soffrono di
quest’ultima
contraddizione irrisolta,
e
della
sua
più
macroscopica
conseguenza sociale (il
contrasto fra grande
ricchezza e grande
povertà),
cercano
l’espansione
nella
conquista di nuovi
mercati non saturati,
esportando
contemporaneamente
«corruzione»
negli
ordinamenti dei paesi
che ricevono le merci, e
civiltà: «Con gli inglesi
ciò avviene soprattutto
mediante donazioni di
armi, polvere da sparo,
stoffe,
acquavite,
[mediante] fiere. La
felice situazione di una
tale nazione che ha un
commercio mondiale è
che il suo benessere è
connesso al benessere
delmondointero,lasua
cultura alla cultura di
tutti i popoli; il suo
benessere è fondato sul
benesserecosmopolitico
di tutte le nazioni. In
quanto queste nazioni
imparano a conoscere i
bisogni, escono dallo
statodinatura,vengono
corrotte; d’altro canto
esse devono creare i
mezzi per i loro bisogni
– i regali si fanno solo
all’inizio
–
hanno
necessità di lavorare,
sono spinte all’attività,
sono portate a prender
coscienza di ciò, a
questa autocoscienza;
ne scaturisce sicurezza
della proprietà, rispetto
dei trattati, e tali
nazionipervengonocosì
alla cultura (Bildung)
etica»[166].
Il «circolo di circoli»,
la
totalità
in
movimento, si plasma
così nella realtà e nella
coscienza attraverso la
corruzione
portata
dall’astratto, dal danaro
e dal pensiero, dai
nemici
di
ogni
immediatezza naturale,
rappresentati
socialmente
dalla
«classeindustriale»(che
comprende tutti i ceti
produttivi, ossia, oltre
agli industriali in senso
stretto, gli operai e gli
artigiani), nella quale si
manifesta
maggiormente
la
«coscienza
della
libertà»[167]. Ma la loro
prevalenza
è,
per
converso, un indice
della
crisi
e
del
«tramontare» di un
mondo reale, che si
manifesta
con
la
formazione
della
«plebe» e l’atomismo
della società civile. Al
pari delle astrazioni
giuridiche
dominanti
nell’antica Roma (in
presenza di una plebe
corrotta e di governanti
incapaci di frenare il
declino e la caduta
dell’impero), anche in
età moderna astrazione
e disgregazione sociale,
«scienza» e «rovina» di
un
popolo,
si
presentano
assieme.
L’importanza assunta
dalla società civile, e la
forte sottolineatura del
ruolo
dello
Stato,
devono ricondursi a
questa crisi storica, alla
necessitàdisubordinare
e
controllare
disgregazione,
la
di
arginaregliinteressidei
singoli convogliandoli
verso
l’«universale
concreto»,
la
mediazione attiva di
universalità
e
particolarità.
Il
tramonto sul quale si
innalza la civetta della
filosofia è per Hegel
questa
dissoluzione
etica: «Il fenomeno del
tramontare ha le sue
diverse
forme;
la
corruzione
prorompe
dall’interno,lecupidigie
si scatenano, le entità
singole cercano la loro
soddisfazione,
modo
lo
in tal
spirito
sostanziale
viene
sconfitto e distrutto. Gli
interessisingoliattirano
a sé le energie e le
capacità che prima
erano dedicate al tutto
[…] Gli individui si
racchiudono in sé e
tendono a fini propri;
abbiamo
già
fatto
osservare come ciò sia
la rovina del popolo;
ognuno si propone i
suoi fini secondo le
propriepassioni.Manel
tempo stesso, in questo
ritirarsi dello spirito in
sé, il pensiero si fa
innanzi
particolare
come
realtà, e
nasconolescienze.Così
le scienze e la rovina, il
declino di un popolo
vanno sempre di pari
passo»[168]. Tuttavia – a
differenza delle epoche
precedenti – esiste per
Hegel nel suo tempo la
possibilità di guidare la
crisi, di gestire in
qualche
misura
il
mutamento
gettando
luce
sui
lati
più
distruttivi e corrosivi
delle presenti forme di
vitaassociata.
Perché ciò accada, si
devono scoprire nel
pensieroerealizzarenel
mondoleistituzioniatte
a
canalizzare
creativamente l’energia
potenziale
degli
elementi che generano
la crisi. Infatti, da un
lato non è pensabile
l’eliminazione
degli
egoismi
e
delle
contraddizioni
della
società civile senza un
regredire astratto allo
stadio dei «selvaggi del
Nord-America», senza
rinunciareallosviluppo;
dall’altro, son proprio
questiegoismiscatenati
– come espressione
individuale di rapporti
sociali – a produrre la
corruzionedelpresente,
di cui la filosofia è la
coscienza e il tentativo
di
andare
oltre.
Nell’urgenza
stessa
della questione del
sistema
in
Hegel,
nell’architettonica della
relazionefrailtuttoele
parti si ha la cifra della
situazione storica del
tempo,
l’allegoria
filosofica più alta ed
‘abbreviata’ dell’epoca
trascritta in pensieri: la
ricerca di una perpetua
ricomposizione
della
totalità che, stimolata
dalla contraddizione e
dalla disgregazione, si
realizzi
mediante
l’espansione; l’avvertito
bisogno–senonsivuol
scardinare il «sistema»
della realtà sociale – di
conservare in posizione
subalterna,
teleologicamente
asservita, quella stessa
cecità istintuale che è
«l’elementoattivo»della
crisi.
MaconlaRivoluzione
diluglioinFranciaecon
il progetto di riforma
elettorale in Inghilterra,
per Hegel l’orizzonte
storico si oscura di
nuovo: i conflitti si
fanno più acuti e le
soluzionipiùdifficili[169].
Come
potrà
rappresentare
l’interesse
collettivo
quellostessoStatocheè
subordinato
alla
ricchezza dei privati?
Come potrà trovarsi un
equilibrio
politico
stabile, dopo la già
ricordata «farsa» dei
quindici anni della
Restaurazione[170], che
tocca
ormai
molti
aspetti dell’esperienza
comune? Come potrà
porsi
rimedio
alla
povertà, che ha assunto
proporzioni tali che
neppure lo sbocco della
colonizzazione,
presentatonellaFilosofia
del diritto, sembra più
sufficiente?
«Si
è
proposto di fondare
colonie per far partire il
sovrappiù dei poveri,
ma
perché
questa
misura sia efficace
dovrebbe
assicurare
l’esodo di almeno un
milione di abitanti; e
come ottenere questo
risultato?»[171].
In
Inghilterra, inoltre –
dove maggiore è lo
sviluppo economico e
sociale, ma anche il
divario di ricchezza e
povertà – i contrasti,
provocati dalla tenace
difesa dei privilegi da
parte
della
classe
dirigente,
presentano
un’asprezza
estrema:
«l’attivitàlegiferantedel
parlamentoresta,anche
dopo
la
riforma
elettorale, nelle mani di
quella classe che è
tenuta
dai
suoi
interessi, e più ancora
dalle
sue
caparbie
abitudini, nell’ambito
del vigente sistema di
proprietà,echefinorasi
è preoccupata soltanto
di
affrontare
le
conseguenze
del
sistema
quando
il
bisogno e la miseria
diventano
troppo
clamorosi,
ma
con
palliativi (come il Subletting Act) o con pii
desideri
(che
chi
possiede beni in Irlanda
vi stabilisca la sua
residenza, e simili)»[172].
L’ottusa
difesa
dei
privilegifeudalidaparte
dell’aristocrazia terriera
britannica(nellaqualeè
soprattutto «radicato e
imperturbabile
il
pregiudizio che colui al
quale
nascita
e
ricchezza danno una
carica, riceva insieme
l’intelligenza necessaria
a esercitarla»)[173] porta
a stridenti ingiustizie:
«Nell’Inghilterra vera e
propriaaicontadinivien
reso
impossibile
possedere dei campi:
ridotti al rango di
fittavoli o di giornalieri,
cercano, in parte, quel
lavoro che è offerto
dall’opulenza inglese, e
in particolare dalle
immense
fabbriche,
quando sono in periodo
di prosperità; ma assai
più
di
questo,
a
proteggerli
dalle
conseguenze
della
estrema miseria sono le
leggi sui poveri, che
fanno obbligo a ogni
parrocchia
di
provvedere
ai
suoi
poveri»[174]. Ancor più
duramente i proprietari
inglesi si comportano
con
i
contadini
irlandesi: «se trovano
più
redditizia
una
cultura agricola per la
quale abbiano bisogno
di minor mano d’opera,
cacciano dalle loro
campagne, che non
erano proprietà degli
abitanti, centinaia e
migliaia di contadini i
quali, proprio come i
servi della gleba, erano
legatiaquelsuoloperil
lorosostentamento,ele
cui famiglie da secoli
abitavano
capanne
edificatesuquellaterra,
e la coltivavano; così a
coloro che erano già
senza alcuna proprietà,
viene tolta anche la
patria, e la tradizionale
possibilità di lavoro, e
tutto ciò per via legale.
Ed è legale che i
proprietari,
onde
cacciare una volta per
tutte i contadini da
quelle capanne, ed
evitare che ritardino la
partenza, o che tornino
di soppiatto sotto quel
tetto,
le
facciano
incendiare»[175].
DallaFrancialascossa
rivoluzionaria
si
è
propagata in Europa, e
inInghilterrahaportato
alla formulazione di un
Reformbill per abolire i
«borghi putridi» e per
ammettere
in
parlamento anche i
rappresentanti
della
ricca borghesia. In tal
modo è sorto «il timore
da una parte, e la
speranza dall’altra, che
la riforma del sistema
elettoraleporteràconsé
altre
riforme
materiali»[176].
La
«plebe» dà ora segni di
maggior inquietudine:
spacca le macchine a
vapore in Inghilterra e
prende
in
Francia
iniziative politiche che
dovrebbero spettare al
governo[177]. Hegel è
indubbiamente
preoccupato e inquieto
per questo riaprirsi di
prospettive
rivoluzionarie in tal
forma,forseperchéesse
incrinano «trop la base
sur laquelle repose la
liberté»[178] e comunque
perchépossonosfuggire
a
ogni
controllo
‘razionale’. Ma si sforza
di comprenderne il
senso, di prestar loro
ascolto:
l’aristocrazia
ingleseritienesuperfluo
indagare i fondamenti
dell’organizzazione
politica e del diritto
vigente,
«mentre
i
popoli che ne sentono
l’oppressione,
sono
stimolati a far ciò dalle
miserie esteriori, e dal
bisogno della ragione
che esse suscitano»[179].
L’oppressione
e
le
miserie
esteriori
spingono nuovamente
la filosofia all’indagine,
alla prefigurazione di
soluzioni razionali per
una crisi reale. Dopo le
giornate parigine del
luglio 1830 la talpa ha
ripreso a scavare più
alacremente
in
un
mondo che comincia a
farsi più buio, anche se
nonèancoragiuntoalla
«notte polare di fredde
tenebre e di stenti»[180],
qualesimanifesteràpiù
tardi. L’atteggiamento
hegeliano diventa allora
più «amletico»[181], ma
nel senso della talpa: in
un appunto che egli
aveva preparato per
l’introduzione al corso
difilosofiadeldirittodel
1831-1832, al posto
tenuto dalla civetta
nellaPrefazionedel1820,
compare
ora
la
«talpa»[182], quasi a
significare
che
l’avvenire è segnato
dalle
oscure
forze
dell’istinto e che l’unica
cosa che gli occhi di
civetta della filosofia
sembrano ora cogliere è
proprio l’incertezza del
futuro. Il mondo ha di
nuovo accelerato il suo
movimento inconscio,
costringendo la filosofia
a portare i propri ‘lumi’
in un crepuscolo su cui
incombe lo «spirito
nascosto, che batte alle
porte del presente». Il
lavoro di decifrazione
della realtà effettuale
attraverso il pensiero
non
può,
dunque,
giungereacompimento.
[1]
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften. Vorrede zur
zweiten Ausgabe, cit., vol. I,
pp.14-15.
[2] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 40 (trad.
it.cit.,vol.I,p.40).
[3] Ibid., p. 39 (trad. it. cit.,
vol.I,pp.39-40).
[4] Allusione al metodo
pedagogico
l’apprendimento
lettura di H.
per
della
Stephani,
Handfibel oder Elementarbuch
zum Lesenlernen, Erlangen,
1802; Id., Fibel für Kinder von
edler Erziehung, nebst der
Methode für Mutter, die Kinder
in kurzer Zeit zu lesen zu
lehren,Erlangen,1807.
[5] Hegel an Niethammer, 10
ottobre 1811, in Briefe, cit.,
vol.I,p.390(trad.it.cit.,vol.
II, p. 168: ho modificato la
traduzione).
[6] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 12 (trad.
it.cit.,vol.I,p.12).
[7] Ibid., p. 13 (trad. it. cit.,
vol.I,p.13).
[8] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§396Z.
[9]Ibid.
[10]HegelanNiethammer,24
marzo 1812, in Briefe, cit.,
vol.I,p.398(trad.it.cit.,vol.
II,p.179).
[11]Hegel,Vorlesungenüber
die Aesthetik, cit., vol. X1, p.
15(trad.it.cit.,p.15).
[12] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 22 (trad.
it.cit.,vol.I,p.22).
[13]Hegel,Vorlesungenüber
die Aesthetik, cit., vol. X1, p.
15(trad.it.cit.,p.15).
[14] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.28(trad.it.
cit.,vol.I,pp.26-27).
[15] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§21Z.
[16]Ibid.,§19Z1.
[17]Ibid.
[18] Sulle idee e l’attività
pedagogica di Hegel, cfr. G.
Schmidt, Hegel in Nürnberg.
Untersuchungen zum Problem
der
philosophischen
Propädeutik, Tübingen, 1960;
F. Heer, Hegel und die Jugend,
in «Frankfurter Hefte», XXII
(1967), fascicolo 5, pp. 323332; F.L. Luqueer, Hegel as
Educator (1896), rist., New
York, 1967. Su Hegel a
Norimberga, nel periodo di
composizione
della
Wissenschaft der Logik, cfr.,
oltre ai classici lavori
biografici,
anche
W.K.
Schultheiss, Geschichte der
Schulen
in
Nürnberg,
Nürnberg, 1853-1854; W.R.
Beyer, Hegel «Lokal-Schulrat»,
in Hegeliana, a cura di L.
Sichirollo, Urbino, 1965, pp.
61-69;K.Hussel,Hegelrettore
e insegnante del Gymnasium,
ibid.,pp.70-79;GeorgWilhelm
Friedrich Hegel in Nürnberg
1808-1816, con contributi di
W.R. Beyer, K. Lanig e K.H.
Goldmann, Nürnberg, 1966;
GeorgWilhelmFriedrichHegel.
RektorinNürnberg1808-1816,
s.l. e s.d. (ma Nürnberg,
1967: commemorazioni del
Gymnasium di Norimberga
per il centocinquantesimo
anniversario – 1816-1966 –
dellapartenzadiHegeldalla
città).
[19] Hegel an Sinclair, metà
ottobre 1810, in Briefe, cit.,
vol.I,p.332(trad.it.cit.,vol.
II,p.108).
[20] Hegel an Von Raumer, 2
agosto 1816, in Briefe, cit.,
vol. II, p. 100 (trad. it. cit.,
vol.II,p.319).
[21]HegelanNiethammer,24
marzo 1812, in Briefe, cit.,
vol.I,p.397(trad.it.cit.,vol.
II,p.178).Iclericalibavaresi
della
Schulplans-Sozietät,
diretta dal conservatore
CajetanWeiller(autoredella
Einleitung zur freien Ansicht
der Philosophie, München,
1804), avevano elaborato e
fattointrodurredalgoverno,
nel 1804, un piano di
insegnamento per i ginnasi
che limitava (per poter
legare gli insegnanti) lo
studio della filosofia alla
storia
della
filosofia,
vietando
cioè
ogni
esposizione sistematica e
libera delle filosofie più
recenti,
sospettate
di
tendenze rivoluzionarie. Il §
45 di questo Lehrplan für alle
kurpfälzischen Mittelschulen
oder für die sogenannten
Realklassen
(Prinzipien),
Gymnasien
und
Lyceen,
München, 1804 e l’Über das
Verhältnis des philosophischen
Versuchs zur Philosophie,
München, 1812, insistevano
appunto sulla necessità di
coltivare
il
sentimento
contro
la
«costrizione
sistematica». Sul carattere
«oscurantista» di questi
piani
cfr.
Hegel
an
Niethammer,20maggio1808,
Briefe,cit.,vol.I,p.231(trad.
it. cit., vol. I, p. 353), dove si
dice che il sistema è
considerato dai bavaresi
come«unchiodointesta»e,
in generale, S.H. Löwe, Die
Entwicklung des Schulkampfes
in
Bayern,
bis
zum
vollständigen
Sieg
des
Neuhumanismus, Berlin, 1917
(e il maggior rappresentante
del
neoumanismo
proprioNiethammer).
era
[22] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.II,p.224(trad.
it.cit.,vol.II,p.662).
[23]Ibid.,vol.II,pp.230-231
(trad. it. cit., vol. II, p. 669).
Sulla
logica,
nel
suo
carattere
di
«scienza
formale», cfr. L.B. Puntel,
Darstellung, Methode und
Struktur. Untersuchungen zur
Einheit der systematischen
PhilosophieG.W.F.Hegels,cit.,
pp. 52 ss., che paragona il
passaggio dalla logica alla
filosofia della natura al
convertirsi o capovolgersi
(das Umschlagen) della forma
nel contenuto, cfr. Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§133A(trad.
it.cit.,p.127).Talecarattere
formale
ha
fatto
erroneamente pensare che
anche la logica si trovi
ancora sul piano della
«riflessione», mentre essa è
già una dimensione dello
speculativo, della totalità
sistematica(perlariduzione
dellalogicaariflessione,cfr.
M. Wetzel, Reflexion und
Bestimmtheit
in
Hegels
Wissenschaft
der
Logik,
Hamburg, 1968, ma sulla
«riflessione»
si
vedano
anche M. Theunissen, Sein
und Schein. Die kritische
Funktion der Hegelschen Logik,
Frankfurt a.M., 1980; L.
Hüllen,
Herkunft
und
Bedeutung
der
Reflexionsbestimmungen
in
Hegels Wesenslogik, Diss.
Universität Bonn, 2006 [on
line:
http://hss.ulb.unibonn.de/2006/0899/0899.htm])
Sul rapporto logica-sistema,
comepassaggiodaunaparte
al tutto, cfr. M. Clark, Logik
andSystem, The Hague, 1971
e,
in
particolare,
sul
problema della soggettività
nella logica, K. Düsing, Das
Problem der Subjektivität in
Hegels Logik. Systematische
und entwicklungsgeschichtliche
Untersuchungen zum Prinzip
des Idealismus und zur
Dialektik,in«Hegel-Studien»,
vol.suppl.16,Bonn,1976,in
particolarepp.209ss.
[24]Cfr.Hegel,Wissenschaft
der Logik, cit., vol. II, p. 414
(trad.it.cit.,vol.II,p.864).
[25]Cfr.piùavanti,pp.353
ss.
[26] Cfr. Th. Litt, Hegel.
Versuch
einer
kritischen
Erneuerung,Heidelberg,1961.
[27]Hegel,Vorlesungenüber
die Philosophie der Religion, a
cura di G. Lasson, cit., vol. I,
p. 144 (trad. it. cit., vol. I, p.
191).
[28]
Lenin,
Filosofskia
Tetradi, trad. it. cit., pp. 176177.Unaconfermadiquesto
modo
hegeliano
di
procedere
viene,
da
tutt’altro punto di vista,
dall’articolo di K. Düsing,
Syllogistik und Dialektik in
Hegels spekulativer Logik, in
Hegels Wissenschaft der Logik,
a cura di D. Henrich,
Stuttgart,1986,pp.15-38.
[29]
Hegel,
Jenenser
Realphilosophie II, cit., p. 272
(trad. it. cit., p. 215). Cfr.
Phänomenologie des Geistes,
cit., p. 433 (trad. it. cit., vol.
II,pp.304-305).
[30]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XIII, p. 43 (trad. it.
cit., vol. I, p. 41). Cfr.
EinleitungindieGeschichteder
Philosophie, cit., p. 34. Ma il
parallelismofralalogicaela
storia della filosofia non è
privo di vuoti o di
distorsioni: ad esempio, se
Leucippo corrisponde al
livello logico dell’«essereper-sé», manca tuttavia chi
rappresentinellastoriadella
filosofia la categoria del
Dasein: «Veramente quando
si procede per via logica
dall’essere e dal divenire a
questa determinazione del
pensiero, appare prima
l’essere determinato ma
questo rientra nella sfera
dellafinità,enonpuòquindi
diventar principio della
filosofia.Sedunqueanchelo
svolgimento storico della
filosofia deve corrispondere
allosvolgimentodellalogica
filosofica,
anche
in
quest’ultimadevonotrovarsi
dei
punti,
che
nello
svolgimento storico invece
non appaiono. Se per
esempio
si
volesse
considerare come principio
l’esistenza,s’avrebbeciòche
noi abbiamo nella nostra
coscienza: vale a dire che
esistonocose,cheessesono
finite, che hanno relazione
l’una con l’altra; insomma,
s’avrebbe la categoria della
nostra coscienza priva di
pensiero, della parvenza»
(Hegel, Vorlesungen über die
GeschichtederPhilosophie,cit.,
vol. XIII, p. 326, trad. it. cit.,
vol. I, p. 333). Hegel si
contenta di dire, alludendo
alle discrepanze fra serie
logica e serie storica delle
filosofie, che la spiegazione
«ci
porterebbe
troppo
lontano dal nostro scopo»
(EinleitungindieGeschichteder
Philosophie, cit., p. 35). Un
ulteriore
macroscopico
esempio di non-coincidenza
fra logica e storia della
filosofia è, come vedremo, il
Medioevo, che, pur essendo
rappresentato nella Storia
della filosofia, non porta
alcun contributo categoriale
allaScienzadellalogica.
[31]SecondoTh.Litt,Hegel.
Versuch
einer
kritischen
Erneuerung, cit., la logica
hegeliana sarebbe appunto
«autarchica» rispetto alla
realtàeneprescinderebbe.
[32] Hegel, Phänomenologie
desGeistes,cit.,p.26(trad.it.
cit.,vol.I,p.24).
[33] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 13 (trad.
it.cit.,vol.I,p.13).
[34] Hegel, Auszüge und
Bemerkungen, in Berliner
Schriften, cit., p. 731. È
curioso,
ma
anche
indicativo, l’abbondante uso
di abbreviazioni fatte da
Hegel nei suoi manoscritti
(cfr. l’elenco nell’Editorischer
Bericht a Hegel, Jenaer
Systementwürfe II, cit., pp.
354-355).
[35] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.7(trad.it.
cit.,vol.I,p.7).
[36] Sulla «chiusura del
pensiero»insestessocheci
sarebbe in Hegel cfr. H.
Kimmerle, Das Problem der
Abgeschlossenheit
des
Denkens. Hegels «System der
Philosophie» in den Jahren
1800-1804,
in
«HegelStudien», volume suppl. 8,
Bonn, 1970 e, in particolare,
pp.
286,
294-295:
«Il
riferimentoaquellochenon
è pensare viene in Hegel in
tal modo interrotto. Il
pensare viene sviluppato
come cerchio che ritorna su
se stesso, cerchio in cui fin
dall’inizio è da presupporre
ciò che deve divenire, e in
cui non diviene nient’altro
se non ciò che è già
contenuto nel presupposto
[…] Il problema hegeliano
dell’andare al di là della
scissione ha invero la sua
risposta solo mediante il
pensare,mediantelafilosofia,
ma non solo nel pensare,
nella filosofia, come un
sistemainséconchiuso».
[37] Plotino, Enneadi, III,
7,12. Per un inquadramento
del testo, cfr. Plotino,
L’eternità e il tempo (Enneade
III7),trad.ecommentodiF.
Ferrari e M. Vegetti, Milano,
1991. Per l’interpretazione,
secondo cui la logica
annullerebbe il tempo, cfr.
A. Massolo, Ricerche sulla
logica hegeliana (1944), in
Logica hegeliana e filososofia
contemporanea, a cura di P.
Salvucci,Firenze,1967,p.27.
[38] Goethe, Faust I, vv.
1908-1929(cfr.Goethe,Faust,
trad. it. di F. Fortini, Milano,
1970, p. 147). I calzari
spagnoli erano strumenti di
tortura.
[39] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften,§183Z.
[40] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 16 (trad.
it.cit.,vol.I,p.17).
[41]Ibid.,p.16(trad.it.cit.,
vol.I,p.16).
[42] Cfr. Schiller, Das Ideal
und das Leben, e Hegel,
VorlesungenüberdieAesthetik,
cit., vol. X1, p. 201 (trad. it.
cit.,p.179).
[43] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 41 (trad.
it.cit.,vol.I,p.41).
[44]Apropositodella«rete
adamantina»
e
delle
metaforedellatrasparenzaè
da ricordare l’interesse di
Hegel (e di Goethe) per le
teorie di Malus, cfr. E.-L.
Malus, Théorie de la double
refractiondelalumièredansles
substances cristallisées, Paris,
1810,chetrattaampiamente
delle proprietà della luce in
rapporto ai corpi diafani (su
Malus
cfr.
Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§278A,trad.
it.cit.,pp.248-249).
[45] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 19 (trad.
it.cit.,vol.I,p.19).Suquesta
logica
naturale
delle
categorie,
che
resta
inavvertita,
cfr.
K.
Harlander,
Absolute
Subjektivität und kategoriale
Anschauung.
Eine
Untersuchung
der
Systemstruktur bei Hegel,
Meisenheim am Glan, 1969,
pp.40ss.
[46] Hegel, Einleitung in die
GeschichtederPhilosophie,cit.,
p.32.
[47] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,pp.4-5(trad.
it.cit.,vol.I,p.5).
[48]
Cfr.
Hegel
an
Niethammer,20maggio1808,
in Briefe, cit., vol. I, p. 229
(trad. it. cit., vol. I, p. 352):
«nessuno
sa
più
intraprendere alcunché con
questa vecchia logica; ce la
si trascina dietro come un
vecchio lascito e questo
unicamente perché non
esiste ancora un altro
surrogato, il cui bisogno è
universalmentesentito».Per
un giudizio tagliente sulla
logica di Fries, fondata
sull’antropologia, cfr. Hegel
an Niethammer, 10 ottobre
1811,inBriefe, cit., vol. I, pp.
388-389 (trad. it. cit., vol. II,
pp.166-167).
[49] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.5(trad.it.
cit.,vol.I,p.5).
[50] Ibid., vol. II, p. 459
(trad.it.cit.,vol.II,p.911).
[51]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 623 (trad. it.
cit.,vol.III,2,p.417).
[52] Ibid., p. 623 (trad. it.
cit.,vol.III,2,p.417).
[53] Ibid., vol. XIII, p. 55
(trad.it.cit.,vol.I,p.53).
[54] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 14 A (trad.
it.cit.,p.19).
[55] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 27 (trad.
it.cit.,vol.I,p.27).
[56] Hegel, Aphorismen aus
der Jenenser Periode, cit., p.
551 (trad. it. cit., p. 73 nota
59).
[57] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 40 (trad.
it.cit.,vol.I,p.41).
[58]Ibid.,p.41(trad.it.cit.,
vol.I,pp.41-42).
[59]Ibid.,p.33(trad.it.cit.,
vol.I,p.33).
[60]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 110 (trad. it.
cit.,vol.III,1,p.117).
[61] Cfr. ibid., pp. 113-114
(trad. it. cit., vol. III, 1, pp.
120-121).
[62] Cfr. Hegel, Philosophie
derWeltgeschichte,cit.,p.859
(trad. it. cit., vol. IV, p. 124):
«Come l’Europa offriva in
generale
l’universale
spettacolo
di
lotte
cavalleresche, di guerre e di
tornei,cosìessaeraancheil
teatro
dei
tornei
del
pensiero.Èinfattiincredibile
lo sviluppo a cui furono
portate le forme astratte del
pensiero e l’abilità degli
individui nel muoversi in
esse».
[63] Cfr. Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie, cit., vol. XV, p.
108(trad.it.cit.,vol.III,1,p.
115).
[64] Ibid., p. 140 (trad. it.
cit.,vol.III,1,p.149).
[65]Ibid.,pp.88-89(trad.it.
cit.,vol.III,1,pp.94-95).
[66] Ibid., p. 108 (trad. it.
cit.,vol.III,1,p.115).
[67]Ibid., pp. 179-180 (trad.
it.cit.,vol.III,1,pp.188-189).
[68] Ibid., pp. 92, 106 (trad.
it.cit.,vol.III,1,pp.98,112).
Il testo di Michelet ha
«Tertulliano» al posto di
«Gellert».
[69] Ibid., p. 128 (trad. it.
cit.,vol.III,1,p.137).
[70] Ibid., p. 126 (trad. it.
cit.,vol.III,1,pp.134-135).
[71] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 830
(trad.it.cit.,vol.IV,p.90).
[72]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 106 (trad. it.
cit.,vol.III,1,p.113).
[73] Ibid., p. 107 (trad. it.
cit.,vol.III,1,pp.113-114).
[74] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 125 (trad.
it.cit.,vol.I,p.180).
[75]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, p. 106 (trad. it.
cit.,vol.III,1,p.112).
[76]
Sull’interpretazione
aristotelica dell’on mediante
il phos (Aristotele, De anima,
418 b, a cui Hegel allude in
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol. I, p. 78, trad. it. cit., vol.
I, p. 82), cfr. W. Beierwaltes,
Lux
intellegibilis.
Untersuchungen
zur
Lichtmetaphysik der Griechen,
München,1957,pp.15ss.
[77] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, pp. 78-79
(trad.it.cit.,vol.I,p.83).
[78] Ibid., p. 5 (trad. it. cit.,
vol.I,p.5).
[79] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 891
(trad.it.cit.,vol.IV,p.163).
[80] Ibid., p. 729 (trad. it.
cit., vol. IV, p. 43). Sulla
proiezione di stereotipi
europei relativi al mondo
islamico,cfr.A.Grosrichard,
Structure du Sérail. La fiction
du despotisme asiatique dans
l’Occident classique, cit. Che
tali stereotipi non fossero
peraltro del tutto privi di
fondamento, in particolare
relativamente all’uso del
terrore
nel
califfato
abbasside, lo mostra, tra gli
altri, il classico libro di K.A.
Wittfogel, Oriental Despotism.
A Comparative Study on Total
Power, New Haven, Colo.,
1957,trad.it.diR.Pavetto,Il
dispotismo orientale, Firenze,
1968, vol. I, pp. 233-234. Cfr.
anche L. Ventura, Hegel e
l’Islam, Pomigliano D’Arco,
2013.
[81]Ibid.Ilconfrontoèfatto
con Faust, che cercava una
soddisfazionebenmaggiore.
[82] Ibid., p. 892 (trad. it.
cit.,vol.IV,p.164).
[83] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.5(trad.it.
cit.,vol.I,p.5).
[84] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., p. 797
(trad.it.cit.,vol.IV,p.50).
[85] Hegel, Phänomenologie
des Geistes, cit., p. 321 (trad.
it.cit.,vol.II,p.132).
[86] Hegel, Wissenschaft der
Logik,cit.,vol.I,p.5(trad.it.
cit.,vol.I,p.5).
[87]Ibid.,pp.19-20(trad.it.
cit.,vol.I,pp.19-20).
[88] Il problema dei ‘generi
letterari’delleoperediHegel
andrebbe affrontato con
attenzione,
distinguendo
cioè il diverso tipo di
redazione e di pubblico al
quale sono rivolte, il loro
carattere
eventuale
di
manuali, di appunti di
lezioniecc.L’unicotentativo
specifico che è stato
compiuto
in
questa
direzione, con risultati non
entusiasmanti,èquellodiA.
Léonard, La structure du
systéme hégélien, in «Revue
philosophique de Louvain»,
LXIX (1971), pp. 495-524, che
collega i generi espositivi a
quattro diversi tipi di
sillogismo.Un’analisiditesti
filosoficiconglistrumentidi
un Genette, di un Bachtin o
di una Kristeva potrebbe
portare anche in questo
campo (si pensi alla
struttura ‘narrativa’ della
Fenomenologia) a chiarimenti
utilieaspuntinuovi.
[89]Hegel,Vorlesungenüber
die Geschichte der Philosophie,
cit., vol. XV, pp. 97-98 (trad.
it.cit.,vol.III,1,pp.103-104).
Più in generale, sul concetto
di metafisica tradizionale e
la critica che Hegel ne
compie, cfr. B. Longuenesse,
Hegel et la critique de la
métaphysique,Paris,1981.
[90] Hegel, Enzyklopädie der
philosophischen
Wissenschaften, § 14 A (trad.
it.cit.,p.19).
[91]Nell’ideahegelianadel
serpente e del paradiso
terrestre
come
mito
originario
ci
sarebbero
ascendenze libertine, cfr. G.
Schneider, Der Libertin. Zur
Geistes- und Sozialgeschichte
desBürgertumsim16.und17.
Jahrhundert, Stuttgart, 1970,
trad. it. di G. Panzieri, Il
libertino. Per una storia sociale
dellaculturaborghesenelXVIe
XVII secolo, Bologna, 1974, p.
72nota.
[92] Hegel, Wissenschaft der
Logik, cit., vol. I, p. 16 (trad.
it.cit.,vol.I,p.16).
[93] A. Nuzzo, Logica e
sistema. Sull’idea hegeliana di
filosofia,Genova,1992,p.19.
[94]Cfr.piùavanti,pp.357
ss.
[95] Kant, Kritik der reinen
Vernunft, A 834-835; B 862863 (trad. it. cit., vol. II, pp.
629-630).
[96]
La
nozione
di
«sistema» appare dapprima
in Ippocrate, Platone (Leg.
686 B), Aristotele (Eth. Nic.
1168b)eneglistoici(SVF,III,
fr. 327 ss.), generalmente in
contesti medici relativi
all’organismo, ma per gli
stoicianchealkosmos(cfr.fr.
527).
Nell’espressione
systema mundi in età
moderna è, soprattutto, un
termine
legato
all’astronomia, ma con
Spinoza, indirettamente, e
con il Système nouveau di
Leibniz, direttamente, il
termine
entra
nel
vocabolario
filosofico,
diventando
infine
un
problema con Kant, cfr. Ch.
Krijnen,
Philosophie
als
System. Prinzipientheoretische
Untersuchungen
zum
Systemgedanke bei Hegel, im
Neukantianismus und in der
Gegenwartsphilosophie,
Würzburg,2008,pp.10-25.
[97] Condillac, Traité des
Systèmes,
in
Œuvres
philosophiques, ed. critica a
curadiG.LeRoy,Paris,1947,
vol. I, pp. 121, 124. Sul
concetto di sistema in
Condillac e in generale, cfr.
O. Ritschl, System und
systematische Methode in der
Geschichte
des
wissenschaftlichen
Sprachgebrauchs und der
philosophischen Terminologie,
Bonn, 1906. La critica della
filosofia
sistematica
attraversa, del resto, tutto
l’Illuminismo
francese:
Buffon,
Maupertuis,
d’Alembert o Voltaire, cfr. P.
Kondylis, Die Aufklärung im
Rahmen des neuzeitlichen
Rationalismus,
Stuttgart,
1981, pp. 298 ss. Nella
celebre Professione di fede del
vicario savoiardo Rousseau
attribuisce la nascita dei
sistemi filosofici alla ricerca
di originalità e all’egoismo
dei singoli. Per una diversa
concezione
dell’idea
di
sistema in Hegel, cfr. B.
Heimann,
System
und
Methode in Hegels Philosophie,
Leipzig,1927;H.F.Fulda,Das
Problem einer Einleitung in
Hegels Wissenschaft der Logik,
Frankfurt a.M., 1965, in
particolare pp. 173 ss.; H.
Kimmerle, Zur Genesis des
Hegelschen Systembegriffs, in
«Neue
Zeitschrift
für
systematische
Theologie
und Religionsphilosophie»,
XIV (1972), pp. 294-314; A.
Doz,Hegeletl’idéedesystème,
in «Hegel-Jahrbuch», 1973,
pp. 81 ss. Più in generale,
oltre al già citato von
Bertalanffy, cfr. R. Mac Rae,
TheProblemoftheUnityofthe
Sciences. Bacon to Kant,
Toronto, 1961, pp. 89-106; J.
Pucelle, Note sur l’idée de
système, in «Les études
philosophiques», 1948, pp.
254-267; O. Lange, Wholes
andParts.AGeneralTheoryof
System Behaviour, trad. ingl.
Oxford-London-EdinburghNew
York-Paris-Frankfurt
a.M., 1995; W. Marx, On the
Necessity of Transformation of
the Philosophical Concept of
System, in «Ratio», XX, 2
(December1978),pp.92-102;
Ch. Strub, System, in
Historische Wörterbuch der
Philosophie,acuradiJ.Ritter,
K. Gründer e G. Gabriel, vol.
X,Darmstadt,1998,coll.475493;H.F.FuldaeCh.Krijnen,
Einleitung. Systemphilosophie
als
Selbestekenntnis?,
in
Einleitung. Systemphilosophie
als Selbestekenntnis, a cura di
H.F. Fulda e Ch. Krijnen,
Würzburg, 2006, pp. 9-23 (i
quali ultimi, argomentando
contro
il
sistema,
considerato quale un rigido
contenitore di elementi
eterogenei,
fanno
però
notare come i più grandi
filosofi della modernità –
Spinoza, Kant, Hegel –
abbiano
considerato
la
sistematizzazione dei loro
pensieri non come un
bisogno secondario o un
istinto di potenza, ma
qualcosacheènell’interesse
di
«una
radicale
autoillustrazione
della
libertà
umana»
[einer
radikaler Selbstaufklärung und
menschlicher Freiheit]). E si
veda anche H.F. Fulda,
MethodeundSystembeiHegel.
Das Logische, die Natur, der
Geist
als
universale
Bestimmungen
einer
monistischen Philosophie, ibid.,
pp. 25-50. È interessante
notare come vi sia stata, al
livellodellesingolescienzee
di quello dei rapporti fra
diversi campi del sapere,
una sorta di rinascita, con
segno positivo, del concetto
di sistema e di sistematica,
tanto che ne è scaturita,
ormai da diversi decenni,
una «teoria generale dei
sistemi», come scienza
«ufficiale» che raggruppa
studiosidivariaprovenienza
(cfr. sopra, pp. 158-159 nota
110).
[98] Schelling, Stuttgarter
Vorlesungen, in Werke, cit.,
vol. IV, p. 309 (trad. it. di G.
Preti, Lezioni di Stoccarda, in
L’empirismo filosofico e altri
scritti, cit., p. 89). Si veda
anche l’Introduzione di C.
Tatasciore alla sua nuova
traduzione delle Stuttgarter
Vorlesungen:
Lezioni
di
Stoccarda,
Napoli-Salerno,
2013,pp.7-34.
[99] Condillac, Traité des
Systèmes, cit., p. 126. Cfr.
Fichte, Erste Einleitung in die
Wissenschaftslehre (1797), in
Sämtliche Werke, a cura di
I.H. Fichte, vol. I, Berlin,
1845, p. 434 (trad. it. di L.
Pareyson, Prima introduzione
alla Dottrina della scienza, in
«Rivistadifilosofia»,XXXVII,
1946, pp. 190-191): «Quale
filosofiasiscelgadipendeda
quale uomo si è; perché un
sistema filosofico non è una
suppellettile inanimata che
si possa prendere o lasciare
a nostro capriccio, ma è
animato
dall’anima
dell’uomochelopossiede».
[100] Kant, Kritik der reinen
Vernunft, A 832-839; B 860867 (trad. it. cit., vol. II, pp.
629-634).
Cfr.
sull’argomento,E.Kraus,Der
Systemgedanke bei Kant und
Fichte, in «Kant-Studien»,
fascicolo suppl. 37, Berlin,
1916; A. Schurr, Philosophie
als System bei Fichte, Schelling
und Hegel, Stuttgart-Bad
Cannstatt,1974.
[101] Schelling, Aus dem
allgemeinen Übersicht der
neuesten
philosophischen
Literatur,inWerke,cit.,vol.I,
p.382.
[102] Schelling, Stuttgarter
Vorlesungen,cit.,p.309(trad.
it.cit.,p.89).
[103]Hegel,Einleitung in die
GeschichtederPhilosophie,cit.,
p.33.
[104]Hegel,Aphorismen aus
der Jenenser Periode, cit., p.
539 (trad. it. cit., p. 59 nota
11).
[105]
Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie,cit.,vol.XIII,p.59
(trad.it.cit.,vol.I,p.57).
[106] Ibid., p. 60 (trad. it.
cit.,vol.I,p.58).
[107] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie,cit.,p.12(trad.it.
cit.,p.13).
[108]
Hegel, Vorlesungen
über die Geschichte der
Philosophie,cit.,vol.XIII,p.60
(trad.it.cit.,vol.I,p.58).
[109] Hegel, Differenz des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie, cit., p. 9 (trad. it.
cit.,p.9).
[110] Hölderlin, Zeitgeist,
trad. it. di G. Vigolo, in
Hölderlin, Poesie, Torino,
1963,p.37.
[111] Sul «caos al di fuori
delsistema»,cfr.F.Schlegel,
Ideen, in «Athenaeum», III, 1
(1800),n.55(Minor).
[112] Hegel, Freiheit und
Schicksal, in Schriften zur
Politik und Rechtsphilosophie,
cit., p. 140 – ora anche in
Gesammelte Werke, cit., vol.
V, Schriften und Entwürfe
(1799-1808), a cura di M.
Baum e K.R. Meist in
collaborazione con T. Ebert,
Hamburg, 1998, pp. 16-18 –
(trad. it. di C. Luporini,
Libertàedestino,orainHegel,
Scritti politici 1798-1831, cit.,
p. 10). Per un’ampia e
articolata analisi di questo
testo,
cfr.
R.
Bodei,
Scomposizioni.
Forme
dell’individuo moderno, cit.,
pp.4-58.
[113]
Sull’ottusità e la
degradazione degli operai
prodotte
dall’estrema
divisione del lavoro di
fabbrica, cfr. Hegel, System
der Sittlichkeit, cit., pp. 428,
443 (trad. it. cit., pp. 187,
195), Jenenser Realphilosophie
I, cit., p. 239 (trad. it. cit., p.
99);JenenserRealphilosophieII,
cit.,pp.214,256-257(trad.it.
cit., pp. 147, 197-198);
GrundlinienderPhilosophiedes
Rechts,cit.§198(trad.it.cit.,
p. 176), Vorlesungen über
Rechtsphilosophie 1818-1831,
cit.,vol.III,pp.611-612,trad.
it.inLefilosofiedeldiritto,cit.,
p. 250: «Il lavoro diviene
sempre più ottuso, non vi è
più alcuna molteplicità per
l’indagine dell’intelletto. La
dipendenza degli operai è
una conseguenza delle
fabbriche; in questo lavoro
essi ottundono lo spirito,
diventano
totalmente
dipendenti,
del
tutto
unilaterali, e in pratica non
hanno
nessun’altra
possibilitàdiguadagnarsida
vivere, dato che sono
immersi in quest’unico
lavoro, solo a esso sono
abituati».
[114] Cfr. K.W.F. Solger,
Philosophische
Gespräche,
Berlin,1817,p.247.
[115]
E. Bloch, SubjektObjekt. Erläuterungen zu
Hegel,cit.(trad.it.cit.,p.35).
[116]Hegel,Aphorismen aus
der Jenenser Periode, cit., p.
551(trad.it.cit.,n.59,p.73).
[117] K. Kraus, Sprüche und
Widersprüche,
München,
1955, trad. it. di R. Calasso,
Detti e contraddetti, Milano,
1972,p.165.
[118]
Cfr. Lukács, Die
Zerstörung der Vernunft, trad.
it. cit., pp. 308 ss.; W.
Benjamin, Ursprung des
deutschen
Trauerspiels,
Frankfurt a.M., 1963 (ora
anche
in
Gesammelte
Schriften, in collaborazione
con Th.W. Adorno e G.
Scholem, a cura di R.
Tiedemann
e
H.
Schweppenhäuser,
Frankfurt a.M., 1972 ss.),
trad. it. di E. Filippini, Il
dramma barocco tedesco,
Torino,1971,pp.9ss.;Th.W.
Adorno, Minima Moralia.
Reflexionen
aus
dem
beschädigten Leben, BerlinFrankfurta.M.,1951,trad.it.
di R. Solmi, Minima moralia,
Torino, 19792, pp. 5 ss., 48 e
passim;
Id.,
Erpresste
Versöhnung. Zu Georg Lukács’
«Wider den missverstandenen
Realismus», in Noten zur
Literatur II, Frankfurt a.M.,
1961, pp. 152-187; Id.,
Negative Dialektik, Frankfurt
a.M., 1966, trad. it. di P.
Lauro,Torino,2004,pp.3-53
e 123-186; F. Rosenzweig,
Stern der Erlösung, Frankfurt
a.M.,1921.
[119]
W.
Benjamin,
Ursprung
des
deutschen
Trauerspiels, cit. (trad. it. cit.,
p.31).
[120]
W. Benjamin, An
Th.W. Adorno, 9 dicembre
1938, in Briefe, Frankfurt
a.M., 1966, vol. II, p. 794
(trad. it. Lettere 1913-1940,
Torino,1978,pp.371-372).
[121] Da un ossicino di
animale preistorico Cuvier
riteneva, infatti, di poter
ricostruire l’intero scheletro:
«ogni individuo organizzato
costituisce di per sé un
sistema unico e chiuso, le
cui parti corrispondono
l’unaall’altraeconcorronoa
produrre un certo risultato
definito,
per
reazione
reciproca. Alcune di queste
parti possono cambiare
senza che anche le altre
cambino; e pertanto ognuna
diesse,presaseparatamente
indica tutte le altre». Egli
giungeva
così
alla
conclusione secondo cui
«cominciando da ciascun
[singolo osso], chi possieda
razionalmente
le
leggi
dell’economia
organica,
potrebbe
rifare
tutto
l’animale» (Discours sur les
révolutions de la surface du
globe,
Paris-Amsterdam,
1825,pp.95,99).
[122] Hegel, Wissenschaft
der Logik, cit., vol. I, p. 382
(trad. it. cit., vol. I, p. 412).
Cfr. C.L. Berthollet, Statique
Chimique, Paris, 1803 (su cui
Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§324A,trad.
it.cit.,p.292;332Z;333eA,
trad. it. cit., pp. 303-304;
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol.I,pp.369ss.,trad.it.cit.,
vol. I, pp. 401 ss.); J.J.
Berzelius, Essai sur la théorie
des proportions chimiques et
sur l’influence chimique de
l’électricité,Paris,1819(sucui
Hegel,
Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften,§330A,trad.
it. cit., pp. 300-302; 333 Z;
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol.I,pp.370ss.,trad.it.cit.,
vol. I, pp. 402 ss.). Su questi
punti,
cfr.
A.
Doz,
Commentaire e G.W.F. Hegel,
Théorie de la mésure, trad. e
commento della sezione III
del libro I della Scienza della
logica, Paris, 1970, passim e,
ma generico, D. von
Engelhardt, Das chemische
System der Stoffe, Kräfte und
Prozesse
in
Hegels
Naturphilosophie und der
Wissenschaft seiner Zeit, in
«Hegel-Studien», vol. suppl.
11, Bonn, 1974, pp. 125-139;
Id., Hegel und die Chemie.
Studien zur Philosophie und
Wissenschaft der Natur um
1800, Wiesbaden, 1976 e U.
Rusch, Chemische Einsichten
widerWillen.HegelsTeorieder
Chemie, in «Hegel-Studien»,
22 (1987), pp. 173-179.
Sull’impostazione
logica
dellastrutturadellachimica
nella «misura», cfr. B.
Lakebrink, Kommentar zu
Hegels ‘Logik’ in seiner
‘Enzyklopädie’von1830.I.Sein
und
Wesen,
FreiburgMünchen, 1979, pp. 171 ss.;
D.G. Carlson, A Commentary
toHegel’sScienceofLogic,New
York-London, 2007, pp. 197248 e, più in generale, C.
Cesa, Problemi della misura,
nel numero speciale di
«Teoria», XXXIII (2013), cit.,
pp.
87-99.
Per
un
inquadramento storico, si
vedaH.Doebling,Die Chemie
in Jena zur Goethezeit, Jena,
1928. Per un esame più
ampio
della
«Logica
dell’essenza» nella Scienza
dellalogica,cfr.G.Martin,Die
Wesenlogik
in
Hegels
“Wissenschaft der Logik”,
Stuttgart-Bad
Cannstatt,
1994.
[123] Cfr. Hegel, Jenenser
Realphilosophie I, cit., p. 264;
Wissenschaft der Logik, cit.,
vol. II, p. 504 (trad. it. cit.,
vol. II, p. 955), Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften, § 15 (trad. it.
cit.,p.19).
[124] Cfr. F. Kümell, Platon
und Hegel. Zur ontologischen
Begründung des Zirkels in der
Erkenntnis,Tübingen,1968,e,
in senso dinamico W.R.
Beyer,DasSinnbilddesKreises
im Denken Hegels und Lenins,
Meisenheim am Glan, 1971,
pp.9ss.
[125]
Cfr. A. Peperzak,
Autoconoscenza dell’assoluto.
Lineamenti della filosofia dello
spiritohegeliana,Napoli,1988,
p.142.
[126]
W. Tega, L’ideale
enciclopedico e l’unità del
sapere,cit.
[127] Cfr. T. Rockmore,
Hegel’s Circular Epistemology,
Bloomington, Ind., 1986 (di
cui si veda, per un
inquadramento
generale,
anche il volume Hegel,
Idealism,
Analytical
Philosophy, New HavenLondon, 2005, pp. 165-228);
V. Verra, Su Hegel, Bologna,
2007, pp. 199-216 e W. Tega,
Tradizione
e
rivoluzione.
Scienza e potere in Francia
(1815-1840), cit., pp. 40-41.
Che nella teoria hegeliana
del circolo di circoli vi sia
unachiarareminiscenzadel
finale della Metafisica di
Aristotele del Dio che pensa
se stesso, è mostrato da K.
Düsing, Noesis Noeseos und
absoluter Geist in Hegels
Bestimmung der “Philosophie”,
in Hegels enzyklopädisches
System.Vonder“Wissenschaft
der Logik” zur Philosophie des
absoluten Geistes, a cura di
H.-Ch. Lucas, B. Tuschling e
B.
Vogel,
Stuttgart-Bad
Cannstatt,2004,pp.459-480.
La differenza tra il modello
dell’enciclopediahegelianae
quello
della
Grande
enciclopedia francese credo
sipossatrovareinunafrase
di d’Alembert in cui si dice
che l’intenzione dell’opera è
quella di mostrare «per
quantoèpossibile,l’ordinee
la concatenazione delle
conoscenze
umane»
(d’Alembert,
Discours
préliminaire de l’Encyclopédie,
inId.,MélangesdeLittérature,
d’Histoire, et de Philosophie,
Leyde, 1783, p. 11, trad. it.
Discorso preliminare, cit., vol.
I, p. 7). «Per quanto è
possibile»,
appunto,
lasciando, dove non lo sia,
vuotieresidui.
[128] Cfr. Hegel, Differenz
des
Fichte’schen
und
Schelling’schen Systems der
Philosophie, cit., pp. 11, 14
(trad. it. cit., pp. 13, 15): «La
scissione è la fonte del
bisogno della filosofia […]
Quando
la
potenza
dell’unificazione scompare
dalla vita degli uomini e le
opposizionihannoperdutoil
lororapportovivente,laloro
azione
reciproca
e
guadagnano l’indipendenza,
allora sorge il bisogno della
filosofia».
[129]
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften,§237Z.
der
[130] Hegel, Wissenschaft
derLogik,cit.,vol.I,pp.21-22
(trad.it.cit.,vol.I,p.22).Cfr.
ibid., vol. II, p 212 (trad. it.
cit.,vol.II,p.650).
[131] J. Ortega y Gasset,
Hegel y America, in Obras
completas, Madrid, 2004, vol.
I, p. 566; C. Cantillo, La
ragione e la vita. Ortega y
Gasset interprete di Hegel,
Soveria Mannelli (CZ), 2012,
p.5.
[132]
Cfr. A. Peperzak,
Autoconoscenza dell’assoluto,
cit., pp. 14-16 e si veda
anche L. De Vos, Hegels
Enzyklopädie 1827 und 1830:
Die Offenheit des Systems?, in
«Hegel-Studien», 31 (1996),
pp.99-112.
[133]
Enzyklopädie
Cfr.
Hegel,
der
philosophischen
Wissenschaften,§244(trad.it.
cit., p. 199); Schelling,
Münchener Vorlesungen. Zur
Geschichte
der
neueren
Philosophie und Darstellung
des
philosophischen
Empirismus, in Werke, cit.,
vol.V,pp.223ss.(trad.it.di
G.Durante,Lezioni monachesi
sulla storia della filosofia
moderna
ed
esposizione
dell’empirismo
filosofico,
Firenze, 1950, pp. 180 ss.);
F.A. Trendelenburg, Logische
Untersuchungen,
Leipzig,
1840,vol.II,pp.344ss.Sulle
critichediSchellingaHegel,
cfr.X.Tillette,Schellingcontre
Hegel, in «Archives de
philosophie», XXIX (1966),
pp. 89-108; G. Semerari, La
critica di Schelling a Hegel, in
Incidenza di Hegel, cit., in
particolare, pp. 490 ss. Sulle
obiezioni di Trendelenburg,
cfr.N.Merker,Leoriginidella
logicahegeliana,cit.,passim,e
E.GrilloeN.Dazzi,Sullacrisi
dellafilosofiahegeliana:Adolph
Trendelenburg, in Enciclopedia
’72, cit., pp. 199-205. Sul
senso
dell’espressione
hegeliana «lasciar uscire
liberamente»esulpassaggio
dalla logica alla filosofia
della natura, cfr. H. Braun,
Zur
Interpretation
der
Hegel’schen Wendung: frei
entlassen, in L’esprit objectif.
L’unité de l’histoire, cit., pp.
51-64 e D. Wandschneider e
V.Hösle,DieEntäusserungder
Idee zur Natur und ihre
zeitliche Entfaltung als Geist
beiHegel,in«Hegel-Studien»,
18 (1983), pp. 173-199. Per
l’interpretazione della logica
come
«prima
epoca
speculativa di Dio», cfr.
invece I. Iljin, Die Philosophie
Hegels
als
contemplative
Gotteslehre, Bern, 1946, pp.
203ss.
[134]
Cfr.
Hegel,
der
Enzyklopädie
philosophischen
Wissenschaften, §§ 575-577
(trad.it.cit.,pp.527-529).
[135] Cfr. G. Lasson, Was
heisst Hegelianismus, Berlin,
1916,pp.31ss.;Id.,Hegelund
die Gegenwart, in «KantStudien», XXXVI (1931), p.
267;J.vanderMeulen,Hegel.
Die
gebrochene
Mitte,
Hamburg, 1958, pp. 339 ss.;
L.B. Puntel, Darstellung,
Methode
und
Struktur.
UntersuchungenzurEinheitder
systematischen
Philosophie
G.W.F.Hegels,cit.,pp.322ss.
La«noologia»èinPuntelciò
che Hegel nell’Enciclopedia
chiama
«psicologia».
Sull’ipotesi che la dialettica
hegeliana abbia un’origine
sillogistica, cfr. H. Schmitz,
Hegel
als
Denker
der
Individualität,
Meisenheim
amGlan,1957,pp.122-126.
[136] Cfr. H.F. Fulda, Das
Problem einer Einleitung in
Hegels Wissenschaft der Logik,
cit., pp. 284 ss., J. Gauvin,
recensione al libro di Fulda,
in «Hegel-Studien», 4 (1967),
p. 247. La dottrina dei tre
sillogismi
era
stata
affrontataperlaprimavolta
da K.Ph. Fischer, Spekulative
Charakteristik und Kritik des
HegelschenSystems,Erlangen,
1845, p. 186. Sulla dottrina
hegelianadeitresillogismie
l’ampio dibattito che ha
sollevato,
cfr.
M.
Theunissen, Hegels Lehre von
absolutenGeistalstheologischpolitischer Traktat, Berlin,
1970, pp. 308-322; A.
Léonard, La structure du
système hégélien, cit.; Th.
Geraets, Les trois lectures
philosophiques
de
l’Encyclopédie ou la réalisation
du concept de la philosophie
chez Hegel, in «HegelStudien», 10 (1975), pp. 231254 (che considera i tre
sillogismi come le tre
possibili
letture
dell’Enciclopedia); Id., Lo
spirito assoluto come apertura
del sistema hegeliano, Napoli,
1985, pp. 72-98; J. Beaufort,
Die
drei
Schlüsse.
Untersuchung zur Stellung der
“Phänomenologie” in Hegels
System der Wissenschaft,
Würzburg, 1983; D. SoucheDagues, Le cercle hégélien,
Paris, 1986; W. Jaeschke, Die
Schlüsse der Philosophie (§
574-577),
in
Hegels
“Enzyklopädie
der
philosophischen
Wissenschaften” (1830). Ein
Kommentar
zum
Systemgrundriß, a cura di H.
Schnädelbach,
Frankfurt
a.M., 2000, pp. 375-501;
AA.VV.,
Hegels
enzyklopädisches System. Von
der “Wissenschaft der Logik”
zur Philsophie des absoluten
Geistes, cit.; N. Füzesi, Hegels
drei
Schlüsse,
FreiburgMünchen, 2004 (secondo cui
«i tre sillogismi della
filosofia garantiscono la
conclusione del sistema
hegeliano in quanto lo
autofondano.
Questa
autofondazione non è da
interpretarsi solo a partire
dalla
prospettiva
delle
strutture logiche della sola
logica
speculativa,
ma
metafisicamente
dalle
strutturegesamtsystematische
del sistema» [ibid., p. 16]) e
A. Peperzak, Autoconoscenza
dell’assoluto,cit.,pp.150-189.
In Hegel i tre sillogismi
corripondono
alle
tre
Posizioni del pensiero rispetto
all’oggettività
dell’Enciclopedia, §§ 26-78 e
cfr.ibid.,§187A.
[137]
Sul rapporto tra
autocoscienzaesoggettività,
cfr. G. Varnier, La teoria
hegeliana dell’autocoscienza e
della sua razionalità, in
«Giornale
critico
della
filosofia
italiana»,
LXX
[LXXXII], fasc. 1 (gennaioaprile 1991), pp. 35-75; Ch.
Iber,
In
Zirkeln
ums
Selbstbewußtsein.
BemerkungenzuHegelsTheorie
der Subjektivität, in «HegelStudien», 35 (2000), pp. 5175;O.Balaban,Is there a real
Subject in Hegel’s Philosophy?,
in
«Hegel-Studien»,
43
(2008), pp. 37-66 e, per un
inquadramento del tema, R.
Bodei, Immaginare altre vite.
Realtà, progetti, desideri, cit.,
pp.51-55,76-78.
[138] Per i passi hegeliani
relativiaquestaespressione
e per il loro commento e
interpretazione, cfr. W.
Jaeschke. Objektives Denken.
PhilosophischeErwägungenzur
Konzeption und zur Aktualität
derspekulativenLogik,in«The
Independent Journal of
Philosophy»,3(1979),pp.2337.
[139] Hegel, Glauben und
Wissen, cit., p. 332 (trad. it.
cit., p. 146) e cfr. Goethe,
Märchen,inWerke,Weimarer
Ausgabe, Weimar, 18871919, p. 299. Sui rapporti tra
Hegel e Goethe, cfr. R.
Bubner, Hegel und Goethe,
Heidelberg,1978.Sipotrebbe
aggiungere che la vita che
circola in queste vene è la
verità stessa, ma cfr., da
un’altra angolatura, M.
Spieker,
Wahres
Leben
denken. Über Sein, Leben und
Wahrheit
in
Hegels
Wissenschaft
der
Logik,
Hamburg,2009.
[140] Per E. Fackenheim,
The Religious Dimension in
Hegel’s Tought, Bloomington,
Ind.-London,1967,pp.75ss.,
il terzo sillogismo non è
altrochel’Enciclopedia.PerG.
Jarczyk, Système et liberté
danslalogiquedeHegel,Paris,
1980, pp. 274-282, il sistema
è invece un sillogismo di
sillogismi e i tre sillogismi
non formano che un solo
sillogismonelterzo.
[141] W. Wallace, nel suo
commento al terzo libro
dell’Enzyklopädie (nella trad.
inglese dell’opera: Hegel,
Philosophy of Mind, Oxford,
1894, p. 196), intende il
termine medio come la
logica mentre per Petry si
tratta invece dello spirito,
cfr. M.J. Petry, Introduction a
Hegel’s Philosophy of Nature,
cit.,vol.I,p.93.
[142] Cfr. H.F. Fulda, Das
Problem einer Einleitung in
Hegels Wissenschaft der Logik,
cit.,pp.3ss.;P.-J.Labarrière,
Structures et mouvement
dialectique
dans
la
Phénoménologie de l’esprit de
Hegel, cit., pp. 243 ss., Id., La
Phénoménologie de l’esprit
comme discours systematique,
cit.,pp.131ss.
[143]
Cfr. la citazione
hegeliana di Aristotele, Met.
1072 b 18-30 nel finale
dell’Enciclopedia(mancanella
primaedizionedel1817).
[144] Hegel, Glauben und
Wissen, cit., p. 332, trad. it.
cit., p. 146 e cfr. Goethe,
Märchen,inWerke,Weimarer
Ausgabe, Weimar, 18871919, vol. XVI, p. 299. La
Fiaba fu pubblicata a
Tubinga nella rivista «Die
Horen» (Stück 10, pp. 145
ss.), ma l’allusione dovrebbe
riferirsi alla quarta favola,
quella del re composito, e
non alla terza, quella del re
di bronzo. Tra i contributi
più rilevanti sul tema
dell’oggettività vale la pena
ricordare,
in
rapporto
all’«autosvolgimento
del
contenuto» nella Scienza
della logica, S. Opiela, Le réel
danslalogiquedeHegel,Paris,
1983 e il fascicolo di
«Verifiche», XXXVI (2007), n.
1-4dedicatodavariautoria
L’oggettività del pensiero. La
filosofia di Hegel tra idealismo,
anti-idealismoerealismo.
[145]
Cfr.
d’Alembert,
Discours préliminaire, trad. it.
cit., vol. I, pp. 78, 86. Sulla
successione enciclopedica
secondo lo schema della
Trinità, cfr. C. Bruaire,
Logique et religion chrétienne
dans la philosophie de Hegel,
Paris,1964,passim.
[146] Hegel, Wissenschaft
der Logik, cit., vol. I, p. 35
(trad.it.cit.,vol.I,p.36).
[147]
Cfr. L.B. Puntel,
Darstellung, Methode und
Struktur. Untersuchungen zur
Einheit der systematischen
PhilosophieG.W.F.Hegels,cit.,
pp. 174 ss., 279 ss.
Sull’inseparabilitàdimetodo
e sistema insiste anche S.
Opiela, Le réel dans la logique
deHegel,cit.,pp.17-51.
[148] Cfr. E. Bloch, Über
MethodeundSystembeiHegel,
cit.,p.75.
[149] Hegel, Wissenschaft
der Logik, cit., vol. II, p. 218
(trad.it.cit.,vol.II,p.656).
[150] Ibid., p. 502 (trad. it.
cit.,vol.II,pp.953-954).
[151]
Hegel, Vorlesungen
über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. IV, Philosophie
des
Rechts.
Nach
der
Vorlesungsnachschift von K.G.
v.
Griesheim
1824-25,
Stuttgart-Bad
Cannstatt,
1974,§195,p.494,trad.it.in
Le filosofie del diritto, cit., p.
227.
[152]Cfr.Hegel,Freiheitund
Schicksal, cit., p. 140 (trad. it.
cit., p. 10). Per un
inquadramento,
cfr.
C.
Borghero, in La polemica sul
lusso nel Settecento francese,
cit.
[153]
Hegel, Vorlesungen
über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. IV, § 204, pp.
520-521.
[154] Cfr. K. Rosenkranz,
HegelsLeben(trad.it.cit.,pp.
815,851-872epassim).
[155] Sull’ambiente e le
teoriechevicircolavano,cfr.
I. Drewitz, Berliner Salons.
Gesellschaft und Literatur
zwischen Aufklärung und
Industrie-Zeitalter,
Berlin,
1965; F. List, Das nationale
System
der
politischen
Oekonomie(18443),trad.it.di
G.Mori,Ilsistemanazionaledi
economia politica, Milano,
1972, pp. 26-27. Sulla figura
di Rahel Varnhagen von
Ense, animatrice del salotto
in cui confluiva la vita
intellettualeberlinese,cfr.H.
Arendt, Rahel Varnhagen. The
Life of a Jewess, New York,
1958,
trad.
it.
Rahel
Varnhagen. Storia di un’ebrea,
Milano, 1988. Su Oelsner, il
corrispondente da Parigi
della
«Minerva»
di
Archenholz
durante
il
periodo della Rivoluzione
(incontrato da Hegel a
Berna) e diffusore in
Germania
delle
idee
saintsimoniane, e sul suo
rapporto con Rahel, cfr. J.E.
Spenlé,
Rahel.
Madame
Varnhagen von Ense, Paris,
1910, pp. 210 ss.; J. D’Hondt,
Hegel et les socialistes, in «La
pensée»,n.157,giugno1971,
p. 20. Sulla conoscenza che
Hegel aveva del pensiero di
Saint-Simon attraverso la
lettura di «Le Globe» e la
pubblicazione di testi sugli
«Jahrbücher
der
wissenschaftlichen Kritik»
del 1830, da lui di fatto
diretti,cfr.N.Waszek,SaintSimonismus
und
Hegelianismus. Einführung in
dasForschungsfeld,inAA.VV.,
Hegelianismus und SaintSimonismus,Paderborn,2007,
pp.20-24.
[156]
Hegel, Vorlesungen
über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. IV, § 244, pp.
609-610.
[157]
Hegel,
Jenenser
Realphilosophie II, cit., pp.
232-233. Cfr. A. Smith, An
Inquiry into the Nature and
Causes of the Wealth of
Nations,trad.it.diF.Bartoli,
C. Camporesi e S. Catuso,
Indaginesullanaturaelecause
della ricchezza delle nazioni,
Milano,
1973,
p.
92:
«Generalmente un grande
capitale, anche se dà piccoli
profitti,
aumenta
più
velocemente di uno piccolo,
che dà grandi profitti.
Denaro, dice il proverbio, fa
denaro; quando ne avete
ottenutounpo’èspessopiù
facile ottenerne di più. La
grossa difficoltà è ottenere
quelpoco».
[158]
Hegel, Vorlesungen
über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. III, Philosophie
des
Rechts.
Nach
der
VorlesungsnachschriftvonH.G.
Hotho,1822-23,Stuttgart-Bad
Cannstatt, 1974, § 200, p.
619.
[159]
Sull’origine e la
diffusione
di
questa
espressione di Esopo, cfr.
P.M. Schul, Hic Rhodus, hic
salta,
in
«Revue
philosophique de la France
etdel’Étranger»,XCII(1967),
pp.468-469.
[160]
Hegel, Vorlesungen
über Rechtsphilosophie, 1818-
1831, cit., vol. IV, § 195, p.
494, trad. it. in Le filosofie del
diritto, cit., pp. 227-228 [trad.
modificata].
Queste
considerazioni
sembrano
derivare a Hegel (lettore di
giornali e riviste inglesi e
scozzesi) da un articolo di
Robert Southey apparso
sulla«QuarterlyReview»,cfr.
Hegels Exzerpte aus der
«QuarterlyReview»1817-1818,
comunicati e illustrati da N.
Waszek, in «Hegel-Studien»,
21 (1986), p. 19. Per
un’integrazione di questi
dati e prospettive, cfr. A.
Arndt, Zur Herkunft und
Begriff des Arbeitsbegriffs in
Hegels Geistesphilosophie, in
«Archiv
für
Begriffsgeschichte»,
29
(1985), pp. 99-115. Sul
problema della povertà in
Hegel si vedano anche N.
Waszek, Hegels schottische
Bettler, in «Hegel-Studien»,
19 (1984), pp. 311-316; J.
Anderson, Hegel’s Implicit
View on How to Solve the
Problem of Poverty: the
Responsible Consumer and the
Return of the Ethical to Civil
Society, in Beyond Liberalism
and
Communitarianism.
Studies on Hegel’s Philosophy
of Right, a cura di R.R.
Williams, New York, 2001,
pp. 185-205. Sull’incepparsi,
nellaFilosofiadeldiritto,delle
mediazioni tra i vari
elementi della società civile
(famiglia, povertà, bisogno,
lavoro, consumo, ceti) e sul
passaggiodallasocietàcivile
allo
Stato
(scuola,
colonizzazione),
cfr.
le
pertinenti
osservazioni
critiche di G. Cesarale, La
mediazione che sparisce. La
società civile in Hegel, Roma,
2009.
[161]
Hegel, Vorlesungen
über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. III, § 198, p.
613, trad. it. in Le filosofie del
diritto,cit.,p.246.
[162] Ibid., vol. IV, § 198, p.
503 (trad. it. cit., pp. 268-
269).Èallasocietàcivileche
spetta l’obbligo di dare a
ciascuno la possibilità di
guadagnarsi da vivere e
quello di procurare il lavoro
ai disoccupati, cfr. Hegel,
Philosophie des Rechts. Die
Vorlesungvon1819/20ineiner
Nachschrift,cit.,p.192.
[163]
Hegel,
Jenenser
Realphilosophie II, cit., p. 233
(trad.it.cit.,p.169).
[164] Hegel, Grundlinien der
Philosophie des Rechts, cit., §
198(trad.it.cit.,p.176).
[165]
Hegel, Vorlesungen
über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. IV, § 185, pp.
477-478.
[166] Ibid., § 200, p. 508
(trad.it.cit.,pp.268-269).
[167] Hegel, Philosophie des
Rechts. Die Vorlesung von
1819/20 in einer Nachschrift,
cit.,p.166.
[168] Hegel, Philosophie der
Weltgeschichte, cit., pp. 47,
48-49 (trad. it. cit., vol. I, pp.
56,57).Grandeimportanzaè
attribuita al problema della
plebe (Pöbel) in Hegel da F.
Ruda. Hegel’s Rabble. An
Investigation
in
Hegel’s
PhilosophyofRight, afterword
by S. Žižek, London, 2009.
Cfr. Hegel an Schelling, 16
novembre1803,inBriefe,cit.,
vol. I, p.