LDB Pubblicato originariamente nel 1975, questo libro ha segnatounasvoltanella ricerca sull’idealismo classico tedesco, imponendosi presto come felice e organico tentativo di comprensione in chiave originale della filosofia hegeliana, dalla "Fenomenologia dello spirito" al ciclo delle lezioni berlinesi. Il volume viene oggi riproposto in edizione rivista e aumentata nella convinzione che costituisca tuttora un imprescindibilepuntodi riferimento per inquadrare un’intera fase storica anche nella prospettiva delle scienze matematiche e naturali. Definendo la filosofia "il proprio tempo appreso nel pensiero", Hegel condensa in una sola frase i nodi più complessi della sua opera.Cosasignificaper lui pensare il suo tempo? Qual è il senso dellacorrispondenzafra struttura sistematica e campo dei mutamenti storici? Quale il rapporto fra la civetta della filosofia, che interpreta coscientemente l’epoca, e la talpa dello spirito, che la trasforma inconsciamente attraverso il suo cieco lavorio? RemoBodeièprofessore emeritodiFilosofia all'UniversitàdiPisa, dopoaverinsegnatoa lungoallaScuola NormaleSuperioree allaUniversityof California,LosAngeles. Tralesuenumerose pubblicazioni,tradotte indiverselingue: "Geometriadelle passioni"e"Destini personali"(Feltrinelli, 1991e2002),"Paesaggi sublimi"(Bompiani, 2008),"Lavitadelle cose"e"Generazioni" (Laterza,2009e2014); conilMulino"Ordo amoris"(1991),"Le formedelbello"(1995), "Piramididitempo" (2006)e"Ira.Lapassione furente"(2010). RemoBodei Lacivettae latalpa Sistemaedepocain Hegel Copyright©bySocietà editriceilMulino, Bologna.Tuttiidiritti sonoriservati.Peraltre informazionisiveda http://www.mulino.it/ebo Edizioneastampa2014 ISBN978-88-15-25290-6 Edizionee-book2014, realizzatadalMulinoBologna ISBN978-88-15-32220-3 Indice Introduzione Capitoloprimo Lacivettaelatalpa Capitolosecondo Dallanaturaallastoria Capitoloterzo Apparenzaedepoca Capitoloquarto L’esperienzaeleforme: analisiinfinitesimalee linguaggio Capitoloquinto Movimentologico, sistemaemutamento storico Indicedeinomi alla memoria di Arturo Massolo Introduzione 1. Il presente volume ha il suo nucleo originario in un altro, apparso nel 1975, semprepressoilMulino, con il titolo Sistema ed epocainHegel.Intermini quantitativi,èstatoperò aumentato di oltre un terzo e, qualitativamente, ripensatoerielaborato. Quando il libro in poco tempo si esaurì, dall’editore mi venne ripetutamente chiesto di ripubblicarlo, lasciandolo com’era o inserendovi i ritocchi che avessi giudicato opportuni. Accettai l’invito, a patto di avere a disposizione un congruo spazio di tempo:nonperchéfossi insoddisfatto della riuscita dell’opera, ma perché, al contrario, tenevo a freno il desiderio di riprendere unaricercache,nelcaso dei classici, è destinata a rimanere inconclusa. Avevo però la netta consapevolezzache,per svilupparla con profitto, era necessario allontanarmene, guardarla con distacco, aspettando il momento in cui le idee che avevo espresso si fossero sedimentate e le nuove si fossero eventualmente fatte avanti. Orache,conmaggiore agio, esperienza e convinzione, ho finalmente deciso di affrontare un testo scritto quasi quarant’anni fa, l’immersione nei temi allora trattati mi ha dapprimaprocuratouna sensazionediestraneità a me stesso. Ho dovuto, infatti, non soltanto riannodare i fili dei pensieri attuali alla trama della mia vita trascorsa, ritrovare una testimonianza di come ero (una questione privata, di per sé irrilevante), ma misurare la distanza dalla storia e dalla culturadiquelperiodoe fare i conti con essa, disincagliandomi dal passato. Sullo schermo della memoria sono così scorse in sequenza le scene – popolate di personaggi oggi scomparsi–deglieventi politici ed economici di allora: il mondo diviso dalla guerra fredda e da opposti dogmi ideologici, il terrorismo e le stragi, i processi di decolonizzazione in corso, lo choc petrolifero e lo scatenarsi dell’inflazione, la dittatura dei colonnelli in Grecia e il golpe di Pinochet in Cile, la sconfitta degli Stati Uniti in Vietnam, la lottaperidiritticiviliin Italia, l’incrinarsi dell’ingenua fiducia nell’inesauribilità delle risorse, l’affacciarsi di movimenti ecologisti che per la prima volta trasformarono la natura in soggetto politico, il diffondersi dei giganteschi elaboratori elettronici a schede perforate che preparavano l’avvento delpersonalcomputer. Il quadro culturale era, a sua volta, caratterizzatodalfiorire di posizioni sempre meno vincolate ad appartenenze di scuola e di partito. Alla figura dell’intellettuale organicooimpegnatosi sostituiva sempre più spesso quella dell’intellettuale affrancato da precise etichetteaccademichee da tenaci ipoteche politiche, che amava proclamarsi immune dalle ideologie e aspirava, ai livelli più elevati, a entrare a far parte dello star system mediatico. Si assisteva quindiallafortunadelle varianti eretiche del marxismo (costituite dalla Scuola di Francoforte e da Ernst Bloch); alla massiccia presenza di pensatori prima reputati politicamente compromessi, come Nietzsche, Heidegger e Carl Schmitt; al propagarsi della psicoanalisi lacaniana; alla penetrazione dello strutturalismo di LéviStrauss, dell’ermeneutica di Gadamer, della «svolta linguistica» e della filosofia analitica nell’Europa continentale; ai primi segni dell’imminente nascita dei dibattiti sul multiculturalismo e sull’estendersi alla filosofia del postmoderno già affermatosi in architettura. Senza che lo spirito criticovenissesoffocato, altri agenti iniziavano allora, nel bene e nel male, a plasmare diversamente e con maggiore efficacia il senso comune, a orientare le coscienze e a colonizzare l’immaginario. questo Tutto grazie all’accresciuto peso dei mezzidicomunicazione dimassaeaunacultura tendenzialmente più intrinseca ai processi economici e sociali vigenti che non alle tradizionali dinamiche dell’indagine intellettuale o della creatività artistica. Cominciavano a diventare protagoniste di questa nuova stagione imprese che oggi operano oligarchicamente su scala planetaria, aventi come obiettivo primario il perseguimento del profitto, rappresentate dalla televisione commerciale, dalle principali case cinematografiche e discografiche, dalla telefonia mobile, dalle grandi concentrazioni editoriali e, sempre più, dall’industria digitale e dai gestori della rete (Internet, social network). Ampliando l’offerta di intrattenimento, informazione ed educazione, mettendo potenzialmente in contatto miliardi di uomini, esse incidono sulla mentalità e i gusti collettivi grazie alla produzione seriale di notizie, giornali, riviste, libri, film, dischi o videogiochi. 2.Guardandoindietro, uno dei compiti che mi ero allora consisteva proposto nello scrostare dall’immagine di Hegel i principali pregiudiziebanalitàche vi avevano depositato, in una sequenza di strati successivi, interpretazioni, anche illustri, ma false, distorte o frettolose. Per ottenere un effetto di maggior nitore, avevo procedutoaunainiziale operazione di restauro, in modo da far risplendere in essa i colori anneriti dal tempo e da rendere maggiormenteleggibilii contornidell’insieme. In questo stadio, la partecipazione simpatetica alla ricostruzione ‘filologica’ dell’insieme è sempre necessaria,cosìcomelo èunagenerosapazienza nel restituire a un grande pittore tutta la sterminatagammadelle tonalità cromatiche, senza tuttavia trascurare di porre in evidenza il disegno e i tratti specifici del suo stileedisvelarequalche imprecisione o qualche parte della tela dipinta con minore accuratezza o con errori di esecuzione. L’intera energia interpretativa sprigionata da questa operazione di ripulitura concettuale non veniva, tuttavia, utilizzata per rivalutare il pensiero di un filosofo che non ne ha bisogno, bensì per porsi al più alto livello del confronto, per mettere alla prova e attaccare non le sue posizioni più deboli e indifendibili, ma quelle più forti, dove maggiore è la nostra resistenza a comprenderle ed eventualmente a confutarle, dove può sorgere il legittimo sospettochequalcosadi importante continui a sfuggirci e dove si rafforza la persuasione che,comunque,purnon cedendoasentimentidi eccessivariverenza,non sia lecito tirare le orecchie ai classici e intestarsi facili vittorie ermeneutiche. Ponevo perciò – e ancoraripropongo–una serie di domande cruciali e ineludibili, a partire dalla definizione hegeliana della filosofia come «il proprio tempo appreso col pensiero». Cosasignificapensareil propriotempo?Comesi configuralaconcretezza del presente attraverso la sua trascrizione in concetti? Cosa implica per Hegel definire gli anniincuihavissuto«i più ricchi che la storia universale abbia avuto»? Qual è il senso dell’isomorfismo fra la struttura sistematica della sua filosofia e il campo dei mutamenti storici? Quale il rapporto fra la «civetta» della filosofia, che interpreta in maniera vigile e cosciente le modificazioni prodotte dall’epoca, e la «talpa» dello «spirito», che trasforma e scalza inconsciamente le fondamenta dell’epoca stessa mediante un lavorio cieco ma istintivamente rivolto a un fine sconosciuto ai contemporanei? Tra la filosofia, che sembra vedere e non fare, e il movimento storico, che sembra fare e non vedere? Perché, in polemica con i romantici, Hegel disprezzailmondodella natura a favore di un patriottismo dell’umanità e della civiltà fino al punto da definire il firmamento una «eruzione cutanea luminosa»easostenere che «il pensiero criminale di un malfattore è più grandioso e sublime delle meraviglie del cielo»?Perchéilsistema pretendeoradiesserela forma suprema della filosofia come scienza rigorosa? 3. Se Hegel si fosse limitato, come Francesco Bacone, ad attribuireallafilosofiala naturadifiliatemporis,o se anche (per citare Ruge e Marx) avesse osato «metterne in piazzailsegreto»efarla retrocedere da messo celeste a Zeitungskorrespondent, a inviato speciale di un’epoca, in fondo non avrebbe compiuto alcuna mossa teorica scandalosa. Perfino un filosofo relativamente modesto come Karl Leonhard Reinhold aveva scritto nel 1801 un’opera intitolata Lo spirito dell’epoca come spirito della filosofia. Fichte, poi, era giunto nei Tratti fondamentali dell’epoca presente a qualificarelapropriaetà come un fronte che avanza dall’opaco dominio dell’«istinto della ragione» al trasparente autogoverno della «scienza della ragione», come un momento storico «in cui si scontrano e si combattono mondi fra loro assolutamente ostili» e in cui, nel medesimo «tempo cronologico», possono «incrociarsi e scorrere l’una accanto all’altra, in diversi individui, epoche differenti» e dove soltanto il «tempo delconcetto»eraperlui ingradodicorrelareedi esprimere questi dislivelli nella storia dei singoliedeipopoli. Nessuno, prima di Hegel, aveva, tuttavia, osato tradurre integralmente e consapevolmente la parabola del proprio tempo sul piano di un organico sviluppo delle forme del pensiero, di un sistema che aveva l’ardire di raffigurare, nel«semplicefuoco»del concetto, l’immagine virtuale dell’epoca, vale a dire di uno spazio di tempo relativamente omogeneo separato da due cesure poste all’inizio e alla fine. Nessuno aveva dato tanta importanza alla storia e costruito una «rete adamantina» di categorie volta a rappresentare l’orizzonte massimo di intelligibilità di un periodo che pretende di includere in sé, telescopicamente, i princìpi delle epoche antecedenti; nessuno, tranne – a suo modo – Montaigne, aveva svuotato il preconcetto che attribuiva alla «natura umana» un’essenza metastorica, mostrando come «la natura vivente è eternamentealtrocheil suo concetto, per cui quello che per il concetto era semplice modificazione, pura accidentalità, qualcosa di superfluo, diviene necessario, vivente, forse ciò che unicamenteènaturalee bello». Per quanto il discreditochehacolpito lo Hegel sistematico sia responsabile di molti gravi fraintendimenti della sua filosofia, non avevo (e non ho) elogiato la forma sistema in quanto tale, indicandone anzi alcuni tratti di rigidità. Volevo piuttosto scoprirne il significato teorico e storico, anche nelle sue crepe e malformazioni; studiarnelaconsistenza nel suo rapportarsi alle varie branche della scienza del tempo; capire a quali bisogni e aspettative corrispondesse; chiedermi entro quali limiti adempisse alla funzioneconsolatoriadi ricomporre il sapere al di là della avanzata divisione del lavoro scientifico e del rapido accumularsi delle nozioni (tipico di un periodo in cui prevalgono «l’inquietudine e la dissipazione propria della nostra coscienza moderna» e l’«inevitabiledistrazione cagionata dalla grandezzaemolteplicità degli interessi dell’epoca»). Avevo, peraltro, dimostrato come il sistema non debba essere accettato nel suo ordine e nella sua pretesa di scientifica neutralità: come vada, semmai, scomposto, scompaginato e ricostruito, al fine di coglierne gli esplicitamente dichiarati intenti didattici, gli ingranaggi interniegliaggancicon la realtà. Solo così è, infatti, possibile scorgere negli scritti hegeliani della maturità un disegno coerente, seppur attraversato da linee di frattura, da forzature e da incertezze. 4. Lo scopo del libro del 1975 era quello di fornireglistrumentiper rendere nuovamente leggibile il sistema nei suoi presupposti e nelle sue articolazioni, per valutare, nella loro incidenza sul nostro tempo, i problemi affrontati da Hegel attraverso la relazione tra lo sviluppo delle categorie filosofiche e il movimento storico. Dal punto di vista cronologico, esso copriva (e continua a coprire) sostanzialmenteglianni di effettiva esecuzione dei progetti sistematici, dal 1807 al 1831, dalla Fenomenologiadellospirito agli ultimi corsi berlinesi.Rovesciandoil dualismo tra il «giovane Hegel» (fresco, asistematico e ancora attento alla vita e alla varietà della storia) e lo Hegel maturo (paranoico e sclerotizzato nel sistema), avevo e ho inserito le sue opere maggiori in una prospettiva in cui trova spiegazione l’apparente incongruenza di una filosofiachesiproclama traduzione del proprio tempo in forma di pensiero e poi sembra svolgersi in modo del tutto «autarchico» rispettoadesso. Pur avendo situato Hegel nella propria epoca attraverso la ricostruzione del suo intenso interesse per i maggiori eventi del tempo, pur avendo esposto uno spaccato dell’età napoleonica e della Restaurazione, avevo respinto lo storicismo‘invertebrato’ allora in auge in Italia, tuttosfumatureeniente struttura, pronto ad appiattire il pensiero sugli avvenimenti. Nel negare a quest’ultimo ogni autonomia, le idee finivanoperrivelarsiun semplice e quasi passivo riflesso delle situazionidifatto,tanto che la filosofia di Hegel veniva spiegata all’ingrosso facendo ricorso delle al baluginare picche dei Sanculotti nel corso della Rivoluzione francese o alla politica del governo prussiano durante la Restaurazione. Proprio in polemica con queste interpretazioni, avevo rivendicato l’importanza del tanto denigrato «sistema», generalmente presentato come una specie di camicia di forza indossata da un pazzo o, più benevolmente, come la dottrina di un «panlogista» pedante che ignora le pulsazioni delpensierovivente. Ero (e sono) ben consapevole del fatto che, subito dopo la morte di Hegel, la struttura sistematica è stata corrosa e smontata – non senza buone ragioni – dalle critiche dei suoi avversari, combattuta daipiùcelebripensatori e abiurata perfino dalle universitàtedesche,che avevano abolito l’obbligo di tenere corsi di enciclopedia filosofica. Si salvano le singoledisciplineavulse dal loro contesto: l’estetica, la logica, la psicologia, la politica, la concezionedellastoriae prevale la ricerca settoriale, spinta fino alla voluta frammentarietà dell’esposizione in forma di saggio o di aforisma: «L’intero è il falso», proclamerà Adorno, rovesciando il celebre detto hegeliano della Fenomenologia dello spirito. Nell’ottica di Hegel lo smembramento del suo sistema sarebbe stato probabilmente attribuito non alla sua intrinseca inadeguatezza, ma al fatto che lo scavo della talpa ha aperto un’altra epoca in cui la precedente architettura delle idee è destinata a crollare in quanto inadeguata a insieme le tenere nuove componenti. Dal nostro punto di vista, vi è, invece, anche un altro motivo per rinunciare a una visione coerente della realtà, un motivo cheaHegeleraignotoe che a noi si manifesta con chiarezza: proprio quando il mondo diventa sempre più interconnesso, il pensierostentaaessere globale. Questo apparente paradosso si spiega però non solo con la straordinaria difficoltà di questa impresa, ma con il presente incontroscontro tra le grandi culture del pianeta, che ha eroso quel primato assoluto dell’Occidente, ovvia premessa del sistema hegeliano, fondato sulla visione dialetticamente unificabile della civiltà mondiale grazie all’umanità europea: «All’europeo interessa il mondo; egli vuole conoscerlo, appropriarsi dell’Altro che gli sta di fronte[…]Cosìcomenel campo teoretico, anche in quello pratico, lo spirito europeo tende a produrre l’unità tra sé e il mondo esterno. Egli sottomette il mondo esternoaisuoiscopicon un’energia che gli ha assicurato il dominio delmondo». 5. Per arrivare alla trattazione di un problema controverso come il sistema ero partito dalla forza di suggestione ancor oggi esercitata da alcune metafore hegeliane e dai luoghi comuni, pregiudizi ed errori che derivanoacascatadalla loro interpretazione. Mi ero soffermato (e sono poi ritornato) sulla più famosa, quella della «civetta di Minerva», intesa come emblema della filosofia al suo crepuscolo. La civetta, comeavevoscoperto,ha tuttavia un suo antagonista- collaboratore nella «talpa», a conferma di come la storia non finisca con il tramonto diun’epocaedicomela filosofia non concluda affattoilsuocammino. Hegel sarebbe stato davvero un folle se avesse creduto di impersonare filosofo. l’ultimo Credeva, invece, di essere un ordinatore sistematico di concetti ed esperienze, un pensatore che non inventa niente. Sotto questo profilo, come apparedalleLezionisulla storia della filosofia, egli si paragonava implicitamente ad Aristotele, che presentò la summa del suo pensiero alla fine dell’Atene classica, alle soglie di quel periodo che verrà chiamato «ellenismo» da un suo discepolo all’università di Berlino, Johann Gustav Droysen. Hegel si sentiva, appunto, chiamato a dare forma intelligibile a un’intera fasestoricaaltramonto, segnata, come altre, dal prevalere degli interessi individuali su quelli collettivi, ma al suo tempo, in particolare, dall’esasperata ricerca diuna«fettadicielo»in terra, di una felicità privata. Egli vedeva ormai una moltitudine dipersonecheguardava lucrezianamente il naufragio altrui stando al sicuro sulla dell’egoismo riva e considerava gli eventi storici, senza impegnarsi a modificarli, come un «bancodamacellaio»da evitare. È precisamente questa disgregazione della comunità, questo meschino inaridimento delle coscienze che frena la tensione verso una «vita migliore» a suscitare nelle fasi di declino di una civiltà l’acuirsidellosguardodi civetta della filosofia, datoche«lescienzeela rovina […] vanno semprediparipasso». Avevo preso volutamente l’avvio dalla camera di compensazione delle metafore per abituare gradualmente il lettore a respirare l’aria rarefatta (il «puro etere») del pensiero concettuale. l’avvertenza Con che il percorso verso la trattazione del sistema, comprese le metafore e la discussione su temi scientifici, non è solamente propedeutico, ma fa inseparabilmente corpo conlateoria. 6. Nei decenni successivi alla pubblicazionediSistema edepocainHegelmisono interrogato su cosa sia cambiato in profondità e in estensione rispetto alla documentazione disponibile, alle esegesi di questa filosofia e all’orizzonte di senso in cui allora mi situavo e oggimipongo. Dal punto di vista della filologia e della critica, la pubblicazione degliineditidellelezioni hegeliane (di cui per primo avevo utilizzato, in un ambito non settoriale,quelleappena pubblicate) si è ora enormemente ampliata, così che le trascrizioni da parte degli studenti dei diversi corsi di HeidelbergediBerlinoe gli appunti manoscritti dello stesso filosofo hanno ulteriormente mostrato, accanto alla graduale evoluzione e alla sterminata ricchezza del suo pensiero, anche le esitazioni e la relativa insoddisfazione per i risultatidivoltainvolta raggiunti. Con la cosiddetta Hegel Renaissance degli ultimi decenni si è poi avuta la riscoperta in grande stile della filosofia hegeliana da parte del mondo anglosassone che, dopo una prima accoglienza positiva tra Ottocento e Novecento, aveva mostrato nei suoi confronti ostilità e irrisione. Dal disprezzo per le presunte fumisteriemetafisichee i deliri di grandezza di Hegel si è passati a una più seria e apprezzabile conoscenza delle sue opere, comprensibilmente piegata, non senza qualchedistorsione,alle tradizioni del pragmatismo e della filosofia analitica. Nella cultura italiana ed europeasièpoidistolta l’attenzione dal rapporto di Hegel con Marx,alloracanonico,e, in parte, anche dal confronto con la tradizionedelmarxismo eretico (e questo ancor prima della caduta del Muro di Berlino e della dissoluzionedell’Unione Sovietica). In misura minore, si è attenuato l’interesse per il decostruzionismo e l’ermeneutica, mentre persiste quello per Heidegger e Nietzsche, oltre che per Habermas e Foucault. Si sono, però, soprattutto aperti nuovi campi d’indagine, quali la bioetica, le logiche polivalenti o lo studio comparato tra i modi di pensare e di sentire scaturiti dalle principali civiltà del globo. 7. Dopo aver messo alla prova la consistenza delle tesi allora sostenute, sono peròconvintochemolto di quanto ho scritto nel 1975 non abbia ancora esaurito la sua carica innovativa. Non credo, poi, di aver trovato ragioni sufficienti per scostarmi dall’impostazione di allora. In questo nuovo volume, La civetta e la talpa (che ha come sottotitolo il vecchio titolo), ho quindi, da un lato, mantenuto l’impianto complessivo del discorso, conservandone la cadenza secondo l’originario ordine espositivo in capitoli e paragrafi, ma, dall’altro, ho introdotto – assieme a interventi minori a intarsio – interi blocchi nuovi, che traggono spunto non solo dai materiali venuti più recentementeallalucee dallo negli stato dell’arte studi sugli argomenti esposti, ma anche – e soprattutto – dallericerchecondottee dalle riflessioni in me maturate durante tutto questoarcoditempo. Perquantoriguardala composizione del volume, la stesura a granafinaeilfrequente uso delle citazioni nel testo rispondono alla scelta di evitare generalizzazioni non suffragate da riscontri puntualiedifarparlare, con la loro distinguibile voce, i partecipanti a quel comune dialogo che è rappresentato da ognilibro. Ho,infine,largamente aggiornato la bibliografia grazie all’assidua frequentazione di istituzioni e biblioteche di eccellenza, che mi hanno permesso di consultare, selezionare e mettere a frutto una enorme massa di materiali. Tra queste ricordo con gratitudine: lo Hegel-Archiv di Bochum, la StaatsbibliothekPreussischer Kulturbesitz di Berlino, la Fondation Hardt di Vandoeuvres-Genève, la Young Research Library della University of California,LosAngelese la Butler Library della Columbia University di NewYork.Comeinaltri miei libri, il testo è accompagnato da un corposo apparato di note a beneficio di chi desidera esaminare da vicino il tessuto dell’argomentazione, verificarelanaturadelle fonti, saggiare la tenuta delle prove o sviluppare ulteriormente alcuni punti accennati. Chi non ha tempo o interesse per eventuali approfondimenti potrà ignorare le note: non perderà il senso del discorso e godrà il vantaggio di una lettura piùfluida. La civetta e la talpa è, dunque, un’opera in parte nuova e, in parte, in grado di conservare quantomisembraabbia resistito all’usura del tempo (del resto, in filosofia, le idee si comportano come le placche nella deriva dei continenti: si muovono in maniera impercettibile, anche se poi il loro scontro provoca periodiche catastrofi, per fortuna soloconcettuali,maalla lunga non prive di effettipratici).Seèvero quanto dice Schopenhauer, che ognuno di noi non fa altro per tutta la vita che sviluppare una sola ideaoscrivereununico libro, questo è l’intimo prolungamento del primo. 8. Con la differenza che è stato concepito in un clima intellettuale e morale decisamente cambiato – che pone altre domande ed esige altre risposte –, nel senso che il futuro collettivo, di per se stesso incerto, si è oggi ancor più oscurato, in particolare nella nostra porzione di mondo. Dal punto di vista qualitativo,hopertanto, da un lato, ulteriormente approfondito alla luce del pensiero contemporaneotemigià presenti in Sistema ed epoca in Hegel (quali il significato della dialettica, dell’analisi il ruolo infinitesimale, delle scienze naturali e della psichiatria, l’enigmatico nesso tra tempo, divenire ed eternità, la condizione dell’individuo nell’«epoca della prosa del mondo», la mutata funzione dello Stato e della società civile, le polemiche sul finalismo), dall’altro, pensando a un periodo storicoincuiilprocesso di globalizzazione non aveva ancora raggiunto le proporzioni odierne e le crisi economiche avevano, tuttavia, già provocato la precarizzazione dell’esistenza di innumerevoli individui e popolazioni, mi sono ora soffermato maggiormente sulle idee di lavoro, di disoccupazione e di miseria in una civiltà dominata dalle macchine e dal Kapital, un «animale selvaggio» chesisottraeaqualsiasi tentativo di addomesticamento e diventa sempre più una potenza «indipendente» dagliStati. Hegel descrive infatti – in maniera quasi dickensiana – un’economia contraddistinta dall’elevatissima concentrazione della ricchezzainpochemani e dal conseguente crearsi di una immensa massa di lavoratori poveri o disoccupati (brodtloseArbeiter),esseri umani sospinti dalla miseria più spaventosa nell’umiliazione e nell’abbrutimento, una situazione alla quale gli Stati cercano inutilmente di rimedio con porre dei «palliativi», come l’emigrazione nelle colonie. Di fronte a un simile spettacolo, Hegel giunge a dire che l’estrema povertà rende lecito, a chi la subisce, ancheilfurtofinalizzato alla propria sopravvivenza: «tale azione è illegale, ma sarebbe ingiusto considerarla come un furto comune. Sì, l’uomo ha diritto a tale azione illegale». Il tramonto dell’epoca è quindiperluiconnesso, oltre che alla «farsa» della Restaurazione, all’insolubilità di conflitti come questi, che la filosofia deve indagare con i suoi grandiocchidicivetta. Comparativamente, anche il nostro avvenire, oscurandosi, sembra aver accentuato lasuanaturadiassoluta contingenza, di luogo di esplicazionediforzeche sfuggono sempre più al controllo degli uomini. L’incertezza si è perciò estesa,insinuandonegli animi la percezione della precarietà come normale condizione dell’esistenza, un atteggiamento che allenta i legami sociali, mina la fiducia reciproca e rende più difficile l’individuazione dipossibilivied’uscitaa una crisi che non è soltanto economica o politica(cheègrave,ma certononpeggioredelle tante che si sono attraversate solo nel secoloscorso). Noinonabbiamoperò alcun coerente sistema di idee che pretenda di orientarci a capire il nostro tempo, alcuna civetta filosofica che, con sguardo panoramico, interroghi la sua apparente oscurità. La talpa della storia continua invece, come sempre, a scavare in profondità e in direzioni imprevedibili le sue gallerie, da cui emergerà non si sa quando e non si sa dove, quasi a conferma dell’asserzione di Keynes, secondo cui «l’inevitabilenonaccade mai,l’inattesosempre». Pisa, 2014 maggio-giugno REMOBODEI Capitoloprimo Lacivettaela talpa In questo capitolo si consideracomealcune idee sulla filosofia di Hegel siano derivate da sue fortunate metafore, ma si considera anche come tali metafore siano state spesso fraintese omaleinterpretate.La direzione principale di ricerca è quella di far scaturire progressivamente la rete categoriale dalla rete metaforica, la 'forma' del proprio tempo appreso in pensieri dal suo contestoconcreto,edi passare dalle allusioni agli aspetti più noti e dibattutidellafilosofia hegeliana all’esposizione coerente di quelli meno conosciuti e fondanti. Vengono quindi prese in esame quiesvisceratealcune sue metafore centrali, prima tra tutte quella della 'civetta della filosofia', il legame tra metafore notturne e oscuramento del mondo, per arrivare a considerazioni inerentilafilosofiaele istituzioni, il controllo della dialettica storia, fino ai limiti di un’interaepoca. È lo spirito nascosto, che batte alle porte del presente, che è tuttora sotterraneo, chenonè ancora progredito ad esistenza attuale ma che vuole prorompervi […] Lo stato del mondo non è ancora conosciuto; ilfineèdi produrlo. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia[1]. 1.L’ostacolodelle immagini L’immagine dominante di un sistema chiuso o di un atteggiamento politico sostanzialmente rinunciatario nello Hegel della maturità, poggiaanchesulfascino di alcune fortunate metafore, come quella della civetta della filosofia, che si innalza sul far della sera, quando il processo di formazione della realtà appare ormai concluso. In genere, tali similitudini non vengono però correttamenteintese,ed esercitano quindi un effetto perturbatore sulla comprensione del pensiero hegeliano. Finché non sono chiarite, agiscono da ostacolo, ma una volta penetrato il loro senso, rivelano in Hegel una più fitta e coerente rete dimetaforeedimodelli analogici, che funge da supporto o talvolta da surrogato delle trame concettuali. Non solo, quindi, esse possono introdurci nella filosofia di Hegel, indicarcene alcuni presupposti, ma possono anche offrirci unaillustrazionestorica efficace e non intenzionale retroterra dei del suoi concetti.Lostabilire–in via preliminare – quale estensione abbiano le propaggini e le implicazioni di questo impianto figurale e qualerapportovisiatra di esso e la struttura teorica rettifica esplicita, le basi immaginativedellavoro di interpretazione e prepara contemporaneamente unterrenopiùfruttuoso per la ricostruzione dell’impianto concettuale. Vi preliminarmente sarà un discorso provvisorio, in cui farò parlare soprattutto i testi hegeliani, sviluppando le mie argomentazioni quanto basta per intravedere l’impalcatura generale del pensiero di Hegel e per incrinare i più diffusi e tenaci pregiudizi che accompagnano la letteratura che lo riguarda, sempre tacitamente presupposta, anche quando non direttamente citata. La prima parte sarà quindi una riflessione su alcunepaginehegeliane – non poche ignorate e qui inserite nei loro nessi –, nell’attesa di una giustificazione storica e teorica che potrà derivare in modo retroattivo solo dall’intero svolgimento dell’indagine e dalla conseguente saldatura fra livello metaforico e livello concettuale. Questa saldatura, da un lato, degraderà le metafore e i modelli analogici a semplici meccanismi ausiliari, dall’altro, li conserverà costantemente sullo sfondo, sia per dare profondità di campo e gusto storico alle relazionidipensiero,sia per ricordare la loro origineelaloropotenza come strumenti che incidonosullacurvatura dei concetti e operano anche all’interno della filosofia. La direzione principale di ricerca sarà però quella di far scaturire progressivamente la rete categoriale dalla rete metaforica, la «forma» del proprio tempo appreso in pensieri dal suo contesto concreto, e di passare dalle allusioni agli aspetti più noti e dibattuti della filosofia hegeliana all’esposizione coerente di quelli meno conosciutiefondanti[2]. 2.Lacivettadella filosofia Cominciamo dalla prima delle due metafore complementari, da quella più nota della «civetta», lasciando a una fase successiva, quasi a sorpresa, quella della «talpa», che ne spiega a posteriori il sensopreciso. Nella famosa pagina del 1820, in cui la filosofia è paragonata alla civetta di Minerva (Eule der Minerva) che spiccailsuovolosulfar della sera, che giunge cioè troppo tardi rispetto al costituirsi autonomo della realtà, si è sempre visto il simbolo stesso della vocazione contemplativa e della rinuncia alla trasformazione del mondo da parte di Hegel. Al pensiero sembra affidato il compito di registrare passivamente una situazione storica già svoltasi e di rifugiarsi nellanottedellapropria interiorità. Ma la rappresentazione della civetta nasconde delle allusioni che dovevano risultare trasparenti a molti contemporanei e chesonoinvecerimaste opachepernoi.Inprimo luogo, e questo è l’aspettopiùevidente,la civetta, linneanamente Athene noctua, è per lunga tradizione l’immagine della sapienzaedellafilosofia (ancheperchésivedeva nelcontornodegliocchi e del becco la forma dellaletterainizialeφdi φιλοσοφία),oltrechedella disgrazia,delcrepuscolo e della notte, ma essa è anche l’animale sacro ad Atena o Minerva, di cuiessa–(glaukopis),dal volto di civetta (glaux) – assumespessolaforma. Atena,inquantoSophia, è figlia di Metis, l’intelligenza e il Buon Consiglio, o di Zeus dalla cui testa, si sa, escearmata[3].Illatopiù importante della storia di questa figura è comunque rappresentato per noi dalfattochecomparisse sul fregio della «Minerva», la rivista di Archenholz e successivamente di F.A. Braun,bennotaaHegel fin dagli anni di Berna. In esso è disegnata una civetta che sovrasta un cartiglio col motto leibniziano Die gegenwärtige Zeit ist schwanger mit der Zukunft, il presente è gravidodelfuturo[4].Già nell’immagine hegeliana della civetta vi è, dunque, l’allusione a un rinvio al futuro, confermato da tutto il senso dell’opera del filosofo. La fuga della civettanellanottenonè solo rassegnazione, meditazione «anamnestica» del passato[5], ma, nello stessotempo,silenzioso e incessante sforzo di comprensione di quelle forze agenti che prefigurano un futuro peraltro imprevedibile. Hegel vuol significare chelafilosofianascedal tramonto di un mondo reale e dei suoi vecchi ordinamenti, ma proprio nel coglierlo ed elaborarlo attraverso il pensieroneèaldilà,ne accelera la decomposizione, aprendocosìlastradaa un futuro che non si può descrivere perché il filosofo non è un profeta. Con la scomparsa del sole del reale, nella notte esteriore, si innalza per contrasto un sole interiore: «Si è spesso descritto il modo in cui un uomo vede spuntare il mattino, avanzare la luce,ilsolealzarsinella sua maestà. Una simile descrizione porrà in rilievo il rapimento, lo stupore, l’infinito obliare se stessi in questa chiarità. Ma quando il sole sarà già salito tempo per qualche nel cielo, l’ammirazione diminuirà, lo sguardo saràobbligatoarivolger l’attenzione più alla natura e a se stesso; l’uomo guarderà nella sua propria luce, passeràallacoscienzadi sé, dalla prima attonita inattività dell’ammirazione procederà all’azione, all’opera creatrice movente da lui medesimo. E alla sera avrà compiuto un edificio, un sole interiore, il sole della sua coscienza, prodotto del suo lavoro; e questo egli pregierà più che il sole esteriore, e nel suo edificio avrà ottenuto di stareconlospiritonello stesso rapporto in cui prima stava col sole esteriore,omeglioinun rapporto che ora è, invece, libero. In ciò è propriamente implicito ilcorsodituttalastoria del mondo; il gran giorno dello spirito, la diurna opera che esso compienellastoria»[6]. Sole esteriore e sole interiore percorrono dunque traiettorie opposte. Quanto più il primo si abbassa sull’orizzonte, tanto più il secondo sale. Del resto Hegel ha una «concezione eliodromica»dellastoria del mondo e, giocando sulle etimologie, attribuisceallastoriaun movimentodaorientea occidente, dal sole esteriore (Ex Oriente lux suona un antico proverbio) al sole interiore, dall’Asia all’Europaeall’America, «paese dell’avvenire»[7], la definizione stessa data da Napoleone. Soltanto nel Paese della sera (Abendland) – dove si è abbandonato l’immobilismoasiatico– il cumulo delle crisi di crescenza, la morte di mille soli naturali, ha fatto spuntare il «gran giornodellospirito».Qui soltanto«lalucediventa lampo del pensiero», in quanto la vecchiaia naturale è debolezza, mentre quella dello spiritoèpienamaturità. La filosofia può sorgere, infatti, solo dove c’è crisi, mutamento, corruzione della naturalitàdell’esistenza; unicamente «allorquando un popolo in generale ha sorpassato le sue condizioni concrete di vita, allorquando s’è verificatalaseparazione e la differenziazione delle classi, e il popolo stesso si avvia al suo tramonto; allorquando s’è determinata la scissura tra le aspirazioni interiori e la realtà esteriore, l’antica forma della religione non soddisfa più ecc.; allorquando lo spirito appalesa indifferenza verso la propria esistenza vitale o vi permane insoddisfatto, e un dato tipo di vita etica va in dissoluzione. Allora lo spirito si rifugia nel mondo del pensiero, si crea di fronte al mondo reale un mondo del pensiero; e la filosofia costituisce l’espiazione della corruzione del mondo reale, che è stata iniziata dal pensiero. Quando la filosofia sorge con le sue astrazioni a lavorare di chiaroscuro, la freschezza e la vitalità della gioventù se ne sono andate; e la sua espiazione non si compie nella realtà, sibbene nel mondo ideale.PerciòinGreciai filosofi si tennero lontani dalla vita politica; e il popolo li chiamava fannulloni, perché si rifugiavano nel mondo del pensiero»[8]. Questo rifugiarsi, tuttavia, non è per le istituzioni un’innocua contemplazione, ma un subdolo solvente che allenta e trasforma i vincolieticiefadilagare l’immoralità: «Ma questa corruzione non si può arrestare, come nel Paradiso Terrestre non si può far tacere il desiderio della conoscenza. La conoscenza, che è un momento necessario nell’educazione dei popoli,sipresentaintal modo come una caduta nel peccato e come una corruzione. Tali epoche in cui si verificano le svolte del pensiero, vengonopoiconsiderate comeunmalannoperla saldezza degli antichi ordinamenti. Ma questo malanno del pensiero non può essere impedito da leggi o da altri ordinamenti consimili; esso può e deve guarirsi soltanto dasestesso,quandoper opera del pensiero stesso si sia veramente venuto a produrre il pensiero»[9]. La filosofia assume così il ruolo di nemica degli antichi ordinamenti e di pericolo per gli Stati, e i filosofi (come mostra in misura esemplare il destino di Socrate, di Bruno, di Vanini) divengono delle figure tragiche, analoghe a quelle dei fondatori di nuove religioni, ed espiano anche con la vita il peccato di aver contribuito alla dissoluzione di un popolo: «In quanto si continuava a pensare si ebbe il risultato che i supremi rapporti della vita vennero compromessi. Mediante il pensiero venne sottratta al positivo la sua forza. Costituzioni statali caddero vittime delpensiero;lareligione èattaccatadalpensiero; salde rappresentazioni religiose che valevano senz’altro come rivelazioni, sono state sotterrate, e l’antica fede rovesciata in molti animi […] Perciò i filosofi vennero esiliati ed uccisi a causa del rovesciamento della religione e dello Stato, entrambi fra loro essenzialmente solidali. Il pensare si fece così valere nella realtà effettuale ed esercitò un’enorme efficacia»[10]. Nel sottrarre al positivo la sua forza, nel sollevare attraverso il pensiero le nuove esigenze storiche al di sopra dei contenuti di coscienza finora accettati, i filosofi – comeilGesùdegliscritti giovanili – si innalzano spesso al di sopra del destino del loro tempo, maprendonosempresu di loro la croce delle contraddizioni e dell’«immoralità» presente. Essi del son chiamati a riconoscere, attraverso «la corteccia», il «nucleo sostanziale della realtà, ma per arrivare a ciò occorre un duro lavoro onde cogliere la rosa nellacrocedelpresente. Per questo si deve prendere la croce su se stessi»[11]. I filosofi non devono aver paura di essere considerati immorali o corruttori, perché la corruzione è nell’epoca e la filosofia contribuisce anzi al suo superamento.Hegelcosì (nelrisponderealsaggio di Reinhold, dal titolo per noi significativo di Lo spirito dell’epoca come spirito della filosofia, in cui Reinhold cercava di spiegare i sistemi di Fichte e di Schelling a partire dalla loro presunta immoralità)[12] osserva: «Una filosofia procede indubbiamente dallapropriaepoca,ese si vuole intendere la lacerazione di un’epoca come immoralità, tale filosofia procede dall’immoralità, ma per restaurare con le proprie forze l’uomo contro la disgregazione dell’epoca e per ristabilire quella totalità che il tempo ha lacerato»[13]. In questo contesto si situa la costante e polemica difesa compiuta da Hegel dei philosophes contro i romantici e i difensori della Restaurazione, difesa che ha valore esemplare. Sebbene il pensiero incrementi soltanto il metabolismo del mutamento storico, lo esprima in tutta la sua virulenza senza esserne la causa prima (da cercarsi nella realtà come tutto), Hegel sottolinea il peso specifico della filosofia nelprovocareilcrollodi un assetto politico e nell’aprire una situazione rivoluzionaria, e non lo fa certamente – come sostiene Popper – per alzareilprezzodellasua collaborazione col governo prussiano, per rendere più preziosa la sua merce controrivoluzionaria[14]. Ognifilosofia,compresa la sua, è anzi secondo Hegelrivoluzionaria,nel senso che, con la potenza del concetto, sottrae forza all’esistente,epresenta, in alternativa, un «mondo nuovo» razionalecheaccelerala distruzione del vecchio. Nell’attacco degli illuministi francesi, «les enfants perdus de notre cause»[15], al cumulo di ingiustizie dell’ancien régime, Hegel vede un compitoessenzialedella filosofia, che è conciliazione di razionalità e di effettualità, non riconoscimento passivo dello stato di cose sussistente: «Ciò che è degno di ammirazione negli scritti filosofici francesi […] sono la stupefacente forza ed energia che spiega il concetto contro l’esistenza, contro la fede, contro la potenza millenaria dell’autorità […] L’ateismo, il materialismo e il naturalismo dei Francesi hanno infranto tutti i pregiudizi, hanno riportatovittoriasututti i presupposti aconcettuali e su tutti i valori della religione positiva, su tutto quel che si accompagna con le abitudini, con i costumi,conleopinioni, con le deformazioni giuridiche e morali, con le istituzioni civili»[16]. Quando «l’oppressione spinse all’indagine»[17], lo slancio del pensiero fu tale da trasformare l’esistenteinuna«vuota parvenza di oggettività»[18]: la «furia del dileguare» rende il mondo rarefatto e immediatamente permeabile al pensiero, il quale assume il carattere dell’universalità opposta e nemica della singolarità che non si adegua subito ad essa, del Terrore e del dominio della virtù astratta di Robespierre. Ma la lucida forza dell’intelletto dei Francesi non compie soltanto una unilaterale operadidistruzione:«In mezzo alla tempesta della passione rivoluzionaria il loro intelletto si è mostrato nell’atteggiamento deciso con cui hanno portato a termine la produzione del nuovo ordinamento etico del mondo contro la potente lega dei sostenitori del vecchio; con cui hanno realizzato,nellaloropiù estremadeterminatezza e carattere di opposizione, tutti i momenti della nuova vita politica. Proprio in quanto essi hanno spinto quei momenti al culmine dell’unilateralità, in quanto inseguono ogni principio unilaterale fino alle sue ultime conseguenze, essi sono stati portati dalla dialettica della ragione storico-mondialeaduna condizione politica in cui tutte le unilateralità precedenti della vita statale appaiono tolte»[19].IlTerrore,oltre a essere stato notoriamente una signoria «necessaria e giusta», che fu rovesciata solo quando non servì più[20], ha avuto anche una funzione storica più vasta: ha fatto nuovamente penetrare nell’animo degli uomini la paura della morte, la «paura del signore» assoluto, e con ciò ha «ristorato e ringiovanito» le coscienze[21]. Si riproduce, come vedremo, a uno stadio più alto, la relazione signoria-servitù, con la disciplina che foggia gli uomini. Dall’esperienza rivoluzionaria e dal Terrore i francesi sono usciti rafforzati e attivi nellarealtà,mentre«noi Tedeschiinprimoluogo siamo passivi verso le istituzioni vigenti, e le sopportiamo; in secondo luogo, se esse sono rovesciate, siamo ancora passivi: esse furono rovesciate da altri, e noi vi ci siamo adattati, abbiamo lasciato fare»[22]. Vi è però un punto di contatto che accomuna francesi e tedeschi e li separa dagli altri popoli europei – come ad esempio gli inglesi – legati al rispetto dell’esistente, ed è il richiamo alla potenza disgregatrice del pensiero, che presso i francesi si riversa nella realtà, mentre presso i tedeschi rimane ancora confinata all’interiorità, alla domanda: posso osare anch’io?: «I Francesi, movendo dal pensiero dell’universalità, i Tedeschidaquellodella libertà di coscienza, il quale insegna: “esaminate ogni cosa e attenetevi al meglio”, si sonotuttaviaincontrati, ovvero percorrono la stessa strada: ma se i Francesi, per così dire senza coscienza, hanno portato tutto a termine attenendosi sistematicamente a un pensiero determinato, il sistema fisiocratico; i Tedeschi invece vogliono guardarsi le spalle,esulfondamento dellacoscienzaindagare se anch’essi possono osare»[23].Ilpuntosucui far leva per sollevare i tedeschi(lecivettedella libertà della coscienza), avvicinarli all’effettualità smuoverli dalla e loro passività è dunque la coscienza, ma questa coscienzadeveprendere possesso dell’esteriorità (accostarli quindi ai francesi, le talpe dell’effettualità, che operano, appunto, nella storia «per così dire senza coscienza»), non fuggire da essa a caccia dell’«ideale», che, essendo difficilmente riconosciuto nella realtà,«vienespostatoo nel passato o nel futuro»[24]. Il pathos hegeliano per la Wirklichkeit,perlarealtà effettuale, che viene normalmentescambiato perpassivitàopeggio,è, sotto questo aspetto, una terapia che si rivolge in particolare, manonesclusivamente, aitedeschi.PerciòHegel – con il suo richiamo quasi ossessivo alla forzadellecoseeconla sua irrisione nei confronti della soggettività vuota e avulsadalmondo–poté apparire a Jean Paul un «vampiro dialettico dell’uomo interiore»[25]. Materialismo francese e idealismo soggettivo tedesco hanno la medesima radice, manifestano le stesse esigenze secondo versanti storici e culturali differenti, ma complementari: il materialismo francese secondo il «principio locale» dell’oggettività e della realtà, l’idealismo tedesco secondo la forma della soggettività e dell’idealità[26]. Nel rivendicare, almeno in parte, alla propria filosofia l’eredità di queste due tradizioni, Hegel ha voluto unire i due princìpi (la rivoluzione portata dal pensieronellacoscienza e la rivoluzione portata dal pensiero nella realtà). I francesi non potranno realizzare una vera e durevole rivoluzione nella realtà senza una riforma della coscienza, i tedeschi non potranno effettuare una vera rivoluzione nella coscienza senza il «balzo in avanti»[27] oscuramente compiuto dalla realtà stessa. Le due strade che il pensiero ha imboccato nell’età moderna, Riforma luterana e Rivoluzione francese, devono incontrarsi. L’incidenzadelpensiero nondevepiùlimitarsia un mutamento nell’interiorità, ma deve passare consapevolmente a investireleistituzioni. Rifugiarsi nel mondo notturno del pensiero (ossia cercare di risolvere le contraddizioni alla luce del sole interiore) non significa quindi tagliare iponticonlarealtà,ma rinsaldarli, uscire da un punto morto. La filosofia infatti, nel comprendere il proprio tempo, lo modifica e lo rende dominabile. In quanto «semplice fuoco» su cui converge l’immagine virtuale di un’epoca, essa è superiore al contenuto secondo la «forma», aggiungecioèallarealtà globale dell’epoca soltanto la sua comprensione[28] (e anch’essa, al pari del monarca rispetto all’organizzazione dello Stato, pone il puntino sulla i)[29], ma tale comprensione è una crescita della realtà stessa, qualcosa che incide nuovamente a suavolta,conun‘anello di retroazione positivo’, sulla realtà di partenza: «questo sapere stesso è la realtà in atto dello spirito che prima non esisteva; sicché la differenza anche formale è un’effettiva differenza reale. Mediante il sapere lo spirito pone una differenza fra il sapere medesimo e ciò che è; questo sapere poi provoca una nuova formadimovimento.Le nuove forme dapprima sono soltanto modi del sapere,ecosìnasceuna nuovafilosofia;tuttavia, siccome questa è già manifestazione di un grado superiore dello spirito, è anche la culla interiore da cui lo spirito medesimo più tardi assurgerà a formazione reale»[30]. Il sapere fa compiere un progresso alla realtà, perché da un lato affretta il corso oggettivo della degradazione degli ordinamenti vigenti, dall’altro anticipa nel pensiero le soluzioni che si riverseranno poi (una volta assorbite da vasti strati di persone, come nel periodo che precede immediatamente la Rivoluzione francese) ancora nel mondo esterno. La razionalità prefigurata dal pensiero travolge ogni ostacolo positivo e ogni istituzione non commisurata alla ragione. Ossia, come è affermato nella prefazione alle Vorlesungen über Rechtsphilosophie del 1818, «La filosofia riconoscecosìchesoloil razionale è suscettibile di accadere, malgrado i singoli fenomeni esteriori possano sembrare contrastarlo ancora tanto […] Dovunque lo spirito è giunto a una coscienza più alta, la lotta contro tali istituzioni è necessaria. L’oggetto della scienza filosofica del diritto è il concetto più alto della natura della libertà, senza riguardo a ciò che è ritenuto valido, alla rappresentazione dell’epoca»[31]. Un linguaggioaprimavista bendiversorispettoalla Filosofia del diritto fatta stampare da Hegel, in cui l’accento sembra cadere più sul rispetto della Wirklichkeit che sull’affermarsi inarrestabile della ragione. Ma si tratta, appunto, come vedremo, di uno spostamento d’accento, dovuto forse a motivi tattici, in un periodo in cuilasituazionepolitica generale dopo i deliberati di Karlsbad aveva fatto scegliere a Hegel l’attenuazione di determinatiaspettidella suafilosofiaavantaggio dialtri. La forza propulsiva attribuitaalsaperehain Hegel anche un fondamento concreto, che non può ridursi soltanto all’esaltazione idealistica del pensiero e del ruolo del «professore assoluto», marifletteoscuramente l’aumentata presa del pensierosullarealtà,sia come forza produttiva, sia come guida in una società definita dall’incessante trasformazione e dal prevalere dell’astratto. Più che la spontaneità della tradizione e del costume, domina infatti ora l’attività del pensiero: «La formazione riflessiva dellanostravitaodierna ci crea il bisogno, sia in relazione alla volontà chealgiudizio,difissare punti di vista generali e di regolare in conseguenza il particolare, cosicché forme universali, leggi, doveri, diritti, massime valgono come motivi determinanti e sono ciò che fondamentalmente ci guida» nella «aggrovigliata situazione della vita civile e politica» attuale[32].Datalepunto di vista, «l’età nostra» è «da paragonare al mondo romano»: in entrambi i casi domina l’universale, presente ma nel come «egemonia del pensiero autocosciente,chevuole e conosce l’universale e governa il mondo. L’intelligente finalità dello Stato è ora sussistente nella realtà: privilegi e particolarità si dissolvono, e così i popoli hanno il diritto: non privilegi, ma il dirittodivolere.Conciò i popoli sono astretti non da trattati, ma da princìpi,daldirittoinsé e per sé. Parimenti la religionepuògiungerea comprendere il pensiero, l’essere assoluto;o,quandonon vi giunga, ritirarsi, dall’esteriorità dell’intellettoriflettente, nellafede,oaddirittura, disperando del pensiero e rifuggendo affatto da esso, nella superstizione:maanche tutto questo è esso stesso prodotto dal pensiero»[33]. Nel mondo romano l’universale (lo Stato) veniva subìto come finalità esterna, non voluto e conosciuto comeora,inun’epocain cui il pensiero ha la possibilità di mettere sotto controllo l’universale stesso e di assimilarlo. Il pensiero, infatti, ha ormai infiltrato non solo l’intuizione e la rappresentazione, ma tutta la vita e tutte le istituzioni, in un crescendo razionalizzazione di che travolge ogni ristagno «positivo», ogni privilegio. Per questo, anche l’intervento del singolo, e specialmente del filosofo, sulla storia e le istituzioni non può prescindere dalla razionalità e dalla presa di coscienza dell’effettualità del mondo. L’equazione reversibile «ciò che è effettuale è razionale»[34] è il passaggio chiave di quella dialettica hegelianacheAleksandr Herzen l’«algebra definiva della rivoluzione». La modificazione della realtà effettuale deve passare per la realtà effettuale stessa intesa nellasuarazionalità. Nel mondo moderno non è più necessario che i filosofi siano alla guidadelloStato.Infatti, dopo millenni di storia umana, il pensiero che agisce naturalmente in tutti,mediantel’«istinto della ragione», ha impregnato la realtà di razionalità cieca, non riflessa, che la filosofia deveappuntoesplicitare e tradurre per la coscienza, facendo così avanzare la realtà effettuale. Dalla fine della civiltà classica a oggi, il regno sovrasensibile – che i cristiani avevano immaginato come un altromondo–discende, come modello a cui tendere, progressivamente in questo mondo e gli imprime il sigillo della ragione: «Tutta la storia dall’emigrazione dei popoli [Völkerwanderung, quella che i popoli romanzi chiamano «invasioni barbariche»], che segna l’assurgere del Cristianesimo a religione universale, in poi, non è consistita in altro che nello sforzo di configurare la realtà secondo l’immagine del regno sovrasensibile, prima esistente per sé»[35]. In questo senso, già nel 1795, Hegel poteva esclamare: «Venga il regno di Dio e le nostre mani non restino inerti in grembo!»[36]. Il processo (nonancoraconcluso)di secolarizzazione del mondo riceve sovrasensibile un impulso determinantedaLutero, il «Socrate» dei tempi moderni[37], il quale inaugura l’età dello Spirito, innalzando il vessillo della libertà e dellacertezzarazionale: «Questa è la bandiera sottocuiserviamoeche teniamo alta. Il tempo, daallorafinoanoi,non ha avuto e non ha altra opera da compiere all’infuori di quella di incorporare questo principio nel mondo, ma in modo da fargli ancora acquistare la forma della libertà e dell’universalità»[38]. Durante tutto il Medioevo ragione e effettualità non hanno mai costituito un’endiadi: il «mondo intelligibile» aveva un’esistenza separata e proclamava la sua natura di unica realtà effettuale, di fronte alla vuota parvenza, alla vanitas vanitatum, del mondo terreno; questo, a sua volta, non aveva alcun effettivo riconoscimentodaparte della coscienza, in quanto era sostanzialmente dominato dall’arbitrio, dalla particolarità e dal privilegio feudali. Con l’era moderna l’universale discende nelmondoesiintreccia alla realtà, che diventa, a questo contatto, effettualità; e il mondo terreno, ottenendo la sua autentica consacrazione dalla coscienza, diventando «patria» dello spirito, si innalzaversolaragione. Ormai la storia è intessuta di questa trama contigua di ragione ed effettualità, giacché la ragione è penetrata nel mondo (soprattutto in Francia) e il mondo è penetrato nella ragione (soprattutto in Germania). L’ulteriore sforzo ancora da compiere è la mediazione completa nel mondo e nella coscienza di questi due movimenti locali». Ed è qui che la filosofia ha il proprio terreno, al pari di altri canali di diffusione dell’astratto, la formazione dell’opinione pubblica attraverso la stampa e la guerra medesima, la quale, come ha mostrato l’esperienza rivoluzionaria e napoleonica, impone il rispetto della Wirklichkeit e trasmette lenuoveideeattraverso la disciplina delle conquiste o del vassallaggio di popoli piùdeboli,forniticioèdi princìpiinferioriaquelli esportati dalle potenze vincitrici. Già col Rinascimento, con lo spuntare di questa«aurora[…]dopo la lunga, terribile, gravida di conseguenze notte del Medioevo»[39], sirealizzalaprevalenza dell’universale, anche grazie allo sviluppo della scienza e della tecnica. La polvere da sparo e la stampa segnano visibilmente questo nuovo dominio dell’astratto, la fine dei rapporti personali di dipendenza e il rapido avanzare dello spirito[40]. Poiché il «particolare tecnico viene scoperto quando ne esiste il bisogno»[41], anchelastampadevela suainvenzionealnuovo bisogno dell’essere «in contatto reciproco sul pianospirituale»[42].Con le «due verghe di ferro» della Chiesa e della servitù della gleba, la singolarità naturale dell’uomo del Medioevo è stata domata e sfibrata, e il metodo «selvaggioeterroristico» concuilaChiesaèstata costretta a combattere la barbarie ha reso gli individui pronti a piegarsi alla disciplina dell’universale[43]. Il terreno della battaglia contro le imposizioni e la volontà di far discendere il cielo in terraèciòcheperHegel accomuna riforma luterana e rivoluzione francese: le due «aurore» sono sfasate temporalmente e spazialmente, ma sono entrambe manifestazioni dello stesso principio dello «spirito» moderno, il quale, libero dai ceppi del «positivo», ha imboccato la strada dello sviluppo accelerato e del mutamentorapidodella realtà: «Pare quasi che in questi tempi lo spirito, che sino allora avevaprocedutoapassi di lumaca nel suo svolgimento, aveva anzi retroceduto e si era allontanato da sé, calzi gli stivali delle sette miglia»[44]. Ma in Germania non fu allora possibile accompagnare la rivoluzione nella coscienza con la rivoluzione nel mondo, perché i tempi non erano ancora maturi: «Gli Anabattisti scacciarono da Münster il vescovo e si resero padroni della città; i contadini si sollevarono in massa, per essere affrancati dall’oppressione che gravavasudiessi.Mail mondo non era ancora maturo per una trasformazione politica, comeconseguenzadella riforma della chiesa»[45]. Ora,dopocheinFrancia il principio della rivoluzione «scoppiò nella realtà» e in Germania«proruppenel pensiero», il «compito della recentissima filosofia tedesca consistenelrendere[…] l’unità del pensare e dell’essere», contribuendo così a esportare pensiero dalla Germania e a importare realtà[46]. L’unità di pensiero ed essere è, infatti, indispensabile ovunque in un’epoca che si «fa dotta, uniforme e comune», in una situazioneincuilaforza dell’universale incorporato nella realtà non può essere disattesa e l’individuo deperisce se perde il contatto vitale col mondo: «Lo Stato di legalità, la condizione dei tribunali, della costituzione, dello spirito pubblico, sono così saldi in se stessi, che non restano a decidere se non le accidentalità del momento; ci si domanda ormai che cosa dipenda dall’individuo,esevisia qualcosa che ne dipenda»[47]. Il singolo non è più, «come nell’età eroica», un’individualità plastica che forgia direttamente la realtà con le sue sole forze: «nell’attuale condizione del mondo, il soggetto può agire certo da se stesso secondo questo o quel lato,maognisingolo,da qualsiasi lato si volga, appartiene a un ordinamento sociale sussistente e non appare come la figura autonoma, totale e al contempo individualmente viva di questa società, ma solo come suo membro limitato.Egliagiscesolo come inviluppato in essa, e l’interesse per una simile figura ed il contenutodeisuoifinie della sua attività sono infinitamente particolari». In questa societàincuil’individuo è chiamato soprattutto a ricoprire un ruolo, a essere non una individualità autonoma, ma soprattutto una funzione sociale, neppure i re, col loro potere e la loro volontà, sfuggono alla regola: «Parimenti, i monarchi del nostro tempo non sono più, come gli eroi dei tempi mitici, un culmine in sé concreto del tutto, ma un centro più o meno astratto all’interno di istituzioni già per sé evolute e stabili per legge e costituzione.Imonarchi del nostro tempo non hannopiùinmanoipiù importanti atti di governo; non promulgano più il diritto; le finanze, l’ordinamento civile, la sicurezza pubblica non sono più loro compito speciale; la guerra e la pace vengono determinate dai rapportigeneralipolitici conl’estero»[48].LoStato modernohaconquistato forza e solidità, ma non è esente da difetti: «Il principio degli Stati moderni ha quest’immensa forza e profondità: lasciare che il principio della soggettività si porti a compimento in estremo autonomo della particolarità personale e, insieme, riportarlo all’unità sostanziale, e, così, mantenere questa in esso medesimo»[49]. Ciòsignifica,daunlato, che lo sviluppo dell’autonomia del soggetto è consentito e promosso dallo Stato moderno, il quale, anzi, si mostra come l’universale che sorregge e fonda la particolarità; dall’altro, che il soggetto, mediandosi con l’universale,sièinserito inunalogicacomplessa di reciproco arricchimento mediante contraddizioni, che hanno però un prezzo, che nella fase più recente si presenta come accettazione della «prosa del mondo». Scomparsi i rapporti di dipendenza personale, come la schiavitù o la servitù della gleba, il singolo dipende, infatti, da tutti ed è costretto a scambiare il suo lavoro col lavoro degli altri, socializzandosi forzatamente e perdendogranpartedel suopotereautonomoin questa «prosa del mondo», dove «l’immediatezza dell’esistenza è un sistema di rapporti necessaritraindividuie potenze apparentemente autonomi, in cui ogni singolo è usato come mezzo per servire a fini a lui estranei, oppure abbisogna come mezzo»; dove l’uomo è esposto, come gli animali, «all’identica accidentalità, agli stessi bisogni naturali insoddisfatti, alle malattie distruggitrici, e a ogni genere di indigenza e miseria»; dove «ogni vivente isolato rimane nella contraddizionediessere a sé per se stesso come questo conchiuso uno, ma di dipendere al contempo da ciò che è altro,mentrelalottaper la soluzione della contraddizione non va oltre il tentativo e la continuità di questa guerra permanente»[50]. In questa epoca prosaica, caratterizzata da miopi egoismi in lotta fra loro, le contraddizioni stentano a risolversi. Ognuno cercaperciòrifugiodalle intemperie della storia scavandosi la propria nicchia, mentre i governi non riescono a formarsi per l’eterogeneità e la frammentazione della società civile (da qui il pathos hegeliano per lo Stato, che deve sintetizzare e unificare, anche ponendo dei rigidi vincoli, gli interessi contrapposti). Specie nel periodo della Restaurazione, alla «prosa del mondo» si accompagna la «farsa»[51] della politica. La Rivoluzione francese ha eliminato l’ancien régime, «ha posto la ragione sul trono», generando però – come reazione alla rinuncia dell’interesse privato da sublimare nell’interesse pubblico, nella trasformazione senza residui dell’uomo nel citoyen – uno sviluppo ipertrofico della soggettività e della particolarità degli individui che è tale da impedire in molte nazioni europee, come la Francia, qualsiasi accordo nella formazione di governi stabili. Lo humour, un genere situato nell’Estetica a coronamento dell’arte moderna, si manifesta proprio in questa fase crepuscolare in cui la civiltà è dominata da una società civile in fermento, dalle astrazionidell’intelletto, dal diffondersi della banalizzazione e della burocratizzazione dell’esistenza. I suoi esponenti più rappresentativi sono Rossini – che Hegel adorava, preferendo, ad esempio, Il barbiere di Siviglia alle Nozze di Figaro di Mozart e assistendo con entusiasmo all’Otello e alla Zelmira – e il LaurenceSternediVitae opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, ammirato anche in Italia da Ugo Foscolo. Come Aristofane rappresenta, ridendo, la crisi della democrazia ateniese e della polis, come Ariosto nell’Orlando furioso e Cervantes nel Don Chisciotte descrivono, ridendo, il tramonto del mondo feudale, così Rossini,inparticolare,è per lui l’equivalente della‘civetta’chesileva in volo nell’oscurarsi di un mondo che, attraversata la tragedia della Rivoluzione e del periodo napoleonico, non si prende più sul serio e dà serenamente l’addio a un recente passato divenuto farsesco. Questo perché «lo spirito si affatica intorno agli oggetti solo finché resta in essi qualcosa di segreto, di non rivelato, e le cose stanno così finché la materia è identica con noi. Ma se l’arte ha rivelato da tutti i lati le concezioni essenziali del mondo contenute nel suo concetto e la cerchia del contenuto che ad esse appartiene, essa si è liberata di questo contenuto che è di volta in volta determinato per un popolo e un’epoca particolari: ed il vero bisogno di riaccoglierlo si ridesta esclusivamente a quello di voltarsi contro il contenuto che era stato finora valido, così come per es., in Grecia Aristofane si è volto contro il presente e Luciano contro il suo passatogreco,ecomein Italia e in Spagna, nel declino del Medioevo, Ariosto e Cervantes incominciarono a muoversi contro la cavalleria»[52]. La vita continua certamente a essere tragica, penosa e disgraziata per la maggior parte degli uomini, ma i conflitti rappresentati nelle tragedie non hanno più lastessaconsistenzadel passato, come quando erano ineludibili allorché le individualità si immedesimavano integralmente con una sola delle «potenze sostanziali» in conflitto o prendevano parte al loro intimo dilaniarsi (nell’ambito della famiglia, dello Stato o della Chiesa): «Il vero contenuto dell’agire tragico rispetto ai fini concepiti dagli individui tragici è dato dalla cerchia delle potenze sostanzialipersestesse legittime,operantientro la volontà umana: l’amore coniugale, quello dei genitori, dei figli, dei fratelli; parimentilavitastatale, il patriottismo dei cittadini, la volontà dei capi; inoltre la vita chiesastica […] Gli eroi tragici dell’arte drammatica, sia che si tratti dei vivi rappresentanti di sfere di vita sostanziali, sia che si tratti di individui grandi e saldi in quanto liberamente poggianti sudisé,questieroi,una volta giunti a questa altezzaincuispariscono lesempliciaccidentalità dell’individualità immediata, si stagliano quasi come sculture, e anche per questo aspetto le statue e le immaginideglidei,inse stesse più astratte, ci spiegano gli alti caratteri tragici dei Grecimegliodiqualsiasi notaocommento»[53]. Il moderno punto di vista soggettivo dell’individualità che si presume totalmente autonoma, ma disposta ai compromessi della «prosa del mondo», erode la monolitica compattezza richiesta da ogni dedizione esclusiva, quale è rappresentata ad esempio nell’Antigone. Venendo a mancare l’impegno assoluto del singolo, «nell’umorismo del comico si porta a coscienza il negativo di questa dissoluzione […] Ma se la commedia manifesta questa unità solo nella sua autodissoluzione, in quanto l’assoluto che vuole prodursi a realtà vede annullata questa realizzazione stessa dagli interessi divenuti ora per sé liberi nell’elemento della realtà e rivolti solo all’accidentale e al soggettivo, allora la presenza e l’operosità dell’assoluto non compaiono più in un’unionepositivaconi caratteri e i fini dell’esistenza reale, bensì si affermano solo nella forma negativa secondo cui tutto ciò che all’assoluto non corrispondesieliminae sololasoggettivitàcome talesimostra,inquesta dissoluzione, certa di se stessa ed in sé rassicurata»[54]. Per Hegel l’arte moderna concepiscequindiisuoi nuovi eroi in forma tragicomica,divisitrala ricerca di ideali irraggiungibilieilrifiuto della realtà vista come banaleoindegna.IlDon Chisciotte di Cervantes, i personaggi del romanzo di Sterne o il protagonista del Nipote di Rameau di Diderot non sono perciò in grado di misurarsi frontalmente e realisticamente con le sfide del mondo o di prenderesulserioisuoi vincoli, di cui però percepiscono, più o meno oscuramente, l’inconsistenza o il prossimosciogliersi. Anchepercontrastare omitigarequesta«prosa del mondo» occorre un duplice movimento dialettico: che il pensiero si impadronisca del mondo e lo plasmi; che il mondo, e non una soggettività vuota o un vago al di là, venga riconosciutocomeunico campo di lotta della ragione. Persino il filosofo–anzi,ilfilosofo inparticolare–nonpuò staccarsi oggi dal mondo in cui è immerso, non può, anche volendo, essere più vichianamente «monastico e solitario». Infatti, «la potenza oggettiva dei rapporti esterni è infinitamente grande, e proprio per questo la guisa necessaria, secondo cui io sono in essi, è divenuta indifferente nei miei riguardi, la personalità e la vita individuale in genere sono divenute di tanto più indifferenti. Un filosofo, si dice, deve anche vivere come filosofo, cioè deve essere indipendente dai rapporti esterni del mondo e deve tralasciare di occuparsi e di preoccuparsi di quelli; ma di vivere così ristretto rispetto a tutte le esigenze, specialmente della cultura, nessuno può avereperseimezzi,ma li deve cercare nella comunione con gli altri. Il mondo moderno è essenzialmente questa potenza di coesione, ed implica assolutamente la necessità per l’individuo di entrare in questo nesso della vita esteriore»[55].Nell’essere legato – come tutti gli altri – ai bisogni e alle necessità della vita sociale, risiede la capacità del filosofo «moderno» di diventare il punto di accumulazione più sensibile delle contraddizioni storiche, della «croce del presente»; ma, di conseguenza, è in lui chepiùimpellentesorge il bisogno di una conciliazione collettiva di quei contrasti che toccano tutti, è in lui chespuntala«rosa»del futuro. Attualmente «i filosofi non sono più monaci, anzi in complesso li vediamo operare nel mondo in una qualsiasi condizione sociale che hanno in comune con altri.Lalorovitaèlegata alle condizioni generali dellasocietà,osisvolge nei pubblici uffici; e anche se vivono da privati, la loro condizione non li isola affatto da quella degli altri. Essi sono coinvolti nellecondizionidelloro tempo, nel mondo, nel corso e nel processo di esso»[56]. In questa imperante presenza dell’universale, essi ne sono i rappresentanti di grado più elevato; essi, dice Hegel con pathos appena trattenuto, sono i «funzionari dello spirito» che «leggono o scrivonoquestiordinidi gabinetto direttamente nell’originale, sono stipendiati collaborare per a scriverli»[57]. In questo gergo cancellieresco, che conserva tutto il sapore dell’epoca ed è sintomo di una mentalità, l’immagine hegeliana del filosofofunzionario (burocrate dello «spirito», si badi, non dello Stato) coincide con quella del corruttore delle manifestazioni invecchiate della vita politica. In tali vesti il filosofopuòessere,aun tempo, legato alla vita del presente, come gli altri uomini, e al di sopra di esso nella «forma»delpensiero,in viaggio nell’oscurità della notte, dove il nuovomondochesorge dal progressivo disfarsi delvecchio,glibalenerà per un attimo come in un paesaggio illuminato da un lampo, in una Gewitterlandschaft: «Questo lento sbocconcellarsi che non alterava il profilo dell’intiero, viene interrotto dall’apparizione che, come un lampo, d’un colpo, mette innanzi la piena struttura mondonuovo»[58]. del Certo, ora che «l’educazionedeltempo ha preso un’altra piega e il pensiero si è messo a capo di tutto ciò che deve essere valido»[59], gli Stati hanno spesso tentato di porre la filosofia sotto controllo e di trasformare i filosofi in funzionari dello Stato. Il rinnovato interesse per la logica è dovuto appunto, secondo Hegel, alla constatazione dell’effetto devastante chehaavutosullarealtà la potenza del pensiero, che viene chiamato a giustificarsi[60]. E le relazioni fra la filosofia e lo Stato, come vedremo, non sono per nulla facili; anche se integrata nelle istituzioni, attraverso l’insegnamento pubblico organizzato dallo Stato, essa resta sempre un pericolo potenziale, che cresce quanto più lo Stato si rifiuta al mutamento e allarazionalitàesplicita. L’avanzare della razionalizzazione è un moto inarrestabile che travolge quegli Stati e quelle filosofie che non vi si adeguano e che penetra in ogni angolo della coscienza e della realtà, soprattutto con l’età di Kant e della Rivoluzione francese: «Ma il pensiero e il pensare erano ormai diventati un bisogno insuperabile, da non potersi più eliminare. Si affacciava quindi in primo luogo l’esigenza cheipensieriparticolari apparissero prodotti necessari di quella prima unità dell’io e da essa giustificati. In secondo luogo, il pensierosieraestesosu tutto l’universo, si era attaccato a tutto, tutto aveva indagato, in tutto inserito le sue forme, tutto ridotto a sistema, sicché in ogni campo si doveva procedere secondo le sue determinazioni, non secondo un semplice sentimento, secondo la consuetudine o il senso pratico, secondo l’immensa incoscienza dei cosiddetti uomini pratici. Anche nella teologia, nella politica e nelle relative legislazioni, nel determinare i fini dello Stato, nelle industrie, nella meccanica, si doveva sempre procedere per determinazionigenerali, cioè razionalmente; tanto che si sente parlare perfino di birrerie razionali, di fabbriche razionali di lateriziecc.»[61].Ilnuovo spirito dei tempi, di cui già si intravedono i contorni storici e di classe, è talmente disceso nel mondo moderno (e non solo nella Prussia!) che «oggi non si riesce più a fare delle satire. Cotta e Goethe hanno istituito premi per delle satire, ma nessuna poesia di questo genere è venuta fuori. Esse abbisognano infatti di saldi principi con cui il presente è in contraddizione, di una saggezza che rimane astratta, di una virtù che con ferma energia poggia solo su di sé e, pur ponendosi in contrasto con la realtà, non è in grado di realizzare la vera dissoluzione poetica del falsoedelrepugnantee l’autenticaconciliazione nel vero»[62]. L’eroe moderno di quest’epoca prosaica[63] è il giovane del ‘romanzo borghese’, che compie il suo apprendistato combattendo contro la realtà,perpoiaccettarla supinamente, diventando un filisteo, rovesciandolasublimità degli ideali non tarati sulla realtà – le illusioni – nella rabbia della delusione e di un’esistenza meschina, prodotto anch’essa di potenze sociali oggettive: «Questi nuovi cavalieri sono in particolare dei giovani che devono scontrarsi col corso del mondo, il qualesirealizzaalposto dei loro ideali, e che ritengono una disgrazia che vi siano famiglia, società civile, Stato, leggi, professioni ecc., perché sostanziali queste relazioni della vita si oppongono crudelmente con le loro barriere agli ideali e al dirittoinfinitodelcuore. Si tratta dunque di aprire una breccia in quest’ordine di cose, di mutare il mondo, migliorarlo, oppure di tagliarsi a suo dispetto perlomenounafettadi cielo sulla terra: cercare e trovare la propria fanciulla, quale deve essere, e toglierla, portarla via, strapparla ai suoi cattivi parenti o ad altre relazioni nefaste. Ma queste lotte nel mondo moderno non sono altro che l’apprendistato, l’educazione dell’individuoallarealtà esistente, e acquistano così il loro vero senso. Infatti la fine di tale apprendistato consiste nel fatto che il soggetto mette giudizio, tende a fondersi, insieme con i suoi desideri e opinioni, con i rapporti sussistenti e la loro razionalità, si inserisce nella concatenazione delmondoeviacquista un posto adeguato. Per quanto uno possa essere venuto a lite con il mondo ed esserne stato respinto, alla fine per lo più trova la fanciulla adatta e un postoqualsiasi,sisposa e diviene un filisteo come gli altri: la donna si occupa del governo della casa, i figli non mancano, la moglie adorata che prima era l’unica, un angelo, si comporta più o meno come tutte le altre, l’impiego dà fatica e noia, il matrimonio le croci domestiche, e insomma subentra, come d’uso, risveglio»[64]. l’amaro 3.Lafilosofia comemedicina mentis Hegel è convinto di vivere in una fase storica in cui il singolo avverte ferocemente la sua inadeguatezza rispetto all’universale già attivo nella realtà (universale che è, del resto, un prodotto collettivo, frutto del lavoro di generazioni) e, non potendo sperare di tendere più in alto, a una comprensione e a una presa di possesso sistematica del mondo, si incanaglisce in fini o obiettivi limitati oppure tenta di scardinare il corso del mondo senza fare la fatica di comprenderlo per mutarlo, alla ricerca di una privata «fetta di cielo» sulla terra. Quale scopo – si domanda Hegel – può avere la filosofia in un mondo prosaico del genere, in cui la scissione rischia di «acclimatarsi»[65] e il senso dell’intero di affievolirsi nei gorghi della vita individuale, anche se manifesta poi si come malessere di cui si ignora la causa? Una voltagliuominiavevano riposto i loro «vasti tesori di pensieri e di immagini» nel cielo e «c’è voluto tempo assai prima di introdurre, nell’ottusità e nello smarrimento in cui si trovava il senso dell’al di qua, quella chiarezza che solo il sovraterreno possedeva […] Ora sembra che ci sia bisogno del contrario; sembra che il senso sia talmente abbarbicato ai valori terreni, da rendersi necessaria altrettanta violenza a sollevarlo»[66]. La filosofia, trapiantando gli individui nel mondo senza che peraltro si acclimatino passivamente e riflessivamente alle sue scissioni, l’incarico ha anche di salvare l’individualità e di renderla vitale, contrastando in una certa misura quel progressivo deperimento che la minaccia e che Hegel non propugna, come ritiene Kierkegaard, ma che registra, addebita all’azione di precise forze storiche ed economiche, le quali ottundono, col lavoro di macchinaecoldominio egoistico della società civile, la maggior parte degli uomini. Per non intristire intrattenere bisogna una relazione costante con laWirklichkeit. Non è tuttavia vero che per Hegel il singolo non abbia alcuna possibilitàdiintaccareil mondoedebbaaffidarsi a forze collettive e universali. Bisogna tener conto del mordente del discorso hegeliano, della polemica contro certe manifestazionidiutopia romantica che pretendevano di saltare oltre la realtà, di schiodare la rosa del futuro dalla croce del presente. Questo attivismo, dopo essersi scontrato con la «riottosa estraneità»[67] del mondo, con la sua «burberaritrosia»,chesi concede solo a chi sa dominarlo effettivamente, si ribaltava in una impotente disperazione o in una tremenda depressione. Si finisce così per venire a contatto con la realtà effettuale alle condizioni peggiori, quelle di chi – abbandonandoisognidi trasformare radicalmente il mondo, «chealuisembrauscito fuori dai cardini» – diventa un gretto conformista: «Dapprima al giovane il passaggio dalla sua vita ideale nella società civile può sembrare un doloroso passaggio in una vita filistea. Occupato finora solo in oggetti universali, e lavorando solo per sé, il giovane che diventa uomo deve, entrando nella vita pratica, essere operoso per gli altri, e occuparsi delle cose singole (Einzelheiten).Perquanto ciòdipendadallanatura della cosa – poiché quando si deve agire, bisogna rivolgersi alla cosa singola – pure l’iniziale occupazione nelle cose singole può riuscire penosa all’uomo, e l’impossibilità realizzare di immediatamente i suoi ideali può renderlo ipocondriaco»[68]. Lo «spirito dell’inquietudine e dell’instabilità, che caratterizza il nostro tempo»[69], produce, infatti,l’ipocondria,così che l’ideale appare alternativamente o a portata di mano o irraggiungibile. Passare attraverso le forche caudine dell’ipocondria e uscirne rafforzato significa quindi per l’individuo raggiungere la maturità, ammettere che il mondo ha una consistenza che resiste allesueastrattepretese. Il conseguimento di questo obiettivo non è certamentefacile,mala tensione verso la meta deve essere continua per non cadere, da un lato, nella tentazione di restare al di sopra della realtà, con la presunzione, dall’altro al di sotto, con la rassegnazione. C’è un passoalungoignoratoe sottovalutato in cui queste affermazioni vengono chiaramente espresse: «l’impossibilità di un’immediata realizzazione dei propri ideali può rendere l’uomo ipocondriaco. A questa ipocondria, per quanto in molti possa anche essere invisibile, non sfugge facilmente nessuno. Quanto più tardi vi si cade, tanto più preoccupanti sono i suoi sintomi. Nelle nature deboli essa può trascinarsi tutta la vita […] In questo stato d’animo morboso l’uomo non vuole abbandonare la sua soggettività, non è in grado di oltrepassare la sua avversione nei confronti dell’effettualità e si trova appunto perciò nella condizione di relativa incapacità, che diventa facilmente un’effettiva incapacità. Se l’uomo non vuole sprofondare, deve riconoscere il mondo come autonomo, essenzialmente bell’e fatto, accettare le condizioni postegli dal mondo stesso e strappare alla sua burbera ritrosia ciò che egli vuole avere per sé. Di regola l’uomo crede didoveresserecondotto aquestaarrendevolezza solo dalla necessità e dal bisogno. Ma, in verità, tale unione col mondo non deve essere intesacomeunrapporto dinecessità,macomeil rapporto razionale […]; l’uomo agisce perciò del tutto razionalmente in quanto abbandona il piano di una radicale trasformazione del mondo e tende a realizzare i suoi scopi personali, le sue passioni e i suoi interessi solo nella sua connessione al mondo. Anche così gli resta spazio per un’attività onorevole, di vasta portata e creativa. Infatti, sebbene il mondo debba essere essenzialmente riconosciutocomebell’e fatto, esso non è tuttavia qualcosa di morto, bensì, come il processo vitale, qualcosa che sempre di nuovo si produce, qualcosa che, nello stessotempo,inquanto siconserva,progredisce. In questa produzione, che conserva e manda avanti il mondo, consiste il lavoro dell’uomoadulto[…]Ma l’avanzare del mondo avviene solo in enormi masseesifanotaresolo inunagrandesommadi fattori. Se l’uomo, dopo un lavoro di cinquant’anni, volge lo sguardo indietro al suo passato,egliriconoscerà già il progredire. Questa conoscenza, come cognizione della razionalità del mondo, lo libera dal sentimento luttuoso della distruzione dei suoi ideali. Ciò che vi è di vero in questi ideali si conserva anche nell’attivitàpratica,solo ciòchevièdinonvero, le vuote astrazioni, devono essere dall’uomo consumate nel lavoro»[70]. La maturità,cheancheper Hegel è shakespearianamente «tutto»[71], coincide con la virile accettazione di un mondo che è il prodotto di innumerevoli generazioni di esseri umani, i quali – modificandolanaturae se stessi, creando le istituzioni, accumulando a valanga i contributi di ciascuno editutti,nelcorsodella storia–hannoplasmato un mondo che l’individuo, nascendo e crescendo, trova già fatto e in cui deve attivamente inserirsi ripercorrendo a tappe forzate il cammino dell’umanità, così da misurare di volta in volta le proprie forze e da impadronirsi delle sue fondamentali conquiste. Hegel ha provato personalmente cosa sia questa ipocondria e in quali labirinti conduca, prima di portare nuovamente all’aperto. Rispondendo al filosofo e medico Karl Joseph Hieronymus Windschmann, che si lamentava di un’ipocondria tanto grave da ridurlo quasi alla paralisi, dice di conoscere: «quel Suo stato d’animo che mi descrive – questo penetrare nelle oscure regioni dove niente si rivela stabile, determinato e sicuro, dove da ogni parte brillano lampi che però, anziché illuminare, gettano falsi riflessi vicino agli abissi, offuscati dal loro chiarore, traendo in inganno sull’ambiente, e dove ogni inizio di sentierosiinterrompee finisce nell’indeterminato, perdendosi e strappandoci dal nostro destino e dalla nostra destinazione.Ioconosco per esperienza questa voce dell’animo, anzi della ragione, quando essa penetra con interesse e con i suoi presentimenti nel caos dei fenomeni e quando, internamente certa della meta, non si è ancora completamente ritrovata, non è ancora pervenutaallachiarezza e alla specificazione dell’intero. Ho sofferto per un paio d’anni di questa ipocondria fino all’esaurimento delle forze. Certo ogni uomo ha conosciuto una tale svolta nella sua vita, il punto oscuro della contrazione della propria essenza, nella cui strettoia egli è costretto a passare, perché ne venga assicurato e confermato nella certezza di se stesso, nella certezza della vita consueta e quotidiana, e, se si è reso incapace di essere soddisfatto da questa, nellacertezzadiunapiù nobile interiore»[72]. esistenza Il disconoscimento della realtà effettuale può far giungere all’estremo della follia, che è il massimo isolamento dell’individuo dal genere. La follia è per Hegel un necessario momento dello sviluppo dell’anima, nellostessosensoincui il crimine è necessario per il costituirsi del diritto[73]. Non è detto, cioè, che ciascuno debba passare attraverso questa «estrema lacerazione»; essa esiste come potenzialità da superare. Analoga è la posizione di Schelling: «La pazzia sale dalla profondità dell’essere dell’uomo,nonpenetra– è evidentemente qualcosadiesistentegià potentia, che non viene mai ad actum, è ciò che nell’uomo dovrebbe esser vinto ma, sempre mosso da qualche causa, ridiventa operante […] Laddove non vi è follia che sia regolata, dominata, non vi è nemmeno un intelletto forte, potente, poiché la forza dell’intelletto si dimostra appunto nel suopoteresuciòchegli ècontrapposto»[74]. Il violento rovesciamento dello stato delle cose e l’incapacità di accettare il presente genera per Hegel la follia «nel caso in cui l’individuo viva esclusivamente nel passato e divenga in tal modo incapace di trovarsi nel presente, dal qualesisenterespintoe al quale si sente nello stesso tempo legato. Così ad esempio, durante la Rivoluzione francese, per il rovesciamento di quasi tutti i rapporti civili, molti uomini sono diventati pazzi»[75]. La follia non è una perdita astratta della ragione, ma una contraddizione interna ad essa, un dissidio con se stessi, che consiste nel fatto che la realtà del possibile immaginata entra in contraddizione con la totalità della realtà effettuale[76]. Proprio perché è l’unico animale che ha la facoltà di immaginare il possibile come se fosse reale, l’uomo ha il «privilegio della follia»[77].Astrattamente tutti possono diventare re, possono volare (vi sono nella realtà percettiva dei volatili), ecc., ma di fatto i deliri del folle, composti su questa tastiera del possibile, stanno in «contraddizione irrisolta» con l’insieme delle sue precedenti rappresentazioni. La follia, in quanto mancanza di rapporto completo fra Vernunft e Wirklichkeit, è un «sognaredasvegli»,uno «sdoppiamento della personalità», per cui il soggetto folle «è presso di se nel negativo di se stesso» e crede «di aver presenti come oggettive le sue rappresentazioni solo soggettive e perdura contro l’effettiva oggettività che sta in contraddizione con esse»[78]. Nel folle la coincidenza di pensiero ed essere, risultato e presupposto del pensiero sano, viene a cadere, e la frase «ciò che penso è vero» ha anch’essa un significato folle nella sua bocca[79]. Ciò dipende dal fatto che «la pazzia è spirituale, ma anche unamalattiacorporea,e questo è proprio il suo carattere, questa inseparabilità». Nella coscienza che riesce a mantenere l’equilibrio tra la dimensione spiritualeequellafisica, viene ‘superato’ il lato della corporeità, mentre, quando tale equilibrio si incrina, si forma una sorta di «nodo» contro cui «non puònullal’interezzadel sentimento di sé […] proprio perché questo nodo è corporeo»[80]. divenuto Hegel conosceva da vicino gli effetti e i sintomi della follia: il suoamicopiùcaronegli anni di Tubinga e di Francoforte, Friedrich Hölderlin,eraimpazzito e venne ricoverato in una clinica dove – sospettato di attività rivoluzionarie a causa dei suoi stretti rapporti con Isaak von Sinclair – gridavadinonessereun giacobino[81]; la sua stessa sorella, Christiane Louise (17731832), dapprima governante in casa del barone Joseph von Berlichingen, fu costretta nel 1814 ad abbandonare il lavoro per crisi di ipocondria, nel 1815 passò qualche settimana a casa del fratello a Norimberga, nel1820furinchiusanel manicomio di Zwiefaltenemorìinfine suicida gettandosi nel fiume Nagold, nell’alta Foresta Nera, pochi mesi dopo la morte di Wilhelm[82]. Di fronte al germe dell’esperienza personaleeallatragedia reale che ha colpito familiarieamiciintimi– in relazione a un’epoca di violenti sconvolgimenti e di instabilità –, Hegel considera l’orientarsi sulla congiunzione di razionalità ed effettualità non come adattamento trasformistico al mondo (equestoperiodostorico non mancava certo di «girella»emeriti),ma,da tale prospettiva, come un modo per esorcizzare il baratro della disperazione e della follia. La filosofia diventa così medicina mentis delle coscienze scisse nelle età di transizione e di crisi, e la ragione può ben dire: «In questo segno vincerai»[83]. 4.Doloree contraddizioni La ragione non costituisce in Hegel un pinnacolo gotico, un vertice del pensiero astrattochesiinnalzae domina sovranamente la realtà effettuale (Wirklichkeit), espungendone il negativo, unificandone le parti forzatamente e senza residui e cancellandone gli aspetti empirici. Malgrado alcuni clamorosi errori, egli non ha l’improntitudine di voler piegare i saperi scientificiadattandolial letto di Procuste della sua filosofia. Queste accuse, che avevano un senso polemico quando furono formulate da Schelling, da Feuerbach o dal giovane Marx, si sono poi inflazionate e banalizzate. Il pensiero hegeliano monolitico, non non è è prevaricazione dell’idea sulla realtà effettuale, non è sintesi conciliatoria degli opposti o «panlogismo». Hegel ha una straordinariafedeltàalle contraddizioni, al dolore, al negativo, che per lui (contro ogni tentazione utopistica) non scompariranno mai, sono ineliminabili dalla vita. E, questo, sebbene la filosofia, comprendendo e oggettivando il dolore attraverso il pensiero, siaingradodimitigarlo: «Unicamente esprimendolo, il dolore giunge alla coscienza, ma ciò che è arrivato alla coscienza, perciò stesso è già cosa passata»[84]. Ciò detto, va aggiunto che nella sua filosofia vi è, contemporaneamente, l’irrinunciabilità al programma di comprendere e dominare una tanto complessa Wirklichkeit e la fiducia, talvolta eccessiva, che sia possibile tradurre, se forniti di adeguati ‘dizionari’ teorici, ogni linguaggio e ogni esperienza in forma di pensieroeche,anzi,ciò che non è traducibile in questi termini non è vero: «se la lingua esprime sempre l’universale, io non posso dire ciò che è soltanto un sentimento. mio E l’ineffabile, il sentimento, la sensazione è non già il più eccellente e il più vero,maciòchev’hadi più insignificante e di men vero»[85]. Certo, il suo criterio di rilevanza è significativamente diverso dal nostro, vi predomina una concezione per noi arcaica di quel che è pubblicoecomunicabile e di quel che invece è privato e incomunicabile. Il «coraggio del conoscere», su cui si fonda la sua impresa speculativa, è in parte garantitodallafiduciain una ricomposizione su scala mondiale del senso degli eventi e delleformedipensaree sentire.Vièl’ideachelo sviluppo – sebbene tormentato – verso una piùprofonda«coscienza dellalibertà»èancorain atto e procede attraverso contraddizioni (spesso inconsce) che si sanano per subito riaprirsi a un livellosuperiore. Infondo,ilsensodella dialettica, malgrado quel che comunemente sipensaesiscrive,non coincideaffattoinHegel con il culmine del suo pensiero, che è invece rappresentato dalla «speculazione». La dialettica, infatti, è solo l’elemento negativo, il sopprimersi delle rigide determinazioni dell’intelletto (Verstand) nel loro passaggio alla ragione (Vernunft). In germe essa svolge una funzione analoga a quella corrosiva delle certezze già praticata dalloscetticismoantico. Per suo tramite la limitatezza delle determinazioni intellettuali si scioglie e si risolve in altro: «La dialettica forma, dunque, l’anima motrice del progresso scientifico; ed è il principio solo per cui la connessione immanente e la necessità entrano nel contenutodellascienza: in essa soprattutto è la vera, e non estrinseca, elevazionesulfinito»[86]. La forma più alta del pensiero è invece «il momento speculativo, o il positivo razionale, [che] concepisce l’unità delle determinazioni nella loro opposizione; ed è ciò che vi ha di affermativo nella loro soluzione e nel loro trapasso»[87]. Nel pensiero speculativo, che può apparire assurdo comune, al senso la contraddizione, così come è concepita dalla ragione, non costituisce «un’accidentalità, quasi un’anomalia e un transitorio parossismo morboso», ma è «più profonda e più essenziale»dell’identità. Essavigesianellarealtà effettuale che nel pensiero: «è uno dei pregiudizi fondamentali della vecchia logica e dell’ordinamento della rappresentazione,chela contraddizione non sia una determinazione altrettanto essenziale e immanente quanto l’identità. Invece, quando si dovesse parlare di un ordine di precedenza e si dovesser tener ferme le due determinazioni come separate, bisognerebbe prendere la contraddizione come la più profonda e la più essenziale. Poiché di fronte ad essa l’identità non è che la determinazione del sempliceimmediato,del morto essere; la contraddizione invece è vitalità; qualcosa si muove, ha un istinto è un’attività, solo in quanto ha in se stesso una contraddizione»[88]. Per questo il pensare speculativo «tien ferma la contraddizione e nella contraddizione se stesso»[89] e, in tal modo, togliendo le unilateralità separazione e la delle nozioni, tipica dell’intelletto, nel pensaresestessopensa ilmondoeviceversa.La rinnovata attenzione che la filosofia americana contemporanea di origine pragmatista e analitica ha dedicato a Hegel, dopo quasi un secolodiripulsa,sibasa anche sulla critica hegeliana all’immediatezza non solo del «morto essere», ma anche della «certezza sensibile» con cui si apre la Fenomenologia dello spirito. A partire infatti da queste analisi si snoda la polemica di Sellars contro il «mito del dato» e, in particolare, dei «protocolli sensibili» del neopositivismo logico, seguito in questo, almeno in parte, da RortyedaBrandom[90]. Si potrebbe riassumere, in maniera semplificata, il significato della dialettica descrivendola come una metafisica dello sviluppo, una strategia che utilizza le contraddizioni in funzione dello sviluppo (o, scarnificando ulteriormente la definizione, come sviluppo mediante contraddizioni). Noi abbiamoinveceassistito sempre più spesso – come,tuttavia,inalcuni casi anche Hegel sapeva[91] – a fasi di contraddizioni senza sviluppo, in pura perdita, e di sviluppo senza (laceranti) contraddizioni propulsive e, parallelamente, all’apparente fallimento del grande progetto di unificazioneprogressiva del genere umano sotto l’egida dello «spirito» e di una sempre più chiara «coscienza della libertà». La negatività corrosiva della dialettica, lungi dall’essere idealista o materialista,sipresenta come una forma di esaltazione di una civiltà, quella occidentale, capace di inglobare l’alterità e di soggiogare il mondo. Come è detto nell’Enciclopedia, solo l’uomo europeo, tra gli appartenenti alle grandi civiltàmondiali,èinfatti riuscito, grazie a «un lavoro duro e riluttante contro se stesso»[92], a trasformare l’individuo inuncampodibattaglia da cui esce ogni volta vittorioso: «All’europeo interessa il mondo; egli vuole conoscerlo, appropriarsi dell’Altro cheglistadifronte[…]. Così come nel campo teoretico, anche in quello pratico, lo spirito europeo tende a produrre l’unità tra sé e il mondo esterno. Egli sottomette il mondo esternoaisuoiscopicon un’energia che gli ha assicurato il dominio del mondo»[93]. La dialetticaèstataunodei piùpotentistrumentidi acclimatazione dell’individuo e delle società moderne al mutamento incessante, alla necessità di risollevarsi, dopo ogni sconfitta, dalle tradizioni infrante e dallepigreroutines. Essa continua a esercitare negativamente la sua influenza critica, mentre oggi più difficile appare, invece, il ruolo del pensare speculativo nel suo impegno di tenere ferma la contraddizione e, nella contraddizione, se stesso. La dialettica riflette, inoltre, l’immane sforzo dicostruireericostruire ininterrottamente una individualitàingradodi dominare se stessa pur dis-integrandosi, di non accettarsicomesiè,per potersi ricostruire autosovvertendosi (in quanto ciascuno deve sprofondarsi nella Wirklichkeit,confrontarsi duramente con essa e mediarsi con essa per uscirne irrobustito e vittorioso): «l’intensità e la profondità della soggettività si fanno tanto maggiori quanto più infinito e ampio è il distaccarsi reciproco delle circostanze e quanto più dilaceranti sono le contraddizioni, in cui però essa deve rimaneresaldamentese stessa»[94]. Per questo Hegel non ama i romantici, tanto da definire una tisi dello spirito l’atteggiamento novalisiano: «Novalis, uno degli animi più nobilichesicollocarono su questo terreno, fu spinto all’assenza di interessi determinati, all’avversione per la realtà, e fu preda per così dire di una consunzione (Schwindsucht) dello spirito. È questo uno struggimento che non vuole abbassarsi all’agire e al produrre reali, perché teme di sporcarsi nel contatto con la finitezza, benché abbia in sé anche altrettantoilsentimento dell’insufficienza di questa astrazione»[95]. Novalis, al pari degli altri romantici che Hegel prende in considerazione (soprattutto Friedrich Schlegel con la sua «ironia») dissolvono la consistenza e la serietà dellaWirklichkeit[96]. Nonèvero,infine,che la dialettica si riduca a unamacro-narrazioneo a un mito e che, nella profezia di Foucault, sia destinato a sparire l’homo dialecticus, «l’essere della partenza, del ritorno e del tempo, l’animale che perde la sua verità e la ritrova illuminata, l’estraneo a se stesso che ridiventa familiare»[97] (una posizione, quella hegeliana, che tuttavia Foucault in qualche modo riprende negli ultimi corsi al Collège de France, quando sostiene la necessità di una «dissoluzionedell’io»da praticarsi attraverso l’oblio di se stessi e del perdersi per poi potersi ritrovare)[98]. La concezione hegeliana è, però, molto più complessa dell’immagine che ne offre Foucault: consiste nel rifiuto – che va a colpire ante litteram l’impianto del filosofo francese – della convinzione utopistica che sia possibile l’incorporazione completa, non dialettica, dell’alterità, che sia cioè possibile l’affermazione senza negazione, l’eliminazione dell’asservimento del particolare all’universale, sostituendo loro, alla maniera di Deleuze e Guattari, le categorie di «differenza», «ripetizione» o «rizoma»[99]. Hegel è troppo realistico per pensare a un finale utopistico o, comunque, armonico della storia e dei conflitti. Egli trova generalmente, attraverso «speculazione», la una provvisoria soluzione ai problemi, anche grazie alpoteredissolutoredei vincoli del passato da parte della dialettica e all’analisi offerta dalla filosofia come «il proprio tempo appreso nel pensiero». Sa, però, che le contraddizioni rinascono dalle soluzioni stesse di volta in volta raggiunte. A seconda delle epoche, queste possono essere corrosive e portare a grandi rivolgimenti, comeaccaddepressogli illuministi francesi, oppure capaci di diagnosticareundeclino di cui non si conosce lo sbocco (un senso dell’invecchiamento di unadeterminatacultura accompagnato, in compenso, dalla percezione dell’attività di scavo da parte della talpa della storia). La distanza tra i due pensatori resta, comunque, ed è enorme. Nel Foucault del periodo strutturalista il soggetto è, infatti, plasmato da giochi di potere anonimi, sostanzialmente che lo determinano, mentre nel periodo dal 1978 al 1984lasoggettività–nel costruirsi e darsi forma, mediante la presa di distanza da sé – finisce, nell’ottica di Foucault, perlasciaresullosfondo la dimensione storicopolitica. In Hegel, al contrario, l’«essere presso di sé» (bey sich sein) dello spirito consiste proprio, da parte degli individui, nella loro presa di coscienzadello«spirito» in quanto «lavoro universale del genere umano» che procede non verso la libertà in quanto tale, ma verso il «progresso nella coscienza della libertà»[100]. 5.Istintoesapere Il futuro avanza per Hegel nella notte di un mondo reale che si disgrega. Ma è solo dal punto di vista della talpa che noi, per servirci delle parole di Valéry, entrons dans l’avenir à reculons. Gli occhi della civetta sono già assuefatti al buio e vedono, seppur tra bagliori temporaleschi e nellasuasemplicitànon dispiegata, la «ghianda» del mondo nuovo che, giàpresentenellarealtà effettuale e nella coscienza dei contemporanei, si prepara a divenire quercia primo frondosa: sorgere «Il è inizialmente una immediatezza,è,inaltri termini, il concetto di quel nuovo mondo. Quanto poco un edificio è compiuto quando le sue fondamenta son gettate, tanto poco il concetto dell’intiero, che è stato raggiunto, è l’intiero stesso. Quando noi desideriamo vedere una quercia nella robustezza del suo tronco,nell’intrecciodei suoi rami e nel rigoglio delle sue fronde, non siamo soddisfatti se al suo posto ci venga mostrata una ghianda; similmente la scienza, corona del mondo dello spirito, non è compiuta alsuoinizio.L’iniziodel novello spirito è il prodotto di un vasto sovvertimento di molteplici forme di civiltà, è il premio di unaviamoltointricatae di una non meno grave fatica»[101]. Gli occhi della talpa sono ciechi, ma il suo procedere e scavare sotterraneo, per quanto lento e tortuoso, è sicuro. La metafora della talpa dall’Amleto deriva di Shakespeare, dove è riferita allo spettro del padre, al suo desiderio di vendetta che si fa strada nell’animo del giovane principe: «Ben detto, vecchia talpa. Come fai a lavorare sottoterra così svelto? sei un molto degno minatore»[102]. Essa si ritrova poi, con significato semplicemente negativo, anche in Herder, in Kant e in Nietzsche: in Herder, nel contesto della polemica illuministica, antirivolta contro «l’occhio di talpa diquestoluminosissimo secolo»; in Kant, riferita agli inutili tentativi empirici per scoprire regole di comportamento morale, mentre ci si dovrebbe piuttostopreoccuparedi «spianare […] e rassodare per quel maestoso edificio morale, il terreno in cui si trovano ogni sorta di gallerie di talpa, fattevi da una ragione che scava inutilmente, ma con buone intenzioni, alla ricerca di non si sa quali tesori; gallerie che compromettono la sicurezza dell’edificio»[103]. Nietzsche si serve, invece, di questa metafora relativamente al metodo da lui usato in Aurora, dove è all’opera un sotterraneo», «essere che «perfora, scava, scalza di sottoterra», paragonato al modo di procedere dei «pensatori»» e dei «lavoratori della scienza»[104]. Il ruolo dell’immagine della talpa di Marx, presentato nel Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte come simbolo della rivoluzione, è troppo noto perché ci si debba soffermare, se nonpernotarecheessa si lega in lui, con la stessafunzione,aquella del folletto Puck del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare[105]. In Hegel lo scavare della talpa non solo non è inutile per la ragione, maèessenziale.È,anzi, una sua dimensione ineliminabile: lo sviluppo storico, i meccanismi economici, la scienza stessa seguonoanchel’«istinto della ragione», la sua finalità inconsapevole. Ogni mutamento si realizza in genere attraverso l’uso istintuale, non riflesso, della ragione e, soprattutto, grazie al lavoro sotterraneo e nascosto della contraddizione: «qualcosa si muove, ha un istinto e un’attività, solo in quanto ha in se stesso una contraddizione»[106]. Finchénonsiconoscono le modalità di realizzazione di tali mutamenti, si rischia, tuttavia, non solo di subirli, ma di allungare le «convulsioni» della faseditransizione. Civetta e talpa sono immagini complementari, una coppia di opposti speculari che si presuppongono a vicenda nell’antagonismo tra acutezza visiva e cecità, tra stare a guardare e fare istintivo. L’intervento della filosofia, della coscienza, nel lavoro dellatalpahailcompito (al pari dell’intervento dello Stato nella sfera economica della società civile) di mitigare le pericolose convulsioni e laduratadelperiodonel quale, sulla via della necessità incosciente, si devono conciliare i conflitti[107]. La civetta acceleraquindiillavoro della talpa o, per parafrasare il detto di Marx, abbrevia le doglie del parto del nuovo mondo: la ragione si realizza necessariamente, ma la filosofia ne accelera il cammino[108]. La conoscenza aiuta perciò a prendere possesso del mondo: «Colui che non sa, non è libero perché di contro a lui sta un mondo estraneo, un al dilàedunaldifuorida cui dipende, senza che egli abbia fatto per sé questo mondo estraneo e senza quindi che egli sia in esso presso di sé come in ciò che è suo. L’impulso al sapere, la spinta alla conoscenza, dai gradini più bassi finoalgradinosupremo della visione filosofica, nasce solo dallo sforzo di superare quel rapportodinonlibertàe di appropriarsi del mondo nella rappresentazione e nel pensiero»[109]. Per il singolo e per l’epoca, la filosofiaèlarispostapiù organica al bisogno di assimilare il mondo in una fase storica di estrema complessità e mobilità, e di farlo, per così dire, dal ponte di comando dell’autocoscienza. Per conseguirequestoscopo bisogna costringere a rivelarsi–eassoggettare – quelle «potenze» che inconsapevolmente ci dominano e che estendono la loro influenza non solo nell’ambito della coscienza comune, ma anche di quelle scienze che, paghe dei risultati ottenuti, tematizzano non sufficientemente i loro concetti fondamentali, la loro metafisica: «Ciò per cui la filosofia della naturasidistinguedalla fisica è più precisamente la modalità della metafisica; si chiama infatti metafisica nient’altrochel’insieme delle determinazioni di pensiero (Denkbestimmungen) generali, la rete adamantina – se si vuole – nella quale portiamo tutto il materiale e mediante la quale soltanto lo rendiamo comprensibile. Ogni coscienza colta ha la sua metafisica, il pensare istintivo, la potenza assoluta in noi, della quale diventiamo padroni se la facciamo oggetto della nostra conoscenza. La filosofia in generale, in quanto filosofia, ha altre categorie rispetto alla coscienzacomune;tutta la cultura si riduce alla differenza di categoria. Tuttelerivoluzioninelle scienze, non meno che nella storia del mondo, derivano soltanto dal fatto che lo spirito per comprendereeafferrare meglio se stesso, per possedersi,hamutatole sue categorie, cogliendosiinmodopiù verace,profondo,intimo e proprio»[110]. La filosofia, nemica in di quanto ogni abitudine[111], strappa continuamente l’invisibile rete adamantina che sorregge le nostre rappresentazioni e il nostro «pensare istintivo», li rivoluziona, ma contemporaneamente ne tesse un’altra, più adatta e resistente, per reggere l’accresciuto carico dei nostri nuovi «interessi e oggetti saputi». Questa novella rete è però ancor più invisibile della prima alla maggioranza degli uomini, immersa com’è nel «materiale a più strati» della coscienza comune e della cultura di un’epoca[112]. È comunque compito di tutti – e non solo dei filosofi–,di«ciascunoal suo posto», quello di riconoscereedifavorire lagestazionedelnuovo, che scava sotterraneamente nella coscienza e nell’epoca: «Al suo impulso – se la talpacontinuaascavare nell’interno – noi dobbiamo prestare ascolto, e procacciargli realtà. M’auguro che questa storia della filosofiavipossaservire d’incitamento a cogliere lospiritodell’epoca,che èinnoinaturalmente,e a trarlo dalla coscienza della sua esistenza naturale, vale a dire dal suo essere morto e chiuso, ciascuno al suo posto, – alla luce del giorno»[113]. Non si tratta, dunque, di tendere semplicemente l’orecchio allo scavare faticoso del nuovo, ma di contribuire attivamente, praticamente, al suo sorgere. La civetta deve completarel’operadella talpa, la coscienza porsi alla testa delle trasformazioni che avvengono realmente nel mondo, che essa, singolarmente, non sempre provoca (come accadde nel caso dell’Illuminismo francese), ma alle quali contribuisce sempre inserendosi nel movimento generale della civiltà. Sotto questo profilo, anche per Hegel – come per Marx e Engels – le idee nuove che sorgono, e alle quali si deve porgere ascolto e procacciare realtà, sorgono solo perché «è in marcia» un «mondo nuovo»,ossiaintermini non più hegeliani: «Si parla di idee che rivoluzionano un’intera società; con queste parole si esprime semplicemente il fatto che entro la vecchia società si sono formati gli elementi della nuova, e cheladissoluzionedelle vecchie idee procede di pari passo con la dissoluzione dei vecchi rapporti di esistenza»[114]. Acquista così un senso più pregnante la delimitazione hegeliana dello specifico campo d’azione della filosofia: «Illavoroteorico,mene convinco ogni giorno di più, produce nel mondo più di quello pratico; non appena il regno dellarappresentazioneè rivoluzionato, la realtà effettuale non regge più»[115]. Hegel non respinge il rinvio alla prassi, alla trasformazione del mondo in quanto tale: ritiene anzi che il «lavoro» migliore, la prassi più alta del filosofo – «al suo posto» nella divisione sociale dei ruoli – sia la teoria che rivoluziona il regno dellarappresentazionee prepara così la rivoluzione nell’effettualità. Modificata «metafisica» la della coscienza comune, viene sottratto il riconoscimento alla realtà precedentemente inquadrata, che perde così di valore e finisce per crollare, una volta investitaerivoluzionata daunapiùaltaformadi razionalità. Del resto, non è possibile per Hegel operare un taglio nettofrateoriaeprassi, e solo nella loro conflittuale unità dialettica – al pari dell’endiadi ragioneeffettualità – si trova la soluzioneadeguata:«Ma nonsideveimmaginare chel’uomosiapensante da un lato, volente dall’altro,echeabbiain una tasca il pensiero, nell’altra il volere; poiché ciò sarebbe una vuota immaginazione. La differenza tra pensiero e volontà è soltanto quella fra comportamento teoretico e pratico; ma essi non sono due poteri,bensìlavolontàè un particolare modo di essere del pensiero: il pensiero in quanto si traduce in esistenza, in quanto impulso a darsi esistenza[…]Ilteoretico è essenzialmente contenuto nel pratico; ciò va contro la concezione che essi sono disgiunti; poiché non si può aver volontà senza intelligenza […] L’animale agisce secondo stimolato l’istinto, da una interioritàecosìèanche pratico; ma non ha volontà, perché non si rappresenta ciò che desidera. Ma tanto meno si può, senza volontà, comportarsi teoreticamente o pensare, poiché noi siamo appunto attivi pensando»[116]. La comprensione del rapporto tra pensiero e azione si riverbera anche sulla spesso fraintesa frase della Prefazione alla Filosofia del diritto del 1821: Was vernünftig ist, das ist wirklich;undwaswirklich ist, das ist vernünftig, normalmente tradotta «Ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale». In essa non si distingue però tra la Realität, la realtà empirica, le cose come sono viste e vissute superficialmente, e la Wirklichkeit, la realtà effettuale, l’attualità, ossia la consapevolezza di ciò che wirkt, che produce degli effetti, che non è un fotogramma isolato dellarealtàempiricadel momento,madiciòche agisce nel tempo e, pur trasformandosi (come, ad esempio, la famiglia, lo Stato, l’esercito), mantiene la sua funzione nella lunga durata. Non si tiene, inoltre, conto del fatto chelaragione(Vernunft) contiene l’elemento in sé della negatività, della contraddizione e della dissoluzione, che non è statica giustapposizione di situazioni o di concetti come l’intelletto (Verstand). Quello che Hegel intende dire non è che bisogna piegarsi e rassegnarsi passivamente al mondo così com’è, bensì che occorre mettersi in sintoniaconiprocessie le potenze che agiscono in noi e nel mondo, producendo effetti, distruggendo rinnovando, e almeno finchéessinonperdono leloroenergie.Delresto la Wirklichkeit hegeliana è l’erede legittima della categoria aristotelica di «atto» o energeia (contrapposta alla pura possibilità, dynamis), l’effettivo manifestarsi dell’essenza di una cosa: «la Wirklichkeit costituisce il principio della filosofia di Aristotele, ma non la comune Wirklichkeit dell’essere presente [Vorhandenen, a portata di mano, a disposizione], bensì l’idea come Wirklichkeit. La polemica di Aristotele contro Platone consiste quindi più esattamente in ciò, che l’idea platonica viene designata come mera e, per contro, viene fatto valere che l’idea, che viene da entrambi ugualmente riconosciuta come l’unico Vero, deve essere considerata essenzialmente come energia, ossia come l’interno che è senz’altro nell’esterno, con ciò come l’unità dell’interno e dell’esterno, vale a dire come la Wirklichkeit nel senso empatico di cui qui si è discusso»[117]. Oltre a riferirsi a una delle categorie kantiane della modalità, il concetto di Wirklichkeit conservaforselatraccia dell’espressione machiavelliana «verità effettuale della cosa», che Hegel aveva incontrato negli ultimi annidelsuosoggiornoa Jena leggendo (in francese,però)Ilprincipe di Machiavelli[118]. Questa espressione, opposta drieto a «l’andar all’immaginazione di essa», rappresenta una lezione di realismo (e non di cinismo, come normalmente la si interpreta), designa l’affidarsi a una analisi spassionata e precisa della realtà effettuale, senza abbandonarsi alle fantasticherie e alla logicadeldesiderio. Il progetto di procacciare realtà alla talpadellospiritoanche attraverso il sapere, che rivoluziona il regno della rappresentazione, non è soltanto una forma di trionfalismo idealistico. C’è forse da chiedersi piuttosto se l’idealismo stesso non possa essere interpretato come la presa di coscienza estremizzata di una situazione storica reale, in cui, da un lato, le astrazioni hanno ottenuto un dominio effettivo sul piano sociale, dall’altro, viene intuita la possibilità di programmare il mondo, non più attraverso la violenza e l’arbitrio del positivo, del privilegio, ma attraverso la razionalitàdelsapere;in cui cioè possa venir limitato lo strapotere dei meccanismi ciechi nella vita sociale e individuale. Tale possibilità non è una conquista esclusiva del pensiero, ma del pensiero passato attraversoilvagliodella realtà effettuale. È, infatti, in seguito allo sbloccarsi reale di una situazione storica – provocato dalla Rivoluzione francese – che Hegel ritiene ora gli uomini capaci di essere mossi dalla «forza vivificante delle idee» e non più dalla paura o dall’aureola di sacralità delle leggi[119]. E si può anche verosimilmente supporre che l’attesa kantiana di una piena soddisfazione della ragione umana «prima che finisca il secolo presente»[120] o l’insistenza sul tema della immaginazione trascendentale produttiva e creatrice, da Fichte ai romantici, non sia senza rapporto con questa situazione. D’altronde,cheilsapere non fosse innocuo e più un solitario passatempo dei dotti, mapoteresullarealtà,è una percezione che l’epoca stessa impone a pensatori e ambienti estremamente diversi fra loro, dai saintsimonianieComte, fino ai filosofi religiosi della Restaurazione, per i quali la potenza del pensiero è demoniaca. Lo stesso Napoleone, nel combattere gli idéologues, è, col suo tono militaresco, conscio di questo potere, e nota, in un passo sottolineato da Lenin: «Il cannone ha ucciso il feudalesimo, l’inchiostro ucciderà la società moderna»[121]. E anche Marx – malgrado la nota undicesima Tesi su Feuerbach, secondo cui «I filosofi hanno [finora]solointerpretato diversamente il mondo; ma si tratta di cambiarlo»–nonhamai inteso negare la funzione propulsiva e pratica del pensiero teoretico, tanto che, scrivendo a Kugelmann sull’effetto che si attende dalle relazioni messe in luce dal Capitale, afferma: «Con la visione della relazione rovina, prima del crollo pratico, ogni fede teorica nella necessità permanente dello stato di cose esistente. È dunque assoluto interesse della classe perpetuare dominante la confusionesprovvistadi pensieri»[122]. Hegel «società sa che la moderna» è disgregataecheilegami concreti sono assai tenui. Perciò essa è governabile da forze mobili, abitudinarie, non non positive, ma che traggono la loro esistenza da una trasformazione continua del concreto: pensiero e danaro, entrambi dominio astratto accumulato, che nasce dal mondo e rifluisce nuovamente in esso, aumentando la forza a ogni contatto. Traquesteduepotenze, malgrado le affinità, non sempre corre buon sangue:ognunatentadi asservire l’altra e di porsi al culmine di una gerarchia.Intalmodo,il sapere appare al filosofo, in linea di principio, una forma di ricchezza più alta, «sapere assoluto» che sta più in alto della ricchezza e dell’utile e convoglia, in quanto punto d’arrivo, tutta la ricchezza dell’esperienza umana[123]. Vi è certamente in Hegel la rivendicazione di un nuovo ruolo e prestigio sociale per la filosofia, attualmente «tollerata […] comme les bordels»[124], e per gli intellettualiingenere;vi è forse – non da un punto di vista autobiografico, ma comeatteggiamentoche rivela un ceto sociale – la volontà di uscire dall’umiliante posizione subalternasperimentata come precettore nella casa dei ricchi[125]. Jean Starobinski,analizzando unepisodiodellavitadi Rousseau,hapresentato un esempio illuminante di questa latente tensione fra sapere e ricchezza, fra la figura sociale subordinata dell’intellettuale e la gerarchia sociale vigente, basata sulla ricchezza e la nascita: a Torino, dove il giovane Rousseau serve come valletto alla tavola di una nobile e ricca famiglia, sorge una discussione sul significato del motto latino di uno stemma gentilizio; nessuno dei commensali è in grado di spiegarlo; solo il laquais Rousseau sa fornire la spiegazione giusta, fra lo sguardo ammirato della bella figlia del padrone di casa e quello carico d’odiodeigiovinsignori, colpiti dall’insolente sapere del servo[126]. È questo, peraltro, l’argomentocentraledel Nipote di Rameau di Diderot, tanto apprezzato da Hegel e trattato a lungo nella Fenomenologia. La ricchezza considera il sapere e lo spirito come intrattenimento e nella suatracotanza«crededi averconquistatoconun pezzo di pane un altrui Io stesso e […] opina di aver con ciò ottenuto l’assoggettamento dell’essenza più intima di lui», ma «in questa superbia la ricchezza non tiene conto del pieno rifiuto di tutte le catene»[127]. Non tiene conto cioè dell’ambiguo sentimento di superiorità che si sviluppa nei suoi confrontidapartedichi sa,dichièintimamente convinto(comeilsaggio stoico, come lo schiavo Epitteto) di poter essere comunque libero, «sul trono e in catene». Questo sentimento fa apparire casuale e arbitraria la gerarchia sociale e la indica come risultato di meccanismi ciechi.Ildotto,nellasua lotta per il riconoscimento, si rapporta allora alla gerarchia sociale da un lato con il desiderio di rivalsaediricercadiun posto al sole, dall’altro con lo stato d’animo dell’escluso e del buffone dei ricchi[128]. Il filosofo, visto dai più come un «fannullone», nonsiintegraperHegel mai a pieno nella società e nello Stato: come funzionario dello spirito esercita soprattutto un potere umbratile. Per parafrasare Gramsci, si può dire che i filosofi entrano nella struttura sociale solo come «stecche del busto»[129], che la sorreggono nelle età di transizione e ne favoriscono il mutamento. Per il fatto che il loro lavoro si svolge lontano dagli sguardi degli uomini, non lo si riconosce facilmente. 6.L’avanzaredel gigante La metafora della talpa è da inserirsi ancheinunasituazione storica precisa, quella della Restaurazione. La talpa dello spirito continua a scavare e non c’è legge o provvedimento di polizia che riesca a fermarla.L’intentodella Santa Alleanza, di imporre la pace perpetua ai rapporti fra Statiefragruppisociali, contrasta con la natura dello spirito che è movimento. Anche la constatazione hegeliana dell’inevitabilità della guerra e della sua funzionepositivacontro il ristagno dei popoli ha – fra tante motivazioni diverse – anche questo sottinteso, che non si possono congelare i conflitti per decreto[130]. La storia è progresso, non ritorno a un mitico ordine naturale pervertito dalla Rivoluzione francese, come pensavano Carl Ludwig Bonald von e Haller, Walter Scott[131]. Lo spirito «procede incessantemente innanzi,perchésoltanto lo spirito è progredire. Spesso sembra che si dimentichi o si smarrisca; ma, opposto interiormente a se stesso continua a lavorare interiormente, come dice Amleto dello spirito di suo padre: “Hai lavorato bene, brava talpa!” –, finché, rinfrancato, scuote ora lacrostaterrestrechelo separava dal suo sole, dal suo concetto. Nei periodi in cui la crosta, edificio senz’anima e tarlato, crolla, e lo spirito assume l’aspetto di una nuova giovinezza, esso calza gli stivali delle sette leghe»[132]. Quest’ultima asserzione, già incontrata,laritroviamo in una lettera a Niethammerdel5luglio 1816,indirettapolemica con la «reazione» e la sua pretesa di bloccare lo sviluppo dei tempi e di cancellare i risultati della Rivoluzione e del regime napoleonico: «Gli avvenimenti del mondo e le aspettative che regnano ovunque, anche nei circoli a noi più vicini, m’inducono per lo più a considerazioni generali che scartano nel pensiero il particolare e il dettaglio, pur nell’interesse che vi porta il sentimento. Io m’attengo a quest’idea cheloSpiritodelmondo ha dato al tempo l’ordine di avanzare. Tale comando è stato eseguito; questa essenza s’avanza come una compatta falange corazzata, irresistibilmente, ovunque, con un movimento impercettibile come quello del Sole. Le muovono contro, l’affiancano, da tutte le parti, truppe innumerevoli leggere, la maggior parte delle quali non sa affatto di che si tratti, e non fa altro che ricevere colpi sullatesta,comedauna manoinvisibile.Tuttele millanterie temporeggiatrici o i colpi di mano tanto celebrati non servono a niente contro di essa. Tutto ciò può forse arrivare ai legacci delle scarpediquestogigante e servire soltanto a lucidargliele o a imbrattargliele, ma non puòcertoslacciarglielee tantomeno togliergli i divini calzari muniti di elastichesuolealate[…] oppure gli stivali delle sette leghe, se calza questi. La cosa più sicura (dal punto di vistainternoedesterno) è di non perder di vista l’avanzata del gigante; in questo modo, si può certo, per l’edificazione di tutta la compagnia zelante e affaccendata, arrivare a opporgli resistenza,spargendola pecechedovrebbetener fermo il gigante, e per proprio diletto prestarsi a questa impresa che vienpresasulserio»[133]. Ma nemmeno la «reazione di cui adesso tanto sentiamo parlare» riescenelsuointentodi far piazza pulita degli avversariedelrealecosì come si è formato negli anni della Rivoluzione e diNapoleone,poiché«la véritéenlarepoussant,on l’embrasse, è un profondo detto di Jacobi»[134]. La Restaurazione non può quindiessereunritorno puro e semplice all’indietro, ma deve venire a patti con ciò che combatte e accettareanch’essa,suo malgrado, alcune delle nuove esigenze poste daitempi. La filosofia deve comunque fare da battistrada al gigante (metafora della rivoluzione), anche se il singolo filosofo può fingere di affaccendarsi a spargere pece sul suo cammino? Hegel teorizza forse, nei confronti della Restaurazione, una ‘strategia della talpa’, di opposizione sotterranea analoga alla «sublime ipocrisia» del Julien Sorel di Stendhal? I Giovani hegeliani avevano già sostenuto con vigore questa tesi, ritornata d’attualità in seguito alla pubblicazione da parte dello Ilting delle lezioni berlinesi di filosofia del diritto, che mostrano uno Hegel interessato più al mutamento della realtà chenonalrispettodelle condizioni esistenti[135]. Senza entrare per ora nel merito della questione, da affrontare a un diverso livello, ricordo soltanto alcuni dati per rendere più mosso e articolato il quadro di riferimento. Non c’è dubbio che, dopo i deliberati di Karlsbad (questo «blocco continentale delle idee», secondo Börne, o «il maggior movimento retrogrado che ha preso piede in Europa dopo il 1789», secondo Gentz)[136], i quali istituivano la censura sulla stampa, duratainPrussiafinoal 1832, e iniziavano la «persecuzione dei demagoghi», tesa a colpire studenti e professori universitari, Hegelmantennesempre un comportamento guardingo e preoccupato. Egli – che già a Heidelberg era stato simpatizzante dell’ala moderata delle Burschenschaften; che, nel trasferirsi a Berlino, si era fatto seguire dal suo assistente Carové, uno dei maggiori rappresentantidiessee, per giunta, autore di un pamphlet nel quale si giustificava l’uccisione di Kotzebue da parte di Sand; che venne sospettato dalla polizia per aver preso parte a una bevuta con gli studenti, assieme a Schleiermacher e De Wette, durante la quale si fece l’apologia del gesto di Sand; che vide perseguitati o arrestati dei suoi studenti, quali von Henning e Asverus; che venne infine denunciato il 5 dicembre 1819 dal giornalistaFriedrichvon Cölln come legato alle forze contrarie al governo[137] – cercò senza dubbio di tenere unatteggiamentomolto prudente, sebbene non siano mancati i suoi aiuti, anche finanziari, ai perseguitati. La prefazione alla Filosofia del diritto, datata 25 giugno 1820, è lo strumentoconcuiHegel prende le distanze da ogni relazione compromettente e con cui presenta la sua opera, probabilmente rielaboratainvistadella censura. Scrive infatti a Creuzer il 30 ottobre 1819:«Iovolevoappunto cominciare a far stampare, – quando giunsero i deliberati della dieta federale. Giacché ora sappiamo a chepuntosiamoarrivati con la nostra libertà di censura, darò [i fogli] alle stampe solo più tardi»[138].Perpiùdiotto mesi, probabilmente, dall’ottobre 1819 al giugno 1820, Hegel ritocca forse un manoscritto della PhilosophiedesRechts,già pronto per la stampa prima di Karlsbad, cifrandoloeadattandolo alla situazione politica. Questo aspetto non sfuggìaicontemporanei che dettero dell’opera un giudizio politico, unanimemente assai duro,conroventiaccuse di servilismo a Hegel. Non è qui il caso di soffermarcisugliaspetti psicologici dell’uomo Hegel(«Leisache,daun lato, io sono un uomo ansioso, dall’altro amo la tranquillità, e non mi faaffattopiacerevedere ogni anno avvicinarsi un temporale, anche se posso essere convinto che, al massimo, di questa pioggia punitiva micolpirannounpaiodi gocce»)[139], né sulle boutades di Heine[140]. C’è però da osservare che questa prudenza politica – non rara nella storia della filosofia, dove accanto ai Socrate o ai Bruno, ci sono anche i Galilei e i Cartesio – non deve impedire una valutazione teorica più vasta e testuale degli scritti hegeliani. In altre parole,ancheseHegelsi è adattato alle condizioni politiche di un periodo in cui persino von Stein e Gneisenau erano spiati dalla polizia, se ha condiviso lo sconforto momentaneo di molti riformisti prussiani, come il suo patrono politico Altenstein[141], ciò non significa che a Berlino il suo pensiero abbia subìto una trasformazione irreversibile in senso conservatore. L’immagine di uno Hegel durante reazionario la Restaurazione si fonda soprattutto su questa prefazione del giugno 1820 alla Filosofia del diritto. Ma, in primo luogo,bisognatrovarela chiave per decifrarla; in secondo luogo, bisogna rendersi conto che essa è solo un episodio, certamente importante malimitato,dainserirsi nel contesto, non solo delle Vorlesungen über Rechtsphilosophie dal 1818 al 1831, bensì di tuttelelezioniberlinesi. Da questo confronto risulta evidente quanto sia inadeguata ogni accusa di quietismo politico alla filosofia di Hegel. Egli, inoltre, malgrado tutte le sue cautele, non ha mai nascosto a Berlino l’ammirazione per la Rivoluzione francese, di cuierasolitofesteggiare l’anniversario ogni 14 luglioedicuicercavale tracce a Parigi, in compagnia di Cousin e dei giovani storici MigneteThiers[142].Non bisogna comunque trarre, per ora, alcuna conclusione affrettata, che riporterebbe inevitabilmente il problema sul vecchio piano stantìo dell’alternativa fra uno Hegel assolutista e partigiano della Restaurazione e uno Hegel timoroso in pubblico, ma rivoluzionario privato. E in questo, soprattutto, perché non si può intendere la Restaurazione come un blocco compatto e, poi, perché mancano ancora diversi presupposti teorici per comprendere la situazione. Sul momento, l’interrogativo da porre è il seguente: In quali forme è possibile far procedereecomesipuò procacciare realtà effettuale a quella rivoluzione che non si può interrompere? Su un punto almeno restano pochi dubbi, e cioè che Hegel non ha mai rinnegato questo suo credo giovanile: «Viviamo in un’epoca importante, in un fermento in cui lo spiritohafattounbalzo, è uscito fuori dalla sua figura precedente e ne acquista una nuova. L’intera massa delle rappresentazioni, dei concetti che abbiamo avuto fino ad ora, le catene del mondo, si sono dissolte e sprofondano come un’immagine di sogno. Si prepara una nuova sortita dello spirito. La filosofia deve soprattutto salutare il suo apparire e riconoscerla, mentre altri, contrastandola impotentemente, restano attaccati al passato e i più costituiscono inconsciamente massa del la suo apparire»[143].Nonrivela dunque fondamenta solide il luogo comune secondocuiaunoHegel pieno di ardori rivoluzionari seguirebbe un uomo stanco e rassegnato. Egli sa che in epoche di rapidi mutamenti il passato lascia solo tracce sbiadite, mentre il futuro si manifesta come inconsapevole aspirazione al nuovo, «sentimento d’ignoto» che agita le coscienze. Analogamente allo Hölderlin del frammentoIldivenirenel trapassare (Das Werden im Vergehen), Hegel sa che, se si restasse impigliati nella miriade di vincoli che – tramite la memoria – ci legano tenacementeaciòcheè stato, il «nuovo», «il giovane, il possibile» non subentrerebbero mai a esso[144]. Sa anche, tuttavia, che, sebbenemoltinonsene siano ancora accorti, i vincoli con il passato si sono allentati fino a spezzarsi. Per avanzare verso il nuovo, il giovane, il possibile, occorrequindidiventare consapevolidellanatura dei condizionamenti aboliti,delle«catenedel mondo» che si dissolvonoeguardarein faccia l’«assoluta devastazione», ripercorrereletappedel lungo attraversato, cammino soffermandosi in ciascunadiesse.Questo è necessario per diventare contemporanei di se stessi, per poter contemplare la figura del nuovo mondo che sorge non sub specie aeternitatis, ma nella prospettiva del «sapere assoluto», ab-solutus, sciolto da ogni condizionamento, liberatosi dal passato che ancora imprigiona la maggior parte degli uomini nelle rappresentazioni, nei concetti e negli atteggiamenti etici (intimamente indeboliti eoscurati,maancorain grado di esercitare una residua spinta inerziale). Perfortuna–comenel Condorcet dell’Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano – la strada delle «epoche dello spirito» già percorse è «spianata» e resa semplice, tanto che le acquisizionidelpassato, costateenormefaticaai più grandi ingegni dell’umanità, sono oggi accessibili anche ai più giovani[145]. Nella «scienza che sorge», rappresentata dalla fenomenologia dello spirito, le acquisizioni precedenti si colgono quindi in forma semplificata e astratta come elementi che servono a ricostruire la genesi dell’attualità e a rendere possibile la transizione dal vecchio al nuovo mondo: «L’individuo percorre questo suo passato, la cui sostanza è quello spiritochestapiùinsu, propriocomecoluicheè sul punto di avventurarsi in una scienza superiore percorre le cognizioni preparatorie, già in lui da lungo tempo implicite, per rendersi presente il loro contenuto; e le rievoca senzachequiviindugiil suo interesse. Il singolo deveripercorrereigradi di formazione dello spirito universale, anche secondo il contenuto, ma come figure dello spirito già deposte, come gradi di una via già percorsa e spianata. Similmente noi, osservando come nel campo conoscitivo ciòcheinprecedentietà teneva all’erta lo spirito degli adulti è ora abbassato a cognizioni, esercitazioniefingiochi da ragazzi, riconosceremo nel progresso pedagogico, quasi in proiezione, la storiadellaciviltà»[146]. 7.Metafore notturnee oscuramentodel mondo Il già ricordato luogo comune di un giovane Hegel pieno di ardori rivoluzionari e di uno Hegel anziano stanco e rassegnato è rafforzato da un gruppo di metafore e di analogie, nelle quali il pensiero appare come sinonimo di vecchiaia e l’interiorità dell’uomo, zona di condensazione del pensiero, come notteopozzonotturno. In effetti, l’età della vecchiaia è l’età del pensiero[147], il cui gelido soffio fa sfiorire la vita: «Quanto più il pensiero è contenuto nella rappresentazione, tanto più scompare dalle cose la naturalità, singolarità e immediatezza: mediante il pensiero irrompente impoverisce laricchezzadellanatura infinitamente multiforme, le sue primavere si estinguono,isuoigiochi dicoloreimpallidiscono. Quella vita che scroscia nella natura, ammutolisce nella calma del pensiero; la sua calda pienezza che si configura in mille attraenti meraviglie avvizzisce nelle forme aride e nelle informi universalità, che assomigliano ad una fosca nebbia nordica»[148]. E in un brano più noto, che pone l’accento sull’invecchiamento della realtà, ma che sembra coinvolgere anche l’invecchiamento del pensiero, ossia la sua stanchezza, si dice: «prima l’ideale appare di contro al reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce questo mondo medesimo, colto nella sostanza di esso, in forma di regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro,essononsi lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere»[149]. Il pensiero tuttavia non è debolezza e distacco senile, come nella vecchiaia naturale, in cui la persona anziana «vive senza interesse determinato, poiché ha abbandonato la speranza di poter realizzare gli ideali nutriti in precedenza, e ilfuturoingeneralenon sembra promettergli niente di nuovo, onde il senno del vecchio è rivolto solo a questo universale e al passato, al quale egli è debitore della conoscenza di questo universale»[150]. Infatti, «la vecchiaia dello spirito è la sua perfettamaturità,incui essoritornaall’unitàma come spirito»[151]. Nella rappresentazione dello spiritocomeunvecchio, Hegel si ricollega a una diffusa immagine popolare, che ha una vasta risonanza anche nel folklore e nella fiaba[152]. L’idea della Verjüngung, del ringiovanimento dello spirito dell’umanità dopo ogni periodo di crisi, era d’altronde familiare ai contemporaneidiHegel, e aveva la sua origine più immediata nel filosofo ginevrino Charles Bonnet, dal qualepassòaHerderea Hölderlin, tanto che questi progettò una rivista chiamata «Iduna», dal nome della dea germanica dell’eterna giovinezza[153]. In Hegel, lo spirito è, sì, un vecchio, ma come il «nuovo serpente della saggezza» che si dispoglia di volta in volta della sua «flaccida pelle»[154]. E, diversamente dal mito orientale della fenice, che riguarda il corpo, nell’idea «occidentale», lo spirito non appare solo ringiovanito, ma «innalzato, trasfigurato». Con le crociate e la visione del vuoto del Santo Sepolcro, il mondo europeo ha per Hegel rinunciato alla tomba e al potere assoluto della morte, ma non a quello della resurrezione, del rinascere spirituale a nuovavita. Il significato del discorso hegeliano è soltanto questo: la filosofia non può dire come deve essere astrattamenteilmondo, perché esso è già; nel dipingerlo Grau in Grau, grigio su grigio, ossia vecchio su vecchio, la filosofia non ringiovanisce quell’«aspetto della vita che è invecchiato», anzi lo invecchia ancora di più, vi stende un’altra patina di grigio, vi fa spirare il soffio gelido del pensiero; nel compiere questa operazione, nel mostrare cioè quel che vi è di invecchiato nella realtà, il pensiero ne accelera la fine e prepara l’avvento del nuovo, già presente come «ghianda» e come Wirklichkeit, realtà che agisce, è attuale in quanto energeia, non in quanto dynamis, ha quindi effetto (wirkt), ossia non è invecchiata. Vi è tuttavia un limite nell’efficacia del pensiero filosofico, che contribuisceaproiettare su di esso le ombre del crepuscolo, ed è la consapevolezza di una sua relativa impotenza o non ancora dispiegata potenza: la «pianticella della filosofia» può per ora attecchire soltanto «in pochi individui, finché i governi e il resto del pubblico si sollevino dalle loro necessità e costrizioni esterne, volgendo gli occhi a maggiori altezze»[155]. A causa di questo isolamento, la presa del pensiero cosciente sulla realtà non è rapida, perché la maggior parte degli uomini ne è esclusa. La figuradelfilosofo,cheè segnata e prodotta da questo limite, acquista così il suo notturno e aspetto semi- clandestino agli occhi del popolo, che, appunto, lo considera un «fannullone». Hegel ha sentito nel suo tempo non solo la forte presenza del pensiero oggettivo incorporato nellarealtà,maanchela carenza e le difficoltà del pensiero soggettivo nel metterla a fuoco, sicché, nelle sue opere, la bilancia della razionalità sembra spesso pendere più dalla parte del mondo che non dalla parte dell’individuo. La filosofia è sempre stata per sua natura in contraddizione con la coscienza comune (poiché, nel porsi al di sopra di un’epoca secondo la forma, precorre quanti sono semplicemente permeatidaicontenutie dalle forme parziali dell’epoca), ma negli ultimi tempi il divario è ulteriormente aumentato: «Fino alla filosofia kantiana lo svolgersi della filosofia era stato seguito dal pubblico […] La coltivavano quindi anchegliuominid’affari e i politici […] Già con Kant ha avuto inizio quel distacco dalla coscienza comune […] quindi da Fichte in poi la speculazione divenne occupazione di pochi»[156]. Cosa è accaduto? Cosa si cela dietro questo iato? Esso pare sottintendere – oltre all’affanno di tenere il passo col cumulo crescente delle conoscenze – anche l’esistenza di una frattura storica e di un oscuramento del mondo. Simbolo di questa crisi, che si manifesta da un lato come disgregazione e «sbocconcellarsi» del reale, dall’altro come perditaditrasparenzadi esso, è la filosofia kantiana, nella quale l’effettualità è scissa in una molteplicità di fenomeni e in uno sconosciuto fondamento di essi, la cosainsé.Leaporieele contraddizioni interne della filosofia di Kant non poggiano dunque per Hegel su una insufficienza logica, ma sono lo specchio formale di una situazione storica in cui il mondo è realmente scisso, in cui il suo vecchio fondamento è tramontato ed ha lasciato le manifestazioni della realtà senza un nuovo legame unitario, o meglio, questo legame in parte si riduce a soggettiva «appercezione trascendentale», in parte è intravisto – ma rifiutato per la sua immaturità – come illusionetrascendentale. Anche durante la crisi del mondo antico si ebbe l’opacizzarsi del mondo e «fu strappata agli uomini la padronanza delle loro idee sugli oggetti», costringendoli ad affidarsi a un «Invisibile», al Dio cristiano o ai ‘teurghi’[157]. In queste epoche dell’apparenza si è soliti predicare la rinuncia al mondo, dichiararne l’inconoscibilità, o perdersineimeandridei fenomeni. Oppure appigliarsi all’immediatezza come a un talismano, proclamare – alla stregua di Jacobi e di alcune correnti del pensieroromantico[158]– la supremazia del sapere immediato, anche se tale posizione esprime più l’esigenza di un nuovo fondamento del mondo che non la conoscenza di esso. È soprattutto in queste fasi storiche che la coscienza comune è disorientata e che aumenta lo scarto fra il pensiero filosofico e quello della maggioranza degli uomini. È però anche vero, per contro, che proprio in tali momenti i sistemi filosofici, quando vengono compresi, risanano la fratturaefannofortuna: «Quando di un sistema si può dire che ha fatto fortuna, è che si è rivolto ad esso, con orientamento istintivo, un bisogno più universale della filosofia, bisogno che non riesce per se stesso a tradursi in filosofia (poiché altrimenti si sarebbeappagatoconla creazione di un sistema). E l’apparenza di un accoglimento passivo dipende dal fatto che nell’intimo è presente ciò che il sistemaesprime,ciòche ciascunofaormaivalere nella sua sfera di scienzaodivita»[159].La Fenomenologiadellospirito è stata per Hegel lo strumento di saldatura fra i fenomeni e il loro fondamento nel «mondo nuovo» e fra filosofia e coscienza comune. Tale congiungimento non è mai completo e Hegel riprenderà lo stesso compito diverse volte e indiverseforme[160]. 8.La rappresentazione delmondonuovo L’io dell’uomo, il «punto»[161] nel quale si condensa il mondo comeinun«fuoco»oin un «crogiuolo»[162], il luogo in cui esso viene registrato e trascritto nella forma del pensiero, è in sé una notte o un pozzo notturno: «L’uomo è questa notte, questo vuoto nulla, che contiene tutto nella sua semplicità, una ricchezza di innumerevoli rappresentazioni, di immagini,nessunadelle quali propriamente lo colpisce o che non gli sono presenti. Questa è la notte, l’intimo della natura, che qui esiste – puro Sé. Nelle rappresentazioni fantasmagoriche tutto intorno è notte. Da una parte schizza fuori improvvisamente una testa insanguinata, dall’altra una bianca figura e altrettanto improvvisamente scompaiono. Si vede questa notte quando si guarda nella pupilla di un uomo – in una notte che diventa terrificante»[163]. E ancora: «Concepire questa intelligenza come questo pozzo notturno[164], in cui è conservatounmondodi molte immagini e rappresentazioni, senza che esse sieno nella coscienza, è, da una parte, l’esigenza generica di concepire il concetto in quanto concreto, come ad esempio il pensare il germe in modo che contenga affermativamente, in una possibilità virtuale, tutte le determinazioni, le quali nello svolgimento dell’albero vengono poi ad esistenza […]»[165]. In questa «notte della conservazione», in cui l’immagine è celata come inconscia nel suo «scrigno», l’uomo è possedutodaterrificanti potenze inconsce che possono essere soggiogate solo dal risveglio offerto dal linguaggio[166] e, al livello più alto, dalla filosofia che, dal punto di vista del singolo, è l’uscita dalla notte, coscienza vigile per eccellenza: «La filosofia non è sonnambulismo, ma piuttosto la più vigile coscienza; e l’opera di quegli eroi [ossia dei filosofi] consiste appunto nell’aver tratto il razionale in sé dalle profondità dello spirito, dov’esso si trova dapprimasoltantocome sostanza, come essenza interiore, e nell’averlo recato alla luce, nell’averlosollevatoalla coscienza, al sapere; consiste,insommainun progressivo risveglio»[167]. E a Jena Hegel ammoniva: «Non essere un dormiglione, ma sii sempre sveglio! Perché se sei un dormiglione, sei cieco e muto. Ma se sei sveglio, vedi ogni cosa e dici a ognicosaciòcheessaè. Ma questo è davvero la ragione ed il dominio del mondo»[168]. Come essere pensante e sveglio l’uomo è portatore di luce, Phosphor[169], misura in e nella cui è coscienza vigile domina lasuaepoca.Maciònon esclude, secondo la testimonianza di Heine, che per Hegel un’epoca storica non si rifletta anchenelsogno:«Ilmio grande maestro, la buon’animadiHegel,mi disse una volta: “Se fossero stati trascritti i sogni che gli uomini hanno sognato durante undeterminatoperiodo, dalla lettura di tutti questi sogni ne scaturirebbe un’immagine perfettamente esatta dello spirito di quel periodo”»[170]. Ma la filosofia, come risveglio, non è la semplice immagine sfocata di un’epoca, quale si manifesta nel sogno o nella coscienza comune,incuimancala distinzione l’essenziale fra e l’inessenziale e tutto si riduceafenomeno.Essa è – per così dire – la radiografia di un’epoca, in quanto legge l’epoca in negativo, ossia, non solo (con una allegoria della transitorietà e della morte) ne individua lo scheletro e la corruzione, ma guarda anche nei suoi vuoti più che nei suoi pieni, in ciò che non compareechepurbrilla per la sua assenza. Nell’interpretare la Repubblica di Platone, Hegel ha fornito un paradigma di questo genere di lettura. Platone infatti, nell’accentuare l’organizzazione gerarchica della sua Polis e nel cancellare (con l’abolizione della proprietà e della famiglia) ogni interesse privato, non ha fatto che combattere il principio disgregatore della soggettività, che si era già mostrato ai suoi tempi un pericolo per l’eticità immediata, l’obbedienza irriflessa alle leggi della Città: «egli aveva riconosciuto benissimo che la corruzione della vita greca derivava dal fatto che gli individui come individui cominciavano a far valere i propri scopi, le loro inclinazioni, i loro interessi, subordinando ad essi lo spirito comune»[171]. Ma di tuttoquestononhamai parlato direttamente, sebbene la sua filosofia politica sia una formazione reattiva a tale situazione. Egli ha, dunque, inteso «il vero spiritodelsuomondo,e lohaespostocolpreciso intento di rendere impossibile nella sua repubblica il principio nuovo»[172]. Ma il «mondo nuovo», distruttore del vecchio, può appunto vedersi anche in controluce, e ogni grande filosofia, ancheselocombatte,lo contieneelorivela. Le stesse utopie non sono per Hegel prive di significato storico, pure elucubrazioni avulse dalla realtà. Anch’esse sono sintomo di un travaglio reale, che riceve però la sua soluzione in forma consolatoria oltre la crocedelpresente,nella ricerca di una perfezione tanto maggiore quanto più è avanzata la corruzione delpresente.Ilcarattere ideale di queste utopie non consiste nel fatto che esse sono troppo eccellenti per gli uomini,manelfattoche lo sono troppo poco, in quanto riproducono per mera inversione una cattiva realtà giudicata immodificabile. E sebbene esistano piccole comunità che riescono a isolarsi dal lorotempoeapraticare un ideale di perfezione, ciò è possibile solo perché esse godono di quel presente che dicono di rifiutare e ne sfruttano gli interstizi come parassiti. Questo tipo di ideale «lo troviamo, è vero, realizzato nei monaci e nei Quaccheri o in altre pie persone della stessa risma, ma un mucchio di queste melanconiche creature non può formare un popolo, allo stesso modo che i pidocchi o le piante parassite non possono esistere per se, ma solo su un organico»[173]. corpo Hegel in generale non è contrario al mutamento come tale e alla sua prefigurazione. L’uomoanzi–rispettoal cambiamento ciclico della natura, che non innova–sidistingueper la sua «effettiva capacitàdimutamento» (wirkliche Veränderungsfähigkeit), per il suo «impulso di perfettibilità», analogo alla rousseauiana «faculté de se perfectionner»[174]. Ma questa tendenza, oltre che dagli Stati, è contrastata dalle religioni, in particolare quella cattolica, timorose della loro stabilità. La religione, in quanto rappresentazione (e le rappresentazioni sono altro non che «metaforedeipensierie concetti»)[175] e non pensiero del mondo, contiene sempre in sé una scissione e di conseguenza un lato utopico che si oppone alla realtà terrena. Anch’essa come la filosofia,mainpiùnetta opposizione e inconciliabilità col mondo del presente, di fronte al tramonto del sole reale cerca la luce diunsolediverso,ilcui splendorevieneevocato nei luoghi di culto, attraverso le vetrate delle chiese gotiche: «Questevetrateinparte raffigurano storie sacre, in parte sono solo colorate, per diffondere una luce crepuscolare e per far rilucere lo splendoredeiceri.Adar luce è qui infatti un giornodiversodaquello della natura esterna»[176]. La croce di Cristo non si sovrappone alla croce delpresente,perquanto il concetto hegeliano di religione abbia perso o decisamente attenuato l’aspetto della trascendenza, insistendo sulla necessità di un adeguamento e di una conciliazione col mondo, conciliazione che è stata raggiunta, ma solo sul piano empirico, dal protestantesimo[177]. Con qualche forzatura, Lukács osserva come non vi sia in Hegel alcuna polemica contro i contenuti della religione,chehannoper lui effettualità storica e sono perciò tappe sulla via dello spirito a se stesso, e definisce napoleonico l’atteggiamento hegeliano nei riguardi della religione, come «riconoscimento della sua esistenza storica e della sua forza, con larga indifferenza riguardo alla sua più intima essenza»[178]. Taleposizioneèinparte confermata anche da Cousin: «In religione i nostri sentimenti non erano molto diversi. Eravamo entrambi convintichelareligione è assolutamente indispensabile, e che non bisogna abbandonarsi alla funesta chimera di sostituirla con la filosofia. Fin d’allora io ero deciso partigiano di un concordato sincero fraleduepotenze,l’una che rappresenta le aspirazioni legittime di un piccolo numero di spiriti d’élite, l’altra i bisogni permanenti dell’umanità. Monsieur Hegel era completamente del mio parere»[179]. Questa impostazione concordataria dei rapporti fra filosofia e religione non può stupire in un uomo che frequentava il ministro riformista prussiano Altenstein, di cui era protetto e, nello stesso tempo, maestro, e nella cui casa veniva «audacemente discusso il problema se il cristianesimo dovesse durare ancora venti o cinquant’anni»[180]. Non è tuttavia esatto che Hegel fosse indifferente ai contenuti della religione. Egli pensava piuttosto che essi avrebbero dovuto cambiare gradualmente segno, che la religione cristiana, cioè, dopo aver annunciato la conciliazione fra dio e uomo come discesa del divino nell’umano, incarnazione, Menschenwerdung, dovesse ora accompagnare l’ascesa dell’uomo al divino, divino già contenuto implicitamente e rivelato nella realtà terrena della storia del mondo. In questo senso l’uomo è già «Dio immediato, presente» (unmittelbarer, präsenter Gott)[181]. Ma tale conciliazione, finora, a causa della «durezza della realtà» non procede oltre un armistizio festivo, una presenza discontinua e solenne della conciliazione che lascia scoperti gli altri giorni della settimana. In questa «domenica della vita», che è per gli uomini la religione, «scompaiono le preoccupazioni terrene e finite e lo spirito si acquieta in Dio, nel sentimento presente della devozione o nella speranzadilui.Gliscopi finiti, il disgusto degli interessi limitati, il dolore di questa vita, le preoccupazioni e gli affannidiquesto«banco di sabbia» della temporalità[182], il rincrescimento, le fatiche e le incomprensioni: tutto si dissolveinquestoetere, come l’immagine di un sogno del passato. In questa regione dello spirito scorrono i flutti della dimenticanza, ai quali beve Psyche – doveessaaffondatuttii dolori e le preoccupazioni, dove essa si disfa del suo essere effimero; dove dileguano tutte le durezzeeoscurità,dove l’altra sua essenza temporale si dissolve di fronte a lei in una parvenza che non le fa più paura, e dalla quale più non è dipendente e dove tutte le forme terrene contorni sono solo all’immagine luminosa della riconciliazione, della devozione, dell’amore; dove l’intera temporalitàsitrasfigura nell’eterna armonia, nello splendore dell’eterno. Come sulla più alta cima di una montagna, lontani da ognipiùlimitatavisione terrestre, ci vediamo proiettati nel cielo azzurroecontempliamo con occhio calmo e distaccato tutte le limitazioni dei paesaggi e del mondo; così l’uomo nella religione, liberato dalla durezza dellarealtà,laconsidera con l’occhio dello spirito, una parvenza fluente; una parvenza che in questa pura regionesirispecchianel raggio dell’appagamento e dell’amore, fa balenare ilgiocoalternopercuisi differenzianellesueluci e nelle sue ombre, ma mitigato nell’eterna quiete»[183]. Con la promessa diretta di un appagamento pieno, in forma comprensibile a tutti, la religione soddisfalamaggioranza degli uomini più della filosofia,lirisarciscepiù caldamente per le lacerazioni della vita, ricostruendo una solidarietà comunitaria eunlegameidealealdi sopra di una società civile dominata dall’interesse e dall’egoismo. In termini ancora più generali, nella religione ogni popolo si autodefinisce e prende possesso della sua essenza[184]. Da questopuntodivista,la religione non ha per Hegelnientediillusorio, ma è, semmai, inadeguataallivellopiù alto raggiunto dallo spirito moderno, coglibile,nellafilosofiae nell’agire, soltanto da ristrette élite. La religione governa le rappresentazioni degli uomini ed è una potenza reale con cui si devono mantenere i contatti, se non si vuol perdere l’aggancio con la maggioranza degli uomini. Hegel non è interessato all’aspetto istituzionale della religione, al suo costituirsi in chiese, se noninrapportoallaloro capacitàdiinterpretarei bisogni degli uomini senza cadere nella «positività»[185]. Sotto questa luce, non c’è motivo di mettere in dubbio le reiterate affermazioni di luteranesimodapartedi Hegel: egli lo ritiene in sostanza, per i popoli «nordici», il legame interiore più libero e adatto allo spirito delle masse e così lo onora[186]. Durante la Restaurazione, in un periodo di rilancio della religione in chiave antiilluministica e antirivoluzionaria, gli sforzi diHegelsonounadifesa del pensiero e della filosofia contro la pretesadellareligionedi riconquistare il monopolio delle coscienze. Quando teorici, come Haller, attaccano la «scienza falsaedannosa»cheha generato «l’idra della rivoluzione»[187],quando sostengono che non si può lodare l’opera della rivoluzione e dell’empietà, il cui «dente della iena divora tutto, nella reggia come nellacapanna,togliendo aciascunoilsuo:alrela corona, alla vedova il sussidio, al ricco la fortuna e al povero il suo stesso corpo; all’uomo libero la libertà, al lavoratore fedele il salario, ad ogni popoloildecoro,adogni condizione il suo onore; ai ministri stessi dell’Altissimo l’esistenza, l’autorità ed il vitto»[188] – quando tutto questo succede, Hegel risponde con l’elogio degli enfants perdus de notre cause e della potenza del pensiero. E in un’epoca in cui la potenza del pensiero andava, per ammissione di Hegel, crescendo e l’aumento della popolazione universitaria faceva prevedere l’allargamento delle élite permeabili alla filosofia, il rapporto con la religione non doveva essere pacifico. E, infatti, non lo fu: negli ultimi anni di vita, Hegelnonfecealtroche difendere la razionalità della filosofia contro gli attacchideiteologiedei colleghi[189]. Ma ciò soltanto in vista di un regime concordatario, nella speranza, da una parte, di evitare la rottura,dall’altradinon rinunciare alla superiorità della forma spirituale del pensiero. La sua polemica non è rivolta alla religione come tale, ma alla rinunciaalpensieroche in suo nome si vuole imporre, al trasformare la religio, come Schleiermacher, in sentimento di dipendenza, col che, commenta gelidamente Hegel, il cane sarebbe il migliorcristiano[190]. Tra filosofia e religione e tra filosofia ed epoca c’è un parallelismo di struttura: la filosofia, purcondividendoilloro contenuto, sta al di sopra di entrambe secondolaforma.Essaè quindi anche la religione del proprio tempo appresa nel pensiero ed è per Hegel il protestantesimo qualorasiaccordiconlo Stato, perché non basta rivoluzionare le istituzioni se non si cambia la coscienza dei cittadini. Ma alla coscienzacomuneealla religione stessa – che la organizza – essa appare comeviolentaosubdola distruzione della certezza, della fede. La filosofia è invece conciliazione di un bisognopiùvasto,chela religione, pur presentendo, non è in grado di soddisfare, perché si muove nel dominio più vischioso della tradizione. Ma in un mondo in crisi o in rapida trasformazione ogni certezza è necessariamente scossa e si hanno allora due comportamenti: la riaffermazione delle vecchie certezze in forma«positiva»oppure la distruzione di esse e la ricerca di nuove certezze. La prima è generalmente la strada dellareligione,chedeve rimorchiare più lentamente la massa di un popolo, la seconda è quella della filosofia, resa più agile dalla sua stessasolitudine. In questo movimento più veloce di disgregazione delle vecchie certezze e di prefigurazione delle nuove, la filosofia deve passare attraverso il mondo notturno del non ancora realizzato, deve aguzzare lo sguardo,perindividuare lecausedelmalesseree proporre la certezza di una nuova realtà che non è presente se non nella «culla» del pensiero. In questo modo essa «fornisce un occhio acuto per vedere questo elemento di insoddisfazione» dell’epoca; «precede e trasforma la realtà effettuale», offrendo anch’essa, in concorrenza diretta con la religione, «un mezzo di appagamento (Befriedigungsmittel), la consolazione in questa realtà effettuale, in tale infelicità del mondo»[191]. Questo Befriedigungsmittel non è però un tranquillante, una semplice rinuncia al mondo; esso è bensì un lato dell’inquietudine e un attenersi alla Wirklichkeit,cheperdura nelladissoluzione. 9.Lafilosofiaele istituzioni Ma non è solo la religione a poggiare immediatamente sull’abitudine e sulla certezza, bensì anche lo Stato. Dimodoché – essendovi «coincidenza fra rivoluzioni politiche e sorgere filosofia»[192] della –, la filosofia tende a entrare in collisione con lo Stato, a meno che lo Stato non si attenga saldamenteallaragione, sia guidato non da filosofi, ma da leggi razionali, ossia adeguate ai tempi. La maggioranza degli uomini vive l’esistenza dello Stato come abitudine e certezza di far parte della seconda natura della sfera politica: «Gli uomini hanno la fiducia che lo Statodeveesistereeche in esso soltanto può realizzarsi l’interesse particolare; ma l’abitudine rende invisibile ciò su cui poggia tutta la nostra esistenza. Se alcuno, di nottetempo, procede sicuro nella strada, non gli viene in mente che possa essere altrimenti; poiché questa abitudine della sicurezza è diventata una seconda natura; e non si riflette certamentecomeciòsia soltanto l’effetto di particolariistituzioni.La rappresentazione crede spesso che lo Stato stia unitomediantelaforza; ma ciò che lo mantiene è unicamente il sentimento fondamentale dell’ordine, che tutti hanno»[193].LoStatoper Hegel non ha esistenza al di fuori del consenso implicito della maggior parte degli uomini. Se manca il consenso e la mediazione dell’individualità,essoè «campato in aria»[194]. Lo Stato esiste finché viene riconosciuto e viene riconosciuto finché riesce a mantenere una sufficiente consenso. area Fino di ad allora, l’ideadelloStato, ossia il concetto che ha esistenza, continua ad averpoterenellamisura in cui gli vien concesso. Quando lo Stato non ha più radici nella certezza e nella coscienza dei cittadini, quando esso non è più capace di modificarsi, allora nascono le rivoluzioni. Giacché spesso tale carattere ideale dello Stato hegeliano viene frainteso e lo si identifica con forme di «statolatria» o di banale «prussianesimo», è opportuno riportare il seguente brano, tratto dalla Scienza della logica, cheillustrachiaramente la forza del consenso, l’egemonia esercitata dallo Stato in genere, e dagliStatisingoli,anche quelli pessimi, finché esistono: «Che le cose attuali non siano congrueall’idea,èillato della loro finità e non verità, dal quale lato sono oggetti, e ciascuno diquestisecondolasua diversa sfera […] La possibilità che l’idea non abbia perfettamente elaborata lasuarealtà,chel’abbia assoggettata incompletamente al concetto, si basa su ciò ch’essa stessa ha un contenuto limitato e che, pur essendo essenzialmente l’unità del concetto e della realtà, è altrettanto anche essenzialmente la lor differenza; poiché soltanto l’oggetto è l’unità immediata, ossia soltanto in sé. Ma dove un oggetto, per es. lo Stato, non fosse affatto conforme alla sua idea, ossia anzi non fosse affattol’ideadelloStato, quando la realtà di questo, che son gli individui di sé consci, non corrispondesse per nulla al concetto, allora la sua anima e il suo corpo si sarebbero separati; quella fuggirebbe nelle remote regioni del pensiero, questo si sarebbe spezzato nelle individualità singole. Poiché però il concetto dello Stato costituisce così essenzialmente la natura degli individui, esso è in loro come un istinto di tal potenza che quelli, quando non fossechenellaformadi finalità esterna, son costretti a tradurlo in realtà oppure a contentarsene così, o se no dovrebbero perire. Il pessimo fra gli Stati, quello la cui realtà corrisponde meno al concetto, in quanto esiste ancora, è ancora idea; gl’individui obbediscono ancora a unconcettocheesercita ilpotere»[195]. Nei periodi di rivoluzione politica l’effetto della filosofia è però proprio quello di far fuggire l’anima dello Stato, che è poi l’anima dei cittadini, «nelle remote regioni del pensiero» e di disgregare il suo corpo nelle individualità singole. Di qui l’inimicizia fra Stato e filosofia. Nell’età moderna e nei paesi protestanti è tuttavia possibile una collaborazione ‘concordataria’ fra le due potenze. Da parte sua, infatti, lo Stato ha assorbito una dose di razionalità maggiore che nel passato, ha dovutocioèsviluppareil pensiero come antidoto alla disgregazione della società civile, venendo così incontro alla filosofia.Quest’ultima,a sua volta, ha trovato all’interno dello Stato uno spazio istituzionale entro cui esplicarsi: le università e l’insegnamento pubblico in genere. Lo Stato, quindi, manifesta la tendenza a riconoscereeatollerare il pensiero, invece di bandirloeperseguitarlo, e la filosofia a riconoscere il travaglio dello Stato e ad aiutarlo nelle doglie dei suoi frequenti mutamenti. L’auspicio hegeliano è che«nelloStatoaccanto al governo del mondo effettuale, fiorisca ancheilliberoregnodel pensiero»[196] – si noti l’aggettivolibero–eche lo Stato si renda conto che la filosofia «costituisce l’autentica base di ogni cultura teoretica e pratica»[197]. Il funzionario dello spirito è disposto a educare i funzionari delloStato,affinchéessi ne rafforzino le strutture razionali. Nel 1820/21 Hegel aveva persino progettato di scrivere un libro di «pedagogia politica» (Staatspädagogik), ma la cosa andò in fumo per motivi di tempo, in quanto la filosofia «nondum nobis haec otia fecit»[198]. Inoltre, dato cheloStatopoggiasulla coscienza e sulla Gesinnung, la filosofia può organizzare un consenso razionale con l’agire sulla formazione della volontà e col discutereistanzeancora pocochiareperloStato, istanze che toccano problemi attuali dibattuti anche a livello diopinionepubblica[199]. Illuminando l’opinione pubblica – il cui peso crescente incide sulle decisioni politiche[200] – la filosofia orienta il consenso soluzioni verso razionali. Hegel, vecchio giornalista, non ignora la forza di penetrazione che le idee ottengono attraverso la stampa: oggigiorno non è più la preghiera del mattino cheguidaeaccompagna l’uomo nella sua vita quotidiana, ma la letturadeigiornali[201]. Hegel sa però altrettanto bene che questo regime concordatario non è stato ancora stipulato formalmente, né può esserlo, perché il pensierofilosoficoperla sua essenza travalica i confini dello Stato, riguarda lo spirito umano nel suo complesso e non lo «spirito di un popolo» singolo. Può esistere al massimo un tacito accordo, con frequenti violazioni da ambo le parti: da parte dello Stato, che tenta di addomesticare la filosofia, facendone la propria longa manus spirituale per le zone in cui la religione non giunge; da parte della filosofia, che non sempreaccettailimitie i ritardi dello Stato. Per questo il filosofo continua a essere in pericolo,èespostocome i trovatelli a tutte le intemperie politiche, anzi «il professore di filosofia è in sé e per sé unexpositusnato»[202]. Vi è malgrado comunque, tutto, complementarietà fra l’azione dell’uomo di Stato e quella del filosofo. Il primo, quandoècapace,agisce più sul piano della ‘talpa’, fa scaturire il nuovo attraverso la passione, mentre il secondo agisce più sul piano ‘della civetta’, del pensiero cosciente. È dunque possibile (per la relazione isomorfa esistente fra passionefinalità inconscia e ragione-finalità consapevole), la traducibilitàcontinuadi ragione in passione e di passione in ragione. È possibile, cioè, che lo Stato operi sulle passioni e gli interessi dei cittadini con maggiorconsapevolezza e che la filosofia decifri finalmente, come Champollion, «geroglifico quel della ragione» che è lo Stato[203],esiprendapiù concretamente cura del mondo. Lo Stato deve però evitare il contagio di un morboinapparenzaben strano, di cui i filosofi sono inconsapevolmente i portatori sani: quello di un eccesso di razionalità in rapporto alla situazione storica concreta di un popolo. Napoleone, ad esempio, sbagliò nell’imporre agli spagnoli una costituzione più avanzata di quella a cui erano abituati: «Ciò che Napoleone diede agli Spagnoli era più razionale di ciò che essi avevano prima; e, tuttavia, essi lo respinsero, in quanto cosa a loro estranea; poiché non erano ancora inciviliti sino a quel punto. Il popolo deve avere a sua costituzione il sentimento del suo diritto e della sua situazione; altrimenti, essa, forse, può esistere esteriormente, ma non ha alcun significato e alcun valore. Certamentepuòtrovarsi spesso nei singoli il bisogno e l’aspirazione verso una costituzione migliore;machetuttala massa sia penetrata da tale idea, è cosa interamente diversa, e seguesoltantopiùtardi. Il principio della moralità, dell’interiorità di Socrate si è prodotto necessariamente ai suoi giorni; ma occorse del tempo, perché sia divenuto autocoscienza generale»[204]. Lo Stato, quindi, possiede in un certo modo il diritto di frenare l’irruzione distruttivadelnuovonel vecchio, mentre il filosofo ha il dovere di perseguire, anche contro lo Stato, la ricercadinuoviprincìpi. È possibile mitigare questo attrito nell’interesse di tutta la comunità? Convogliare attentamente il nuovo delpensieroinstrutture statali più recettive? Come ai tempi di Socrate,«ancheainostri tempi, avviene, più o meno,cheilrispettoper ciò che esiste non c’è più»[205]; come allora avviene la fuga nelle remote regioni del pensiero e nella moralità, che è negazione del costume vigente e creazione di un tribunale interiore, incontrastoconleleggi dello Stato. Quando la moralità dall’«ulteriore sorge riflessione», quando si trasforma in un esame critico della realtà, «per motivi che possono cominciare da qualsiasi fine, interesse e riguardo individuale, da timore o da speranza o da presupposti storici», allora «la conoscenza adeguata dei medesimi appartiene al concetto pensante»[206], cade nella sfera di competenza della filosofia e non dello Stato e della religione. Se la filosofia fornisse dunquealloStatolasua consulenza, la «conoscenza adeguata» dei motivi di questa fuga dalla realtà, e lo Stato, dal canto suo, ricreasse il «rispetto per ciò che esiste» modificando la realtà e adeguandola a «tutta la massa» (anche se non dovesse poi accontentare a pieno il filosofo), ecco che l’accordo fra filosofia e Stato diverrebbe fruttuoso. Bisogna intendersi su questopunto:Hegelnon condanna la moralità, né il suo corrispettivo politico, la «virtù» giacobina, in quanto tali, né tanto meno condanna la violenza politica tesa a modificare la realtà in baseaprincipirazionali: «Il pensiero è divenuto violenza là dove esso aveva di positivo fronte il come violenza»[207]. Finché gli Statinonsonopermeati dal pensiero e poggiano sulla positività – servendosi della religione e dell’ingiustizia come puntello della loro stabilità[208] –, fino ad allora la violenza, come quella del Terrore, prodotto della virtù, è necessaria e giusta. E anchelamoralità,come quella degli stoici o di Kant, è giusta e giustificabile, finché vive a contatto di una legalità vuota, di un rispetto ossequioso per forme politiche e sociali ormai inaridite e sorrette solo dalla forza del positivo. Hegel quindi, pur ritenendo utile, per la Germania e peripaesiprotestantiin genere, il prevalere dell’eticità (che concilia legge statale e morale individuale) e pur ritenendo utile e necessariomodificarelo Stato senza rivoluzioni violente (con la copertura ideologica assai debole che «i protestanti hanno compiuto rivoluzione la loro con la Riforma»)[209], ha come presupposto che lo Stato si adegui al pensiero e al mutamento e che la filosofia indichi il razionale maturo per realizzarsi, pur mettendo nel conto l’esistenzadiunoscarto incolmabile fra ragione eRealität. Conquestomodellodi rapporto filosofia-Stato, Hegel si propone forse una sorta di «rivoluzionepassiva»,in un senso analogo a quella di Vincenzo Cuoco? Propone cioè una rivoluzione politica da applicarsi a paesi – come la Germania (e l’Italia) – che hanno finora subìto solamente la«rivoluzioneattiva»di altripopoli?Èdelparere del Cuoco che in Germaniae,ingenerale, nella sua epoca la rivoluzione non possa giacobinamente distaccarsi dalle masse? Che «il segreto delle rivoluzioni» sia «conoscereciòchetutto il popolo vuole, e farlo; egli allora vi seguirà: distinguere ciò che vuole il popolo da ciò che vorreste voi, ed arrestarvi tosto che il popolo più non vuole; egli allora vi abbandonerebbe»?[210] Questoècertamenteper Hegel uno dei compiti degli Stati e dei politici (per quanto egli ritenga che in fondo il popolo non sa bene quel che vuole,perchéèinpreda alla riflessione e all’opinione). Ma non è ilcompitodellafilosofia, chedeveprocedereoltre la coscienza comune come sua avanguardia esternaerivoluzionarla, spianandocosìlastrada alle trasformazioni che loStatosaràchiamatoa operare. Il compito che Hegel assegna alla filosofia è quello di plasmarerazionalmente la realtà effettuale attraverso la mediazione delle coscienzesingole,incui si sviluppa «pianticella filosofia». la della È vero che Hegel, come Cuoco, aveva ammirato Napoleone perchéeglierariuscitoa far andare avanti la rivoluzione retrocedere senza nella controrivoluzione, e a dar così prosperità e grandezza alla Francia[211]. È vero anche che Hegel, con la sua ottica peculiare, aveva visto la contraddizione del giacobinismo come scissione tra aspirazioni universalistiche (liberté, égalité,fraternité)erealtà che non si faceva impregnare da esse. Ed è vero infine che Hegel aveva ammirato Napoleone perché questi aveva realisticamente e brutalmente cancellato ilconflittointernoauna classefraisuoiidealiei suoi interessi, ossia in termini più hegeliani, fra le astrazioni intellettualistiche e la realtà storica. In un certo modo, anche Napoleone – nel paese stesso che aveva guidato le trasformazioni politiche d’Europa – aveva convertitolarivoluzione attiva in rivoluzione passiva, nel senso che aveva inteso filtrare le ‘astrazioni’ giacobine, facendo passare nella realtà, di volta in volta, solo quelle idee che gli sembravano mature per acquistare diritto di cittadinanzanelmondo. Attraverso il dominio napoleonico, i tedeschi hanno ricevuto una lezione di cosa sia la realtà effettuale: le fatiscenti istituzioni del Reich sono crollate, e al loro posto son sorti gli Stati nazionali (Prussia, Württemberg, Baden), che nell’organizzazione militare, nella burocrazia, nella legislazione hanno fatto tesoro di questo insegnamento impartito dal grande «professore di dottrina dello Stato» che tiene cattedra a Parigi. Ora, dopo che a Lipsia e a Waterloo le Befreiungsbestien alleate hanno vinto, dopo il tragico spettacolo del genio politico Napoleone che di si distrugge da sé, dando ai mediocri il diritto di rovesciarlo[212], si apre per i tedeschi una eccezionale occasione storica:potermodificare da soli, una volta assimilata la Wirklichkeit, le proprie istituzioni politiche, facendo leva sulla loro unicaricchezza,ilfuoco sacro del pensiero, che essi hanno avuto «in dono dalla natura» e conservato come gli Eumolpidi[213]olenuove Vestalid’Europa. Il problema centrale della filosofia politica hegeliana durante la Restaurazione diventa allora quello di conciliare il progresso inarrestabiledelgigante con la tenuta oggettiva delle istituzioni, favorendo il formarsi di strutture statali flessibili, che assorbano e recepiscano i contraccolpi della Wirklichkeit, senza essernearimorchio;che promuovano la rivoluzione degli ordinamenti, senza provocare la ricaduta, sempre attuale, nella controrivoluzione. In questa impostazione di fondo, Hegel si collega al gruppo dei riformisti prussiani, che agisce dopo il siluramento di von Stein nel 1816, e i deliberati di Karlsbad del1819,daposizionidi minoranza. Con il 1819, Metternich, convinto che i rivoluzionari dopo la sconfitta di Napoleone vogliano prendersi la rivincita alla successiva generazione[214], decide di spoliticizzare violentemente l’università, appoggiandosi in Prussia alle iniziative dei nemici di Hardenberg e Altenstein, ossia del contediWittgenstein,di von Kamptz, capo della polizia e autore di un famigerato Kodex der Gendarmerie, e degli ambienti di corte legati al principe ereditario, il futuro Federico Guglielmo IV, imbevuto di idee mistiche e ultrareazionarie. Il partito riformista, che aveva il suo punto di forza nella burocrazia, comunque, restava, un movimento attivo (Hardenberg fu cancellierefinoal1822), che cercava, tra non poche difficoltà, di far avanzare quella «rivoluzione dall’alto» avviatadavonStein[215]. Molti dei riformatori e degli alti funzionari dell’amministrazione prussiana erano stati discepoli di Kant e seguivano il suo principio per cui una società è «fattibile» (machbar)[216]. Così, ad esempio, Altenstein, considerava l’essenza delloStato«noncomeè, ma come può essere»[217], mentre in una circolare governativa del 23 ottobre1817,siindicava come compito del governo quello di «permettere a tutti lo sviluppo e l’applicazione – il più possibile liberi – dei propri mezzi, capacità e forze, sia dal punto di vista morale che fisico, e di rimuovere al più presto in modo legale tuttigliostacolichevisi frapponessero»[218]. Il nuovo Stato prussiano era sorto nel 1806 da una pesante sconfitta militareedaundisastro politico e finanziario[219]. Si cominciò così a costruire il nuovo Stato dallefondamenta,trala sorda o esplicita ostilità degli Junker, e ogni disposizione legislativa ebbe quindi carattere di piano[220]. Nel 1807 caddeilvecchiosistema del gabinetto consiliare attorno al re e si formò un governo di ministri responsabili, per cui il monarca diventò solo Souveranitätsrepräsentant[ puntino sulla i. Ma la direzione effettiva dello Stato passò a una «aristocrazia di esperti»[222], i funzionari, che ottennero anche la maggioranza all’interno dello Staatsrat, all’atto della sua costituzione nel 1817[223]. Per circa tre quarti essi provenivano dalla borghesia e dagli studi universitari[224]. La loro ideologia era in genere caratterizzata dall’avversione al privilegiofeudaleedalla convinzione di vivere in un’epoca di veloci mutamenti,allaqualeil governo non deve restare indietro, perché – come scrive Hippel a Hardenberg – «bisogna dovunque tenere l’andatura da galoppo, in quanto nessuno vuol più marciare a passo di parata»[225]. La pianificazionedall’altoe l’affidarsi al sapere di questi funzionari serve contemporaneamente a far crescere il nuovo Statoeapermetterealla Prussia di colmare il distacco con gli altri paesi europei avanzati. Ilpensiero,lascienza,la tecnica, la diffusione dell’istruzione universitaria vengono cosìaessereconsiderati come fattori di avanzamentopoliticoin un paese che è arrivato tardi fra le potenze europee,eachiesamini lo svolgimento successivo della scienza e della storia tedesca, nonché l’aureola di rispetto che circonda a tutt’oggi la parola Wissenschaft, non potrà sfuggire il peso determinante, nel bene enelmale,chehaavuto questa alleanza fra Stato e scienza, attraverso la mediazione di una forte burocrazia, destinata presto ad abbandonare le sue posizioni riformistiche. Questa élite formerà più tardi un elemento del blocco storico costituito dall’industria e dal ceto militare, e avente come suo perno lo Stato stesso. Nella «rivoluzione dall’alto», che corrisponde a una debolezza dal basso della società tedesca, è già implicita «degenerazione» una autoritaria, il cui riverbero ha illuminato retrospettivamente ancheHegel. Ma per il momento l’insistenza, da parte di questo ceto di politici riformistiedifunzionari illuminati, sul pensiero e lo «spirito» ha radici anche di carattere più immediatoeristretto:si tratta di trovare, per mezzo della cultura e dei legami spirituali, quell’unità nazionale che le divisioni territoriali e le barriere politicheedeconomiche insidiano fortemente. Dopo il Congresso di Vienna, la Prussia è un corpo diviso in un tronco centrale, separato a ovest dai nuovi possedimenti renani (in precedenza governati dalla Francia colCodeNapoléon)eaest dalle antiche marche orientali (abitate in prevalenza da slavi), così che «solo lo spirito può tenere insieme» questi disiecta membra[226]. Ma lo spirito è soprattutto cultura nazionale unitaria, in cui un «popolo»siriconosce,e, contemporaneamente, luogo in cui tale cultura si produce. Ancora una volta il discorso cade sull’università, tradizionale fucina di sentimentinazionaliper glistudentitedeschiche vi confluivano, fino al 1801, da ben 360 staterellie,dopoil1815, da 36. Accanto all’abbattimento delle barriere doganali, la Prussia vuole – per così dire – realizzare uno Zollverein spirituale e presentarsi, come afferma Gans (discepolo di Hegel e professore di MarxaBonn),nellevesti di «Stato del pensiero e dell’intelligenza», ruolo che le è in un certo modo imposto dal fatto che le sue fondamenta sono ancora deboli e «gettate all’improvviso»[227]. 10.Ilcontrollo delladialettica storica Si può, dunque, parlare di rivoluzione passiva, a proposito di Hegel e dei rapporti tra filosofiaeStato?Sesidà alla espressione «rivoluzionepassiva»un accento moderato, nel senso di una «rivoluzionerestaurazione», in cui ogni contraddizione è smorzata e «superata», ogni tensione cancellata, allora la risposta è no. Hegel, gramscianamente, non ha alcuna volontà di «mettere le brache al mondo», e la sua concezione, anche se in «forma speculativa, non consente tali addomesticamenti e costrizioni mutilatrici, pur non dando luogo con ciò a forme di irrazionalismo e di arbitrarietà»[228]. La filosofia ha anzi il carattere di rivoluzione attiva, in anticipo e in contrasto col senso comune di un’epoca. E anche lo Stato, per quanto il suo movimentosiapiùlento di quello del pensiero filosofico, non può essere semplicemente a rimorchio della coscienza comune, ma deve guidarla e intervenireattivamente, comportandosi da volontà razionale che risolve i conflitti che si generano dall’automatismo sociale. Lo Stato e l’uomo di Stato sono grandi nella misura in cui riescono a discernere ciò che è importante nella volontà popolare, la quale ha per Hegel un carattereancoraoscuro: «Nella pubblica opinione, tutto è vero e falso;matrovareinessa la verità è cosa del grand’uomo. Chi esprime ciò che vuole il suo tempo, chi lo dice ad esso, e lo attua, è il grand’uomo del tempo. Egli fa ciò che sono l’interiorità e l’essenza del momento, le realizza»[229]. In questo modo, nella traduzione e nell’attuazione dei bisogni collettivi, lo Stato si innalza al di sopra di essi e li modifica, e non si serve dell’eventuale arretratezza del costume e della situazione storica come di un alibi per l’immobilismo. D’altro lato,poichéla«pubblica opinione è la maniera inorganica,concuisidà a conoscere ciò che un popolovuoleeritiene»e poiché «ciò che deve valere, non vale più mediante la forza, e meno per consuetudine e costume, ma certamente per intelligenza e per ragioni»[230], ecco che la filosofia, decifrando organicamente il senso delle aspirazioni popolari,favoriscesiala loro migliore estrinsecazione, sia l’intervento dello Stato. In tal senso, la filosofia procede come rivoluzione attiva nei confronti della coscienza comune e dell’opinione pubblica. Maseinvecesitrattadi distruggere gli ideali astratti, le utopie delle anime belle o le «astrazioni» che hanno rispetto alla Wirklichkeit un carattere contraddizione di insolubile, la filosofia contribuisceaunapresa di coscienza di quelli che sono i limiti dell’azione politica e svolge una funzione fiancheggiatrice nel consolidarsi di una forma di passiva. rivoluzione In questo apparente equilibrio di rivoluzione attiva e di rivoluzione passiva si trova uno dei più intricati nodi non solo della filosofia politica, ma anche della dialettica e dell’intero impianto teorico hegeliano. Tuttavia, di fronte all’alternativa fra un modello di movimento storico e dialettico basato sul mero assorbimento trasformistico delle spinte dal basso, sull’Aufhebung come addomesticamento delle contraddizioni, e un altro modello di movimento storico e dialettico, basato sulla soluzione reale delle contraddizioni, dapprimanelpensieroe poi nella realtà, con lo Stato come cinghia di trasmissione del mutamento, non c’è dubbio che Hegel sia decisamente più vicino a questa seconda posizione, e che esista comunque una dissimmetria fra l’elemento attivo e quello passivo, con netta prevalenza dell’attivo.Delresto,già ora si può cominciare a vedere come la dialettica non sia facile conciliazione, pura compromissione con l’esistente (anche se queste compromissioni non mancano e sono importanti come linee di frattura del sistema), ma implichi anche, secondo una tradizione che risale alla dialettica antica, la presenza del novum, l’inventio, qualcosa che non è contenuto, se non in modo latente e contraddittorio, nelle opposizioni di partenza, e che per sorgere ha bisogno del movimento storico di un’epoca, di un impulso reale esterno al sistema filosofico, del mondo che entra in essa come pensiero, discorso. Non si comprende il senso delladialetticasenonsi tiene conto, per la sua genesi, della decisiva presenza nella filosofia hegeliana del «genuino» scetticismo antico (soprattutto di Pirrone e Sesto Empirico, ma è ricordatocomepuntodi riferimento esemplare anche il Parmenide di Platone). Esso funge come una specie di acido atto a dissolvere la ragione dogmatica, a «renderefluidiiconcetti solidificati»[231] e in ciò si distingue dallo scetticismomoderno,in particolare da quello dello Schulze dell’Enesidemo, che si limita alla sospensione del giudizio e sfocia nell’indifferentismo[232]. La scepsi deve essere invece inclusa nella filosofia come suo lato negativo, da prendere sul serio per poter poi esseresuperata,un’idea che rimarrà costante lungo tutta l’evoluzione del pensiero hegeliano, che insisterà sempre sulla distruzione delle certezze, come appare chiaramente, fra l’altro, nella prolusione berlinese alle lezioni sull’Enciclopedia: «La decisione di filosofare si getta puramente nel pensiero […] si getta come in un oceano privo di sponde; tutti i vari colori, tutti i punti d’appoggio,tuttelealtre luci amichevoli sono spente»[233]. La catena delle cosiddette «triadi» del sistema ha prodotto l’impressione, che va spiegata, non solo di una costante programmatica soluzione delle contraddizioni, di un salvataggio finale annunciato e scontato, di un happy end garantito, ma anche della «chiusura della storia», ossia che, se il sistema ha compreso, inglobato e conciliato tutta la realtà, non vi saranno più né futuro, né novità di rilievo[234]. Questa presunta chiusura della storia, responsabile dei maggiori fraintendimenti del pensiero hegeliano, non ha, tuttavia, alcun riscontro reale e deriva daunequivocoodauna sorta di illusione ottica. Per Hegel infatti – diversamentedaquanto aveva affermato il 18 ottobre del 1806, allorché si aspettava «unanuovasortitadello spirito»,icuilineamenti la filosofia deve interpretare[235] – non è la storia che si chiude, ma la filosofia, che non può più cogliere l’immagine della nuova epoca storica in gestazione. Hegel è consapevole che l’oltrepassamento, nella sua epoca, di una determinata soglia di mutamenti provocherà la disgregazione del suo sistema, che contiene già nel suo aggancio al tempo, un principio interno di autodistruzione. Da questa prospettiva, la questione della «chiusura della storia» non è altro che la delimitazione,compiuta da Hegel stesso, dell’area teorica di validità della sua stessa filosofia. Non si tratta, quindi, di negare il futuro, come sostiene anche Bloch, ma semplicemente di affermare che nuova «epoca» ogni che sorge – definita dall’intervallodirelativa continuità fra due rivoluzioni –, sorge con unsaltoqualitativoicui risultati non sono prevedibili in anticipo. Essa necessita perciò di una nuova filosofia, senza che si perdano (come mostrano la Scienza della logica e le Lezioni sulla storia della filosofia) le principali conquisteteoriche. Le plurimillenarie vicende della civiltà umana si concludono inveceperKojèveconla «fine della storia», una teoria poi diffusa e banalizzata da Fukuyama[236]. La «fine della storia» non è un’utopia, ma un processo in corso, inaugurato da Napoleone. Si è raggiunto, Occidente infatti, in lo «Stato universale», basato sull’uguaglianza di tutti i cittadini, uno Stato «omogeneo», perché racchiude una società senza classi. La lotta di classe è terminata e il capitalismo di matrice fordista, ridistribuisce che la ricchezza, ha vinto la sua battaglia sul comunismo sovietico (non donante, ma «prendente», in quanto incamera monopolisticamente la ricchezza collettiva e ridistribuisce selettivamente, a suo piacimento, lavoro e beni di consumo). Ford è, per Kojève, «il solo marxista ‘ortodosso’ del XXsecolo»[237]. L’attuale consumismononèaltro che materialismo realizzato, giacché il capitalismo assicura vittorioso la soddisfazione dei bisogni. Ma questa vittoriaimplicaanchela ri-animalizzazione dell’uomo, la caduta dei confini tra uomo e animale, la fine della sua evoluzione dialettica opposizioni per e contraddizioni, lo svuotamento dello slancioversolalibertàe della lotta contro la natura. Si esauriscono i conflitti dell’umanità, siasulpianosocialeche su quello naturale, vale adireproprioitrattiche la caratterizzavano. Scompare così, tendenzialmente, «l’individuo libero e storico» protagonista non solo delle «guerre e delle rivoluzioni sanguinose», ma anche delle lotte per il lavoro. Le masse si sono ormai imborghesite e convertite al consumismo e anche la guerra fredda, prevede Kojève, sarà vinta con mezzi economici e non militari (non si dimentichicheKojèveè stato a lungo un funzionario di alto livello dello Stato francese,coinvoltonelle discussioni sul piano Marshall e chiamato a intervenire nell’ambito dell’OCSE e della Comunità Europea). La finedellastoriacoincide con la fine dell’emancipazionee,in parallelo, con l’americanizzazione del mondo. Grazie al dominio del capitalismo, la distanza tra paesi ricchi e paesi poveri sarà destinata a colmarsi. Una volta soddisfatti i desideri, spariscono sia l’opposizione soggettooggetto,sialenegatività storiche e le lotte per il lavoro. Kojève, sospettato perfino di stalinismo, non è, tuttavia, un apologeta del capitalismo come lo saràFukuyama. Le cose, malgrado però, alcune folgoranti anticipazioni, si sono svolte in modo diverso da come Kojève aveva previsto. Le sue tesi si sono in parte avverate, ma nel senso che la globalizzazione tende sempre di più a diventare ‘sistema’ in un mondo unificato ma conflittuale, dove civiltà che a lungo si sono ignorate o che hanno mantenuto rapporti sporadici con l’Occidente nel suo complesso oggi si incontrano e si scontrano (per ora con mezzipacifici).Inparte, invece, queste tesi sono semplicemente false, almeno su due aspetti. In primo luogo, lo Stato universalenonsolonon è nato, ma gli Stati hanno perduto molta della loro sovranità rispetto all’economia finanziaria, che non riescono più a tenere sotto controllo perché essa sembra avere acquistato una vita autonoma e anonima. Sembra che lo schema della hegeliana Filosofia del diritto si sia capovolto: non è più lo Stato a dominare quella partedellasocietàcivile che è l’economia (da Hegel definita «sistema dei bisogni»), ma è piuttosto l’economia a dominareloStato. In secondo luogo, dal puntodivistafilosofico, le tesi di Kojève non tengono conto – nell’interpretazione di Hegel su cui inizialmentesibasano– del fatto che la talpa della storia continua inconsciamente a scavaresottoterraconi suoi ciechi occhi. Hegel stabilisce, come ormai sappiamo, un contrasto e una simultanea complementarità tra una filosofia giunta alla fine di un’epoca, che vede nel buio con i grandiocchidicivetta,e la talpa della storia che frattanto continua inconsciamente avanzare: ad l’una contempla,l’altrafa.Chi legge l’Introduzione alla Storia della filosofia, con tutti gli innegabili limiti checontiene,sirenderà inoltre conto che per Hegel gli iniziatori, i filosofi di rottura, sono Parmenide nel mondo antico, Cartesio all’inizio dell’età protomoderna e Fichte nel suo tempo. Attraverso il distacco dal passato e l’oblio delle posizioni precedenti, il loro è il canto del gallo del rinnovamento, di un inizio, dell’affermazione diunnuovo«principio». Secondo la prefazione allaprimaedizionedella Scienza della logica, «nel suo primo apparire, la nuova creazione suole abbandonarsi a una ostilità fanatica contro la larga sistematizzazione del principio precedente. Essa suole anche in parte aver paura di perdersi nell’estensione del particolare, in parte, poi, rifugge dal faticoso lavoro necessario al perfezionamento della costruzione scientifica, onde, in mancanza di quello, si attacca per lo più dapprima a un vuoto formalismo». A un certo punto, accade, tuttavia, che «il periodo di fermentazione» del nuovo principio si esaurisca e che diventi urgente il bisogno di «una elaborazione e di una sapiente trasformazione del materiale» ereditato: «V’è un periodo nella formazione di un’epoca storica, come nell’educazione di un individuo,incuisitratta soprattutto conquista della e dell’affermazione del principio nella sua intensità non sviluppata. Un compito superioreèperòdifarsì che quel principio diventi scienza»[238]. Quando nelle filosofie dall’adolescenza si passa alla maturità, il nuovo principio si struttura e si articola in sistema: non ha più paura di perdersi nei particolarienonrifugge dalla «fatica del concetto». Nessun oblio del passato, ma integrazione e delimitazione della sua sfera di validità all’interno del sistema che raccoglie il frutto di tutti gli sforzi del pensiero filosofico. Al pari di Aristotele, Hegel siconsideracoluicheha dato una sistemazione organica principio al nuovo dell’età moderna, colui che sta alla conclusione di un’epoca, per altro da poco iniziata: storicamente con la Rivoluzione francese e, filosoficamente, con Fichte (ma per lui in questo breve arco di tempo si sono svolti, correndo con gli «stivali delle sette leghe», «gli anni più ricchi che la storia universale abbia avuto, e per noi i più istruttivi,perchéadessi appartengono il nostro mondo, e le nostre idee»)[239]. Ne consegue, da un lato, che con la sua filosofia Hegel non intende affatto inaugurare un’altra epoca, ma ritiene, appunto, che essa, grazie allo scavare della talpa della storia, avrà un nuovo inizio non prefigurabile, in quanto egli rifiuta esplicitamente il ruolo di «profeta»; dall’altro, che il sistema non è la forma necessaria che la filosofia deve assumere, ma soltanto quella che si dispiega al culmine della maturità di un «principio»checonosce, nel far della sera, il suo prossimo declino[240]. In questo senso, per parafrasare un’altrimenti bizzarra considerazione di Rosenkranz, Hegel è davvero «una natura autunnale, un frutto maturoesuccoso»[241]. La presunta chiusura della storia[242] produce anche un ulteriore capovolgimento delle posizionihegeliane:seil futuro è già contenuto nelpresenteevisibileal filosofo nelle sue linee essenziali, allora il filosofo è, nel senso di Popper,unprofeta,enel caso di Hegel (e di Marx), un «falso profeta»[243]. Ma in realtà Hegel non è affatto un profeta, né vero né falso, e ci tiene ancheadirlo:«Ilfilosofo non s’intende di profezie. Dal lato della storia noi abbiamo piuttosto a che fare con ciòcheèstatoeconciò che è, mentre nella filosofia non ci occupiamonédiciòche è stato o che soltanto sarà, ma di ciò che è ed è eternamente: – della ragione; e con ciò abbiamo abbastanza da fare»[244]. Se questo è vero, non viene invalidato quanto abbiamo affermato in precedenza, ossia che il filosofo vede il nuovo e lo indica allo Stato, che la filosofia non è senile rassegnazione? No, perché il nuovo è già visibile nel presente, la rosa è inchiodata nella croce, e la filosofia discerne proprio il nuovo effettuale sia dal vecchio che dall’utopico e dal profetico. Del resto, non c’è in Hegel tutta quella carica di «storicismo» – di dominio cioè nella storiadileggiprevedibili – che Popper gli attribuisce. Per Hegel la storia non ha «leggi»: «Maciòchel’esperienza e la storia insegnano è proprio che i popoli e i governi non hanno mai appreso nulla dalla storia, né hanno mai agito secondo dottrine che avessero potuto ricavare da essa. Ciascun popolo si trova in una situazione così individuale che si deve decidere, e si deciderà, da sé; ed è proprio solo il grande carattere quello che in tale scelta sacoglierenelsegno.Le situazioni storiche dei popoli sono così individuali, che rapporti precedenti non si adattano mai completamente a quelli seguenti, a causa della totale diversità delle circostanze. Nell’incalzare degli eventi mondiali a nulla vale un principio generale, a nulla il ricordo di casi analoghi; chéqualcosadisimilea un pallido ricordo non ha alcun potere nel tempestoso presente, non ha alcuna forza contro la vivacità e la libertà del presente[245]. Non è poi esatto che in Hegel tutte le contraddizionifiniscano in gloria, finiscano per ricomporsi e che se ne possa quindi simulare con il pensiero la soluzione: vi sono nella storia perdite secche, negazioni che non comportano alcun beneficio, alcun progresso, come le distruzioni di un Tamerlano o di un GengisKhanolaGuerra dei Trent’anni che «terminò con la pace di Vestfalia senza che fosse stato acquisito alcunchéperilpensiero, senza un’idea, con la stanchezza di tutti, con la devastazione totale, in cui erano esaurite tutteleforze,ecolpuro lasciar fare e sussistere entrambi i partiti sulla base della forza esteriore»[246]. La storia non ha soluzioni prefabbricate, sebbene abbia delle tendenze che sono il risultato dell’azione di tutti. Certo, questo movimento globale dà luogoaforzecieche,che sfuggono al controllo dei singoli, ma Hegel ritiene proprio che queste forze debbano essere chiarite per essere dominate, debbano perdere il loro aspetto cieco. Nel riconoscerne l’esistenza e il potere, nel negare che esse dipendano dalla coscienza degli uomini,Hegelèlontano dall’essere «idealista» nel significato corrente del termine. Egli ammette anzi che c’è una vasta estensione dell’esistenza che sfugge al controllo della coscienzaedelsaperee che tutte le forme di organizzazione sociale finora sperimentate dagliuomininonhanno ancoraottenutoilpieno controllo di quelle forze cieche.Questoperònon implica affatto che egli ne tessa gli elogi; al contrario, ogni suo sforzo è teso, attraverso il sapere, a limitarne il campo di esplicazione. Non si tratta perciò di «assecondare» queste forze, e basta, ma si tratta di comprenderle, di guidarle, di modificarle in accordo con le situazioni concrete,facendosìche queste situazioni non divengano, a loro volta, limiti invalicabili, ma siano modificate anch’esse. In questa operazione la filosofia lavora insieme alla realtà effettuale, non pretende di cancellarne per incanto tutta la cecità in un attimo, anche perché l’uomo è un essere incompiuto e mutevole, che si sottrae all’idea della presunta fissità della «natura umana» e non è contenutounavoltaper sempreall’internodiun immodificabile concetto: «Il concetto universale della natura umanacontieneinfinite modificazioni […] la natura vivente è eternamentealtrocheil suo concetto, per cui quello che per il concetto era semplice modificazione, pura accidentalità, qualcosa di superfluo, diviene necessario, vivente, forse ciò che unicamenteènaturalee bello»[247]. Sebbene la filosofia stia formalmentealdisopra della sua epoca, perché comprenderla significa invecchiarla, distruggerla ulteriormente per andare oltre, è l’epoca nel suo complesso che deve,tuttavia,cambiare, elasoluzionehegeliana nonècosìassurdaquale vienemostrata,comese fosse esclusivamente la coscienza a trainare il peso del mondo. Hegel non è il barone di Münchhausen che voleva sollevarsi da terra tirandosi per il codino, e neppure l’obbediente burocrate prussianocheaspettava l’imbeccata da Federico Guglielmo III, «il suo datore di lavoro», secondol’espressionedi Popper. 11.Lacecitàdei conflittieilimiti diun’epoca Cosa produce allora l’illusione,seillusioneè, che Hegel abbia nello stesso tempo chiuso la storia e profetizzato il futuro? Cosa c’è di verità in questa illusione, intuìta al di là degli errori d’interpretazioneedella banalità dei luoghi comuni? Hegel si era sicuramente accorto delle crepe presenti nel suo tempo, rilevabili anche dall’esame in negativo, seguendo il metodo che egli stesso aveva utilizzato per Platone: l’esistenza di una «plebe» ai margini dello Stato, animata da sentimenti di odio e di ribellione nei confronti dell’ordine costituito[248]; la disgregazione atomistica della società deltempo,chenonsolo rende difficile trovare forme adeguate di rappresentanza politica[249], ma dà agli organismi statali una sensibile fragilità, ponendoilproblemadel crollo delle istituzioni come pericolo costante da combattere e generando una cesura fra governanti e governati: «i condottieri (Führer) si son separati dal popolo; essi non si capiscono a vicenda»[250]; l’azione di una rivoluzione sotterranea, dai tratti ancora oscuri, che è in marcia e non si lascia facilmenteintendere,ed è anche per il suo avanzarecheilpensiero è costretto a svilupparsi e a estendere le sue funzioni; l’acuirsi delle difficoltà e contraddizioni delle economiche, che travalicano i confini degli Stati e spingono i governi a interessarsi sempre più direttamente della società civile e dei suoi sbocchi, favorendo l’espansione coloniale e ponendo in posizioni di forza quei paesi, come gli Stati Uniti d’America e la Russia, che per la loro vastità potranno assumere nella storia futuraunruolodiprimo piano[251]. Tutti questi punti, in negativo, ma soprattutto in positivo, Hegel li ha esposti con precisione oppure, brechtianamente, con ironia dialettica: «Egli si rendeva conto che proprio accanto all’ordinepiùperfettosi trova il più grande disordine, anzi, giunse finoadire:proprionello stesso posto! Per Stato egli intendeva qualcosa che sorge là dove si manifestano i più forti contrastifraleclassi,di modo che l’armonia delloStatovive,percosì dire, nella disarmonia delle classi»[252]. Hegel stesso, d’altronde, faceva dell’ironia sulla situazione oggettiva del suo tempo, difficile e contraddittoria. Scrivendo a un suo allievoestone,Borisvon Yxküll,ancheluimalato di «ipocondria», «Hegel si metteva a scherzare. Egli riteneva che l’Europa fosse diventata una gabbia in cui solo due espècen di uomini sembrano muoversi liberamente: l’una, che appartiene anima e corpo a coloro che chiudono la gabbia, l’altra,checercasottola grande volta delle sbarre un angolino in cui non debba prendere posizione pro o contro le sbarre stesse. Se la coscienza entra in dissonanza con i rapporti esterni, essa diventa malata o infelice, se non riesce a conciliarsi con la veramente situazione effettiva delle cose, allora la sua più vantaggiosa decisione sarà quella di vivere da buon epicureo (o come meglio lo si voglia chiamare)edirimanere per sé una persona privata, posizione che è quelladiunospettatore, ma che lascia nello stesso tempo anche la possibilità di un’ampia sfera di interventi»[253]. Che il più grande disordine coesistesse conilpiùgrandeordine, che il «leggero mantello», di weberiana memoria, fosse diventatouna«gabbiadi ferro»[254], Hegel più o meno chiaramente, più omenoironicamente,lo sapeva. Ma nutriva contemporaneamentela fiducia che lo «spirito» avrebbe nel tempo lungo trovato soluzioni adeguate a queste contraddizioni, che là dove maggiore è il pericolo, maggiore è la possibilità di salvezza. Egli condivideva la concezione di molti contemporanei, che erano riusciti a guadare tanti impetuosi sconvolgimentistorici,e cioè che la storia non si arresta e le soluzioni maturano continuamente, solo che bisogna scoprirle e applicarle. O, come diceva Ferguson, un autore letto da Hegel a Berna: quando «L’umanità, degenera e tende alla sua rovina, comequandomigliorae ottiene vantaggi effettivi, frequentemente avanza con passi lenti e quasi impercettibili […] ma quando devastazione e rovina minacciano da ogni lato, gli uomini sono di nuovo costretti ad unirsi […] Quando sembra giunta al suo estremo stato di corruzione, è allora che la natura umana ha effettivamente cominciato a correggersi. Lo scenario della vita umana è frequentemente cambiato in questo modo»[255]. L’effetto di chiusura della storia e nello stessotempodiprofezia del futuro è dato da questacompattafiducia hegeliana nell’opera dello «spirito», nella capacità che esso possiede di sanare le sue proprie ferite e di sorgere più forte di prima dalle contraddizionisuperate. È dato dal fatto che Hegel non progetta (né forse avrebbe potuto farlo) un mondo nuovo nella sua articolazione, ma fa slittare in avanti le contraddizioni irrisolte del presente, affidando al tempo e allospiritolacapacitàdi risolverle. Il futuro prevedibile appare quindi entro lo spazio omogeneo dominato dallo spirito. In questa prospettiva hegeliana c’è un duplice riconoscimento: da un lato che non esiste ancora un piano cosciente, concepito dallesocietàumane,per progettare e regolare la realtà,laqualecontinua così a muoversi alle spalle degli uomini; dall’altro che le strutture storicopolitiche sono abbastanza forti per superare, con lo strumento del pensiero, le crisi ricorrenti nella realtà. E questa fiducia nelle forze della realtà di autogenerarsi e di autorigenerarsi non deriva dall’accettazione del famigerato «Stato prussiano», ma di qualcosa di più profondo,diunsostrato roccioso di scelte e di pregiudizi storici: dall’accettazione dei meccanismi economici e ideologici di una formazione sociale che accentual’antagonismo, il conflitto, ma crede nella sua ricomposizione.Sarebbe ingenuo spiegare la filosofia hegeliana con questa opzione, ma sarebbe altrettanto ingenuo negarne l’incidenza. Hegel accetta e difende sia la proprietà privata, sia la divisione del lavoro, sia il crescente divario fra grande ricchezza e grande povertà, sia la formazione della plebe, e non li ritiene realisticamente modificabili, pur giudicandoli fenomeni negativi e dolorosi[256]. I ciechi conflitti generati dal mantenimento di questi elementi fondamentali devono per Hegel essere mitigati e, possibilmente, eliminati, ma senza toccare il motore di tutto il processo, il «valoreinfinito»eattivo della soggettività, la scoperta del «mondo moderno»[257], da cui discendono come corollari la proprietà privata, gli ordinamenti statali, la «libertà» e la storia d’Europa. Se si eliminasse tale soggettività, tale energeia,cesserebbeogni dialetticacomesviluppo e si ritornerebbe all’immobilismo dei popoli extraeuropei. La discriminante storica fra Hegel e Marx consiste, su questo punto, nel fatto che Hegel non vuole uccidere l’«animale selvaggio» del meccanismo economico vigente, ma solo sottoporlo ad «un continuo e rigido dominio e addomesticamento»[258] dapartedello«spirito». In questo senso, il mondo descritto da Hegel è veramente un «regno animale dello spirito»[259], in cui permane la dualità funzionale e ineliminabile di talpa e civetta, di fiducia in meccanismi terapeutici ciechi e nel miglioramento della visione notturna. E quanto più è ignota la direzione sotterranea della talpa, tanto più la filosofia è costretta a inoltrarsi nella «notte». Così, quel che all’inizio ci si era presentato come una semplice rete metaforica,una sorta di zoologia filosofica, che rinviava a una tematica piùarcaicadimetafisica e metaforica della luce[260],conduceinvece alla scoperta di nessi teorici più vasti e permetteditracciareun primo quadro dei rapporti fra filosofia hegeliana ed epoca. Un quadro che ha cominciato con l’utilizzare le immagini – con compiti di disturboedierosionedi interpretazioni diffuse e di luoghi comuni –, per avanzare verso la ricostruzione della «rete adamantina» dei concetti. Procedendo ulteriormente su questa strada, senza però abbandonare l’interesse per i modelli analogici, si dovrà ora rispondere con maggiore organicità alle domande di partenza: Cosa significa pensare? Cosa significa comprendere una determinata epoca storicainpensieri?Cosa significa comprendere l’epoca di Hegel? Cosa significa,infine,pernoi, comprendere nel nostro tempo e per il nostro tempo l’epoca di Hegel coltainpensieri? [1] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, a cura di G. Lasson, Leipzig, 1919-1920, pp. 75, 77 (trad. it. di G. Calogero e C. Fatta, Lezioni sulla filosofia della storia, Firenze, 1966-1967, rist., vol. I, pp. 88, 90). Per un elenco dei vari corsi berlinesi già pubblicati sulla filosofia della storia e degli altri manoscritti ancora inediti delle trascrizioni (Nachschriften), cfr. S. Rodeschini, Costituzione e popolo. Lo Stato moderno nella filosofia della storia di Hegel (1818-1831), Macerata, 2005, pp. 281-294. Dei corsi sulla filosofia della storia uno è stato tradotto in italiano a curadiS.Dellavalle:Filosofia dellastoriauniversale.Secondo corso tenuto nel semestre invernale 1822-23, Torino, 2001. Tenendo conto che, per lo più, si tratta di appunti di studenti e che quindinonsonostatistesie riveduti da Hegel, la loro conoscenza(comeanchenel caso degli altri corsi sulla filosofia del diritto, sulla storia della filosofia, sulla filosofia della religione e sull’estetica) amplia e specifica, con cautela, la nostra attuale conoscenza delpensierohegeliano. [2] Sul linguaggio hegeliano, denso di immagini («l’elemento barocco delle sue espressioni mi ha spesso colpito», racconta Heine nei Geständnisse,inWerke,acura di O. Wenzel, Leipzig, 1909 ss., vol. X, p. 171), cfr. K. Rosenkranz, Hegels Leben, Berlin, 1844, trad. it. di R. Bodei, Vita di Hegel, Milano, 2012 (con testo tedesco a fronte), pp. 813-814 [alla fondamentale biografia di Rosenkranzsisonoaggiunte più recentemente quelle di H. Althaus, Hegel und die heroischen Jahren der Philosophie, München-Wien, 1992(trad.it.VitadiHegel.Gli anni eroici della filosofia, Roma-Bari, 1993), di J. D’Hondt, Hegel. Biographie, Paris, 1998, e di T. Pinkard, Hegel. A Biography, Cambridge, 2000]; E. Bloch, Subjekt-Objekt. Erläuterungen zu Hegel, Frankfurt a.M., 19622, pp. 18-30, trad. it. di R. Bodei, Soggetto-Oggetto. Commento a Hegel, Bologna, 1975, pp. 14-28; A. Koyré, Notes sur la langue et la terminologie hégélienne (1931), ora nelle Études d’histoire de la pensée philosophique, Paris, 1971, pp. 191-224. Sul significatogeneraledellereti dimetafore,cfr.Ch.Mauron, Des métaphores obsedantes au mythe personnel, Paris, 1963, trad. it. di M. Picchi, Dalle metafore ossessive al mito personale,Milano,1966,pp.9 ss. Sulle implicazioni teoriche delle metafore e delle analogie in filosofia, cfr. H. Blumenberg, Paradigmen zu einer Metaphorologie, Bonn, 1960, trad. it. di M.V. Serra Hansberg, Paradigmi per una metaforologia,Bologna,1969e E. Melandri, La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull’analogia, Bologna, 1968. Sulla concezione hegeliana delle metafore e sulla distinzione fra metafore morte, già passate nel linguaggio comune, e metafore vive, cfr. Hegel, VorlesungenüberdieAesthetik, a cura di H.G. Hotho, in Hegel, Werke, Vollständige Ausgabe durch einen Verein von Freunden des Verewigten, Berlin, 1832 ss., Berlin,1835,vol.X1,pp.517524, trad. it., condotta sulla seconda edizione tedesca, con alcune varianti di N. MerkereN.Vaccaro,Estetica, Torino,1967,pp.454-460.[La prima e la seconda edizione di Hotho divergono, specie nel primo volume, nell’impaginazione e nei contenuti, per cui i riferimenti qui forniti alla pagina tedesca possono alcune volte rinviare all’una o all’altra edizione.] È stata pubblicata anche un’altra edizione italiana con le varianti di Hotho tratte da diversicorsiberlinesi:G.W.F. Hegel, Estetica secondo l’edizione di H.G. Hotho con le varianti delle lezioni del 1820/1821,1823,1826,acura diF.Valagussa,Milano,2012 (con testo tedesco a fronte). Vale la pena di osservare che, in base alle ultime edizioni e ricognizioni degli appunti residui di Hegel e deiquadernideisuoiuditori, Hotho ha ampiamente rimaneggiato ancora più quadernideicorsidiestetica compilatidaglistudenti(uno aHeidelberg,1818,equattro a Berlino: 1820-1821, 1823, 1826, 1828-1829, quest’ultimoancorainedito), tanto da inserire dei falsi che hanno avuto poi una grande diffusione, fino a diventare punti di riferimento canonici, quali la definizione della bellezza quale «apparenza sensibile dell’idea» (vol. X1, p. 15), espressione che Hegel non ha mai usato e che ha prestato il fianco all’accusa di «platonismo» estetico, quasi che Hegel volesse sminuire l’elemento sensibiledell’arteafavoredi quello concettuale della filosofia. Si deve allo stesso modo dire, per evitare fraintendimenti, che la formulazione esatta della discussa teoria della morte dell’arteèquellachesitrova nel quaderno del 1826: «carattere passato dell’arte riguardo alla sua più alta possibilità». Ciò significa, però, non solo che Hegel concepisce l’arte come un’opera, un lavoro teso a trasmettere a una determinata comunità in forma intuitiva, in linguaggi verbali o figurati, il senso e del soggetto e del mondo (cfr. A. Gethmann-Siefert, Nuove fonti e nuove interpretazioni dell’estetica di Hegel, in L’estetica di Hegel, a curadiM.FarinaeA.L.Siani, Bologna,2014,pp.13-31),ma anche che, mentre nel passato essa svolgeva questa funzione al massimo delle sue possibilità, nell’età moderna, dominata dalla burocrazia, dall’intelletto (Verstand) e dalla prosa del mondo, ciò non è più possibileallostessolivellodi intensità. [3] Cfr. K. Kerényi, Die Jungfrau und Mutter der griechischen Religion. Eine Studie über Pallas Athene, Zürich,1952,passim. [4] Cfr. «Minerva. Ein Journal historischpolitischen Inhalts», a cura di J.W. von Archenholz, annate 1-20, BerlinHamburg, 1792-1811, annate 21-42 continuato da F.A. Braun,Jena,1812-1832.Sulla metafora hegeliana della civetta, cfr. J. D’Hondt, Hegel secret, Paris, 1968, p. 24. In un articolo sui «Berliner Jahrbücher» della primavera del 1831, Michelet, uno dei discepoli più vicini a Hegel, aggiungerà, per fugare l’effetto di chiusura dell’immagine della civetta, che essa si ritira poi di nuovo al canto del gallo del mattino, cfr. H. Stuke, Philosophie der Tat, Stuttgart, 1963,p.64.Sivedanoanche, con differenti prospettive, i lavori di D. Shapiro, TheOwl of Minerva and the Colors of theNight,in«Philosophyand Literature», I (1977), pp. 276294; K. Stierle, Der Maulwurf im Bildfeld. Versuch zu einer Metapherngeschichte, in «Archiv für Begriffsgeschichte», XXVI (1982), Heft 1, pp. 101-143; O.D.Brauer,DialektikderZeit. Untersuchungen zu Hegels MetaphysikderWeltgeschichte, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1982,p.186nota.Attraverso analogie non verificabili, quest’ultimo la interpreta come un’allusione polemica a un passo di Apuleio (Flora, 13,Iss.),dovesiaffermache lafilosofianonè,comecerti uccelli, e la civetta in particolare, legata a un tempo determinato, ad esempio al crepuscolo, mentre Hegel sostiene, appunto, che è legata all’imbrunire. I probabili riferimenti al passo hegeliano mi sembrano piuttosto essere due: il primo, più incerto, alla Bibbia, il secondo, più diretto, alla Metafisica di Aristotele. Nel Salmo 102,7, che contiene un lamento di desolazione, l’autore dice di sé: «Sono diventato come la civetta della muraglia», che fa sentire la sua voce tra le rovine, hegelianamente quelle di un mondo che scompare. Aristotele sostiene invece che «l’intelligenza della nostra animastadifronteallecose che per natura sono più evidenticomegliocchidelle civette di fronte allo splendoredelgiorno»(Arist., Met. II, 1,993 b 9-11, trad. it. di C.A. Viano, Aristotele, La metafisica, Torino, 1974, p. 229). È, tuttavia, probabile, anche se Hegel poteva non saperlo, che il termine nykterides utilizzato da Aristotele in questo passo (ossia animali notturni, come in latino noctua per designare tanto la civetta quanto il pipistrello) indichi in lui proprio i pipistrelli, anche perché nelle opere biologiche,separandoquesti animali dalle civette, dice anche che le loro ali sono «fatte di pelle» (cfr. Historia animalium, I, 1,488 a 26; IV, 13,697b1-13).GiàinPlatone il pipistrello è un essere doppio, che non è né uccello, né topo ed è perciò paragonato a un eunuco (Resp., V, 478 C). In quanto animale notturno, che non può sopportare la luce del giorno è spesso paragonato alla civetta (si veda un autorecomeSestoEmpirico, Phys., I, 247, che Hegel conosceva bene. Sulla natura della conoscenza in rapporto a civette e, soprattutto, pipistrelli nella filosofiaantica,cfr.E.Ruaro, Ilpipistrelloeilnousdell’anima in Aristotele, in «Eidos. Rassegna semestrale di filosofia», I, 2003, pp. 75-98). Aristotele sostiene, inoltre, che la talpa riesce pur sempre a vedere qualcosa, cfr. Hist. anim., I, 9,421 b; IV, 8.552b36;Dean.,III,425a10 ss. Sebbene, anche secondo Hegel, per la maggioranza degli uomini del suo tempo le cose più evidenti non vengano colte, la filosofia comincia a vedere meglio proprio quando la luce del solesiattenua,quando,cioè, tramontando il sole naturale, si innalza – alla manieradiPlatone,Convivio, 219 A, secondo cui «l’occhio spirituale comincia a vedere con piena acutezza quando la forza delle pupille comincia a volgere in giù» – ilsoledellospirito. [5] Per E. Bloch, Subjekt- Objekt. Erläuterungen zu Hegel, cit., pp. 473-488 (trad. it. cit., pp. 495-512), Hegel sarebbe infatti vittima della «malìa dell’anamnesi», della teoria platonica per cui conoscere è ricordare. Nel Fedone, infatti, Cebete dice a Socrate: «o Socrate, per quella dottrina, se è vera, di cui sei solito parlare così spesso, che ogni nostro apprendimento non è altro in realtà che reminescenza (anamnesis);anchepercotale dottrina si dovrà pur ammettere che noi si sia appreso in un tempo anteriorequellodicuioggici ricordiamo» (Plato, Phaedo, 72 E). Ma su questa dubbia interpretazione blochiana si vedapiùavanti,pp.221-222. [6] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 232 (trad. it. cit., vol. I, pp. 272273). [7] Cfr. A. Gerbi, La disputa delnuovomondo.Storiadiuna polemica 1750-1900, Milano- Napoli, 1955, pp. 153 ss. Sulla concezione che Hegel aveva dell’America (settentrionale e meridionale) cfr. S. Rodeschini, Costituzione e popolo, cit., pp. 251-256, mentre sulle fonti hegeliane sul mondo extra-europeo, cfr. G. Bonacina, Note sulla filosofia della storia di Hegel a propositodiAustralia,America e Africa, in «Quaderni di storia», XXIX (lugliodicembre 2003), pp. 17-66. Sul rapporto tra geografia e storia, cfr. invece Pietro Rossi, Storia universale e geografia in Hegel, Firenze, 1975. [8] Hegel, Vorlesungen über dieGeschichtederPhilosophiea cura di K.L. Michelet, in Werke, cit., voll. XIII-XV, Berlin,1840-1844,2ªed.,vol. XIII,pp.116,66(trad.it.diE. Codignola e G. Sanna Lezioni sulla storia della filosofia, Firenze,1967,rist.,vol.I,pp. 115, 64). L’immagine dei filosofi «fannulloni» è riferibile alle parole di Callicle nella Repubblica di Platone, secondo cui il filosofo è un essere inutile che si separa dalla vita politica, tipica degli adulti, per bisbigliare con tre o quattroragazzi,unimbelle– insiste–chesipuòprendere impunementeaschiaffi(cfr. 484Dss.). [9] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIV, p. 465 (trad. it. cit.,vol.II,p.493).Ilpassoè riferito alle proteste di Catone il Censore contro la corruzione degli antichi costumi a cui porterebbe l’introduzione della filosofia grecaaRoma. [10] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 19 Z 3 (seguo l’edizione E. Moldenhauer e K.M. Michel della Grande Enciclopedia o System der Wissenschaft, quella cioè che comprende oltre al testo e alle note – Anmerkungen,indicateconA – dell’edizione 1830 tradotta in Italia dal Croce, anche le preziose aggiunte – Zusätze, indicate con Z –, cfr. G.W.F. Hegel, Werke in zwanzig Bänden, a cura di E. Moldenhauer und K.M. Michel, Frankfurt a.M., 1970, voll. 8-10). Della Grande Enciclopedia esiste ora la traduzione italiana delle prime due parti a cura di V. Verra: Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Parte prima, La scienza della logica, Torino, 1981 e Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Parte seconda, Filosofia della natura, Torino, 2002. Rispetto ai più famosi eretici del pensiero filosofico, che vennero condannati a morte per le loro idee (come Socrate o Bruno), merita di essere ricordato il panteista Giulio Cesare Vanini (autore, fra l’altro, del poema Deo), bruciato vivo a Tolosa per ateismo nel 1619, noto a Hegel attraverso il manuale di storia della filosofia di Jakob Brucker, che lo definì impietate nomine famigeratissimus (Historia critica philosophiae a tempore resuscitatarum in Occidente litterarum ad tempora nostra, Tomus IV, pars altera, Lipsiae, 1749, p. 185) e al quale Hölderlin dedicò una poesia che Schiller si rifiutò di pubblicare sulla sua rivista: «Empio osarono dirti? Con anatemi / Oppressero il tuo cuore e ti legarono / E ti dettero alle fiamme,/Osacrouomo![…] Eppure quella che vivo amasti e che ti accolse / Morente, la sacra Natura si scorda/L’agiredegliuomini, e i tuoi nemici / Tornarono come te nell’antica pace» (Hölderlin, Vanini, in Grosse StuttgarterHölderlinausgabe,a curadiF.Beissner,Stuttgart, 1943-77,vol.I,1,p.262,trad. it. di G. Vigolo, Vanini, in Hölderlin, Poesie, Torino, 1963, p. 32). Su Vanini sono da vedere L. Cornovaglia, Le opere di Giulio Cesare Vanini e lelorofonti,Roma,1933-1934; G. Spini, Ricerca sui libertini, Roma,1950;F.Politi,IlVanini diHölderlin,in«Quaderni»,n. 10 (1988), pp. 265-281 e D.M. Fazio, Giulio Cesare Vanini nella cultura filosofica tedesca del Sette Ottocento. Da Brucker a Schopenhauer, Lecce, 1995, pp.58-61. [11]Hegel,Vorlesungenüber die Philosophie der Religion, a cura di Ph. Marheineke, in Werke, cit., voll. XI-XII, Berlin, 1832, vol. XII, p. 277. Si veda anche l’edizione dei Vorlesungsmanuskripte I, in Gesammelte Werke, in connessioneconlaDeutsche Forschungsgemeinschaft a cura della RheinischWestfälische Akademie der Wissenschaften, Hamburg, 1968-, vol. 17, a cura di W. Jaeschke,Hamburg,1987ele Vorlesungen. Ausgewälte Nachschriften und Manuskripte, voll. 3-5, a cura di W. Jaeschke, Hamburg, 1983-1985, trad. it. a cura di R. Garaventa e S. Achella in due volumi: G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della religione, Napoli, 2003, 2008. Un’affermazione analoga si trova nella Prefazione alle GrundlinienderPhilosophiedes Rechts, a cura di J. Hoffmeister,Hamburg,1955, p.16,trad.it.diF.Messineo, Lineamenti di filosofia del diritto, Bari, 1965, p. 16: «Riconoscere la ragione come la rosa nella croce del presente, e quindi godere di questa–talericonoscimento razionaleèlariconciliazione conlarealtà,chelafilosofia consente a quelli, i quali hanno avvertito, una volta, l’interna esigenza di comprendere e di mantenere appunto, la libertà soggettiva in ciò che è sostanziale e, al modo stesso, di stare nella libertà soggettiva, non come in qualcosa di individuale e di accidentale, ma in qualcosa che è in sé e per sé». Sul simbolismo rosacrociano e l’origine alchemica della rosa, cfr. F. Yates, The Rosacrucian Enlightment, London-Boston, 1972, pp. 65 ss. Per un’immagine visiva della rosa che ha per stelo unacroce,cfr.l’illustrazione inR.Fludd, SummumBonum, Frankfurt a.M., 1626. Per la presenza di questa immagine in Hegel, cfr. G. Lasson, Kreuz und Rose – Ein Interpretationsversuch, in Beiträge zur Hegel-Forschung, Berlin,1909eK.Löwith,Von Hegel zu Nietzsche, ZürichWien, 1941, trad. it. di G. Colli, Da Hegel a Nietzsche, Torino,1949,pp.47-48. [12] Cfr. K.L. Reinhold, Der Geist des Zeitalters als Geist der Philosofie, in «Neuer Teutscher Merkur», edito da C.M. Wieland, fascicolo III, Weimar,1801,pp.167-193. [13] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie, in Jenaer kritische Schriften, a cura di H. Buchner e O. Pöggeler, in GesammelteWerke,cit.,p.99, trad.it.diR.Bodei,Differenza frailsistemafilosoficodiFichte e quello di Schelling, in Hegel, Primi scritti critici, Milano, 1971,pp.80-81. [14] Cfr. K.R. Popper, The Open Society and Its Enemies, London, 19666, trad. it. di R. Pavetto,acuradiD.Antiseri, La società aperta e i suoi nemici,Roma,1973,vol.II,p. 76. [15] Cfr. V. Cousin, Souvenirs d’Allemagne, in «Revue des Deux Mondes», XXXVI (1866), pp. 616, 618: «egli era, come me, pervaso dallo spirito nuovo: considerava la Rivoluzione francese come il più grande passo che avesse fatto il genere umano dopo il cristianesimo e non cessava di interrogarmi sulle cose e sui personaggi di questa grande epoca. Egli era profondamente liberale, senza essere minimamente repubblicano. Alla pari di me, considerava la repubblica come necessaria forse per abbattere l’antica società, ma incapace di servire alla creazione di quella nuova, e non separava la libertà dalla monarchia […] Non dissimulava le sue simpatie per i filosofi del secolo scorso,perfinoperquelliche avevano più combattuto la causa del cristianesimo e della filosofia spiritualista. Come Goethe, li difendeva fino a Diderot, e mi diceva qualche volta: “Non siate così severo, sono les enfans perdus de notre cause”». Sui rapporti tra Hegel e Cousin cfr. P. Becchi, Hegel e Cousin. Storie di plagi e di censure, in «Verifiche»,XXIII(1994)n.3, luglio-dicembre,pp.211-235. Su altri enfants perdus de notrecause,cfr.J.-C.Bourdin, Hegel et les matérialistes françaisduXVIIIesiècle, Paris, 1992. Per contrasto, sempre restando nell’ambito della storia della filosofia, si veda il giudizio di un contemporaneo, il Tennemann, che nella sua Geschichte der Philosophie, Leipzig, 1798-1818, vol. XI, pp. 312 ss., accusa i philosophes di «immoralità, leggerezza,gustodeipiaceri, vanità, frivolezza, avida ricerca della novità e del brillante» (cfr. R. Mortier, Diderot en Allemagne, 17501850, Paris, 1954, pp. 176177). Sul contributo della filosofia alla Rivoluzione francese, ancora valido D. Mornet, Les origines intellectuelles de la Révolution française, Paris, 1933. Sugli scritti di Weil, Ritter, De Giovanni, Racinaro, a proposito del rapporto Hegel-Rivoluzione francese, rinvio a R. Bodei, Studi sul pensiero politico ed economico di Hegel nell’ultimo trentennio, in «Rivista critica di storia della filosofia», XXVII (1972), pp.476ss.eaC.CesaHegele la Rivoluzione francese, in «Rivistacriticadistoriadella filosofia», XXVIII (1973), pp. 176ss. [16]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, pp. 460-461 (trad. it. cit., vol. III, 2, p. 243). [17] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 925 (trad.it.cit.,vol.IV,p.204). [18] Hegel, Phänomenologie des Geistes, a cura di W. Bonsiepen e R. Heede, in GesammelteWerke,cit.,vol.9, Hamburg, 1980, p. 316, trad. it. di E. De Negri, Fenomenologia dello spirito, Firenze, 1963, vol. II, p. 124. Esistono oggi altre buone traduzioni italiane della Fenomenologia dello spirito (quella tradotta da V. Cicero e curata da E. Arrigoni, Roma, 2000, e quella tradotta e curata da G. Garelli, Torino, 2008), ma la traduzione di Enrico De Negri – che seguo, confrontandola eventualmenteconlealtre– continua a mantenere il suo fascino, malgrado qualche arcaismolinguistico. [19] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenscheften,§394Z. [20] Hegel, Jenenser Realphilosophie II, a cura di J. Hoffmeister, Leipzig, 1931, pp. 246-248, trad. it. di G. Cantillo, Filosofia dello spirito jenese,Bari,1971,pp.185-187 [poiché la traduzione italiana dei testi jenesi è condotta sulle edizioni della Jenenser Realphilosophie I e II, non ho ritenuto utile riferirmi alle più recenti edizioni degli Jenaer SystementwürfeI,acuradiK. Düsing e H. Kimmerle, in GesammelteWerke,cit.,vol.6, Hamburg, 1975; degli Jenaer Systementwürfe II, a cura di R.-P.HorstmanneJ.H.Trede, in Gesammelte Werke, cit., vol.7,Hamburg,1971edegli Jenaer Systementwürfe III, a cura di R.-P. Horstmann in collaborazione con J.H. Trede, in Gesammelte Werke, cit., vol. 8, Hamburg, 1976]. Cfr.ibid., p. 248 (trad. it. cit., p. 187): «La tirannia viene abbattuta dai popoli, perché sarebbe insopportabile, infame ecc.; in effetti però solo perché superflua […] Il tiranno se fosse saggio deporrebbeeglistessolasua tirannia, non appena è superflua; così invece la sua divinità è solo la divinità dell’animale, la necessità cieca».Èquiavvertibilel’eco lontana dello Ierone di Senofonte, del dialogo fra il tirannosiracusanoeilpoeta Simonide, cfr. L. Strauss, De latyrannie…suivideTyrannie et sagesse par Alexandre Kojève, Paris, 1954 (trad. it. di D. De Pretto, Sulla tirannide, Milano, 2010). Per la valutazione hegeliana del terrorerivoluzionario,cfr.D. Grlic,RevolutionundTerror,in «Praxis», VIII (1971), pp. 4961. [21] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 321 (trad. it.cit.,vol.II,p.132). [22]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichie der Philosophie, cit., vol. XV, p. 467 (trad. it. cit., vol. III, 2, p. 250). Cfr. Hegel, Auszäge und Bemerkungen, in Berliner Schriften, a cura di J. Hoffmeister,Hamburg,1956, p. 693: «È ridicolo voler sminuire i tedeschi perché hanno imitato molto, non avrebbero imitato se avessero potuto produrre di meglio». [23]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 462 (trad. it. cit.,vol.III,2,pp.244-245). [24]Hegel,Vorlesungenüber die Philosophie der Religion, a cura di G. Lasson, Leipzig, 1927-1930,vol.II,p.37(trad. it. di G. Borruso a cura di E. Oberti, Lezioni sulla filosofia dellareligione,vol.I,Bologna, 1973,p.370). [25]JeanPaulanseinenSohn Max, 20 febbraio 1821, in Jean Paul, Sämtliche Werke, a cura della Deutsche Akademie der Wissenschaften zu Berlin, sezioneIII,Briefe,acuradiE. Berend, Berlin, 1952 ss., vol. VIII,p.96. [26] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie,cit.,p.80(trad.it. cit.,p.98).Cfr.inG.Politzer, Écrits, Paris, 1969, pp. 2 ss., l’accenno a una «fenomenologiadeilumi»in Hegel. [27] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., pp. 14-15 (trad.it.cit.,vol.I,pp.8-9). [28]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIII, p. 69 (trad. it. cit.,vol.I,p.67). [29] Cfr. Hegel, Grundlinien derPhilosophiedesRechts,cit., integrata per gli Zusätze dall’edizione Gans, cfr. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, a cura diE.Gans,inWerke,cit.,vol. VIII, Berlin, 18402, § 280 Z (trad.it.cit.,p.383). [30]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIII, p. 69 (trad. it. cit., vol. I, p. 67). Queste affermazioni hegeliane contrastano con l’interpretazione che Althusser dà del ruolo della filosofia in Hegel: cfr. L. Althusser e É. Balibar, Lire le Capital, Paris, 1965, trad. it. di R. Rinaldi e V. Oskian, Leggere il Capitale, Milano, 1968, pp. 101-102: «Il presente costituisce in effetti l’orizzonte assoluto di ogniconoscenzapoichéogni conoscenza non è mai altro che l’esistenza, nella conoscenza, del principio interiore del tutto. La filosofia, pur spingendosi il più avanti possibile, non supera mai i confini di questo orizzonte assoluto: anchesesiinnalzaavolo,la sera appartiene ancora al giorno, all’oggi, essa non è altro che il presente riflesso su di sé, riflesso sulla presenzadelconcettoasé:il domani, per essenza, gli è proibito». [31]Hegel,Vorlesungenüber Rechtsphilosophie, 1818-1831, Edition und Kommentar in sechs Bänden von KarlHeinz Ilting, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1973-1974. I: Naturrecht und Staatswissenschaft,nachdem Vorlesungsmanuskript von C.G. Homeyer, 1818/19, Vorwort,pp.232-234.Proprio perché–adifferenzaditutte le altre lezioni berlinesi – esisteva un testo curato personalmente da Hegel (le GrundlinienderPhilosophiedes Rechts, fatta stampare da Hegel nel 1820 e pubblicata con data 1821), i quaderni d’appunti degli scolari sui corsi di filosofia del diritto non vennero allora mai pubblicati. L’edizione Ilting di tali corsi del 1817-1818 [Hegel, Die Philosophie des Rechts: d. Mitschr. Wannemann (Heidelberg 1817/18), a cura, con introduzioni e commenti di K.-H. Ilting, Stuttgart, 1983, trad. it. di P. Becchi, Napoli, 1993, con una lunga Nota editoriale, pp. 445-555; di questi testi e di quelli del 1818/1819 esiste anche un’altra edizione: Vorlesungen über Naturrecht und Staatswissenschaft, Heidelberg 1817/18 mit Nachträgen aus der Vorlesung 1818/19 Nachgeschrieben von P. Wannemann, a cura di C. Becker, W. Bonsiepen, A. Gethmann-Siefert, F. Hogemann,W.Jaeschke,Ch. Jamme, H.-Ch. Lucas, K.R. Meist e H. Schneider, con una Introduzione di O. Pöggeler, Hamburg, 1983, che esiste ora anche in formatoelettronico,assieme ad altri corsi hegeliani di diverso argomento), del 1818/1819,del1822/1823,del 1824/1825 e delle due prime lezioni del novembre 1831 (cfr. Hegel, Vorlesungen über Rechtsphilosophie 1818-1831, cit.] riserva però alcune sorprese: il taglio politico e teorico di queste lezioni è molto più aperto e battagliero rispetto al testo del1821,el’accentocadepiù sul necessario realizzarsi della ragione, contro ogni privilegio e ritardo nella realtà storica, che non sul rispetto dovuto alla Wirklichkeit. Tutto ciò ripropone in un’altra luce il sensodellaFilosofiadeldiritto del 1821, che diventa così solo una delle diverse formulazioni berlinesi, e si rivela condizionata da una precisasituazionestorica.Lo sforzo dello Ilting, sebbene guidato talvolta da una preoccupazione francamente eccessiva di dare a Hegel un volto liberale e progressista (cfr. anche K.-H. Ilting, The Structure of Hegel’s Philosophy of Right, in Hegel’s Political Philosophy. Probleme and Perspectives a cura di Z.A. Pelczynsky, Cambridge, 1971, pp. 90-110), permette tuttavia di affrontare in maniera nuova la tematica politica hegeliana. Oltre all’edizione Ilting è stato pubblicato il corso della Filosofia del diritto del 1819/20: Philosophie des Rechts. Die Vorlesung von 1819/20ineinerNachschrift, a curadiD.Henrich,Frankfurt a.M., 1983. Parti di questi corsi sono stati tradotte da D. Losurdo in G.W.F. Hegel, Le filosofie del diritto. Diritto, proprietà, questione sociale, Milano,1989. [32]Hegel,Vorlesungenüber die Aesthetik, cit., vol. X1, p. 15(trad.it.cit.,p.15). [33] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 766767 (trad. it. cit., vol. IV, pp. 14-15). Interessanti analisi della concezione che Hegel ha del mondo romano si trovano in G. Bonacina, Hegel, il mondo romano e la storiografia. Rapporti agrari, diritto, cristianesimo e tardo antico,Firenze,1991einV.R. Lozano, La vieja Roma en el joven Hegel, Madrid, 2011, in particolare pp. 151-161. Malgrado sia evidente – come è stato spesso osservato – che il paragone tra Grecia e Roma sia in Hegel completamente sbilanciato a favore della Grecia, Arnaldo Momigliano ha rivendicato la fecondità dell’interpretazione hegeliana della storia di Roma, cfr. Sui fondamenti della storia antica, Torino, 1984, p. 181. Tra i grandi personaggi di Roma, non sempre apprezzati, campeggia però Giulio Cesare, cfr. F. Biasutti, L’occhiodelconcetto.Pensieroe trasparenza della storia in Hegel,Pisa,2002,pp.137-156. [34] Su questa famosa espressione vedi più avanti, pp.69-70. [35]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIV, p. 170 (trad. it. cit.,vol.II,p.177). [36] Hegel an Schelling, fine gennaio 1795, in Briefe von und an Hegel a cura di J. Hoffmeister (voll. I-III) e R. Flechsig (vol. IV), Hamburg, 1952-1960, vol. I, p. 18, trad. it. di P. Manganaro, G.W.F. Hegel, Epistolario 1785-1808, vol.I,Napoli,1983,p.11. [37] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 676 (trad.it.cit.,vol.IV,p.14). [38] Ibidem, p. 881 (trad. it. cit.,vol.IV,p.151).Cfr.ibid., p.914(trad.it.cit.,vol.IV,p. 190). [39] Ibid., p. 871 (trad. it. cit.;vol.IV,p.139). [40] Ibid., p. 855 (trad. it. cit.,vol.IV,p.120). [41] Ibid., p. 871 (trad. it. cit.,vol.IV,p.139). [42] Ibid., p. 870 (trad. it. cit.,vol.IV,p.138). [43]Ibid., pp. 875-876 (trad. it.cit.,vol.IV,pp.143-144). [44]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 240 (trad. it. cit., vol. III, 2, p. 2). Questa immagine degli stivali delle sette leghe, che risale a Perrault e alla tradizione popolare, era stata resa d’attualità nel 1813 dal racconto di Chamisso, Peter Schlemihls wundersame Geschichte (trad. it. Storia straordinaria di Peter Schlemihl, Firenze-Viterbo, 1997). [45] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 884 (trad.it.cit.,vol.IV,pp.154155). [46]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 485 (trad. it. cit.,vol.III,2,p.268). [47] Ibid., vol. XV, p. 250 (trad.it.cit.,vol.III,2,p.13). Cfr. ibid., vol. XIV, pp. 170171 (trad. it. cit., vol. II, p. 178). [48]Hegel,Vorlesungenüber dieAesthetik,cit.,vol.X1, pp. 248-249(trad.it.cit.,pp.220, 219). [49] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., § 260(trad.it.cit.,p.218). [50] Ibid., pp. 190, 191, 193 (trad.it.cit.,pp.169,171). [51] Cfr. Hegel, Philosophie derWeltgeschichte,cit.,p.932 (trad. it. cit., vol. IV, p. 212): «La restaurazione della monarchia non poté portare la pace in Francia. Si manifestò di nuovo il contrasto tra il convincimento e la diffidenza. I Francesi s’ingannavano reciprocamente, quando componevanoindirizzipieni di devozione e amore per la monarchia, per i benefizî da essa arrecati. La farsa durò quindi anni». Dalla fusione di due affermazioni hegeliane Marx ha tratto la sua famosa tesi secondo cui «tutti i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, duevolte.Hadimenticatodi aggiungere: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa» (Marx, Der achtzehnterBrumairedesLouis Bonaparte, in Marx-Engels, Werke (MEW), Berlin, 19531990, vol. 8, trad. it. Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Roma,2006,p.19). [52]Hegel,Vorlesungenüber die Aesthetik, cit., vol. X2, p. 231 (trad. it. cit., p. 676). Sullohumour,mainrapporto a Jean Paul e al Divano occidentale-orientale di Goethe, cfr. A. GethmannSiefert, Einführung in Hegels Aesthetik, München, 2005, pp.340-347.Conlohumoursi acquista per Hegel una maggiore intimità con se stessi (Verinnigung), cfr. T. Pinkard, Hegel’s Naturalism. Mind, Nature, and the Final Ends of Life, Oxford, 2012, p. 79. Tale maggiore intimità, aggiungo, deriva anche dal vedersi distaccati dagli eventi, perché si è acuita e consumata,finoaprenderne ledistanze,lacondizionedel cristianoinquanto«anfibio» costretto a vivere in due mondi separati, quello terreno,realecontuttiisuoi conflitti e meschinità, e quello celeste, frutto di speranza. [53]Hegel,Vorlesungenüber dieAesthetik,cit.,vol.X3, pp. 527-528 (trad. it. cit., pp. 1336-1337). La tragedia moderna è invece caratterizzata dal prevalere di fini soggettivi piuttosto che dalla collisione delle potenze etiche: «in generale nella tragedia moderna gli individui non agiscono in vistadellatosostanzialedei loro fini né questo è ciò che si afferma come impulso nella loro passione, bensì è lasoggettivitàdellorocuore e animo, la particolarità del loro carattere quella che preme per essere soddisfatta» (ibid., vol. X3, p. 566,trad.it.cit.,p.1368).Per alcune considerazioni sul declino dell’eroe in tempi moderni,cfr.R.BonitoOliva, Frattureericomposizioni.Eroie uomini in cerca di qualità, in Labirinti e costellazioni. Un percorso ai margini di Hegel, Milano-Udine, 2008, pp. 4152. [54] Ibid., vol. X3, p. 580 (trad. it. cit., p. 1380). Anche in questo caso si può riconoscere nelle parole di Marx l’eco della lezione di Hegel: «Gli dèi della Grecia, chegiàunavoltaeranostati feriti a morte nel Prometeo incatenato di Eschilo, dovettero ancora una volta morire comicamente nei DialoghidiLuciano.Perchéla storiaprocedecosì?Affinché l’umanità si separi serenamentedalsuopassato» (Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie, in MEW, cit., vol. 1, trad. it. Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, in Id., La questioneebraica,Roma,1991, p.55). [55]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 250 (trad. it. cit.,vol.III,2,pp.13-14). [56] Ibid., p. 249 (trad. it. cit.,vol.III,2,p.12). [57]Ibid.,p.82(trad.it.cit., vol. III, 1, pp. 89-90). Nelle Vorlesungen über die PhilosophiederReligion (1821), nuova ed. a cura di W. Jaeschke, 3 voll. Hamburg, 1993-1995, vol. 3, pp. 96-97, Hegel si serve di un altro paragone e dice che la «filosofia è un santuario separato»eisuoiinservienti (Diener) formano un ceto sacerdotale isolato, che non simescolaconilmondoeha il compito di custodire la verità. [58] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.15(trad.it. cit.,vol.I,p.9). [59] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, Z zur Vorrede(trad.it.cit.,p.302). [60] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§19Z3. [61]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichie der Philosophie, cit., vol. XV, p. 552 (trad. it. cit.,vol.III,2,pp.340-341). [62]Hegel,Vorlesungenüber die Aesthetik, cit., vol. X2, p. 118(trad.it.cit.,p.580). [63]Ibid.,vol.X1,pp.193ss. (trad.it.cit.,pp.171ss.).Che il presente fosse un’epoca prosaica era un concetto sviluppato soprattutto da GoethenelleGeistesepochen. [64]Hegel,Vorlesungenüber dieAesthetik,cit.,vol.X2, pp. 216-217(trad.it.cit.,pp.663664). Sulla lotta delle individualità nel romanzo modernosecondoHegel,cfr. F. Rhöse, Konflikt und Versöhnung. Untersuchungen zur Theorie des Romans von Hegel bis zum Naturalismus, Stuttgart,1978,pp.18ss. [65] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie,cit.,p.14(trad.it. cit.,p.15). [66] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.13(trad.it. cit.,vol.I,p.7). [67]Hegel,Vorlesungenüber die Aesthetik, cit., vol. X1, p. 42(trad.it.cit.,p.40). [68] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§396Z. [69] Hegel, Über das Wesen der philosophischen Kritik überhaupt, in Jenaer kritische Schriften,cit.,p.126. [70] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§396Z. [71] «L’esser maturi è tutto» (ripeness is all; W. Shakespeare,King Lear, V, II, v.11). [72]HegelanWindischmann, 27maggio1810,inBriefe,cit., vol.I,pp.314-315(trad.it.di P. Manganaro [e G. Raciti], G.W.F. Hegel, Epistolario 1808-1818, Napoli, 1988 [= vol. 2], pp. 90-91). Questa «crisi di ipocondria», durata «un paio d’anni», probabilmente tra il 1796/1797 e il 1799, è importante da analizzare perché «ha durevolmente inciso sul carattere di Hegel edunquesullasuaopera»(P. Osmo, Présentation à K. Rosenkranz, Vie de Hegel suivi de Apologie de Hegel contre le docteur Haym, Paris, 2004, pp. 12-13). Hegel ne aveva parlato anche con il suo discepolo Gabler, dicendoche«chiunquehain séqualcosadipiù,unavolta nella vita deve passare attraverso una ipocondria, durantelaqualesidissociadal suo mondo precedente e dalla sua natura inorganica» (F. Rosenzweig, Hegel und der Staat, München-Berlin, 1920, trad. it. di A.L. Künkler Giavotto e R. Curino, IntroduzionediR.Bodei,Hegel e lo Stato, Bologna, 1976, p. 115). Sul tema, cfr. R. Bonito Oliva, Coscienza, inconscio, follia.Osservazioniintornoalla «Filosofia dello spirito jenese di Hegel», in «Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche», XC (1979), pp. 383-407; G. Severino, Inconscio e malattia mentale in Hegel, Genova, 1983 e F.A. Iannaco, Hegel in viaggio da Atene a Berlino. La crisi di ipocondria e la sua soluzione,Roma,1997,pp.92114. Dell’ipocondria Hegel avevatrattatonelcorsosulla filosofia dello spirito del semestre invernale 18271828, definendola «sensazione della propria negatività, della propria debolezza […] questa melanconia è spesso congiunta all’impulso suicida, così che la volontà nonpuòimporsiall’impulso, e, se non porta a termine il fatto, accade solo perché viene ostacolato da altri» (Hegel, Vorlesungen über Philosophie des Geistes (182728),trascrizioneacuradiJ.E. Erdman e F. Walter [Hegel, Vorlesungen, vol. XIII], Hamburg, 1994, p. 89, trad. it. di R. Bonito Oliva, Lezioni sulla filosofia dello spirito: Berlino, semestre invernale 1827-28, Milano, 2000, p. 195). [73] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§408Z. [74] Schelling, Philosophie der Offenbarung, in Werke, a cura di M. Schröter, München, 1927 ss., volume suppl. VI, p. 299, trad. it. di A. Bausola, Filosofia della rivelazione, Bologna, 1972, vol.I,pp.378-379. [75] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 408 Z. Hegel segue qui sostanzialmenteleposizioni di Pinel. Cfr. Ph. Pinel, Traité médico-philosophique sur l’aliénation mentale ou la manie, Paris, 1801. Le posizioni di Pinel sono contrapposte da Hegel a quelle, che non gli paiono all’altezza, di J.C. Reil, Rhapsodien über Anwendung der psychischen Kurmethode aufGeisteszerrüttungen,Halle, 1803, cfr. Hegel, Vorlesungen über Philosophie des Geistes (1827-28), cit., p. 86 (trad. it. cit., p. 193). Sulle cognizioni che Hegel aveva di problemi legati alla psichiatria, cfr. i cenni di H.-Ch. Lucas, Die «souveräneUndankbarkeit»des Geistes gegenüber der Natur. Logische Bestimmungen, Leiblichkeit, animalische Magnetismus und Verrücktheit in Hegels «Anthropologie», in Psychologie und Anthropologie oder Philosophie des Geistes, Beiträge zu einer HegelTagung in Marburg 1989, a cura di F. Hespe e B. Tuschling, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1991, pp. 269-296 e, più dettagliatamente, da D. Berthold-Bond, Hegel’s Theory of Madness, Albany, 1995. [76] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§408Z. [77] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 408 Z. Cfr. Hegel, Vorlesungen über die Aesthetik, cit., vol. X1, p. 62 (trad. it. cit., p. 57): «L’uomo può rappresentarsi cose che non sono reali come se lo fossero». [78] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§408Z. [79]Ibid. [80]Hegel,Vorlesungenüber Philosophie des Geistes (1827- 28),cit.,p.85(trad.it.cit.,p. 191). [81] Cfr. R. Bodei, Politica e tragedia in Hölderlin, in «Rivista di estetica», XIV (1969), pp. 382-412. Molto si è scritto e si è discusso, anche a livello psichiatrico, sulla follia di Hölderlin. Egli ha indubbiamente continuato a scrivere magnifiche poesie, ma non ha certo finto di essere pazzo, come ha sostenuto, seppur con raffinati argomenti, F. Bertaux in Friedrich Hölderlin, Frankfurt a.M., 1978 (su cui si vedano le critiche di U. Henrik, Hölderlin.WiderdieThesevom edlen Simulanten, Reinbek b.H., 1982). È, invece, più giusto sostenere che «il pensatore era già distrutto quando il poeta era ancora sano» (R. Haym, Die romantische Schule, Berlin, 19143, trad. it. La scuola romantica, Milano-Napoli, 1965,p.354).Sulsensocheil termine «giacobino» aveva tra i giacobini tedeschi, cfr. Ch. Prignitz, Friedrich Hölderlin. Die Entwicklung seines politischen Denkens unter dem Einfluß der Französischen Hamburg,1976. [82] Revolution, Sulla figura di Christiane Hegel, cfr. A. Birkert, Auf den Spuren einer ungewöhlichen Frau um 1800, Ostfildern, 2008 e P. Kriegel, Eine Schwester tritt aus dem Schatten. Überlegungen zu einer neuen Studien über Christiane Hegel, in «HegelStudien», 45 (2010), pp. 19- 34. Della malattia della sorella, Hegel parla in una lettera del 31 marzo 1820 al cugino Friedrich Ludwig Göritz, cfr. Ein unbekannter Brief Hegels an Friedrich LudwigGöritz,comunicatada B. Kortländer, in «HegelStudien», 24 (1989), pp. 9-13 e di lei si occupa, trattando argomenti legati alla quotidianità, in una delle poche altre lettere salvate, quella del 21 agosto 1825, cfr. «An Madamoiselle Christiane Hegel». Ein unveröffentlicher Brief Hegels und ein Briefkonzept des Dekans Göritz, comunicata e illustratadaH.-Ch.Lucas,in «Hegel-Studien», 22 (1987), pp.9-16.Sull’amorepurotra sorelle teorizzato da Hegel a proposito di Antigone, cfr. H.-Ch. Lucas, Zwischen Antigone und Christiane. Die Rolle der Schwester in Hegels BiographieundPhilosophieund in Derridas «Glas», in «HegelJahrbuch», 1984/85 [1988], pp.409-442. [83]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 473 (trad. it. cit., vol. III, 2, p. 257). Sul senso della Wirklichkeit in Hölderlin, cfr. R. Bodei, Politica e tragedia in Hölderlin, cit.,eId.,Hölderlin:lafilosofia e il tragico, Saggio introduttivo a Hölderlin, Sul tragico, a cura di R. Bodei, nuova edizione riveduta e ampliata,Milano,1989e,sul rapporto tra Hegel e Hölderlin, D. Henrich, Hegel und Hölderlin, in Id., Hegel im Kontext,Frankfurta.M.,2010, pp. 9-40. Per la carriera esemplare del «girella» emerito dell’epoca e per le suemotivazionistoriche,cfr. D. Cooper, Talleyrand, trad. it.diM.Vinciguerra,Milano, 19742;R.Calasso,Larovinadi Kash, Milano, 19832, e G. Ferrero, Tayllerand a Vienna, acuradiS.Romano,Milano, 1999. [84] K. Rosenkranz, Hegels Leben,cit.,Urkunden,p.519. [85] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, cit., § 20 A (trad. it. di B. Croce, Enciclopedia delle scienze filosofiche,Bari,19513,p.31). [86] Ibid., § 81 A (trad. it. cit.,p.87).Conilconcettodi «dialettica negativa», Adorno non fa altro – in parte senza rendersene conto del tutto e confondendo la «dialettica» di Hegel con la «speculazione» – che riprendere a modo suo l’autentica idea hegeliana di «dialettica»;rimando,perun inquadramento, a R. Bodei, Strappare il vero dal falso, introduzione a Th.W. Adorno,DreiStudienzuHegel, Frankfurt a.M., 19712 (ora ancheinGesammelteSchriften in zwanzig Bänden, Frankfurt a.M.,2003,vol.5),trad.it.di F. Serra, rev. di G. Zanotti, Tre studi su Hegel, Bologna, 2014, pp. 7-26. Per una interpretazione della dialettica e del metodo dialetticoinHegeldalpunto di vista della filosofia analitica, cfr. F. Berto, Che cos’è la dialettica. Un’interpretazione analitica del metodo, Prefazione di D. Marconi,Padova,2005. [87] Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 82 (trad. it. cit.,pp.31-32). [88] Hegel, Wissenschaft der Logik, a cura di G. Lasson, Leipzig,19512,rist.,vol.II,p. 58(trad.it.diA.Moni,revis. diC.Cesa,Scienzadellalogica, Bari, 1968, vol. II, pp. 490491). [89]Ibid.,p.59(trad.it.cit., p. 492). Per un primo inquadramento, cfr. G. Rinaldi, A History and Interpretation of the Logic of Hegel,Lewiston,1992. [90] Cfr. W. Sellars, Empiricism and the Philosophy of Mind, Cambridge, Mass., 2000, trad. it. Empirismo e filosofia della mente, Torino, 2004 (con Introduzione di R. Rorty);R.B.Brandom,Making it Explicit. Reasoning, Representing and Discursive Commitment, Cambridge, Mass., 1994, e si veda S. Poggi, Attraversare il confine: Interno, esterno, intenzionalità. Ancora su Brandom interprete di Hegel, in AA.VV., Lo spazio sociale della ragione. Da Hegel in avanti, Milano-Udine, 2009,pp.303ss. [91]Cfr.piùavanti,pp.118- 119. [92]Hegel,Vorlesungenüber die Philosophie der Weltgeschichte (trad. it. cit., vol.I,p.153). [93] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§393Z. [94]Hegel,Vorlesungenüber Aesthetik, cit., vol. X1, p. 211 (trad.it.cit.,p.182). [95] Ibid., vol. X1, p. 221 (trad.it.cit.,p.182). [96] Cfr. R. Bodei, Il primo romanticismo come fenomeno storico e la filosofia di Solger nell’analisi di Hegel, in «autaut»,n.101,1967,pp.3-15e J. Reid, L’anti-romantique. Hegel contre le romantisme ironique,QuébecVille,2007. [97] M. Foucault, La folie, l’absenced’œuvre,in«Latable ronde»,n.196(1964),pp.1121,inseritopoiinappendice alla nuova edizione dell’Histoire de la folie à l’âge classique,Paris,1976,trad.it. La follia, l’assenza d’opera. Storia della follia nell’età classica,Milano,1977,p.628. Per un chiarimento del concetto di negazione nel contesto della Scienza della logica, cfr. Ch. Iber, Metaphysik absoluter Relationalität, Berlin, 1990, pp. 219-237. Sulla struttura dell’assoluto, V. Rühle, Verwandlung der Metaphysik. ZursystematischenDarstellung des Absoluten bei Hegel, München,1989. [98] Cfr. D. Trombadori, Colloqui con Foucault (1978), Roma, 19992, p. 34; B. GallaghereA.Wilson,Michel Foucault, an Interview. Sex, Power and Politics of Identity (1982), trad. it. Michel Foucault,un’intervista.Ilsesso, il potere e la politica dell’identità, in Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste, Milano, 1998, p. 298. [99]Traletanteoccorrenze di questo tema, cfr., in rapporto alla follia, M. Foucault, Les mots et les choses. Une archéologie des scienceshumaines(1966),trad. it. Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Milano, 1988, p. 14: «lastoriadellafolliasarebbe la storia dell’Altro – di ciò che, per una cultura, è interno e, nello stesso tempo,estraneo,eperciòda escludere (al fine di scongiurarne il pericolo interno)maincludendolo(al fine di ridurne l’estraneità); la storia dell’ordine delle cose sarebbe la storia del Medesimo – di ciò che, per una cultura, è a un tempo disperso e imparentato, e quindi da distinguere mediante contrassegni e da unificare entro identità». Si vedano, inoltre, G. Deleuze, Différence et répétition, Paris, 1968, trad. it. Differenza e ripetizione,Bologna,1971;Id., Logique du sens, Paris, 1969, trad. it. La logica del senso, Milano,1975;G.DeleuzeeF. Guattari, L’Anti-Œdipe. Capitalisme et schizophrénie, Paris, 1972, trad. it. L’AntiEdipo. Capitalismo e schizofrenia, Torino, 1975; G. Deleuze e F. Guattari, Rhizome, Paris, 1976, trad. it. Rizoma,Parma,1977. [100] Sul senso di questa espressione, cfr. F. Hespe, «Die Geschichte ist der Fortschritt im Bewußtsein der Freihheit». Zur Entwicklung von Hegels Philosophie der Geschichte, in «HegelStudien», 26 (1991), pp. 193211. [101] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.15(trad.it. cit., vol. I, p. 9). Cfr. la risonanza di questo tema in Heine, nella prefazione del 1851 alla terza edizione dei Neue Gedichte: «È una strana efortunatacreaturailpoeta; egli vede i boschi di querce che ancora sonnecchiano nella ghianda, e conversa con le generazioni che ancora devono nascere». Anche il filosofo vede con Hegel in una ghianda o in una «culla» il mondo nuovo chestapersorgere. [102] Shakespeare, Hamlet, attoI, scena V,trad. it. diG. Baldini, Amleto, in Shakespeare, Opere complete. III: Tragedie, Milano, 1963, p. 716. Su questa metafora shakespeariana, cfr. H. Granville-Barker, Prefaces to Shakespeare.IIISeries:Hamlet, London, 1951, trad. it. di G. Brunacci, Introduzione all’Amleto, Bari, 1959, p. 55. Comemezzodicontrasto,si può osservare quanto diversa sia l’immagine della talpainSchopenhauer,dove rappresenta il cieco avanzare senza scopo degli uomini: «Si consideri per esempio la talpa, questa infaticabile lavoratrice. Scavare faticosamente con le sue enormi zampe a paletta – è l’occupazione di tutta la sua vita, la circonda la notte perpetua: essa ha i suoi occhi embrionali solo per sfuggire la luce. Essa soltanto è un vero animal nocturnum, non lo sono i gatti,lecivetteeipipistrelli, che di notte ci vedono. Ma cosa ottiene poi la talpa per questa vita stentata e vuota di gioia? Cibo e accoppiamento: cioè solo mezzi per proseguire lo stessotristecammino,eper incominciare da capo in un nuovo individuo» (Die Welt als Wille und Vorstellung, in Sämtliche Werke, a cura di A. Hübscher, Wiesbaden, 19723, vol. II, pp. 403-404, trad. it. di S. Giametta, Il mondo come volontà e rappresentazione, Supplementi al libro II, cap. 28,Milano,2006,p.1665). [103] Cfr. Herder, Auch eine Philosophie der Geschichte zur Bildung der Menschheit (1774), in Sämtliche Werke, a cura di B. Suphan, Berlin, 1884 ss., trad. it. di F. Venturi, Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità, Torino, 19712, p. 6, e Kant, Kritik der reinen Vernunft, A 319; B 375-376 in Kants Gesammelte Schriften, Akademie-Ausgabe, BerlinLeipzig, poi Berlin, 1900 ss., vol.V,trad.it.diG.Gentilee G. Lombardo-Radice, revis. di V. Mathieu, Critica della ragionpura,Bari,1966,vol.II, p.303. [104] Nietzsche, Morgenröthe, in Kritische Gesamtausgabe,Werke,acura di G. Colli e M. Montinari, Berlin,1964-,vol.V/1,Berlin, 1971, pp. 3, 44, trad. it. Aurora,inAuroraeFrammenti postumi (1879-1881), in Opere di Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. V/1, Milano, 1964, pp. 3, 36. [105] Cfr. N. De Domenico, La talpa e il folletto. Apologia della doppiezza ed elogio della poiesis in Marx, in AA.VV., Marx e i suoi scritti, Urbino, 1987,pp.71-93. [106] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. II, p. 58 (trad. it. cit., vol. II, pp. 490491). Sulla natura della contraddizione, da diversa prospettiva, cfr. le interpretazioni di S. Landucci,Lacontraddizionein Hegel, Firenze, 1978; K. Düsing, Identität und Widerspruch. Untersuchungen zur Entwicklung der Dialektik Hegels, in «Giornale di Metafisica»,n.s.,6(1984),pp. 315-358;J.-L.Vieillard-Baron, Ledévenirlogique:négativitéet contradiction,inHegel.Scienza della logica, numero speciale di «Teoria», XXXIII (2013), n. 1,pp.49-68. [107] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., § 236A(trad.it.cit.,p.201). [108] Questo è il senso del rapporto necessità-libertà in Hegel. Non rispetto passivo della necessità cieca e inconsapevole (che è poi il risultato resosi autonomo dell’agire di tutti), ma dominio e rettificazione del suo movimento mediante il sapere e l’azione che ne deriva. La libertà non è quindi soltanto coscienza della necessità immediata e suo assecondamento, ma è dominio di essa nel riconoscimento della sua razionalità. [109] Hegel, Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X1, p.128(trad.it.cit.,p.115). [110]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften, § 246 Z. Da unaltropuntodivista,sulla natura del «pensiero oggettivo», specie nella Scienzadellalogica,sivedano i saggi raccolti nel fascicolo di «Verifiche», XXXVI (2007), n. 1-4, dedicato al tema L’oggettività del pensiero. La filosofia di Hegel tra idealismo, anti-idealismo e realismo, a cura di L. Illetterati e con prefazionediF.Chiereghin. [111] Hegel, Rede zum Antritt des philosophischen Lehramtes an der Universität Berlin, in Berliner Schriften, cit.,p.19. [112]Hegel,Einleitung in die Geschichte der Philosophie, a cura di J. Hoffmeister, Hamburg,1959,pp.41-42. [113] über Hegel, Vorlesungen die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 624(trad.it.cit.,vol.III,2,p. 418). [114] Marx e Engels, Manifest der Kommunistischen Partei,inMEW,cit.,vol.IV,p. 480(trad.it.diE.CantimoriMezzomonti, Manifesto del partito comunista, Torino, 19706,p.155). [115] Hegel an Niethammer, 28ottobre1808,inBriefe,cit., vol.I,p.253,trad.it.cit.,vol. I, p. 375 e cfr. Hegel, Aphorismen aus der Jenenser Periode, in K. Rosenkranz, Hegels Leben, cit., Urkunden, p. 540, trad. it. di C. Vittone [che,ripubblicandoli(Monza, 2006, pp. 29-94), vi aggiunge una densa Introduzione], PremessadiR.Bodei,Aforismi jenensi (Hegels Wastebook 1803-1806), Milano, 1981, p. 76 nota 80: «La filosofia governa le rappresentazioni e queste governano il mondo. Essa è il suo strumento infinito, dopo vengono fuori baionette, cannoni, corpi, ecc. Ma lo stendardo del dominio del mondo e l’anima del suo condottiero è lo spirito». Anche per Croce la rivoluzioneelabattaglianel regno delle idee prepara la rivoluzioneelabattaglianel regno della realtà, come egli osservanel1920aproposito dello scoppio della prima guerra mondiale: «la spada segue il pensiero. Prima ancora che la guerra si combattesse nelle trincee e suicampi,erastatapreparata e combattuta nelle menti dei pensatori, dei quali forse la gente non si accorge, solo perché non ci si accorge di solito dell’aria che si respira» (Croce, Pagine sparse, Bari, 19602, vol. II, p. 430). [116] Hegel, Grundlinien der PhilosophiedesRechts,cit.,§4 Z(trad.it.cit.,pp.303-304).Il rapporto tra pensiero e volontà coinvolge anche la dimensione pratica e affettiva dell’agire e il concetto stesso di libertà, cfr. A. Peperzak, Hegels praktische Philosophie. Ein Kommentar zur enzyklopädischen Darstellung der menschlichen Freiheit und ihrer objektiven Darstellung, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1991, e Id., Hegel über Wille undAffektivität,inPsychologie und Anthropologie oder Philosophie des Geistes, cit., pp.361-395. [117]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§142Z. [118]Machiavelli,Ilprincipe, XV, e cfr. K. Rosenkranz, HegelsLeben,trad.it.cit.,pp. 473, 557, 579. Sul rapporto tra Hegel e Machiavelli, da un un’altra prospettiva, cfr. O. Pöggeler, Machiavelli und Hegel. Macht und Sittlichkeit, in Philosophische Elemente der Tradition des politischen Denkens,acuradiE.Heintel, Wien-München, 1979, pp. 173-198. Sulla difficoltà di tradurre nelle lingue romanze il termine Wirklichkeit, così come altre parole hegeliane, cfr. G. Baptist, ‘Wirklichkeit’. Zur Übersetzungsproblematik in den romanischen Sprachen, in «Hegel-Studien», 34 (2001), pp. 85-98. Hegel mette in guardia contro la diffusa concezione per cui alla realtà effettuale di ciò che è razionale «si contrappone, da una parte, la veduta che le idee e gl’ideali non siano senonchimere,elafilosofia un sistema di questi fantasmi cerebrali; e dall’altra, che le idee e gl’ideali siano alcunché di troppo eccellente per avere realtà, o anche di troppo impotente per procacciarsela» (Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§6A;trad.it. cit., p. 8). L’atteggiamento di scambiare le vuote astrazioni dell’intelletto, i suoi «sogni» su come la realtà deve essere, non ha soltantounvalorefilosofico, ma anche un rilevante peso «nelcampopolitico»(ibid.). [119] Hegel an Schelling, 16 aprile1795,inBriefe,cit.,vol. I,p.24(trad.it.cit.,vol.I,p. 18). [120] Kant, Kritik der reinen Vernunft, A 856; B 884 (trad. it.cit.,vol.II,p.645). [121] Pensées de Napoléon, Paris, 1913, p. 43. Cfr. Lenin, Filosofskia Tetradi, Moskva, 1933,trad.it.diI.Ambrogio, Quaderni filosofici, Roma, 1971,p.324. [122]MarxanL.Kugelmann, 11 luglio 1868, in MEW, cit., vol.XXXII,p.553. [123] Sul rapporto pensiero-ricchezza, cfr. più avanti, pp. 362-366, e H.J. Krahl, Bemerkungen zum Verhältniss von Kapital und hegelscher Wesenlogik, in Aktualität und Folgen der Philosophie Hegels, a cura di O.Negt,Frankfurta.M.,1970, pp.137-150;R.Bodei,Hegel e l’economia politica, in Hegel e l’economiapolitica,acuradiS. Veca,Milano,1975. [124] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, a cura di J. Hoffmeister, cit., Vorrede,p.13enota(trad.it. cit.,p.12enota). [125] Hegel era stato precettore a Berna presso l’aristocratica famiglia von Steiger (su questo periodo cfr.M.Bondeli,HegelinBern, Bonn, 1990, e Hegel in der Schweiz, a cura di H. Schneider e N. Waszek, Frankfurt a.M., 1997) e a Francoforte presso i ricchi mercanti di vino Gogel. Anche Kant, Fichte, Reinhold, Hölderlin ecc. passaronoattraversoilgiogo del precettorato e dovettero accettare una posizione subalterna. L’estrazione sociale dei filosofi dell’idealismo tedesco è relativamente omogenea e rinvia a un ceto sociale generalmente modesto di funzionari, pastori protestanti e artigiani; ma cfr.ancheH.Brunschwig,La crise de l’Etat prussien à la fin duXVIIIe siècle et la genèse de lamentalitéromantique, Paris, 1947,passim. [126] Cfr. J. Starobinski, Il pranzo di Torino, in «Strumenticritici»,IV(1970), pp.243-287. [127] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 281 (trad. it.cit.,vol.II,p.69). [128] Cfr. Diderot, Le neveu de Rameau, trad. it. di F. Uffredduzzi, Il nipote di Rameau, in Diderot, Il nipote diRameaueJacquesilfatalista eilsuopadrone,Torino,1965, pp. 83 ss., e L. Pozzi D’Amico, ‘Le Neveu de Rameau’ nella ‘Fenomenologia dello spirito’, in «Rivista critica di storia della filosofia», XXXV (1980), fasc. III, pp. 291-306. Si vedano anche J. Doolittle, Rameau’s Nephew. A Study of Diderot’s “secondSatire”,Genève,1960; M. Launay, Sur les intentions de Diderot dans le Neveu de Rameau, in «Diderot Studies», VIII (1966) e J. Mayer, Le thème de la tromperie chez Diderot, in Roman et lumières au XVIIe siècle,Paris,1971,pp.327ss. [129] Cfr. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce, Torino, 1955,p.17. [130]Cfr.Hegel,Grundlinien derPhilosophiedesRechts,cit., §§ 259 Z e 324 Z. La guerra ha per Hegel sostanzialmente il compito dilimitareilconsolidamento dellaproprietàedievitarela stagnazione dei popoli esponendoli al confronto. Sulla conoscenza hegeliana di Clausewitz, cfr. A.H. Hoffmann von Fallersleben, Mein Leben. Aufzeichnungen und Erinnerungen, vol. I, Hamburg, 1868, p. 311. Sulla concezione hegeliana della guerra, cfr. C.I. Smith, Hegel on War, in «Journal of History of Ideas», XXVI (1965), pp. 282 ss.; B.S. Mankowski, Aktuelle Probleme der «Philosophie des Rechts» von Hegel, in Studien zu Hegels Rechtsphilosophie in UdSSR,Moskau,1966,pp.4854; D.P. Verene, Hegel’s Account of War, in Hegel’s Political Philosophy, a cura di A.A. Pelczynski, Cambridge, 1971,pp.168-180;J.D’Hondt, L’appréciacion de la guerre révolutionnaire par Hegel, ora inId.,DeHegelàMarx, Paris, 1972, pp. 74-85; S. Avineri, Das Problem des Krieges im Denken Hegels, in Hegel im Sicht der neueren Forschung, a cura di I. Fetscher, Darmstadt,1973,pp.464-482 e, soprattutto, C. Cesa, Considerazioni sulla teoria hegeliana della guerra, in Id., Hegel filosofo politico, Napoli, 1976,pp.173-201. [131] Cfr. C.L. von Haller, Restauration Wissenschaft, 18202, trad. der StaatsWinterthur, it. di M. Sancipriano, La restaurazione della scienza politica, vol. I, Torino, 1963, pp. 77 ss. e passim; L.G.A. de Bonald, Législation primitive, Paris, 1802,pp.93ss.;W.Scott,Life of Napoleon (1827), con il causticocommentodiHegel, Auszüge und Bemerkungen, in BerlinerSchriften,cit.,pp.697698. Per la diffusione di queste idee durante la Restaurazione, cfr. E. Bagge, Les idées politiques en France sous la Réstauration, Paris, 1952. È noto il duro giudizio di Hegel sull’opera di Haller (Grundlinien der Philosophie desRechts, cit., § 258 A, trad. it. cit., pp. 215-217), che invece fu accolta con entusiasmo alla corte di Berlino, cfr. E. Reinhard, C.L. von Haller. Ein Lebensbild aus derZeitderRestauration,Köln, 1915. Su Hegel, Haller e il circolo del principe ereditario Federico Guglielmo, cfr. F. Meinecke, Weltbürgertum und Nationalstaat, München, 1969,pp.192ss. [132] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 618(trad.it.cit.,vol.III,2,p. 411). [133]HegelanNiethammer,5 luglio1816,inBriefe,cit.,vol. II,pp.85-86(trad.it.cit.,vol. II, pp. 304-305). Sul significato di questa lettera in rapporto alla Restaurazione, cfr. J. D’Hondt, Hegel en son temps, Paris,1968,pp.85-87. [134]HegelanNiethammer,5 luglio 1816, cit., p. 86 (trad. it.cit.,p.305). [135] Principale responsabilediquestafigura di uno Hegel rivoluzionario in privato è Heine, ma essa fucomuneatuttalaSinistra hegeliana. Sulle varie interpretazioni del rapporto tra Hegel e Heine, cfr. J. Zinke, Heine und Hegel. Stationen der Forschung, in «Hegel-Studien», 14 (1979), pp. 295-312. A questo propositosivedanoleparole diMarx:«RiguardoaHegelè pura ignoranza dei suoi discepoli che essi spieghino questaoquellacaratteristica del suo sistema con compromessi o cose del genere, in una parola moralisticamente. Che un filosofo cada, infatti, in questa o quella apparente incoerenza per questo o quell’accomodamento, è cosa concepibile; egli stesso può anzi esserne cosciente. Ma quello di cui egli non ha coscienzaècheciòchealui sembra solo un accomodamento ha la sua più intima radice in una insufficienza o in un insufficiente comprensione del suo stesso principio. Se quindi un filosofo stringe effettivamente un compromesso, i suoi discepoli hanno il compito dispiegare,partendodallasua coscienza intima ed essenziale, ciò che per lui stesso aveva forma di una coscienza esoterica» (Marx, Dissertation, inMEGA,I,1/1,pp.137-138). [136] Cfr. L. Salomon, Geschichte des deutschen Zeitungswesens, vol. III, Oldenburg-Leipzig, 1906, p. 206; M.A. Schenk, The Aftermath of the Napoleonic Wars, London, 1947, p. 99. SuideliberatidiKarlsbadcfr. H. von Treitschke, Deutsche Geschichte im 19. Jahrhundert, Leipzig,18975,vol.II,pp.634 ss.; J.A.R. Marriott, The Evolution of Prussia, Oxford, 1953, pp. 286 ss. Scopo di Metternich era quello di approfittare dell’uccisione del pubblicista Kotzebue, unaspiazarista,dapartedel Burschenschaftler Sand, per colpire ogni discussione politica all’interno delle università. Su Sand, le discussioni contemporanee suquestodelittopoliticoele ideedeglistudentilegatialle Burschenschaften, cfr. K.A. vonMüller,KarlLudwigSand, München,19252;K.G.Farber, Student und Politik in der ersten deutschen Burschenschaft, in «GeschichteinWissenschaft und Unterricht», XXI (1970), pp. 71 ss. Hegel non appoggiò mai, tuttavia, il nazionalismo degli studenti delle Burschenschaften e neppure quello del Fichte dei Discorsi alla nazione tedesca, tanto che in una lettera sostiene, con un gioco di parole, che tutti i discorsi sul Deutschtum, germanicità, erano per lui Deutschdumm, idiozie alla tedesca (Hegel an Paulus, in Briefe, vol. II, p. 43, trad. it. cit., vol. 2, p. 254, dove Deutschdumm è reso «Crucconia»). [137] Cfr. J. Hoffmeister, Anmerkungen ai Briefe, cit., vol. II, pp. 432 ss.; K.-H. Ilting, Einleitung alle Vorlesungen über Rechtsphilosophie, 1818-1831, cit., vol. I, pp. 44 ss. Sulla denuncia di von Cölln a Hegelcfr.M.Lenz,Geschichte der Königlichen FriedrichWilhelms-UniversitätzuBerlin, Halle, 1910, vol. II, 1, p. 89. SuAsveruscfr.P.Wentzcke, Ein Schüler Hegels aus der Frühzeit der Burschenschaft. Gustav Asverus in Heidelberg, Berlin-Jena,1920. [138] Hegel an Creuzer, 30 ottobre 1819, in Briefe, cit., vol. II, p. 220. R.P. Horstmann – nella recensione alle Vorlesungen über Rechtsphilosophie, 1818- 1831, in «Hegel-Studien», 9 (1974),pp.246-248–ponein dubbio l’ipotesi dello Ilting, che Hegel, fra l’ottobre 1819 e il giugno 1820, abbia rielaborato un manoscritto già pronto di filosofia del diritto,alloscopodisfuggire meglio alla censura. Horstmann ritiene, piuttosto, che Hegel si sia comportato come faceva sempre, abbia cioè avuto intenzione, nell’ottobre del 1819, di cominciare a far stamparesololaprimaparte del lavoro, contando di scrivere il resto a stampa iniziata. Ora, è vero che questo era l’abituale modo di composizione dei volumi hegeliani (come la Fenomenologia e l’Enciclopedia di Heidelberg), tuttavia nel nostro caso sembra che Hegel abbia effettivamente rielaborato un testo già impostato per la pubblicazione, e che il motivopercuibloccatuttoè la censura. Infatti, da una lettera di Hegel al suo editore, datata 9 giugno 1820, risulta che soltanto in quel giorno egli aveva inviato la prima parte del manoscritto,conlarichiesta che non si desse inizio alla stampa prima che l’intero manoscritto non fosse stato rimandato indietro dalla censura (cfr. Hegel an die Nicolaische Buchhandlung, 9 giugno 1820; questa lettera, scoperta dal Croce a Berlino nel 1932, venne pubblicata dapprima su «La critica», XXXVIII, 1940, p. 71 e, successivamente, in Croce, Paginesparse,Bari,19602,vol. III, pp. 313-314, e in Neue Briefe aus Hegels Berliner Periode, comunicate e illustratedaH.Schneider,in «Hegel-Studien», 7, 1972, p. 101). Poiché la prefazione alla Filosofia del diritto è datata 25 giugno 1820 e poiché egli entro il mese di giugno ha consegnato all’editoreilrestodellavoro, pare quasi certo che, fra l’ottobre 1819 e il giugno 1820, Hegel abbia realmente modificato un manoscritto relativamente già pronto. Non è chiaro, semmai, il motivo per cui Hegel volle presentare il testo della sua opera alla censura, dato che la censura preventiva si applicavaascrittiinferioriai 20 fogli (Bogen), mentre le Grundlinien raggiunsero i 24; a meno che egli non conoscesse ancora la mole complessiva del lavoro, una volta stampato, oppure volesse dimostrare di non aver nulla da temere dalla censura. Sul carattere della censura prussiana in questo periodo, cfr. B. Gerhardt, Handbuch der deutschen Geschichte, Frankfurt a.M., 19608, vol. III, p. 103. Della scomparsa del capo della censura prussiana Hegel parla con ironia in una lettera a Cotta, cfr. Hegel an Cotta, 29 maggio 1831, in Briefe, cit., vol. III, p. 342. Altreindicazionisultemain H.-Ch. Lucas, Furcht vor der Zensur? Zur Entstehungs- und Druckgeschichte von Hegels Philosophie des Rechts, in «Hegel-Studien», 15 (1980), pp.63-93. [139]HegelanNiethammer,9 giugno 1821, in Briefe, cit., vol.II,p.272. [140] Cfr. Heine, Geständnisse, cit., p. 171; Id., Briefe über Deutschland, in Werke,cit.,vol.14,p.484. [141] Cfr. J.A.R. Marriott, The Evolution of Prussia, cit., p. 286; E. Müsebeck, Das preussische Kultusministerium vor hundert Jahren, BerlinStuttgart,1918,pp.208ss.Su Altenstein, cfr. K.R. Meist, AltensteinundGans.Einefrühe politische Option für Hegels Rechtsphilosophie, in «HegelStudien», 14 (1979), pp. 3972. Altenstein era succeduto a Wilhelm von Humboldt a capodelMinisterodelculto, ora denominato Ministerium für geistliche Unterrichts- und Medizinangelegenheiten. [142] Cfr. F. Förster, 7. Sitzungsbericbt der philosophischen Gesellschaft (25-5-1861), in «Der Gedanke», vol. II (1861), fascicolo 1, pp. 76 ss.; K.A. Varnhagen von Ense, Blätter aus der preussischen Geschichte, Leipzig, 1868, vol. IV, pp. 88 ss.; cfr., per la conoscenza di Mignet e Thiers da parte di Hegel, Hegel an seine Frau, 30 settembre1827,inBriefe,cit., vol. III, p. 198. Di Mignet Hegel possedeva, inoltre, nella sua biblioteca l’Histoire de la Révolution française depuis 1789-1814, Paris, 1826 (e,sull’incontrodiHegelcon Mignet, si veda anche Y. Kniebiehler, Naissance des sciences humaines: Mignet et l’histoirephilosophiqueauXIXe siècle,Paris,1973,p.56).Sulle interpretazioni della Rivoluzione da parte di Thiers e Mignet, cfr. A. Omodeo, Studi sull’età della Restaurazione, Torino, 1970, pp. 253-277. La storia della Rivoluzione francese del Migneteragiàstatatradotta in tedesco (a cura di M.A. Wagner,Jena,1825). [143] Hegel, Conclusioni del corsodifilosofiaspeculativa,18 settembre 1806, in Dokumente zu Hegels Entwicklung, a cura di J. Hoffmeister, Stuttgart, 1936, p.352. [144]Hölderlin,DasWerden im Vergehen, in Grosse Stuttgarter Hölderlinausgabe, cit.,vol.IV,1,p.282,trad.it. di G. Pasquinelli, Il divenire nel trapassare, in Scritti sulla poesia e frammenti, Torino, 1958,p.96. [145] Cfr. R. Bodei, Lastoria congetturale. Ipotesi di Condorcet su passato e futuro, in «Mélanges de l’École Française de Rome (Italie et Mediterranée)»,108(1996),n. 2,pp.457-468. [146] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., pp. 24-25 (trad.it.cit.,vol.I,pp.22-23). [147]Cfr.Hegel,Vorlesungen über die Philosophie der Religion, a cura di G. Lasson, cit.,vol.II,p.11(trad.it.cit., vol.I,p.354). [148]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§246Z. [149] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, a cura di J. Hoffmeister, cit., Vorrede, pp. 16-17 (trad. it. cit.,p.17). [150]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§396Z. [151] Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte,acuradiK.Hegel, in Werke, cit., Berlin, 18402, vol.IX,p.134. [152]C.G.Jung,DieSymbolik des Geistes, in Psychologische Abhandlungen, vol. VI, trad. it. di O. Bovero Caporali, La simbolica dello spirito, Torino, 1959,pp.26-37. [153] Cfr. R. Unger, Herder und der Palingenesiegedanke, in Herder, Novalis, Kleist. Studien über die Entwicklung des Todesproblem in Denken und Dichtung vom Sturm und Drang zur Romantik, Frankfurt a.M., 1922 (rist. Darmstadt,1968).Cfr.anche E. Benz, Die ewige Jugend in der christlichen Mystik von Meister Eckart bis Schleiermacher, in «Eranos Jahrbuch 1971», vol. 40, Leiden, 1973, pp. 1-49. Sulla rivista «Iduna», progettata da Hölderlin, cfr. Th. Schwab, Hölderlins Werke, Stuttgart-Tübingen, 1846, vol. II, p. 299. Come origine immediatadiquestaideac’è il filosofo e naturalista ginevrino Ch. Bonnet, Palingénésie philosophique (1769), in Œuvres complètes, Neuchâtel,1781,vol.XV. [154] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 296 (trad. it. cit., vol. II, p. 92). Cfr. Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 11-12 (trad. it. cit., vol. I, p. 15): «Il ringiovanire dello spirito non è semplice ritorno alla medesima forma, ma è catarsi, rielaborazione di sé. Attraverso l’adempimento delsuocompito,essosicrea nuovicompiti,moltiplicando la materia del suo lavoro. Così vediamo nella storia lo spirito espandersi in una quantità inesauribile di direzioni, e in ciò godersi e soddisfarsi. Tuttavia il suo lavorohal’unicorisultatodi aumentare di nuovo la sua attività, e di consumarsi di nuovo». [155]HegelanVanGhert, 15 ottobre 1810, in Briefe, cit., vol.I,p.329(trad.it.cit.,vol. II, pp. 105-106). Cfr. Hegel an Cousin, 5 aprile 1826, in Briefe, cit., vol. III, p. 110: «j’appris de même avec grand plaisir la position intéressanteparrapportàla jeunesse dans laquelle vous soutenez et nourrissez le besoin de la pensée; c’est auxindividusqu’estdévolue la conservation des progrès de l’esprit et de la philosophie». [156] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 578(trad.it.cit.,vol.III,2,p. 368). [157] Hegel, Fragmente historischen Studien, in Dokumente zu Hegels Entwicklung,cit.,pp.264-265. [158] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften, §§ 62-64; Id., SolgersnachgelasseneSchriften und Briefwechsel, in Berliner Schriften,cit.,pp.155-220. [159] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie, cit., p. 7 (trad. it. cit.,p.6). [160] Sul ruolo dell’introduzione della coscienza comune alla scienza, cfr. più avanti, pp. 191ss.e355ss. [161] Cfr. Hegel, Jenenser Realphilosophie II, cit., p. 273 (trad.it.cit.,p.216). [162] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften,§42Z1. [163] Hegel, Jenenser Realphilosophie II, cit., pp. 180-181 (trad. it. cit., p. 107). Su questo passo hanno attirato l’attenzione A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel (1947), Paris, 19622, p. 573 (trad. it. di F. Frigo, Introduzione alla lettura diHegel,Milano,1996,p.716; di questo testo esiste anche la traduzione parziale di P. Serini, con nuova Introduzione di R. Bodei (Il desiderio e la lotta), La dialetticael’ideadellamortein Hegel, Torino, 1991); A. Massolo,«DieSpracheaberist das Wahrhaftere», in A. Massolo, La storia della filosofia come problema, Firenze,1967,pp.198-199;V. Verra, Storia e memoria di Hegel, in Incidenza di Hegel, a cura di F. Tessitore, Napoli, 1970,p.345. [164] Nächtliche Schacht. Mi scosto qui dalla traduzione del Croce, che rende l’espressione genericamente «fondotenebroso». [165]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§453A(trad. it. di B. Croce, Enciclopedia delle scienze filosofiche, cit., p. 413).Suquestotestoelesue implicazioni, cfr. J. Derrida, Le puits et la pyramide, in Hegel et la pensée moderne, testi pubblicati sotto la direzione di J. D’Hondt, Paris, 1970, pp. 27-83, ora anche in J. Derrida, Marges de la philosophie, Paris, 1972, pp. 79-127 (trad. it. di M. Iofrida, Il pozzo e la piramide. Introduzione alla semiologia di Hegel, in Margini della filosofia, Torino, 1997, pp. 105-152). [166] Hegel, Jenenser Realphilosophie II, cit., p. 184 (trad. it. cit., p. 110). Su questa «notte della conservazione» si veda C. Mazzocchi, Riconoscimento, libertà e Stato. Saggi sull’etica hegeliana, Pisa, 2012, pp. 85134. [167] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie,cit.,vol.XIII,p.52 (trad.it.cit.,vol.I,p.50). [168]Hegel,Aphorismen aus der Jenenser Periode, cit., p. 540 (trad. it. cit., p. 61 nota 18). [169]Cfr.Hegel,Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIII, pp. 90-91 (trad. it. cit., vol. I, p. 89). [170] Heine, Lutetia, in Werke,cit.,vol.IX,p.348.La tematica del sogno e del mondo «notturno» era in quelperiodoassaidibattuta: oltre che da Novalis, da Carus, da Jean Paul, ecc., anche da Gotthilf Heinrich von Schubert, collega di Hegel a Norimberga e autore, nel 1814, di una Simbolica del sogno; cfr. A. Beguin,L’âmeromantiqueetle songe, Paris, 1939, trad. it. di U.Pannuti,L’animaromantica e il sogno, Milano, 1967, in particolare le pp. 151 ss. Ma sulla radicale differenza fra queste impostazioni romantiche e l’atteggiamento di Hegel, volto alla «veglia» e al dominio del mondo notturno, esistono diversi testi.Curioso,daunpuntodi vista biografico, è il contrasto fra Hegel e Schubert, quale venne rilevato da Clemens Brentanoduranteunviaggio a Norimberga: «Ho visto a Norimberga Hegel, l’onesto uomo di legno; leggeva il LibrodeglieroieiNibelunghie se li traduceva in greco per poterne gustare la bellezza! Ma ho incontrato anche Schubert,ilfilosofocandido, quell’essere così virginale, dolce e commovente; ha l’ariadiunpulcinocheabbia spezzato il guscio e resti, attonito, a guardare la luce delgiorno»(ClemensBrentano an Joseph v. Görres, inizio 1810, in J. von Görres, Gesammelte Schriften, sezione II, vol. II, Freundesbriefe 1802 bis 1821, München, 1874, p. 75). [171] über Hegel, Vorlesungen die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIV, p. 260 (trad. it. cit., vol. II, p. 272). [172] Ibid., p. 245 (trad. it. cit., vol. II, p. 257). Per un inquadramentofilologicodel testo dei quaderni della Storiadellafilosofia hegeliana su Platone, cfr. J.L. VeillardBaron,Les leçons de Hegel sur Platon dans son Histoire de la philosophie, in «Revue de MétaphysiqueetdeMorale», LXXVIII(1973),pp.385-419. [173] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIV, p. 240 (trad. it. cit., vol. II, p. 252). [174] Hegel, Die Vernunft in der Geschichte, a cura di J. Hoffmeister, Hamburg, 19555, p. 149. Sul rapporto con Rousseau, cfr. R. Polin, Philosophie du droit et Philosophiedel’histoired’après «LesPrincipesdelaphilosophie du Droit», in L’esprit objectif. L’unité de l’histoire. Actes du IIIe Congrès International de l’Association Internationale pour l’étude de la philosophie de Hegel, Lille, 1970, pp. 259 ss. [175]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften, § 3 (trad. it. cit.,p.4). [176] Hegel, Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X2, p.340(trad.it.cit.,p.772). [177]Cfr.Hegel,Fortsetzung des «Systems der Sittlichkeit», in Dokumente zu Hegels Entwicklung,cit.,pp.324-325; Hegel,GlaubenundWissen,in Jenaer kritische Schriften, in Gesammelte Werke, vol. IV, cit.,pp.383ss.(trad.it.diR. Bodei, Fede e sapere, in Primi scritticritici,cit.,pp.211ss.). [178] G. Lukács, Ontologie des gesellschaftlichen Seins. Hegels falsche und echte Ontologie, Neuwied-Berlin, 1971, p. 67. Sebbene Hegel, come rettore del ginnasio di Norimberga nella Baviera prevalentemente cattolica, impongaperdovered’ufficio agli allievi cattolici l’obbligo dellacomunionequotidiana, egli è contrario a un ossequio semplicemente esteriore, come quello teorizzato da Napoleone dopo il concordato con la Chiesa: «Eh bien […], andremo di nuovo a messa, e i miei veterani diranno: – Questa è la parola d’ordine» (Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 887, trad. it. cit., vol. IV, p. 158). Hegeldiffidaperòdell’utopia della Chiesa nei confronti dello Stato, che può degenerare in fanatismo: «il fanatismodellaChiesaconsiste nel voler trasportare l’eterno, il regno del cielo in quanto tale sulla terra, cioè in opposizione alla realtà dello Stato, nel conservare il fuoco nell’acqua» (Hegel, Jenenser Realphilosophie II, cit., p. 270, trad. it. cit., p. 213). Sui rapporti Stato-Chiesa in Hegel, cfr. G. Schmidt, Die Religion in Hegels Staat, in «Philosophisches Jahrbuch», LXXIV (1967), pp. 294-309. Sul valore di posizione della religione, anche in rapporto allo Stato, nel sistema hegeliano, cfr. A. Chapelle, Hegel et la religion, vol. I, Paris,1964;vol.II,Paris,1967 (con qualche spunto interessante) e Hegel and the Philosophy of Religion. The WoffordSymposium,acuradi D.E.Christensen,TheHague, 1970 (dove spicca solo il saggio di D. Henrich, Some Historical Presuppositions of Hegel’s System, pp. 25-44, peraltro limitato agli scritti giovanili). [179] V. Cousin, Souvenirs d’Allemagne, cit., p. 617. Cfr. Hegel, Vorlesungen über die PhilosophiederReligion,acura diG.Lasson,cit.,vol.I,p.69 (trad. it. cit., vol. I, p. 123): «La religione è per tutti gli uomini. Essa non è la filosofia,chenonèpertutti. La religione è la specie e il modo con cui tutti gli uomini son coscienti della verità e i modi son precipuamente il sentimento, la rappresentazione e poi anche il pensiero intellettuale». [180]Cfr.H.vonTreitschke, Deutsche Geschichte im 19. Jahrhundert, cit., vol. III, p. 401. [181] Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Religion, a cura di Ph. Marheineke, cit., vol. XII, p. 253. Cfr. Jenenser Realphilosophie II, cit., p. 266 (trad.it.cit.,p.209). [182] This bank and shoal of time: Shakespeare, Macbeth, atto I, scena 7. Hegel usa talvolta l’espressione «domenicadellavita»anche perlafilosofiaeperl’artee, in sostanza, per tutte le articolazioni dello «spirito assoluto»dell’Enciclopedia. [183] Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Religion, a cura di G. Lasson, cit., vol. I, pp. 2-3 (trad. it. cit., vol. I, pp. 62-63). Sull’idea hegeliana dell’amore segnalo, tra i tanti contributi, quello di C. Melica, Il concetto dell’amore in Hegel, in Intersubjectivité et théologie philosophique. Textes réunis par M.M. Olivetti, Padova, 2001, pp. 625-649, incentrato soprattutto sulla prospettiva dell’estetica e dellareligione. [184] Cfr. Hegel, Philosophie derWeltgeschichte,cit.,p.105 (trad. it. cit., vol. I, p. 122). Sulnessocomunitariochela religione istituisce tra gli uomini e, più in generale, sul significato di Dio in Hegel, cfr. C. Melica, La comunità dello spirito in Hegel, Trento, 2007 (Pubblicazioni di Verifiche 40), in particolarepp.215-235. [185]Ilsignificatodiquesto termine rinvia all’espressione latina ius positivum, spesso in contrapposizione allo ius naturale, cui corrisponde la parola tedesca per «legge» Gesetz (dal verbo setzen, porre, nel senso appunto di «porre»o«imporre»,percui, ad esempio, il titolo del saggiohegelianoLapositività della religione cristiana si riferisce alla Chiesa, che dopo i suoi primi tempi, si organizzae,venendoapatti conilmondo,imponeconla sua autorità credenze, orientamenti e precetti ai propri fedeli e perfino agli Stati). [186]Traipaesiprotestanti Hegel comprende tutti i paesi «nordici» (anglosassoni e scandinavi), cfr.W.H.Walsh,Principleand Prejudice in Hegel’s Philosophy of History, in Hegel’s Political Philosophy. Problems and Perspectives, cit., pp. 181-182. Sulla trasformazione subìta dal cristianesimo in Hegel, «come se Cristo avesse frequentato le sue lezioni», cfr. F. Schnabel, Deutsche Geschichte im 19. Jahrhundert. Die religiöse Kräfte, 4 voll. Freiburgi.B.,1929-1937,trad. it. di M. Bendiscioli, Storia religiosa della Germania nell’Ottocento, Brescia, 1944, p.476. [187] C.L. von Haller, Restauration der StaatsWissenschaft, trad. it. cit., p. 76. [188]Ibid.,p.121. [189] Per il gran numero di studenti delle università tedesche del tempo, cfr. W. Jacob, A View of Agricolture, Manifacture, Statistics and StateofSocietyofGermanyand Parts of Holland and France, London, 1820, p. 231. Per la polemica hegeliana sulla religione, cfr., ad esempio, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, Vorrede all’edizione 1827 e §§ 572 e 573 A (ed. 1830, cfr. trad. it. cit.,pp.515-527). [190] Cfr. Hegel, Vorrede zu Hinrichs Religionsphilosophie, in Berliner Schriften, cit., pp. 74-75. Sull’antipatia che Hegel provava per Schleiermacher si veda la testimonianza di Karl AugustVarnhagenvonEnse: «Alezioneilsignorprofessor Hegel,accennandoaTersite, lo ha definito un briccone piccoloegobbo,comeoggidì senevedrebberoancoratrai nostri demagoghi intriganti. Da ancor più precisi ragguagli era chiaro che aveva di mira Schleiermacher. Gli studenti si agitarono battendo i piedi insegnodidisapprovazione» (Tagebuch, in Blätter aus der preussischen Geschichte, Leipzig, 1868-1869, vol. II, p. 320 e cfr. L. Sichirollo, Ritratto di Hegel, Roma, 1996, p. 91). Per un bilancio delle loro reciproche posizioni, cfr. A. Arndt, Schleiermacher und Hegel. Versuch einer Zwischenbilanz, in «HegelStudien», 37 (2002), pp. 5567. Tra la vasta letteratura sul tema della religione si veda E.W. Böckenförde, Bemerkungen zum Verhältnis von Staat und Religion bei Hegel, in «Der Staat», XXI (1982),pp.481-503. [191]Hegel,Einleitung in die GeschichtederPhilosophie,cit., p.287. [192] Ibid., p. 286. In questi periodi, in cui «l’esistenza politica si rovescia, la filosofia ha il suo posto, e alloracapitachenonsoloin generale si pensa, ma il pensieroprecedeerimodella la realtà effettuale (geht der Gedanke voran und bildet die Wirklichkeit um). Infatti, quando una figura dello spirito non è più soddisfacente, la filosofia fornisceunocchioacutoper individuare ciò che non soddisfa» (ibid.). Anche questo sembra essere il compitodellacivetta. [193] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., § 268Z(trad.it.cit.,p.376). [194] Ibid., § 265 Z (trad. it. cit.,p.375). [195] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. II, p. 410 (trad.it.cit.,vol.II,p.860). [196] Hegel, Rede zum Antritt des philosophischen Lehramtes an der Universität Berlin,cit.,p.4. [197]HegelanSinclair,inizio 1813, in Briefe, cit., vol. II, p. 6, trad. it. cit., vol. II, p. 216. La libertà di espressione della filosofia – dice Hegel a propositodiSocrate–riposa su «un tacito accordo con lo Stato»,perchéloStato,asua volta, poggia «essenzialmente sul pensiero, e la sua sussistenza dipende dai sentimenti degli uomini; esso è di fatti un regno spirituale, non già fisico. E quindi ha massime e principichenecostituiscono l’ossatura, e se questi vengono assaliti, il governo deve intervenire» (Hegel, Vorlesungen über die GeschichtederPhilosophie,cit., vol. XIV, p. 95, trad. it. cit., vol.II,p.98).Cfr.Grundlinien der Philosophie des Rechts, a cura di J. Hoffmeister, cit., Vorrede,p.11(trad.it.cit.,p. 10), a proposito di Fries e di De Wette, vittime della «persecuzione dei demagoghi»: «Ancora meno è da meravigliarsi, se i governi hanno rivolto infine l’attenzione a siffatta filosofia, poiché altresì da noi la filosofia non è esercitata,comeforsepresso i Greci, quale arte privata, ma ha pubblica esistenza, riguardante il pubblico, particolarmente o unicamente al servizio dello Stato. Se i governi han dimostrato ai loro dotti, consacrati a questa professione, la fiducia del rimettersi del tutto a loro, per lo sviluppo e il contenuto della filosofia […] questa fiducia è stata loro più volte mal compensata». Siamo qui di fronte a una delle posizioni più illiberali di Hegel e a poco serve affermare che Hegel attacca qui Fries per divergenze di carattere ideologico e non personale (come fa J. D’Hondt, Hegel en son temps, cit., pp. 121 ss.). D’altro canto, non è neppure chiaro se Hegel riconosca ora al filosofo il dovere di entrare in collisione con lo Stato, come nel caso dei philosophes. È probabile che, in un momento di crisi politica quale quella seguìta ai deliberati di Karlsbad, Hegel ritenesse opportuno usare una tattica più sottile per evitare lo scontro frontale,inciòd’accordocon gli altri riformisti prussiani. Più tardi, quando si sentirà sicuro, Hegel giungerà persino a respingere le pretese del ministero nel giudicare problemi culturali (cfr. Hegel, Berliner Schriften, cit., p. 617) e a difendere pubblicamente Cousin arrestato e imprigionato comesovversivo,attirandosi l’inimicizia del capo della polizia von Kamptz. Su questo episodio cfr. P. Becchi, Hegel e Cousin, cit., pp.220-221. [198]HegelanNiethammer,9 giugno 1821, in Briefe, cit., vol.II,p.271. [199] Cfr. H.F. Fulda, Das Recht der Philosophie in Hegels Philosophie des Rechts, Frankfurt a.M., 1968, pp. 29 ss.Sull’opinionepubblicaeil suolegameconlacoscienza comune, cfr. Hegel, GrundlinienderPhilosophiedes Rechts, cit., §§ 315-319 (trad. it.cit.,pp.271-277). [200] Cfr. J. Habermas, Strukturwandel der Öffentlichkeit, Neuwied, 1962, trad. it. di A. Illuminati, F. MasinieW.Perretta,Storiae critica dell’opinione pubblica, Bari,1971,pp.143ss. [201]Hegel,Aphorismen aus der Jenenser Periode, cit., p. 543 (trad. it. cit., p. 63 nota 32). Sulla attività giornalistica di Hegel, cfr. soprattutto W.R. Beyer, Zwischen Phänomenologie und Logik. Hegel als Redakteur der Bamberger Zeitung, Frankfurt a.M., 1955. Anche Brandes, considerandoquelcheaveva contribuito di più al progresso dello Zeitgeist in epoca recente, poneva dopo la Rivoluzione francese e l’ideadiprogressostessa«la veloce diffusione degli avvenimenti e delle idee del giorno attraverso giornali, riviste e brochures» (E. Brandes, Betrachtungen über den Zeitgeist in Deutschland in den letzten Dezennien des vorigen Jahrhunderts, Hannover, 1808, p. 180). Sull’abitudine di Hegel di leggere e commentare le notizie politiche, da giornali e riviste, insieme ai discepoli,cfr.K.Hegel,Leben und Erinnerungen, Leipzig, 1900,p.10. [202]HegelanNiethammer,9 giugno 1821, in Briefe, cit., vol.II,p.271. [203] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., § 279Z(trad.it.cit.,p.383). [204] Ibid. § 274 Z (trad. it. cit., p. 381). Cfr. Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 932 (trad. it. cit., vol. IV, p. 212): «La preponderanzaesteriorealla lunga è impotente: Napoleone poté costringere tanto poco la Spagna alla libertà, quanto Filippo II l’Olanda alla servitù». Di Napoleone, tuttavia, Hegel ha notoriamente apprezzato l’introduzione in Germania, ai tempi del regno di Vestafalia sotto Girolamo Bonaparte, del Codice civile napoleonico,mentreiltanto decantato Preussisches Allegemeines Landrecht prussiano che, sul piano penale, sostituiva le pene corporali anche minime con la reclusione, in uno scritto andato perduto gli era apparso molto più crudele: «Non è questa roba da Irochesi, che passano il tempo a pensare alle pene deiloronemiciprigionieried esercitano con voluttà ogni nuovo tipo di tortura?» (citato in K. Rosenkranz, Hegels Leben, trad. it. cit., p. 253). [205] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., § 138 Z (trad. it. cit., pp. 341342). [206] Ibid., § 47 A (trad. it. cit.,p.145). [207] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 924925 (trad. it. cit., vol. IV, p. 203). [208] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften,§552A(trad. it.cit.,pp.496-497). [209] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 925 (trad.it.cit.,vol.IV,p.203). [210] V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletanadel1799,acuradi F. Nicolini, Bari, 1913, p. 95. Del libro di Cuoco uscì una recensione sulla «Minerva» di Archenholz: cfr., nell’ed. del Saggio storico appena citata, la Prefazione alla secondaedizione,p.7. [211] V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, cit., p. 212. Sulla natura delle rivoluzioni in Cuoco, cfr. ibid., p. 15: «Le grandi rivoluzioni politiche occupano nella storia dell’uomoquelluogoistesso che tengono i fenomeni straordinari nella storia dellanatura.Permoltisecoli le generazioni si succedono tranquillamente come i giorni dell’anno: esse non hanno che i nomi diversi, e chi ne conosce una le conosce tutte. Un avvenimento straordinario sembra dar loro una nuova vita, nuovi oggetti si presentanoainostrisguardi; e in mezzo a quel disordine generale, che sembra voler distruggere una nazione, si scoprono il suo carattere, i suoi costumi e le leggi di quell’ordine,delqualeprima si vedevano solamente gli effetti». [212] Hegel an Niethammer, 29 aprile 1814, in Briefe, cit., vol.II,pp.28-29(trad.it.cit., vol. II, p. 240): «Grandi cose sonoaccaduteintornoanoi. È uno spettacolo straordinario vedere un enomegeniodistruggersida sé. Questo è il tragikotaton checisia.L’interamassadei mediocri, con un’assoluta, pesante, forza di gravità, preme incessantemente e implacabilmente finché non ha ridotto al suo stesso livellooaunlivelloinferiore ciòcheèsuperiore». [213] Cfr. Hegel, Die Heidelberger Niederschrift der Einleitung (Beginn der Vorlesung am 28. X. 1816), in EinleitungindieGeschichteder Philosophie,cit.,p.4. [214] Cfr. Marriott, The Evolution of Prussia, cit., p. 289. Sull’atteggiamento di Metternich nei confronti della cultura e sul giudizio negativo che egli dava della filosofia hegeliana, cfr. H. von Srbik, Metternich. Der Staatsmann und der Mensch, vol. I, München, 1925, pp. 492 ss.; vol. III, München, 1954,p.184. [215] Cfr. H. Rosenberg, Bureaucracy, Aristocracy and Autocracy. The Prussian Experience 1660-1815, Cambridge, Mass., 1966, pp. 205 ss.; R.R. Palmer, The Age of the Democratic Revolution, Princeton,1959-1964,trad.it. di A. Castelnuovo Tedesco, L’era delle rivoluzioni democratiche, Milano, 1971, pp. 993 ss. Il ministro prussiano Struensee così si esprimeva parlando con un francese:«Quellarivoluzione chevoiavetefattodalbasso, si attuerà in Prussia per gradi.Ilre,amodosuo,èun democratico. Sta lavorando costantemente a limitare i privilegi della nobiltà. Fra pochi anni non ci saranno più in Prussia classi privilegiate» (cfr. J. Droz, L’Allemagne et la Révolution française, Paris, 1949, p. 109). «Princìpi democratici in governomonarchico.Questa mi pare la formula per fissare lo spirito dell’epoca» (Hardenberg, citato in Die Reorganisation des preussischen Staates unter Stein und Hardenberg, a cura di G. Winter, Leipzig, 1931, vol. I, p. 306). Per gli avvenimenti prussiani di questo periodo e per l’opera dei riformisti, cfr. soprattutto Kampf um Freiheit. Dokumente zur Geschichte der Nationalen Erhebung1785-1815,acuradi W. Markow e F. Donath, Berlin, 1954; G. Ritter, Stein. Eine politische Biographie, Stuttgart, 19583; W. Gembruch, Freiherr von Stein im Zeitalter der Restauration, Wiesbaden, 1960; R. Koselleck, Staat und Gesellschaft in Preussen 18151848, in AA.VV., Staat und Gesellschaft im deutschen Vormärz, Stuttgart, 1962, pp. 79-112;R.C.Raack,TheFallof Stein, Cambridge, Mass., 1965. Sulle vicende e la debolezza del riformismo prussiano, cfr. W.F. Simson, The Failure of the Prussian Reform Movement, 1807-1819, Ithaca, N.Y., 1955. Spunti notevoli anche in L. Krieger, The German Idea of Freedom, Boston, 1957. Su Altenstein come difensore degli studenti perseguitati, cfr. J. D’Hondt, Hegel en son temps, cit.,pp.71ss. [216] Cfr. Kant, Metaphysik derSitten,Rechtslehre,parteI, cap.III,§41.Suidiscepolidi Kant nella burocrazia prussiana,cfr.H.Rosenberg, Bureaucracy Aristocracy and Autocrary. The Prussian Experience 1660-1815, cit., p. 189. Sulla rivoluzione nel regno del pensiero, iniziata da Kant, che dovrà poi rifluire nella realtà, cfr. già l’articolo del «Moniteur» del 3 gennaio 1796, dove si dice che Kant ha portato in Germania una rivoluzione negli spiriti «pareille à celle que les vices de l’ancien régime ont laissé arriver en France dans les choses» (cit. in G. Eisermann, Die Grundlagen des Historismus in der deutschen Nationalökonomie, Stuttgart, 1956,p.76)e,inoltre,J.Droz, La pensée politique et morale desCisrhénans,Paris,1940,p. 39. [217] Altenstein, cit. in Die Reorganisation des preussischen Staates unter Stein und Hardenberg, a cura di G. Winter, cit., vol. I, p. 462. [218]Cfr.R.Koselleck,Staat und Gesellschaft in Preussen 1815-1848, cit., p. 86 nota. Si vedano anche E. Weil, Hegel et l’État, Paris, 1950, trad. it. Hegel e lo Stato e altri scritti hegeliani, Milano, 1988; R. Hočevar, Hegel und der preussische Staat. Ein Kommentar zur Rechtsphilosophie von 1821, München, 1973; G. Ahrweiler, Hegels Gesellschaftslehre, Neuwied, 1976; G. Pavanini, Hegel e il BeamtenstandnellaPrussiatra riforma e restaurazione, in AA.VV., Per una storia del moderno concetto di politica, Padova, 1977, pp. 257-296; P. Alpino, Stände e Stato nella «Filosofia del diritto», in «Rivistacriticadistoriadella filosofia», XXV (1980), fasc. III, pp. 252-269; Von der ständischen zur bürgerlichen Gesellschaft. Politisch-soziale Theorien im Deutschland der zweiten Hälfte des 18. Jahrhunderts, a cura di Z. Batscha e J. Garber, Frankfurt a.M., 1981, e la monumentale opera di K. Vieweg, Das Denken der Freiheit.HegelsGrundliniender Philosophie des Rechts, München, 2012. Sul variare delle interpretazioni di Hegel rispetto al suo presente storico, cfr. K.R. Meist, Differenzen in Hegels Deutung der ‘Neuesten Zeiten’ innerhalbseinerKonzeptionder Weltgeschichte, in Hegels Rechtsphilosophie im Zusammenhang der europäischen Verfassungsgeschichte, a cura diH.-Ch.LucaseO.Pöggeler, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1986,pp.465-504. [219] M. Duncker, Aus der ZeitFriedrichsdesGrossenund FriedrichWilhelmsIII,Leipzig, 1876,pp.503ss. [220]R.Koselleck,Staatund Gesellschaft in Preussen 1815- 1848,cit.,p.86. [221] E.G.G. von Bülow- Cammerow, Preussen, seine Verwaltung,seinVerhältniszu Deutschland, Berlin, 18432, p. 187. [222]Cfr.O.Camphausenan R.Camphausen, 10 novembre 1843, in Rheinische Briefe und Akten zur Geschichte der politischen Bewegung 1830- 1850, Essen, 1919, vol. II, p. 609. [223] Cfr. H. Schneider, Der preussische Staatsrat, München-Berlin, 19522, pp. 110ss. [224] Ibid. Sull’amore dei tedeschi per i titoli, che ha «un parallelo solo nella ricerca di una lunga lista di nomi da parte degli spagnoli» e quindi sulla loro identificazione con la funzione ricoperta, cfr. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§394Z. [225] Hippel an Hardenberg, 13 ottobre 1821, in R. Koselleck, Staat und Gesellschaft in Preussen 18151848, cit., p. 109. Considerazioni analoghe sull’epoca «veloziferische» erano state espresse da Goethe (cfr. Wilhelm Meister Wanderjahre, in Gesammelte Werke, Weimarer Ausgabe, sezione I, vol. XLII, pp. 170 ss.). [226]Cfr.R.Koselleck,Staat und Gesellschaft in Preussen 1815-1848,cit.,p.90. [227] E. Gans, Beiträge zur Revision der preussischen Gesetzgebung,Berlin,1830,p. 6. Sui rapporti fra Hegel e Gans, cfr. M. Riedel, Hegel und Gans, in AA.VV., Natur und Geschichte. Karl Löwith zum70.Geburtstag,Stuttgart, 1967,pp.257-273. [228] Gramsci, Il materialismo storico e la filosofiadiB.Croce,cit.,p.185. [229] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., § 318Z(trad.it.cit.,p.391). [230] Ibid., § 316 Z (trad. it. cit.,p.390). [231] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.28(trad.it. cit., vol. I, p. 27). Sull’interpretazione hegeliana del Parmenide di PlatonesivedanoW.Künne, Hegel als Leser Platos. Ein Beitrag zur Interpretation des platonischen «Parmenides», in «Hegel-Studien», 14 (1979), pp. 109-146; A. Cavarero, Platone e Hegel interpreti di Parmenide, in AA.VV., La scuola Eleatica, Napoli, 1988, pp. 81-99, e R. Santi, Platone, Hegel e la dialettica. In appendice la dissertazione del 1823 di Ch. A. Brandis, Prefazione di Milano,2000. G. Reale, [232] Cfr. Hegel, Verhältnis des Skeptizismus zur Philosophie. Darstellung seiner verschiedenen Modifikationen und Vergleichung des neuesten mit den alten, in Jenaer kritischeSchriften,inWerke in zwanzig Bänden, cit., vol. 2, trad. it. di N. Merker, Rapporto dello scetticismo con lafilosofia,Roma-Bari,1977;e si vedano sul tema: G. Varnier, Lo scetticismo nell’evoluzione della dialettica. Sul suo significato logico e gnoseologiconelprimopensiero jenese di Hegel, in «Giornale critico della filosofia italiana», LXVI/II (1987), pp. 283-312 (ma, per un più ampio inquadramento del sorgere della dialettica cfr. Id., Ragione negatività autocoscienza, Napoli, 1990, in particolare pp. 86 ss.); M.N. Forster, Hegel and Skeptizismus, Cambridge, Mass., 1989; K. Vieweg, Philosophie des Remis. Der junge Hegel und das Gespenst des Skeptizismus, München, 1999; Id., Il pensiero della libertà. Hegel e lo scetticismo pirroniano, Pisa, 2007; M. Biscuso, Hegel, lo scetticismo antico e Sesto Empirico, Napoli, 2005. Un peso, non sempre adeguatamente valutato, ha nella nascita della dialettica anche la dimensione etico-politica, cfr. R. Finelli, Mito e critica delle forme. La giovinezza di Hegel1770-1801,Roma,1996. [233] Antritt Hegel, Rede beim des philosophischen Lehramtes an der Universität Berlin,cit.,pp.19-20. [234] Cfr. A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel, cit.; Id., Entretiens avec Gilles Lapouge, in «La Quinzaine Litteraire», n. 53 (1-15luglio1968),cfr.trad.it. di N. De Sanctis, in «Studi Urbinati», n.s. B, XLII (1968), n. 1, pp. 195-203. Questa interpretazione di Kojève si basa anche sull’interpretazione del «sapere assoluto» come eliminazione del tempo, cfr. più avanti, pp. 212-214. Sul problema, da una prospettiva diversa, cfr. R.K. Maurer, Hegel und das Ende der Geschichte, Stuttgart, 1965; Id., Hegel et la fin de l’histoire, in «Archives de philosophie»,XXX(1967),pp. 483-518; G. Bataille, A. Kojève, J. Wahl, E. Weil e R. Queneau, Sulla fine della storia. Saggi su Hegel, a cura diM.CiampaeF.DiStefano, Napoli, 1985; R. Bouton, Hegel penseur de la «fin de l’histoire»?, in Après la fin de l’histoire, a cura di J. Benoist e F. Merlini, Paris, 1998, pp. 91-112.Peralcuneriflessioni più generali sull’argomento, cfr.E.Weil,Lafindel’histoire, in «Revue de Métaphysique et de Morale», LXXV (1970), pp. 377-384; M. Vegetti, La fine della storia. Saggio sul pensiero di Alexandre Kojève, Milano, 1999; Id., Hegel e i confini dell’Occidente. La Fenomenologia nelle interpretazioni di Heidegger, Marcuse, Löwith, Kojève, Schmitt, Napoli, 2005, pp. 255-335 e più avanti, pp. 114-115,152nota95,224. [235] Hegel, Conclusioni del corsodifilosofiaspeculativa,18 settembre 1806, cit., e cfr. sopra, p. 80, e più avanti p. 197. [236] Cfr. F. Fukuyama, The End of History and the Last Man, New York, 1992, trad. it.Lafinedellastoriael’ultimo uomo, Milano, 1992, il quale ritiene che, con la sconfitta del comunismo e la conclusione della Guerra fredda, il capitalismo e la democrazia abbiano raggiunto uno stadio ormai insuperabile. [237] Cfr. D. Auffret, La philosophie, l’État, la fin de l’histoire,Paris,2002,e,piùin generale, M. Filoni, Il filosofo della domenica. La vita e il pensiero di Alexandre Kojève, Torino,2008. [238] Hegel, Wissenschaft derLogik,cit.,vol.I,p.5(trad. it.cit.,vol.I,p.5). [239] Hegel, Verhandlungen in der Versammlung der Landstände des Königsreichs Württenberg im Jahre 1815 und 1816, in Schriften zur PolitikundRechtsphilosophie,a cura di G. Lasson, Leipzig, 19232, p. 199, trad. it. Valutazionedegliattiastampa dell’assemblea dei deputati del regno del Württenberg negli anni 1815 e 1816, in Hegel, Scritti politici 1798-1831, a curadiC.Cesa,Torino,1972, p. 181. Anni ricchi, certo, di storia ma anche di paure e di speranze che non si sono ancora esaurite: «Ho quasi cinquant’anni e ne ho trascorso trenta in questi tempiinquietiditimoreedi speranzaesperavochefosse unabuonavoltafinitaconil timore e la speranza. Ora devo constatare che tutto continua come prima e anzi – vien da pensare nelle ore più nere – tutto si inasprisce»(HegelanCreuzer, inBriefe,cit.,vol.II,p.219). [240] Cfr. R. Bodei, «MetaphysikderZeit»inHegels Geschichte der Philosophie, in Hegels Logik der Philosophie, a cura di D. Henrich e R.-P. Horstmann, Stuttgart, 1984, pp.84-85. [241] K. Rosenkranz, Hegels Leben,trad.it.cit.,p.127:«In autunno andò a Tubinga, in autunno a Bamberga, in autunno a Norimberga, in autunno a Heidelberg, in autunno a Berlino e in autunno morì; è questo uno di quegli strani aspetti dell’umanodestino,dicuisi preferirebbe scoprire il motivo nell’individualità stessa, e per cui si potrebbe definire Hegel una natura autunnale,unfruttomaturo esuccoso». [242] Sull’«assioma di chiusura» che sarebbe presente in Hegel, cfr. le osservazioni di S. Veca, Sul Capitale, in Marxismo e critica delle teorie economiche, a cura di S. Veca, Milano, 1974, pp. 191-193: «Il sistema hegeliano si presenta come il massimo possibile di filosofia, come la teoria più potente compatibile con le condizioni e i limiti della metafora ideologica del filosofico […] La grandezza di Hegel – non il suo limite, come a volte si è banalmente creduto – sta proprio nell’aver saputo e potuto portare il sistema dell’ideologia alla sua chiusura […] Un particolare assioma di chiusura presiede all’organizzazione della filosofia classica nella forma hegeliana. […] Il problema di Hegel diventa quello di poter pensare, senza residui, il complesso ditrasformazionichedanno luogo al dominio del presente. Quali le condizioni di pensabilità del mondo storico-istituzionale del capitalismo? Questo compito costringe Hegel a misurarsi con la contraddizione; porta al limite estremo di tensione un sistema teorico che deve poter risolvere continuamente e senza residui la discontinuità in continuità, l’eterogeneità in omogeneità, il passato in presente».Sulsignificatodel sistema hegeliano cfr., tra i tantitestipubblicati,l’utilee precisa messa a punto di A. Nuzzo, System, Bielefeld, 2003. [243] Cfr. K.R. Popper, The Poverty of Historicism, London, 1944; Id., Prediction and Prophecy in the Social Science, in Conjectures and Refutations, London, 1963, trad. it. di G. Pancaldi, Previsione e profezia nelle scienze sociali, in Congetture e confutazioni,Bologna,1972,p. 588. [244] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 200 (trad.it.cit.,vol.I,p.234). [245] Ibid., p. 174 (trad. it. cit.,vol.I,pp.201-202). [246] Ibid., p. 897 (trad. it. cit.,vol.IV,p.170). [247] Hegel, Die Positivität der christlichen Religion, in Theologische Jugendschriften, cit., pp. 140-141, trad. it. di N. Vaccaro e E. Mirri, La positività della religione cristiana, in Scritti teologici giovanili,cit.,pp.220-221. [248]Cfr.Hegel,Grundlinien derPhilosophiedesRechts,cit., §§ 244-244 Z-245 (trad. it. cit.,pp.204-205,370-371). [249] Cfr. Hegel, Philosophie derWeltgeschichte,cit.,p.933 (trad. it. cit., vol. IV, p. 213): «La volontà dei molti rovesciailministero,edecco chevienealsuopostoquella che era finora l’opposizione; ma questa, in quanto è ora al governo, ha di nuovo i molti contro di sé. Così continua il movimento e l’agitazione. Questa collisione, questo nodo, questo problema è quello a cui ora è ferma la storia, e che essa deve risolvere nei tempiventuri». [250] Hegel an Zellmann, 23 gennaio 1807, in Briefe, cit., vol.I,p.138(trad.it.cit.,vol. I, p. 253). Cfr. Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 927928 (trad. it. cit., vol. IV, p. 207): «I pochi debbono rappresentare i molti, ma spesso non fanno altro che conculcarli». [251] Cfr. Hegel an Boris von Yxkull,28novembre1821,in Briefe,cit.,vol.II,pp.297-298; Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 197 ss. (trad. it. cit., vol.I,pp.229ss.).Suquesto personaggio, cfr. G. von Rauch, Boris von Uexküll und Hegels Russlandbild, in «Baltische Hefte», 4 (1957/58), pp. 26-36. Sull’immaturità, anche culturaleoltrechegeologica, dell’America, cfr. Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, Wintersemester 1830/1831, Quaderno di Karl Hegel, cit., pp. 52 ss. Quando Hegel scrive, gli Stati Uniti erano geograficamente meno della metà di oggi; il Far West, il Texas e le altre regioni furono conquistati successivamente, con la guerra contro il Messico e nel 1849 fu conquistata la California. Dato che però vi era tanta terra libera da coltivare,compreselegrandi praterie, Hegel intravede l’espansione americana verso Ovest quale premessa diegemoniapolitica. [252] B. Brecht, Flüchtlingsgespräche, trad. it. di M. Cosentino, Dialoghi di profughi,Torino,1962,p.99. [253] Hegel an Boris von Yxkull,letteraperduta,citata in K. Rosenkranz, Hegels Leben, trad. it. cit., pp. 699, 701. [254] Cfr. M. Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus (1905), in Gesammelte Aufsätze zur Religionssoziologie, Tübingen, 1922, trad. it. di P. Burresi, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, 19652,p.305. [255]A.Ferguson,AnEssay on the History of Civil Society (1767), a cura di D. Forbes, Edinburgh, 1966, trad. it. di P.Salvucci,Saggiosullastoria della società civile, Firenze, 1973,pp.308,314. [256] Sulla proprietà privata e la sua difesa, cfr. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., §§ 41-70,einparticolare§49A e 62 A (trad. it. cit., pp. 62, 70). Sull’origine della proprietà privata dall’agricoltura, dalla fine del nomadismo e dal matrimonio, cfr. ibid., § 203 A (trad. it. cit., p. 179): «A buon diritto, il principio proprio e la prima fondazione degli Stati sono stati posti nell’introduzione dell’agricoltura, accanto all’introduzione del matrimonio, perché quel principio importa la lavorazione del terreno e, quindi, la proprietà privata esclusiva (cfr. § 170 annotaz.)eperchériconduce lavitanomadedelselvaggio, che cerca la sua sussistenza nel nomadismo, alla quiete del diritto privato e alla sicurezza dell’appagamento del bisogno, cui si connette la limitazione dell’amore sessuale nel matrimonio e, quindi, l’allargamento di questo vincolo a un’unione durevole, universale in sé, del bisogno a cura della famiglia, e del possesso a bene della famiglia. Assicurazione, consolidazione, durata dell’appagamento dei bisogni etc., – caratteri, pei quali si raccomandano soprattutto tali istituzioni – sononull’altro,senonforme dell’universalitàeaspettidel comelarazionalità,assoluto scopo finale, si fa valere in queste materie». Sulla povertà come «questione che muove e tormenta particolarmente le società moderne»,machenontrova attualmente soluzione, cfr. ibid., §§ 244, 244 Z e 245 (trad. it. cit., pp. 204-205, 370-371). Sulle ascendenze storiche della problematica hegeliana, cfr. C.B. Macpherson, The Political Theory of Possessive Individualism:HobbestoLocke, Oxford, 1962, trad. it. a cura diA.Negri,Libertàeproprietà alle origini del pensiero borghese. La teoria dell’individualismodaHobbesa Locke, Milano, 1973. Sul rapporto hegeliano libertàproprietà, cfr. W. Euchner, Freiheit, Eigentum und Herrschaft bei Hegel, in «Politische Vierteljahresschrift», XI (1970), pp. 531-555, e S. Mercier-Josa, Liberté et propriété. Les apories de la «Doctrine du droit» de Kant et des «Fondaments de la Philosophie du droit» de Hegel, in «La pensée», n. 170, agosto 1973, pp. 67 ss. Sui legami familiari nella concezionehegeliana,cfr.C. Mancina, Differenze dell’eticità. Amore famiglia società civile in Hegel, Napoli, 1991. [257] Cfr., ad esempio, Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§482A(trad. it.cit.,pp.442-443). [258] Hegel, Jenenser Realphilosophie I, a cura di J. Hoffmeister,Leipzig,1932,p. 240,trad.it.diG.Cantillo,in Hegel, Filosofia dello spirito jenese, cit., p. 100. Per la cecità dei meccanismi di mercato, cfr. ibid., p. 239 (trad.it.cit.,p.99). [259] Ma per il senso proprio di espressione, cfr. questa Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit.,pp.216-228(trad.it.cit., vol. I, pp. 328-348); J. Hyppolite, Genèse et structure de la «Phénoménologie de l’esprit» de Hegel, Paris, 1946, trad. it. di G.A. De Toni, introd.diM.DalPra,Genesie struttura della «Fenomenologia dellospirito»diHegel,Firenze, 1972,pp.357ss.;S.Landucci, L’operare umano e la genesi dello «spirito» nella «Fenomenologia» di Hegel, in «Rivistacriticadistoriadella filosofia», XX (1965), pp. 1650e151-181. [260]Sullametaforicadella luce, cfr., in generale, H. Blumenberg, Licht als Metaphorik der Wahrheit, in «Studium Generale», X (1957), pp. 442-457. Sulla metafisica della luce in Hegel,inrelazionealsorgere dei concetti di riflessione, speculazione, apparenza, riflesso, immagine ecc. cfr. K. Hedwig, German Idealism in the Context of Light Metaphysics, in «Idealistic Studies», II (1972), pp. 16-38. Sull’interesse hegeliano per la teoria dei colori e gli scomodi esperimenti che Hegel compie «steso per terra»aosservareilgiocodei colori prodotto dalla luce provenientedaunafinestra, cfr. K. Rosenkranz, Hegels Leben, trad. it. cit., p. 479, e cfr. ibid., Urkunden, p. 538. S. Sambursky,LichtundFarbein den physikalischen WissenschaftenundinGoethes Lehre, in «Eranos Jahrbuch 1972», vol. 41, Leiden, 1974, pp.199ss.Perunastoriadel concetto di luce e i rapporti fra ottica e riflessione, cfr. A.I. Sabra, Theories of Light from Descartes to Newton, London, 1967; Ph. D’Arcy, La réflexion, Paris, 1972, pp. 9 ss., e Pfaff an Hegel, estate 1812, in Briefe, cit., vol. I, p. 407 (trad. it. cit., vol. II, p. 190). Per l’interesse hegeliano alle teorie di Malus,cfr.piùavanti,p.318 nota44. Capitolosecondo Dallanatura allastoria Il capitolo tratta della relazione tra uomo e natura, in particolare prendendo in esame tremodellianalogicidi spiegazione del processo di assoggettamento della natura da parte dell’uomo. Il primo equipara la conoscenza all’assimilazione, mediante la quale gli oggetti singoli vengono idealizzati e resi proprietà del soggetto; il secondo fa un’analogia fra gli antichi misteri, la comunione cristiana e la consustanziazione del sensibile; l’ultimo propone l’idea che vi sia un ordinamento teleologico ascendente, in cui ogni gradino, nell’esplicitare il precedente, ne è la "verità". Questi modelli vengono esaminati prima separatamente, per poi venire abbandonati quando infine rivelano una trama concettuale unitaria, da essi sottesa. Si tratteranno dunque argomenti qualilarelazionetrala filosofiadellanaturae la scienza, l’individuo eilgenere,l’animalee l’uomo nonché i tre elementi che lo caratterizzano ovvero lavoro, pensiero e istinto. Il mistero è sempre questo: come il pensatore sviluppa– come sorge, produce dal vecchio il nuovo che è un non ancora esistito nel pensiero? Pfaffa Hegel[1]. 1.Le Denkbestimmungen L’endiadi ragioneeffettualità si estende benoltrelasferaumana e coinvolge tutta la realtà, che è per sua natura conforme al pensiero. Ma quando si dice che il pensiero, «come oggettivo, pensiero costituisce l’intimo nucleo del mondo, può sembrare che si attribuisca coscienza alle cose naturali. Avvertiamo ripugnanza a concepire l’intima attività delle cose nella forma del pensare,poichédiciamo che l’uomo si distingue da ciò che è naturale mediante il pensiero. Noi dovremmo dunque parlare della natura come del sistema del pensiero inconscio, come di un’intelligenza pietrificata, secondo le parole Invece di di Schelling. usare il termine “pensiero”, è perciòmegliodire,onde evitare fraintendimenti, “determinazione di pensiero” (Denkbestimmung)»[2]. Le cose hanno in sé una struttura razionale che il pensiero esplicita, rendepersé.Macomeè possibile trasformare la singolarità delle cose nell’universalità del pensiero, produrre i concetti e le rappresentazioni? «Nel pensare le cose, le trasformiamo in qualcosa di universale; ma le cose sono singole e il leone in generale non esiste. Noi le trasformiamo in qualcosa di soggettivo, prodotto da noi, appartenente a noi ed invero di proprio a noi in quanto uomini; infatti le cose della natura non pensano e non sono rappresentazioni o pensieri»[3]. Resta tuttavia da spiegare come l’oggetto si traduca nel soggetto e comeilsoggettopenetri nell’alterità dell’oggetto e ne decifri l’elemento diuniversalità.Aquesta seconda questione, in un’epoca che ha proclamato la distanza incolmabile fra soggetto e oggetto e l’inconoscibilità delle cose in sé, sanno rispondere meglio gli animali dei metafisici: «nemmeno le bestie sono stupide come questimetafisici,poiché sidirigonosullecose,le afferrano e le consumano»[4]. In questa «più bassa scuola della saggezza», in cui si celebrano gli antichimisteridiCerere e di Bacco, «il segreto del mangiare il pane e delbereilvino»,tuttigli esserianimatimostrano quale sia la «verità» delle cose singole e la loro presunta autonomia e intangibilità di fronte al soggetto[5]. «Il mangiare e il bere riducono le coseaciòchesonoinsé oinverità»[6].Epossono compiere questa consustanziazione del paneedelvinoincarne e sangue del loro corpo in quanto «la natura inorganica che viene assoggettata al vivente, sopporta questo perché essa è in sé la stessa cosa che la vita è per sé»[7]. Allo stesso modo, lo spirito è assimilazione della natura: «lo spirito nega l’esteriorità della natura, l’assimila a sé e così la idealizza»[8] e il «concetto è l’anima, lo scopodiunoggetto»[9]. Possiamo già cominciare a intravedere tre modelli analogici, strettamente connessi,dispiegazione del pensiero e del processo di assoggettamento della natura da parte dell’uomo.Sitratta:a)di una equiparazione della conoscenza alla assimilazione,mediante la quale gli oggetti singoli vengono idealizzati e resi proprietà del soggetto; b)diunaanalogiafragli antichi misteri, la comunione cristiana e laconsustanziazionedel sensibile;c)dell’ideache vi sia un ordinamento teleologico ascendente, in cui ogni gradino, nell’esplicitare il precedente, ne è la «verità». dapprima Esaminiamo separatamente tali modelli, per poi abbandonarli quando ci avranno rivelato una trama concettuale unitaria,daessisottesa. 2.Il«comprendere inconscio»della digestione Questa equiparazione fra assimilazione e pensiero non deve sorprendere. A partire dai primi anni di Jena, allora una delle capitali della cultura europea, l’interesse di Hegel per la fisiologia e per i processidelladigestione in particolare fu fortissimo. Egli frequentò in quella cittadina le lezioni di fisiologiadiJakobFidelis Ackermann[10] e progettò la traduzione tedesca dei Nouveaux éléments de physiologie di Anthelm Richerand, un giovane allievo di Bichat, ritenendo che in Germanianoncifossero opere di quel livello[11]. Lesse comunque e utilizzò a fondo lo Handbuch der Physiologie di Johann Ferdinand Heinrich von Autenrieth, il medico che curava Hölderlin nella clinica di Tubinga[12]. Ma, oltre a questi autori, più Treviranus e Haller[13], lasuafonteprincipaleè lo Spallanzani degli Opuscoli di fisica animale e vegetabile. I. Della digestione[14], che conobbe nella versione francese di Jean Senebier, Expériences sur la digestion de l’homme et des différentes espèces d’animaux, Genève, 1784[15]. Quel che Hegel crede di aver appreso da Spallanzani e dalla moderna fisiologia dei processi digestivi è che l’organismo assorbe immediatamente, in quanto potenza universale, il cibo ingoiato, ne «nega» la sua natura «relativamente» inorganica e lo pone come identico a sé, lo as-simila[16]. Infatti, «la natura animale è l’universale contro le nature particolari, che sono in essa nella loro verità e idealità, poiché essa è effettivamente ciò che quelle formazioni sono in sé. Allo stesso modo, per il fattochetuttigliuomini sono in sé razionali, ha poteresudilorol’uomo che si appella al loro istinto della ragione, poichéciòcheeglirivela ad essi corrisponde subito con qualcosa nel loro istinto che può accordarsi alla ragione esplicita; in quanto il popolo accoglie immediatamente ciò che riceve, la ragione appare in esso come diffusione e infezione, e con ciò scompare la scorza, la parvenza di una separazione, che era ancora presente. Questa potenza dell’animalità è il rapporto sostanziale, l’elemento più importante nella digestione»[17]. Anche le idee razionali vengono dunque digerite e assimilate dagli uomini che ne sono affamati e, come nel caso della preparazione della Rivoluzione in Francia, lalororecezioneappare come frutto di una congiura e di un’infezione: «Perciò la comunicazione dell’intellezione pura […] è una penetrante infezione la quale non rendendosi in precedenza osservabile come opposto di contro all’indifferente elemento in cui essa si insinua,nonpuòquindi venir combattuta. Soltanto quando l’infezione si è diffusa, essaèperlacoscienzache le si abbandonò senza nulla sospettare»[18]. Ma quando ci si accorge dell’avvenuta assimilazione di queste idee, «la lotta vien troppotardi,eognicura riesce soltanto a peggiorare la malattia»[19]; così i philosophes hanno spianato la strada alla rivoluzione. Spallanzani dimostrò che la digestione non avvienepereffettodella fermentazione o della putrefazione degli alimenti, né a causa di una fantomatica «forza triturante»[20]. Dopo lunghi esperimenti condotti su anatre e struzzi, facendo loro ingeriresferedicristallo e tubi metallici (qui veramente, secondo l’emblema e il motto creati nel Cinquecento da Paolo Giovio, spiritus durissima coquit), su rane, animali domestici e su se stesso – inghiottendo intrepidamente pezzi di carne racchiusi in sacchetti di stoffa –, Spallanzani giunse alla conclusione che si digerisce tramite i succhi gastrici[21], di cui non individua comunque l’acidità[22]. Hegel interpreta il risultato delle esperienze Spallanzani di come negazione della teoria per cui nella digestione si avrebbe una scelta meccanica delle parti utilizzabili e delle parti escretibili[23]. Ma, quel che è strano a prima vista, nega – contro le esplicitedichiarazionidi Spallanzani stesso – il carattere chimico del processo digestivo: «Questo immediato trapasso e metamorfosi è ciò su cui naufraga e trova i suoi limiti ogni chimica e ogni meccanica,giacchéesse sono appunto una comprensione a partire daciòcheèpresenteed ha già la sua esteriore uguaglianza[…]Ilpane, ad esempio, non […] ha alcunrapportocolcorpo oilchilocolsangue,che è tutt’altra cosa. Né la chimica né il meccanismo possono seguire empiricamente la trasformazione del cibo in sangue»[24]. Hegel ha qui allargato il discorso all’intera assimilazione, che ha sì inizio anche per lui con l’azione chimica dei succhi gastrici, ma che procedepoiperpotenza «organica». In effetti, seppure in maniera confusa, egli ha colto una delle maggiori difficoltà della fisiologia della nutrizione del tempo, che sarà avviata a soluzione dapprima con la scoperta del carattere animale della fermentazione e poi degli enzimi[25]. In breve, come è chiaro dalla Scienza della logica, Hegel non rifiuta il meccanismo e il chimismoinquantotali, ma li subordina negli organismi viventi a un processo teleologico, in cui essi obbediscono come strumenti, sono servi sotto il dominio dell’organico[26].Perloro tramite, nell’assimilazione l’organismo compie un «sillogismo», «un fondersi con se stesso nel suo processo esterno», che realizza una finalità interna e una «soddisfazione razionale»[27]. Questo inserimento del relativamente inorganico nell’organico, attraverso l’assimilazione, è la comprensioneinconscia delle cose: «infatti, il mangiare e il bere fa delle cose inorganiche ciò che sono in sé. È la comprensioneinconscia (das bewusstlose Begreifen) di esse, ed esse divengono così qualcosaditolto,poiché sono tali in sé […] l’organico si impadronisce immediatamente dell’inorganiconellasua materia organica, perché esso è il genere (Gattung)comesemplice Sé e quindi come forza dell’inorganico. Quando l’organico, attraverso i singoli momenti, porta gradualmente l’inorganico all’identità consé,questiminuziosi preparativi della digestione attraverso la mediazione di più organi sono invero superflui per l’inorganico, ma non lo è il percorso dell’organismo in se stesso, che avviene grazie a se stesso, per essere il movimento e con ciò l’effettualità; parimenti, lo spirito è tanto più forte e vitale quanto maggiore era la contraddizione che ha superato»[28]. Come prove del carattere immediato dell’assimilazione, per l’inorganico, Hegel adduce alcune esperienze accettate dallascienzadeltempo: il caso di quei marinai inglesi che, avendo terminato le scorte di acqua potabile, sopravvissero bagnando iloroindumentioiloro corpi in mare, così da assorbire acqua dolce attraverso la pelle; l’assimilazione dell’oppio e dell’ipercacuana attraversoleascelleela zona della pelle corrispondente allo stomaco; la scoperta di Cuvier, secondo cui nei tessuti della Salpa octofora, ma al di fuori dello stomaco, si trovano talvolta parti di una Anatifera – ingerita probabilmente attraverso l’apertura da cui la Salpa aspira l’acqua – fuse e assorbite dagli organi circostanti della Salpa[29]. Ma, proprio perché ogni organismo viventeèdotatodinisus formativus o di Bildungstrieb[30], proprio perché esso è teleologicamente orientato, la sua attività consiste «nel gettar via il mezzo dopo aver raggiunto lo scopo»[31]. Ottenuta la «sazietà», esso procede, in una fase disgiuntiva, all’eliminazione delle scorie. In questo momento l’ironia della natura, dice Hegel con brutale franchezza, quasi a sottolineare l’inferiorità del vivente rispetto al genere di cui èportatore,unisceilpiù basso al più alto: «Gli organi dell’escrezione e i genitali, il punto supremo e l’infimo dell’organizzazione animale, coincidono intimamente in molti animali,cosìcomenella bocca la parola e i baci, da un lato, e, dall’altro, il mangiare, il bere e lo sputare»[32]. Non soltanto il mangiare e il bere sono una «comprensione inconscia» delle cose; anche la cultura consisteperl’uomo«nel consumare la sua natura inorganica e nell’assimilarsela»[33]. L’individuo singolo, anzi, si appropria velocemente della sostanza dello spirito universale[34], del lavoro di generazioni di uomini, perché esso è già stato metabolizzato nella cultura e nel linguaggio. Tuttavia, se il singolo vuol nuovamente capire il significato del mondo che si è costituito, se vuol ripercorrere «il calvariodellospirito»[35], deve soffermarsi a tutte le sue «stazioni», digerirlo: il «farsi» dello spirito, la storia, «presenta un torpido movimento e una successione di spiriti, una galleria d’immagini ciascuna delle quali, provveduta della completa ricchezza dello spirito, si muove con tanto torpore proprio perché il Sé ha da penetrare e da digerire tutta questa ricchezza della sua sostanza»[36]. Sia che si segua la via spontanea dell’assimilazione attraverso la cultura del senso comune o del linguaggio, sia che si segua la via speculativa più breve, attraverso il cammino fenomenologico, il pensieroèdiventatoper l’uomo più che una seconda natura: si pensacomesidigerisce, con lo stesso automatismo inconscio, con la stessa istintività, poiché l’istinto non è altro che «la finalità operante in modo inconsapevole»[37]. Per questo è assurdo affermare che lo studio della logica serva a imparare a pensare: «è proprio come se si dovesse imparare a digerire o a muoversi solo con lo studio dell’anatomia e della fisiologia»[38]. Oppure: «Questa affermazione farebbe il paio con l’altra, che noi non potessimo mangiare primadiaveracquistato la conoscenza delle qualità chimiche, botaniche e zoologiche dei mezzi di nutrizione, e che noi dovessimo aspettare a digerire fino a che non avessimo prima compiuto lo studio dell’anatomia e dellafisiologia»[39]. Se il irriflesso pensiero funziona nell’uomo altrettanto inconsciamente e automaticamente della digestione, si possono allora enunciare alcune conclusioni provvisorie, il cui contenuto dovrà essere ulteriormente approfondito: 1) Persino sullapiùaltavettadello spirito giunge ancora la relativa cecità dell’istinto;2)Ilpensare non ha a che vedere solo con se stesso, così come il digerire, pur avendoluogoall’interno del soggetto, non è solo un processo soggettivo; 3) Col pensiero l’uomo assimila il mondo, lo pone in «fluidità» e lo «idealizza»[40], sebbene tale assimilazione avvenga nella maggior parte dei casi solo in maniera spontanea e casuale, mediante l’appartenenza a una comunità linguistica e culturale; 4) La logica e più in generale la filosofia non insegnano a pensare, ma portano alla luce quelle Denkbestimmungen che sono già inconsciamente presenti nei singoli e nell’epoca; sotto questo aspetto la filosofia ha solo una funzione eminentemente maieutica: «il compito della filosofia consiste solo nel portare esplicitamente a coscienza quello che, rispetto al pensiero, da tempo inveterato, è sempre invalso. La filosofia non stabilisce nientedinuovo;ciòche noiestraiamoattraverso la nostra riflessione, è già presupposto immediato di ciascuno»[41], anche se poi gli uomini riconoscono si difficilmente nella trascrizione cosciente, operata dalla filosofia, dei loro stessi «presupposti». 3.Manducatio spiritualise manducatio corporalis Riprendendo la tradizionale polemica fraluterani,zwinglianie cattolici sulla natura dell’eucarestia, sulla manducatio spiritualis o corporalis di essa[42], Hegel vede riprodotti al livello teologico anche errori o unilateralità filosofiche. Mentre, infatti, i cattolici considerano l’ostia come una «cosa esterna», che ha realtà indipendentemente dal soggetto consuma, che e la gli zwingliani la ritengono semplicemente un simbolo con valore commemorativo(«et hoc facite in commemorationem meam»), nella chiesa luterana al contrario «l’ostia come tale vien consacrataedelevataal Dio presente solo nella fruizione, cioè nell’annullamento dell’esterioritàdiessa,e nella fede, cioè nello spirito insieme libero e certo di sé»[43]. Da parte cattolica vi è quindi prevalenza del sensibile e dell’oggettivo, un residuo della metafisica tradizionale (esaminata da Hegel nella Prima posizione del pensiero rispetto all’oggettività)[44], che riteneva inessenziale l’aggiunta del soggetto alla realtà della cosa, negava in altri termini l’importanza determinante della «fruizione» distruggitrice e assimilante della soggettività nella digestione dell’oggetto. In questo valore assoluto attribuito all’oggettivo in sé si trova anche la spiegazione della passivitàpoliticaodelle rivoluzioni politiche dei paesi cattolici, latini e sudamericani[45]. Il soggetto considera in entrambi i casi la realtà esterna come alterità, sia che la subisca sia chelarovesci.Nonèper Hegel ancora giunto – dinanzi allo strapotere del positivo – a considerare la realtà esterna come assimilabile attraverso un processo di metabolizzazione. Coscienza e mondo vivono nei paesi cattolici in una relazione di signoriaservitù, in cui i ruoli possono alternarsi, ma incuinonsièraggiunta ancora alcuna conciliazione. La certezza protestante, la fede luterana, sta proprioinquestopotere di assimilazione e di fruizione della realtà mediante la coscienza, nell’identità di manducatiospiritualisedi manducatio corporalis. E Lutero, nell’affermare contro Carlostadio e Zwingli la presenza del divinonelsensibile(«hoc est corpus meum»), poteva dire: «In questa sentenza si stabilisce cheilcorpodiCristoeil pane sono una cosa sola, e che quando si spezza sono una cosa sola, e che, quando si spezza il pane, è come spezzare o distribuire il corpodiCristo,affinché venga diviso, distribuito e ricevuto tra molti […] Occorre professare che il corpo di Cristo è qui, nelpane:ecomeilpane spezzato non perde per questo la sua essenza o ilsuonome,echecome continua a essere e a chiamarsi pane, sebbenevengaspezzato; così anche il corpo di Cristo rimane qui, sebbene per molti pezzi venga distribuito fra molti»[46]. Il divino è dunque presente nel mondo, realmente e non simbolicamente, ed esso trapassa negli uomini e solo in essi ottiene verità, consustanziazione. L’oggettività sensibile nonhadaunlatovalore assoluto, ma dall’altro non è neppure vuota allegoria del soprasensibile. È questo uno dei punti della dottrina luterana che Hegel mostra di aver meditato più a fondo: è nel presente che si manifesta il razionale, che è perciò Gegenwart, parousia, non al di là. E l’oggettività sensibile – come vedremo – non è semplice apparenza o fenomeno dietro cui si nasconde un’ipotetica cosa in sé, ma è invece realtà che trova la sua «verità» nella fruizione soggettiva, essa cioè non viene distrutta – comesostengonoquanti attribuiscono a Hegel posizioni platonizzanti[47] – così da rivelare quanto occultava (poiché non occulta nulla), ma soltanto assimilata nel momento della conoscenza teorica. Nella conoscenza il sensibile e il mondo continuano ad aver esistenza, al pari del meccanismo e del chimismo nella teleologia organica, solo in quanto finalizzati internamente,ossianon vengono meramente cancellati ma inseriti in un processo che vedremo ritornare all’immediatezza del sensibile. È pur sempre la soggettività,nel«mondo moderno», che guida il processo, ma una soggettività che è emersa dalla relazione con l’oggettività, che è «identità dell’identità e della non identità»[48]. Una soggettività sorta daldoloreinfinito,dalla morte della naturalità, nella notte del Getsemani, «in cui la sostanza fu tradita e si rese soggetto»[49]. In questo senso non è il Golgota a rappresentare il «gradino» etico più alto che l’umanità avesse fino ad allora superato. È piuttosto il Getsemani, l’Orto degli ulivi, il luogo in cui, in una notte d’angoscia, l’umanità compì la svolta più importante della propria storia. Fu allora, infatti, che la «sostanza» cominciò a farsi«soggetto».Quando i discepoli si addormentarono e lasciarono Gesù al suo solitario tormento, a sudare sangue, è come se l’uomo antico – abbandonato dalla comunità, privato dell’appoggio della propria sostanza etica – scomparisse e venisse sostituito da un soggetto nuovo, titolare di un mondo interiore assai più articolato e profondo, dolorosamente abituato a vivere senza il vigile sostegno degli altri. Da allora il singolo è obbligato a ricostruire su altre basi una vita comunitaria che non può naturalisticamente più presupporre come garantita. Il cristianesimo, riconoscendo quella «soggettività infinita» cheerarimastaignotaa Platone e agli antichi, trasformando la sostanza in soggetto, inaugura la forma moderna dell’individualità. Attraverso il «dolore infinito»[50] ha reso infinita anche la soggettività. RispettoalGetsemani, il Golgota ha per Hegel un altro significato, più vicino al senso dello «spirito», che rinasce nella collettività anche attraverso la scomparsa fisica degli individui. Gettando uno sguardo indietro al periodo della loro formazione, sia Hegel, con il Golgota, che Hölderlin, con l’Etna, hanno voluto rappresentare i luoghi elevati della morte sacrificale, da loro già descritti negli anni 1796-1800, nel periodo in cui il giovane poeta compone l’Empedocle (tragedia in versi di cui possediamo tre stesure) e il giovane filosofo scrive due saggi incentratisullafiguradi Gesù: La positività della religione cristiana e Lo spirito del cristianesimo e il suo destino. In tutte queste opere il tema dominante è quello dellatrasmissionediun messaggio personale a unacollettivitàcheliha sostanzialmente abbandonati, la celebrazionedisconfitte che possono trasformarsi in vittorie postume: Gesù, che muore in croce sul Golgota, ed Empedocle, che si getta nell’Etna, sono, infatti, espressione di una crisi chenontrovasoluzione se non nell’accettare una morte che li distacca entrambi dalle vicende immediate del loro tempo, ma che riesce a conservare e a trasmettere alle epoche successive il messaggio di vita migliore, sia in campo politico che religioso. Entrambi, Hegel e Hölderlin, constatano le lacerazioni profonde che attraversano il presente, si interrogano sullaloroorigineesulla possibilitàdiricomporle e vogliono capire come mai la «natura» sia diventata vittima della «positività», di imposizioni che costituiscono uno strumento religioso e politicodidominio.Esse servono, infatti, a mantenere il controllo su una comunità (di fedeli o di sudditi), a soffocare le voci di una vitamigliore. Empedocle e Gesù sono latori di un messaggiodiliberazione da una esistenza mutilata e deforme in grado di accorgersi presto che i loro adepti non sono disposti a seguirli sino in fondo nel tentativo di emanciparli, che non capiscono il loro messaggio. Oscillano, hanno paura di osare, cadononell’inerziao,in maggioranza, voltano loro le spalle, diventando così preda dei loro nemici. Il personaggio di ErmocratenellaMortedi Empedocle (ossia nell’ultima stesura, la terza, della tragedia)[51] oiFariseinellaPositività dellareligionecristiana(e, ancor prima, nella Vita di Gesù) raffigurano gli esponenti dello spirito formalistico.Sonolegati a una tradizione di «positività» che, avendo perso di significato, impedisce loro di tendere verso il meglio. Lapoesia,perHölderlin, e la filosofia, per Hegel, sono gli strumenti vocali attraverso cui la natura violata e repressa – quella interna e quella esterna all’uomo – può nuovamente esprimersi e smascherare tale forma di oppressione, invitando gli uomini a sforzarsi di cambiare il lorodestino. Proprio il «destino» (inteso come riconoscimento della propria vita da parte di ciascuno, «un ritorno e un avvicinamento a se stesso»nelqualel’uomo sentendo «quel che ha perduto, crea nostalgia per la vita perduta»)[52] caratterizza in Hegel la situazione di Gesù, che avverte il ruolo opprimente di una religione diventata positiva, ma si trova davanti al dilemma o di accettare il destino del popolo ebraico sottomesso a leggi positive (e di compromettere in tal modo lo slancio verso una vita migliore) oppure di respingere il destino del suo popolo per conservare in sé, non espressa, l’aspettativa di questa vita migliore. Dopo essersi «innalzato» al di sopra del destino del suo popolo e dopo aver cercato invano di innalzarvi il suo stesso popolo, Gesù sceglie consapevolmente la seconda alternativa: una via crucis che lo porterà alla morte: «Il destino di Gesù fu di patire per il destino della sua nazione: o farlosuoesopportarela necessità, condividere il godimento e unificare il suo spirito con quello della sua nazione, ma sacrificare così la propria bellezza e la propria unione con il divino». «Oppure – continua Hegel – respingere da sé il destino del suo popolo ma conservare in sé la propria vita non sviluppata e non goduta; in nessuno dei casicompierelanatura: nel primo caso sentire soltanto frammenti di essa e anche questi impuri, nel secondo portarla pienamente a coscienza ma riconoscerne la forma solo come l’ombra splendente della sua essenza, della verità suprema, rinunciare a sentire tale essenza e a viverla nell’azione e nella realtà. Gesù scelse il secondo destino, la separazione tra la sua natura e il mondo, e richieselostessoaisuoi discepoli: “Chi ama il padre o la madre, il figlio o la figlia più di me, non è degno di me”»[53]. Infatti, la sua unificazione «col tempo sarebbe stata ignobile e spregevole», mentre la sua separazione, il restare se stesso di Gesù, sarebbe «ciò che vièdipiùdegnoedipiù nobile»[54]. Morendo egli trasmette ai secoli venturi la speranza di una vita non più legata all’osservanza formale della legge (gli ebrei sonoperHegelportatori della scissione tra la moraleel’amore)[55],ma fornita del pleroma, di una pienezza che si manifestanellaformadi un impulso costante verso il cambiamento e dell’amore in quanto ampliamento della vita stessa. In altri termini, attraverso nessuno di questi due estremi del dilemma Gesù riuscì a compierelanatura,cioè a realizzare quel bisognodicambiamento che spinge gli uomini verso una vita migliore. Nelprimocasoeglifuin grado di sentire solo frammenti della natura e anche questi impuri; nel secondo, di portare la natura pienamente alla coscienza, ma in maniera ineffettuale, non godendone. Gesù poteva, dunque, aderire al destino del suo popolo e così sentire la natura, il bisogno di cambiamento, soltanto in aspetti secondari (e quindi ignorare l’esigenza di cambiamento radicale che la «natura» esigeva) oppure diventarne consapevole, ma nella modalità della «coscienza infelice»[56], secondo il più tardo linguaggio della Fenomenologia dello spirito. Gesù scelse di staccarsi dal mondo, di ripudiarlo: «L’esistenza di Gesù fu dunque una separazione dal mondo eunafugadaessoverso il cielo, una ricostruzione nell’idealità di una vita che trascorreva vuota»[57]. Tuttavia, al finediconservarelasua buona novella, che altrimenti sarebbe andata perduta, poiché il suo tempo e il suo popolo non erano allora preparati a riceverlo, «morìconlafiduciache il suo messaggio non sarebbe andato perduto»[58]. Dopo la notte del Getsemani, ognuno porta da solo la propria croce, ma dopo il Golgota ciascuno, come Giona, deve essere inghiottito dalla balena, deve morire nella «morte di Dio»[59], per poter poi rinascere allo spirito.ManeppureDio, se non è fruito, assimilato dalla coscienza dell’uomo, può avere realtà indipendente. Per questo Hegel può ripetere con Meister Eckart: «Se Dio non fosse io non sarei, e se io non fossi Egli pure non sarebbe»[60]. La religiosità hegeliana – espressione della «verità» sul piano della coscienza comune – ha appunto questa caratteristica peculiare che ne rende difficile la comprensioneeprovoca di volta in volta l’apparenzadiateismoo di conservatorismo: che Dio si rivela nell’uomo; che senza la sua manifestazione sensibile, in carne e ossa, egli non sarebbe, sì che uomo e Dio sono quasi due poli di un rapporto, l’uomo è, come abbiamo visto, «Dio immediato» e Dio, per converso, si è incarnato, incuneando l’eterno nel tempo: Menschenwerdung. Anche negando alla filosofia hegeliana ogni carattere ‘romantico e mistico’, non se ne possono comunque tagliare le radici religiose, se la si vuol capire come il proprio tempo appreso in pensieri sul piano della «rappresentazione»[61]. Ogni attualizzazione in senso esclusivamente politico rischia di fraintendere la portata del pensiero hegeliano, divedernelafilosofiaal di fuori dei suoi condizionamenti storici e dei suoi stessi limiti. Peraltro,datocheanche la religione è manifestazione dello spirito di un’epoca, le corrispondenze e le risonanze di struttura fra religione e politica non solo non mancano, ma sono dichiarate esplicitamentedaHegel, enonc’èdubbiochefra la soggettività cristiana, che ha tradito la sostanza immobile, e lo sviluppo economico e politico delle società europee basato sulla soggettività degli individui,illororialzarsi dopo ogni caduta, vi sia anche per lui uno stretto legame. Non meno unilaterale dell’attualizzazione estrema in chiave sociopolitica è quindi la ripresa e la riduzione della filosofia hegeliana a teologia secolarizzata, anche se si dà alla teologia (della «speranza», della «morte di Dio» ecc.) un segno positivo[62]. Come alsolito,losforzocheva fatto nell’interpretare Hegel, deve tener presenti le contraddizioni e cercare, se possibile, di risolverle o, almeno, di individuarle senza cancellarle. 4.Losviluppo della«cosa stessa» Così come il concetto è «lo scopo di un oggetto», anche lo «spirito» è «lo scopo della natura»[63]. Da questo punto di vista, essoèaristotelicamente la causa finale della natura,ciòchespiegala capacità di quest’ultima a essere compresa dal pensiero. Come causa finale, e non come causa efficiente, lo spirito precede la natura, ne è il telos implicito,eparimentila natura ottiene la sua «verità» nello spirito stesso. Ma nel tempo essa viene prima dello spirito e dell’uomo: «La natura è il primo nel tempo, ma l’assoluto prius è l’idea; esso è l’ultimo, il vero inizio, l’A è l’Ω»[64]. Molto spesso si scambia però in Hegel la causa efficiente con la causa finale, e si crede non solo che sia effettivamente lo spirito, l’Idea «in sé e per sé», a produrre il mondo e a guidare capricciosamente la danza delle cose (ed è questa la vulgata su Hegel), ma anche che i gradini «superiori» del sistema e della realtà generino, secondo lui, quelli inferiori, ossia, comeaffermailgiovane Marx, che nella filosofia hegeliana della storia e della natura «il figlio genera la madre, lo spirito la natura, il risultato il principio»[65]. Ma sebbene Marx abbia qui colto un punto essenzialedellafilosofia di Hegel (che dovrà essere ancora chiarito su un diverso piano), quel che Hegel intende dire non è altro che questo:ilpiùcomplesso segue nel tempo il più semplice,maloprecede nella comprensione, cioè, per usare le parole dello stesso Marx, «l’anatomia dell’uomo spiega l’anatomia della scimmia». Anche Hegel, d’altronde,siesprimein termini analoghi a proposito della scala animale, di cui l’uomo «in quanto organismo più perfetto della vitalità, costituisce il gradino supremo»: «Ma per comprendere i gradini bisogna più bassi conoscere l’organismo sviluppato, giacché esso è l’unità di misuraol’Urtier[66] per i meno sviluppati; infatti, poiché in esso tutto è giunto alla sua attività sviluppata, è chiaro che soltanto a partire da esso si conosce il non sviluppato. Non si possono porre fondamento infusori»[67]. a gli Hegel, piuttosto che seguire il recente idealismo, è invece qui fedele a una duplice tradizione aristotelica: chevisiaunprimo«per natura» (physei) e un primo «per noi» (pros emas) (hegelianamente, für uns); che la «cosa stessa» (auto to pragma) (hegelianamente, die Sache selbst)[68] tenda irresistibilmente verso lasua«verità»,contenga in nuce il movimento verso la sua realizzazione, che si presentacomescopo. Riguardo al primo punto, Aristotele dice, fra l’altro: «È naturale chesiprocedadaquello che è conoscibile e chiaro per noi verso quellocheèpiùchiaroe conoscibile per natura: ché non sono la medesima cosa il conoscibile per noi e il conoscibile in senso assoluto»[69]. Per Hegel, addirittura, rispetto al nesso serie storica / serie logica, esiste un’inversione,nelsenso che ciò che precede nel tempononpuòspiegare serialmente quel che segue,maciòchesegue può spiegare logicamente,postfestum, ciòcheprecede[70].Così, ad esempio, nel terreno del diritto e dello Stato, lafamigliahapreceduto lo Stato cronologicamente, ma può essere intesa concettualmente solo all’interno di un tutto più sviluppato e più tardo, che diventa logicamente il prius: «è da notare che i momenti,ilcuirisultato è una forma ulteriormente determinata, lo [ossia il concetto] precedono in quanto determinazioni concettuali nello sviluppo scientifico dell’idea, ma non lo precedono nello sviluppo temporale in quanto configurazioni. Così l’idea, come è determinata in quanto famiglia, ha per presupposto le determinazioni concettuali, come risultatodellequaliessa si presenterà in seguito. Ma il fatto che questi interni presupposti esistano anche per sé, già come formazioni, come diritto di proprietà, contratto, moralità etc., è l’altro lato dello sviluppo, che, soltanto in una civiltà più altamente compiuta,hacondottoa questa esistenza, peculiarmente formata, dei suoi momenti»[71]. Questa inversione va ulteriormente precisata nelle sue radici più profonde.Perora,sipuò osservare che essa non è applicabile meccanicamente, ed ha delle eccezioni dichiarate (ad esempio, la società civile, in quanto creazione moderna, che segue cronologicamente la formazione dello Stato, invece di precederla)[72]; che riguarda tutta la «grande catena dell’essere»enonsoloil rapportologica/tempo;e che, inoltre, ha una configurazione particolare in alcune storie speciali, come la storiadellafilosofia,che corre in generale su binari paralleli rispetto allosviluppologicodelle categorie,sebbenevalga anche qui il principio che l’ultima filosofia comprendeinsétuttele altre[73]. Di origine aristotelica èanchel’ideadiunavis veri, di un’«anima propria del contenuto» che si fa strada possentemente da sé e raggiunge la sua verità[74]. La dialettica hainquestaprospettiva un movimento oggettivo, un «andamento irresistibile»[75], che è l’intimapulsazionedelle cose stesse[76] e il loro sviluppo immanente: «La più alta dialettica del concetto è produrre e intendere la determinazione non semplicemente come limite e opposizione, ma,traendolidaessa,il contenuto e i risultati positivi; in quanto unicamenteconciòessa è sviluppo e progresso immanente. Questa dialettica non è, poi, un fare esterno di un pensiero oggettivo, ma l’anima propria del contenuto, la quale fa germogliare i suoi rami e i suoi organicamente. frutti Di questo sviluppo dell’idea, in quanto particolare attività della sua propria ragione, il pensiero è spettatore, soltanto in quanto soggettivo, senza aggiungere, da sua parte, ingredienti. Considerare qualcosa razionalmente, non significa recare a un oggetto una ragione dall’esterno e con essa elaborarlo, ma significa che l’oggetto è, per se stesso,razionale»[77]. Ladialetticahegeliana è apparsa, in questo senso,unaproceduradi «assimilazione escludente» che rientra nella tradizione della teologia-politica e che funziona «precisamente separando ciò che dichiara di unire e unificando ciò che divide mediante la sottomissione di una parte al dominio dell’altra». Tale aspetto risulterebbe evidente soprattutto nel caso della filosofia della religione e in quello della filosofia della storia: «sostenere, come fa appunto Hegel, che il compito del cristianesimo sia quello di includere al proprio interno ciò che esso ha storicamente superato, è il senso ultimo della teologia politica». Inglobare nell’unità la dualità, nell’identità l’alterità, ma subordinandoilsecondo elementodellacoppiaal primo, è il modo di procedere della dialettica hegeliana: «È quel fenomeno che egli, estendendolo all’intero corso della storia, descrive in termini di appropriazione dell’estraneo – della Persia da parte della Grecia, della Grecia da parte di Roma, della latinità da parte del germanesimo. Facendo proprio ciò che intimamente è altro, quest’ultimo resta allo stesso tempo incluso e escluso–inclusoperché incorporato nel nuovo organismo ed escluso perché privato del suo contenuto, non più utilizzabile in quanto tale»[78]. Questa acuta interpretazione coglie bene le analogie della posizione hegeliana con quelle di una più ampia tradizione del pensiero occidentale,mapernon fare di ogni erba un fascio, occorrebbe chiarire la specificità della posizione hegeliana[79]. Considerare,inoltre,il pensiero come spettatore del processo dialettico significa dire che esso non si sovrappone all’oggetto. Da questo punto di vista,laconoscenzanon ènostraaggiunta(unsere Zutat)[80], poiché si limita a esplicitare e a conoscere ciò che è inconsciamente operantenell’oggetto.In tal modo, è vero, «le leggi dei movimenti dei corpi celesti non sono scritte nel cielo»[81], né tantomeno quelle della digestione nello stomaco, ma non sono perciò stesso invenzione, nostra bensì progetto teleologico attivo in modo istintuale, Denkbestimmungen, geroglifici della ragione decifrati. Solo in questo senso, e non realiter, le categorie logiche precedono nell’Enciclopedia le manifestazioni della natura e dello spirito. Non c’è in Hegel alcuna posizione gnostica, alcuna Ur-sophia che esista indipendentemente dal mondo[82]. E anche la famosa affermazione della Scienza della logica, secondo cui essa, per il suo contenuto, è l’«esposizione di Dio, com’egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito»[83], non solo è una similitudine a uso della rappresentazione, introdotta da un «ci si può quindi esprimere così»[84], ma è anche un’allusione probabile a una nota affermazione di Goethe, che definiva la musica di Bach come ciò che si agitava nel petto di Dio prima della creazionedelmondo[85]. L’universale,infatti,non esiste «esteriormente come universale», ma solo come energeia dell’individuale[86] e «l’esempio della creazione del mondo è una rappresentazione. Dio stesso è questa rappresentazione, Dio questo universale in genere, in sé determinato in molteplice maniera. Ma nella forma della rappresentazione, egli è determinato in questa semplice maniera: da unaparteabbiamoDioe dall’altra il mondo»[87]. Sia l’universale separato,anteremoaldi fuori di essa, sia l’oggetto singolo senza determinazioni, sono per Hegel astrazioni unilaterali, opposti che hannorealtàeffettualee «verità» concreto, solo che nel è soppressione/conservazio diessi.Allostessomodo «al di fuori del mio pensiero non c’è nulla nella cosa; e i miei pensieri al di fuori della cosanonsononulla»[88]. Tralasciando per il momentogliaspettipiù propriamente sistematici del rapporto logica-filosofia della natura-filosofia dello spirito, di cui tratterò nell’ultimo capitolo, è sufficiente osservare, per l’economia dell’argomentazione, cheledeterminazionidi pensiero esistono nella cosa realiter, però in forma ideale. Esistono – dice Hegel – così come nel seme di una pianta sono contenute implicitamente radici, rami, foglie, e non in forma miniaturizzata, secondo le preformiste teorie e dell’«iscatolamento»: «l’ipotesi dell’iscatolamento il cui difettoconsistenelfatto che considera come già esistente ciò che è presente solo in forma ideale. Il lato giusto di questa ipotesi è invece questo: che il concetto nelsuoprocessorimane presso se stesso e che per suo tramite non è posto niente di nuovo secondo il contenuto, ma si produce soltanto un mutamento di forma»[89]. Questo concetto della presenza potenziale di un progetto, che viene esplicitato solo in seguito, è espresso in forma popolare – continua Hegel – nell’idea cristiana della creazione del mondo, che pone l’opposizione fra Dio e mondo, fra Padre e Figlio, ma nello stesso tempo la toglie nella dottrina trinitaria, per cui il Figlio è stato generato dall’eternità[90], così che il «passaggio» dal Padre al Figlio – come dalla logicaallafilosofiadella natura[91] – in realtà esiste solo a livello rappresentativo, poiché non è avvenuto nel tempo.Insomma:anche Dio e mondo, determinazioni logiche e cose, pensiero ed essere sono degli opposti che non hanno verità in Tuttavia se stessi. non coincidono, e Hegel aveva ragione da parte sua nel difendersi dalle accuse di panteismo[92]. Infatti, queste coppie di termini sono dialetticamente identità dell’identità e della non identità, ossia processo, teleologicamente in corso, di assimilazione, in cui non c’è l’equilibrio della sostanza, ma il propellente del soggetto edelsuotelos. 5.Lafilosofia dellanaturaela scienza La differenza fra l’uomo e gli altri esseri naturali è che l’uomo è in grado di rappresentarsi questo telos in forma di pensiero, di universale per sé. Diversamente dall’animale, che è semplicemente dominato dal concetto oggettivo del genere (Gattung) e non attinge se non la singolarità, l’uomoconosceeriflette l’universale, poiché è l’unico essere che si sdoppiaeritornaaséda questa duplicazione: «Non si può indicare l’animale in quanto tale, ma solo e sempre un determinato animale. L’animale non esiste, ma è la natura universale dei singoli animali, e ciascun animale esistente è un qualcosa di più concretamente determinato, specificato. Ma essere animale, il genere come l’universale, appartiene all’animale determinato e costituisce la sua determinata essenzialità. Se togliessimo al cane il suo esser-animale, non si potrebbe dire che cosaessosia.Lecosein generale hanno una natura intima permanenteeunesserci esterno. Esse vivono e muoiono, sorgono e trapassano; essenzialità, la la loro loro universalità è il genere, e questo non si deve intendere semplicemente come qualcosa che hanno in comune […] L’uomo è pensante ed è qualcosa di universale, ma è pensantesoloinquanto l’universale è per lui. Anche l’animale è in sé qualcosa di universale, ma l’universale in quanto tale non è per esso, bensì solo e sempre il singolo. L’animale vede un singolo, per esempio il suo cibo, un uomo ecc. Ma tutto questo è per esso solo un singolo. Allo stesso modo la sensazionehasemprea che fare con un singolo (questo dolore, questo buon sapore ecc.). La natura non si porta alla coscienza il nous; solo l’uomo si sdoppia (verdoppelt sich) così da essere l’universale per l’universale. Questo è dapprima il caso, in quanto l’uomo si sa come io […] L’io è puro esserepersé,incuiogni particolare è negato e tolto, questo Ultimo, Semplice e Puro della coscienza.Noipossiamo dire l’io e il pensare sono lo stesso, o, più esattamente, l’io è il pensare in quanto pensante. Ciò che io ho nella coscienza, questo è per me. L’io è questo vuoto, il ricettacolo per tuttoeperciascuno,per il quale tutto è e che tutto conserva in sé. Ogni uomo è un intero mondo di rappresentazioni sepolte nella notte dell’io»[93]. Nella notte dell’io sono dunque contenuti idealmente i generi digeriti delle cose, e posti in fluidità, e l’uomo ha la possibilità – negata agli animali – di porsi davantiaséigeneri,gli universali oggettivi che ha estratto dalla realtà, compiendone lo scopo. Perché l’uomo si sdoppiasse, divenisse oggetto a se stesso «pur rimanendo se stesso e non divenendo un altro»[94],c’èvolutotutto il lungo processo di disciplina cominciato col rapporto signoriaservitù e che prosegue in quella marcia della «libertà»cheèperHegel ilcorsodellastoria(non manca in questa idea una visione filosofica della Provvidenza). All’inizio, anche l’uomo era dominato dal genere, che appariva nella sua negatività come morte naturale. Il vincere la paura della morte è stato perciò il primo elevarsi al di sopra del genere, il primo sguardo a esso rivolto come universale per sé. Ma non tutti gli uomini potevano compiere questo atto di sfida:vieranoquelliche per «viltà» preferivano sottomettersi al più forte in cambio della conservazione della vita. Il resto è noto: la paura della morte si sviluppa anche nel servo e lo umanizza, mentre il potere del padrone deperisce nell’ottusità godimento e del la relazione tende a diventare, secondo il metro dell’economia classica, un’interdipendenza impersonale, anonima, dituttidatutti,mediata dall’interesse e dal lavoro[95]. Però, quello che per noi è più importante è che in un primo tempo lo sdoppiarsi della coscienzaeilritornarea sé avveniva tramite un altro, fosse esso il servo per il padrone o il padrone per il servo o fosse Dio come entità esterna all’uomo. Ma soloquandosirientrain sé dallo sdoppiamento senza appoggiarsi ad altri, si è liberi di pensare gli universali oggettivi. Esiste però una forza del positivo che tende a creare autorità esterne o il dominio dell’abitudine, col conseguente indebolimento dell’attività del pensiero, con un freno al ritmo dialettico di lacerazione/ritorno a sé/nuova lacerazione ecc. Ed ecco che allora l’universale si fa nuovamente valere nel suo pauroso aspetto negativo, ricordando la sua potenza distruttiva alla «positività», e appare come Terrore nella Rivoluzione francese o «in forma di ussari con sciabole luccicanti» guerra[96]. nella Come accade che il genereincorporatonella realtà giunga a rivelarsi nelpensiero?Perchéper manifestarsi si deve passare attraverso l’esperienza terrificante e «notturna» della morte? Per rispondere a queste domande bisogna prima spiegare alcune premesse e seguire Hegel nei suoi sforzi di trovare una soluzione organica. Per far questo, egli sottopone la filosofia a un’immensa dilatazione di campo, le fa percorrereirisultatitrai più avanzati delle scienzeesatteenaturali delsuotempo.Vengono così affrontate l’analisi infinitesimale, la fisica, la meccanica, l’ottica, l’astronomia, la chimica, la botanica, la zoologia, la geologia, la biologia. Una fama ambigua circonda da tempo tale parte della sua opera, la Filosofia della natura, che è sembrata sempre la parte più debole del sistema, se non addirittura un coacervo difarneticazioni,doveè possibile toccar con mano i risultati delle costruzioniaprioristiche e della «disonestà» hegeliana[97]. Ma è ormai venuto il momento di leggere seriamente la Filosofia della natura nella sua integrità, in rapporto allescienzedell’epoca.E per diversi motivi. In primo luogo, perché, anche ammesso che tutte le accuse di apriorismo e di disinvoltura nel trattare le scienze siano giuste, restapursempreilfatto che non si capisce il pensiero di Hegel se si prescinde dalla sua valutazionedellanatura e delle scienze naturali e matematiche, e l’asportazione abituale di un blocco così importante non solo rende inintellegibile l’insieme, ma dà anche alla filosofia hegeliana un sapore maggiormente «idealistico» in senso volgare. In secondo luogo, Hegel non era così digiuno di scienze naturali e di matematica vuol far come si credere, esagerando il pur grave peso dell’infortunio del De orbitis planetarum[98], e, se anche non si desiderasseprestarfede alle sue esplicite dichiarazioni, l’edizione inglese della Philosophy ofNature, col minuzioso commento del Petry, può mostrare quale enorme ricchezza di documentazione scientifica fosse nelle mani di Hegel, quale approfondita conoscenza egli possedesse di alcuni settori della meccanica, dell’analisi infinitesimale, della botanica e della zoologia[99]. In terzo luogo, si giudica l’opera a partire dai secchi e stringati paragrafi dell’Enciclopedia, di fatto in sé quasi incomprensibili, perché considerati da Hegel come schema per le lezioni a uso dei suoi allievi, da completarsi necessariamente con l’insegnamento orale, ora trascritto in quegli Zusätze che a lungo pochi si sono presi la briga di analizzare[100]. In quarto luogo, le lezioni di filosofia della natura in forma enciclopedica erano rivolte agli studenti dei primi anni di diverse facoltà (costituivano il philosophicum), erano previste in funzione propedeutica dagli ordinamentiuniversitari allora vigenti e avevano un carattere precipuamente didattico. Perciò, non vi è da parte di Hegel alcuna pretesa di esaurire lo scibile, di pubblicare una sua «Bibbia», come è stato detto, ma semplicemente di offrire uno strumento didattico e teorico efficace e penetrante, una visione del mondo organica, ma non certo ritenuta definitiva e perfetta, tanto è vero cheintredicianniHegel curò dell’Enciclopedia tre edizioni (1817, 1827, 1830). Ritorneremo poi sulla pretesa che la filosofia sia una «scienza» e, in quanto scienza, debba anche assumere la forma di sistema,maèmegliodir subito che l’esposizione enciclopedica era anche un genere letterario di lunga e ampia diffusione, che non implicava affatto la completezza, né la negazione dell’empiria in favore del sistema astratto, così che persino dare Bacone poté all’instauratio magna un assetto enciclopedico[101]. Se guardiamo al contenuto delle scienze trattate, l’atteggiamento hegeliano non è – almeno nelle intenzioni – quello di una prevaricazione «filosofica» della loro natura, ma di accettazionedeirisultati che gli sembrano più avanzati e del loro inserimento in una «rete adamantina», in una «metafisica» diversa da quella degli scienziati che non riflettono sull’uso delle lorocategorie.Suquesto punto è molto chiaro e giunge persino ad affermare che la filosofia (moderna) ha per base l’immenso materiale conoscitivo accumulato dalle scienze, e dalla fisica in particolare:«Nonsolola filosofia deve concordare con l’esperienza della natura, ma la nascita e la formazione della scienzafilosoficahaper presupposto e condizione la fisica empirica. Ma altra cosa è il processo di origenazione e i lavori preparatori di una scienza, altra cosa la scienza stessa: nella scienza quelli non possono apparire più come fondamento; il fondamentodeveessere qui la necessità del concetto»[102], ossia l’ordine cronologico e i risultati smembrati delle scienze devono poter essere inseriti, senza forzarne la natura, ma seguendone anzi la teleologia interna, in un insieme logicamente coerente di categorie. Hegel è però benconsciodeirischidi questaoperazioneedha costantemente davanti agli occhi l’avventura speculativa di Schelling e dei suoi discepoli, con il loro ammasso «barocco e pretenzioso» di trovate ‘geniali’ e il loro «brillante fuoco d’artificio» di analogie cervellotiche[103]. Per questo insiste sul carattere problematico della filosofia della natura: «Che cos’è la natura? Essa rimane un problema. Nell’osservare i suoi processi e le sue metamorfosi, noi vogliamocoglierelasua semplice essenza, costringere questo Proteo a sospendere le sue metamorfosi, a mostrarsieadichiararsi a noi, così che non perduri nel mostrarsi a noi in forme semplicemente molteplici, sempre nuove, bensì rechi alla coscienza, nella maniera più semplice, nel linguaggio, ciò che essoè»[104]. La filosofia della natura, per Hegel, raccoglie soltanto «il materiale che la fisica ha preparato per essa dall’esperienza, nel punto fino al quale la fisica lo ha portato, e lo rimodella senza porre l’esperienza come unica verifica. La fisica deve dunque consegnare il suo elaborato alla filosofia, affinché quest’ultima traduca in concetto l’universale dell’intelletto a essa trasmesso, mostrando in qual modo esso, come un tutto in se stesso necessario, procededalconcetto.La modalità filosofica dell’esposizione non è unarbitrio,unprovarea camminare sulla testa – tanto per cambiare –, dopo che per lungo tratto si è camminato coi piedi, o un vedere il proprio viso di tutti i giorniimbellettato;maè per il fatto che la modalità della fisica non appaga che si procede avanti»[105]. La filosofia non è barbarie culturale che stravolge i risultati dell’intelletto scientifico; essa pretende solo di svilupparli dall’interno, di chiarirne le zone d’ombra con la ragione: «Ilbarbarosimeraviglia quando sente che il quadrato dell’ipotenusa èugualeallasommadei quadrati dei due cateti. Egliritienechepotrebbe anche essere in altro modo, ha specialmente paura dell’intelletto e resta nell’intuizione. La ragione senza intelletto è nulla, ma l’intelletto senza la ragione è comunque qualcosa. L’intelletto non può essere regalato»[106]. Sotto questo profilo, anche la ragione filosofica è niente se non passa attraverso la conoscenza elaborata dall’intelletto, ricostruendone le contraddizioni latenti, e anche la filosofia è niente se resta sapere immediato, affidato al sentimento o all’intuizione, e non si costruisce la sua forma scientifica. La filosofia, dunque,nonpuò,daun lato, accontentarsi di essere un semplice istinto della ragione (quale si rivela nell’opera concreta delloscienziato,guidato operativamentedaisuoi successi), ma deve essere esplicitazione della razionalità presente nella scienza, ragione dispiegata, dall’altro, non può sostituirsi alla scienza nell’elaborazione dei dati dell’empirico: «La filosofiadevepartiredal concetto; e anche se essa stabilisce poco, bisogna esserne soddisfatti. È un’aberrazione della filosofia della natura il voler far fronte (Face machen) a tutti i fenomeni; così accade nelle scienze compiute, in cui tutto vuol essere ricondotto ai pensieri universali (le ipotesi). L’empirico è qui soltanto la convalida dell’ipotesi; tutto quindi deve essere spiegato. Maciòcheèconosciuto attraverso il concetto, è chiaroperséestasaldo; e la filosofia non ha bisogno di farsi il sangue cattivo se anche tutti i fenomeni non sono ancora chiariti. Io quindi ho buttato giù solo queste basi iniziali di una considerazione razionale delle leggi matematicomeccaniche della natura, come di questo libero regno della misura. Le persone del mestiere non ci riflettono sopra. Ma verràiltempoincuiper questascienzasiesigerà il concetto razionale»[107]. In tali considerazioni epistemologiche hegeliane si innesta ancora una volta una riflessione sul ruolo dei dotti,degliintellettualie sulla loro differenziazione. Dopo l’avvenuto«divorzio»tra la filosofia e le altre scienze[108], gli «scienziati» tendono a considerare – d’accordo con la coscienza comune–ifilosoficome degli intrusi nel regno delle conoscenze utili e a credere che la filosofia, quando non è banale rimasticatura, sia in contrasto con l’esperienza. È vero che «in nessuna scienza in effettisiècosìsolicome nella filosofia», e Hegel stesso riconosce di avvertire «anche troppo» come i suoi precedenti lavori «risentano della mancanza di contatti e di reciproca influenza»[109], ma è anche vero, per contro, che sono gli scienziati a chiudersi in se stessi, a formare delle corporazioni o «gilde», in cui si parla un linguaggio da iniziati e in cui si predica il monopolio sulla propria sfera di competenza. Nell’approfondire una zona della realtà ogni scienza tende necessariamente a isolarsi dalle altre, anche se di fatto mette inconsciamente in luce delle connessioni più vaste che travalicano il proprio campo limitato. Compitodellafilosofiaè tessere le fila di questa cospirazione oggettiva e sotterraneaversol’unità razionale «concetto»[110], del di ricostruire continuamente la «rete adamantina»secondole linee implicite poste in luce dalla scienza. Anche i tentativi enciclopedici e il pathos sistematico sono in questo caso una formazione reattiva alla disgregazioneapparente del sapere, ed esprimono un’esigenza storica sempre più urgente verso un «campo non-lineare» della scienza, una «enciclopedia delle scienze unificate»[111]. Per mostrare questa intima cospirazione delle singole scienze versol’unità,lafilosofia deve sì contribuire allo scioglimentodellegilde, ma deve soprattutto apprendere le determinazioni delle singole scienze, senza saltare oltre, fidandosi delle sole forze della ragione, la quale, come la candida colomba kantiana,nonvolerebbe se non ci fosse la resistenza dell’aria offerta dalle determinazioni dell’intelletto. Parlando di una polemica suscitatadaalcunifisici contro la teoria dei colori di Goethe, rifiutata anche sulla basedell’argomentoche nonsidevedareascolto a un poeta, Hegel nota: «Solo quelli che sono in grado di far valere idiotismi, determinate teorie ecc. appartengono al mestiere;ciòchedicono gli altri viene completamente ignorato, come se non esistesse nemmeno. Questepersonevogliono quindi spesso formare una casta ed essere in esclusivo possesso della scienza,nonpermettere aglialtrialcungiudizio– adesempioigiuristi.Ma il diritto è per tutti, e altrettanto il colore. In una tale classe si formano determinate rappresentazioni fondamentali, in cui essa si arena. Se non si parla secondo quel linguaggio, si dice che non si è capito nulla, come se solo la gilda dovesse capire qualcosa. Questo è giusto; non si ha l’intelletto di quella cosa, questa categoria – questa metafisica secondolaqualelacosa devevenirconsiderata.I filosofi vengono per lo più respinti indietro in questo modo; ma essi devono appunto impadronirsi di quelle categorie»[112]. Già a Jena, quando Hegel viveva quotidianamente a contatto con i suoi amici naturalisti[113], aveva constatato la tendenzaoggettivadelle scienze a rinchiudersi dentro un cerchio magico e a non comunicare filosofia. con la Eppure l’interscambio fra filosofia e scienze potrebbe essere vantaggioso per tutti; infatti la filosofia «così come costituisce, essa che ha per essenza il concetto, il punto di partenzachegiungealle altrescienze,così,asua volta, riceve da quelle l’immagine della pienezza del contenuto; e le spinge ad acquisire ciò che loro manca del concetto,cosìcomeessa è animata dalle scienze a ritrarsi dalla mancanza di realizzazione della sua astrazione»[114]. Diversamente dalle altrescienze,lafilosofia non ha bisogno di costruirsi una terminologiaspeciale,di formare una corporazione, perché essa è tendenzialmente una «scienza per tutti»[115]. Essa «rimodella» i contenuti posti in luce da tutta un’epoca, nella scienza, nellacoscienzacomune, nel diritto, nello Stato ecc. Perciò la sua forma deve essere quella di una «enciclopedia delle scienze filosofiche», ossia non delle scienze inquantotali,coniloro specifici problemi, ma delle scienze, nella misura in cui cospirano verso la totalità del «proprio tempo appreso in pensieri». La filosofia non scopre niente al livello dell’empirico e dell’intelletto scientifico, ma trasforma il noto in conosciuto[116], rivela cioè alla coscienza comune e alle singole scienze l’architettura di sensodellorooperaree delle loro sfere. Ma questatraduzionenonè pacifica e incontra una feroce resistenza a pensare il noto (perché «pensare significa giungere a riconoscere come vero ciò che altri hanno pensato»)[117] e tale resistenza si manifesta sia da parte dellacoscienzacomune, sia della scienza, che hanno stretto un’alleanza contro la filosofia. Non solo infatti si nega la competenza della filosofia, ma si presume di capirla senza studiarla, con il sofisma chetuttigliuominisono provvisti di ragione: «A questa scienza tocca spesso lo spregio che anche coloro che non si sono affaticati in essa, s’immaginano e dicono di comprendere naturalmente di che cosa si tratti, e d’essere capaci, col solo fondamento di un’ordinariacolturaein particolare dei sentimenti religiosi, di filosofare e giudicar di filosofia. Si ammette che le altre scienze occorra averle studiate per conoscerle, e che solo in forza di siffatta conoscenza si sia facoltati ad avere un giudizio in proposito. Si ammette che, per fare una scarpa, bisogni avere appreso ed esercitatoilmestieredel calzolaio, quantunque ciascuno abbia la misura della scarpa nel propriopiede,eabbiale mani e con esse la naturale abilità per la predetta faccenda. Solo pel filosofare non sarebbero richiesti né studio, né apprendimento, né fatica»[118]. Eppure proprio ciò che è noto è il meno conosciuto, e bisogna saperlo vedere per conoscerlo; ma saper vedere è imparare, e imparare a suavoltaèstaccarsidal noto e dai suoi pregiudizi. Cosa c’è di più noto della particella è, che usiamo quotidianamente? Eppure, sono innumerevoli i nodi di pensiero che si celano in essa: «La cultura consiste in generale in rappresentazioniescopi universali, nell’ambito di determinate potenze spirituali, che governano la coscienza e la vita. La nostra coscienza ha queste rappresentazioni, le fa valere come determinazioni ultime, procede in esse come nelle sue connessioni- guida,manonlesa;non trasformaessestessein oggetti e interessi della sua considerazione. Per dare un esempio astratto, ogni coscienza ha e usa la determinazione di pensiero del tutto astratta: essere. Il sole è nel cielo, quest’uva è matura; oppure, a un più alto livello di cultura, si tratta del rapporto di causa ed effetto, di forza e di sua manifestazione ecc.; ogni suo sapere e rappresentare è intessutoegovernatoda tale metafisica […] Ma questo tessuto e i suoi nodi sono immersi, nella nostra coscienza comune,inunmateriale a più strati […] Quei fili universali non vengono evidenziatiefattipersé oggetti della nostra riflessione»[119]. La coscienza comune si adagia così nella sua routine e ritiene comprensibile solo quello che le è già noto[120]. E la filosofia, vedremo, è combattuta proprio perché contrasta l’inerzia della coscienza comune e la chiusura delle scienze nelproprioterreno. 6.L’individuoeil generenella preistoriadella natura Com’è dunque che il genere si sdoppia e acquista esistenza nel pensiero dell’uomo? Per trovare la risposta, Hegel fa oggetto della sua analisi tutta la realtà naturale quale è filtrata dalle scienze, a partire dall’etere[121] e dallamateriainorganica fino allo sviluppo degli organismi più complessi. E il «sistema di gradini» della natura[122] gli appare come una progressiva interiorizzazione della materia, dimodoché «l’evoluzione è anche involuzione, nel senso chelamateriasiinvolve verso la vita»[123] e la vitaversolasoggettività eilpensiero.Conquesta conversione dell’evoluzione nell’involuzione, Hegel cerca di oltrepassare l’unilateralità di due modellichegliappaiono tipici, l’uno della metafisica orientale, l’altro della metafisica occidentale: l’emanazione e l’evoluzione. La prima è un tentativo di spiegazionedellanatura come una caduta dal più perfetto (Dio) al meno perfetto e all’informe; la seconda, come un’ascesa dall’informe e meno perfetto al più perfetto[124]. Queste concezioni (che corrispondono rispettivamente alla passività asiatica, abituataariceveretutto dall’alto, e al concetto europeo sviluppo) di libero sono entrambe parziali e oscure nella loro nebulosità, in quanto sostituiscono una rappresentazione – una scala discendente o ascendente – alla comprensione concettuale. particolare, l’idea In di evoluzione poggia su una serie temporale indeterminata per spiegare scientificamente la comparsa dei singoli animali o il succedersi delleeregeologiche. Anche polemica in questa hegeliana contro il concetto di evoluzione bisogna distinguereenonfaredi ogni erba un fascio. In senso stretto, Hegel, sebbene creda peraltro all’immobilità delle specie, non aderisce né alfissismodiCuvier,né al trasformismo di Lamarck. Al primo, come si vedrà subito, perché non crede che siapossibilestabiliredei confini fissi nei generi animali; al secondo – sebbene conosca e mostri di stimare Lamarck[125] – perché la teoria dell’adattamento all’ambiente, sostenuta allora già da molti, gli sembra altrettanto debole e indeterminata del concetto di evoluzione: «per quanto si possa trovar giustapposto il folto pelame alle regioni artiche, o la struttura dei pesci all’acqua, o la struttura degli uccelli all’aria, nel concetto delleregioniartichenon c’è il concetto del folto pelame,nelconcettodel mare non c’è quello dellastrutturadeipesci, nénelconcettodell’aria quello della struttura degli uccelli»[126]. Ciò non significa che egli consideri falsa questa dottrina,nécheneghila comparsa successiva degliesseriviventisulla terraeilloroabituarsial clima e alle situazioni esterne. Ciò che nega ancora una volta (con unacriticastoricamente retrograda, ma che aveva colto delle lacune reali, come sappiamo dopo Darwin e Mendel) è il valore esplicativo dell’adattamentoedella serie cronologica. Ma se laseriesiaccompagnaa una struttura concettuale, vera o presunta,comenelcaso della metamorfosi delle piante di Goethe, egli non ha difficoltà ad accettarla[127]. D’altro canto, l’indeterminatezza delle teoriescientifichenonè imputabile esclusivamente allo scienziato. È il Proteo della natura, questo «tutto vivente»[128], che non presenta contorni precisi e che non pone confini fissi ai generi: «Dappertutto la natura mescola le linee divisorie essenziali con prodotti ibridi e cattivi, che forniscono sempre argomenti contro ogni distinzione rigida; e anche all’interno di generi determinati (ad esempio del genere umano) produce aborti, che da una parte bisogna annoverare in quel dato genere, mentre dall’altra, mancano di determinazioni, che sarebbero da considerare come caratteri essenziali del genere. – Per poter giudicare prodotti siffatti come manchevoli, cattivi, abortivi, è da presupporre un tipo fisso, che però non potrebbe essere attinto dall’esperienza, giacché questaappuntociporge anche quei cosiddetti aborti, mostri, esseri ibridi ecc.: il tipo presuppone, per contrario, l’indipendenzaedignità della determinazione concettuale»[129]. Ma è proprio l’indipendenza della determinazione concettuale che l’«impotenza della natura» non riesce ad assicurare[130]. A causa di tale inadeguatezza dellanaturaalconcetto, tutta la scienza sperimentale moderna, dalRinascimentoinpoi, appare a Hegel come un’immanebattagliatra la ragione che cerca se stessa nella regolarità dei fenomeni e l’esperienza sensibile che mostra sempre nuove eccezioni e casi irrelati[131]. Dopo il disinteresse che il Medioevo avrebbe dimostratoperlarealtà, le scienze naturali si dedicarono all’inventario del mondo, e si appigliarono, per orientarsi, ai segni distintivi delle cose. Ad esempio,perclassificare la ‘bella d’erbe famiglia e d’animali’, ricorsero a «zampe, denti», radici ecc.[132] Tuttavia, tali segni caratteristici, col progresso della scienza guidata dall’«istinto della ragione», si rivelano inadeguati e imprecisi. Allora sorgono nuovi sistemi e nuove tassonomie: Jussieu sostituisce ai 24 generidipiantestabilito da Linneo la distinzione ‘più razionale’ in monocotiledoni e dicotiledoni[133], mentre Lamarck sostituisce alla vecchia divisione aristotelica fra animali con sangue e animali senzasangue,oallepiù recenti catalogazioni, la distinzione fra vertebrati e invertebrati[134]. Ma di fronte all’inesauribile ricchezza e alla relativa indeterminazione della natura, l’atteggiamento della scienza (che deve rinunciare necessariamente ad abbracciare la natura in un sistema compiuto) può diventare protervia contro la ragione esplicita, glorificazione del dato empirico isolato, come unica certezza dettata dalla sfiducia. Le scienze naturali erano partite con la convinzione che la realtà fosse realmente scritta in caratteri razionali (cerchi, triangoli), che bastasse «torturare la natura sul cavalletto» per farle confessare i suoi segreti[135]. Ma poi la ragione scientifica ha compiuto una amara esperienza, non si è riconosciuta a pieno nell’alterità della natura: «dopo aver frugato in tutte le viscere delle cose, dopo averne aperte tutte le veneaspettandosiquasi di veder sgorgare se stessa»[136], essa non ha avuto questa fortuna, proprioperchélanatura èaltrodasérispettoallo «spirito»ec’èunoscarto non colmabile tra le determinazioni di pensiero ancora vaghe dellanaturaelafluidità e la determinatezza dei concetti della ragione dispiegata. Qualora la scienza empirica non colga questi limiti, si accanisce nell’empirico sino a reificare, per converso,lospirituale,a invertire i termini; e allora, come nella frenologia di Gall, lo spirito diventa «un osso»[137], e le bozze craniche la realtà dello spirituale. Ma l’istinto dellaragionepuòanche non disperare di se stesso, e in questo lavoro di scavo verso l’esterno riconoscere ancheilcontemporaneo lavoro di scavo verso l’interno, verso il «sole» della ragione esplicita: «A quel modo che l’istinto dell’animale cerca e consuma il cibo senza produrne cosa diversa da sé, similmente l’istinto della ragione nel suo cercare trova soltanto lei stessa. L’animale termina col sentimento di sé, mentre l’istinto della ragione è in pari tempo autocoscienza»[138]. Nel riconoscimento che l’istinto della ragione si prolunga necessariamente nella ragione autocosciente giace la possibilità di una rinnovata alleanza fra filosofia e scienze, sullabasedellacomune impresa di assimilazione della realtà. Inpolemicaconl’idea di evoluzione intesa come serie fluida e sfumata, per cui esistono anelli di congiunzione continui nella «grande catena dell’essere», Hegel stabilisce sia barriere invalicabili fra i tre «regni» della natura (minerale, vegetale, animale), sia una rigida struttura gerarchica. Respinge cioè sia le ipotesi, sostenute da Vallisneri, Bonnet, Robinet ecc., che esistano forme di transizione fra i tre regni, come le «piante petrose di mare», i tartufi o i fossili[139], sia l’ipotesi, ripresa allora anche da Cuvier, che l’ordinamento degli esseri viventi debba venirrappresentatonon come una scala o un albero, ma secondo un insieme di posizioni in un reticolo di coordinate[140]. In questa impostazione hegeliana – singolarmente vicina a quelle di Lamarck o Bichat – la vita sopraggiunge come un novum sulla materia, comeun«lampo»chela colpisce, o sorge «quale Minerva già armata dallatestadiGiove»[141]. Per cogliere più a fondo mediante il contrasto alcunenotevolianalogie e differenze fra Hegel e Lamarck, ci può essere d’aiuto questa bella pagina di Sainte-Beuve, incuivengonoricordate le lezioni di Lamarck al Jardin des Plantes: «si mostravamoltoostileai chimici, agli sperimentatoriinpiccolo, come li chiamava […] Secondo lui le cose si andavano facendo da sé, da sole, per continuità, mediante tratti di tempo sufficienti, senza passare per trasformazioni istantaneeocrisi,senza subire cataclismi o commozioni generali […] Una lunga pazienza cieca, questo era il suo Genio dell’universo […] Anchel’ordineorganico, una volta ammesso questo potere misterioso della vita, piccolo ed elementare quanto era possibile, egli supponeva che si sviluppasse da sé, si complicasse,sifacessea poco a poco; il bisogno sordo, la sola abitudine ad ambienti diversi, faceva nascere a lungo andare gli organi, mentre al contrario il potere della natura, costantemente in azione, li distruggeva: perché Lamarck separava la vita dalla natura.Lanaturaaisuoi occhi era pietra e cenere, il granito del sepolcro, la morte! La vita vi sopraggiungeva come un accidente strano e singolarmente industrioso, una lotta prolungata, con occasionali fasi di maggiore o minor successo, di equilibrio più o meno durevole, ma sempre vinta, alla fine: la fredda immobilità avrebbe regnato dopo come aveva prima»[142]. regnato A prescindere dalle più ovvie e profonde differenze, vi sono anche, tra Hegel e Lamarck, alcune illuminanticonvergenze oggettive: per entrambi la vita è un «accidente strano» che non si spiega attraverso leggi meccanicheochimiche, ma che ha una potenza propria; per entrambi essa sorge ancora, negli animali inferiori, attraverso la generatio aequivoca[143]; per entrambi la natura inorganica è il «granito del sepolcro» o un «cadavere»[144]; per entrambi la vita della Terra è destinata a finire: «Cielo e Terra – dice Hegel, citando Matteo – passeranno»[145], cosicché l’universo hegeliano, malgrado la marcia trionfale dell’idea nello spirito, contiene anch’esso la sua entropia e autodistruzione. Il giovane discepolo di Hegel, Feuerbach, esprimerà potentemente questi concetti in uno dei suoi primi scritti, i Pensieri sulla morte e l’immortalità[146]. Del resto Hegel non ha una concezionetrionfalistica della storia umana: sa che in essa le pagine di felicità sono «pagine vuote»,anchesesicade in un equivoco quando si attribuisce al suo pensiero l’affermazione che la storia è un «mattatoio»oun«banco di macellaio» (Schlachtbank), dimenticando di aggiungere che egli attribuisce questa visione guarda solo gli a chi eventi rimanendone in disparte, all’«egoismo che stando sulla riva tranquilla gode sicuro delle lontane visioni di confuse rovine», senza vedere come «la coscienza della libertà» avanzi malgrado questi drammi[147]. L’organismo vivente è caratterizzato per Hegel – sulla scia di Bichat, Richerand e Lamarck – dalla contraddizione che poi ritorna all’unità indifferenziata della morte[148]. Ma il genere continua a vivere attraversolamortedegli individui. Invece il pianeta Terra è geologicamente già morto ed inerte, il suo «processodiformazione è un processo passato»[149]:«Lastoriaè in precedenza caduta sulla Terra, ma ora è giunta alla quiete»[150]. Nonsipuòcertonegare chelaTerraabbiaavuto una storia e sia passata attraverso enormi rivoluzioni, dovute anche al variare dell’inclinazione dell’asseterrestre,come Hegelaffermaseguendo Buffon e Laplace: «La Terrael’interanaturaè da considerare come un prodotto; ciò è necessario secondo il concetto […] ChelaTerraabbiaavuto una storia, cioè che la sua natura sia il risultato di successivi mutamenti, lo mostra immediatamentequesta natura stessa. Essa indica una serie di gigantesche rivoluzioni, che appartengono a un lontano passato e che hanno bene anche un nesso cosmico, in quanto la posizione della Terra in relazione all’angolo formato dall’asse col piano dell’orbita poteva esser cambiato»[151].Hegel,che erastatoassessoredella «Societàmineralogicadi Jena», membro della «Società naturalistica della Vestfalia»[152], studioso appassionato della «nostra cara mineralogia» – come scriveva al filosofo e mineralogo Lenz[153] –, non poteva evidentemente credere che i movimenti tettonici, l’attività dei vulcani, l’erosione dell’acqua ecc. fossero scomparsi e del resto nonsieraancoraspento il ricordo della nascita, nel 1707, di un’isola nella baia di Santorini. Egli, inoltre, ritenendo superataladisputafrail nettunismo di Werner (il quale riteneva che la Terra fosse stata inizialmente ricoperta da un oceano primordiale e che le formazioni rocciose fossero sorte nell’acqua per «precipitazione», una tesi in parte approvata da Goethe) [154] e il plutonismo o vulcanismo Hutton[155], di sostiene esplicitamente che entrambi i princìpi devono essere riconosciuti e che «nel cristallo della Terra il fuoco è attivo tanto quanto l’acqua: nei vulcani, nelle fonti, nei processi meteorologici in genere»[156]. In che senso bisogna quindi interpretare la sua teoria che il «cristallo della vita», la Terra, è diventato un «morto organismo»?[157] Nel sensochelaterra,come un cristallo che ha ormai quasi compiuto il suo sviluppo[158], si avvia verso l’equilibrio di un sistema omeostatico. Lo «spirito della terra», dopo essersi agitato nel suo sogno notturno, «si svegliaedottienelasua coscienza nell’uomo»[159]. Révolution est La finie!, questafrecciatadiHegel contro Reinhold si può ora ritorcere contro di lui[160]. Ma perché è finita? È evidente che Hegel ha cercato di «conciliare» le due posizioni divergenti nella geologia del tempo: la dottrina cataclismatica e quella uniformistica,econuno sbrigativo giudizio ‘salomonico’ ha attribuito validità alla primaperilpassato,alla seconda per il presente: «La storia è dapprima caduta sulla Terra, ma ora è giunta alla quiete; una vita che, fermentante in se stessa,avevailtempoin se stessa»[161]. L’esperienzadellastoria umana dopo il Diluvio, nei presunti 6.000 anni trascorsi, sembrava dargli ragione[162]. Nessun gran cataclisma si è verificato, e anzi la Terra, lucrezianamente stanca di partorire, mostra nel Nuovo mondo la sua impotenza senile; uomini e animali son più deboli e piccoli e la vis generativa è alla fine[163]. Nell’Europa, «parte razionale della Terra», si è svegliato lo spirito terrestre giungendo nell’uomo europeo al culmine dell’autocoscienza[164]. Così, da quando il pianeta è diventato «patrianostra[…]patria dello spirito»[165], i suoi movimenti si sono pietrificatierimanesolo una lenta e sporadica opera di modificazione attribuita al fuoco e all’acqua. Nella scenografia del sistema hegeliano, la relativa immobilità e ciclicità dellanaturaservecome sfondo per far risaltare il movimento di sviluppo dello spirito umano, per il quale la rivoluzione continua: «Nella natura i mutamenti, per infinitamentemolteplici che siano, manifestano soltanto un moto circolare, che si ripete sempre: nella natura non accade nulla di nuovo sotto il sole, e in tal senso il gioco, pur cosìmultiformedeisuoi fenomeni porta con sé una certa noia. Solo nei mutamenti che hanno luogo sul terreno spirituale nascono le novità […] Se confrontiamo i mutamenti dello spirito e della natura, vediamo che in questa il singolo è sottoposto alla vicenda, nella quale però le specie restano immobili.Cosìilpianeta abbandona questo o quel luogo, ma il suo corso complessivo è costante. Lo stesso avviene per le specie animali.Ilmutamentoè unciclo,unaripetizione dell’identico […] È vero che anche la serie delle forme naturali costituisce una graduazione, dalla luce fino all’uomo, in modo che ogni grado è una trasformazione del precedente,unprincipio superiore, sorto dal superamento e dall’eliminazione di quel che precede. Ma nella natura questi elementi si separano, e tutti i germogli coesistono l’uno accanto all’altro: il trapasso si manifesta solo allo spirito pensante […] Nella natura la specie non fa alcun progresso, nello spirito invece cambiamento progresso»[166]. Nel ogni è sottolineare la distanza fra l’immobilismo della natura e il progresso dello spirito, nell’indagare sulle zone più oscure del rapporto tra prima e seconda natura, nel respingere quel dominio della natura prima che (alla fine dell’Ottocento) diventerà centrale nella cultura europea, Hegel vuole, da un lato, considerare la natura comebasepre-istoricae finalisticamente subordinata della storia umana in cui l’uomo, giunto al dominio del mondo naturale attraversolemacchinee la scienza, «fa valere il suo diritto e la sua dignità nell’interdire solo e maltrattare la natura, a cui restituisce quella necessitàeviolenzache ha subìto da essa»[167]. La natura – contro ogni «tenerezza per le cose»[168], contro ogni forma di elevazione panteistica o romantica – va pertanto sottoposta, secondo Hegel, al dominio dell’uomo, deve diventare serva dopo essere stata a lungo padrona, in quanto l’astuzia umana la mette in contraddizione consestessa,utilizzala forza degli elementi naturali (acqua, vento, vapore) per realizzare dei fini sociali, senza creare niente di nuovo[169]; dall’altro lato, vuole far confluire nella suprema idealità delpensiero,cometolti, tutti i natura generi della che hanno invece esistenza in quanto giustapposti spazialmente; in tal modo il pensiero dell’uomo diventa veramente un microcosmo, un percorrere tutto l’universo senza uscire da sé, perché è l’universo,lamateria,la natura che nel pensiero è tornata a sé, si è interiorizzata,‘involuta’; solonelpensiero,allora, come materia che ritorna in se stessa, i generi naturali ottengono determinatezza quella che primamancavaloro[170]. In quest’opera di «disantropomorfizzazione della natura[171], Hegel non intende soltanto salvare l’alterità e l’indipendenza relativa dell’oggetto, come «ciò che sta di fronte» (Gegen-stand) e non si esaurisce nel soggetto (contro Fichte che ne faceva un semplice limite), ma intende stabilirne anche l’assimilazione in posizione subalterna. Ricorrendo alla terminologia di Adorno, si potrebbe dire che la ratio celebra qui il suo trionfo. Ma la posizione hegeliana è ancora più complessa, perché il dominio sulla natura deve rendere possibile laliberazionedell’uomo, e alla guida di questa «BefreiungvonderNatur» sta la filosofia[172], che ha il suo centro – come Feuerbach non mancheràdiosservare– nell’anti-naturalismo e nel distacco dall’immediatezza. Con «sovrana ingratitudine»[173], lo spirito taglia il cordone ombelicalechelolegava alla natura e inizia una marcia autonoma (che hapursemprelanatura come presupposto, ma come presupposto dominato) in quelle zone della Terra dove l’uomo è all’avanguardia, in particolare nella «parte razionale» di essa, ossia l’Europa e i suoi «Annexa», come le Americhe. Si compie con Hegel una rivoluzione teorica: dopo l’epoca dell’assimilazione della natura, egli cominciata ritiene l’epoca dell’assimilazione della storia umana. La talpa dell’istinto della ragione, dopo aver aperto le vene della natura alla ricerca di se stessa,sirivolgeoraalla ricercadiunsensodella storia. E malgrado ogni arbitrio costruttivistico, c’èinquestotentativola volontà (o la presunzione) titanica di appropriarsiediguidare un movimento finora cieco, di comprendere e sottoporre alla «ragione» anche la storia umana. Il fatto stesso che questo problema si cominci a porre significa che il lavoro di razionalizzazione può iniziare[174]. La filosofia della storia, nel ricostruireilsensodella storia, procede in un certo modo cuverianamente, attraverso il «principio di corrispondenza» e cerca l’ossatura complessiva dei singoli avvenimentiinstrutture di pensiero. La storia cessa così di essere erudizione, «dotta spazzatura raccogliticci di fatti ed estrinseci» o intreccio gratuito: «Una storia senza siffatto scopo e senza siffatto giudizio sarebbe soltanto un abbandonarsi da idiota alla mera immaginazione: non sarebbe neppure una fiaba da bambini, giacchéancheibambini vogliono nelle narrazioni un interesse, cioè uno scopo, che si dia loro almeno ad intravvedere, e la relazione degli avvenimenti e delle azioni a questo scopo»[175]. La storia è un processo teleologico, anche se il nomos è da scoprire, e Hegel crede di individuarlo nel «progresso nella coscienza della libertà»[176], ossia nella progressiva e inarrestabiledistruzione dei condizionamenti esterni all’assimilazione. La storia non è quindi per Hegel un semplice scorrere amorfo, un progresso senza mèta, come lo concepirà anche il successivo storicismo tedesco, ma è, per così dire, vertebrata, fornita di una struttura in divenire. Nella difesa cheHegelcompiediuna storia teleologicamente orientata non c’è solo unaformadiprofetismo secolarizzato[177], ma la polemica rinascente contro il irrazionalismo di Schelling, von Baader e simili (che negavano la possibilità di conoscere positivamente una qualche direzione degli avvenimenti umani)[178] e contro l’idea dei teorici della Restaurazione per cui esiste un corso naturale delle cose voluto da Dio che l’uomo non è in gradonédiintravvedere nédimutare. Lo spostarsi del baricentro del discorso hegeliano dalla natura alla storia accentua i caratteri ‘idealistici’ di questa filosofia e produce contemporaneamente quel disprezzo per la naturalità e quell’ammirazione per l’umano che formano l’anima della teoria di Hegel. È insegnamento un che rimarrà impresso nei discepoli diretti e indiretti: dal paragone fra il cielo stellato e un’eruzione cutanea o uno sciame di mosche, ripetuto da Heine[179] all’affermazione, predilettadaMarx,della superiorità del pensiero di un delinquente rispetto ai più meravigliosi spettacoli dellanatura:«Spessogli [cioè a Marx] ho sentito ripetere il detto di Hegel, il maestro di filosofia della sua gioventù: “Persino il pensierocriminalediun malfattore è più grandioso e sublime delle meraviglie del cielo”»[180]. E questo spiegainparteanchela solennità (ritenuta prussiana)concuiHegel parla dello Stato: «Ogni Stato, lo si dichiari anche cattivo secondo i princìpi che si professano, si riconosca in esso questo o quel difetto, – ha sempre in sé, specialmente se appartiene alla nostra epoca civile, i momenti essenziali della sua esistenza. Ma, poiché è moltopiùfacilescoprire un difetto, che intendere l’affermativo, si cade facilmente nell’errore di dimenticare al di sopra dei suoi aspetti singoli, l’organismo interiore dello Stato stesso. Lo Stato non è un’opera d’arte; esso sta nel mondo e, quindi, nella cerchia dell’arbitrio, dell’accidentalità e dell’errore; un cattivo comportamento lo può svisaredamoltilati.Ma l’uomo più odioso, il reo,unammalatoeuno storpio, sono sempre ancora uomini viventi; l’affermativo, la vita, esiste, malgrado il difetto; e questo affermativo importa, qui»[181]. Dinanzi alle meraviglie della natura, l’uomopiùoscurohaun valore infinito: «La religiosità,lamoralitàdi unristrettotipodivita– quella di un pastore, di un contadino –, nella sua concentrata interiorità, nel suo restringersi a pochi e affattosemplicirapporti di vita, ha un valore infinito»[182]. 7.Lateleologia dell’istinto: animaleeuomo Seguiamo ancora per un tratto il processo di interiorizzazione della natura sino al sorgere dello spirito. Già nel cristallo la materia comincia a organizzarsi dall’interno,apartireda un «germe» che le dà forme regolari e simmetriche[183]. Col passaggio «dalla prosa alla poesia della natura»[184], si dipanano poi le diverse manifestazioni della vita: dalla goccia d’acqua marina, che contiene un «globo vivente» d’infusori, alghe ecc.[185], alla pianta, in cui si avverte la prima «concentrazione delle differenze, uno svilupparsi al di fuori dell’interno»[186], agli animali, in cui l’individualità organica «esiste come soggettivitàinquantola propria esteriorità della figura si è idealizzata»[187]. A differenza della pianta che dipende da una potenza esterna (dalla luce, quasi «il proprio Dio»)[188], l’animale è mosso da una forza interna, l’istinto. In lui lavitaèscopoemezzo, elasua«realizzazioneè nello stesso tempo un rientrare in sé»[189]. L’organismo animale è, infatti, «il microcosmo, ilcentrodivenutopersé della natura, in cui l’intera natura inorganicasièriassunta e idealizzata»[190]. Ma l’animale è tuttavia sottopostoaldominiodi ununiversale,ilgenere, che resta esterno a lui, non interiorizzato. La sproporzione fra il singolo e il genere si conclude con la morte del singolo: «la natura organicaterminaquindi così: per il fatto che il singolomuore,ilgenere giunge a se stesso, e diventa con ciò oggetto asé;questocostituisceil sorgere dello spirito»[191]. Il genere diventa dunque autonomo, si sdoppia attraverso la morte e il sole interiore nasce da questo sacrificio notturno della natura: «Loscopodellanaturaè uccidere se stessa […] bruciarsi come Fenice e rivenir fuori ringiovanita da questa esteriorità come spirito»[192]. Dalla morte dellanaturascaturisceil pensiero, «l’universale esistente per se stesso», «l’immortale»[193]. La religione cristiana, che sorgedalla«notteincui la sostanza fu tradita e si rese soggetto» e che introducelavitapiùalta attraverso il sacrificio della naturalità, rappresenta pur sempre il modello di riferimento, ma dietro diessosiaffacciaanche l’immaginedellasocietà moderna che vuole asservire la natura, cancellare ogni immediatezza risolvendola nel potere dell’astratto, della mediazione incessante a cui nulla deve sfuggire. Non riuscendo a rappresentarsiilgenere, l’animale agisce per istinto. Nel costruire «nidi, tane, giacigli», si comporta come un «artigiano inconscio», ma solo «nel pensiero, nell’artista umano, il concetto è per se stesso»[194].Perciò–dice Hegel, riferendosi agli esempi di Cuvier in Le Règne Animal distribué d’après son organisation[195] – quanto più complessa è l’organizzazione dell’animale, tanto più debole è l’istinto. L’uomo,invece,«avendo coscienza del reale come ideale, cessa di essere qualcosa di puramente naturale, dedito solo alle sue immediate intuizioni e tendenze, alla loro soddisfazione e produzione. Che egli abbia coscienza di questo si manifesta nel fatto che egli frena i suoiistinti:tral’impulso dell’istinto e la sua soddisfazione egli pone l’ideale, il pensiero. Nell’animale i due momenti coincidono; esso non scinde da sé questo nesso, che può essere interrotto solo dal dolore o dal timore. Nell’uomo l’istinto sussiste prima o senza che esso lo soddisfi: potendo frenare o dar corso ai suoi istinti, egli agisce secondo fini, si determina secondo l’universale. È lui che deve determinare quale fine debba riconoscere come valido: e può porre come suo fine persino il puro universale. Quel che lo determinainciòsonole rappresentazioni di ciò che egli è o vuole. In questo è l’autonomia dell’uomo: ciò che lo determina,eglilosa[…] Per l’animale le rappresentazioni non sono realtà ideale, effettiva […] Esso non puòintercalarenullafra il suo istinto e la sua soddisfazione; non ha volontà, non può passareall’inibizione.Lo stimolo si genera nel suo interno e presuppone un’esecuzione immanente. L’uomo è autonomononperchéil movimento comincia in lui, ma perché egli lo può frenare, rompendo in tal modo la sua immediatezza e naturalità»[196]. In questo senso, dato che anche per Hegel «il lavoro non è un istinto, bensì un atto razionale»[197], «attività in sé riflessa»[198], che ha a fondamento una rappresentazione, vale qui quanto riaffermato da Marx: «Il nostro presupposto è il lavoro inunaformanellaquale esso appartiene esclusivamenteall’uomo. Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l’ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggior architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa primadicostruirlanella cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell’elemento naturale; egli realizza nell’elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, che egli conosce, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà»[199]. 8.Lavoro, pensiero,istinto Il problema del lavoro edellafinalitàcosciente o inconscia nell’operare dell’uomo coinvolge direttamente anche quello della teleologia, lungamente dibattuto nellaculturaeuropeada Aristotele a Kant e spessosottoposto,inetà moderna, a critiche distruttive. A partire da Spinoza, si è, infatti, ridottaognicausafinale a causa efficiente: «La causa così detta finale, poi, non è se non la vogliaumana,inquanto considerata come principio o causa primaria di qualcosa. Per esempio, quando diciamochel’abitazione èstatalacausafinaledi questa o di quella casa, altrononintendiamose non che un uomo, essendosi immaginato i vantaggi della vita domestica, ha avuto voglia di costruire una casa. Per cui l’abitazione, in quanto considerata come causa finale, non è altro che questa singola voglia, che in verità è causa efficiente, considerata comecausaprimaperil fatto che gli uomini ordinariamente ignorano le cause di ciò che vogliono»[200]. In seguito si è attaccata la teleologia insita nelle filosofie della storia per giungere, infine, al suo netto e globale rifiuto. Da allora grava su di essa il sospetto dell’inutilità o dell’inganno (che bari cioè quando introduce surrettiziamente ipotesi che nascondono l’ignoranza dei fenomeni che intende affrontare). È largamente noto come la scienza moderna sia sorta, in polemica contro determinate tradizioni attribuite all’aristotelismo, anche sulla base dell’eliminazione dal suo ambito delle cause finali. Esse vengono ridicolizzate nei loro ultimi malinconici sostenitori, in coloro che – secondo le caustiche espressioni di Voltaire – ritengono che Dio abbia creato le maree «affinché i battelli entrino più agevolmente in porto e per impedire che l’acqua del mare imputridisca» o sostengono «che le gambe sono fatte per essere calzate e i nasi per portare gli occhiali»[201]. Il ricorso alle cause finali viene perciò considerato un pregiudizio teologico e antropologico da cui lo scienziato e il filosofo devono ben guardarsi. In questo modo, il finalismo diventa un tabù culturale e il meccanicismo trionfa erigendosi a modello di ogni sapere, postulando leggi esclusivamente causali-efficienti e rinunciando solennemente al presupposto che la natura sia regolata da fini, specie se utili all’uomo. Dopolosviluppodelle scienze della vita e il loro relativo autonomizzarsi dal riduzionismo meccanicistico,sièperò costretti a riconoscere chegliorganismiviventi sono pur sempre regolatidaleggichenon sembrano esclusivamente meccanico-efficienti. Per mantenere il tabù anti-teleologico e rimanere fedele al suo ideale di scientificità, Kant è pertanto costretto a ricorrere a unagenialesoluzionedi compromesso, dichiarando la finalità una «idea regolativa» e non un concetto scientifico: si può solo dire che è «come se» in natura ci fosse un ordinamento teleologico. Questo è il primo grande sintomo di imbarazzo e di disagioneiconfrontisia dell’accettazionechedel rifiuto della finalità. Malgrado ogni assalto vittoriosamente sferrato contro il finalismo, è, appunto, «come se» il compitodibandirlonon fosse mai terminato e ciò che è stato cacciato dalla porta rientrasse, camuffato, dalla finestra. Sebbene la lotta nei confronti del finalismo abbia spesso costituito una forma di igienementale,ilprezzo sembraesserestatouna rimozionemalriuscita. Compromessi analoghi sono stati stipulati anche in tempi più vicini a noi attraverso l’uso di categorie quali «teleonomia», «quasi- finalità» o «bricolage». Ampi settori della biologia contemporanea hanno interpretato il formarsi e lo strutturarsi della materia vivente in base al modello dello stabilizzarsi del caso e delle mutazioni: dapprima si producono combinazionialeatorie– ad esempio, catene di aminoacidiediproteine – e solo dopo la cellula tende teleonomicamente alla riproduzione di se stessa, alla reduplicazione secondo ilmetododel ne varietur (dimodoché costituisce problema più la permanenza che l’innovazioneevolutiva). La natura prende ciò che trova: non è un architetto, ma un bricoleur. In von Wright l’uso del termine «quasi-finalità» sostituisce quello di «teleologia», accreditandosi come alternativo: quando diciamo,sostiene,cheil nostrocuorebattepiùin fretta sotto sforzo «per» essere così in grado di ossigenare maggiormente i tessuti, diamo una spiegazione quasi finalistica, che esclude sia la finalità cosciente che un disegno prestabilito e si riduce al modello omeostatico della compensazione e della eliminazione degli elementididisturbo[202]. Il problema della stabilizzazione del caso passa così in secondo piano rispetto alla riproduzione di un equilibrio alterato. Rimanedachiedersi–al di là dell’indubbio spessore scientifico e culturale di queste teorie – se, da un punto di vista categoriale, termini come «teleonomia» «quasifinalità» o «bricolage» non siano degli eufemismiperevitaredi pronunciare la parola «teleologia» e di evocarneilconcettopur godendonedeivantaggi, senonnascondanocioè ledifficoltà(danotareil «quasi» nella «quasifinalità») in luogo di portarle più radicalmente alla luce. Resta da domandarsi in che misura abbia ragione il biologo franceseGrassé,ilquale – parafrasando La Rochefoucauld – ha affermato che la teleonomia rende alla teleologia lo stesso omaggio che il vizio rendeallavirtù[203]. È solo con Hegel che, in età post-kantiana, la teleologia viene riabilitata e ottiene un nuovo diritto di cittadinanza nel pensiero filosofico. Ciò accade in due modi. In primo luogo, Hegel consideraillavorocome soluzione del conflitto teoretico che opponeva inKantilmeccanicismo al teleologismo, ossia come vera cerniera tra oggettività e soggettività[204]. Egli è certo d’accordo con la tradizione scientificofilosofica moderna secondo cui la natura non è fatta per l’uomo: lepietrecadono,ifiumi scorrono,ilventosoffia, il vapore si innalza, i fiori sbocciano, le mucche danno latte e tutto ciò accade indipendentemente dalla volontà e dalla progettualità umane. Esistono,dunque,forme di legalità naturale, che agiscono secondo i propri princìpi, senza bisogno di consapevolezza, ma il lavoroeilsapereumani, proprio in quanto coscienti, hanno appreso a comandare la natura obbedendole, rispettando al massimo le sue leggi per potersene poi servire in vista di fini esclusivamente umani. In tal modo le case si costruiscono con pietre e mattoni che seguono le leggi della gravità, la corrente del fiume muove da sé le pale dei mulini, il vento, soffiando dove vuole, gonfialevele,conlasua forza espansiva il vapore aziona le macchine, dai fiori di genziana, che crescono spontaneamente, si producono liquori e dal latte che esce dalle gonfie mammelle delle mucche, delle pecore e delle capre si fa il formaggio. L’astuzia del lavoro e della scienza consiste quindi nell’assecondare le leggi naturali prive di finalità,neltrasformarle in mezzi per i fini introdotti dall’uomo, chesiimpossessaditali forze e le piega al proprio scopo. Egli usa pertanto l’energia dell’acqua di un torrenteperfargirarele pale di un mulino, in modo da mettere in movimento la macina che trita il grano, trasformandolo in farina. Ma il grano non cresce per noi, così comeilventononsoffia per farci piacere. Noi raggiungiamo dunque il nostro scopo unendo e combinando forze naturali separate messe talvolta in contrasto tra loroesfidiamolanatura sul suo stesso terreno. In questo senso, l’astuzia delle macchine, progettata dallavorochecatturale energie naturali, è analoga all’«astuzia della ragione» (List der Vernunft) che si serve nella storia delle passioni degli uomini, come energie inconsce naturali, per raggiungere risultati preterintenzionali e inattesi, che sorpassano gli scopi individui[205]. degli In secondo luogo, Hegel allarga la sfera di validità della teleologia, distinguendotrafinalità esterna e finalità interna e dichiarando che solo la prima deve essere espunta dal pensiero scientifico, mentre la seconda costituisce un concetto indispensabile per comprendere non solo l’attività lavorativa e progettuale umana, ma anche il suo nesso con lanaturaeconlastoria. Di nuovo – come prima in Aristotele e poi in Max Weber – la razionalità appartiene perluisoltantoalregno dei mezzi, degli strumentienondeifini. Vi è un passo noto, che occorre meditare nuovamente in questo senso: «A cagione del suo essere finito, lo scopo ha inoltre un contenuto finito. Perciò non è un assoluto, o addiritturainséepersé unrazionale.Ilmezzoè poi il termine medio esteriore di quel sillogismo in cui consistelarealizzazione dello scopo. In esso se ne dà quindi a conoscere la razionalità come quella che si conservaincotestoaltro esteriore e precisamente per via di cotesta esteriorità. Perciòilmezzoèunche di superiore agli scopi finiti e alla finalità esterna; – l’aratro è più nobile che non siano i godimenti che esso procura e che costituiscono gli scopi. Lo strumento si conserva, mentre i godimenti immediati passano e vengono dimenticati. Coi suoi strumenti l’uomo domina la natura esteriore,ancheseperi suoi scopi le resta anzi soggetto»[206]. La «finalità interna» mantiene il suo primato, ma, nello stesso tempo, anche il mezzo conserva la sua indipendenza: «Una casa, un orologio possono apparire come scopi rispetto agli strumenti adoprati per produrli;malepietre,le travi, le ruote, gli assi etc.,checostituisconola realtà dello scopo, adempiono ad esso soltanto colla pressione che sopportano, coi processi chimici cui coll’aria, la luce e l’acqua sono abbandonati, mentre ad essisottraggonol’uomo, col loro attrito, etc. Adempiono dunque alla destinazione loro soltanto col loro uso e logorio, e soltanto colla loro negazione corrispondono a quel chedevonoessere»[207]. Nellostabiliredeifini, nel rappresentarsi l’universale e nell’inibire il godimento immediatol’uomoentra incontraddizioneconse stesso, diventa un anfibio che ritorna continuamente alla naturalità, per poi strapparsi di nuovo a essa, e la «cultura moderna» ha «acutizzato» questa contraddizione che appartieneinsestessaa ogni civiltà: «L’educazione spirituale, l’intelligenza moderna, producono nell’uomo questa opposizione che lo rende anfibio in quanto egli deve vivere in due mondi che contraddicono si e, sballottato da un lato e dall’altro, è incapace di trovare per sé soddisfazionenell’unoe nell’altro. Infatti, da un latonoivediamol’uomo prigioniero della realtà comune e della temporalità terrena, oppresso dal bisogno e dalla necessità, angustiato dalla natura, impigliatonellamateria, in fini sensibili e nel loro godimento, dominato e lacerato da impulsi naturali e da passioni, dall’altro egli si eleva a idee eterne, a un regno del pensiero e della libertà, si dà come volontà leggi e determinazioni universali, spoglia il mondo della sua animata, fiorente realtà e la risolve in astrazioni»[208]. In questa contraddizione l’uomo diventa campo di battaglia, negazione estrema dell’immediatezza: «Io non sono uno dei due contendenti, io sono entrambi i contendenti, io sono la contesa stessa»[209]. Ma nell’uscire dalla pace dell’animale, nel ricevereil«privilegiodel dolore» e della «follia»[210], egli abbandona la ciclicità e la cattiva infinità del genere naturale e ottiene un soddisfacimento più alto:«Lebestievivonoin paceconsestesseecon le cose intorno a loro, ma la natura spirituale dell’uomo produce il dualismo e la lacerazione nella cui contraddizione egli s’affanna.Infattil’uomo non può trattenersi nell’interno come tale, nel puro pensiero, nel mondo delle leggi e della loro universalità, ma ha anche bisogno dell’esistenza sensibile, del sentimento, del cuore,dell’animoecc.La filosofia pensa all’opposizione che da quideriva,qualeessaè, nella sua compenetrante universalitàeprocedeal superamento di essa opposizione in modo egualmente universale; ma l’uomo, nell’immediatezza della vita, tende a un soddisfacimento immediato. Nel modo più diretto tale soddisfacimento ad operadelladissoluzione di quell’opposizione è da noi trovato nel sistema dei bisogni sensibili. Fame, sete, stanchezza, mangiare, bere, sazietà, sonno ecc., sono in questa sfera esempi di tale contraddizione e della sua soluzione. Ma in quest’ambito naturale dell’esistenza umana il contenuto del soddisfacimento è di specie finita e limitata; ilsoddisfacimentononè assoluto e procede quindi senza posa a sempre nuovi bisogni; il mangiare, il sonno, la sazietà non giovano a nulla, la fame, la stanchezza incominciano di bel nuovo al mattino. Nell’elemento dello spirituale, poi, l’uomo tende al soddisfacimento ed alla libertà nel sapere e nel volere,inconoscenzeed azioni»[211]. Solo il pensiero, non la sensibilità, ha per Hegel la capacità di emancipare l’uomo, e il godimento naturale resta sempre insoddisfazione che pungola verso qualcosa di più elevato, un ubi consistamdoveildisagio siplacaallalucedelsole interiore,lavitapiùalta del pensiero e dell’azione razionale[212]. Volendo nuovamenteguardarela filosofia hegeliana in negativo, è possibile vedere qui la paura di una ricaduta nella naturalità delle società pre-moderne: nella «violenza senza storia del tempo» che subisce unpopoloquandoèsolo una «nazione, una tribù»[213], nel torpore asiatico o nell’«universale campo di battaglia dei particolarismi» che è il mondo medievale, in cui il pensiero, il vero universale, vive avulso dal particolare e conduce un’esistenza umbratile nelle istituzioni (Chiesa e Impero) e nei chiostri[214]. Affinché non si subisca la «violenza senza storia» o il predominio cieco dell’epoca, Hegel non esige tuttavia l’eliminazione dell’istintonelsensodel dovereonell’imperativo kantiano, ritiene anzi che la sua permanenza sia essenziale, in quanto, come istinto della ragione, esso è la guida nell’intrico delle contraddizioni, il punto sensibile di orientamento inconscio che spinge sempre verso l’unità e la conciliazione dei contrasti. C’è nell’uomo un istinto di verità che lo accompagna in ogni suopensieroeazione,e Hegel lo illumina con un’altra metafora animale,citandoDante: Io veggio ben che già mai non si sazia nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra di fuor dal qual nessun vero si spazia. Posasi in esso come fera in lustra, tosto che giunto l’ha; e giunger pòllo: se non, ciascun disìo sarebbe frustra[215]. Questo istinto di verità, di accordo fra il pensiero e l’essere, di realizzazionedell’essere nel pensiero, è il tacito presupposto di ogni nostro agire e pensare, anche in coloro che dubitano della possibilità del pensiero di attingere il mondo: «Quelli che non capiscono niente di filosofia si mettono le mani ai capelli quando sentono questa frase: Il pensare è l’essere. Eppure,allabasediogni nostro agire c’è il presupposto dell’unità del pensiero e dell’essere. Come esseri pensanti, questo presupposto noi lo rendiamo razionale. Bisogna tuttavia distinguere accuratamente se noi siamosolopensantiose ci sappiamo anche comepensanti.Pensanti lo siamo in ogni circostanza; il sapere di pensarehaluogoinvece inmanieraperfettasolo se ci siamo sollevati al pensare puro»[216]. La realtà effettuale è già «ragione immediatamente esistente» (seiende Vernunft) e il sapere è, perconverso,essereche è giunto alla ragione; «sommo fine» della filosofia «è da considerare il produrre, mediante la conoscenza di questo accordo, la conciliazione della ragione cosciente di sé con la ragione quale è immediatamente,conla realtà effettuale»[217]. Il problema diventa ora: Come viene enucleato nella storia umana il pensiero puro dal pensare istintivo? Come avanza la ragione autocosciente, la selbstbewussteVernunft? [1] Pfaff an Hegel, estate 1812, in Briefe, cit., vol. I, p. 405 (trad. it. cit., vol. II, pp. 187-188). [2] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 24 Z. Sul concetto di Bestimmung («determinazione, destinazione, virtualità»), cfr. Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, pp. 110-111 (trad. it. cit., vol. I, pp. 120121). [3] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§246Z. [4]Ibid. [5] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.69(trad.it. cit.,vol.I,pp.90-91). [6] Hegel, Jenenser RealphilosophieII,cit.,p.120. [7] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§219Z. [8]Ibid.,§381Z. [9] Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Religion, a cura di G. Lasson, cit., vol. I, p. 220 (trad. it. cit., vol. I, p. 258). [10] Cfr. K. Rosenkranz, Hegels Leben, trad. it. cit., p. 523. J.F. Ackermann (17651835), professore di anatomia a Jena e, dal 1805, a Heidelberg, è autore della Darstellung der Lebenskräfte, Frankfurt a.M., 1799-1800, utilizzata da Hegel, cfr. Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§396Z.Tutta la tematica hegeliana della «vita», negli ultimi anni di FrancoforteeaJena,nonha perciòsolountonomisticoo religioso, come spesso si è creduto, ma si riferisce a ricerche di fisiologia e di biologia.SuJenacentrodella cultura scientifica e filosofica europea di questi anni cfr. P. Ziche, NaturforschunginJenazurZeit Hegels. Materialien zum Hintergrund der spekulativen Naturphilosophie, in «HegelStudien», 32 (1997), pp. 9-40; AA.VV., Die Universität Jena. Tradition und Innovation um 1800, Stuttgart, 2001; K. Vieweg, La Roma della filosofia: Jena intorno al 1800 (lezione all’università di Siena del 2002), in Id., Il pensierodellalibertà.Hegelelo scetticismopirroniano, cit., pp. 11-20e,sull’attivitàdidattica svolta da Hegel in questa città, si veda K. Düsing, Hegels Vorlesungen an der Universität Jena, in «HegelStudien», 26 (1991), pp. 1524. [11] Cfr. G. Nicolin, Verlorenes aus Hegels Briefwechsel, in «HegelStudien», 3 (1965), p. 92. Cfr. A. Richerand, Nouveaux éléments de physiologie, Paris, 1801; cfr. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§354Z. [12] Cfr. J.H.F. Autenrieth, Handbuch der empirischen menschlichen Physiologie, Tübingen, 1801-1802. Cfr. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, §§ 354 Z, 362 Z, 364 Z; Sinclair an Hegel, 23 maggio 1807, in Briefe, cit., vol.I,p.165(trad.it.cit.,vol. I, p. 281). L’interesse per questi temi era già vivo nel giovaneSchiller,cfr.Schiller, Philosophie der Physiologie, in Friedrich Schillers medizinischphilosophische Jugendarbeiten, Berlin,1959,pp.33ss. [13] Cfr. G.R. Treviranus, Biologie oder Philosophie der lebendigen Natur für Naturforscher und Ärtzte, Göttingen,1802-1822;A.von Haller, Elementa physiologiae corporis humani, Lausanne, 1757-1766. Cfr. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§356Z.Sulla concezione hegeliana della biologia si veda A. De Cieri, Filosofia e pensiero biologico in Hegel,Napoli,2002. [14] Cfr. L. Spallanzani, Opuscoli di fisica animale e vegetabile, Modena, 1776, in Le opere di Lazzaro Spallanzani, Milano, 1932, vol.I,pp.213-411(oraanche in L. Spallanzani, Della digestione, in Opere scelte, a curadiC.Castellani,Torino, 1978, pp. 864-1115 e si veda, inoltre, Id., Il giornale della digestione, a cura di C. Castellani, Firenze, 1994). Sul problema della digestione in Spallanzani, cfr.J.Rostand,Lesoriginesde la biologie expérimentale et l’abbéSpallanzani,Paris,1951, trad. it. Lazzaro Spallanzani e le origini della biologia sperimentale, Torino, 19632, pp. 86-96; P. Di Pietro, Lazzaro Spallanzani, Modena, 1979,pp.211-216. [15] Dell’opera di Spallanzani uscì poco dopo una traduzione tedesca (a cura di C.F. Michaelis, Leipzig, 1786). Sul processo digestivo, cfr. A. Richerand, Nouveaux éléments de physiologie (cito dalla III ed., Paris, anno XII [1804]), t. I, pp. 28 ss., 143-248; J.H.F. Autenrieth, Handbuch der empirischen menschlichen Physiologie,cit.,§§551-625. [16]Cfr.Hegel,Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, 365 A (trad. it.cit.,pp.332-333)e§365Z. [17]Ibid.,§365Z. [18] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 295 (trad. it.cit.,vol.II,p.91). [19] Ibid., p. 387 (trad. it. cit.,vol.II,p.92). [20] Cfr. L. Spallanzani, Opuscoli di fisica animale e vegetabile…, in Le opere di Lazzaro Spallanzani, cit., vol. I, pp. 213 ss. Spallanzani sviluppava alcune teorie di Réaumur, cfr. R.A. Ferchault deRéaumur,Observationssur la digestion des oiseaux, in Mémoires de l’Académie des Sciences,1752,t.I,pp.266ss., t.II,pp.461ss.Cfr.J.Torlais, Réaumur. Un esprit encyclopédique en dehors de l’Encyclopédie,Paris,1961,pp. 347-363. [21] Cfr. J. Rostand, Les origines de expérimentale la et biologie l’abbé Spallanzani, trad. it. cit., pp. 94ss. [22] La loro natura venne scoperta da B. Carminati, Ricerche sulla natura del succo gastrico,Milano,1785. [23]Cfr.Hegel,Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, 365 A (trad. it.cit.,p.333). [24]Ibid.,§365Z. [25] Per la scoperta del carattere animale della fermentazione, cfr. C.C. Delatour, in «L’Institut», III (1835), pp. 133-134. Per la presenza della pepsina nel succo gastrico, cfr. Th. Schwann,ÜberdasWesendes Verdauungsprozesses, in «MüllerArchiv»,1836,p.90. [26]Cfr.Hegel,Wissenschaft der Logik, cit., vol. II, pp. 383 ss. (trad. it. cit., vol. II, pp. 883 ss.) e Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 195 Z, per cui il meccanismo vale «in dienender Stellung», in posizione servile o subordinata. Per un commento ai testi hegeliani corrispondenti alle discipline trattate da Hegel, si veda L. Illetterati, Sul meccanismo, il chimismo, l’organismo e il conoscere, in «Quaderni di Verifiche 7», Trento, 1996. Per la teleologia Hegel ha molto meditato, oltre che ovviamente sulla Critica del giudizio di Kant, anche sulla Fisica di Aristotele, in particolare sul cap. VIII del libro II (cfr. Aristotele, Phys., 198 b-200 b). Sulla teleologia in Hegel, cfr. J. D’Hondt, Téléologie et Praxis dans la logiquedeHegel,inHegeletla penséemoderne,cit.,pp.1-26; J.N. Findlay, Hegel’s Use of Teleology, in New Studies in Hegel’s Philosophy, a cura di W.E. Steinkraus, New York, 1971, pp. 92-107; N. Badaloni, Teleologia ed idea del conoscere nella logica di Hegel, in Per il comunismo, Torino, 1972, pp. 13-53; C. Warnke, Aspekte des Zwecksbegriffs in Hegels Biologieverständniss unserer Zeit, in Zu Hegelverständniss unserer Zeit. Beiträge marxistich-leninistischer Hegelforschung, a cura di H. Ley, Berlin, 1972, pp. 244252.Ecfr.piùavanti,pp.167, 178,295,344. [27]Cfr.Hegel,Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§365A(trad. it.cit.,pp.332-333). [28] Ibid., § 365 Z. Vale la pena di ripetere questo passo della Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, pp. 58, 59 (trad. it. cit., vol. II, pp. 490491, 492): «Poiché di fronte adessa[allacontraddizione] l’identità non è che la determinazionedelsemplice immediato, del morto essere; la contraddizione invece è la radice di ogni movimento e vitalità; […] Qualcosa è dunque vitale soloinquantocontieneinsé la contraddizione ed è propriamente questa forza di comprendere e sostenere insélacontraddizione». [29] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 365 Z. Sul raccontodeimarinaiinglesi, cfr.W.Bligh,AVoyagetothe South Sea…, London, 1790, pp.191-238. [30] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 365 Z. Egli interpreta così, in senso teleologico, il concetto di nisusformativus elaborato da J.F. Blumenbach, Über den Bildungstrieb und das Zeugungsgeschäfte,Göttingen, 1781, e si veda P.H. Reill, Vitalizing Nature in the Enlightenment, Berkeley-Los Angeles, 2005. Di Blumenbach Hegel aveva nella sua biblioteca lo Handbuch der vergleichenden Anatomie,Göttingen,1805. [31] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§365Z. [32] Ibid. Cfr. Phänomenologie des Geistes, cit.,p.192(trad.it.cit.,vol.I, pp.290-291). [33]Ibid.,p.25(trad.it.cit., vol. I, p. 23). Secondo H. Schmitz, Hegels Begriff der Erinnerung, in «Archiv für Begriffsgeschichte», IX (1964), p. 39, la metafora della nutrizione applicata alla vita spirituale si trova giàinNovalis.Maqui,come vedremo, si tratta di qualcosa di più che una semplice metafora accidentale. [34] Cfr. Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 25 (trad. it. cit., vol. I, p.22). [35] Ibid., p. 564 (trad. it. cit.,vol.II,p.305). [36] Ibidem, p. 563 (trad. it. cit.,vol.II,p.305). [37] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§360A(trad. it.cit.,p.329). [38] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.4(trad.it. cit.,vol.I,p.4). [39] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§2A(trad.it. cit.,p.3).Cfr.ibidem,§19Z2. [40]Cfr.ibid.,§§365Ze376 Z. [41]Ibid.,§22Z. [42]Peruninquadramento diquestodibattito,cfr.E.De Negri, La teologia di Lutero, Firenze, 1967, in particolare pp. 210-237; A. Asendorf, Luther und Hegel. Untersuchungen zur Grundlegung einer neuen systematischen Theologie, Wiesbaden, 1982, e T. Guz, Zum Gottesbegriff G.W.F. Hegels im Rückblick auf das Gottesverständnis Martin Luthers,Frankfurta.M.,1998. Per un inquadramento più ampio, cfr. H. Bornkamm, LutherimSpiegelderdeutschen Geschichte, Göttingen, 19702, pp.31-35,225-237. [43] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§552A(trad. it. cit., p. 496). Cfr. Hegel, Vorlesungen über die GeschichtederPhilosophie,cit., vol. XIII, p. 90 (trad. it. cit., vol. I, p. 88): «La comunione in senso luterano è divina soltanto nella fede, nel godimento, non è più veneratacomeostia». [44]Cfr.Hegel,Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§§26-36e,in particolare,§30(trad.it.cit., pp.36-42). [45] Cfr. Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 195,931ss.(trad.it.cit.,vol. I,p.227;vol.IV,pp.213ss.). [46] Lutero, in Werke, Kritische Gesamtausgabe, Weimar, 1883 ss., vol. XVIII, pp. 199-200; cfr. E. De Negri, La teologia di Lutero, cit., pp. 225-226. [47] Come, ad esempio, Ernst Bloch o, in Italia, la scuoladelDellaVolpe. [48] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie,cit.,p.64(trad.it. cit.,p.79). [49] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 377 (trad. it.cit.,vol.II,pp.219-220). [50] Hegel, Glauben und Wissen, cit., p. 413 (trad. it. cit.,p.252). [51] Hölderlin, Empedokles, prima stesura, Empedokles aufdemAetna, vv. 171 ss., in Grosse Stuttgarter Hölderlinausgabe, cit., vol. IV, 1, pp. 9 ss., trad. it. di F. Borio, Empedocle, Torino, 1961, pp. 31 ss. Ermocrate attacca Empedocle proprio perché mette in discussione la positività delle leggi religiose e civili: «E quanto innanzi a lui buon tempo e legge, / Arte e costume han maturato, e santa / Tradizione,rovesciaegioiae pace / Non vuol più sopportare tra i viventi» (ibid., p. 11, trad. it. cit., p. 33). Sull’Empedocle e sulla concezione della tragedia in Hölderlin rinvio a R. Bodei, Hölderlin: la filosofia e il tragico, cit., pp. 7-71 e a M. Pezzella,Laconcezionetragica inHölderlin,Bologna,1993. [52] Hegel, Der Geist des Christentums und sein Schicksal, in Theologische Jugendschriften, a cura di H. Nohl,Tübingen,1907,p.282, trad. it. di E. Mirri, Lo spirito del cristianesimo e il suo destino, in Scritti teologici giovanili,Napoli,1972,p.395. [53]Ibid., pp. 328-329 (trad. it. cit., p. 442). E cfr. ibid., p. 261(trad.it.cit.,p.373). [54] Hegel, Systemfragment von 1800, in Theologische Jugendschriften, cit., p. 351, trad.it.Frammento di sistema 1800, in Scritti teologici giovanili,cit.,p.479. [55]Cfr.J.Cohen,LeSpectre juifdeHegel,Paris,2005. [56]Cfr.P.Vinci,«Coscienza infelice» e «anima bella». Commentario della Fenomenologia dello spirito di Hegel,Milano,1999. [57] Hegel, Der Geist des Christentums und sein Schicksal, cit., p. 329 (trad. it. cit.,p.443). [58] Ibid., p. 331 (trad. it. cit.,p.445). [59] Hegel, Glauben und Wissen, cit., p. 414 (trad. it. cit., p. 252). Cfr. Phänomenologie des Geistes, cit., p. 188 (trad. it. cit., vol. II,p.283). [60]Hegel,Vorlesungenüber die Philosophie der Religion, a cura di G. Lasson, cit., vol. I, p. 228 (trad. it. cit., vol. I, p. 228). [61] In questo senso Lukács, in Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft, Berlin, 19542, trad. it. di R. Solmi, Il giovane Hegel e i problemi della società capitalistica,Torino,1960,siè lasciato trascinare troppo dalla polemica contro Dilthey, Nohl e Kroner e ha attenuato gli apporti teologici reali al pensiero hegeliano. Come utile correttivoall’interpretazione di Lukács si possono vedere H. Niel, De la Médiation dans la philosophie de Hegel, Paris, 1945, e A. Peperzak, Le jeune Hegel et la vision morale du monde,LaHaye,1960. [62] Per questa ripresa in chiave teologica della problematica hegeliana, cfr. H. Küng, Menschenwerdung Gottes. Eine Einführung in Hegels theologisches Denken, als Prolegomena zu einer künftigen Christologie, Freiburgi.B.,1970. [63] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§376Z. [64]Ibid.,§248Z. [65] Cfr. E. Bloch, Subjekt- Objekt. Erläuterungen zu Hegel,cit.,p.410(trad.it.cit., p.427). [66] Sull’idea goethiana di Urtier, tratta da Robinet, cfr. R. Berthelot, Lamarck et Goethe: l’evolutionnisme de la continuité au début du XIX siècle, in «Revue de MétaphysiqueetdeMorale», XXXVI (1929), pp. 285 ss., e A.O.Lovejoy,TheGreatChain of Being, Cambridge, Mass., 1936,trad.it.diL.Formigari, La Grande Catena dell’Essere, Milano, 1966, pp. 302-303; E. Callot, La philosophie biologique de Goethe, Paris, 1971,pp.87ss. [67] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§368Z. [68] Si veda anche Aristotele, Topici, 108 a; Metafisica, 984 b; cfr. anche G. Romeyer-Dherbey, Les choses mêmes. La pensée du réel chez Aristote, Lausanne, 1948; A. Ferrarin, Hegel and Aristotle, Cambridge, 2001, pp. 47-54 e R. Bodei, La vita delle cose, Roma-Bari, 2009, pp. 11-19. Per altri aspetti dell’idea di Sache selbst in Hegel, cfr. R. Bubner, Die ‘Sache selbst’ im Hegels System, in AA.VV., Seminar: Dialektik in der Philosophie Hegels, Frankfurt a.M., 1978, pp. 101-123. Sull’interpretazione hegeliana di Aristotele, cfr. W. Kern, Die Aristoteles Deutung Hegels. Die Aufhebung des aristotelischen ‘Nous’ in Hegels ‘Geist’, in «Philosophisches Jahrbuch», 78 (1971), pp. 237-259; P. Aubenque, Hegel et Aristote, inHegeletlapenséegrecque,a cura di J. D’Hondt, Paris, 1974,pp.97-120;D.Janicaud, Hegel et le destin de la Grèce, Paris, 1975, pp. 285 ss.; G. Lebrun, Hegel lecteur d’Aristote, in «Les études philosophiques», JullietSeptembre1983,pp.329-347 e K. Düsing, Soggettività in Hegel e Aristotele, in Soggettività e autocoscienza. Prospettive storico-critiche, a cura di P. Palumbo e A. Le Moli, Milano-Udine, 2011, pp.45-60.Sull’autocoscienza in Hegel come causa finale, che consiste «nel portare al concettol’implicitaformadi vita che ci fa essere quegli uomini che siamo, e al cui ulteriore sviluppo agendo (handelnd)partecipiamo»,cfr. P. Steckeler-Weithofer, Philosophie des Selbstbewusstseins. Hegels System als Formanalyse von Wissen und Autonomie, Frankfurta.M.,2005,p.10. [69]Aristotele,Phys.,184a. [70] Cfr. B. De Giovanni, Hegel e il tempo storico della societàborghese,Bari,1970,in particolare pp. 19 ss. e A. Schmidt, Geschichte und Struktur. Fragen einer marxistischen Historik, München,1971,trad.it.diG. Marramao, Storia e struttura. Problemidiunateoriamarxista dellastoria, Bari, 1972, pp. 68 ss. [71] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., § 32A(trad.it.cit.,p.47). [72]Cfr.ibid.,§182Z(trad. it.cit.,p.356). [73] Cfr. Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 623(trad.it.cit.,vol.III,2,p. 417). Su questo punto si veda R. Bodei, Die «MetaphysikderZeit»inHegels GeschichtederPhilosophie,cit., pp. 79-98 e K. Düsing, Hegel und die Geschichte der Philosphie, Darmstadt, 1983, pp.7-39. [74] Cfr. H. Blumenberg, Paradigmen zu einer Metaphorologie, trad. it. cit., pp.11-19. [75] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 36 (trad. it. cit., vol. I, p. 36). Questo «andamento irresistibile» non è lineare, ma discontinuo, a salti, cfr. G. Buck, ‘Die Freundlichkeit jenes Ursprungs…’. Negativität, Diskontinuität und die Stetigkeit des Bios, in Positionen der Negativität, a cura di H. Weinreich, München, 1975, pp. 155-176 e, nello stesso volume, W. Hübner, Sprung bei Leibniz undHegel,pp.487-491. [76] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 16 (trad. it.cit.,vol.I,p.16). [77] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., § 31A(trad.it.cit.,p.46). [78] R. Esposito, Due. La macchinadellateologiapolitica e il posto del pensiero, Torino, 2013,pp.5,32. [79]Sivedaquantodettoin precedenza,pp.57ss.,137e, piùavanti,204. [80] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.61(trad.it. cit.,vol.I,p.77). [81] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§21Z. [82] Cfr. E. Bloch, Subjekt- Objekt. Erläuterungen zu Hegel, cit., pp. 161 ss. (trad. it. cit., pp. 165 ss.). C’è però nel sistema hegeliano – almeno nella forma presentata dall’Enciclopedia – la reminiscenza dello schema di Proclo: mone, prosodos, epistrophe, cfr. W. Beierwaltes, Hegel und Proklos, in Hermeneutik und Dialektik,acuradiR.Bubner, K. Kramer e R. Wiehl, Tübingen, 1970, vol. II, pp. 243-272. Sugli apporti neoplatonici al pensiero di Hegel, cfr. W. Beierwaltes, Platonismus und Idealismus, Frankfurt a.M., 1972, passim. Sull’importanza che Hegel attribuisce a Damascio, cfr. Hegel, Vorlesungen über die GeschichtederPhilosophie,cit., vol. XV, p. 93 (trad. it. cit., vol.III,1,p.86). [83] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 31 (trad. it.cit.,vol.I,p.31). [84] Cfr. L.B. Puntel, Darstellung, Methode und Struktur. Untersuchungen zur Einheit der systematischen Philosophie G.W.F. Hegels, volume suppl. 10 delle «Hegel-Studien»,Bonn,1973, p106. [85]E.Bloch,Subjekt-Objekt. ErläuterungenzuHegel,cit.,p. 161(trad.it.cit.,p.165). [86]Cfr.Hegel,Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 21 Z. Cfr. ibid.,§142Z,sulladifferenza fra Platone che considera l’idea come dynamis e Aristotele che la considera comeenergeia. [87]Hegel,Vorlesungenüber die Philosophie der Religion, a cura di G. Lasson, cit., vol. I, p.113(trad.it.cit.,p.164). [88] Frase di una lettera perduta di Hegel a Pfaff, riportata virgolettata nella risposta di Pfaff, cfr. Pfaff an Hegel, estate 1812, in Briefe, cit., vol. I, p. 408. (trad. it. cit.,vol.II,p.190). [89] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§161Z. [90]Ibid. [91]Cfr.piùavanti,pp.353 ss. [92] Cfr. G. Lukács, Zur Ontologiedesgesellschaftlichen Seins. Hegels falsche und echte Ontologie, Neuwied-Berlin, 1973,pp.37ss. [93] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§24Z1. [94]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIII, p. 34 (trad. it. cit.,vol.I,p.31). [95] In Hegel non c’è la prospettiva sottintesa da Kojève, del servo criptoproletariocherovescia la sua subordinazione – sul modellodellamarxianalotta di classe. La dialettica signoria-servitù si conclude nella società civile, che è dipendenza di tutti dai bisogni sociali e dalla modalità di soddisfarli, e autonomia di tutti sotto formadiegoismoediricerca delproprioprivatointeresse. SuquestoaspettorinvioaR. Bodei, Il desiderio e la lotta, cit., pp. VII-XXIX e Id., Auf den Würzeln des Verhältnisses von Herrschaft und Knechtschaft, in Hegels Phänomenologie des Geistes. EinkooperativesKommentarzu einem Schlüsselwerk der Moderne,acuradiK.Vieweg eW.Welsch,Frankfurta.M., 2008,pp.238-252.Masiveda anche, da una differente prospettiva,J.McDowell,The Apperceptive I and the Empirical Self. Toward a Heterodox Reading of ‘Lordship and Bondage’ in Hegel’s Phenomenology, in «Bulletin oftheHegelSocietyofGreat Britain», 47/48 (2003), pp. 116. [96] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., § 324Z(trad.it.cit.,p.392). [97] Sulle farneticazioni della filosofia hegeliana della natura, cfr. Croce, Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, in Saggio sullo Hegel, Bari, 1913, pp. 117 ss. Sulla «disonestà» hegeliana, cfr. K.R. Popper, The Open Society and Its Enemies, trad. it. cit., vol. II, pp.42ss. [98] Cfr. K. Rosenkranz, HegelsLeben,trad.it.cit.,pp. 383-391. Su Hegel e le scienze, cfr. F. Kaulbach, Hegels Stellung zu den Einzelwissenschaften, in WeltaspektederPhilosophie.R. Berlingerzur26.Oktober1972, a cura di W. Beierwaltes e W. Schrader, Amsterdam, 1972, pp. 181-206; G. Buchdahi, Hegel’s Philosophy of Nature, in «The British Journal of Philosophy of Science», XXIII (1972), pp. 257 ss.; J.A. Doull, Hegel’s Philosophy of Nature, in «Dialogue», XI (1972), pp. 379-399. Sul De orbitis planetarum, in particolare, cfr.laPréfaceallatraduzione francese di D. Dubarle, G.W.F. Hegel, Les orbites des planètes(Dissertationde1801), Paris, 1979 e Hegel, Dissertatio Philosophica de Orbitis Planetarum / Philosophische Erörterung über die Planetenbahnen, curato, introdotto e commentato da W. Neuser, Weinheim, 1986; e si vedano Th.G. Bucher, Wissenschaftstheoretische Überlegungen zu Hegels Planetenschrift, in «HegelStudien», 18 (1983), pp. 65137 e C. Ferrini, Guida al «De orbitisplanetarum»diHegeled alle sue edizioni e traduzioni. La pars destruens (con la collaborazione di M. Nasti De Vincentis), BernStuttgart-Wien, 1995. Della stessa autrice si veda anche Scienze empiriche e filosofie della natura nel primo idealismo tedesco, Milano, 1996,pp.81-90. [99] Cfr. Hegel’s Philosophy of Nature, trad., introd. e note esplicative a cura di M.J. Petry, London-New York, 1970. Come segno dell’interesse dei paesi di linguaingleseperlafilosofia dellanaturadiHegel,sipuò notare che, contemporaneamente a quella del Petry, è stata pubblicata a Oxford un’altra traduzione: cfr. Hegel’s Philosophy of Nature, Being Part two of the Encyclopaedia of the Philosophical Sciences (1830), trad. dall’edizione di Nicolin e Pöggeler (1959) e dagli Zusätze nel testo di Michelet (1847), a cura di A.W. Miller, con prefazione di J.N. Findlay, Oxford, 1970. Della filosofia della natura sono state pubblicate anche le lezioni del 1819-1820, cfr. Hegel, Philosophie der Natur, vol. I, Die Vorlesung von 1819/20, in collaborazione con K.-H. Ilting a cura di M. Gies,Napoli,1980. [100] L’Enciclopedia sorge per Hegel come «filo conduttore»(Leitfaden) per le lezioni (cfr. Heidelberger Enzyklopädie 1817 = Enzyklopädie der philosophischen Wissenschalten im Grundrisse, zum Gebrauche seiner Vorlesungen von Georg Wilhelm Friedrich Hegel…, Heidelberg, 1817, p. III, trad. it. di F. Biasutti et al., Enciclopedia (Heidelberg 1817), «Quaderni di Verifiche 6», Trento,1987,p.1:«Ilbisogno di dare in mano ai miei uditori un filo conduttore perlemielezionidifilosofia è l’occasione prossima per cui faccio uscire questo sguardo d’insieme sull’intero ambito della filosofia prima di quanto sarebbe stato il mio intendimento»).Cfr.Hegelan Cousin, 1o luglio 1827, in Briefe, cit., vol. III, p. 169, a proposito della seconda edizione (1827) dell’Encidopedia: «ce livre n’estqu’unesuitedethèses, dont le développoment et l’éclaircissement est réservé aux cours». E si vedano anche più avanti, le pp. 155, 158, 352 ss. Hegel aveva cominciato a riflettere sul concetto di enciclopedia fin dai tempi in cui era rettore del Ginnasio di Norimberga, allorché aveva indirizzato nel 1812 al suo amico Niethammer una Memoria sull’insegnamento della filosofia nei ginnasi, misurandosi con la tradizione francese e con quella tedesca, che risaliva almenoaLeibniz(sucuicfr. U. Dierse, Enzyklopädie. Zur Geschichte eines philosophischen und wissenschaftlichen Begriffs, Bonn, 1977). Le divergenze rispetto all’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert diventeranno esplicite nella Enzyklopädie der Philosophischen Wissenschaften del 1817, in quanto per Hegel non si tratta di analizzare i contenuti secondo vari principi ordinatori o di intendere il termine «systématique» nel senso di «dogmatico», come sono soliti fare i francesi, ma di mostrare attraverso un unico principio come la ragioneoperiintuttiicampi dello scibile (cfr. W. Tega, Tradizione e rivoluzione. Scienza e potere in Francia (1815-1840), Firenze, 2013, pp. 37-46) e si vedano, più avanti,lepp.349-350. [101] Per la diffusione e la storia delle enciclopedie (alfabetiche e sistematiche) nella cultura europea, cfr. R. Collinson, Encyclopaedias: Their History throughout the Ages, New York-London, 1964 e, anche rispetto a Hegel, J. Henningen, Enzyklopädie. Zur Sprach- und Bedeutungsgeschichte eines pädagogischen Begriffs, in «Archiv für Begriffsgeschichte»,X(1966), pp. 287 ss.; U. Dierse, Enzyklopädie. Zur Geschichte eines philosophischtheoretischen Begriffs, Bonn, 1977; L’ideale enciclopedico e l’unitàdelsapere,acuradiW. Tega, con introduzione e indicazioni bibliografiche, Bologna, 1984. Sulla struttura enciclopedica, con riguardo all’Encydopédie di Diderot e d’Alembert cfr. J. Starobinski, Remarques sur l’Encyclopédie, in «Revue de MétaphysiqueetdeMorale», LXXV (1970), pp. 377-384. Sull’insoddisfazione hegeliana per la propria Enciclopedia, cfr. Hegel an Daub, 15 agosto e 19 dicembre1826,inBriefe, cit., vol. III, pp. 125-126 e 147150. [102]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§246A(trad. it.cit.,p.204). [103] Ibid., § 246 Z dell’Einleitung alla Philosophie der Natur (cfr. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, a cura di E. Moldenhauer e K.M. Michel, cit.,vol.9,pp.9-10). [104]Ibid.,Betrachtungsweise derNatur,vol.9,p.12.Perun altroaspettodeltema,cfr.R. Wahsner, Die Macht des Begriffs als Tätigkeit (§ 208). Zu Hegels Bestimmung der Betrachtungsweisen der Natur, in Preprint 196 del MaxPlanck-Institut für Wissenschaftsgeschichte; Ead.,ZurKritikderHegelschen Naturphilosophie. Über ihren Sinn im Lichte der heutigen Naturerkenntnis, Frankfurt a.M., 1996 (con preziose indicazioni comparative rispetto alle conquiste attuali delle scienze); Ead. e H.H. von Borzeszkowski, Erkenntnis statt Erbauung. Hegel und das naturwissenschaftliche Denken der Moderne, in Preprint 412 del Max-Planck-Institut für Wissenschaftsgeschichte, Berlin,2011,pp.34. [105]Ibid.,§246Z. [106]Hegel,Aphorismen aus der Jenenser Periode, cit., p. 546 (trad. it. cit., p. 68 nota 46). [107]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§270Z. [108] Hegel, Vorwort all’edizione 1827 dell’Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften (a cura di E. Moldenhauer e K.M. Michel, cit.,vol.8,p.15). [109] Hegel an Daub, 20 agosto 1816, in Briefe, cit., vol. II, p. 116 (trad. it. cit., vol.II,p.337). [110] Sulla cospirazione oggettivadellescienze,cfr.J. d’Alembert, Discours préliminaire all’Encydopédie (cfr. d’Alembert, Discorso preliminare, in Enciclopedia 1751-1772,acuradiA.Pons, trad.it.diA.Devizzi,Milano, 1966, vol. I, p. 30): bisogna «porre, per così dire, il filosofoaldisopradiquesto vasto labirinto delle conoscenze, in un punto di vista molto elevato, donde gli sia possibile scorgere contemporaneamente le scienze e le arti principali, vedere con un sol colpo d’occhio gli oggetti delle sue speculazioni e le operazioni che può fare su questi oggetti; distinguere le branche generali delle conoscenze umane, i punti che le separano e le accompagnano, ed intravedere persino, a volte, le vie segrete che le uniscono. È una specie di mappamondo che deve mostrare i principali paesi, la loro posizione e le loro vicendevoli dipendenze»; A. Richerand, Nouveaux éléments de physiologie, cit., t. I, p. III: «Più di un lettore saràcolpitodall’identitàche esiste nella direzione che seguonooggitutticoloroche coltivano le scienze dell’uomo, di questa analogia di vedute e di principi che si osserva nei loroscritti,feliceconformità che prova la certezza dei loro risultati e la bontà del loro metodo. Capita ai fisiologi dell’epoca attuale come a molti uomini che, posti sulla cima di una stessa montagna, vedono tutti la stessa estensione di paesaggio dispiegarsi ai loro sguardi, e che, rendendo conto delle loro osservazioni, hanno necessariamente nei loro racconti più punti di contatto e di similitudine». Cfr. inoltre, per gli sviluppi più rilevanti della confluenza delle scienze in organismi sistematici, il libro, che ha aperto un nuovocampodiricerca,diL. von Bertalanffy, General System Theory, New York, 1968, trad. it. di E. Bellone, Teoria generale dei sistemi, Milano, 1971, pp. 63 ss., e, per una recente messa a punto, G. Minati, Strutture di mondo. Il pensiero sistemico come specchio di una realtà complessa, 2 voll. Bologna, 2010-2013. [111] Sull’enciclopedia hegeliana delle scienze come «campo non-lineare», cfr. M. Kosok, The Dialectics of Nature, in «Telos», Fall 1970,n.3,pp.47-103,trad.it. diA.M.Sioli,Versounanuova dialetticadellanatura,Milano, 1973,pp. 25 ss.,61 ss. e,per l’articolata vastità della trattazione,M.Rossi, Hegel e l’enciclopedia delle scienze, in Enciclopedia ’72, a cura dell’Istitutodell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1971, pp. 107-195. Per una difesa di Hegel dalle accuse di aver volutoimporreisuoiastrusi schemi alle scienze della natura,cfr.E.Renault,Hegel. La naturalisation de dialectique,Paris,2001. la [112]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§320Z. [113] Cfr. K. Rosenkranz, HegelsLeben,trad.it.cit.,pp. 523-524. [114] Hegel an Voss, maggio 1805, in Briefe, cit., vol. I, p. 101 (trad. it. cit., vol. I, p. 207). [115] Cfr. il testo jenese riportato in Dokumente zu Hegels Entwicklung, cit., p. 342: «C’è da notare brevemente che la filosofia, in quanto scienza della ragione, per il modo universale del suo essere e secondo la sua natura è scienza per tutti. Non tutti riescono a giungere ad essa, ma questo c’entra così poco comel’osservazionechenon tutti gli uomini riescono a diventar prìncipi. Ciò che è fastidioso nel fatto che alcuni uomini stiano al di sopra di altri, è solo l’affermare che essi sono diversi per natura, che essi sono esseri di un’altra specie». [116] Cfr. Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 11 (trad. it. cit., vol. I,p.11). [117]Hegel,Aphorismen aus der Jenenser Periode, cit., p. 552 (trad. it. cit., p. 74 nota 66). [118]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§5A(trad.it. cit.,p.6). [119]Hegel,Einleitung in die GeschichtederPhilosophie,cit., pp. 41-42. Cfr. Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§3A(trad.it. cit.,p.4). [120] Cfr. Hegel, Einleitung in die Geschichte der Philosophie, cit., pp. 50-51 e Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§3A(trad.it. cit.,p.5). [121] Per la storia e la diffusione di questo concetto, che ritorna spesso in Hegel, cfr. E. Whittaker, History of the Theories of AetherandElectricity,London, 1951. [122] Cfr. Enzyklopädie philosophischen Hegel, der Wissenschaften,§249(trad.it. cit.,p.207). [123]Ibid.,§252Z. [124]Ibid.,§249Z. [125]Cfr.ibid.,§368Z,dove Lamarck è definito un «geistreicher Franzose» ed è citata spesso la Philosophie zoologique, Paris, 1809. Cuvier, conterraneo e quasi coetaneo di Hegel, aveva studiato a Stoccarda, prima ditrasferirsiinFranciacome precettore. Su Hegel, Cuvier e l’ambiente svevo, cfr. F. Courtès, George Cuvier et l’origine de la négation, in «Revue d’histoire des sciences»,XXIII(1970),pp.13 ss. [126] Cfr. Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., pp. 132 ss. (trad. it. cit., vol. I, p. 216). Ma cfr. anche Aristotele,Phys.,198b. [127] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften, § 345 Z. Cfr., sull’argomento, A. Portmann, Goethe und der Begriff der Metamorphose, in «Goethe-Jahrbuch», XC (1973),pp.11-21. [128]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§251(trad.it. cit.,p.210). [129] Ibid., § 250 A (trad. it. cit., pp. 209-210). Hegel riferisce esplicitamente questa teoria dell’indeterminatezza della natura e dei mostri a Locke, cfr. Vorlesungen über die GeschichtederPhilosophie,cit., vol. XV, p. 388 (trad. it. cit., vol. III, 2, p. 165). Cfr. Locke, An Essay concerning Human Understanding, vol. III, cap. III,§17(trad.it.diC.Pellizzi, Saggio sull’intelligenza umana, Bari,1972,libroIII,p.25). [130]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§250(trad.it. cit.,p.208). [131] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., pp. 132 ss. (trad. it. cit., vol. I, pp. 193 ss.). [132]Ibidem,p.140(trad.it. cit.,vol.I,p.207). [133] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften,§280Z. [134]Ibid.,§368Z. [135] Noi non ci meravigliamo più – dice Hegel – che la natura sia retta da leggi razionali, perché ormai ci siamo abituati a questa idea, che è una conquista storica (cfr. DieVernunftinderGeschichte, cit., p. 37). Egli afferma così, implicitamente, che anche la presenza della ragione nella storia potrebbe un giorno essere considerata comunementeaccettabile. [136] Hegel, Phanomenologie des Geistes, cit., p. 138 (trad. it.cit.,vol.I,p.203). [137] Ibid., p. 190 (trad. it. cit.,vol.I,p.287). [138] Ibid., p. 147 (trad. it. cit.,vol.I,p.218). [139] Cfr. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 339 Z. Secondo Vallisneri, le «piante petrose del mare» erano esseri intermedi fra vegetalieanimali,alparidei tartufi per Bonnet, mentre per Robinet i fossili costituivano forme di transizione dalla materia inorganica alla materia vivente (cfr. J.-B.-R. Robinet, Vue philosophique de la gradation naturelle des formes de l’être, Paris, 1768; M.J.S. Rudwick, The Meaning of Fossils. Episodes in the History of Paleontology, London, 1972). L’accenno hegeliano aifossilipresentinelcalcare (cfr. Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 340 Z) ha fattopensarealFindlaychei fossili siano per Hegel «imitazioni e anticipazioni delle forme organiche, ma prodotte da forze che erano inorganiche» cfr. J.N. Findlay, Hegel: A Reexamination, London, 1958, trad. it. di L. Calabi, Hegel oggi,Milano,1972,p.295.Ma il testo hegeliano è oscuro e potrebbe riferirsi semplicemente al fatto che spesso non si capisce se i fossili siano di natura vegetaleoppureanimale. [140] Cfr. G. Cuvier, Leçons d’anatomie comparée, Paris, anno VIII [1800], vol. I, pp. 59-60;J.-B.Lamarck,Discours d’ouverture de l’an X, trad. it. di P. Omodeo, Prolusione al corsodell’annoX,inLamarck, Opere, a cura di P. Omodeo, Torino,1969,p.78;L.Febvre, Un chapitre de l’histoire de l’esprit humain: les sciences naturelles de Linné à Lamarck etàGeorgesCuvier,in«Revue de synthèse historique», XLIII (1927), pp. 42-43. Su Cuvierelasuaopera,cfr.W. Coleman, Georges Cuvier, zoologist, Cambridge, Mass., 1966; D. Outram, Georges Cuvier: Vocation, Science and AuthorityinPost-Revolutionary France,London,1984,eM.J.S. Rudwick, Georges Cuvier, Fossil Bones, and Geological Catastrophes,Chicago,1997. [141]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften, § 339 Z. Cfr. J.-B. Lamarck, Histoire naturelle des animaux sans vertèbres, trad. it. di P. Omodeo, Storia naturale degli invertebrati,inOpere, cit., pp. 143 ss.; M.F.X. Bichat, Recherches physiologiques sur la vie et la mort, Paris, 1800, che nega ogni continuità tra l’inorganico e il vivente. Bichat ha stabilito che «la vita è l’insieme delle funzioni che resistono alla morte»,cheviè,dunque,un conflitto incessante per arginare le forze distruttive che condurranno l’individuo a una fine inevitabile. Se, infatti, tutto tende a distruggere gli organismi, la vita è resistenza a questi attacchi. Bichat ha però anche osservato che esiste nell’uomo una doppia vita: quella «organica», caratterizzata dalla spontaneità e dal ripiegamento in se stessa (circolazione sanguigna, respirazione ecc.), e quella «animale», che regola le attività motorio-sensorie e intellettuali ed è rivolta all’esterno. La vita organica è continua, anche durante il sonno, mentre la vita animale è intermittente. La prima domina e guida l’uomo con i suoi automatismi, la seconda è sostanzialmente al traino. Schopenhauer tradurrà tale dicotomia nella polarità tra Volontà di vivere e rappresentazione.SuBichat, cfr.N.DoboeA.Role,Bichat, la vie fulgurante d’un génie, Paris,1989. [142] Ch. A. de Sainte- Beuve, Volupté, Paris, 1834, pp.136ss. [143] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften, § 341 Z. Cfr. J.-B. Lamarck, Histoire naturelle des animaux sans vertèbres, trad. it. cit., p. 221. Questa teoria era d’altronde stata accettata anche da Diderot, d’Holbach e Buffon, e si dovettero attendere gli esperimenti di Pasteur perché tutto. [144] scomparisse Cfr. del Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften,§339Z. [145] Ibid. Cfr. Matteo, 24,35. [146] Cfr. Feuerbach, Gedanken über Tod und Unsterblichkeit, in Sämtliche Werke, nuova ed. a cura di W. Bolin e F. Jodl, Stuttgart, 1903-1910, volumi supplementari a cura di H.M. Sass, Stuttgart, 1962 ss., vol. XI, pp. 73 ss.; cfr. C. Cesa, Il giovane Feuerbach, Bari, 1963, pp. 133 ss.; L. Casini, Storia e umanesimo in Feuerbach,Bologna,1974,pp. 57ss. [147] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte,cit.,pp.71,58 (trad. it. cit., vol. I, pp. 82, 68). Hegel allude all’incipit del secondo libro del De rerum natura di Lucrezio (vv. 1-4),dovelospettatorediun naufragiogode,nondeimali altrui, ma dello stare al sicuro, sulla terraferma: Suave, mari magno turbantibus aequora ventis / e terramagnumalteriusspectare laborem; / non quia vexari quamquamstiocundavoluptas, / sed quibus ipse malis careas quis cernere suave est. Su questa immagine, che ha avuto una lunga storia, cfr. H. Blumenberg, Schiffbruch mit Zuschauer, Frankfurt a.M., 1979, trad. it. Naufragio conspettatore,Bologna,1985. [148] Cfr. M.F.X. Bichat, Recherches physiologiques sur la vie et la mort, cit.; A. Richerand, Nouveaux éléments de physiologie, cit., t. I, p. 13; J.-B. Lamarck, Recherches sur les causes des principaux faits physiques, Paris, 1792, vol. II, p. 289. È questa un’idea che ha larga eco in Hölderlin, nel conflitto fra l’organico e l’«aorgico», e nel giovane Schelling. In Hölderlin l’organico è la forza che unisce e determina le figure particolari, mentre l’aorgico èlapotenzainfinitaepanica che le confonde, cfr. H. Schwerte, Aorgisch, in «Germanisch-Romanische Monatsschrift»,34(1953),pp. 29-38. [149] Cfr. Enzyklopädie philosophischen Hegel, der Wissenschaften,§339(trad.it. cit.,p.313). [150]Ibid.,§339Z. [151] Ibid. Sul susseguirsi delleepochedellanaturaeil loro rapporto con l’inclinazione dell’asse terrestre, cfr. G.-L. Leclerc comte de Buffon, Époques de la nature (1778), in Œuvres philosophiques, a cura di J. Piveteau,Paris,1954,trad.it. di M. Renzoni, Epoche della natura, Torino, 1960, pp. 31 ss. [152] Cfr. K. Rosenkranz, Hegels Leben, trad. it. cit., p. 523. [153] Hegel an Lenz, 17 novembre 1807, lettera fino ad allora inedita, di cui F. Nicolin ha riportato un estratto in Hegel 1770-1970. Leben, Werk, Wirkung, Stuttgart,1970,p.34,mache ora è riportata integralmente in traduzione italianainHegel,EpistolarioI, cit., p. 310: «la nostra cara mineralogia al cui studio sotto la Sua direzione mi sono appassionato». Johannes Georg Lenz aveva fondato a Jena nel 1796 la Società mineralogica di cui Hegeleraassessore. [154] Su Werner e la sua influenza quale scienziato (autore, soprattutto, della Neue Theorie über die Entstehung der Gänge, Freiberg, 1791) e direttore della Accademia mineraria di Freiberg in Sassonia – dove studiarono e si formarono personaggi influenti in tutti i campi della cultura, tra cui Franz von Baader, Alexander von Humboldt, Friedrich von Hardenberg(Novalis),Henrik Steffens e August von Herder – si veda, da ultimo, il bell’articolo di A. Bonchino, L’«oscuro abisso della terra». Werner e la filosofiaromanticadellanatura (1788-1799), in «Intersezioni», XXXIV (2014), n. 1, pp. 73-95. Per le posizioni di Goethe, che sarebbero state più vicine a quellediWerner,cfr.W.von Engelhardt, Goethe in Gespräch mit der Erde. Landschaft, Gesteine, Mineralien und Erdgeschichte in seinem Leben und Werk, Weimar, 2003. Goethe, con maggiore cautela, sembra tendenzialmente favorevole alla conciliazione tra nettunismo e plutonismo, così come viene rappresentata nel Faust II (vv. 10075-10121) attraverso il dialogo tra Mefistofele, ovviamente sostenitore del plutonismo (nel cui fuoco sotterraneositual’inferno)e Faust, più incline, invece, al nettunismo. Ma si veda anche J.P. Erdmann, Gespräche mit Goethe, 18 maggio1824,Zürich,1948,p. 555. [155] Cfr. J. Hutton, Theory of Earth, Edinburgh, 1795, su cui S.I. Tomkieff, James Hutton and the Philosophy of Geology, in «Transactions of the Royal Society of Edinburgh»,LXVII(1950),pp. 387-400; W.F. Cannon, The Uniformitarian-Catastrophist Debate,in«Isis»,LI(1960),pp. 38-55; R. Hooykaas, The PrincipleofUniformity,Leiden, 1963; Id., Continuité et discontinuité en géologie et biologie, trad. franc., Paris, 1970; R. Laudan, From Mineralogy to Geology. The Foundation of a Science 16501830, Chicago, 1987, e D.R. Oldroyd, Die Biographie der Erde. Zur Wissenschaftsgeschichte der Geologie, Frankfurt a.M., 1998. Lamarck, come già abbiamo visto attraverso Sainte-Beuve, era per l’uniformismo (cfr. J.-B. Lamarck, Sur les fossiles des environs de Paris, Paris, 18021806), mentre il suo avversario Cuvier era su posizioni opposte (cfr. G. Cuvier,Essaisurlagéographie minéralogique des environs de Paris,Paris,1808). [156] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften, § 339 Z. Per alcune puntualizzazioni, cfr. J.-M. Barrande, ‘Géo-logique’ (Hegel et les sciences de la Terre), in «Annales publiés par l’Université de Toulous- Le Mirail», XIII (1977), n. 6, pp. 5-21; B. Fritscher, Hegel und die Geologie um 1800, in Hegel und die Lebenswissenschaften, a cura O. Breidbach e D. von Engelhardt, Berlin, 2002, pp. 55-74 e C. Ferrini, From Geological to Animal Nature in Hegel’sIdeaofLife,in«HegelStudien», 44 (2009), pp. 4593. [157]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§341(trad.it. cit.,p.314). [158] Secondo le teorie di RomédeL’IsleediR.J.Haüy, le maggiori autorità dell’epoca in materia, i cristalli si formavano per effetto di un «germe invisibile» presente nell’acqua,cfr.J.-B.Roméde L’Isle, Cristallographie, Paris, 1783, vol. I, p. 13; R.J. Haüy, Traité de minéralogie, Paris, 1801 (ben noto a Hegel, cfr. Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, §§ 315 Z, 324 Z). Cfr., sull’argomento, R. Hooykaas, La naissance de la cristallographie en France au XVIIIe siècle, trad. franc., Paris,1953. [159]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§339Z. [160] Cfr. Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie,cit.,p.81(trad.it. cit.,p.100). [161]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§339Z. [162] Hegel segue nella cronologia una posizione tradizionalistica. [163] Cfr. A. Gerbi, La disputa del nuovo mondo. Storia di una polemica 17501900,cit.,pp.475ss. [164] Cfr. il citato passo di Hegel in Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 339 Z. Cfr. Pietro Rossi, Storia universale e geografia in Hegel, in Incidenza di Hegel, cit., pp. 369-407. [165]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§280Z. [166] Hegel, Die Vernunft in der Geschichte, cit., pp. 149, 151. [167] Hegel, Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X1, p.72(trad.it.cit.,p.65). [168]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften, § 48 A (trad. it.cit.,p.52). [169] Cfr. Hegel, Jenenser Realphilosophie II, cit., pp. 206-207(trad.it.cit.,pp.126127); Wissenschaft der Logik, cit., vol. II, p. 402 (trad. it. cit.,vol.II,p.852).Suquesto punto,cfr.R.Bodei,Dialettica e controllo dei mutamenti sociali in Hegel, in R. Bodei e F. Cassano, Hegel e Weber. Egemonia e legittimazione, Bari,1977,pp.51ss.epassim e Id., Macchine, astuzia, passione. Per la genesi della società civile in Hegel, in L. Lugarini, M. Riedel e R. Bodei, Filosofia e società in Hegel, Trento, 1977, pp. 6169. [170] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften,§368Z. [171] Cfr. G. Lukács, Zur Ontologiedesgesellschaftlichen Seins. Hegels falsche und echte Ontologie,cit.,p.37. [172] Cfr. Hegel, Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften,§376Z. der [173]Ibid.,§381Z. [174] Cfr. Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 49 (trad. it. cit., vol. I, p. 60): «Dobbiamo persuaderci che la natura del vero è quella di farsi largo quando è arrivato il suo tempo, e che solo allora appare, quando il tempo è venuto: e che quindi non appare mai troppo presto, né trova un pubblico non maturo». [175]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§549A(trad. it.cit.,pp.489-490). [176] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 40 (trad.it.cit.,vol.I,p.47). [177] Come sostengono, ad esempio,PoppereLöwith. [178] Cfr. G. Lukács, Die Zerstörung der Vernunft, Berlin, 1953, trad. it. di E. Arnaud, La distruzione della ragione, Torino, 1974, rist., vol.I,pp.160ss.,185ss. [179] Cfr. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, §§ 268 Z e 341 Z (cfr. anche LogikMetaphysik-Naturphilosophie, in Jenaer Systementwürfe II, cit., p. 192). Cfr. Heine, Geständnisse, in Werke, cit., vol.X,pp.171ss.;Briefeüber Deutschland, in Werke, cit., vol. IX, p. 484. Su questa immagine si è poi soffermato C. Cattaneo, Prolusione a un corso di filosofia civile (1852), in Storia universale e ideologia delle genti.Scritti1852-1864,acura di D. Castelnuovo Frigessi, Torino,1972,p.15. [180] P. Lafargue, Das Recht auf Faulheit und persönliche Erinnerungen an Karl Marx, a cura di I. Fetscher, Frankfurt-Wien,1966,p.62. [181] Hegel, Grundlinien der PhilosophiedesRechts,§258Z (trad.it.cit.,p.372). [182] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 88 (trad.it.cit.,vol.I,p.102). [183] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften,§310Z. [184]Ibid.,§336Z. [185]Ibid.,§341Z. [186]Ibid.,§381Z. [187] Ibid., § 350 (trad. it. cit.,p.319). [188]Ibid.,§344Z. [189]Ibid.,§352Z. [190]Ibid. [191]Ibid.,§367Z. [192]Ibid.,§376Z.Qualche dato, anche non legato alla teologia, si può ricavare da A. Brunkhorst-Hasenklever, Die Transformierung der theologischen Deutung des Todes bei G.W.F. Hegel, Frankfurta.M.,1976. [193]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften, § 376 Z. Cfr. EinleitungindieGeschichteder Philosophie,cit.,p.97,doveil pensiero è definito in terministoicil’egemonikon. [194]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§365Z. [195] Cfr. ibid., e G. Cuvier, Le Règne Animal distribué d’aprèssonorganisation,vol.I, Paris, 1817, pp. 47-55. Di CuvierHegelconosceanche, e cita, le Recherches sur les ossements fossiles des quadrupèdes, Paris, 1812 (cfr. Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§368). [196] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 34 (trad.it.cit.,vol.I,pp.40-41). [197] Hegel, Jenenser Realphilosophie I, cit., p. 236 (trad.it.cit.,p.95). [198] Ibid., pp. 205-206 (trad.it.cit.,p.125). [199] Marx, Das Kapital, Berlin, 1962, vol. I, p. 193, trad. it. di D. Cantimori, Il capitale, Roma, 1956, vol. I, pp. 1, 196. Sul finalismo umano nel lavoro in rapporto a Marx, cfr. C. Luporini,Le«radici»dellavita morale, in AA.VV., Morale e società, Roma, 1966, pp. 52 ss.; G. Lukács, Zur Ontologie desgesellschaftlichenSeins,cit. [200] Spinoza, Ethica, IV, praef., mi servo dell’Etica, edizione critica del testo latinoetraduzioneitalianaa cura di P. Cristofolini, II ed. riveduta e aggiornata (che innova il testo rispetto alla classicaedizionediSpinoza, Opera, im Auftrag der Heidelberger Akademie der Wissenschaften,acuradiC. Gebhardt, 4 voll. Heidelberg, s.d. [ma 1924], vol. II, grazie alla copia manoscritta recentemente scoperta pressolaBibliotecaVaticana e a suo tempo utilizzata per condannare l’opera e, in seguito, per metterla all’Indice),Pisa,2014,p.241. [201]Voltaire,Causesfinales / Cause finali, in Dictionnaire philosophique / Dizionario filosofico, trad. it. con testo franceseafrontediD.Felice e R. Campi, Milano, 2013, p. 839. [202] Cfr. G.H. von Wright, ExplanationandUndestanding, Ithaca, N.Y., 1971, trad. it. Spiegazione e comprensione, Bologna,1977. [203] Cfr. P. Grassé, L’Évolution du vivant, Paris, 1973,p.277. [204] Cfr. Hegel, ReisetagebuchdurchdieBerner Oberalpen, in K. Rosenkranz, Hegels Leben, cit., Urkunden, pp. 470-490, trad. it. di T. Cavallo,Diariodiviaggiosulle Alpi bernesi, Como-Pavia, 1990, pp. 54 ss., e cfr. R. Bodei, ibid., Introduzione, pp. 20 ss.; Hegel, System der Sittlichkeit, in Schriften zur PolitikundRechtsphilosophie,a cura di G. Lasson, Leipzig, 1923, trad. it. di A. Negri, Sistemadell’eticità,inScritti di filosofia del diritto, 1802-1803, Bari, 1971, pp. 186-187 (su cuisivedaS.Schmidt,Hegels System der Sittlichkeit, Berlin, 2004, con un articolato commentario di questo saggio, giudicato uno dei testi più difficili di tutta la storia della filosofia). Per alcune approfondite analisi sul tema della teleologia, specie nell’ambito della Scienzadellalogica,sivedano V. Giacché, Il problema «teleologia» nella sezione «soggettività» della Scienza della logica, in «Rivista di storia della filosofia», 43 (1988),pp.45-75;L.Lugarini, Finalità kantiana e teleologia hegeliana, in «Archivio di storia della cultura», V (1992),pp.87-103eT.Pierini, TheoriederFreiheit.DerBegriff des Zwecks in Hegels Wissenschaft der Logik, München, 2006, pp. 75-207. Sulla finalità in Aristotele e in Kant in rapporto all’uso dell’ideadivitainHegel,cfr. A.DeCieri,Filosofiaepensiero biologicoinHegel,cit. [205] Per alcuni di questi aspetti cfr., al livello della filosofia della storia, H.D. Kittsteiner, Listen der Vernunft. Motive geschichtsphilosophischen Denkens, Frankfurt a.M., 1998, e W. Jaeschke, Die List der Vernunft, in «HegelStudien, 43 (2008), pp. 87- 102. [206] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. II, p. 398 (trad. it. cit., vol. II, pp. 848849). [207] Ibid., vol. II, p. 402 (trad.it.cit.,vol.II,p.852). [208] Hegel, Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X1, pp.71-72(trad.it.cit.,p.65). [209] Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Religion, a cura di Ph. Marheineke, in Werke, cit., vol.XI,Berlin,18402,p.39. [210]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften, §§ 359 Z, 408 Z. [211] Hegel, Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X1, pp. 127-128 (trad. it. cit., pp. 114-115). [212] Per le forme di «vita buona» come antecedenti classici della posizione hegeliana, cfr. Aristotele, Eth. Eud., 1249 b, Eth. Nic., 1177 a-1178 b e, in generale, A.Grilli,IIproblemadellavita contemplativanelmondogrecoromano, Milano-Roma, 1953, pp. 125 ss.; H. Arendt, The Human Condition, Chicago, 1958,trad.it.diS.Finzi,Vita activa, Milano, 1964, passim. Per converso, sul potere liberatorio della sensibilità in Feuerbach, cfr. A. Schmidt, Emanzipatorische Sinnlichkeit. Ludwig Feuerbachs anthropologischer Materialismus, München, 1973,inparticolarepp.75ss. [213] Hegel, Vorlesungen überdieAestbetik,cit.,vol.X2, p.45(trad.it.cit.,p.517). [214] Cfr. Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 814 ss. (trad. it. cit., vol. IV, pp.71ss.). [215]Dante,Paradiso,IV,vv. 124-130 (cfr. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 440 Z). Sull’istinto di verità che penetra all’interno dei sistemi filosofici al di là della consapevolezza stessa del filosofo, ad esempio di Kant quando si imbatte nell’idea di triplicità, cfr. Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 36 (trad. it. cit.,vol.I,p.40). [216]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§465Z. [217] Ibid., § 6 (trad. it. cit., p.7). Capitoloterzo Apparenzaed epoca Con la filosofia occidentale e la comparsa dell’essere fermo rispetto al mutamento si infrange la muraglia della rappresentazione, tanto che fin dal principio la filosofia è paradosso e scandalo e può nascere solo laddove ci sia libertà politica e al contempo dove viene meno ogni certezza. Il capitolo si occupa del legame tra realtà e apparenza, e le sue conseguenze etiche e politiche. Si può concepire l’universale perché esso è apparso nella realtà, sotto forma di popololiberochesidà un’organizzazione politica, sottoposta non alla volontà del singolo o al diritto consuetudinario, ma alla legge oggettiva e riconosciuta della polis. Per questo vengono trattati qui temi quali il legame tra apparenza e rovesciamento, apparenza e rivoluzione, tempo e eternità, fino a considerare la possibilitàdellospirito come revoca dell’alienazione. Dai tempi più remoti gli uomini comuni hanno opposto ai maggiori filosofi cose che anche i bambinie gli infanti capirebbero. Si sta a sentire, si legge e ci si meraviglia che sì grandi uomini abbiano ignorato cose sì comuni che uomini notoriamente piccoli avrebbero potuto insegnare loro. Nessuno pensache probabilmente essi tutte queste cose le sapevano, altrimenti come avrebbero potuto nuotare in tal modo contro la corrente dell’evidenza? Schelling, Ideeper una filosofia della natura[1]. 1.L’universale nellastoria Ilprimopensieropuro che appare nel mondo, la prima categoria espostanellaStoriadella filosofia e nella Scienza della logica è, com’è noto, l’essere. Con Parmenide ha inizio la filosofia come scienza[2] e, contemporaneamente, la prima rivoluzione attuata col «coraggio» della ragione[3] contro l’evidenza sensibile. Nel tener fermo l’essere dinanzi al mutamento, si infrange quella muraglia della rappresentazione da cui la maggior parte degli uomini, e il mondo orientaleinblocco,resta ancora circondato. La filosofia è quindi, fin dalle origini, paradosso e scandalo: è una sfida non solo all’autorità della tradizione, ma anche all’autorità dei sensi. Essa può nascere, da un lato, solo in presenza della libertà politica (nell’area greca e non nell’Asia dispotica), dall’altro, soloinunperiodoincui vien meno ogni salda certezza,incuilarealtà effettuale vacilla sotto i colpi dell’apparenza, quando un sole esteriore è al tramonto. Nell’Oriente, dove domina – secondo lo schema diffuso da Montesquieu – il timore o la paura[4], c’è unicamente l’inizio del sapere e della civiltà umana (Timor Domini initium sapientiae)[5], ma non il distacco da esso che giunge fino alla sapienza come universalità per sé. Neppure il despota, coluichetrattaisudditi come schiavi, si innalza al di sopra della coscienza naturale e dell’arbitrio: «L’uomo che vive col timore, e chi domina l’uomo col timore, si trovano entrambi al medesimo livello; la differenza sta solo nella maggiore energia della volontà, che può condurre a sacrificare ogni cosa finita a uno scopo particolare»[6]. Per questo, il rapporto signoria-servitù è posto all’inizio della storia dell’autocoscienza. In Grecia, invece, la libertà di «alcuni» – che coesiste con la schiavitù[7] – permette di cogliere un’universalità, per quanto ristretta: «il singolo spirito concepisce il proprio essere come universale; l’universalità è costituita per l’appunto da questa relazione con se stesso. Questo essere presso di sé, questa personalità e infinità dell’io costituisce l’essere dello spirito; essoècosì,népuòessere altrimenti. Un popolo che si sa libero, lo è soltanto in quanto universale: ecco il fatto che costituisce l’essere suo, il principio che costituisce tutta la sua vita sia nel campo etico sia in ogni altro»[8]. Si può concepire l’universale perché esso è apparso nella realtà, sotto forma di popolo libero che si dà un’organizzazione politica, sottoposta non alla volontà del singolo o al diritto consuetudinario, ma alla legge oggettiva e riconosciuta della Polis: con Creonte il potere sotterraneo del legame di sangue, la forza della natura, è spezzato in favore del nomos universale a cui tutti devonoobbedienza[9]. 2.Lafilosofia come rovesciamento dell’evidenza Parmenide e Zenone, l’inventore della dialettica[10], negando il mutamento e presentando le aporie del moto, facevano sì violenza alla coscienza comune, ma istituivano anche nessi razionali più vasti e comprensivi, in grado di ricostruire, una volta sviluppati adeguatamente, l’esperienza a un livello di maggiore articolazione. Definire sofismi tali aporie significa non vedere il pungolo razionale che essi costituiscono per l’ampliamento dell’esperienza stessa. Significa restar fermi all’immediato «percepire empirico, secondo il procedimento (così lampante per il senso comune) tenuto da Diogene,ilqualeavendo undialetticomostratala contraddizione contenuta nel moto, non si sarebbe più oltre sforzato di confutarlo con la sua ragione, ma lo avrebbe ripreso in maniera visibile con un muto andare avanti e indietro[11] – asserzione econfutazionecertopiù facili,chenondientrare a fondo nei pensieri, tenendo fermi e risolvendo col pensiero stesso i viluppi cui il pensiero (e propriamente il pensieroaddestrato,ma appunto formantesi nella coscienza ordinaria) conduce»[12]. Diogene ha così mostrato di ragionare coi piedi e non con la testa, ha rovesciato meccanicamente la posizione a testa in giù della coscienza comune rispetto alla scienza[13]. Da questo aneddoto deriva probabilmente l’immagine hegeliana, ripresaeresafamosada Marx, del poggiare sulla testa e del conseguente rovesciamento. Ogni nuova filosofia e ogni grande scoperta scientifica produce un rovesciamento, una rivoluzione nel senso comune di un’epoca. Anche la «rivoluzione copernicana» nella scienza moderna non è forse un’apparente distruzione dell’apparenza, un capovolgimento dei dati piùimmediatideisensi, per cui la Terra sta ferma e il Sole le gira attorno? Anche Goethe aveva osservato: «Ciò che ci inganna tanto, quando dobbiamo riconoscere l’idea del fenomeno, è che essa spesso e volentieri contraddice i sensi. Il sistema copernicano si basa su un’idea che era difficilmente afferrabile e che ancora oggi contraddice i nostri sensi»[14]. Conoscere realmentequalcosavuol dire attraversare le aporie che si generano dai sensi e dalle credenze del senso comune, nonché dai «sistemi» scientifici vigenti,edesporlainun modellodipensieroche inquadri i fenomeni in misura più estesa, «salvandone» un maggiornumero.Manel momento stesso in cui la nuova struttura concettuale allarga il raggio dell’esperienza, la filosofia diventa sempre meno intelligibile al senso comune. Tale incomprensibilità «nasce in parte da un’incapacità, che è in sésoltantomancanzadi abitudine, di pensare astrattamente, cioè di tener fermi innanzi allo spirito pensieri puri e muoversi in essi. Nella nostra coscienza ordinariaipensierisono vestiti e uniti con la consueta materia sensibile e spirituale, e nel nostro ripensare, riflettereeragionarenoi mescoliamo sentimenti, intuizioni e rappresentazioni con pensieri (in ogni proposizione – per esempio: ‘questa foglia è verde’, – sono già mescolate categorie come l’essere e l’individualità)»[15]. Trascinato dalle «onde del pensiero», il senso comunesisentesperso; rotto «il circolo delle rappresentazioni abituali», gli sembra di essere capitato in «casa del diavolo»[16]. La ripulsa della filosofia è anche una manifestazione di paura.Lafilosofianonsi adagia quindi passivamente sul senso comune di un’epoca, non riflette l’epoca, ma la pensa, ossia la concepisce in movimento, in divenire. Perciò,quandolostorico della filosofia Dietrich Tiedemann afferma che «Gorgia è andato molto oltre il segno cui può giungere un uomo di buon senso»[17], Hegel commenta: «Questo avrebbe potuto dirlo d’ogni filosofo: infatti ogni filosofo va oltre il sano intelletto umano, perché ciò che suol chiamarsi sano intelletto umano, non è filosofia, e spesso tutt’altro che sano[18]. Il sano intelletto umano contiene il modo di pensare, le massime e i pregiudizi della propria età, ed è governato dal pensiero determinato di essa senza averne coscienza. In questo senso certamente Gorgiaèandatopiùinlà del sano intelletto degli uomini. Similmente prima di Copernico sarebbe stato contrario a ogni intelletto umano sostenere che la Terra gira attorno al Sole; e prima della scoperta dell’Americadirecheda quella parte c’era un altro continente. Similmente nell’India o nellaCinasarebbeancor oggi contrario a ogni sano intelletto umano un governo repubblicano»[19]. In questa prospettiva, la filosofia precorre i tempi rispetto alla coscienza comune, e si chiarisce quanto Hegel scriveva a Schelling già nel1795:«Iltuosistema avràlostessodestinodi tutti i sistemi elaborati da uomini il cui spirito ha precorso la fede e i pregiudizi del loro tempo. Li hanno screditati, li hanno confutati a partire dal proprio sistema; nel frattempo la cultura scientificahaproseguito silenziosamente il suo cammino, e cinquant’anni più tardi, la folla, che si lascia trascinare solo dalla corrente del proprio tempo, scopre con meraviglia – appena accidentalmente le capitatralemaniunadi quelleopere,cheinuna polemica di seconda mano essa aveva imparato a conoscere come piena di errori già da lungo tempo confutati – che quest’operaracchiudeva il sistema dominante del tempo»[20]. Nell’andare contro la corrente del proprio tempo, il filosofo risale la massa dei pregiudizi in circolazione e anticipa la coscienza comune. 3.Apparenzae rovesciamento Provehimur portu, terraeque urbesque recedunt. Virgilio, Aen.III, 72[21]. Alla coscienza comune, che non si è sottomessa alla «fatica del concetto», la filosofia appare come mondo capovolto, assurdità: «Ai profani essa [cioè la filosofia speculativa] deve apparire, secondo il suo contenuto, come un mondo rovesciato (eine verkehrte Welt), in contrasto con tutti i concetti cui sono abituati e con ciò che essi prima ritenevano valido secondo il cosiddetto intelletto sano umano»[22]. L’opposizione fra coscienza comune e scienza, fra fenomenologia e logica, è però un’opposizione reciproca: ognuna appare all’altra come capovolta[23]. Nessuna filosofia può essere veramente efficace finché non oltrepassa questa situazione di stallo,nonescefuorida quella «logica dell’apparenza» che era per Kant il risultato necessario della dialettica della ragione[24]. Non appena, secondo Kant, si scambia il focus imaginarius dell’idea regolativa con la realtà, «per noi sorge veramente qui l’illusione, come se queste linee direttive si diramassero (come gli oggettisonvedutidietro la superficie dello specchio) da un oggetto stesso, che giaccia fuori dal campo della conoscenza empirica possibile»[25]. E l’illusione che si genera è un fatto naturale e inevitabile, «come non possiamo evitare che il mare nel mezzo non ci apparisca più alto che alla spiaggia, poiché lì noilovediamoperraggi più alti che qui, o come anche lo stesso astronomo non può impedire che la luna al levarsinongliapparisca piùgrande,quantunque egli non si lasci ingannare da tale apparenza»[26]. Come lo stesso Kant osserva anche nell’Antropologia pragmatica, la stessa illusione è generata anche in altri casi comuni: «le calze bianche fanno apparire legambepiùpienedelle calze nere; un fuoco accesonellanottesopra un’altura sembra più grande di quello che sia alla misurazione»[27]. Compito di Hegel sarà quello di fondare la realtà dell’apparenza, mostrarecomeessanon sia semplice illusione; istituire anzi una scienza dell’apparenza, unendo fra loro due termini contraddittori e rendendo il giusto tributo alla coscienza comune,ossiaalterreno in cui le forze di un’epoca si muovono inconsciamente. Se si riesce a portare la coscienza comune al livellodelpropriotempo appreso nel pensiero e se si riesce a far ridiscendere la filosofia dal suo polemico distacco nei confronti della coscienza comune e dell’opinione, c’è la possibilitàdiaffrettareil trapasso, il superamento delle condizioni attuali, il «balzo» in avanti che lo spirito si appresta a eseguire[28].L’apparenza va perciò riconosciuta come ineliminabile manifestazione della realtà e della «verità»: «L’apparenza è un sorgereeunpassareche né sorge né passa, ma che è in sé e costituisce l’effettualità e il movimento della vita della verità»[29]. La filosofiahegelianaèuna filosofia che parte dall’assimilazione della coscienza comune, che la comprende in sé prima di prenderne congedo e di iniziare la suamarciafraiconcetti puri. Essa non può, dunque, prescindere dalla «corrente del proprio tempo» anche quando nuota in direzione opposta all’immediatopresente. Attenersi al pensiero, contro la naturalità e l’apparenza del concreto, significa salvare i fenomeni, far vedere come l’apparenzanonèvuoto fantasma. Nel dipanare il finito, la «trama aperta» dei concetti[30], si produce la totalità come struttura processuale che contiene le singole determinazioni, che si mostrano come apparenze solo finché non sono comprese nell’insiemeindivenire. ConHegelilmondonon ha più doppi fondi: finisce la più che bimillenaria tradizione (schematicamente: da Aristotele a Kant) per cui ciò che appare è sostenuto da una qualche ousia, ypokeimenon,substantiao cosa in sé che funge da supporto o da Atlante delreale,o,perricorrere a un’immagine della mitologia indiana utilizzata da Hegel, non c’è più alcuna tartaruga chesorreggeunelefante cheasuavoltasorregge il mondo[31]. Scomparso ogni punto di sostegno solido, immediato, poggiante su se stesso, laveritànonpuòessere che un sistema di relazioni, in cui ogni singolo elemento ha il suosensosoloinbaseal suo valore di posizione nel tutto. La filosofia porta così alle estreme conseguenzelosviluppo della scienza moderna: trasforma il mondo in un insieme di nessi, lo spolpa di ogni sostanzialità, ma, nello stesso tempo, vuol trovare una coerenza a queste relazioni in un orditodiconcetti,inuna «rete adamantina». Se non c’è più alcun Atlante che regge il mondo, se la dialettica rovescia anche quest’ultimo residuo tolemaico,alloralecose e gli avvenimenti non sono altro che «punti nodali»[32], più o meno stabili, di relazioni. Dalla bipartizione kantiana in fenomeni o noumeni si passa a una complessa articolazione gerarchica di gradi di verità, a un ordine teleologico in cui tutto ha,topologicamente,un valorediposizione. 4.Apparenzae rivoluzione:i segnipremonitori I Farisei, inaccessibili agli insegnamenti di fede di Gesù che metteva loro dinanzi l’insufficienza della moralità della loro condotta legalistica, esigettero diverse volte da lui, come convalida del suo discorso che negava valore alla loro legislazione, un qualsiasi straordinario segno celeste, così come il loro Geova aveva sanzionato la sua solenne rivelazione. Gesù rispose loro: «A sera voi dite: “Domani sarà un bel tempo, perché il cielo ha un bel rosso”; se invece il mattino è di un rosso cupo voi ne presagite pioggia. Così voi comprendete l’aspetto del cielo per pronosticare iltempoe non conoscete isegnidel tempo per giudicarli? Non avvertite che negli uomini si sono ridestati bisogni superiori? Che si è ridestata la ragione che avanzerà pretese di fronte ai vostri insegnamenti e principi arbitrari, al vostro avvilimento del fine ultimo dell’uomo, dellavirtù e in particolare di fronte alla coercizione con cui volete mantenere salda tra il popolo l’autorità della vostra fede e dei vostri precetti?». Hegel, Vitadi Gesù[33]. Un’epoca di crisi è un’epoca dominata dall’apparenza e dall’oscuro bisogno di un «mondo nuovo». L’immediatezza del costumeedellafedesiè scissa: da una parte le vecchie leggi, civili o religiose,nonesercitano più una attrazione sufficiente per ottenere un’obbedienza spontanea, dall’altra, proprio a causa della loro debolezza, se ne richiede un’osservanza scrupolosa. Nasce così l’ipocrisia, il farisaismo, fenomeni oggettivi (non colpe individuali) che si manifestano ogniqualvoltasicreaun vuoto storico fra una nuova situazione in movimento e le vecchie istituzioni e idee che nonriesconoacapirlae a sintonizzarvisi. All’interno di questo spazio, apparenza e positività, dissoluzione e irrigidimento del vecchio appaiono insieme e offuscano la visibilità dei sintomi premonitorideltempoe la comprensione dei «bisognisuperiori»degli uomini. La totalità dei fenomeni che si riflette nella coscienza assume così un aspetto di contraddizione inconciliabile, in cui però gli opposti sembrano avere ciascuno la loro dignità e verità e, contemporaneamente, la loro immoralità e falsità. Mancando qualsiasi comprensione unitaria del mondo che riporti i fenomeni a un fondamento esplicativo, larealtàsipresentaalla coscienza in forme contraddittorie ma complementari: come vanità, degenerazione, fatuità, minaccia, attesa messianica e ‘pantoclastica’,passività o surriscaldamento dell’immaginazione. Il costume si irrigidisce nel formalismo o si lascia andare sregolatamente a nuove esperienze morali e religiose, le sètte si moltiplicano, l’inquietudine politica aumenta, ma l’attesa di una soluzione si fa spasmodica e attira e orienta le coscienze come un invisibile campo magnetico. Si fa allora avanti una dottrina, religiosa o filosofica,chedàvoceai muti bisogni, che interpreta i segni premonitori, che diventa una diagnosi e, insieme, una terapia collettiva. Ma prima di giungereaquestasvolta rivoluzionaria, allo scoprirsi del nuovo mondo, che diventerà a posteriori il fondamento esplicativo della molteplicità irrelata dei fenomeni precedenti, si passa attraverso una fase depressiva, ipocondriaca: lo spirito del «mondo nuovo» che si innalza sull’orizzonte della realtà, a fugare le ombre dell’apparenza dal loro isolamento, «dissolve brano a brano l’edificiodelsuomondo precedente; lo sgretolamento che sta cominciando è avvertibile per sintomi sporadici: la fatuità e la noia che invadono ciò che ancor sussiste, l’indeterminato presentimento di un ignotosonosegniforieri di qualcosa di diverso che è in marcia»[34]. È questoilmomentodella «rivoluzione intima e silenziosa», descritta anchedaFerguson,icui modelli Hegel aveva già trovato in Montesquieu e Gibbon, per la caduta dell’Impero romano[35], e in Diderot per la società francese dei decenni immediatamente precedenti il 1789: «Alla vigilia di una tale rivoluzione nei costumi […] quando si avvicinano a questo statodicose[gliuomini di rango elevato], privi, come sono, di ogni occupazione, avvertono una scontentezza e un abbattimento che non sanno spiegarsi. Deperiscono nel mezzo di godimenti apparenti, o,perlavarietàinstabile e il capriccio, che caratterizzanolediverse occupazioni e divertimenti, manifestano uno stadio di agitazione e di ansia che, come l’inquietudineprovocata da una malattia, lungi dall’essere il segno del godimentoedelpiacere, esprime uno stato di sofferenza e di pena. Alcuni scelgono di preoccuparsi di edifici, di carrozze o di banchetti; altri solo di svaghi letterari o di qualche altra occupazione frivola. Gli sport locali, i diversivi offerti dalla città, il tavolo da gioco, i cani, i cavalli e il vino sono le risorse alle quali si ricorre per riempire il vuoto di una vita svogliata ed inutile»[36]. Anche per Hegel prima della rivoluzione esplicitasimanifestaun malessere veramente sotterraneo nella società, e il lavoro di scavo che conduce alla rivoluzione non è opera della talpa ma di un popolo sommerso: «Lo stesso accade in una rivoluzione che sconvolge lo Stato. Noi possiamo rappresentarci il popolo sepolto sotto uno strato di terra, che ha un lago sopra di sé. Ciascuno crede di lavorare per sé e per la conservazione del tutto quando prende, dall’alto, una pietra per servirsene nella sua universale costruzione sotterranea. Ma in tal modo comincia a modificarsi la tensione dell’elemento dell’aria, universale, ed essa fa sorgere il desiderio dell’acqua. Con un senso di malessere non sanno cosa manchi loro e per far qualcosa continuanoascavarpiù in alto, nella convinzione di poter migliorare la loro costruzione sotterranea. La superficie diventa trasparente. Qualcuno se ne accorge e grida: “Acqua”, toglie l’ultimo diaframma ed il lago precipita nell’interno di questa sacca e li affoga nel mentre dà loro da bere»[37]. La «fatuità, che avverte se stessa»[38] crede persino, per non annoiarsi, di poter introdurre il nuovo senza danno per il vecchio, di farli coesistere entrambi. Così in un passo del Nipote di Rameau, sottolineato da Hegel, il pubblico francese si illude di poter introdurre la nuova musica italiana di un Pergolesi, di uno Jommelli, di un Duni, nei propri teatri senza chelamusicanazionale ne abbia a soffrire, non accorgendosichequesta creatura più robusta la distruggerà. Succede così che i frequentatori dell’Accademia reale e dell’Opéra, i «vecchi parrucconichecivanno da più di trenta o quarant’anni tutti i venerdì, invece di spassarsi come in passato, si annoiano e sbadigliano senza saper perché; se lo chiedono ma non trovano risposta»[39], finiscono inconsapevolmente, dopo tanti sbadigli, per rivolgersi alla musica nuova: «Che brava gente!Hannorinunciato allelorosinfonieperfar eseguire le sinfonie italiane. Han creduto che si sarebbero fatti l’orecchio a queste senza danno per la loro musica vocale […] Han credutodipoterprovare incessantemente con quale facilità, flessuosità, mollezza, con che armonica prosodia, le ellissi, le inversioni della lingua italiana si prestassero alla espressione artistica, al movimento, ai giri del canto, al valore ritmico dei suoni e continuare a ignorare al tempo stesso fino a chepuntolalorolingua sia rigida, sorda, pedantescaemonotona. Eh, sì; si son convinti che dopo aver mescolato le loro lacrimealpiantodiuna madrechesidisperaper la morte del figlio, dopo aver rabbrividito al comando di un tiranno che ordina un delitto, non si sarebbero annoiatidelleloroscene di fate, della loro insipida mitologia, dei loro meschini e dolciastri madrigali rivelatori a un tempo del cattivo gusto del poeta e della miseria della musica che se ne appaga […] Il dio forestiero si pone umilmente sull’altare accanto all’idolo indigeno; si fa più forte poco alla volta e un bel giorno dà un urtone al suocompagno;patatrac, ed ecco l’idolo caduto. Così, si narra, i gesuiti hanno introdotto il cristianesimo in Cina e in India e, per quanto criticato dai giansenisti, questo metodo politico che marcia diritto allo scopo senza baccano, senza versamento di sangue, senza martiri e senza torcere un capello, mi sembra di granlungailmiglioredi tutti»[40]. Questa marcia «senza baccano» è la rivoluzione silenziosa, inconsciamente prodotta o gesuiticamente preparata, che precede il «patatrac» dei grandi mutamenti politici: «Le grandi e folgoranti rivoluzioni devono essereprecedutedauna rivoluzione intima e silenziosa nello spirito dell’epoca che non a tutti è visibile, meno ancora osservabile dai contemporanei, ed è tantodifficiledaesporre a parole quanto da discernere»[41]. La rivoluzione, politica o spirituale, è realmente «folgorante», perché il nuovo mondo appare fra bagliori temporaleschi e nella sua semplicità non sviluppata. Compito dei fondatori di nuove religioni (come Gesù), o dei filosofi, è quello di articolare il nuovo mondo, bonificare il terrenodell’apparenzao negandone interamente la realtà, contrapponendo il mondo terreno a un mondo celeste, o legando l’apparenza a una ossatura concettuale che funge da supporto. Hegel va ancora più avanti: instaura una scienza dell’apparenza, la «fenomenologia», appunto, in quanto ‘sintomatologia generale’ della coscienza nell’atto in cui si compie la svolta storica, il «patatrac», il momento in cui lo spirito fa «un balzo». Sotto questo punto di vista, la fenomenologia è una guida al nuovo mondo, realizzata mediante una serie di rivoluzioni della coscienza, di esperienze che la coscienza attraversa per giungere alla comprensione della grande e folgorante rivoluzione collettiva compiuta dallo spirito umano. Come per d’Alembert, anche per Hegel si devono conoscere le «révolutions del’esprithumain»[42]per comprendere il proprio tempo.Manelcammino fenomenologico alla coscienza pare che la rivoluzione interiore non avvenga in se stessa, bensì in un oggetto esterno: «Sembra invece comunementecheinun altro oggetto noi facciamo esperienza della non-verità del nostro primo concetto; in un altro oggetto che noi troviamo accidentalmente ed esteriormente, per modo che in noi cada soltanto il puro accogliere ciò che è in-sé e per-sé. In quel modo di vedere, invece, il nuovooggettosimostra come divenuto mediante un rovesciamento della coscienza stessa (Umkehrung Bewusstseins des selbst). Nostra aggiunta è una tale considerazione della cosa, per cui la serie delle esperienze della coscienza si elevi ad andatura scientifica: considerazione che non èperlacoscienzadanoi considerata»[43]. Attraverso questo succedersidirivoluzioni interiori, la coscienza comune ritorna così continuamente sui piedi, per essere poi rimessa di nuovo sulla testa dalla figura successiva, fino a quando, nel «sapere assoluto», non ha assorbito tutte le inversioni ed è pronta a comprendereilpercorso della scienza senza più l’apparenzadell’alterità. Il movimento dialettico è lo sforzo continuo del pensiero nella coscienza attiva per far sì che il mondo usuale di rappresentazioni non poggi tranquillamente sui piedi, ma venga disturbato nella sua inerzia. Per usare una espressione italiana di Jacobi e di Sinclair, si può dire che Hegel fa compiere alla coscienza una serie di «salti mortali»[44], mediante i quali la coscienza – superato di volta in volta il momento di straniamento prodotto da una nuova figura, il momento della testa all’in giù (ossia l’effetto di sbalordimento generato dalle scoperte scientifiche e filosofiche,nonchédalle rivoluzioni religiose sui «pregiudizi» di un’epoca) – ritorna sui piedi. Coscienza comune e coscienza filosofica vengono così saldate attraverso queste Umkehrungen des Bewusstseins, ma anche il sapere, a sua volta, abbandona la fase del suoapparireedentrain una nuova congiunzione con lo spirito del tempo, di cui diventa ora adeguata[45]. forma L’apparenza e il sensibile vengono in tal modo recuperati e reintegrati nell’insieme tramite la negazione dellanegazioneeseguita dal «salto mortale». Vedere in Hegel unicamente distruzione la dell’apparenza e del sensibile è prendere in considerazione solo la prima parte del processo,quellacheper comodità possiamo chiamare della testa all’in giù, e non la seconda,quelladelsalto mortale, con il quale si poggia nuovamente sui piedi, ma dopo essere passati attraverso il rovesciamento. Nel primo movimento, nel porre la testa all’in giù, non sono inoltre l’apparenza o il sensibileinquantotalia essere distrutti, ma la loro inesprimibilità[46]. Ritornare sui piedi è spiegare, all’interno di un quadro più vasto, di un «sistema» più comprensivo, un maggior numero di fenomeni o di concetti precedentemente irrelati, è dare soddisfazione alle aporie che si erano presentate. Tale soddisfazione non è però data dalla sola filosofia, ma dall’epoca nuova che ha offerto il fondamentooggettivo,il fuoco virtuale per farvi convergere l’immagine del mondo. Col salvataggiodelsensibile e dell’apparenza Hegel vuole appunto evitare il platonismo, presentare, secondo le parole di Goethe, un mondo «che non ha nocciolo né corteccia», in cui la «verità» appare e in cui l’apparire è la sua naturaessenziale[47]. 5.Riflessionee culturadi un’epoca Per Schelling la riflessione è una malattia dello spirito, una scissione metastorica: «Non appena l’uomo si pone in opposizione con il mondo esterno […] è fatto il primo passo verso la filosofia. Con quella separazione ha inizio la riflessione; d’ora in poi egli separa ciò che la natura aveva unito per sempre, separa l’oggetto dall’intuizione, il concetto dall’immagine, e alla fine, facendosi oggetto a se stesso, separa sé da sé […] La mera riflessione è dunque una malattia dello spirito dell’uomo, soprattutto in quanto essa instaura la sua signoriasututtoquanto l’uomo, signoria che uccide in embrione la sua più alta esistenza e alle radici la sua vita spirituale che rampolla soltanto dall’identità. Essa è un male, che accompagna l’uomo nella vita e distrugge in lui ogni intuizione anche per i più comuni oggetti della conoscenza. La sua opera di separazione non si limita al mondo fenomenico; separando da questo il principio spirituale, riempie il mondo intellettuale di chimere contro le quali non è possibile lotta alcuna, perché esse stanno del tutto al di là della ragione. Essa rende permanente la separazione dell’uomo dal mondo, considerando quest’ultimo come una cosa in sé, che né intuizioni, né immaginazione, né intelletto, né ragione riescono a raggiungere. Di fronte a essa sta la filosofia che considera lariflessioneingenerale semplicementecomeun mezzo. La filosofia deve presupporre quella separazione originale, ché senza di quella non avremmo bisogno di filosofare»[48]. Malgrado questi temi schellinghiani condivisi anche – da Hölderlin e Sinclair[49] – abbiano lasciato una traccia durevole in Hegel, per lui la riflessione che separa l’uomo dal suo mondo non è un destino, ma il risultato di una crisi storica. E anche il bisogno della filosofia è una risposta alle contraddizioni di un’epoca, un superamento dei limiti delle vecchie filosofie, possibile solo quando si sono infrante o stanno per infrangersi le vecchie storiche. barriere Di conseguenza, «la confutazione di una filosofia ha il senso che ne vengono oltrepassati ilimitiecheilprincipio determinato di essa viene degradato a un momentoideale»[50].Ma se questi limiti non vengono realmente superati, si resta prigionieri dell’apparenza. Il proprio tempo viene allora rispecchiato passivamente e frammentariamente dalla riflessione, e la coscienza, qualora non riesca ad «acclimatarsi» alla scissione, si aggira smarrita nella fantasmagoria dei fenomeni.Nonècapace di superare la soglia oltre la quale comincia la scienza, ossia una coscienza che è, insieme, spiegazione dell’apparenza. La Reflexionsphilosophie, anche quando si propone di non farsi dominare dalle contraddizioni del tempo, ma di assoggettarle, resta in loro balìa, come mostra l’io fichtiano: «così la beatitudineincuil’ioha tutto come opposto, tuttosottoipiedi,èuna manifestazione del tempo, che ha in fondo lo stesso significato di quella di dipendere da un essere assolutamenteestraneo, che non può farsi uomo»[51]. Infatti, se «la separazione è infinita, allora il fissare del soggettivo o dell’oggettivo è indifferente»[52]. Il titanismo di Fichte, la suavolontàdipiegareil non-io rendendolo evanescente, è anch’esso simbolo di sudditanza all’epoca. Quando la filosofia non coglie in pieno i bisogni di un’epoca, gli opposti rimangono separati o uniti artificiosamente nella cattiva infinità: «Se il bisogno della filosofia non raggiunge il suo centro, mostra separati i due lati dell’assoluto(cheèaun tempo esteriore e interiore, essenza e manifestazione), in particolare l’essenza interiore e la manifestazione esteriore»[53]. La vera filosofia adeguata ai bisogni del tempo vuole liberarsi dal mero riflesso del tempo, non però dalla sua comprensione concettuale. Essa è presadicoscienzadiciò che nella riflessione appare come semplice rispecchiamento passivo. Per questo la filosofia si muove rettificando continuamente la sua rotta fra le contraddizioni segnalate dalla riflessione, avendo per guidaibisognisuperiori dell’epoca e l’istinto della ragione, prima di raggiungere il sistema. Per questo, essa non può costruirsi se non in relazione polemica o di attualizzazione del pensiero e della cultura generale del proprio tempo. Tale rapporto intenzionale con la cultura e l’esperienza della propria epoca è sfuggito a critici come Haym, che osservava a proposito dei contenuti della Fenomenologia: «Lo spirito del mondo non viene rappresentato come si è sviluppato realmente, bensì come esso avrebbe potuto e dovuto svilupparsi, qualoraincertomodosi fosse adattato allo schema dell’astratta dottrinadellacoscienza. Intalmodosonogettate alla rinfusa le figure storiche. La scelta è assolutamente arbitraria. Come all’autore una figura storica era o particolarmente familiare o particolarmente presente per una recente lettura, allora essa viene afferrata e bollata come simbolo di uno stadio della coscienza, sedicente necessario e inevitabile. E invero, se lo spirito della Rivoluzione francesevieneelevatoa questa dignità, non è assolutamente comprensibile perché quello spirito caratteristico del puritanesimo nella sua lotta contro Carlo I non appaia ugualmente degno di considerazione»[54]. In effetti – a prescindere da un certo margine di arbitrarietà, ma il problemanonstaqui[55] – il motivo per preferire la Rivoluzione francese al puritanesimo o ad altri eventi risiede nel fatto che Hegel riproduce solo le figure sintomatiche della culturaedell’esperienza storica del tempo, quelle che servono da puntidiriferimentoeda bersagli per la costruzione della filosofia coi materiali dell’epoca: «La vera peculiarità di una filosofia è l’interessante individualità,incui,con i materiali da costruzione di una determinata epoca, la ragione si è organizzata una figura»[56]. Non si tratta soltanto di servirsi dei contenuti delle figure come di «segnali indicatori» agli «incroci» della storia[57], ma di utilizzarli realmente come materiale. Senza il riferimento a essi, la filosofia non sarebbe «il proprio tempo appreso nel pensiero». La costellazione delle figure evocate o «ricordate» è quella delle «stazioni» del calvario che servono alla resurrezione della nuova figura dello spirito. La Fenomenologia non è un qualsiasi innalzarsi della coscienza comune alla scienza o un qualsiasi sorgere della scienza a se stessa, ripetibili in modo invariato in ogni tempo, tanto è vero che lo stesso Hegel – pur senza sminuire il valore della Fenomenologia, che considerò in seguito un lavoro giovanile peculiare, da non rielaborare prevista nella seconda edizione – la giudicò legata al periodo della composizione[58] e cercò altre forme di introduzionealsistema, più adeguate alle nuove situazioni storiche, più comprensibili agli studenti, più funzionali all’insieme già sviluppato del suo pensiero. Su questi differenti «vestiboli» al sistemaesulperchédel loro variare (Logica di Jena, Fenomenologia, Preliminari e Posizioni del pensiero rispetto all’oggettività dell’Enciclopedia) si è di recente sviluppata una complessa discussione di carattere filologico e teorico, specie fra studiosi tedeschi e francesi. In particolare ci si chiede se la Fenomenologia sia un’introduzione interna o esterna al sistema, se abbia o no la stessa estensione di esso, se percorra o no gli stessi contenutiinunadiversa dimensione, se Hegel giudichi terminato o no il tempo in cui il sapere deve apparire e giustificarsi di fronte alla coscienza comune[59]. 6.Tempoed eternità:ricordoe obliodella continuità La Fenomenologia è dunque un cammino storicamentetracciatoe datato, la preparazione di una determinata svolta storica, in cui la coscienza comune e il saperediun’epocasono chiamati a raccolta nell’imminenza del balzo perché non si cancellino le tracce del processo che ha portato al costituirsi del «mondo nuovo». Infatti, «soltanto la memoria conserva poi come una storia,nonsisabenein qual modo trascorsa, la morta guisa della precedente figura dello spirito»[60].Oralospirito vuol conservare nel suo «balzo» il ricordo della propria continuità e identità attraverso la serie delle rivoluzioni della coscienza, vuole riconoscersi come un prodotto storico, prima di costituirsi come un sistema in cui l’ordine cronologico interiorizzato viene o invertito. La novità di quest’ultimarivoluzione dello spirito e della filosofia che la esprime ècheentrambesisanno perlaprimavoltacome risultato di un lungo dipanarsi di révolutions de l’esprit humain e intendonoconservarela loro connessione con la storia e il divenire. La filosofia è sempre stata il proprio tempo appreso in pensieri, ma solooralosa.Soloorail movimento della storia e della realtà irrompe nel tranquillo mondo dei concetti, li mette in tensione, dà loro l’apparenza di una autokynesis. La filosofia cessa di essere sapere analitico, analisi di concettipersaggiarnela validità e i limiti, e diventa processo genetico[61], costruzione di un sistema con il fluido materiale di un’epoca. Penetrando coscientemente nel regno del pensiero, il movimento dell’epoca lo stana dal suo immobilismo, dalla sua tendenza inerziale a cristallizzarsiinformule eideerigide. La Fenomenologia è la ricapitolazione del cammino dimenticato che ha condotto alla formazione inconscia dellospiritodiun’epoca, allacoscienzacomunee alla Reflexionsphilosophie, che lo contengono in modo contraddittorio e non lo sanno esprimere se non per frammenti. In questo senso, l’opera diReinhold(autoredegli Elemente der Phänomenologie, l’antecedente immediato della Fenomenologiahegeliana) [62] è «immersa completamente» nel «bisogno del tempo»[63], ma non lo sa afferrare. Anche a lui del truncus ficulnusodelgranitodel MonteBiancodell’epoca resta in mano solo un «Mercurietto maledettamente piccolo»ounascheggia: «Uno illumina l’epoca, l’altro la esalta col sentimentoinsonetti,la educa, la riflette, la eleva con intuizioni e preghiere. L’epoca è per tutti il truncus ficulnus, dal cui insieme ognuno vuol fabbricare un Mercurio. Ma il diavolo gli porta via sottobanco il truncus, ovvero, per dirla con un’altra metafora, il granito del Monte Bianco, e gliene lascia solo una piccola scheggia o un granello, di modo che, quando unovuoleosservarealla luce il proprio lavoro ormaifinito,nehatirato fuori un piccolo, maledetto Mercurietto, e non potrà mai abbastanza insultare la cattiveria dei tempi e del diavolo»[64]. La filosofia deve dunque uscire da immersione questa nella superficiale immediatezza dello spirito del tempo, deve rifiutare le briciole e tendere alla totalità e può farlo soltanto congiungendo il tempo all’eterno e il relativo all’assoluto. Se nella Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling vi è soltanto l’affermazione secondo cui «il vero togliere del tempo è un presente senza tempo o eternità»[65], più tardi il superamento del tempo attraverso la conservazione sua nell’eternità condurrà all’esplicita conciliazione tra eternità e tempo e tra verità e storia. La storicizzazione dell’assoluto potrà così venire formulata con maggiore chiarezza. Infatti, solo dopo i tentativi non riusciti (risalenti al periodo che precede immediatamente la stesura della Fenomenologia) di legare il tempo della natura con quello dello spirito, Hegel sarà infine in grado di mostrare, contestualmente, sia il dispiegarsi dell’assoluto nel tempo, sia la circolarità delle tre dimensioni del tempo stesso, sia il processo dello sciogliersi della fissità delle categorie logiche atemporali nel tempo della natura, della storia e dello spirito[66]. L’assoluto – pur nella sua ascendenza spinoziana dall’idea di sostanza in cui il finito è inconcepibile qualora venga separato dall’infinito – si configura ora come «divenire», eternità che non procede all’annullamento del tempo, bensì alla sua «bella unificazione» con esso: «Porsi […] nella prospettiva del conoscere assoluto dell’assoluto concepire significa ogni determinazione finita nel tutto e quindi intuirla come espressione dell’eterno […]Pertantolospiritosi pone insieme nella distensione e dispersionedellanatura e del suo tempo, ma non è abbandonato alla fuga senza fine del tempo,inquantoessoè finalmente colto nella sua realtà di concetto»[67]. In questo senso il tempo è eterno e «lo spirito è tempo»[68]. Hegel ha in questo modo trovato una via d’uscita all’alternativa tradizionalmente posta fra un’eternità statica e immutabile e un tempo che si autodistrugge, ossia, parallelamente, fra una verità senza storiaeunastoriasenza verità. Nello sforzo di conciliare, non senza difficoltà e ambiguità, il tempo e l’eternità, il divenire e l’assoluto, Hegel ha però considerato, almeno al livello della parte finale della Fenomenologia, l’assoluto stesso, da un lato, come «verità e certezza del suo trono» (Wahrheit und Gewißheit seines Throns), dall’altro, come «calvario» (Schädelstätte) e, questo, per evitare che l’assoluto stesso fosse «solitudine senza vita» (lebloses Einsame). Eppure, acuto secondo un interprete, «calvario e trono non sono su un piede di parità: l’eterno non è il tempo, bensì lo contiene in sé, ne tiene insieme i singoli momenti, le figure astratte della coscienza e le figure reali del mondo, e lo ha ad oggetto». Il sapere assoluto non può, quindi, dare esaurientemente conto della sua storia: resta uno iato tra la sua conclusione e ciò che la precede. I tre sillogismi dell’Enciclopedia «dovrebbero essere la risposta al problema [alla convergenza di questi due aspetti]. E anche lo sarebbero, se questo circolo venisse inteso e presentato come tale che il ritorno del circolo su di sé è determinato da ciò, che ogni rapporto lascia sempre fuor di sé qualcosa, sì che il circolo di circoli lascia sempre fuori della ragione un irraggiungibile residuo»[69]. Unproblemaulteriore insito in rinnovato questo concetto hegeliano di tempo, ma pocovisibilesenonlosi guarda da una prospettiva a noi cronologicamente più vicina, è quello relativo alla realtà del tempo stesso. Per comprenderlo, si deve partire dagli studi del filosofo hegeliano inglese McTaggart, che hanno affermato, nel 1908, l’esistenza di due diverse strutture temporali, rivelatesi reciprocamente intraducibili: 1) Quelle che si dispongono secondolacosiddettaAserie di determinazioni «tensionali» (passato, presente e futuro) all’interno di un modello dinamico e aperto, eracliteo, in cui daltroncodelpassatosi protendonoimoltirami dei futuri possibili (irreali finché non si attualizzano nel presente, il quale cambia però continuamente, dislocandosi in istanti sempresuccessivi).Tale modello corrisponde a una versione stilizzata della nostra esperienza intuitiva del tempo, in cui ciò che esiste viene equiparatoalsuoessere attuale nel tempo. 2) Quelle costituite dalle determinazioni «atensionali» della Bserie, articolate dal «prima- di/contemporaneoa/dopo-di»[70].Essesono statiche,parmenidee,in quanto non presuppongono né il venire all’attualità nel presente di ciò che era soltanto possibile o irreale, né l’arretramento nel passato e nel nonessere di quanto ora è. In base a tali determinazioni,larealtà possiede, dunque, un carattere sostanzialmente atemporale e il futuro risulta altrettanto determinato del passato. I fatti atensionali di cui si compone il mondo sono, in quest’ottica, indipendenti dal tempo. Tale temporalità statica viene talvolta spiegata dai suoi fautori mediante l’analogia con i singoli fotogrammi di una pellicola cinematografica, che esistono simultaneamente pur venendo proiettati in successione. Anche in termini logici, gli enunciati di tipo atensionale esprimono verità immutabili che trascendono il tempo di asserzione, sia in modo onnitemporale, ossia validoinognitempo,sia in modo atemporale, valido fuori dal tempo. A essi si applica il «principiodibivalenza», per cui qualsiasi proposizione al tempo futuroopassatoèverao falsa a prescindere dal momento dell’enunciazione. Gli enunciati tensionali del genere «sono le ore 8:00» assumono, al contrario, un valore di verità in rapporto al momento in cui vengono pronunciati, in quanto subito prima o subito dopo sono falsi (proprio questa, per inciso, è la «certezza sensibile» di cui Hegel ha mostrato l’autodissoluzione nel capitolo iniziale «Coscienza» della Fenomenologia spirito). dello LaserieAèdinamica, perché l’istante si spostacostantemente,è un moving now, mentre la serie B è statica, permanente, priva di sviluppo. Nella prima un evento è situato in unparticolaremomento del tempo che viene incessantemente oltrepassato (ad esempio, l’uccisione di Cesare ha luogo in una certa ora delle Idi di marzo del 44 a.C., a cui seguono innumerevoli altri minuti, ore, giorni, anni e secoli); nella seconda, la battaglia di Filippi avviene dopo la morte di Cesare e la proposizione che lo asserisce vale sempre. La serie A è considerata da McTaggart incoerente, in quanto un evento passato non può essere presente o futuro, un evento presentenonpuòessere passato o futuro e un evento futuro non può essere passato o presente. Eppure, ogni dimensione del tempo contiene le altre due (l’evento passato sarà presenteefuturo;quello futuro sarà stato presente e passato; e quello presente sarà futuro e passato). Si potrebbe obiettare che l’incoerenza può esserle attribuita solo nel caso in cui si presupponga che lo stesso evento contenga simultaneamente tutte e tre le dimensioni del tempo. Ma questa confutazione vale solo se presuppone un’altra serie A, il che è contraddittorio e conduce a un circolo vizioso. Dalla sovrapposizione della serieBallaserieAsorge una serie C, che non è temporale, in quanto possiede un ordine ma non una direzione, nel senso che un determinato evento si ponetraaltrieventi,ma non prima o dopo di essi. In questo senso, concludeMcTaggart(ma la sua ipotesi non è del tutto persuasiva), nel suotrascorrereiltempo è irreale. Per dimostrarne l’irrealtà, basterà provare che questa serie è intrinsecamente contraddittoria e non può esistere. Inizia così il secondo momento della sua riflessione, in cui è contenuto il noto paradosso. Il filosofo osserva che i termini della serie A si presentano come caratteristiche di eventi tra loro incompatibili, ossia, come si è già detto,uneventopassato nonpuòesserepresente o futuro; un evento presentenonpuòessere passato o futuro; un evento futuro non può essere passato o presente. Ora, il punto è che in Hegelnonesisteun’idea dell’irrealtà del tempo nel senso di McTaggart, autore, fra l’altro, di un ancora valido commento alla Scienza della logica[71]. Nella sua concezione «speculativa», Hegel considerailtempocome ciò che non si annulla, ma coesiste contraddittoriamente con l’eternità, perché, partendo dall’immediata contraddizione del tempo stesso in quanto «l’essere che, mentre è, non è, e mentre non è, è», passa da questo «divenireintuìto»[72] (un divenire, come già sappiamo, che non coincide con il movimento) al divenire speculativamente pensato come proprio dell’eternità. Ma perché sia possibile tendere all’eternità che coesiste con la storia bisogna dominare il proprio tempo dall’interno, conoscerne la genesi e non dimenticarla. Rompere l’alleanza con lo spirito del tempo nel suo momento stagnazione di e rinnovarlanelmomento di avanzata. All’oblio delle origini di tutte le filosofie del passato, la filosofia del presente deve contrapporre l’Erinnerung, il ricordo interiorizzante, l’appropriazione e l’universalizzazione del passatonelpresente.La verità, aletheia, diventa un’altra volta uscire dal Lete dell’oblio[73], memoria, e la musa della storia, Mnemosyne, presiede, nel «sapere assoluto» al passaggio Fenomenologia dalla al sistema. Un parallelo implicito conCartesiochiariscela posizione hegeliana. Il cogito si presenta in Cartesio come certezza immediata di essere ogni realtà, ma è una certezza astratta che ha dimenticatoecancellato le orme del suo precedente cammino. La coscienza «che è tale verità ha lasciato dietro le spalle e obliato quel cammino quando essa sorge immediatamente come ragione; ossia: questa ragione nel suo immediato affacciarsi si presenta soltanto come certezzadiquellaverità. Essa meramente asserisce di essere ogni realtà, ma non riconduce al concetto la sua asserzione; infatti quell’obliatocamminoè la giustificazione concettuale di questa affermazione espressa in modo immediato»[74]. Cartesio, «come più tardi anche Fichte, prende le mosse dall’io come da quel che è senz’altro certo: io so che in me si affaccia qualchecosa.Conciòla filosofia è d’un tratto trasferita su un terreno e in un punto di vista affatto nuovi, nella sfera, cioè, della soggettività»[75]. Ma è una soggettività che ignora la sua genesi storica, per quanto in Fichte ci sia già l’oscuro presentimento di una «storia prammatica» dello spirito umano. La coincidenza di certezza e verità è così presentata–sottoforma di cogito o di primo principio – come punto di partenza, non come risultatodiunitinerario, di un viaggio, Erfahrung[76], della coscienza, e il sapere si fondaunicamentesuse stesso. Lo straordinario statuto della Fenomenologia hegeliana èinvecequellodiessere contemporaneamente movimento della inconscio coscienza, teleologia spontanea, oblio delle origini dopo ogni passaggio, accompagnati, nel für uns, dalla consapevolezza del fine storicamente già raggiunto, di essere quindi talpa e civetta insiemeall’internodella stessa filosofia[77]. Da una parte, la ‘mano invisibile’ dell’istinto guidalacoscienzaafare esperienza da sé delle contraddizioni, dall’altra, la coscienza vigile, che conosce la strada in precedenza percorsa dallo spirito, sta a guardare; la riflessione si intreccia alla speculazione. Si danno in tal modo due piani fenomenologici, quello della spontaneità (o della buona riflessione) e quello della speculazione, e il ricordo è la loro saldatura nel processo oggettivo per cui la scienza si innalza a se stessa. Un automatismo simile, una teleologia del contenuto, Hegel la ritrova nel calcolo matematico, nell’analisi infinitesimale, memore forse del detto di d’Alembert «Allez en avant, la foi vous viendra», e sicuramente delle osservazioni di Laplace, sulla ‘buona riflessione’ che si lascia andare all’oggetto: «La cattiva riflessione è la paura di sprofondarsi nella cosa, riflessione che scavalca sempre la cosa e torna in sé. L’analista, come dice Laplace,siabbandonaal calcolo e gli sfugge il compito, e cioè la visione d’assieme e la dipendenza dei singoli momentidelcalcolodal tutto. Non solo la considerazione della dipendenza del singolo dal tutto è l’essenziale, ma anche che ogni momento stesso, indipendentemente dal tutto,èiltutto,equesto è lo sprofondarsi nella cosa»[78]. La buona riflessione si identifica quindi con la spontaneità del pensiero quando segue la cosa, che è «spesso migliore della coscienza»sudiessa[79], cioè della «cattiva riflessione».Perquesto– afferma Hegel – quando si intraprende lo studio di una scienza è «necessario non lasciarsi frastornare dai princìpi», ma andare avanti, in un primo momento, secondo il fluiredelragionamento, senza voler capire e dimostrare subito ogni singolo passaggio: «All’iniziolacoscienzaè torbida […] si va avanti aleggeretralavegliaeil sonno […] Così io ho studiato il calcolo differenziale e altro. Così ho sentito di altri, che studiarono la Critica della ragion pura di Kant»[80]. Ma a questo automatismo della coscienza in trance, a rimorchio della cosa stessa, si intreccia nella Fenomenologia lo «sguardod’assieme»del für uns – assente nel calcolo –, che tocca il culmine assoluto, nel sapere nella congiunzione di certezza e verità. Qui finalmente questo scavare inconscio dello spirito cessa e si raggiunge il sole del concetto, dove il movimento cosciente del für uns procede di pari passo con «la cosa stessa», il prosemas con l’autotopragma.Avendo giustificato la sua apparenza di mondo allarovesciaedessendo diventata trasparente a se stessa nel suo cammino, la scienza può ora iniziare la sua marcia apparentemente autonoma,elafilosofia, superata la soglia di soggettività avulsa dal mondo, dirigersi verso quella «mèta raggiunta la quale sia in grado di deporre il nome di amore del sapere per essereverosapere»[81]. Fin dalla pubblicazione della Fenomenologia il «sapere assoluto» è sembrato presunzione o punto debole della filosofia hegeliana.Daunlato,lo si è interpretato come pretesa di aver capito tutto o attingimento come di una saggezza conclusiva, dall’altro, come deludente ricaduta anamnestica dopo il torrente impetuoso delle figure precedenti. Ma sapere assoluto è sapere non più inconsciamente condizionato dall’epoca, slegato quindi dai presupposti che lo vincolavano, è un sapere povero, addirittura vuoto, ma capace di produrre un nuovo inizio. Non è quindi sapienza onnisciente, capace di dareunsensoatutto,o scienza senza limiti. Il suo vuoto è, per così dire, la camera di compensazione per abituare la coscienza al puro «etere»[82] del sapere sistematico, del mondo nuovo in potenza che ora appare come una «ghianda». Il sapere, insomma, è qui «assoluto» perché può oracominciare,comein Cartesio o in Fichte, a costruire da sé, ma avendo alle spalle il ricordo della strada percorsa: «Consistendo la sua perfezione nel sapereperfettamenteciò ch’esso è, ossia la sua sostanza, questo sapere è il suo insearsi, nel quale lo spirito abbandonailsuoesserci e ne consegna la figura alla memoria. Nel suo insearsi lo spirito è calato nella notte dell’autocoscienza; ma ivi è conservato il suo dileguato esserci; e questo tolto esserci, – quello di prima, ma rinatoororadalsapere, – è il nuovo esserci, un mondo nuovo e una nuova figura spirituale. In essa e con la sua immediatezza,lospirito ha da ricominciare da principio, in modo altrettanto fresco, e da farsigrandepartendoda essa, come se tutto ciò che precede fosse per luiperduto,edessonon avesse imparato nulla dall’esperienza degli spiriti antecedenti. Ma la memoria li ha conservatiedèl’interno elaforma,ineffettopiù elevata, della sostanza. Se dunque questo spirito ricomincia da principio la sua cultura sembrando prender le mosse soltanto da sé, tuttavia esso comincia in pari tempo da un grado più alto»[83]. L’Erinnerung del sapere assoluto non è dunque, come sostiene Bloch, rinuncia all’aspetto progressivo della dialettica a favore di una ruminazione del passato,diunconoscere platonicamente uguale al ricordare, di una «malia dell’anamnesi»[84],nonè ricordo come mera catalogazione di dati, unasortadicontenitore o ripostiglio in cui si raccolgono frammenti del passato, ma è piuttosto vicino alla platonica ἀνάµνεσις, al rimando reciproco di ricordi che, nella loro somiglianza, rinviano al futuro in quanto proiezione dell’indagine intrapresa (sarei tentato di tradurre proustianamentequesto termine con recherche): «Se uno, veduta una cosaouditalaoavutane comunque un’altra sensazione, non solamente venga a conoscere quella cosa, ma anche gliene venga in mente un’altra – un’altra di cui la cognizione non è la medesima,madiversa», allora, al pari degli «innamorati che, vedendo la lira, rivedono la figura dell’amato», egli sta compiendo una ricerca, creando un tessuto connettivo di pensieri, sentimenti e immagini, articolando e arricchendo la propria esperienza»[85]. L’anamnesis è quindi, anche per Hegel, conservazione dell’«esistenza precedente» nell’interiorizzazione del ricordo (Er-innerung) sottratto al suo essere sprofondato nella «notte» della coscienza che lo conserva. È raccoglimentoprimadel balzo; è, come Hegel diceinuntestocoevoal capitolo sul «sapere assoluto», ossia la Prefazione della Fenomenologia[86], una ricapitolazione delle figure depotenziate dello spirito prima di affrontare un’ulteriore avanzata: «L’individuo percorre questo suo passato, la cui sostanza è quello spirito che sta più in su, proprio come colui che è sul punto di avventurarsi in una scienza superiore, percorre le cognizioni preparatorie, già in lui da lungo tempo implicite, per rendersi presente il loro contenuto; e le rievoca senzachequiviindugiil suo interesse»[87]. In genere questo aspetto resta nascosto per due motivi:a) perché non si vede la Fenomenologia come parte di un insieme sistematico – quale Hegel progettava –, e lo si considera il suo finale davvero un finale «assoluto», invece che uninizio«inparitempo daungradopiùalto»;b) perché l’apparente punto morto dell’Erinnerung viene interpretato come un ripiegamento in se stessi e non, contemporaneamente, come il punto di inversione – l’apparente velocità zero al culmine dellatraiettoria,analoga all’exaiphnes platonico, almomentoimprovviso, inclassificabile (atopos) ed extraterritoriale al tempo[88] – che precede e accompagna ogni rivoluzionedellospirito. Perciò anche Fries, in una lettera a Jacobi del 20dicembre1807,aveva intesoilsapereassoluto comesempliceristagno: perHegel,dice,«nonha valore alcuna verità stabile, bensì solo la verità nel suo fluire […] Ma in quanto Hegel, al culmine di tutte queste panoramiche del mondo,ponedinuovoil sapere assoluto, che deve essere qualcosa di più che non gli altri modi del conoscere, contraddice se stesso. Infatti, la verità vera non è più il fluire, ma soltanto il Mar Morto dell’assoluto, in cui si riversa e alla cui spiaggia finalmente giungiamo»[89]. Hegel stesso però aveva offerto la giusta chiave di lettura della sua opera, come sapere in divenire e prima parte di un sistema, nell’autopresentazione (Selbstanzeige) della Fenomenologia apparsa sulla «Allgemeine Literaturzeitung»diJena del 28 ottobre 1807: «Questo volume espone il sapere in divenire. La fenomenologia dello spirito deve prendere il posto delle spiegazioni psicologiche o delle più astratte discussioni sul fondamento del sapere. Essa considera la preparazione alla scienza da un punto di vistapercuiessastessa è una nuova, interessante scienza prima della filosofia. Essaabbraccialediverse figure dello spirito come stazioni della strada in sé, attraverso le quali esso diviene sapere puro o spirito assoluto […] La ricchezza dei fenomeni dello spirito, che si presenta a un primo sguardo come caos, è portata a un ordine scientifico […] Un secondo volume conterràilsistemadella logica, come filosofia speculativa, e le due rimanenti parti della filosofia, le scienze della natura e dello spirito». Ma, si sa, con la «catastrofe jenese», Hegel fu ridotto dalla guerraallamiseria,ebbe la casa saccheggiata dai soldati francesi, dovette abbandonare il suo posto all’università e ricominciare da capo una nuova vita, a trentasette anni e in una situazione precaria: dapprima come giornalista a Bamberga, quotidianamente a caccia di notizie e in lottaconlacensura,poi, come rettore del ginnasio di Norimberga, carico di lavoro e con preoccupazioni finanziarie. Il progetto di un secondo volume fucostrettoadaspettare e, nel frattempo, a modificarsi, anche sulla base di circostanze esteriori. Così, quando nel 1812 apparve infine il primo tomo della Scienzadellalogica,Hegel poté scrivere a Niethammer: «Non è pocoscrivere,nelprimo semestre del proprio matrimonio, un libro di trenta fogli del più astruso contenuto. Ma iniuriatemporum!,ionon sono un accademico; per dargli forma conveniente avrei dovuto impiegare ancoraunanno,mentre ho bisogno di denaro per vivere»[90]. Tuttavia, malgrado ogni mutamento di prospettiva, mai la Fenomenologia fu considerata un’opera a sé,conchiusa. Soprattutto dalle sue pagine finali è però derivatalatesidiKojève secondo cui il sapere assoluto coincide con la «Saggezza», la capacità di dare un senso al Tutto una volta giunti alla «fine della storia»[91]. L’idea di «Saggezza» è, infatti, esplicitamente connessa alla nozione hegeliana di «Sapere assoluto (= Saggezza o Verità discorsive)», che «risulta dalla ‘comprensione’ o dalla ‘spiegazione’dellastoria integrale (o integrata entroemediantequesto stesso Sapere) per mezzo di un ‘discorso coerente’ (Logos)»[92]. Nel Sapere assoluto la storia coincide secondo Kojève con l’eternità (ossia, per lui, con la totalità del tempo umano).Finchénonsiè giuntiaquestostadio,il filosofononèancoraun saggio. Può, dunque – e deve – partecipare alla politica, influire sulla prassi. 7.Assimilarela tradizionevivente Bisogna che l’eredità della filosofia classica tedesca sia non solo inventariata, ma fatta ridiventare vita operante. Gramsci, Il materialismo storicoela filosofiadi B. Croce[93]. «L’animale compie presto la sua educazione: ma non si deve considerare ciò come un benefizio della natura per l’animale. Il suo crescere è solo un rinforzarsi qualitativamente»[94]. L’uomo invece, rispetto all’animale, ha un’infanzia più lunga e un’educazione più prolungata, ma in compenso in quest’arco di tempo si impadronisce di tutta l’esperienza storica accumulata dal genere. «Nelle altre classi di animali – dice Ferguson – l’individuo avanza dall’infanzia alla maturità e, nel giro di una singola vita, acquista tutta la perfezione che la sua natura è in grado di conseguire; ma, per quello che concerne gli uomini, c’è progresso sia nella specie, sia nell’individuo. Essi costruiscono in ogni età successiva, su fondamenta che sono state poste nell’età precedente e, nella successione degli anni, tendono a un grado di perfezione, nell’esercizio delle loro facoltà,cheèilrisultato di una lunga esperienza odellosforzocongiunto di più generazioni»[95]. Anche Hegel delinea così l’educazione dell’individuorispettoal genere umano, con l’aggiunta significativa che il singolo, nel rifare la strada del genere, trova il cammino spianato: «Il singolo deveripercorrereigradi di formazione dello spirito universale, anche secondo il contenuto, ma come figure dello spirito già deposte, come gradi di una via già tracciata e spianata. Similmente noi, osservando come nel campo conoscitivo ciòcheinprecedentietà teneva all’erta lo spirito degli adulti è ora abbassato a cognizioni, esercitazioniefingiochi da ragazzi, riconosceremmo quasi in silhouette [im Schattenrisse], nel progressopedagogico,la storia della civiltà»[96]. Le grandi scoperte scientifiche, che avevanopostoatestain giùlacoscienzacomune dei contemporanei, vengono nell’educazione riportateacognizionida ragazzi, entrano a far partediunacostruzione logico-didattica che ha un ordine diverso da quello cronologico, articolandosi in un insieme coerente di passaggi, non previsti, di volta in volta, dai singoli scienziati o pensatori, guidati nello sviluppo della verità solo dall’istinto della ragione. Ora, invece, in qualsiasi manuale di geometria, di fisica, di botanica, in parte di storia della filosofia, quelle scoperte che hanno «tenuto all’erta» le menti degli uomini più svegli, meno dormiglioni,«berrettida notte», sono lì, allineate e articolate in concatenazioni sistematiche. Oppure: l’azione collettiva di tutte le generazioni – e non solo degli individui che hanno segnato la storia universale, i cosiddetti «individui cosmico-storici», che la organizzano – si cristallizza negli istituti giuridico-politici dello «spirito oggettivo» o si fa avanti nel divenire della storia. Ogni individuo assimilando vive questo prodotto di generazioni, di tutti e di ciascuno, senzadoverpartireogni voltadazero. Certo, lo spirito oggettivo, questo prodotto collettivo spesso domina i produttori, tragga la sebbene propria esistenza solo dal loro lavoro e dal loro consenso implicito. Così, ad esempio, le forme della famiglia, dellasocietàcivile,dello Stato, la lingua, il costume e la cultura si generano sviluppano e si per oggettivazione o alienazione (Entäusserung, nel senso etimologico di «estrinsecazione», ossia il contrario della interiorizzazione, dell’Erinnerung, che è la revocadell’Entäusserung) [97]; ma poi avvolgono l’individuo fin dalla nascita nella loro atmosfera impalpabile, ne organizzano la vita secondo binari relativamente rigidi, penetrano nei suoi più intimi recessi, lo pre- condizionano. Hegel aspira alla libertà degli individui all’interno della società, ma – per fare in modo cheessinonnevengano assorbiti, che non siano annullati nello «spirito oggettivo», nelle istituzionienellastoria, per non consegnarli quindi all’alienazione – deve concepire la società, lo Stato e la storiacomeprodottidel loro agire, in parte inconscio e sottoposto all’eterogenesi dei fini[98]. Nell’eticità (Sittlichkeit) hegeliana il singolo è libero e trova un senso al suo agire quandoirapportisociali in cui è inserito gli appaionorazionalmente giustificabili, seppure all’interno degli inevitabili conflitti e dei valori storicamente vigenti nella comunità di cui fa parte. Questo stadio,perHegel,èstato raggiunto solo in età moderna, per effetto dellascopertadellearmi da fuoco, che tolgono valore all’eroismo individuale, e, soprattutto, della Riforma, che ha abolito la «positività» della vita religiosa tra i popoli germanici (che includono non solo i tedeschi, ma gli scandinavi, i britannici, gli svizzeri e gli olandesi, con l’ovvia anomaliadegliaustriaci) [99]. Finché questo processo inconscio di assorbimento dello spirito oggettivo è soltanto subìto dal singolo, questi è costretto ad accettare passivamente o con un senso di inspiegabile malessere quelle istituzioni oscuramente che avverte come inadeguate. Ma quando prende coscienza dello spirito oggettivo, quando procede alla revoca della alienazione – che, malgrado tutto, Hegel ha distinto dall’oggettivazione e dall’estraneazione[100] –, alla assimilazione di tutto ciò che dapprima gli appare come «sua natura inorganica», allora può veramente farlasua,interiorizzarla, trasformarla in cibo adeguato e modificarla. La dialettica Entäusserung-Erinnerung ha soprattutto questo significato. Al pari della comunione luterana, anche qui le istituzioni, lo «spirito oggettivo», non hanno alcun valore senza la fruizione del singolo, senza il ritornare soggetto, in sé, nel dall’alienazione. Per questo il soggetto è vuoto qualora non si riversi continuamente nella Wirklichkeit e la Wirklichkeit si degrada a «positività» qualora non venga ravvivata dal consenso dei soggetti. Se non si è capaci di togliere alle istituzioni l’apparenza di esteriorità o di estraneità rispetto ai singoli, esse non vivono a lungo ed è giusto che vengano rovesciate. Anche la cultura, del resto, senza veramente essere fruita, diventa una «collezione di mummie»[101]. Per questo il consenso è necessario alle istituzioni,elospiritoè, inoltre, da intendersi sostanzialmente come epistrophe, ritorno dall’alienazione, presa di possesso di quanto è stato prodotto dagli uomini in modi relativamente inconsci, Itaca spirituale in cui ciascuno incontra finalmentesestessoper come è divenuto grazie alle istituzioni e alla civiltàincuisiètrovato a vivere e che ha contribuito, seppur in misura minima, a modificare. Vi è qui implicito il riconoscimento che è esplicito nella Filosofia della storia: nei suoi progetti e nelle sue azioni, l’uomo è mosso soprattutto dalla passione, che è «qualcosa di animalesco»[102], da opachi interessi i cui portatori perseguono istintivamente i loro scopi, senza ben conoscerli. Eppure, malgrado il fatto che il prodotto collettivo delle azioni di tutti e di ciascuno non sia immediatamente riconosciuto dal singolo anche come opera propria, esso si origina dal complicarsi delle intenzioni e dei comportamenti (consapevoli o, più spesso, inconsapevoli) degli individui. Ogni nostro atto entra nel circolo della società e della storia come quantità evanescente cheincideperòsultutto e che, una volta raggiunto cumulativamente un certogrado,sitrasforma inunrapportonuovo,in grado di creare e di distruggere determinate situazioni proporzionalmente alla suaforzad’urto:«Talora vediamo il più vasto corpo di un interesse generale procedere con maggior difficoltà e disgregarsi, lasciato in preda a un infinito complesso di piccoli rapporti;taloravediamo nascere il piccolo da un enorme spiegamento di forze, e l’enorme da ciò che appariva insignificante»[103].Mail nostro contributo non sempre si distingue perché le passioni e i progetti si elidono a vicenda e la razionalità nascepropriodaquesta elisione, dall’utilizzare le passioni contro le passioni, l’animalità contro l’animalità o gli elementi contro gli elementi, come accade quando si costruisce una casa: «tutti gli elementi debbono aiutarlo [l’uomo] nell’impresa. Eppure la casa è lì per proteggere gli uomini contro gli elementi […] In modo analogosisoddisfanole passioni: esse attuano se stesse e i loro fini secondo la loro finalità naturale, e fanno sorgere l’edificio della società umana, in cui hanno conferito al diritto e all’ordine il potere contro loro medesime»[104]. Ma le passioni non sono che un ingrediente, l’«ingrediente attivo», è vero; ma l’altro ingrediente è «il momento razionale»[105], quello in cui lo spirito ritorna in sé dall’alienazione e dall’animalesco e procede al riconoscimento del già fattoeallapreparazione del da farsi, in una continua oscillazione che è però una crescita esponenziale della realtà,unarricchimento continuo attraverso la reciproca conversione dei due ingredienti. Nessuno dei due, del resto, può esistere separatamente, perché la ragione costruisce con l’«animalesco» e questo, a sua volta, contiene già la ragione come sua causa finale, anche se la causa efficiente delle passioni èl’interesse. È bensì vero, sotto questo aspetto, che la storia umana è per Hegel un processo di alienazione cominciato da sempre, un «processo senza soggetto», oggettivamente impersonale[106].Macon l’aggiunta che, secondo Hegel, al di sopra della storia c’è lo «spirito assoluto», il ritornare in sé dall’alienazione dello spirito nello spirito oggettivo e nella storia, la mediazione del singoloconl’universale, ossia, in un linguaggio diverso, l’esistenza di meccanismi di riappropriazione e di comprensione del proprio agire e della propria sfera di vita in istituzioni transstoriche: nell’arte, nella religioneenellafilosofia (o scienza). In esse il soggetto,cheemergeda quella che Hegel aveva chiamato nella Fenomenologiadellospirito la «sostanza», si prende la rivincita e fruisce al livello più alto dei prodotti collettivi del genere umano, intuisce, sente o sa di appartenere a un tutto che non è soltanto processo senza soggetto, meramente oggettivo e alienato, ma anche progetto di riappropriazione del processo oggettivo, messo, appunto, in opera dall’energia della soggettività giunta all’universale.Chepoila soluzione sia inadeguata, in quanto non coglie alla radice le cause dell’opacità dell’agire umano o di queiconflittidiinteressi talmente antagonistici che la loro composizione resta un mistero per il singolo, è qualcosa che per ora non ci riguarda, così come non ci tocca ancora direttamente l’ipotesi che lo spazio dell’alienazione, la dialettica di un estrinsecarsiinconscioe di un recupero cosciente,corrispondaa una prassi storica o di classereale. Prima di rispondere a questi problemi, bisognerà ancora una volta spiegare la realtà dell’apparenza, domandarci perché Hegel si rappresenti il proprio tempo come una gigantomachia spirituale (ammettendo che questa sia l’immagine che ne ha), ricordandoquantoMarx sostiene nel Capitale, allorché spiega perché all’interno di una determinata società i rapporti fra uomini si presentino fenomenicamente come rapporti fra cose, o perché il «capitalista pratico» concepisca, senza alcuna malafede, lo scambio salariolavoro come un contratto equo, uno scambiodiequivalentie non riesca invece a scorgere in esso la dissimmetria del pluslavoro e dello sfruttamento, lo scambio ineguale[107]. Secondo i noti e ampiamente discussi passidelCapitale,anche la merce, al pari delle categorie hegeliane, contiene il segreto del nesso realtà/apparenza: essa è «una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici». Un tavolo, ad esempio, come valore d’uso non ha niente di incomprensibile, ma non«appenasipresenta come merce, il tavolo si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile.Nonsolo sta coi piedi per terra, ma, di fronte a tutte le altre merci, si mette a testaingiú,esgomitola dalla sua testa di legno dei grilli molto più mirabili che se cominciasse spontaneamente ballare»[108]. Ma a per capire l’essenza della merce non è sufficiente rimettere il tavolo coi piedi per terra, così come non basta camminareallamaniera di Diogene per confutare le aporie del movimento. La realtà dell’apparenza trova la suasoluzionesoloinun modello più ampio che salvi i fenomeni. In tal modo, il sistema copernicano, ad esempio, spiega meglio di quello tolemaico le «apparenze» delle stazioni,retrogradazioni ed elongazioni dei pianeti, e rende superflua la teoria degli epicicli e dei deferenti; del pari, il Capitale spiega l’«arcano della merce» o la coscienza del «capitalista pratico» non solo con un meccanico rovesciamento (come, fino a un certo punto, fece Aristarco di Samo per l’eliocentrismo), ma con un ritornare sui piedi, un legittimarsi dell’apparenza, attraverso i molteplici passaggi e le diverse Umkehrungen del sistema complessivo. In breve, comprendere l’apparenza è sottrarla al suo isolamento inserendone le ragioni in una cornice concettualepiùgrande. Anche interpretare Hegel significa, in questo quadro, rovesciarlo nella misura in cui il nostro tempo appreso in pensieri non è più il suo, comprenderlo all’interno di un orizzonte che spieghi anchelesueapparenze; ma con l’avvertenza di non considerarlo un «cane morto», proprio perchéspiegarelarealtà delle sue apparenze è il modo migliore per commisurare il nostro tempo appreso in pensieri con il suo tempo e con il suo pensiero, capire cosa ci tengaancoralegatialui per decifrare il senso di problemi ancora aperti che ci riportano apparentemente indietro. Per questo, come segno dei nostri tempi, si può osservare come la filosofia hegeliana, dopo essere stata a lungo vilipesa nell’ambitodelpensiero anglossassone del Novecento (soprattutto dai filosofi analitici), goda negli ultimi decenni di una attenzione e di un prestigio tale che – in particolare rispetto agli Stati Uniti – si parla ormai di una consolidata HegelRenaissance, i cui rappresentanti maggiori sono Stanley Rosen, CharlesTaylor,RobertB. Brandom, Terry Pinkard e Robert B. Pippin[109], i quali piegano comprensibilmente il pensiero hegeliano alle lorotradizioniculturali. Solo quando ci si appropria di quel passato che agisce ancora nel presente, ed è leibnizianamente gravido di futuro come una molla compressa, solo allora si entra nel corso della tradizione viva, del «fiume impetuosochetantopiù siingrossaquantopiùsi allontana dall’origine». Essocessacosìdiessere un indecifrabile «geroglifico» e alimenta in maniera non «positiva» la vita dei popoli e dei singoli: «La tradizione non è soltanto una massaia chesilimitaacustodire fedelmente quel che ha ricevuto e a conservarlo e a trasmetterlo immutato ai posteri […] La tradizione non è una statua immobile, ma viveerampollacomeun fiume impetuoso che tanto più s’ingrossa quanto più s’allontana dalla sua origine. Il contenuto di essa è costituito da ciò che il mondo spirituale ha prodotto; e lo spirito universale non riposa mai […] E ciò che in tal modo ogni generazione hafattonelcampodella scienza, della produzione spirituale, è un’eredità, cui ha contribuito con i suoi risparmi tutto il mondo anteriore, è un santuario,allecuipareti gli uomini d’ogni stirpe, grati e felici, hanno appeso ciò che li ha aiutatinellavita,ciòche essi hanno attinto alle profondità della natura e dello spirito. E quest’eredità è a un tempo un ricevere e far fruttarel’eredità.Questa plasma l’anima di ogni generazione seguente, ne forma la sostanza spirituale sotto forma d’abitudine, ne determinalemassime,i pregiudizi, la ricchezza; e nello stesso tempo il patrimonio ricevuto diventa a sua volta materiale disponibile, che viene trasformato dallo spirito. In guisa checiòchesièricevuto viene mutato, e la materiaelaboratagrazie appunto all’elaborazione s’arricchisce e al tempo stesso si conserva. Questa è precisamente la posizione e la funzionedell’etànostra, come di ogni altra: impadronirsi della scienza già esistente, assimilarla, e in tal modoappuntosvolgerla e portarla a grado più elevato. Nell’appropriarcela, noi ne facciamo qualche cosa di nostro in confronto a ciò ch’essa era precedentemente»[110]. La tradizione diventa forza viva, continuità creatricedell’esperienza delgenere,quantopiùè compenetrata e rinnovata dai singoli, quanto più essi sanno modificarla dall’interno, essere non migliori del proprio tempo, ma «il propriotemponelmodo migliore»[111]. Nel mobilitare tutto il passato comprendere per il presente, nell’intendere il presente non come epoca statica, ma come fronte che avanza in una compatta «falange corazzata», Hegel ha colto una nuova dimensione della storia moderna. L’area dei soggetti attivi aumenta nel mondo in proporzione all’estendersi della «libertà di tutti»: la storiahafinitodiessere gestita nell’interesse esclusivo dei Grandi dellaTerraperdivenire, in un processo sempre in corso, opera collettiva; lo scavare dellatalpaèorapiùche mai risultato dell’agire di tutti. E persino i cosiddetti «individui cosmico-storici» non sono per Hegel eroi alla Carlyle, ma funzionari della storia, interpreti e realizzatori di bisogni collettivi,cherestanoin sella allo «spirito del mondo» solo finché sonoingradoditrottare o galoppare al suo passo, finché rivelano aglialtriladirezionedei loro interessi oscuramente percepiti: «Essi attingono il loro fine e la loro missione non dal sistema tranquillo e ordinato, dal consacrato corso delle cose. La loro giustificazione non è nello stato di cose esistente; è un’altra sorgente quella a cui attingono. È lo spirito nascosto, che batte alle portedelpresente,cheè tuttora sotterraneo, che nonèancoraprogredito a esistenza attuale ma che vuole prorompervi; lo spirito per cui il mondo presente non è che un guscio, il quale contiene in sé un nocciolo diverso da quello che converrebbe al guscio […] Essi conoscono bensì e vogliono la loro opera, perché è giunto il suo tempo. Essa è ciò che già esiste nell’intimo. Loro compito era conoscere questo universale, cioè il grado necessario e supremo del loro mondo, proporselo come fine e mettere in esso la loro energia. Essi hanno attinto a se medesimi l’universale che hanno recato in atto […] In quanto l’attingono dall’intimo, da una fonte che prima non sussisteva ancora, sembra che essi lo traggano soltanto da loro stessi; e le nuove situazioni mondiali, le gesta che essi realizzano come loro appaiono creazioni, loro interesse e loro opera. Ma essi hanno il dirittodallaloro,perché sono i veggenti; essi sannoqualesialaverità del loro mondo e del loro tempo, quale sia il concetto, l’universale prossimoasorgere;egli altri, come si è detto, si riuniscono intorno alla loro bandiera, perché essi esprimono ciò di cui è giunta l’ora […] Lo stato del mondo non è ancora conosciuto; il fine è di produrlo. Questo è lo scopo degli uomini cosmico-storici, edessivitrovanolaloro soddisfazione»[112]. Sotto la veste di creazione «popolare», sulla scia di Herder, Hegel ha preso coscienzadelpoteredel collettivo nella «società moderna»: i veri protagonisti della storia non sono i singoli, ma i popoli. Gli individui eminenti, i «geni», sono soltanto le espressioni piùaltedelpopoloodel tempo, sue variabili dipendenti, ma nello stesso tempo suoi incrementi, fini della tradizione vivente che in essi giunge a compimento. Così è nella politica e nelle altre attività umane; cosìènell’arte:«L’opera d’artedellamitologiaha le sue radici nella tradizione vivente. Come le stirpi crescono nella progressiva liberazione della loro coscienza, così anch’essa cresce, si purifica e diventa matura. Tale opera d’arte è tanto un bene universale che un’opera di tutti. Ogni generazione la tramanda alla seguente abbellita oppure continua a lavorare per la liberazione della coscienza assoluta. Coloro che si chiamano geni hanno acquistato una qualche particolare abilità con cui trasformano in opera propria le forme del popolo, come altri trasformano altro. Ciò che essi producono non è una loro invenzione, ma l’invenzione di un intero popolo, ossia il ritrovamento di ciò che un popolo ha trovato nella propria essenza. Quel che appartiene all’artista in quanto singolo è la sua attività formale, la sua particolareabilitàintale tipodirappresentazione e a questa stessa egli è stato educato dalla abilità universale. Egli è simile a colui che si trova fra dei muratori che costruiscono un arco di pietra, la cui armatura è presente in modo invisibile come idea. Ognuno aggiunge la sua pietra. Lo stesso vale per l’artista. Gli capita casualmente di essere l’ultimo; in quanto pone la pietra, l’arcosostienesestesso. Vedendo che, poiché ha posto questa pietra, l’intero è diventato un arco, lo dice ed è ritenuto l’inventore dell’arco. Lo stesso succede fra gli operai che scavano alla ricerca di una sorgente: colui a cui tocca il compito di portarvial’ultimostrato di terra ha lavorato come gli altri, ma chi fa sgorgare l’acqua è lui»[113]. Allo stesso modo, anche la filosofia non deve essere ricerca di originalità a ogni costo, «idiosincrasia di alcune teste trascendentali», ma «patrimonio comune» (Gemeingut): il suo compito è di rendere «evidente,comunicabile»e accresciuto questo lascito collettivo, di elaborarlo scientificamente; infatti solo una «filosofia formata scientificamente già nel suostessoambitorende giustizia al pensare determinato e alle conoscenzefondate,eil suo contenuto, l’universale delle relazioni spirituali e naturali,conducedipersé immediatamente alle scienze positive, le quali mostrano a essa in forma concreta ulteriori compimenti e sviluppi, tanto che, inversamente, il loro studio si dimostra necessario per una profonda comprensione della stessa»[114]. filosofia Da ciò deriva l’intima storicità di tutte le manifestazioni dello spirito, sebbene, per la forma, si pongano al di sopra dell’immediata storiadelpresente.Esse rivelanoquantosiviene producendodapartedel genere umano in intuizioni, rappresentazioni e pensieri. Arte, religione efilosofiasonoquindiil linguaggio più pieno di comunicazione dell’intero: prendiamo in esse coscienza del Tutto, che si muove altrimenti inavvertito, lontano o al di fuori del nostro sguardo. Anche nella pittura, ad esempio, ricreiamo soggettivamente, «nell’elemento sensibile del colore e della luce», quel mondo storico che ci circonda e di cui generalmente non ci accorgiamo. Lo strappiamo all’immediatezza del noto e del già visto e lo riscopriamo all’interno delpiùvastoprocessodi produzione spirituale, riconoscendo in esso, anche come fruitori, la nostra partecipazione. Nellapitturaolandesesi manifesta così, ad esempio, la nuova attenzionechelospirito moderno dedica alla vitaterrena,quotidiana, e ai suoi bisogni, dopo aver raffigurato per secoli angeli, santi e Madonne: «In tal modo per es. la pittura olandese ha saputo trasmutare in mille e mille effetti le esterne, fuggevoliparvenzedella natura in quanto ricreate dall’uomo. Velluto, splendore di metalli, luce, cavalli, servi, vecchie, contadini che soffiano il fumo dalla pipa, il brillare del vino in bicchieri trasparenti, gente in giacche bisunte che giuoca con vecchie carte, questi e cento altrisoggettidicuinella vita quotidiana appena ci curiamo – giacché anche noi quando giochiamo a carte, beviamo e chiacchieriamo di questo o di quello, siamo pieni di tutt’altri interessi – ci sono posti dinanzi in questi quadri»[115]. Parimenti, al livello religioso, anche nel culto egizio degli animali si manifesta il momento storico in cui la soggettività umana vieneperlaprimavolta colta e rappresentata, ma sotto forma inconscia e naturale: «Se Dio non è conosciutocomespirito, ma come la potenza in genere, questa potenza è azione inconscia, qualche cosa di genericamente vivente: talepotenzainconsciasi esprime poi in una fıgurazione, dapprima nella forma animale. L’animale stesso è inconscio, conduce una vita rinchiusa in sé, oscuraeottusadifronte al libero arbitrio dell’uomo, cosicché può sembrare che abbia in sé questa potenza inconsciacheagiscenel tutto. In modo specialmente strano e caratteristico ci si presenta la figurazione percuisacerdotiescribi appaiono spesso nelle rappresentazioni plastiche e nelle pitture con maschere animali; altrettanto facevano gli imbalsamatori per le mummie. Quel raddoppiamento con una maschera esteriore, chenascondesottodisé un’altra forma, dà a vedere che la coscienza non è soltanto sprofondata nell’ottusa vitalitàanimale,bensìsi sa anche separata da essaeinciòsiriconosce un ulteriore significato»[116]. Nel culto degli animali gli egizi prendono coscienza del loro ambiente geografico, dell’«infinito brulicare della vita animale» lungo il Nilo[117] e si innalzanoaldisopradei culti solari o astrali, iniziando la scoperta dell’interiorità dal suo gradino più basso: «gli Egizi hanno intuito nel mondoanimalel’intimo e l’incomprensibile. Anche noi, contemplando la vita e il comportamento degli animali, ammiriamo sorpresi i loro istinti, la loro attività indirizzata a un fine, la loro irrequietezza,mobilitàe vivacità: essi sono infatti estremamente agili e abili per il raggiungimento dei loro scopi vitali, e nello stesso tempo muti e chiusi. Non si sa cosa sia celato in questi esseri,enonsipuòaver fiducia in loro. In un gatto nero, dagli occhi ardenti, ora strisciante ora balzante, si sentiva lapresenzadiunessere cattivo, una specie di spettro incompreso e chiuso in sé»[118]. La sfinge, metà figura umana,metàanimale,è l’enigma degli egiziani, il loro intendere l’uomo ancora come un ibrido, legato all’inconscia natura ferina. La sfinge viene uccisa da un greco, che rivela il suo enigmanell’uomo:«Una sfinge, l’immagine egiziana dell’enigma stesso, comparve in Tebe, e propose un enigma così concepito: “Che cosa è ciò che la mattina cammina su quattropiedi,amezzodì su due, e alla sera su tre?”. Il greco Edipo risolse l’enigma, e precipitò la sfinge dalla rupe, dicendo che era l’uomo.Questoègiusto: l’enigma degli Egizi è lo spirito, l’uomo, la consapevolezza della sua essenza peculiare. Ma questa antica soluzione di Edipo, che simanifestainciòcome coluichesa,siaccoppia in lui alla più enorme ignoranza circa se stessoecircaciòchefa. Il sorgere della chiarità spirituale nella vecchia reggia è ancora legata agli orrori nascenti dall’ignoranza. È il vecchio dominio patriarcale, cui il sapere è qualcosa di eterogeneo, e che ne è perciò dissolto. Questo sapere viene purificato solo da leggi politiche; nella sua immediatezza esso è pernicioso»[119]. Edipo ha quindi indovinato l’uomo dietro la sfinge, ma si tratta di un uomo ancora immerso nell’ignoranza, nell’inconscio della sostanza. Per risolvere più a fondo l’enigma bisogna trasformarlo in mistero, indovinare Dio dietrol’uomo,attendere la notte del Getsemani «in cui la sostanza fu tradita e si rese soggetto». Per concepire l’uomo come spirito, come attività, «Dio presente»[120], essere cheattraversoil«dolore infinito» ha soggiogato la sua animalità e la natura, si deve trovare unasoluzionepiùaltadi quella dei greci, che hanno sviluppato il pensierofinoagiungere all’idea, ma non lo hanno colto come spirito[121]: «Cristo, rappresentato uomo, è un enigma completamente diverso da quello egizio. Questo è il corpo animale dal qualescaturisceunviso umano – ma là è un corpo umano dal quale scaturisceilDio»[122]. 8.Lospiritocome revoca dell’alienazione Il fanciullo lancia delle pietre nel fiume ed ammira i cerchi che si disegnano nell’acqua come opera in cui acquista l’intuizione di ciò che èsuo. Hegel, Estetica[123]. Lo spirito si perpetua nellatradizionevivente, nella storia che si rinnova, in cui ogni generazione consegna alla successiva il suo lascito perché lo faccia «fruttare». Così, nella prolusione di Heidelberg, del 28 ottobre 1816, Hegel espone con accenni commossi questa trasmissione della propria esperienza filosofica: «Sennonché anche a noi l’angustia dei tempi e l’interessamento destato dai grandi eventi mondiali […] hannoimpeditodipoter attendere a fondo e con serietà alla filosofia, e hanno allontanato da questa l’attenzione generale. È avvenuto pertanto che mentre le tempre meglio dotate si volgevano verso la vita pratica, in filosofia alzavano la voce e si facevano largo la fiacchezza e la fatuità […] Richiamare la filosofia dal deserto in cui essa ha trovato rifugio: ecco il compito cui dobbiamo ritenerci chiamati dal profondo genio dell’età. Salutiamo l’alba di un’etàpiùbella,incuilo spirito finora attratto verso l’esterno potrà ripiegarsi su se stesso e rientrare in sé conquistando spazio al suo proprio regno […] Noi vecchi, che diventammo uomini fra le tempeste dell’età nostra, possiamo considerare ben felici voi che vivete in un tempo in cui potete dedicare senza preoccupazionilavostra gioventú alla verità e alla scienza […] Prima condizione della filosofia è possedere il coraggio della verità, la fede nella potenza dello spirito. L’uomo che è spirito, può e deve ritenersi degno delle cose più elevate, deve avere la più completa fiducia nella grandezza e potenza del suo spirito; con questa fiducia niente vi sarà di così refrattario e resistente da non svelare il suo intimo. L’essenza dell’universo, in un primo tempo celata e chiusa, non ha forza da resistere al coraggio che vuol conoscerla: deve schiuderglisi dinanzi agliocchiemostrarglie fargli godere la sua ricchezza profondità»[124]. e Comenell’artel’uomo intuisce il cammino dello spirito e nella religionelorappresenta, allo stesso modo nella filosofia lo pensa, con un massimo profondità, di articolazione e di fluiditàrispettoalledue formeprecedenti.Perlo spirito umano – diversamente dal succedersi delle ere geologiche o dal ciclo dellespecieanimali–le rivoluzioni non sono finite, le stratifcazioni dellacoscienzavengono continuamente sconvolte dallo «spirito nascosto, che batte alle porte del presente». Proprio a causa di questo sviluppo incessante è necessaria l’interiorizzazione, propria dell’Erinnerung, che universalizza e conserva le tappe del mutamento. Nell’uomo, in misura eminente, l’evoluzione è «involuzione», ritorno a sé;schellinghianamente Odissea dopo l’Iliade. Ma per Hegel ciò non significa che la verità abiti nell’uomo interiore; al contrario, essa abita nel tutto di cuiilsingoloèparteedi cui deve prender coscienza in un continuo alienarsi e revocare l’alienazione. Lo spirito, opera di tutti e di ciascuno[125], pervade l’intera realtà, ma è presente già nell’individuo, e questo ne rende possibile l’assimilazione: «Per esempio, considerando ciò che un libro è, nella sua essenza, io posso astrarredallarilegatura, dallacarta,daicaratteri, dalle parole, dalle migliaia di lettere che esso contiene; ma il semplice contenuto generale,comeessenza, non è esterno al libro. Parimentilaleggenonè fuori dall’individuo, ma costituisce il vero modo d’essere dell’individuo. Pertanto l’essenza del mio spirito risiede nel mio spirito stesso, non fuori; è il mio essere essenziale, la mia sostanza medesima, altrimenti io sarei privo di essenza. Questa essenza rappresenta, percosìdire,lasostanza infiammabile, che può venire accesa e illuminata dalla sostanza universale, in quanto tale, in quanto oggettiva; e solo in quanto nell’uomo esiste questo fosforo, è possibile il capire, sono possibili la fiamma e la luce»[126]. Da questo puntodivista,lospirito non è «una specie di astrazione della natura umana»[127], ma una vivente presenza in ciascuno, che si trasforma in cultura, tradizione, costume, lingua, istituzioni, storia, e si riassorbe in arte, religione, filosofia, scienza. Lo spirito è pensiero, sentimento, fantasia, sensibilità, azione, creazione collettiva che plasma i singoliedèplasmatoda essi, che permea persino il corpo umano, somatizzandosi: «All’espressione umana appartiene, per esempio, il portamento eretto in genere, la formazione in ispecie della mano come l’istrumento assoluto, della bocca, riso, pianto ecc., e il tono spirituale diffusosultutto,ilquale manifesta immediatamente il corpo come l’aspetto esterno di una natura più alta […] Per l’animale, la forma umana è il modo più alto in cui lo spirito gli appare. Ma, per lo spirito, la forma è solo la sua prima apparizione; e la lingua èlasuaespressionepiù completa»[128].Inquesta «somatizzazione» (Verleiblichung),lospirito si manifesta soprattutto nel viso – «sede vera e propria dello spirituale» –,nellaposizioneeretta, prodotto non solo della natura, ma frutto della «energia della volontà» umana (mentre «l’orang-utan riesce a stare diritto solo appoggiandosi a un bastone»),enellamano, «strumento degli strumenti»[129]. Perciò «la figura umana non è, come quella animale, la corporeità solo dell’anima, bensì lo è dello spirito. Spirito e anima, in effetti, vanno essenzialmente distinti. Infatti l’anima è soltanto questo ideale semplice essere per sé del corporeo come corporeo, mentre lo spirito è l’essere per sé della vita cosciente e autocosciente, con tutti i sentimenti, le rappresentazioni e i fini di questa esistenza cosciente»[130]. Ogni atteggiamento umano, esteriore o interiore, è compenetrato dallo spirito: come esiste nel «pensiero criminale di un malfattore», lo spirito si rispecchia anche nell’accidentalità e nella banalità delle espressioni quotidiane: «Così, per es. osservando nei gesti e nel sembiante le persone che si incontranoperlestrade, soprattuttonellepiccole città, si vede che molti, anzi la maggior parte, sono presi solo da se stessi, dai loro ornamenti e vestiti, in generale dalla loro particolarità soggettiva oppure dagli altri passanti e dalle loro eventuali eccentricità e bizzarrie»[131]. Lo spirito diun’epocapenetracosì dovunque, anche nelle manifestazioni esteriori opiùfrivoledellamoda, che corrispondono però a bisogni reali, sono espressione di essi e della loro mutevolezza: «Le nostre maniche strette e i nostri pantaloni seguono i contorni delle figure e, rendendo visibile l’intera forma delle membra, sono di minimoimpedimentoal camminare e al gestire. Le lunghe ed ampie vestieicalzoniasbuffo degliorientalisarebbero invece del tutto incompatibili con il nostromododivita,così vivace e così pieno di occupazioni, ma si adattano solo a gente che, come i Turchi, se ne sta seduta tutto il giorno con le gambe incrociate o che cammina lentamente e con estrema gravità […] Ciononostante il moderno modo di vestire presenta a sua volta numerose difficoltà,perilfattoche èsoggettoallamodaedè comunque mutevole. Infatti la razionalità della moda consiste nel fatto che essa esercita sul gusto dell’epoca il diritto di rinnovarlo continuamente. Un abito passa ben presto dimodanelsuotaglio,e perpiacereènecessario appunto che sia alla moda. Ma se essa è passata, cessa anche l’assuefazione e quel che pochi anni prima ancora piaceva, diviene subitoridicolo»[132]. Lo spirito che si manifesta nel gestire e nel vestire è lo stesso che pervade ogni aspetto della realtà: «Qui bisogna ribadire chevièsolounospirito, solo un principio, il quale si esprime nello Statopolitico,cosìcome si manifesta nella religione, nell’arte, nell’eticità, nella socialità,nelcommercio e nell’industria»[133]. Da questa impostazione di fondo deriva: a) che la conoscenza dello spirito non si può attingere soltanto dal «pozzo notturno»dell’io,madal «giorno dell’effettualità»;sideve cioè esplorare ogni aspetto della realtà spirituale, che è espressivo del tutto perché già lo contiene; b) che la filosofia deve abbandonare la solitudine del cogito e invadere tutte le manifestazioni della realtà, per poter procedere poi, rientrando in sé, a ricostruire i tratti fondamentalidell’intero inun«sistema»;c)cheil sistema è l’unico modo adeguatodicogliereuna totalità già esistente nellarealtàstessa. Quando si parla di spirito siamo abituati a pensare a un fantasma o a qualcosa immateriale, di di evanescente, che possiede una sedicente nobiltà nei confronti della materia. Ma questo non è affatto il senso hegeliano, che indica piuttosto la totalità vivente nell’unioneindissolubile con le parti, come nella parabola evangelica della vite e dei tralci o nell’ideadiespritcheha Montesquieu nell’Esprit des lois (la legislazione animata da un tutto vivente, come avviene per il corpo grazie alla circolazione del sangue, che prefigura a suo modounmodelloanche per l’idea di «sistema»), oppure, ancora, nel Volksgeist herderiano[134]. Lo spirito è, semmai, il contesto in movimento, contrapposto alla lettera, al limitato, al morto. Perciò lo spirito si distingue dalla natura, esteriorità reciproca delle parti, ed è la «verità» della ragione[135], in quanto questa è ritorno dalla dispersione e dalle scissioni dell’intelletto. Alterità, conflitto, resistenza, alienazione costituiscono le matrici dello spirito che si rafforzaquantopiùduri sono gli ostacoli da superare per ritornare in sé. Lo spirito è la rinnovata vittoria dell’unità sulla dispersione, l’affermazione della continuità della vita attraversoladistruzione delle parti. Guardando ‘in negativo’ il concetto hegeliano di spirito, vi potremmo riconoscere lo sforzo immane di dominare la disgregazione reale del suo mondo e, contemporaneamente, l’idea di un soggetto collettivo, che si alimenta dei singoli individui,maguidaesso stesso la danza e compone gli avvenimenti; potremmo vederci la proiezione ingigantitadiunarealtà che effettivamente si autonomizza, un’astrazionechevivee comanda su «uomini in carne ed ossa» di una determinata forma di società e che Marx ha descritto. Ma, insieme, nel suo aspetto sovrumanoodisumano, l’idea hegeliana di spiritocontieneancheil tendereaciòchenonsi è realizzato ancora, all’umanizzazione del mondo; nella sua crescita cieca c’è anche il segno della redenzione, del ritorno, della nostalgia di una realtà conciliata. Lo statodelmondo,infatti, «non è ancora conosciuto» e lo spirito è divenire, progresso che «si affatica intorno agli oggetti solo finché restainessiqualcosadi segreto, di non rivelato»[136]. Lo spirito non svolge in proprio alcunlavoroconcreto:la sua forza consiste invece nell’analisi, nell’astrazione, nella scomposizione del concreto in molti lati astratti[137] e poi nel riassorbimento nell’assimilazione e di quanto ha scomposto. Lospiritohegelianonon è affatto negazione dell’esistenza reale del mondo, come banalmente si è creduto, ma negazione della sua irresistibilità, refrattarietà e chiusura di fronte al «coraggio» delconoscere.L’oscurità del reale, il lavoro sotterraneo della talpa potrebbero scomparire solo se l’«essenza dell’universo» potesse svelarsicompletamente. Ma questo, per Hegel, non è possibile, perché eliminata la resistenza, si elimina anche lo spirito, che deve perciò procedere con il doppio regime dell’inconscio e del suo recupero cosciente, del progetto cosciente e del suo trasformarsiinconscioe cosìvia. Nello spirito assoluto l’opacità del reale e la devastazionedelmondo vengono drammaticamente conciliati in un sistema carico di tensioni, teso adaddomesticareillato animale dell’epoca, con la certezza di riuscirvi, malgrado la «tragedia dell’etico». Diversa e illuminante per contrasto è la posizione deiduegrandiavversari di Hegel, Schopenhauer e del tardo Schelling, in cui la crisi storica e le lacerazioni dell’epoca non sono soggiogate al «coraggio» dello spirito, non vengono risolte dalla luce apollinea del pensiero,marimangono potenze ctonie, inquietanti[138], divengono causa della disperazione che si manifesta nelle parole di «Veramente Schelling: egli, l’uomo, mi spinge alla suprema domanda, piena di disperazione: perché in generale c’è qualcosa? Perché non è il nulla?»[139]. La vita allora acquista così un senso oscuro e sotterraneo e la talpa, per così dire, assume il comando e pone la civetta della filosofia al suo servizio. L’uomo non è più strumento di uno spirito proiettato in avanti, ma di una insondabile Volontà di vivere, come insegnava Schopenhauer, l’ammiratore di Bichat, inpassichemeritanodi essere meditati come potentechiavedilettura del lato oscuro dell’epoca: «È davvero incredibilevedereinche modo insignificante e privodisenso,guardata da fuori, scorra la vita della stragrande maggioranza degli uomini. È un fiacco struggersi e torturarsi, un barcollare come in sogno attraverso le quattro età della vita fino alla morte, accompagnati da una serie di pensieri banali. Sono come orologi che vengono caricati e camminano senza sapere perché; e ogni voltachevienegenerato e nasce un uomo, l’orologio della vita umanavienecaricatodi nuovo, per ripetere ancora una volta, frase per frase e battuta per battuta, con variazioni minime, la sua musica, suonata e risuonata già innumerevoli volte […] Se poi si volessero mettere sotto gli occhi di ognuno gli orribili dolori e tormenti, a cui la vita di tutti è costantemente esposta, si sarebbe colti da raccapriccio; e se si volesse condurre il più impenitente ottimista per gli ospedali, i lazzaretti, le camere di tortura e le stalle degli schiavi, sui campi di battaglia e nei tribunali, e aprirgli poi tutti i tenebrosi alloggi della miseria, dove essa si rincantuccia per sfuggire agli sguardi della fredda curiosità, e fargli gettare uno sguardo a conclusione nellatorredellafamedi Ugolino, anch’egli finirebbe col capire di che specie sia questo meilleur des mondes possibles. Da dov’altro mai ha preso Dante la materia per il suo inferno se non da questo nostro mondo reale? E tuttavia è venuto fuori un inferno in piena regola»[140]. Il deperimento oggettivo dell’individualità e il condizionamento economico vengono qui rappresentati in squarci indicativi della vita quotidiana: «Il desiderio è, per sua natura, dolore; il conseguimento genera rapidamente sazietà: la meta era solo apparente; il possesso toglie l’attrattiva; sotto una nuova forma si ripresentaildesiderio,il bisogno; dove no, segue la desolazione, il vuoto, la noia, contro cui la lotta è altrettanto tormentosa che contro la necessità […] Ma alla parte di gran lunga maggiore degli uomini i puri godimenti intellettuali non sono accessibili; della gioia che c’è nel puro conoscere, sono quasi deltuttoincapaci[…]Le ingenue manifestazioni di questo modo di essere si possono cogliere da piccolezze e fatti quotidiani; così ad esempio scrivono il loro nome sui monumenti chevisitano,perreagire in tal modo, per agire sul monumento, visto cheessononhaagitosu di loro. Inoltre, non sanno facilmente limitarsi a contemplare un animale esotico e raro, ma devono provocarlo, stuzzicarlo, giocare con esso, solo per sentire azione e reazione»[141]. Il presupposto del pensierohegelianosullo spirito è invece la possibilitàditradurrela realtàinragione,dinon lasciare in linea di principio, niente di inaccessibile al «coraggio» dello spirito. Ciò è possibile all’uomo perchélarealtànaturale da cui proviene e il mondo storico che egli ha creato non sono l’assoluto altro: c’è l’ostacolo, ma c’è anche la trasparenza conquistata, l’assimilazione.O,come dice Weil: «L’uomo può parlare di ciò che è perché ne fa parte: ne rappresenta il linguaggio. Ma la manifestazione non si manifesta in un discorso unico. L’uomo nonèpurospirito,sopra o fuori della natura. Parla perché agisce e agisce perché parla. Agisce e pensa insomma perché dispone di una piccola parola: no. L’uomo è nella natura. Ma non è naturacomeilminerale ol’animale:èscontento, insoddisfatto di ciò che è, e nel suo discorso parladiciòchenonè,di ciò che egli vuole introdurre nell’essere»[142].InHegel non è stata ancora oscurata l’idea di progresso, la sicurezza di poter prefigurare il futuro come un’avanzatadelgigante. Il movimento dello spirito non ha in lui un motoreisolato;ètuttala realtà che si muove insieme, anche se a passipiùomenoveloci. In questo senso «non si può dire che la storia politica sia la causa dellafilosofia,perchéun ramo non è la causa dell’albero, ma entrambe hanno una radice comune, lo spiritodell’epoca,cioèil determinato grado di formazione dello spirito di un’epoca, che ha la causa prossima nel grado precedente, ma, in generale, in una forma dell’idea. Disegnare questa unità, rappresentare tutta questa pianta, concepirla come procedente da una sola radice, è un oggetto dellastoriafilosoficadel mondo»[143]. Se, dunque, lo spirito ha in Hegel molti rami paralleli e una sola radice nell’epoca, non c’èevidentementealcun modo di stabilire un settore della realtà «determinanteinultima istanza», non c’è – in termini marxisti – alcuna distinzione fra struttura e soprastruttura. Lo spirito, nel suo aspetto «olistico», resta una spiegazione debole, indeterminata, una visualizzazione, se si vuole, sfuocata della realtà,chenoncogliein maniera sufficientemente chiara il luogo da cui si irradia il mutamento e la complessa articolazione scientifica che lo rispecchia. D’altro canto, Hegel sapeva molto bene che la società civile, al proprio livello,èunasorgentedi contraddizioni irrisolte, maadifferenzadiMarx, pensava che questi antagonismi non dovessero essere cancellati bensì strumentalizzati, inseriti in un processo teleologico e che esistessero ancora gli strumenti ‘soprastrutturali’ per mitigarnelavirulenza. È tuttavia completamente errato credere che in Hegel sia la ‘soprastruttura’ dello spirito trainare assoluto a la realtà: l’«elementoattivo»sono pur sempre le passioni, quegli stessi interessi che agiscono selvaggiamente nella società civile e che poi vengono utilizzati come materiale da costruzione nelle sfere superiori. Arte, religione, filosofia sono modalità di prendere coscienza dello spirito, di quel regno che è «ciò che vien prodotto dall’uomo» come seconda natura, per rendere il «mondo conforme al concetto» dello spirito stesso[144]; sono forme mobili che accolgonoeorganizzano le contraddizioni (sorgentidalbasso,dagli stratiincuil’animalitàe la passione sono maggiorielarazionalità esplicita minore) per trovar loro una soluzionenelpresentee nel futuro. Arte, religione, filosofia sono, per così dire, terminali delle contraddizioni, meccanismi di autoregolazione dell’insieme o, con immagini hegeliane riferite alla «scandagli» filosofia, del razionale o «stella polare»[145]. È nel particolare impasto di passioneediragione,di finalità inconscia e di coscienza che si deve cercare il senso del discorso hegeliano sullo spirito. Esso adombra inoltrel’unificazionedel genere umano, al di sopra di ogni divisione statale e di ogni conflitto storico, la percezione che il discorso umano abbraccia ormai l’intero pianeta, con il sottofondo che l’Europa e i suoi Annexa (i continenti extraeuropei ormai abitati prevalentemente da europei)[146] sono destinati a esportare la «ragione» nel mondo, a diffondervi, per usare il linguaggio di Marx – in questocasononlontano dalle affermazioni di Hegel, specie quelle relativeaicorsiberlinesi difilosofiadeldiritto[147] – la missione «civilizzatrice del capitale»[148]. Infatti, a differenza del mondo antico e, soprattutto, di quelloromano,incui«è fine dello Stato che gli individui, nella loro vita etica, vengano sacrificati ad esso»[149], nel mondo moderno la politica non soddisfa più l’uomo, l’organizzazione dello Statonongliapparepiù come sua essenza totale. Egli cerca nello spirito assoluto «una garanzia e sanzione più alta […] la regione di una verità più alta e sostanziale, in cui tutte le opposizioni e contraddizionidelfinito possano trovare la loro ultima soluzione, e la libertà il suo pieno soddisfacimento»[150]. Sono anche le carenze dello«Statomoderno»e i conflitti della storia, che non si istituzionalizzano in forme sovrastatali, a spingere verso il «pieno soddisfacimento» dello spirito assoluto. La «ragione» che si trova nello Stato non è sufficiente a garantire l’appagamento dello spirito, perché dallo Stato lo spirito stesso non ritorna in sé del tuttosoddisfatto. Anche la storia delle comunità umane continua a essere dominata da forze sconosciute:«Gliscontri tra le innumerevoli volontàeattivitàsingole creano sul terreno storico una situazione che è assolutamente analoga a quella che regna nella natura incosciente. Gli scopi delle azioni sono voluti, ma i risultati che succedono effettivamente alle azioni non sono voluti oppure, se anche sembrano a tutta prima corrisponderealloscopo voluto, in conclusione hanno delle conseguenze del tutto diversedaquellevolute. Gli avvenimenti storici sembrano dunque, nel loro complesso, dominati essi pure dal caso. Ma laddove, alla superficie,regnailcaso, ivi il caso stesso è retto sempre da intime leggi nascoste,enonsitratta che di scoprire queste leggi»[151]. Così Engels, in un testo di taglio molto hegeliano. Ma come è possibile conoscere e specialmente eliminare le cause di questa opacità e inadeguatezza dei fini singoli al fine generale, sottrarre allo spirito e alla ragione collettiva la sua «astuzia», che si beffa delle azioni individuali? Sembra ora chiaro che lo «spirito» assoluto è il contrappeso della spontaneità inconscia delle passioni e che questo spettro non potrà essere fugato se non quando, e nella misura in cui, saranno diventati trasparenti i rapporti fra gli uomini, sarà‘bonificato’l’agiree il pensare inconscio attraverso forme di società in cui si raggiunga il «pieno soddisfacimento». Finchéquestamètanon sarà realmente prefigurata e conquistata in un lungo processo, finché la vita individuale e sociale non si svilupperà fuori, nondagliantagonismie dallecontraddizioni,ma dagli antagonismi e dalle contraddizioni cieche, la civetta della filosofia non potrà veramente scomparire «dallanostrasera»[152],il suo sguardo notturno saràadeguatoascrutare l’oscurità effettiva del mondo.Finoadalloralo «spirito assoluto» corrisponderà a un bisogno reale, a un surrogatodiunasocietà che non esiste, ma anche alla nostalgia, sempre tenuta viva nell’assenza di una «conciliazione» esistente,diunritornoa sé dalla contraddizione, cheèpoiilgodimentoe la soddisfazione[153] e, contemporaneamente, lavera«mediazione»fra individualeeuniversale. Fino ad allora lo spirito hegeliano sarà prevalenza dell’universale resosi autonomo ed estraneato, proiezione di un potere sociale collettivo che non ha ancora raggiunto la comprensione e il controllo su se stesso e che appare perciò come padrone degli uomini, ed essi come suoi servi o strumenti inconsci (almeno nella loro maggioranza). Hegel non è così «spiritualista» in senso deteriore da non sapere che è una «scissione» reale nella «vita degli uomini» a spingerli verso forme di compensazione religiosa o filosofica, né ignora che la conciliazione deve avvenire nella realtà effettuale, nella sfera politica e storica e non solo nella rappresentazione e nel pensiero: «Questo è il fine della storia del mondo: che lo spirito si plasmiinunanatura,in un mondo che gli sia adeguato, così che il soggetto trovi il suo concetto di spirito in questasecondanatura,in questa realtà effettuale prodotta mediante il concetto dello spirito, e abbia in questa oggettività la coscienza della sua libertà e razionalità soggettiva»[154]. E neppure nega, in linea di principio, che le trasformazioni debbano avvenire in forma rivoluzionaria – qualora il positivo non si possa rovesciare che con la violenza –, giacché, abbiamo visto, i cataclismi della Terra sono finiti, ma non quellidellospiritoverso ilraggiungimentodiuna forma a esso più adeguata. Ciò che a Hegelancorasfugge,ciò che in parte ci sfugge ancora, è il progetto articolato, il piano storicopergiungerealla realizzazione di questa «seconda natura» che non sia cieca come la prima[155]. Ciò che ancora gli sfugge, perchéèaldilàdelsuo orizzonte storico, e che giustifica l’apparenza di una chiusura della storia, è la concreta individuazione degli ostacoli da rimuovere perché sia possibile un mutamentoreale,chesi trasmetta poi sullo «spirito assoluto». Ma proprio perché questo processo storico è «der lange Verlauf»[156] – presuppone cioè un lungocammino–,anche la filosofia hegeliana continua con esso ad avercorso. [1]Schelling,Einleitung alle Ideen zu einer Philosophie der Natur,inWerke,acuradiM. Schröter, cit., vol. I, p. 669 (trad. it. di G. Preti, Introduzione alle Idee per una filosofia della natura, in Schelling, L’empirismo filosoficoealtriscritti,Firenze, 1967,p.9). [2] Cfr. Hegel, Wissenschaft derLogik,cit.,vol.I,pp.73-74 (trad. it. cit., vol. I, p. 78): «cominciamento della scienza, compiuto da Parmenide, il quale chiarificò ed elevò il suo rappresentarsi (epperò anche il rappresentarsi di tutti i tempi che verranno poi) fino al puro pensiero, all’essere come tale, che creò l’elemento della scienza. Quello che è il primo della scienza si dové dimostrare storicamente come il primo». Ci si è spesso soffermati sulla cosidetta prima «triade» di concetti esposta nella Scienza della logica (essere, nulla, divenire) per affermare che le categorie utilizzate da Hegel si sviluppano – secondo uno schema diffusissimo ma falso, anche perché Hegel nonsièmaiservitodiquesti termini – al ritmo di «tesi», «antitesi», «sintesi». In realtà, il «superamento» (Aufhebung) degli opposti in conflitto avviene nel senso del tollere latino, in particolare dell’espressione Ecce agnus qui tollit peccata mundi, che «toglie» i peccati nel senso che ne toglie il peso, senza, però, dimenticare ciò che è accaduto, il passato. La presunta «sintesi» consiste nel non dimenticare o cancellare le opposizioni di partenza, che servono astrattamente a pensare il concetto che ne risulta, nel passare dalla «dialettica» alla«speculazione».Nelcaso della cosiddetta prima triade, il «divenire» è pensabile in quanto categoria che, nello stesso tempo, include e cancella l’«essere» e il «nulla». Lo sviluppo delle successive categorie, fino alla conclusione della Scienza della logica, appare come un auto-movimento, un loro spontaneo dispiegarsi in cui il pensiero soggettivo fa da spettatore, cfr. sopra, pp. 147-148. [3] Hegel, Rede zum Antritt des philosophischen Lehramtes an der Universität Berlin, cit., p.6. [4] È il tema della crainte affrontato da Montesquieu, a proposito della schiavitù nell’Esprit des lois (cfr. trad. it. di S. Cotta, Lo spirito delle leggi, Torino, 1952, vol. I, pp. 403 ss.). Sul dispotismo cinese e il dominio della crainte in Montesquieu, cfr. E. Carcassonne, La crainte dans l’‘Esprit des lois’, in «Revue d’histoire littéraire de France», XXXI (avril-june 1924), pp. 193 ss. Cfr. anche P. Jameson, Montesquieu et l’esclavage: étude sur les origines de l’opinion antiesclavagiste en France au XVIIIe siècle, Paris, 1911, pp. 306 ss.; V. Goldschmidt, État de nature et pacte de soumission chez Hegel, in «Revue philosophique de la France et de l’Étranger», LXXXIX (1964), pp. 45 ss.; S. Landucci, Note sulla «Fenomenologia dello spirito», CapitoloIVA,inAA.VV.,Studi in memoria di Carlo Ascheri, Urbino, 1970, pp. 139-148; A. Grosrichard, Structure du Sérail.Lafictiondudespotisme asiatique dans l’Occident classique, Paris, 1979, pp. 34 ss., 49 ss. Sulla concezione hegeliana dell’Oriente e del dispotismo, cfr. E. Schulin, Die weltgeschichtliche ErfassungdesOrientsbeiHegel und Ranke, Göttingen, 1958; D.-U.Song,DieBedeutungder asiatischen Welt bei Hegel, Marx und Max Weber, Diss., Frankfurt a.M., 1972, pp. 2563; M. Hunlin, Hegel et l’Orient, suivi de la traduction annotée d’un essay de Hegel sur la Bhagvad-Gîtâ, Paris, 1979. [5] Prov., 9,10. Cfr. Hegel, Vorlesungen über die GeschichtederPhilosophie,cit., vol. XIII, p. 113 (trad. it. cit., vol.I,p.113). [6] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIII, pp. 113-114 (trad.it.cit.,vol.I,p.113). [7]Ibid.,p.116(trad.it.cit., vol.I,p.116). [8] Ibid. (trad. it. cit., vol. I, pp.115-116). [9] Cfr. Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit.,pp.242-260(trad.it.cit., vol.II,pp.13-36). [10] Cfr. Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIII, p. 282 (trad. it. cit., vol. I, p. 287). [11] Cfr. Diogene Laerzio, VI, 39; Sesto Empirico Pyrrh. Hyp., § 66. Su Diogene il Cinico che passeggia per dimostrare l’esistenza del moto, cfr. Spinoza, Principi dellafilosofiadiCartesio, trad. it. di F. Mignini, in Opere, a cura di F. Mignini, Milano, 2007, p. 298. Nella prima edizione delle Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, a cura di K.L. Michelet, in Werke, cit., vol. XIII, Berlin, 1833, p. 314, l’aneddoto continuava così: «Quando un discepolo si dichiarò soddisfatto di tale confutazione, Diogene prese a picchiarlo, perché, se il maestro aveva discusso con argomenti, egli doveva far valere anche contro di lui una confutazione motivata. Non si deve dunque star paghi della certezza sensibile, ma bisogna capire». [12] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.192(trad. it. cit., vol. I, pp. 211-212). Cfr. ibid., vol. II, p. 493 (trad. it.cit.,vol.II,p.944). [13] Per la coscienza comune la scienza è dapprima una violenza, cfr. piùavanti,pp.195ss. [14] Goethe, Maximen und Reflexionen, in Gedenkausgabe der Werke, Briefe und Gespräche, a cura di E. Beutler,Zürich,1949,vol.IX, acuradiP.Stöcklein,p.505. [15] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§3A(trad.it. cit.,pp.4-5). [16] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 19 Z. Interessante il commento di Feuerbachaquestaesigenza del pensiero posta da Hegel ai suoi contemporanei: «L’arte era l’être suprême. Schiller pose l’educazione estetica come la vera educazione. In connessione a questo periodo, è da riconoscereilsignificatoche Schelling ne dà nella filosofia dell’arte e la facile entratura, applauso e gloria che Schelling così presto trovò nello spirito dei giovani. Non c’è da meravigliarsi se, predominandoilsentimento estetico, l’intuizione, l’interesse per il pensiero, il senso per il pensare serio retrocedettero. Hegel entrò dunque in assoluto contrasto con il suo tempo ponendo l’imperativo categorico: pensa! solo nel pensiero la verità si trova nella sua vera figura.Larichiestadipensare era per la gente un vero Memento Mori. Essi si spaventarono e inorridirono davantiaessocomesefosse l’Uomo Nero (der Sensenmann).Persinooranon si sono ancora rimessi, il concetto aleggia pur sempre come uno scheletro dinanzi alla loro fantasia» (Feuerbach, Vorlesungen über die Geschichte der neueren Philosophie, edite da C. Ascheri e E. Thies, Darmstadt, 1974, p. 148; si tratta delle lezioni di Erlangen del 1835/1836, scoperte da Carlo Ascheri e pubblicate dopo la sua scomparsa). [17] D. Tiedemann, Geist der spekulativen Philosophie, Marburg,1791-1797,vol.I,p. 362. [18]Intedesco‘buonsenso’ suona ‘sano intelletto umano’ (gesunder Menschenverstand). [19]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie (1840), cit., vol. XIV, pp. 3334(trad.it.cit.,vol.II,pp.3233). [20] Hegel an Schelling, 30 agosto 1795, in Briefe, cit., vol. I, p. 31 (trad. it. cit., vol. II,p.225). [21]CitatodaLaplacecome esergo per il secondo libro dell’Exposition du système du monde,Paris,1797.Iltestodi Laplace (che Hegel conosce assai bene, cfr. Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 270 Z e GrundlinienderPhilosophiedes Rechts, cit., § 270 A, trad. it. cit.,p.233n.)toccainquesto punto il tema dei moti apparenti nell’astronomia: «Trascinati da un movimento comune a tutto ciò che ci circonda, noi assomigliamo a un navigante che i venti trasportano sul mare con il suo battello. Egli si crede immobile, e la riva, le montagne, tutti gli oggetti fuori dal battello gli sembrano muoversi. Ma confrontando l’estensione della costa e delle pianure, l’altezzadellemontagnealla piccolezza del suo battello, egli riconosce che il loro movimento non è che un’apparenza prodotta dal suo movimento reale. I numerosi astri sparsi nello spazio celeste sono nei nostri riguardi ciò che la costaelemontagnesonoin rapporto al navigante, e gli stessi motivi per cui egli è sicuro della realtà del suo movimento ci provano quello della Terra» (P.S. Laplace,Expositiondusystème du monde, cit., trad. it. di O. Pesenti Cambusano, Esposizione del sistema del mondo, in Opere, Torino, 1967,p.471). [22] Hegel an Van Ghert, 18 dicembre1812,inBriefe, cit., vol.I,p.426(trad.it.cit.,vol. II, p. 209). Su questo concetto, cfr. M. Moneti, Hegel e il mondo alla rovescia. UnafiguradellaFenomenologia dellospirito,Firenze,1986. [23] Cfr. R. Problemgeschichte Bubner, und systematischer Sinn einer Phänomenologie, in «HegelStudien», 5 (1969), pp. 149150. Sulla fenomenologia dellaverkehrteWelt,cfr.H.-G. Gadamer, Die verkehrte Welt, in Materialen zu Hegels «Phänomenologie des Geistes», a cura di H.F. Fulda e D. Henrich, Frankfurt a.M., 1973,pp.106-130. [24] Cfr. Kant, Kritik der reinen Vernunft, A 293, B 349 (trad. it. cit., vol. II, p. 285). Kantstessoavevaipotizzato la possibilità di una scienza «semplicemente negativa» da far precedere alla «metafisica» e l’aveva chiamata Phaenomenologia generalis, riferendosi a J.H. Lambert, Neues Organon oder Gedanken über Erforschung und Bezeichnung des Wahren unddessenUnterscheidungvon Irrtum und Schein, Leipzig, 1764 (cfr. Kant an J.H. Lambert,2settembre1770,in Briefwechsel, in Gesammelte Schriften, a cura della Königliche Preussische Akademie der Wissenschaften zu Berlin, vol.X,Berlin,1900,p.94). [25] Kant, Kritik der reinen Vernunft, A 644-645; B 672- 673 (trad. it. cit., vol. II, p. 504). [26] Ibid., A 297, B 353-354 (trad.it.cit.,vol.II,p.288). [27] Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, in Kants Gesammelte Schriften, cit.,vol.VII,p.137A,trad.it. di G. Vidari e A. Guerra, Antropologia pragmatica, Roma-Bari,1985,p.20nota. [28] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., pp. 14-15 (trad. it. cit., vol. I, pp. 8-9); Lezione conclusiva del corso di filosofia speculativa, 18 settembre 1806, in Dokumente zu Hegels Entwicklung,cit.,p.352. [29] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.35(trad.it. cit.,vol.I,pp.37-38). [30] J.N. Findlay, Hegel: A Re-examination, trad. it. cit., p. 15 «l’attualità di Hegel risiede principalmente nel suo riconoscimento della “trama aperta”, dei lati oscuridituttiiconcettivivi, nel fatto che essi implicano più di quanto coprano manifestamente». Findlay, chepartedaposizionivicine a quelle di Wittgenstein, chiarisce così la sua affermazione: «la dialettica diventa un riflessivo far la spolatraconcettidicuisisa che sono interdipendenti e correlativi e a livelli ancor più alti diventa un mero sviluppodeinostriconcetti,il più ristrettamente astratto non facendo che accrescersi in quello più “concreto” e riccodi“lati”»(ibid.,p.57).La dialettica vale per Findlay negli interstizi, negli intermundia dei concetti: «La dialettica hegeliana assolve in realtà a una funzione complementare rispetto al pensiero dei Principia mathematica e di sistemi analoghi: essa è il pensiero degli interstizi che esistono fra concetti ben delimitati, assiomi fissi e catene deduttive rigorose; gli interstizi nei quali non ci è ancorabenchiarochecosai nostri concetti coprano e che cosa non coprano, nei quali costantemente li stiriamo e li costringiamo mano a mano che li mettiamo alla prova applicandoli a un materiale nuovo, nei quali ci preoccupiamo di guardare a essi dal di fuori e di vedere se compiano bene o male unacertaoperaconcettuale, nei quali ci occupiamo di innumerevoli rapporti reciproci di concetti, rapporti allentati, mobili, sfumati, ma non meno importanti per il fatto di essere allentati» (La pertinenza contemporanea di Hegel,ibid.,pp.404-405). [31]Cfr.Hegel,Glauben und Wissen, cit., p. 367 (trad. it. cit., p. 191) e D. Henrich, Die «wahrhafte Schildkröte». Zu einer Metapher in Hegels Schrift «Glauben und Wissen», in «Hegel-Studien», 2 (1963), pp. 281-291. Sul senso della distinzione kantiana fra fenomeni e noumeni (che richiama la separazione platonicadeiphainomena dal noumenoninPlatone,Tim. 51 D,cfr.E.Fink,Sein,Wahrheit, Welt. Vor-Fragen zum Problem des Phänomen-Begriffs, den Haag,1958,pp.92ss.),cfr.E. Stenius, On Kant’s Distinction between Phenomena and Noumena, Lund, 1963, e G. Prauss, Erscheinung bei Kant, Berlin-New York, 1971. Per un’interpretazione della cosainsédalpuntodivista della conoscenza in vista dell’azione, cfr. E. Weil, Penser et connaître, la foi et la chose-en-soi, in Problèmes kantiens,Paris,19702,pp.1355. [32]Cfr.Hegel,Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 16 (trad.it.cit.,vol.I,p.16). [33] Hegel, Leben Jesu, in Theologische Jugendschriften, cit., p. 103 (trad. it. cit., pp. 151-152). [34] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., pp. 14-15 (trad.it.cit.,vol.I,p.9). [35] Cfr. K. Rosenkranz, Hegels Leben, trad. it. cit., p. 199. [36] A. Ferguson, An Essay on the History of Civil Society, trad. it. cit., pp. 293-294. La noia delle classi alte è vista anche come un effetto del «lusso», cfr. d’Holbach, La politique naturelle, ou Discours sur les vrais principes du gouvernement, Londres, 1773, t. II, pp. 242-243: in una nazione in cui vi è interesse solo per il danaro e per l’opulenza «la sazietà la intorpidisce, il continuo cambiamento diviene necessario, il languore e la noia, carnefici costanti dell’opulenza, tengono dietro ai bisogni soddisfatti. Per trarre i ricchi fuori da questo letargo, l’ingegno è costretto a immaginare continuamente nuove sensazioni: i piaceri si moltiplicano, la novità, la rarità, la bizzarria hanno esse sole il potere di risvegliareesseriperiqualii piaceri semplici sono divenuti insipidi» (mi servo della trad. it. di C. Borghero, in La polemica sul lusso nel Settecento francese, Torino, 1974,pp.155-156). [37] Hegel, Frammento di testo jenese, in Dokumente zu Hegels Entwicklung, cit., p. 337. [38] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 285 (trad. it.cit.,vol.II,p.75). [39] Diderot, Le neveu de Rameau,trad.it.cit.,p.97. [40] Ibid., pp. 98-99. Cfr. Hegel, Phänomenologie des Geistes,cit.,pp.395-396(trad. it. cit., vol. II, p. 92): La «malattia» del nuovo, l’«infezione» erompe «in sintomi e manifestazioni sporadiche»,mapoicolpisce in pieno. Infatti: «Essendo uninvincibileeinavvertibile spirito, essa si insinua attraverso le parti nobili, impadronendosi a fondo di ogni viscere e di ogni membro dell’idolo incosciente, e un bel mattino dà una gomitata al compagno e – patatrac – l’idoloèaterra». [41]Hegel,DiePositivitätder christlichen Religion, cit., p. 220 (trad. it. cit., p. 311). Su questo passo, cfr. O. Pöggeler, Philosophie und Revolution beim jungen Hegel, inEnciclopedia’72,cit.,p.225, e, in un contesto più generico, F.G. Nauen, Revolution, Idealism and Human Freedom Schelling, Hölderlin and Hegel and the Crisis of Eearly German Idealism,TheHague,1971. [42] Cfr. d’Alembert, Essai sur les éléments de la philosophie (1759) in Œuvres complètes, Paris, 1821, vol. I, p. 123, e E. Behler, Die Geschichte des Bewusstseins. Zur Vorgeschichte eines hegelschenThemas,in«HegelStudien»,7(1972),pp.190ss. [43] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., pp. 60-61 (trad.it.cit.,vol.I,p.77). [44] Cfr. Jacobi, Über die LehredesSpinozainBriefenan denHerrnMosesMendelssohn, in Werke, Leipzig, 1812-1825, vol.IV,1,p.XL(trad.it.diF. Capra, revis. di V. Verra, La dottrina di Spinoza. Lettere al signor Moses Mendelsshon, Bari, 1969, p. 25); I. von Sinclair, Philosophische Aufzeichnungen 1796, testo dello Hölderlin-Archiv di Stoccarda(STGT,cod.hist.4o 668, II 3 b, 1-11 Werner Kirchner Nachlass), trad. it. di R. Bodei, in R. Bodei, Un documento sulle origini dell’idealismo. Le «Note filosofiche» di Isaak von Sinclair, in «Annali della ScuolaNormaleSuperioredi Pisa», serie III, vol. II, 2 (1972), pp. 722, 725 e cfr. H. Hegel, Isaak von Sinclair zwischen Fichte, Hölderlin und Hegel, Frankfurt a.M., 1971, pp.246ss. [45] Cfr. Heidegger, Hegels Begriff der Erfahrung, in Holzwege, Frankfurt a.M., 1950, trad. it. di P. Chiodi, Il concetto hegeliano di esperienza, in Sentieri interrotti, Firenze, 1968, pp. 129-130, per il quale l’apparire del sapere, e non già l’itinerario della coscienza, è il tema della Fenomenologia. Per un approfondimento della posizione di Heidegger nei confrontidellaFenomenologia dellospiritodiHegelsivedail Commento all’Introduzione della Fenomenologia dello spirito di Hegel (1942), contenuto nel volume Hegel, Frankfurt a.M., 1993 [Gesamtausgabe, Frankfurt a.M.,1975-,vol.LXVIII],trad. it.diC.GiannieacuradiG. Moretti, Hegel, Rovereto, 2010,pp.65-149. [46] Cfr. J. Simon, Das Problem der Sprache bei Hegel, Stuttgart,1966,p.25. [47]Cfr.Hegel,Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§140A(trad. it. cit., p. 131) e Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X1, p.12(trad.it.cit.,p.13):«Ma la parvenza è essenziale all’essenza, la verità non sarebbe, se non paresse e apparisse (wenn sie nicht schiene und erschiene), se non fosse per qualcosa, per se stessa quanto lo spirito in generale».SecondoW.Marx, Die Bestimmung der Philosophie im Deutschen Idealismus, Stuttgart, 1964, pp. 1-32, l’idealismo tedesco cercherebbe la parousia del Logos mediante l’Erscheinung,l’apparenzaoil fenomeno. Può darsi che sia cosìperalcuniaspetti,maè chiaro che non si può ridurre tutto a un problema teologico e che dietro il fenomeno sta la tematica della scienza e della tradizione gnoseologica. Per uninquadramentodiquesta tematica nell’ambito della cultura filosofica del tempo, cfr. G. Tagliavia, Critica della parvenza: Kant, Hegel, Schelling, Milano-Udine, 2006. [48] Schelling, Einleitung alle Ideen zu einer Philosophie der Natur, cit., pp. 663-664 (trad. it. cit., pp. 3-4). Anche per Rousseau, specie nella prefazione al Narcisse, l’uomo è nato per pensare e agire e, come notoriamente dicenelDiscorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini, l’uomo che riflette è un «animaledegenerato». [49] Cfr. R. Bodei, Un documento sulle origini dell’idealismo. Le «Note filosofiche» di Isaak von Sinclair,cit.,pp.703-735. [50] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§86Z. [51] Hegel, Systemfragment von 1800, in Theologische Jugendschriften, cit., p. 351 (trad. it. di N. Vaccaro e E. Mirri, Frammento di sistema del 1800, in Scritti teologici giovanili, cit., p. 479). Sulla polemicahegelianacontrola Reflexionsphilosophie, cfr. W. Marx, Hegels Phänomenologie des Geistes. Die Bestimmung ihrer Idee in «Vorrede» und «Einleitung», Frankfurt a.M., 1971,pp.59ss. [52] Hegel, Systemfragment von1800,cit.,p.351(trad.it. cit.,p.479). [53] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie,cit.,p.91(trad.it. cit.,p.112). [54] R. Haym, Hegel und seine Zeit, Berlin, 1857 (rist. Hildesheim,1962),p.242. [55] Sulla tormentata stesura del testo della Fenomenologia e sulle fasi della sua pubblicazione, cfr. già Th. Haering, Entstehungsgeschichte der PhänomenologiedesGeistes,in Verhandlungen des dritten Hegelkongresses in Rom, Tübingen-Haarlem,1934,pp. 118-138 (su cui cfr. Lukács, Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft, trad. it. cit., p. 625); O. Pöggeler, Zur Deutung der Phänomenologie des Geistes, in «HegelStudien», 1 (1961) pp. 255294 (trad. franc., leggermente modificata: Qu’est-ce que la «Phénoménologie de l’Esprit»?, in «Archives de Philosophie»,XXIX,1966,pp. 189-236);Id.,HegelsIdeeeiner Phänomenologie des Geistes, Freiburg-München, 1973; Id., Introduction à la lecture de la Phénoménologie de l’esprit, Paris, 1979; P.-J. Labarrière, Structures et mouvement dialectique dans la Phénoménologie de l’esprit de Hegel,Paris,1968,pp.17-30. [56] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie,cit.,p.12(trad.it. cit.,pp.12-13). [57] Cfr. Lukács, Der junge Hegel und die Probleme der kapitalistischen Gesellschaft, trad. it. cit., p. 650. Cfr. G. Bedeschi, Storia e politica in Hegel,Bari,1973,pp.117ss. [58] In un appunto dell’autunno 1831, scritto in vista della II ed. della Fenomenologia, è detto: «Eigentümliche frühere Arbeit nicht umarbeiten, auf die damalige Zeit der Abfassung bezüglich»,cfr.J.Hoffmeister, Zur Feststellung des Texts, in appendice a Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 578 (si veda anche l’Editorialischer Bericht, nell’edizione delle Gesammelte Schriften, cit., pp. 474 ss.). Per un approfondimento, cfr. R. Bodei, La Fenomenologia dello spirito: un «viaggio di scoperta», in «Iride», 52 (dicembre2007),pp.559-563. [59] Su questo dibattito fra Fulda, Gauvin, Puntel, Labarrière ecc. cfr. più avanti,pp.355ss. [60] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 296 (trad. it. cit., vol. II, p. 92). Il compito della Fenomenologia vuol essere proprio il contrariodellacancellazione della storia che Jähnig le attribuisce,cfr.D.Jähnig,Die Beiseitigung der Geschichte durch «Bildung» und «Erinnerung»,in«Praxis»,VIII (1971), pp. 63-72 e, per contro,A.Nuzzo,History and Memory in Hegel’s Phenomenology, in «Graduate Faculty Philosophy Journal», 29(2008),pp.161-198. [61]Suquestopassaggioda una concezione «analitica» della filosofia a una concezione «genetica» in Fichte e «dialettica» in Hegel, cfr. A. Massolo, Per una lettura della «Filosofia della storia» di Hegel (1959), ora in A. Massolo, La storia della filosofia come problema, cit.,pp.175ss. [62] Cfr. K.L. Reinhold, Elemente der Phänomenologie oderErläuterungdesrationalen Realismus durch seine Anwendung auf die Erscheinung = Beyträge zur leichtern Übersicht des Zustandes der Philosophie beym Anfange des Jahrhunderts, fasc. Hamburg,1802. 19. 4, [63] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie, cit., p. 7 (trad. it. cit.,p.5). [64] Hegel, Aphorismen aus der Jenenser Periode, cit., p. 555 (trad. it. cit., p. 82 nota 100). L’espressione truncus ficulnusètrattadaOrazioed è riferita – Hegel cita a memoria – non a Mercurio, ma a Priapo: Olim truncus eram ficulnus, inutile lignum / cum faber, incertum faceretne Priapum, maluit esse Deum (Satire,I,8). [65] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie,cit.,p.47(trad.it. cit., p. 56). Ciò è possibile anche perché – classicamente, secondo il modello aristotelico – il divenire non è soltanto legato al movimento, ma anche all’attività, all’energeia; cfr. L. Ruggiu, Lo spiritoètempo.SaggisuHegel, Milano-Udine,2013,pp.112113. Sulla circolarità del tempo e sul nesso tempoeternità in quanto eternizzazione del tempo e temporalizzazione dell’eternità,cfr.ibid.,pp.18, 19, 22. Come testo d’appoggio a questa convergenza di tempo ed eternità, cfr. Hegel, Heidelberger Enzyklopädie 1817,trad.it.cit.,p.135:«Ciò che è naturale è quindi sottoposto al tempo in quanto è finito; il vero, al contrario, l’idea, lo spirito, è eterno. Il concetto dell’eternitàquindinondeve essere compreso nel senso che essa sia il tempo tolto e nemmeno nel senso che l’eternità venga dopo il tempo; in tal caso l’eternità diventerebbe il futuro, un momento del tempo; nemmeno dev’essere inteso nel senso che neghi semplicemente il tempo e chel’eternitàsialasemplice astrazione da esso, bensì il tempo nel suo concetto è come in generale il concetto stesso, l’eterno, e perciò anche assoluto presente». Sul concetto hegeliano di tempo, come appare in diversi scritti e periodi, si vedaanchel’ampiostudiodi G. Grießer, Geist zu seiner Zeit.MitHegeldieZeitdenken, Würzburg,2005. [66] Sul concetto di «eternità» in Hegel come eterno presente che negli scritti jenesi non riesce ancora a conciliarsi con il tempoenonmetteancoraa fuocoilrapportotrailtempo naturale dell’esteriorità reciproca delle sue parti e il tempo storico e spirituale, cfr. F. Frilli, Tempo naturale e tempo storico nelle Realphilosophien jenesi di Hegel, in «Verifiche», XLII (2013),n.4,pp.33-68.Pergli sviluppi successivi sono da vedere G. Wohlfahrt, Über Zeit und Ewigkeit in der PhilosophieHegels,in«Wiener Jahrbuch für Philosphie», 13 (1980), pp. 150-154; M. Murray, Time in Hegel’s Phenomenology of Spirit, in «The Review of Metaphysics», 14 (1981), pp. 682-705; O.D. Brauer, Dialektik der Zeit. Untersuchungen zu Hegels MetaphysikderWeltgeschichte, cit.;G.Rametta,Ilconcettodel tempo. Eternità e Darstellung speculativa nel pensiero di Hegel, Milano, 1989; S. Majetschak, Die Logik des Absoluten. Spekulation und Zeitlichkeit in der Philosophie Hegels, Berlin, 1992 e, soprattutto, L. Ruggiu, Lo spiritoètempo.SaggisuHegel, cit. Dato che l’oggetto della speculazione è l’assoluto (cfr. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 384 A), con un cambio di prospettiva è necessario che l’assoluto inglobi la vita, cfr. K. Drilo, Leben aus der Perspektive des Absoluten. Perspektivwechsel und Aneignung in der Philosophie Hegels, Würzburg, 2003. Sulla relazione tra tempo, eternità e memoria, cfr.anchepiùavanti,pp.220 ss., 291 ss., 316 ss. Sul rapporto tra tempo ed eternità, inteso come il momento infinito, divino, assoluto,eternodellospirito si rapporti a quello temporale, finito, oggettivo, umano, politico dandogli senso, cfr. B. Bourgeois, Éternitéethistoricitédel’esprit selonHegel,Paris,1991. [67] Cfr. S. Majetschak, Die Logik des Absoluten. Spekulation und Zeitlichkeit in derPhilosophieHegels,cit.,pp. 245,268,281. [68] Hegel, Jenaer Systementwürfe. Das System derspekulativenPhilosophie,in GesammelteWerke,cit.,vol.6, a cura di K. Düsing e H. Kimmerle,Hamburg,1975,p. 4 (nota al margine): «Der Geist ist Zeit, er hat die Vergangenheit,seineErziehung vernichtet». Va detto che per Hegel «il tempo non è, per così dire, un contenitore in cui tutto è posto come in unacorrente,chescorreeda cuituttovienetrascinatovia esommerso.Iltempoèsolo questa astrazione del consumare. Poiché le cose sono finite, per ciò sono nel tempo; non perché sono nel tempo, perciò sprofondano, bensì le cose stesse sono l’elemento temporale (das Zeitliche)» (Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§258Z). [69] V. Vitiello, Hegel: la solitudine della ragione comunitaria, in AA.VV., Lo spaziosocialedellaragione.Da Hegel in avanti, cit., pp. 59, 61-62. Sui tre sillogismi si veda l’ampia trattazione più avanti,pp.355ss. [70] J.M.E. McTaggart, The Unreality of Time, in «Mind», 17 (1908), pp. 457-474, trad. it. L’irrealtà del tempo, a cura diL.Cimmino.Milano,2006. [71] Cfr. J.M.E. McTaggart, Commentary on Hegel’s «Logic»,Cambridge,1910. [72] Hegel, Enzykopädie der philosophische Wissenschaften, § 258 (trad. it. cit., p. 217). Nel tempo, come è detto nelle lezioni del semestre invernale 1821-1822, «L’essere si converte immediatamente in nonessere, e altrettanto il nonessere in essere»: Hegel, HegelsRaum-ZeitLehre,acura di W. Bonsiepen, in «HegelStudien», 20 (1985), pp. 72. Su questi temi, per alcuni aspetti del confronto non solotraleposizionidiHegel e le tesi di McTaggart, ma anche del dibattito attuale all’interno della filosofia analitica, tra fautori delle tesi statiche e di quelle dinamiche del tempo, cfr. F. Perelda,Hegelelafilosofiadel tempo contemporanea, in «Verifiche», XXXIX (2010), n. 1-4,pp.135-185. [73] Sull’aletheia come memoria, commemorazione di avvenimenti che non devonocaderenell’oblio,eil suo primitivo legame con la poesiagrecaarcaica(᾽Αλήϑεια è il nome di una nutrice di Apollo),cfr.M.Detienne,Les maîtresdevéritédanslaGrèce archaïque,Paris,1967,pp.3233e130ss. [74] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 133 (trad. it.cit.,vol.I,pp.195-196). [75]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 308 (trad. it. cit.,vol.III,2p.77). [76] Erfahrung, da fahren («viaggiare»)ècosìintesoda Heidegger: «Il procedere è uno studiare la direzione da prendere» (Heidegger, Hegels Begriff der Erfahrung, trad. it. cit.,p.168).DiHeideggercfr. anchel’edizionedellelezioni friburghesi del semestre invernale 1930/1931 sulla Fenomenologia: Hegels PhänomenologiedesGeistes,in Gesamtausgabe, Frankfurt a.M.,1975ss.,vol.32. [77] Da vedere, in questo contesto, l’interpretazione – interessante, ma filologicamente poco attendibile – che della Fenomenologia dello spirito dà Robert B. Brandom sia nel saggio del 1999, Some Pragmatist Themes in Hegel’s Idealism: Negotiation and Administration in Hegel’s Account of the Structure and Content of Conceptual Norms, in «European Journal of Philosophy», 7 (1999), pp. 164-189, sia nelle lezioni tenuteall’IMUdiMonaconel 2012, che si possono ascoltare in Podcast (https://itunes.apple.com/it/itu u/hegel-lectures-by-robertbrandom/id447762850? mt=10)escaricareiniTunes. Laprimadiquestelezionisi trova anche su Youtube: http://www.youtube.com/wat v=WtFS7Or-X_E. [78] Hegel, Aphorismen aus der Jenenser Periode, cit., p. 548 (trad. it. cit., p. 70 nota 50). [79] Ibid., p. 545 (trad. it. cit.,p.66nota43). [80]Ibid. [81] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.11(trad.it. cit.,vol.I,p.4). [82] Sulla ricorrenza di questa metafora del «puro etere del pensiero», cfr. E. Bloch, Das Materialismusproblem, seine Geschichte und Substanz, Frankfurta.M.,1972,pp.236239. Sul sapere assoluto inteso come idea della scienza, cfr. L. Lugarini, Sapere assoluto e filosofia speculativa, in Hegel dal mondo storico alla filosofia, Roma, 1973, pp. 153-180. Sul sapereassoluto,prodotto,da un lato dalla «dottrina dell’esperienza», dall’altro dalla «nostra aggiunta» (unsere Zutat, secondo l’espressione hegeliana), cfr. F. Grimmlinger, Zum Begriff des absoluten Wissens in Hegels «Phänomenologie», in Geschichte und System. Festschrift für Erich Heintel zum60.Geburtstag, a cura di H.-D. Klein e E. Oeser, München-Wien, 1972, pp. 279-300. Per un inquadramento e un commentario, cfr. G.W.F. Hegel, Le savoir absolu. Introduction, commentaire, notes par B. Rousset, Paris, 1977, e, per alcuni aspetti, AA.VV., Che cos’è il sapere assoluto?, in «Verifiche», XXXVII(2008),n.1-3. [83] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 433 (trad. it.cit.,vol.II,pp.304-305). [84] Cfr. E. Bloch, Subjekt- Obiekt.ErläuterungenzuHegel, cit., pp. 473 ss. (trad. it. cit., pp.495ss.);Id.,ÜberMethode und System bei Hegel, Frankfurt a.M., 1970, pp. 49 ss. [85] Come molti altri interpreti, Bloch ignora il fatto che Platone mette questa famosa teoria del conoscere come ricordare in bocca a un filosofo pitagorico, Cebete, discepolo di Filolao. Inoltre, non tiene conto della differenza in Platone tra la mneme (che designa la memoria come unaspeciedicassettieraodi ripostiglio)el’anamnesis,che èunprocedimentoeuristico, un genere di ricerca che sembra partire dal passato, ma che invece, andando avanti, ritrova le connessioni, le giunture interne del sapere come accade in un teorema. Rinviene cioè quella che Platone chiama oikeia episteme,allalettera«scienza domestica, a noi familiare», ma, per meglio dire, sapere connaturato all’anima: «Poiché, d’altra parte, la natura tutta è imparentata con se stessa e l’anima ha tutto appreso, nulla impedisce che l’anima, ricordando (ricordo che gli uomini chiamano apprendimento) una sola cosa, trovi da sé tutte le altre, quando uno sia coraggioso e infaticabile nellaricerca»(Plato,Meno,81 C-D, trad. it. di F. Adorno, Menone, Platone, Opere complete, vol. 5, Roma-Bari, 1990, p. 270). Per Platone (Fedone, 73 C-D), l’anamnesis è un percorso di rimandi reciproci, che si muove, comunque,inavanti:avanza rammemorando qualcosa per mezzo di qualcos’altro. In sostanza si basa non sull’intentio recta, ma sull’intentioobliqua,nelsenso che A mi ricorda B (Simmia miricordaCebete,percitare un esempio platonico) e da queste associazioni, per somiglianza o dissomiglianza, scaturisce una rete aperta di riferimenti, mobile e potenzialmente infinita. L’anamnesis, come accennato, procede a zigzag: «Se uno, veduta una cosa o uditala o avutane comunque un’altra sensazione, non solamente venga a conoscere quella cosa,maancheglienevenga in mente un’altra – un’altra dicuilacognizionenonèla medesima, ma diversa» (Menone, 73 C). Per le complesse implicazioni di questo tema, si vedano L. Robin, Sur la doctrine de la réminescence, in «Revue des Études Grecques», XXXII (1919), pp. 541-561; J.M. Paisse, Le thème de la réminescence dans les dialogues de Platon, in «Les Études Classiques», XXIII (1965), pp. 225-252, 377-400; Id., Réminescence et dialectiques platoniciennes, ibid.,XXV(1967),pp.225-248; E.G.McClain,ThePythagorean Plato,Boulder,Colo.,1978;V. Meatini, Anamnesi e conoscenza in Platone, Pisa, 1981; J.T. Bedu-Addo, Senseexperience and the Argument for Recollection in Plato’s Phaedo, in «Phronesis», XXXVI (1991), pp. 27-60; J.-L. Chrétien, L’inoubliable et l’inespéré, Paris, 1991. Secondo alcuni interpreti, la teoria del conoscere come ricordare viene trattata nel Fedone in forma di mito o in vista della sua indiretta confutazione (cfr. T. Ebert, Sokrates als Pythagoreer und die Anamnesis in Platons Phaidon, München, 1974), perché una memoria ciclica, legata alle infinite reincarnazioni dell’anima nel tempo – dato che il mondo è eterno, non ha nascita, è agenetos – condurrebbe a un regresso all’infinitoenonaunaoikeia episteme, in cui le nozioni si incastrano le une con le altrefuoridaltempo(perun semplice accenno, cfr. J. Klein, A Commentary on Plato’s Meno, Chapel Hill, N.C., 1965, pp. 94-99, in particolare,p.96). [86] La Prefazione, com’è noto, venne scritta per ultima, e quindi, verosimilmente,subitodopo il capitolo sul sapere assoluto. [87] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., pp. 24-25 (trad. it. cit., vol. I, p. 22). Sulla memoria come caratteristica delle scienze storiche, cfr. d’Alembert, Discours préliminaire all’Encyclopédie, trad. it. cit., vol.I,pp.76,89. [88]Cfr.Platone,Parmenide, 156C-D. [89] Fries an Jacobi, 20 dicembre 1807, in Aus F.H. Jacobi’sNachlass, a cura di R. Zoeppritz, Leipzig, 1869, vol. II,p.20. [90] Hegel an Niethammer, 5 febbraio 1812, in Briefe, cit., vol.I,p.393(trad.it.cit.,vol. II, p. 174). Della prima edizione1812delprimolibro della Scienza della logica è stata curata una ristampa fotostatica, che permette di controllare più agevolmente l’altonumerodivariantiedi aggiunte introdotte nella seconda edizione del testo curatodaHegelnel1831,cfr. G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik. Erster Band, Erstes Buch, Das Sein, facsimile della 1a ed. del 1812, a cura di W. Wieland, Göttingen, 1966 (citata in seguito: Wissenschaft der Logik 1812). Sulla situazione di Hegel dopolabattagliadiJena,cfr. K. Rosenkranz, Hegels Leben, trad. it. cit., pp. 539 ss. e W.R. Beyer, Zwischen Phänomenologie und Logik. Hegel als Redakteur der Bamberger Zeitung, cit., passim. [91] Cfr. A. Kojève, Introduction à la lecture de Hegel,cit. [92] A. Kojève, Tyrannie et sagesse, in L. Strauss, De la tyrannie, Paris, 1954, trad. it. Tirannide e saggezza, in L. Strauss e A. Kojève, Sulla tirannide, Milano, 2010, p. 186. [93]Gramsci,Ilmaterialismo storicoelafilosofiadiB.Croce, cit.,p.200. [94] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 35 (trad.it.cit.,vol.I,p.42). [95] A. Ferguson, An Essay on the History of Civil Society, trad.it.cit.,p.7. [96] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.25(trad.it. cit., leggermente modificata per rendere meglio l’immagine della silhouette, vol.I,pp.22-23). [97] In generale sul significato di questo termine, cfr. A. Massolo, «Entäusserung»-«Entfremdung» nella Fenomenologia dello spirito (1966), ora in La storia della filosofia come problema, cit., pp. 202-215; M. D’Abbiero, «Alienazione» in Hegel. Usi e significati di Entäusserung, Entfremdung, Veräusserung,Roma,1970;K. Boey, L’aliénation dans la ‘Phénoménologie de l’esprit’ de G.W.F. Hegel, Paris-Brügge, 1970. [98] L’aspirazione hegeliana a integrare l’individuo nella società modernasottoilsegnodella libertà è stata al centro non solo della lettura di Ch. Taylor in Hegel, CambridgeNew York, 1975 e in Hegel and Modern Society, Cambridge-New York, 1979 (trad. it. Hegel e la filosofia moderna, Bologna, 1984), ma anche di diversi rappresentanti americani della cosiddetta Hegel Renaissance (sulla recezione americana di Hegel cfr. AA.VV., Contemporary Hegel. La recezione americana di Hegel a confronto con la tradizione europea, Milano, 2003, e si veda più avanti, pp. 232-233), come, ad esempio, F. Neuhouser in Foundations of Hegel’s Social Theory. Actualizing Freedom, Cambridge, Mass., 2000, che considerala«libertàsociale» come il più importante contributo di Hegel alla teoria politica. Essa sottrae, infatti, l’individuo a una concezione puramente negativa e privata della libertà, legandola, in quanto autodeterminazione, alla razionalità. Come chiarisce G. Cesarale, Hegel nella filosofia pratico-politica anglosassone dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, Milano-Udine, 2011, p. 126, sul piano della libertà sociale «l’individuo deve, cioè, sapere che, in primo luogo, le istituzioni sono lo scopo del suo agire; che, in secondo luogo, esse sono la suaessenza;che,infine,esse sono il prodotto della sua attività». E si veda più avanti,pp.366-367nota160. [99] Per questo aspetto si vedanoleargomentazionidi R.B. Pippin in Hegel’s Idealism. The Satisfactions of Self-Consciousness, Cambridge, 1989; The Persistence of Subjectivity, Cambridge, 2005, e Hegel’s Practical Philosophy, Cambridge, 2008; Hegel on Self-Consciousness. Desire and Death in Hegel’s Phenomenology of Spirit, Princeton,N.J.,2010(ma,per una critica delle sue posizioni, condotta da uno studioso che non ha aspettatolaHegelRenaissance per dare il giusto peso alle ragioni del filosofo di Stoccarda, cfr. A. Peperzak, ModernFreedom.Hegel’sLegal, Moral,andPoliticalPhilosophy, Dordrecht, 2001). La questione del riconoscimento, già toccata da Kojève, è stata tematizzata esplicitamente da L. Siep, Anerkennung als Prinzip der praktischen Philosophie. Untersuchungen zu Hegels Jenaer Philosophie des Geistes, FreiburgMünchen,1979,mahaavuto maggiore risonanza grazie all’opera di A. Honneth, Kampf um Anerkennung. Grammatik sozialer Konflikte, Frankfurta.M.,1992,trad.it. Lotta per il riconoscimento. Proposte per un’etica del conflitto, Milano, 2002, e Id., Das Ich im Wir, Frankfurt a.M., 2010 (in quest’ultima opera si sostiene che Hegel hacercatopertuttalavitadi esaminare lo «spirito oggettivo», vale a dire le istituzioni giuridiche e politiche, quali stratificazioni del riconoscimento, presupposti concreti della libertà umana come, ad esempio, lo sono, nella Filosofia del diritto, la famiglia,lasocietàcivileelo Stato). Il dibattito, sollevato daHonneth,hatrovatoecoe sviluppi notevoli in diversi altri autori, tra cui F. Neuhouser in Foundations of Hegel’s Social Theory. ActualizingFreedom,cit.Perla dialettica del riconoscimentocfr.ancheR. Bodei, Le prix de la liberté, Paris,1995,eId.,Ildesiderioe la lotta, Introduzione a A. Kojève, La dialettica e l’idea dellamorteinHegel,cit. [100] Cfr. A. Massolo, «Entäusserung»-«Entfremdung» nella Fenomenologia dello spirito, cit., sulla differenza fra alienazione dello spirito, come strada per il ritorno a sé (senso positivo), e alienazionedellapersonalità (senso negativo), cfr. GrundlinienderPhilosophiedes Rechts, cit., § 66 A (trad. it. cit., p. 73): «Esempi di alienazionedellapersonalità sono:laschiavitù,laservitù, l’incapacità di possedere proprietà, la non-libertà della medesima etc.; un’alienazione della razionalitàintelligente,della moralità, dell’eticità, della religione, si presenta nella superstizione,enell’autorità enelpotere,cedutoadaltri, di determinare e di prescrivere a me ciò che io debbocompierecomeazioni (quando uno si impegna espressamente alla rapina, all’omicidioecosìvia,oalla possibilità del delitto), a me, che cosa sia obbligo di coscienza, verità, religione etc.».Inbrevenonèsempre vero che l’alienazione sia per Hegel un processo positivo coincidente con l’oggettivazione. [101] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie, cit., p. 9 (trad. it. cit.,p.10). [102] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 79 (trad.it.cit.,vol.I,p.93). [103] Ibid., p. 10 (trad. it. cit.,vol.I,p.14). [104] Ibid., pp. 61-62 (trad. it.cit.,vol.I,pp.72-73). [105] Ibid., p. 62 (trad. it. cit.,vol.I,p.73). [106] Cfr. L. Althusser, Sur le rapport de Marx à Hegel, in Hegel et la pensée moderne, cit.,pp.106-107,rist.inLenin et la philosophie, Paris, 1972, trad.it.diF.Madonia,Lenine la filosofia, Milano, 1972, pp. 68-69. Ma sul «processo senza soggetto» che accomunerebbe per Althusser Hegel a Marx, cfr. le osservazioni di C. Luporini, Marx secondo Marx, ora in Dialettica e materialismo,Roma,1974,pp. 239ss. [107]Marx,DasKapital, cit., vol. I, pp. 85 ss., vol. III, pp. 784,877ss.(trad.it.cit.,vol. I,1,pp.84ss.,vol.III,3,trad. it. di M.L. Boggeri, Roma, 1956, pp. 182, 286 ss.). Sullo scambioinegualedisalarioe lavoro e la sua apparenza (meglio: parvenza, Schein), cfr. anche Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie, Berlin, 1953, pp. 194-195, 368, 566 (trad. it. di E. Grillo, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Firenze, 1969-1970,vol.I,p.267evol. II, pp. 86, 363-364) e R. Rosdolsky, Zur Entstehungsgeschichte des Marxschen «Kapital», Frankfurt a.M.-Wien, 1968, trad. it. di B. Maffi, Genesi e struttura del «Capitale» di Marx,Bari,1971,pp.239ss. [108]Marx,DasKapital, cit., vol. I, p. 85 (trad. it. cit., vol. I,1,pp.84-85). [109]Perlaricostruzionedi queste vicende si vedano Hegel contemporaneo. La ricezione americana di Hegel a confronto con la tradizione europea,acuradiL.Ruggiue I. Testa, Milano, 2003; G. Cesarale, Hegel nella filosofia pratico-politica anglosassone dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, cit., e Hegel and the Analytic Tradition, a cura di A. Nuzzo, London-New York,2010.DiStanleyRosen, che può essere considerato uno dei pionieri della Hegel Renaissance,cfr.G.W.F. Hegel. An Introduction to the Science of Wisdom, New HavenLondon, 1974. Sui vari aspetti della ricezione di Hegel in ambito anglosassone, cfr. sopra, pp. 227-228. È da ricordare che nella filosofia americana Peirce, James e Dewey furono invece grandi estimatori di Hegel. Le ragioni della diffidenza per la filosofia hegeliana nel mondo anglosassone sono ben riassunte da Pippin quando sotttolinea il contrasto tra la sua influenza e la sua incomprensibilità: «Hegel è uno dei più idolatrati e vilipesi filosofi di tutta la storia e, nello stesso tempo, si ritiene diffusamente che nessunosappiarealmentedi cosa parli» (R.B. Pippin, Hegel’s Idealism. The Satisfaction of SelfConsciousness, Cambridge, cit.,p.3). [110] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIII, pp. 13-14 (trad. it. cit., vol. I, pp. 10-12). Per una parziale revisione dei tradizionali accostamentifralosviluppo storico, la tradizione e la Rivoluzione francese in HegeleinBurke,aproposito della continuità storica, cfr. anche J.F. Suter, Burke, Hegel and the French Revolution, in Hegel’s Political Philosophy, cit.,pp.72ss. [111] Cfr. la poesia hegeliana Entschluss del 1801: «Strebe, versuche du mehr als das Heut und das Gestern/Sowirstdu/Besseres nicht, als die Zeit, aber auf’s Beste sie sein!» («Sforzati, tenta, più di oggi e di ieri! / Così tu non sarai migliore deltempo,mail[tuo]tempo nel modo migliore!») (Dokumente zu Hegels Entwicklung, cit., p. 388), e cfr.Hegel,Aphorismenausder Jenenser Periode, cit., p. 550 (trad. it. cit., n. 52, p. 72): «Ognuno vuole e ritiene essere migliore di questo suo mondo. Chi migliore è, esprime solo questo mondo megliodeglialtri». [112] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 75-77 (trad.it.cit.,vol.I,pp.88-90). Sulla concezione hegeliana degli individui «cosmicostorici», cfr. G.V. Plechanov, La funzione della personalità nella storia, trad. it. di P. Flores d’Arcais, in La concezione materialistica della storia, Roma, 1970, pp. 77113. Questa tematica è da vedere anche alla luce del risultato dell’anonimo operare di tutti e di ciascuno, cfr. S. Landucci, Hegel: la coscienza e la storia. Approssimazioni alla ‘Fenomenologia dello spirito’, Firenze, 1976, e É. Balibar, Zur ‘Sache selbst’. Comune e universale nella ‘Fenomenologia’ di Hegel, in «Iride», n. 52, XX (dicembre 2007),pp.553-558. [113] Hegel, Frammento di testo jenese, in Dokumente zu Hegels Entwicklung, cit., pp. 336-337. [114] Hegel an Friedrich von Raumer, 2 agosto 1816, in Briefe,cit.,vol.II,pp.100-101 (trad.it.cit.,vol.II,p.319). [115] Hegel, Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X1, p.209(trad.it.cit.,p.185).È interessanteosservarecome uno degli allievi di Hegel, Heinrich Gustav Hotho, abbiascrittounastoriadella pittura tedesca: Geschichte der deutschen Malerei, Berlin, 1842-1843. Sulla «inabitabilità della vita moderna»,masullacapacità degli olandesi, come appare nella loro pittura, di porre energia in tutto ciò che fanno, in ogni compito, per banale che sia, così da rendere il mondo familiare, cfr. T. Pinkard, Hegel’s Naturalism.Mind,Nature,and the Final Ends of Life, cit., pp. 147-172. [116] Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Religion, a cura di G. Lasson, cit., vol. II, 1, p. 233 (trad. it. cit.,vol.I,p.543). [117] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 478 (trad.it.cit.,vol.II,p.250). [118] Ibid., p. 477 (trad. it. cit.,vol.II,p.248). [119] Ibid., pp. 510-511 (trad. it. cit., vol. II, p. 287). Cfr. Vorlesungen über die PhilosophiederReligion,acura diG.Lasson,cit.,vol.II,1,p. 234 (trad. it. cit., vol. I, p. 544). Per il rapporto Diouomo nella filosofia della religione di Hegel, cfr. M. Wendte, Gottmenschliche Einheit bei Hegel. Eine logische undtheologischeUntersuchung, Berlin,2007. [120] Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Religion, a cura di Ph. Marheineke, in Werke, cit., Berlin,1832,vol.XII,p.253. [121]Cfr.Hegel,Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIII, p. 118 (trad. it. cit., vol. I, p. 118). [122] Hegel, Auszüge und Bemerkungen, in Schriften,cit.,p.702. [123] Hegel, Berliner Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X1, p.42(trad.it.cit.,p.40). [124]Hegel,DieHeidelberger Niederschrift der Einleitung (Beginn der Vorlesung am 28. X.1816),cit.,pp.4-6(trad.it. in Hegel, Lezioni sulla storia dellafilosofia,cit.,vol.I,pp.23). [125] Cfr. S. Landucci, L’operare umano e la genesi dello «spirito» nella «Fenomenologia» di Hegel, cit., passim. [126] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie,cit.,vol.XIII,p.91 (trad.it.cit.,vol.I,p.89). [127] Cfr. Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 31 (trad.it.cit.,vol.I,p.37). [128] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften,§411A(trad. it. cit., pp. 387-388). Sulla mimica e la spiritualizzazione del corpo umano, cfr. I. Fetscher, Hegels Lehre vom Menschen, Stuttgart,1970,pp.92-94. [129]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§411Z. [130] Hegel, Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X2, pp. 370-371 (trad. it. cit., p. 800). [131] Ibid., p. 374 (trad. it. cit., p. 803). Sembra di sentire le osservazioni di Walter Benjamin in Angelus Novus relative al flanieren nella poesia di Baudelaire À une passante, al vagare privo di scopo dell’individuo che gode nel perdersi nella confusione della folla (cfr. W.Benjamin,Angelus Novus, in Schriften, Frankfurt a.M., 1955, trad. it. di R. Solmi, Angelus Novus, Torino, 1962, p.100). [132] Hegel, Vorlesungen über die Aesthetik, cit., pp. 410,415(trad.it.cit.,pp.834, 838-839). In queste considerazioni sulle mode degli orientali c’è forse la reminiscenza di un passo di Volney, cfr. C.-F. Volney, Voyage en Syrie et en Egypte, trad. it. di E. Del Panta, a curadiS.Moravia,Viaggioin Egitto e in Siria, 1782-1785, Milano, 1974, pp. 441 ss., 453-455. [133]Cfr.Hegel,Systemund Geschichte der Philosophie, a cura di J. Hoffmeister, Leipzig,1944,p.148. [134] Sul rapporto Hegel- Montesquieu e sul concetto hegeliano di spirito cfr. G. Planty-Bonjour, De l’«Esprit» général selon Montesquieu au «Volksgeist» hégélien, in «Recherches hégéliennes», Poitiers, 1971, pp. 9 ss.; R.C. Salomon, Hegel’s Concept of Geist, in «Review of Metaphysics», XXIII (19691970), pp. 642-661. Sulla storia del concetto di «spirito», cfr. in generale, E. Schweizer, Pneuma, pneumatikos, in Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, a cura di G. Friedrich, Stuttgart, 1959, vol. VI, pp. 330-450; R. Hildebrand, Geist, Halle, 1926,rist.Darmstadt,1966. [135] Cfr. Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol.I,p.6(trad.it.cit.,p.6). [136] Hegel, Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X2, p.231(trad.it.cit.,p.676). [137] Cfr. Hegel, Jenenser Realphilosophie II, cit., pp. 224-225(trad.it.cit.,p.147). [138] Cfr. l’interpretazione del passo eschileo delle Eumenidi,vv.566ss.(giudizio di Apollo su Oreste) in Über die wissenschaftliche Behandlungsarten des Naturrechts, in Hegel, Schriften zur Politik und Rechtsphilosophie,acuradiG. Lasson,Leipzig,19232,p.381 (trad. it. di A. Negri, Le maniere di trattare scientificamente il diritto naturale, in Scritti di filosofia del diritto, 1802-1803, Bari, 1971,p.113).Perun’ampiae approfondita trattazione di questotestoedell’ideadella «tragedia dell’etico» ivi contenuta, cfr. M. Schulte, Die ‘Tragödie des Sittlichen’. Zur Dramentheorie Hegels, München,1992. [139] Schelling, Philosophie der Offenbarung, cit., p. 7 (trad.it.cit.,vol.I,p.103). [140] Schopenhauer, Die WeltalsWilleundVorstellung, cit., §§ 58, 59, vol. I, pp. 379, 383 (trad. it. cit., pp. 629, 635). Su Schopenhauer e Bichat, cfr. Die Welt als Wille und Vorstellung, cit., vol. II, Ergänzungen, pp. 300-304; F. Colonna d’Istria, La psychologie de Bichat, in «Revue de Métaphysique et de morale», XXXIII (1926), p. 34. [141] Ibid., § 57, vol. I, pp. 370-371(trad.it.cit.,pp.613, 615). Su questa ricerca di emozioni, cfr. la risonanza del tema schopenhaueriano in W. Benjamin, Angelus Novus, trad. it. cit., pp. 110111. [142] E. Weil, Hegel (1956), ora in Essais et conférences, Paris, 1970, pp. 133-134; cfr. L. Sichirollo, Dialettica, Milano,1973,pp.149-155. [143] Hegel, System und GeschichtederPhilosophie,cit., p.154. [144] Hegel, Die Vernunft in derGeschichte,cit.,pp.50ss., 256-257. Cfr. R. Bodei, Dialettica e controllo dei mutamentisocialiinHegel,cit., pp.111ss.epassim. [145]Cfr.Hegel,Grundlinien der Philosophie des Rechts, a cura di J. Hoffmeister, cit., Vorrede,p.14(trad.it.cit.,p. 13), Rede zum Antritt des philosophischen Lehramtes an der Universität Berlin, cit., p. 20. [146] Cfr. Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 365, 936 (trad. it. cit., vol. II, pp. 117-118; vol. IV, p. 217), DieVernunftinderGeschichte, cit., p. 214. Sullo spirito come progetto idealistico di unificazione culturale del genere umano, cfr. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di B. Croce, p. 142: «Ciò che gli idealisti chiamano“spirito”nonèun punto di partenza, ma d’arrivo, l’insieme delle soprastrutture in divenire versol’unificazioneconcreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario». [147] Cfr. più avanti, pp. 368-369. [148] Cfr. R. Bodei, Systematische Aspekte und Perspektiven einer Epoche in Hegels Philosophie der Weltgeschichte, in L’esprit objectif. L’unité de l’histoire, cit.,pp.48-49. [149] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 661 (trad. it. cit., vol. III, p. 161). Nel periodo di massimo dominio di questo universale astratto, che è l’organizzazione politica romana, la filosofia si ritira in se stessa, cerca nel pensiero e non nella realtà la conciliazione, promette agli individui angosciati dal mondo l’imperturbabilità di fronteaesso,cfr.ibid.,p.718 (trad. it. cit., vol. III, p. 229). La religione cristiana, e non lafilosofiastoicaoepicurea, erainquelperiodostoricola formapiùaltadellospirito. [150] Hegel, Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X1, p.130(trad.it.cit.,p.116). [151] Engels, Ludwig Feuerbach und der Ausgang der klassischen deutschen Philosophie,Berlin,1946,trad. it. di P. Togliatti, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, Roma,19722,p.63. [152] Per una cruda critica a Hegel, che anticipa le posizioni più radicali che l’autoreassumeràinseguito, si veda questo passo di Antonio Negri, Rileggendo Hegel, filosofo del diritto, in Incidenza di Hegel, cit., pp. 269-270: «La realtà non è dialettica ma parziale, autonoma, singolare; la realtà non è universale, ma radicalmente unilaterale; è prassi che si anticipa e rischia se stessa nel costruirsi come potere particolare.Finalmentefuori dalladialettica,fuoridaogni processo compositivo che è solo processo di mistificazione, fuori dal lavoro come sintesi di opposti,–fuoridallafilosofia cometerrenodiusurpazione ideale del reale, del particolare: così il rifiuto del lavoro trae le conseguenze della scoperta della Rechtsphilosophiecomeindice supremo dell’ideologia borghese e della pratica capitalistica dell’organizzazione dello sfruttamento.Quiilpensiero del particolare col liberarsi della dialettica del lavoro si libera della filosofia come apparizione notturna di una comprensione apologetica del reale; la nottola di Minerva scompare dalla nostra sera […] Forse solo l’odio, come espressione della particolarità insubordinata nella quale cresce il nostro pensiero, può ancora definire la qualità di un rapporto con Hegel. Eppure tuttavia proprio questo sentimento, con la sua intensità, ci lega ancoracontraddittoriamente alui». [153] Il godimento infatti, anche come soddisfazione deibisognipiùelementari,è per Hegel un ritornare a sé dalla scissione, cfr. Hegel, System der Sittlichkeit, in Schriften zur Politik und Rechtsphilosophie, cit., pp. 418-419 (trad. it. di A. Negri, Sistemadell’eticità,inScritti di filosofia del diritto, 1802-1803, cit.,pp.168-169). [154] Hegel, Die Vernunft in der Geschichte, cit., pp. 256257. [155] Ha ragione Trotsky a dire che «i rapporti sociali continuano a formarsi alla maniera delle isole coralline» (Storia della rivoluzione russa, Milano, 1969,vol.II,p.1258)? [156] Hegel, Die Vernunft in derGeschichte,cit.,p.62. Capitoloquarto L’esperienzae leforme: analisi infinitesimale elinguaggio La filosofia hegeliana vuole essere l’erede e la conciliazione sia dell’empirismochedel razionalismo: dell’empirismo, con la 'Fenomenologia', scienza dell’esperienza della coscienza, in cui il sapere apparente è condotto al sapere assoluto o scientifico; del razionalismo, perché dopo la 'Fenomenologia', la ragione può costruire a partire da se stessa, ma avendo alle spalle ilricordodelcammino fenomenologico percorso e l’energia potenziale di seimila anni di storia. Questo legame ora evidenziato dopo un percorsomillenariotra esperienza e universale, tra esperienza e filosofia, tra analisi infinitesimaleegenesi dell’esperienza stessa, così come la nascita dell’idealismo avvenuta a seguito dell’idealismo, sono il punto di partenza per un incontro tra scienza, Io e spirito. Si indaga infine il nesso che Hegel seppe cogliere e porre tra linguaggio ed esperienza storica dei popoli. È stata una grande epoca quella in cui sorse questo principio dell’esperienza quando l’uomo cominciò a vedere, a sentire, a gustare da sé, a darvalore alla natura, a far valere la testimonianza dei sensi come qualcosa di importante, di sicuro, a ritener vero solo quel che veniva conosciuto mediante i sensi. Questa convinzione sicura, immediata, attraverso isensiera il fondamento di questa filosofia così chiamata; da questa testimonianza dei sensi sono appunto scaturite le scienze naturali. E questa testimonianza dei sensi è stata contrapposta alle precedenti maniere di considerare la natura: in precedenza si partiva da princìpi metafisici. In quanto sipartìda rappresentazio sensibili, sientròin conflitto con la religione eloStato. Non è però soltanto la testimonianza dei sensi che è stata opposta alla metafisica dell’intelletto, ma un’altra testimonianza ancora è stata tenuta in alta considerazione e cioè questa, che il vero può aver valore solo in quanto si trova nell’animo, nell’intelletto dell’uomo; e mediante questo intelletto, questo pensare e sentire autonomo si è venuti a contrasto ancor di più con il positivo della religione e delle costituzioni statali di allora. L’uomo imparò ora a osservare, pensare e farsi rappresentazio da sé contro le verità stabilite, i dogmi della Chiesa e allo stesso modo contro il diritto statuale vigente; o, perlomeno ha cercato nuovi princìpi per il vecchio diritto statuale, per rettificarlo secondo questi princìpi. Hegel, Einleitung indie Geschichte der Philosophie[1]. 1.L’esperienza dell’universale Come ci si impossessa, in modo adeguato all’epoca, del «lungo percorso» finora compiuto dallo spirito nella sua storia millenaria? Con quali tratti peculiari la filosofia moderna rispecchia questa «nuova figura» dello spirito e ne utilizza l’energia potenziale accumulata in «seimila anni»?Infatti,lo«spirito del mondo presente è il concettochelospiritosi fa di se stesso; è esso che si tien su e governa il mondo; ed è il risultato delle fatiche di seimila anni, ciò che lo spirito ha effettuato attraverso il lavorio della storia del mondo, ciò che è dovuto risultare da questo lavoro»[2]. Per capire, dobbiamo iniziare dalla fine del Medioevo,dalperiodoin cui, con la filosofia scolastica, «erano stati cavati gli occhi all’uomo»[3]. Allora il «punto centrale» era quello «dell’individuo separato dal mondo e chiusoinsestesso»:«Di fronte alla vita religiosa c’erailmondoesteriore, in quanto mondo naturale, mondo dei sentimenti, delle inclinazioni, della natura dell’uomo, che aveva valore soltanto in quanto veniva superato»[4]. Ma con lo svanire, «dopo lunghe tempeste» della «lunga, terribile, gravida di conseguenze notte del Medioevo»[5], l’«occhio dell’uomosirischiarò,la sua recettività fu eccitata, il pensiero si accinse a un’opera di chiarificazione. Era per gli uomini come se solo allora Dio avesse creato il sole, la luna, le stelle, le piante e gli animali, come se solo allora fossero state fissate le leggi:chésoloadessogli uomini presero interesse a queste leggi, riconoscendo la loro ragione in quella ragione, e scoprendo l’universalenellanatura e nell’intelletto»[6]. Con ciò viene reso onore al finitoealpresente,eda un lato si procede per estensione alla scoperta dell’universo, aguzzando lo sguardo e ampliando il dominio dei sensi con strumenti che permettono di vedere l’infinitamente lontano e l’infinitamente piccolo, da un lato intensivamente, scavando dentro se stessiallaricercadiuna conciliazione fra pensiero ed essere: «La filosofia moderna dell’età […] porta all’opposizione il punto divistadelMedioevo,la diversità del pensato e dell’universoesistentee ha da fare con la sua soluzione. L’interesse precipuoadunquenonè tanto di pensare gli oggetti nella loro verità, quanto di pensare il Pensare e il Concepire gli oggetti, di pensare questa medesima unità, che in sostanza è il divenire cosciente di un oggetto presupposto»[7]. Nell’era moderna – come già si è accennato – l’invenzione della polvere da sparo modifica i rapporti sociali ed elimina le forme di dipendenza personale, così che la forza e l’abilità del singolo abdicano a favore dell’organizzazione collettiva e della dipendenza di ciascuno dall’insieme, che è guidato dallo spirito come «momento direttivo»: «Le fortificazionideicastelli, gli strumenti dell’isolamento individuale, armature e corazze,questepreziose armi di difesa del singolo furono rese inutili:ladistinzionefra signoreeservoperdette così ogni sua forza […] Si può ben deplorare la fine o la decadenza del valore dell’eroismo personale (l’uomo più coraggioso e più nobile può essere ucciso da lontano da un vile appiattatoinunangolo). Ma, in realtà, l’arma da fuoco fece nascere il coraggio superiore, quellopiùspirituale,più razionale,piùcosciente; il momento direttivo divenne ora la cosa principale»[8]. L’umanità si distacca ridendo dal suo passato, e nel Don Chisciotte si inverte il rapporto servo-padrone e ci si beffa del nobile eroismo dei cavalieri erranti, mentre il sanguigno e sensato Sancho consapevole Panza, dei molteplici bisogni dell’uomo e alieno dai misteridellafedeedella cavalleria, diventa il prototipo del nuovo uomo della società civile[9]. L’isolamento del singolo viene incrinato dall’abolizione anche del celibato ecclesiastico da parte di Lutero. In tal modo, «l’uomo, attraverso la famiglia, entra nella comunità, nel reciproco rapporto di dipendenza della società,equestovincolo è etica: mentre i monaci, separati dalla società etica, costituiscono l’esercito stanziale del papa, come i giannizzeri la base della potenza turca. Col matrimonio del sacerdote scompare anche la differenza esterna fra laici ed ecclesiastici (Geistliche). Parimenti anche l’astensione dal lavoro nonfupiùritenutacosa santa, ma si considerò come superiore il fatto che l’uomo, nel suo stato di dipendenza, si rendesse autonomo con la sua attività, intelligenza e diligenza. È più onesto che colui che ha denaro lo spenda, anche se per bisognisuperflui,invece di regalarlo a oziosi e mendicanti, e per lo meno a condizione che essi abbiano attivamente lavorato. L’industria, i mestieri hanno ormai acquistato dignità etica, e sono scomparsi gli ostacoli che venivano opposti a essi da parte della chiesa. Questa aveva infatti dichiarato peccaminoso il prestar danaro per interesse; ma la necessità delle cose portò proprio all’opposto»[10]. In questa difesa dello ‘spirito del capitalismo’ ci sono i tratti più caratteristici di quella cheHegeldefiniscel’età moderna: dominio collettivo del prodotto dell’«attività» e del lavoro di tutti; interdipendenza degli uomini; natura astratta e impersonale dei legami che li uniscono; elogio del lavoro produttivo; prevalenza, al livello economico, della forma monetaria sui«bisogni»concreti. Ma la più grande rivoluzione che si compie con la fine del Medioevoèlaconquista della certezza soggettiva: l’autorità cessa di essere verità insondabile, fondata sulla tradizione e sulla parola di Dio, e deve esibirelasualegittimità. Le «due linee»[11], infine convergenti, l’empirismo e il razionalismo, sono unitedaquestacomune ricerca di una certezza indipendente da ogni autorità esterna. La differenza consiste nel fatto che l’empirismo si appoggia ai sensi, al mondo esterno (senza accorgersi che da essi non può ricavare leggi universali e che l’esperienza non è un mero vedere, toccare ecc.maun’articolazione di conoscenze che coinvolge il soggetto conoscente e tutte le manifestazionidellasua epoca), mentre invece il razionalismo si appoggia all’intelletto e alla metafisica, senza rendersi conto del cammino percorso per giungere al sapere, e anzi cancellandone le tracce in concetti e proposizioni generali definiti fondanti. Empiristi e razionalisti tuttavia, nel loro momentodiverità,sono entrambi accompagnati dall’istinto della ragione[12], che li spinge difattoaoltrepassarela loro unilateralità e le loro stesse intenzioni. Così i primi, seguendo l’esperienza sensibile, giungono alle teorie generali, e credendo di aver a che fare solo col mondo esterno, penetrano invece nel «quieto mondo delle leggi»[13],cheèl’opposto intellettuale di ogni mutevole fenomeno. Succede in tal modo loro quel che era successo a Newton: «Dalle esperienze egli trasse punti di vista generali, che pose poi a fondamento, e su questo costruì l’individuale: ecco le teorie […] Ma nel far questo Newton è talmente barbaro nei concetti, che gli capita quel che è accaduto a un altro suo connazionale, che fece le gran meraviglie e si rallegròquandoapprese che in tutta la sua vita aveva parlato in prosa, non essendosi mai accorto di possedere questa capacità. Newton, come i fisici in generale, non se ne accorseinvecemai,non seppe mai di pensare e d’aver a che fare con concetti;credevadiaver a che fare soltanto con le cose fisiche»[14]. I razionalisti invece, pur partendo dall’intelletto, scoprono nessi reali nel mondo, sperimentano il potere della ragione inconscia nel rivelare il mondo e teorizzano allora: ordo et connexio idearum idem est ac ordo etconnexiorerum. Empirismo e razionalismo lavorano entrambiistintivamente alla costruzione di un nuovo modello di ragione coincidente con l’effettualità; nella loro ricerca di certezza prefigurano l’autocoscienza dello spirito, la raggiunta consapevolezza storica del suo cammino, assimilabile dall’individuo nel percorso fenomenologico. La filosofiahegelianavuole essereappuntol’eredee la conciliazione sia dell’empirismo che del razionalismo: dell’empirismo, con la Fenomenologia, scienza dell’esperienza della coscienza, in cui il sapere apparente è condotto al sapere assoluto o scientifico (col mostrare alla coscienza, attraverso una serie di rovesciamenti, Umkehrungen, che essa non ha a che fare solo con oggetti esterni, ma che l’esperienza è proprioquestocontinuo intreccio di soggetto e oggetto, di singolo e sostanzauniversale);del razionalismo, perché dopolaFenomenologia,la ragione può costruire a partire da se stessa, ma avendo alle spalle il ricordo del cammino fenomenologico percorso e l’energia potenziale di seimila anni di storia. Sapere apparente e sapere costituito, ordine naturale-cronologico e ordinelogico-scientifico, si presuppongono ora a vicenda nell’insieme, e questo spiega infine perché ognuno appaia all’altrocomeunmondo rovesciato. L’apparenza è penetrata nella scienza e la scienza nell’apparenza. Fenomeno e ragione non si escludono più, e anchedalpuntodivista storico la verità è baconianamente filia temporis, proprio tempo appreso in pensieri. Ma ciò non è accaduto, come in Kant – la cui filosofia è da Hegel considerata essenzialmente fenomenologia e sviluppo dell’empirismo[15] – trasformando tutto il sapere in fenomeno e risolvendo il contrasto empirismo/razionalismo con i «giudizi sintetici a priori», bensì assimilando il fenomeno nel sapere senzaridurreilsaperea fenomenoeattribuendo al movimento generale «dello spirito», e non alle trovate dei filosofi, la capacità di conciliare i due opposti versanti della verità e della certezza. 2.Ilpatrimonio dell’esperienzae lafilosofia La filosofia moderna poggiasuunpatrimonio di conoscenze scientifiche concrete che la filosofia antica non possedeva e che danno al movimento della filosofia moderna l’apparenza di un movimento autonomo, di un’«aeronave» (Luftschiff) dei Fernromanen, termine chehalasuatraduzione più adeguata nel nostro «romanzi di fantascienza»[16]. Poggiandosullespalledi questo gigante che avanza con gli stivali delle sette leghe (ossia lo spirito moderno, e nonquellodegliantichi, su cui posa il nano, come nella famosa querelle)[17], la filosofia tocca il suo «etere» e sembratagliaredietrodi sé tutti i ponti con l’esperienza, con le scienze, col proprio tempo. Così dice infatti Hegel, in un passo significativo riferito a Bacone: «L’empiria non è un puro osservare, udire, sentire, ecc., un percepire il singolo, ma tende essenzialmente a scoprire generi, universalità, leggi. Nel compierequestovienea imbattersi nel campo del concetto, qualcosa, genera che appartiene all’ambito dell’idea:preparaquindi il materiale empirico per il concetto, sicché questo è allora in grado di accoglierlo così preparato. Senza dubbio, quando la scienza è già costituita, l’ideadeveprocedereda se stessa; la scienza come scienza non prende più inizio dall’empirico. Ma perchélascienzagiunga all’esistenza è necessario il procedimento dal singoloedalparticolare al generale: attività questa, ch’è reazione alla materia data dall’empiria per elaborarla. L’esigenza del conoscere a priori, quasi che l’idea costruisca dal proprio interno, non è dunque altro che un ricostruire, come fa in sostanza il sentimento nella religione. Senza l’elaborazione delle scienzesperimentaliper sé, la filosofia non avrebbe potuto oltrepassareilpuntocui erano giunti gli antichi. Il tutto dell’idea in se stessa è la scienza compiuta; l’altro però è l’inizio, il corso del suo sorgere. Questo processo del sorgere della scienza è diverso dal corso di essa in se stessa quando è già compiuta, allo stesso modo che il corso della storia della filosofia è diverso dal corso della filosofia medesima. In ogni scienza si procede da princìpi, che da principio risultano dal particolare; ma quando lascienzaècompiuta,si prendono le mosse da essi. Così accade anche nella filosofia: l’elaborazione del lato empirico è diventata in tal modo condizione essenziale perché l’idea possa pervenire al suo svolgimento e alla sua determinazione. Per esempio, perché ci possa essere la storia della filosofia moderna, occorre la storia della filosofia in generale, il percorso della filosofia attraverso tanti millenni: questo lungo viaggio ha dovuto compiere lo spirito per produrre quella filosofia.Nellacoscienza essa prende poi allora una posizione come se tagliassedietroasétutti i ponti: pare che non facciaaltrochelasciarsi andare liberamente nel proprio etere, che si spieghiinquestomezzo senza resistenza: altra cosaèperòlaconquista di questo mezzo e la possibilitàdispiegarvisi. Nondobbiamoperderdi vistachesenzaavercosì proceduto la filosofia non sarebbe mai giunta all’esistenza, poiché lo spiritoèessenzialmente come una lavorazione fattadaaltro»[18]. La filosofia moderna non costruisce quindi dal proprio interno, ma poggiando sul cumulo dell’esperienza, e l’enorme dilatazione della filosofia hegeliana nell’accogliere l’intera realtà, questo lavoro ciclopico, dipende dal fatto che essa ha voluto passare attraverso l’esperienza: «niente vienesaputochenonsia nell’esperienza», «tutto deve essere sperimentato»[19]. L’esperienza stessa è statainoltreampliataal soggetto e alla filosofia ed ha coinvolto nel suo movimento il conoscenteela«verità». Per questo Hegel, per quanto appaia, per altri versi, un nemico dell’empiria, è in realtà «uno dei più forti empirici»[20]. Ma tale affermazione di Korsch, oggettivamente condivisa anche da Adorno, è vera solo se riferita al sapere apparente nel suo costituirsi. L’empirismo resta infatti, come il razionalismo coevo, qualcosa di unilaterale, istintodellaragioneche non può ancora innalzarsi al pensiero puro, perché a ciò i tempinoneranoancora maturi:«Dall’empirismo silevòungrido:lasciate l’aggirarvi a tentoni in astrazioni vuote, guardatelevostremani, coglieteilquidell’uomo o della natura, godete il presente – e non è da disconoscerecheinesso è contenuto un momento essenzialmente giustificato […] Trovare una determinazione infinita era in generale l’istinto della ragione; ma non era ancora giunto il tempo di trovarla nel pensiero»[21]. L’empirismo non è sbagliato, è solo unilaterale, perché considera unicamente laformafenomenicadel sapere, il presentarsi suo alla coscienza, e non la sua organizzazione in un edificio razionale e insegnabile, a prescindere dalla certezzasoggettivadello sperimentare: «Certo, ognuno sa che quando la sua coscienza si svolge empiricamente, egli prende le mosse da sensazioni, da circostanze affatto concrete; e che, in ordine di tempo, soltanto più tardi appaiono le rappresentazioni generali, concreto che col della sensazione hanno il legame di esservi contenute. Per esempio lo spazio viene nella coscienzapiùtardidella spazialità, la specie più tardi del singolo; ed è soltanto l’attività della mia coscienza il separare il generale dal particolare della rappresentazione ecc. Il sentireaognimodoèla guisapiùbassa,laguisa animalescadellospirito; ma lo spirito in quanto pensa, vuol trasformare il sentire a suo modo. Sicché il procedimento seguito da Locke è perfettamente corretto; sennonché egli trascura affatto la considerazione dialettica, in quanto si limita ad analizzare il generale dall’empiricamente concreto»[22]. È anche esatto, per Hegel, dire che «l’uomo muove dall’esperienza quando vuole pervenire a pensieri». In effetti, «tuttoèesperienza,non solo il sensibile, ma ancheciòchedetermina e muove il mio spirito. Quindi la coscienza ha certamente tutte le rappresentazioni e tutti i concetti dall’esperienza e nell’esperienza»[23]. Ma bisogna intendersi sul significato del termine «esperienza»:essanonè altro che «la forma dell’oggettività», come sapere immediato, percezione,presupposto fondamentale: «È assurdo che si sappia alcunché ecc., che non sia nell’esperienza: per esempio l’uomo, sebbene non sia necessario ch’io li abbia veduti tutti, lo conosco certamente per esperienza, giacché, in quanto sono uomo, attività, volere, ho coscienza di quel che sono io e di quel che sono gli altri. Il razionaleè,ossiaènella forma di un esistente per la coscienza, vale a dire questa ne ha esperienza; dev’essere veduto, udito, esserci o esserci stato come fenomeno cosmico. Sennonché, in secondo luogo, questa unione dell’universale con l’oggettivo non è la forma unica: altrettanto assoluta ed essenziale è quella dell’in sé, vale a dire il concepirsi dello sperimentato, ossia il togliersi di questa apparenza dell’esser altro, e il conoscersi la necessità della cosa per se stessa. Ed è del tutto indifferente che si prenda questo come un che di sperimentato, come una serie di concettisperimentali,se così può dirsi, o di rappresentazioni, oppure si assuma la stessa serie come serie dipensieri,valeadiredi termini che sono in sé»[24]. Il concepirsi dello sperimentato non era però stato afferrato in tuttalasuaestensionee l’empirismo fece un passo avanti rispetto al razionalismodiCartesio e di Spinoza, in quanto rifiutò di partire da definizioni come sostanza,infinito,modi, estensione ecc. e cercò l’origine delle idee, kantianamente la «noogonia»[25]. Locke allora, per quanto sotto forma prevalentemente psicologica, compì il tentativo di dedurre i concetti universali[26]. Per far questo fu costretto ad attaccare l’innatismo, a dimostrare che i concetti sono dei derivati, non un prius assoluto e indeducibile, comelevecchieautorità medievali. Tuttavia, secondo Hegel, l’idea di concetti innati conteneva un elemento importante, che Locke ha sfiorato appena: «il loro vero significato è ch’essi sono in sé, momenti essenziali della natura del pensiero, proprietà di un germe, che non esistono ancora; solo rispetto a quest’ultima determinazione c’è del giusto nell’osservazione di Locke»[27]. Ciò che sfuggesiaaLockecheai razionalisti è la differenzafraprimoper noi e primo in sé, fra concreto della sensibilità o della rappresentazione e concreto del pensiero, passato attraverso l’esplicitazione dei germi delle Denkbestimmungen; è, in breve,ladifferenzafrail sorgere della scienza e la scienza già costituita, fra il concreto sensibile o rappresentativo e il concreto del pensiero: «Sentimento e intuizionesonoilprimo, il pensiero l’ultimo; per questo il sentimento ci sembrapiùconcretodel pensiero, che è attività d’astrazione, d’universalità. In realtà però avviene tutto il contrario. È innegabile che la coscienza sensibile in generale è più concreta, e sebbene la più povera di pensieri, è tuttavia la più ricca di contenuto. Dobbiamo quindi distinguere il concreto naturale dal concreto del pensiero, il quale a sua volta è povero di sensibilità»[28].Delresto, non esiste per Hegel il sensibileallostatopuro, la sensazione vergine e innocente: in tutte le manifestazioni della vita psichica umana è già presente il pensiero che universalizza, ritaglia,collega,nomina, anche se mediante processi così veloci e abitudinari che la coscienza comune non riesce ad avvertirli. Adorno ha perciò stabilitounrapportofra questa concezione hegeliana e quella della Gestaltpsychologie. Infatti, anche la «teoria dellaGestalthamessoin chiarochenonsidàmai ilsensibileisolatoenon qualificato,macheesso è sempre già strutturato»[29]. Hegel, dunque, cercando di armonizzareleposizioni di Locke e di Leibniz, sostiene che la vita psichica dell’uomo è un amalgama di diverse facoltà, che non vanno concepite come «sacchi»,macomeforze operanti,conildominio alterno di un momento o dell’altro, ma nella compresenza del tutto. Si passa così da un minimo di pensiero nel sensibile a un massimo nel pensiero puro, ma non secondo lo schema leibniziano della continuità e del passaggio dall’oscuro al chiaro,bensìsecondolo schemateleologicodella linea dall’implicito all’esplicito e dalla subordinazione del momento più basso a quello più alto. In questo senso, il detto «chesisuolefalsamente attribuireadAristotele», nihilestinintellectu,quod non fuerit in sensu, deve essere integrato con il suoopposto:«nihilestin sensu, quod non fuerit in intellectu»[30]. Se tutto è perciòcompenetratodal pensiero, anche l’esperienza non potrà restare un al di là inesprimibile e limitato, ma dovrà costituirsi in sapere organizzato, in scienza dell’esperienza e poi in scienza senza aggettivi. Questo processo si compie nel corsodiunsecolocirca, a partire dal Saggio di Locke. Con l’illuminismo «il pensiero fu insediato nel trono»[31] e si sono prodotte le condizioni generaliperunincontro fra ragione ed effettualità, fra ragione ed esperienza. Attraverso la Rivoluzione francese è stato idealmente tolto il positivo, e ora il pensiero procede dovunque – secondo i diversi«princìpilocali»– a consolidare il suo regno, a far diventare consapevole il suo cammino. Le scienze naturali e la matematica, abbandonate le vecchie diatribe, sono giunte senza saperlo ai confini della ragione dialettica e, talvolta, li hanno oltrepassati, nell’analisi come infinitesimale con Lagrange e Carnot. Tuttavia esse hanno ancora paura di affrontare le contraddizioni che si generano all’interno dei loro stessi campi: «La rappresentazione della polarità, che è di tanto uso nella fisica, contiene in sé la più esatta determinazione dell’opposizione; ma, benchélafisica,nelsuo modo di considerare i pensieri, si attenga alla logica ordinaria (gewöhnliche Logik), essa si spaventerebbe se svolgesse la polarità e giungesse ai pensieri che in quella sono contenuti»[32]. La filosofiahegelianavuole assimilare e tradurre in termini concettuali la nuova problematica che sorge sul terreno della scienza, prolungarne idealmente le linee di tendenza implicite ed eliminarne le rappresentazioni inadeguate. Questo vale soprattutto per l’avanguardia di questa nuovascienza,ilcalcolo infinitesimale, e anche qui, seppur al livello di intenzioni, Hegel è molto chiaro: la filosofia, come non può assumere una veste matematizzante, alla Spinoza, così non deve pretendere di creare una «matematica filosofica». Essa deve anzi conservare alla matematica «il vantaggio che ha di fronte alle altre scienze della medesima sorta, e non lo si turbi col mescolarvi il concetto a essa eterogeneo, o gli scopi empirici»[33]. Il compito della filosofia, nell’assorbire le scienze empiriche,intellettualie confinanti con la ragione dialettica è sempre lo stesso, già in parte esposto: «La genesidellafilosofiadal bisogno […] ha per suo punto di partenza l’esperienza, la coscienza immediata e raziocinante. Da ciò eccitato come da uno stimolo, il pensiero si comporta essenzialmente così che, dalla coscienza naturale, sensibile e raziocinante, si solleva nel puro elemento di se stesso, e così si pone dapprima in una relazionenegativaverso quel punto di partenza da cui s’è allontanato […]Talestimolostrappa il pensiero da quell’universalità e da quella soddisfazione che si è procacciata soltanto in sé, e lo spinge a svolgersi movendo da se stesso. Questo svolgimento, da una parte, è semplicemente ad accogliere il contenuto con le sue molteplici determinazioni date; dall’altra parte, plasma questo in modo che proceda liberamente, nel senso del pensiero originario,eseguendola necessità della cosa stessa»[34]. 3.Analisi infinitesimalee genesi dell’esperienza Non posso non fare un’osservazion sul vecchio Hegel, al quale Lei nega la più profonda conoscenza nel campo della matematica e delle scienze naturali. Hegel sapeva tanta matematica che nessuno dei suoi scolari fu in grado di pubblicare i numerosi manoscritti del suo lascito. L’unica persona, a quanto neso,che capisce abbastanza di matematica e di filosofia per poterli pubblicare, èMarx. Engelsa Lange[35]. Il calcolo infinitesimale, nei suoi più recenti sviluppi, contiene per Hegel implicitamente sia il concetto di «vero infinito», sia il modello astratto del processo mediante il quale la massa delle variazioni minime si risolve in «rapporti» e costituisce lo sviluppo dell’esperienza verso il concetto. Dividerò l’argomentazione hegeliana – nel suo intreccio con la matematicadell’epoca– in tre aree intersecantesi: 1) La relazione finito-infinito nell’interpretazione del calcolo differenziale e integrale; 2) L’analisi infinitesimale e l’immagine del sistema; 3) Il problema della ‘distruzione’ del sensibile e il fluire dell’esperienza. I matematici posseggono, secondo Hegel, il vero infinito, ma non lo evidenziano: si accontentano dello «sbrigativo: Développons»[36] e dei successi operativi ottenuti,ma«ilsuccesso non giustifica di per sé la maniera di procedere»[37]. Nel calcolare il differenziale (o,newtonianamente,la flussione)dx,nonsipuò infatti né uguagliare dx a zero, né attribuirgli una quantità finita. Bisogna che l’«infinitamente piccolo», la «quantità evanescente», sia contemporaneamente conservata e soppressa (proprio aufgehoben, come gli opposti dialettici), utilizzata e ripudiata, sia = 0 e non lo sia. Altrimenti l’edificiodelcalcolonon regge, e, ad esempio, l’integrale definito f (x) dx = 1 non ha alcun senso, perché esso vale solo a condizione che siadx≠0,perquantodx si rapporti invece a x come se fosse effettivamente = 0[38]. A causa di questa contraddizione concettualmente non risolta nella sfera matematica, il calcolo è travagliato «dall’apparenza dell’inesattezza»[39] ed è costretto a ricorrere per giustificarsi o all’immaginazione, all’analogia cinematica di un punto che scorre su una retta, o all’ipotesi nebulosa di quantités négligeables, così piccole che nel complesso possono essere trascurate. All’analista, però, rimane, come retrogusto, il sospetto che qualcosa non quadri.Anchequi,come nell’economia politica classica, si cerca la spiegazione del miracolo operativo mediante la «mano invisibile» che guida il calcolo, la ratio. Malgrado l’infinito matematico non riesca a fondare la legittimità se sua non attraverso l’esibizione dei risultati conseguiti, esso ha per Hegel una funzione decisiva perché annienta il concetto di «infinito metafisico», di un infinito cioè assolutamente opposto al finito: «Dal punto di vista filosofico l’infinito matematico è però importante per questo, che, nel fatto, vi sta in fondo il concetto del vero infinito, e ch’esso stamoltoaldisopradel cosiddetto infinito metafisico, in base al quale si muovono le obiezioni contro il primo. Da queste obiezioni la scienza della matematica non sa spesso salvarsi altro che rigettando la competenza della metafisica, coll’affermare di non aver nulla da spartire con questa scienza, né di doversi curare dei concetti di essa, purché rimanga conseguente a sé sul suo proprio terreno. La matematica non avrebbe cioè da ricercare ciò che è vero in sé, ma ciò che è vero nel campo suo proprio. La metafisica colle sue obiezioni contro l’infinito matematico non sa negare né abbattere i brillanti resultati dell’uso di esso, e la matematica non sa venire in chiaro circa la metafisica del suo proprio concetto e quindi nemmeno circa la deduzione delle maniere di procedere, che l’uso dell’infinito rendenecessarie»[40]. In effetti, c’è stato, secondo Hegel, negli ultimitempiunfecondo movimento convergenza di tra metafisica e calcolo infinitesimale, e con il Sur les principes métaphysiques du calcul infinitésimal di d’Alembert, con la Théorie des fonctions analytiquesdiLagrangee con le Réflexions sur la métaphysique du calcul infinitésimal di L.N.M. Carnot[41]sisonoattinte vedute profonde. In precedenza, se si prescinde dall’intuizione spinoziana di un infinitum actu[42], le concezioni dell’infinito, in particolare dell’infinitamente piccolo, erano inadeguate, «conformemente alle condizioni in cui il metodo scientifico si trovava a quell’epoca»[43], ossia non facevano che spiegare «quel che si doveva intendere sotto una determinata espressione». Così Newton, nei Principia (libro I, lemma XI, scolio), considera i divisibili evanescenti comelimitesdisommee dirapportinelmomento in cui svaniscono (quacum evanescunt), né prima né dopo[44]. Oppure si procedeva, come il Marchese de l’Hospital, nell’Analyse des infiniment petits, pour l’intelligence des lignes courbes, o come Wolff, nel Der Anfangs-Gründe aller mathematischen Wissenschaften letzter Theil[45], circondati dalla «nebbia dell’infinitamente piccolo»[46], a trattare il dx in quanto stato di una grandezza così piccola, secondo le immagini di Wolff, che la si potrebbe paragonare a un granello di sabbia che il vento abbia portato via dalla cima di una montagna – senza per questo renderla più bassa –, o così insignificante e indiscernibile come il profilo delle asperità dellasuperficieterrestre nell’ombra proiettata dalla Terra sulla Luna duranteun’eclissi[47]. Dopo d’Alembert, con loscrittosopraricordato econlevociDifférentiele Limitedell’Encyclopédie,il più acuto indagatore delle implicazioni teoriche dell’infinito fu, alla fine del Settecento, Lagrange. Quando era ancora a Berlino come successore di Eulero al dipartimento matematico dell’Accademia delle scienze, egli fece indire nel1784unconcorsosul tema: trovare «une théorie claire et précise de ce qu’on appelle Infini en Mathématique»[48]. Il premio fu vinto da Simon L’Huilier, con la Principiorum calculi differentialis et integralis expositio elementaris, pubblicata a Tubinga solo nel 1795, quando Hegel era ormai a Berna[49]. Successivamente Lagrange, dopo il suo trasferimento a Parigi, decise di dedicarsi di persona alla soluzione delproblemaprendendo una nuova strada, nelle sue intenzioni puramente algebrica, cheavrebbeeliminatole nozioni di limite e di infinitamente piccolo, come è programmaticamente annunciato nel sottotitolo stesso della Théorie des fonctions analytiques: Les principes du calcul différentiel, dégagés de toute considération d’infiniment petits ou de limites. In tal modo, riprendendo il modello newtoniano della serie, Lagrange ottenne estremo risultati di rilievo: dimostrò la formula di Taylor, con l’espressione del resto (restodiLagrange)come integrale, valutabile attraverso il teorema della media. Tuttavia, malgrado l’impostazione di Lagrange avesse dato tuttiquestifruttieposte le basi del metodo di Weierstrass sulla teoria delle funzioni di una variabile complessa (nonché delle moderne serie formali algebriche), essa fu «in relazione al suo scopo immediato[…]unpasso indietro piuttosto che un progresso»[50]. La tendenziale rimozione del concetto di limite contrasta infatti singolarmente con la nuova direzione che l’analisiassumeràdilìa poco con Abel, Gauss e Cauchy[51]; inoltre la formula di sviluppo di Lagrange non ha valore generale, ma è estensibile solo a un determinato gruppo di funzioni. Per Hegel, invece, «la scuola francese», ossia Lagrange e l’ultima leva di matematici francesi, hanno toccato il punto più alto della matematica contemporanea[52]. Egli considera determinante il principio lagrangiano per cui «la differenza, senza che diventi zero, può esser presa così piccola, che ciascun termine della serie superi in grandezza la somma di tutti i seguenti»[53]. Disgraziatamente per lui, la «fastidiosa serie» non è un di più: «La serie, poiché non è dessa che nel fatto vien cercata, si porta dietro un troppo, nel levar daccapo il quale consiste la superflua fatica.Daquestafaticaè oppresso anche il metododiLagrange,che nuovamente ha di preferenza accolto la forma della serie»[54]. Nel sovrapporre il «concetto» filosofico al reale piano operativo dellamatematica,Hegel ha qui lasciato cadere quell’aspetto seriale che, da J.B. Fourier in poi, avrebbe assicurato alla matematica i maggiori successi[55]. L’analisi infinitesimale ha imboccato storicamenteunastrada diversa da quella indagata da Hegel, il qualetuttaviahaintuìto l’importanza della serie di potenze[56] ed è stato inoltre – come riconosceràB.Bolzano– forse l’unico filosofo che, grazie al rifiuto della forma seriale, ha concepito l’infinito in un punto: «Così una parte semplice del tempoodellospazio(un puntoneltempoonello spazio) non possiede alcun limite, piuttosto viene ma esso stessoconsideratocome un limite (di un intervallo di tempo o di una linea); la maggior parte delle persone infatti lo definisce proprio così, come se questafosselasuavera e propria essenza; ma con tutto ciò non si è mai dato che qualcuno (con l’eccezione forse di Hegel) scorgesse un’infinità in un semplice punto»[57]. È altresì interessante osservare come Hegel abbia utilizzato la possibilità offerta da Lagrange di presentare il tempo, all’interno della meccanica, come quartadimensionedello spazio, e abbia dialetticamente esposto ilpassaggiodallospazio al tempo in questi termini: «Poiché, dunque,lospazioèsolo questa intima negazione di se stesso, cosìiltogliersidasédei suoi momenti è la sua verità; il tempo è ora appunto l’esserci di questo continuo togliersi da sé; il punto ha, dunque, realtà effettualeneltempo»[58]. La diffidenza hegeliana nei confronti della forma seriale si spiega con la sua avversioneneiconfronti del «cattivo infinito», evocato nuovamente dalla serie. Così, secondo lui, l’infinito affermativo effettivamente racchiuso è come rapporto in e non nel suo sviluppo seriale (per a < 1), sotto forma di 1 + a + a2 + a3 …, in cui la totalità contenuta in deve essere rincorsa invano all’infinito[59]. Analogamente,l’infinito affermativo è racchiuso nellafrazione enonin 0,285714… Nel coefficiente differenziale , in quanto «unico segno indivisibile»[60], e non nel dx, in quanto «infinitamente piccolo». Nel coefficiente differenziale il quantum è tolto come taleeladeterminazione qualitativa, negata dalla quantità, ritorna in sé dalla sua differenza, oltrepassando i limiti e le barriere quantitative[61]. La quantità, attraverso l’infinitesimo, si trasformainrapporto. GiànellaLogicadiJena (1804/1805) il rapporto finito-infinitoèmutuato dal calcolo infinitesimale, interpretato come campo in cui la grandezza scompare e lascia come residuo dei rapporti: «Una cosa non svanisce nell’assolutamente piccolo, come non va oltre di sé nell’assolutamente grande; lo svanire non diviene comprensibile mediante aumento o diminuzione, poiché la grandezza è essenzialmente questo: non è una determinatezza della cosa stessa […] Nell’infinitamente piccolo, in verità, scompare interamente lagrandezza»[62]. Con la scomparsa della quantità e la sua trasformazione in rapporto si genera l’insieme come sistema di momenti, in cui ciascuno di essi si conserva proprio nel suo essere tolto, superato: «Un sistema di momenti è un’unità dioppostichenonsono nulla al di fuori di questa opposizione, al di fuori di questo rapporto, e neppure hanno,percosìdire,più un resto l’uno rispetto all’altro per cui sarebbero per sé, ma si regolano in un certo modo l’uno sull’altro, così che, in effetti, si tolgono nell’atto stesso in cui vengono rappresentati nella loro opposizione al sistema come unità […] L’irrequietezza annientantedell’infinito è soltanto attraverso l’essere di ciò che annienta; il tolto è proprio assoluto in quantoètolto;nascedal suo trascorrere, perché il trascorrere è soltanto in quanto è qualcosa che scompare. Ciò che in verità è posto nell’infinitoècheessoè il vuoto in cui tutto si toglie»[63]. Nella rete di rapporti che si viene così a costituire, ogni momentohavalorenon in sé ma in quanto si riferisce ad altro, si rettifica continuamente sulla base di tutti gli altri, diventa variabile dipendente del tutto. Il quanto infinito, come momento, «è in unità essenziale col suo altro, solo come determinato mediante questo suo altro, vale a dire ha un significato solo in relazioneaqualcosache sta con lui in rapporto. Fuor di questo rapporto è zero»[64]. Attraverso il calcolo infinitesimale Hegel oltrepassa la concezione di Schelling, dell’«Assoluto» come insieme di differenze meramente quantitative, e sostituisce alla serie schellinghiana delle «potenze» (all’interpretazionedella realtà come una base identica con diversi esponenti successivi: a, a2, a3, a4 …) il concetto dialettico di qualitativo, salto di trasformazione della quantità dei quanta in rapporto in cui riaffiora la qualità. E in questo stesso modo Hegel interpreta i mutamenti della sua epoca: il vecchio mondo si dissolve, si «sbocconcella», ma non cade nel nulla. Come il dx, è contemporaneamente = e ≠ 0. Resta di esso una negazione determinata, un fitto reticolo di rapporti in continua modificazione e rettificazione reciproca; una totalità di dx quasi impercettibilichenonsi risolve in lente modificazioni, ma in rivoluzioni, in nuovi rapporti, nel «nuovo mondo». Si ricordi ancora la Prefazione alla Fenomenologia:«Delresto non è difficile a vedersi come la nostra età sia un’etàdigestazioneedi trapasso a una nuova èra; lo spirito ha rotto i ponticolmondodelsuo esserci e rappresentare, durato fino a oggi; esso sta per calare tutto ciò nel passato e versa in un travagliato periodo di trasformazione. Invero lo spirito non si trova mai in condizione diquiete,presocom’èin un movimento sempre progressivo. Ma in quel modo che nella creatura, dopo lungo placido nutrimento, il primo respiro, – in un salto qualitativo, – interrompe quel lento processo di solo accrescimento quantitativo, e il bambino è nato; così lo spirito che si forma matura lento e placido verso la sua nuova figuraedissolvebranoa brano l’edificio del suo mondo precedente»[65]. Ma il nuovo mondo che sorge non è mai un mondo senza articolazioni nuove, un puro incremento quantitativo del vecchio: esso è anche qualitativamente diverso, irripetibile. Perciò lo studio della storia non insegna niente; perciò Hegel attacca ferocemente le utopie come semplici inversioni positive del presente; perciò, infine, è così duro con Fries e quanti propongono la distruzione dei rapporti politici ‘razionali’ attraverso il richiamarsi alla confusa immediatezza del sentimento, in cui tutto si risolve in una pappa: «È questo il principale intento della superficialità: collocare la scienza, invece che nello sviluppo del pensiero e del concetto, più tosto nell’osservazione immediata e nell’immaginazione accidentale; far dissolvere, quindi, la ricca membratura dell’ethosinsé,cheèlo Stato, l’architettonica della sua razionalità, che con la determinata distinzionedellecerchie della vita pubblica e dei suoi diritti e col rigore dellamisura,nellaquale si regge ogni pilastro, arco e sostegno, fa nascere la forza del tutto dall’armonia delle sue parti; – far dissolvere, dico, questa plastica costruzione nella pappa del “cuore, dell’amistà e dell’ispirazione”»[66]. Pensareilpropriotempo secondo il modello offerto da questa interpretazione del calcolo infinitesimale significa anche, per Hegel, tradurre questi piccoli mutamenti, ‘da talpa’, in mutamenti rivoluzionari (la caduta della «crosta terrestre»); oppure concepire l’avanzata del «gigante» quale «un movimento impercettibile come quello del sole», lento ma inesorabile. I segni premonitori della rivoluzione non consistonoquindi,come nellastoriografiaantica, nell’apparizione di fenomeni soprannaturali o mostruosi[67], ma nella capacità di trasformare concettualmente queste impercettibili modificazioni in rapporti di tendenza, in linee di frattura non ancora evidenti a tutti; nel vedere cioè l’epoca come insieme di relazioni che si modificano continuamente, rettificandosi a vicenda, inunospaziocomplesso in cui continuo e discontinuo si negano dialetticamente in salti qualitativi o in una «linea nodale» (Knotenlinee)[68]. Il movimentocomplessivo dell’epoca infrange continuamente i limiti precedentemente posti e questo movimento deve riprodursi nella filosofia, altrimenti si colgono soltanto gli aspetti parziali, come nella Reflexionsphilosophie, e dell’insieme dell’epoca restano in mano i «Mercurietti» o i «granelli» del Monte Bianco, cioè l’infinitamentepiccoloe insignificante nel senso diWolff. 4.Distruzionedel finitoeidealismo La cosiddetta ‘distruzione’ del finito e del sensibile da parte di Hegel – sulla quale ha particolarmente insistito storiografia certa filosofica italiana[69] – non nasce tanto sul terreno della mistica o del ritorno a Platone, quanto sulla base del calcolo infinitesimale e della sua «metafisica», della trasformazionedeldxin . La polemica condotta contro la ‘cancellazione’ del sensibile e del finito in Hegel ha tuttavia degli aspetti che non si possono ridurre a una semplice interpretazione di testi. Essa acquista il suo senso pieno e il suo versantepositivoinuna situazione storica, più o meno fra il 1948 e il 1962[70], in cui la rivendicazione del sensibile, dell’«uomo in carne e ossa» come soggetto di bisogni sociali e agente della trasformazione, contrastava sia con la tradizione culturale idealistica, sia con l’egemonia di forze religiose e politiche. In questo contesto, la ripresa e lo sviluppo di temi di Feuerbach o del giovaneMarx,l’accenno posto sulla scientificità della filosofia, sull’astrazione «determinata» o sull’intelletto, aveva un peso diverso rispetto a oggi,aunperiodoincui, fral’altro,l’interesseper le funzioni dell’astratto, delleforme,deisistemi, deriva dalla percezione storica del loro potere sul «concreto»; a un periodo, insomma, in cui il problema del sensibile va riformulato[71]. Nell’atteggiamento hegeliano nei confronti del sensibile e del finito non è il platonismo l’elemento caratterizzante, ma la mancanzadi«tenerezza per le cose»[72], l’affermazione – ideologica, se si vuole – della prevalenza del movimento e della mediazione sulla stasi del riposante su se stesso e dell’immediatezza. La soppressioneconservazione del finito e del sensibile da parte di Hegel è il pendant del rafforzamento dei concetti di Wirklichkeite di Gegenwart. Contro il sublime kantiano del «cielo stellato sopra di me» e della «legge morale in me», Hegel vuole operare una convergenza di questi due elementi insondabili sul presente effettuale, sull’infinito affermativo che esso contiene; di fronte al progresso infinito di Fichte,alrifugiarsinegli ideali dei romantici e dei «giovani», di fronte alla «mestizia» che provoca la dissoluzione del finito, il suo è un invito all’immanenza, ad accettare e a guardare in faccia il «negativo» con la sua «mostruosa potenza» (ungeheure Macht) e senza fuggire, a dominare la «devastazione» e a ritornare in sé da essa: «Il finito non solo si muta, come il qualcosa in generale, ma perisce; e non è già soltanto possibile che perisca, quasichepotesseessere senza perire, ma l’esseredellecosefinite, cometale,stanell’avere perloroesseredentrodi sé il germe del perire: l’oradellaloronascitaè l’ora della loro morte. Il pensiero della finità delle cose porta con sé questa mestizia, perché una tal finità è la negazione qualitativa spinta al suo estremo, perché alle cose, nella semplicità di codesta determinazione, non è più lasciato un essere affermativo distinto dallalorodestinazionea perire»[73]. Ma il finito non si riduce a nulla, esso vive nel suo stesso annullarsi,nell’integrale dell’intero: «Ché se il finito non dovesse perire nell’affermativo, masidovesseintendere lasuafinecomeilnulla, allorasaremmodacapo a quel primo, astratto nulla, che è esso stesso perito da un pezzo»[74]. Invece esso esiste nel movimento del tutto e astrattamente stesso ha lo valore dell’infinitoseparatodal finito, per cui si potrebbe anche dire, da questo punto di vista, che Hegel distrugge l’infinito,comedelresto fu affermato da quanti gli attribuivano la negazione trascendenza della di Dio. Difatti, «tanto il finito quanto l’infinito son così questo movimento, di tornare ciascuno a sé per mezzo della propria negazione. Essi son soltanto come mediazione in sé, e l’affermativo ambedue contien di la negazione di ambedue, ed è la negazione della negazione […] L’intelletto recalcitra tanto contro l’unità del finitoedell’infinito,solo perché presuppone comepersistentitantoil termine e il finito quanto l’essere in sé. Con ciò gli sfugge la negazione di ambedue, laqualesitrovadifatto nel progresso infinito; come anche gli sfugge che il finito e l’infinito stan costì solo come momenti di un tutto, e che vi si presentano ciascunosolopermezzo del suo opposto, ma insieme, essenzialmente, per mezzo del togliere del suoopposto»[75]. L’idealismoèappunto per Hegel la negazione della realtà del finito al difuoridelsuorapporto all’insieme: «La proposizione che il finito è ideale, costituisce l’idealismo. L’idealismo della filosofia consiste soltanto in questo, nel non riconoscere il finito come un vero essere». Al livello di «coscienza comune» si associa l’idealismo di Hegel alla negazione della realtà esterna in quanto tale, al credere che esso consideri il sensibile come vuota apparenza. Ma idealismo non significa affatto questo: èilrisvoltonegativodel concetto di spirito («il vero e proprio idealista»)[76], ossia esprime quella stessa totalità, espressa dallo spirito come confluenza del tutto, sotto forma negativa del tutto di contro alle parti. Il dissolversi del finito e del sensibile in rapporti permette al pensiero e allo spirito la sua estrema mobilità: le cose e gli avvenimenti vengono ora strappati dallaloroimmediatezza ed elaborati. L’altro grande modello ausiliariodellarelazione idealecolfinitoèinfatti il lavoro umano: a differenza dell’«appetito» (Begierde) che consuma l’oggetto (anchesepoinesegueil processo di assimilazione), il lavoro non distrugge l’oggetto ma lo plasma, lo «idealizza» secondo un fine.Daquilafrequenza delle metafore hegeliane sul «lavoro dellospirito»elanatura stessa del suo operare[77], una frequenza che colpì molto Adorno[78]. L’idealismo si presenta, dunque, piuttosto come volontà di lavorare e assimilare il mondo, di varcarne continuamente i limiti, che come negazione di esso. In questo senso, è affermazione della fluidità del mondo contro ogni zona di stagnazione, ogni difesa dei propri limiti. È «coraggio» del conoscere al quale l’essenza dell’«universo» deve squadernarsi davanti nelsuoprocesso. 5.Genesiefluire dell’esperienza Nell’interpretare le Réflexions sur la métaphysique du calcul infinitésimal di Carnot, Hegel osserva che il conservarsidelrapporto attraverso il dileguare dei quanti è possibile grazie alla «legge della continuità». Essa esprime la «vera natura della cosa», poiché non produce un cattivo infinito, ma un passaggio al «vero infinito»,incuiciòcheè continuo è solo il rapporto: «Esso è tanto continuo e tanto si conserva, che anzi non consistechenelmettere in rilievo il puro rapporto e nel far dileguare la determinazione irrelativa, la determinazionecioèche un quanto, il quale è lato o termine di un rapporto, sia ancora un quanto, anche quando sia posto fuor di questa relazione»[79]. A questo punto Hegel aggiunge significativamente: «Questa depurazione del rapporto quantitativo non è quindi altro che ciò che accade quando un esistere empirico viene concepito. Cotesto esistere viene allora elevato sopra se stesso, per modo che il suo concetto contiene bensì le medesime determinazioni che sono in esso, ma però comprese nella loro essenzialità e nell’unità del concetto, dove hanno perduto la loro sussistenza indifferente e inconcettuale»[80]. Come si deve intendere questo passo? In prima approssimazione,sipuò dire che Hegel istituisce un parallelismo o una proporzione fra il processo per cui il dileguare dei quanti si trasforma in rapporto e quellopercuil’«esistere empirico» si trasforma inconcetto:a:b=c : d. In entrambi i casi, il primo elemento delle due relazioni (a e c) viene «elevato sopra se stesso», non cancellato, e tradotto in rapporti che contengono le stessedeterminazionidi partenza ma «nell’unità» (b e d). In altritermini,ilrapporto, cosìcomeilcoefficiente differenziale , deve essereinteso,alparidel concetto, come contenente «l’identità dell’identità e della non identità», cioè le determinazioni del rapporto condotte all’unità, sottratte all’immediato, al fluire quantitativo e al fluire dell’esperienza e inseritenellafluiditàdei rapporti concettuali dialettici. Lo svanire del sensibile e il suo progressivo tradursi in relazioni percettive, intellettualierazionaliè da Hegel esposto sia nella Fenomenologia (col passaggio dalla «certezza sensibile» alla «percezione», all’«intelletto» e alla «ragione»), sia, per quanto riguarda il linguaggio, che è «l’uccisione» del sensibile[81], nella Realphilosophie di Jena e nell’Enciclopedia. Per cogliere il senso del discorso hegeliano bisogna riferirsi a Kant. Dietro la trattazione del calcolo infinitesimale sta la critica alle Anticipazioni della percezione, e cioè al principio kantiano per cui: «In tutti i fenomeni il reale che è oggetto dellasensazionehauna quantità intensiva»[82]. Kant si pone qui il problema del passaggio dalla coscienza empirica, la percezione, «quella coscienza in cui c’è insieme la sensazione», alla coscienza pura. C’è qualcosa nella sensazione che si può conoscereaprioriedèil grado, ossia la sua intensità reale. Noi possiamo così sapere in anticipo che ogni sensazione ha un grado e che l’assenza di sensazioni nella coscienzaè=0.Dazero in poi c’è un continuo fluente, che viene però appreso istantaneamente dalla coscienza, e non attraverso sintesi successive. Ma poiché spazio e tempo sono «quanta continua», punti e istanti sono allora limiti o, newtonianamente, quantità fluenti: «Quantità di questo genere si possono chiamare anche fluenti, poiché la sintesi (dell’immaginazione produttiva) è nella loro formazione un processo nel tempo, la cui continuità si suole indicare in particolare coll’espressione fluire (scorrere)»[83]. Il grado è irrappresentabile nello schema spaziotemporale dell’estetica trascendentale e presenta notevoli difficoltà teoriche nella costruzione della Critica della ragion pura; infatti, esso,conilsuocarattere «granulare» è aspaziale e atemporale[84]. Per Hegelinvecenonesiste, inprimoluogo,quantità intensiva che non sia anche estensiva: «Il grado di calore, p. es. il 10o, il 20o ecc., è una sensazione semplice, è unchedisoggettivo.Ma questo grado ci è anche presente come una grandezza estensiva, come dilatazione di un liquido, dell’argento vivo nel termometro, dell’aria oppure dell’argilla ecc. Un più alto grado di temperatura si esprime con una più lunga colonna di mercurio oppure con un più ristretto cilindro di argilla;essoriscaldauno spazio più grande nella stessa maniera che un grado inferiore riscalda soltanto lo spazio più piccolo […] Così pure nello spirituale l’alta intensità del carattere, del talento, del genio, è insieme un esistere che arriva lontano, di una efficacia estesa e di un concettomultilaterale.Il più profondo concetto ha il significato e l’applicazione più universali»[85].Inoltre,in secondo luogo, per Hegel nella formazione dell’esperienza non si tratta tanto di un’apprensione istantanea del quantitativo, di una sintesi del fluente, ma della sua trasformazione in rapporti; nell’elevare la sensazionealdisopradi se stessa, la quantità intensiva e quella estensiva vengono entrambe tradotte e condensate in relazioni concettuali.Equestosia perché nell’uomo, come si è detto, non esiste il sensibile allo stato puro («L’uomo è perciò semprepensante,anche quando intuisce; se considera un qualche cosa lo considera sempre come un universale, se fissa un singolo, lo pone in evidenza, allontanando la sua attenzione da altro»)[86]; sia perché – contro Kant – allo spirituale compete una ben altra intensità che non quella quantitativa: «Allo spirito compete certamente l’essere, ma di una tutt’altra intensitàchenonquella del quanto intensivo, anzi, di una intensità tale, che la forma dell’essere soltanto immediato e tutte le categorie di esso vi stanno come tolte. Non bisognava soltanto concedere la rimozione della categoria del quanto estensivo, ma rimuovere addirittura quella del quanto in generale. Altra cosa è poi di conoscere come nellaeternanaturadello spirito sia, e come da essa sorga, l’esistere, la coscienza, la finità, senza che lo spirito diventi perciò una cosa»[87], Nello «spirituale»delpensiero umano il sensibile è conservato nel movimentodeirapporti, e l’esperienza si potrebbe appunto definire, da questo angolovisuale,comeun processo incessante di trasformazione dell’essere empirico e del finito in relazioni chetendonoessestesse, per la vis veri, al concetto e alla sua totalità, giacché la totalità non è una sommatoria, un cumulo quantitativo di determinazioni, ma la loro articolazione dialettica nell’unità del concetto. La totalità è già presente implicitamente nel finito e nelle parti, che vialludonoelacercano, allo stesso modo che il singolo organo allude all’interoorganismoelo presuppone[88]. Il «concepirsi dello sperimentato», ossia la suaconcettualizzazione, nonèalloraaltrosenon il porre in evidenza l’organizzazione implicita del finito, visibile solo nella sua connessione e articolazione totale. In terminihegeliani,anche qui il finito ha la sua «verità»nell’insiemedei rapporti. Al livello fenomenologico, del come dalla natura dello spirito sorga il sapere per se stesso e per la coscienza,l’Erinnerungsi rivela quindi come il ricordo universalizzante dello svanire del finito nel flusso, e come possibilità di fissare il fluire dell’esperienza attraverso il ricordo in quanto ‘legge della continuità’. Pur nel legame, Lagrange aveva tenuto sempre distinti calcolo matematico ed esperienza[89], e Hegel nota che nella «moderna forma analitica della meccanica», le leggi vengono enunciate «senza guardare se abbiano per sé in se stesse un senso reale, cuicorrispondacioèuna esistenza e senza preoccuparsi di fornire di ciò una prova»[90]. In tal modo, mentre i matematici precedenti presentavano i loro calcoli in costruzioni geometriche, ora con il metodo analitico «si dà come un trionfo della scienza, di trovare al di là dell’esperienza, per mezzo del semplice calcolo, delle leggi, cioè dei principi dell’esistenza, i quali non hanno alcuna esistenza»[91]. Prima, con l’ausilio delle costruzioni geometriche, accadeva spesso che ciò che doveva essere dimostrato attraverso il calcolo veniva solamente attraverso intuìto la raffigurazione spaziale; ora invece, col prescindere dall’esperienza, si vogliono distinguere dalla realtà le proposizioni matematiche. La «via semplice e giusta» che Hegel sostanzialmente approva è quella di Lagrange nella Théorie des fonctions analytiques[92]: separare il «miscuglio di esperienzaeriflessione» che c’è nella matematica[93] e tenere distinti, anche se ovviamente non estranei, i suoi dominii da quelli della fisica. Finché non sia stato chiarito «il divario tra quelli che son soltanto termini dello sviluppo analitico e quelle che sono esistenze fisiche, lospiritoscientificonon puòaffinarsiinmododa arrivare a condursi in maniera rigorosa e pura»[94]. Lagrange, da un lato, prende così le leggi del moto, «com’è qui legittimo, dall’esperienza, e poi vi applica la trattazione matematica»[95]; tali leggi, infatti, «scoperte immortali che fanno il più grande onore all’analisi dell’intelletto», hanno bisogno di una conferma analitica, di una«dimostrazionenon empirica […] onde si vede che anche la scienza, che si fonda sull’esperienza, non è soddisfatta del dimostrare o mostrare meramente empirico»[96]. Dall’altro lato, presuppone l’indipendenza della trattazione matematica eapplicalefunzionialla meccanica, distinguendo, per s = ft, fra ft anche bt2, che si trova nella natura, e s= ct3,che«nonsipresenta nella natura»[97]. In ambedue i casi, piano fisico-empirico e piano matematico-analitico sono tenuti distinti. Per quanto l’analisi sia una trascrizione rigorosa dell’esperienza, essa – alla pari, come vedremo, del linguaggio edellecategorielogiche – si solleva al di sopra dell’esperienza immediata e già compiuta, e si sviluppa in forma autonoma e pura. 6.Linguaggioed esperienzastorica deipopoli Così il pane e il vino non valgono solo per l’intelletto, non sono soltanto un oggetto; l’azione del mangiare e del bere non è semplicemente un’unificazion avvenuta fradiloro per mezzo dell’annientam del cibo e della bevanda, né la sensazione è quella di una semplice degustazione diessi.Lo spirito di Gesù in cui i suoi discepoli sono uno è divenuto presente come oggetto per il sentire esterno, è divenuto un reale. Ma l’amore reso oggettivo, questo elemento soggettivo divenuto cosa, torna di nuovo alla sua natura, ridiventata soggettivo nel mangiare. Questo ritorno può forse da questo punto di vista essere paragonato al pensiero che diventa cosanella parola scritta e checonla lettura, da qualcosa di morto, da oggetto, riacquista la sua soggettività. Hegel,Lo spiritodel cristianesimo eilsuo destino[98]. Anche il linguaggio è una soppressione del sensibile e dell’immediato, ma, nello stesso tempo, è il prodotto e la produzione di una esperienza più alta e collettiva rispetto a quella del singolo. Nel linguaggio «l’immagine viene uccisa e la parola sta al posto dell’immagine. Il linguaggio è la potenza umana più alta […] Il linguaggio è l’uccisione del mondo sensibile nella sua esistenza immediata»[99]. In tal modo, tuttavia, «il discorso e il sistema di questo, il linguaggio, dà alle sensazioni, intuizioni rappresentazioni e una seconda esistenza, più alta di quella immediata,un’esistenza in universale, che ha vigoreneldominiodella rappresentazione»[100]. Attraverso una complessa serie di passaggi ‘notturni’, che coinvolgono l’Erinnerung, la fantasia, lamemoriameccanicae la «memoria produttiva», attraverso un lungo «lavorio interno»[101], si produce il risveglio dello spirito nel regno dei nomi, trasformati in sudditi e in servi: «Il mondo, la natura non è più un regno di immagini, interiormente tolte e che non hanno alcun essere, bensì un regno di nomi. Quel regno delle immagini è lo spirito sognante, che ha da fare con un contenuto, che non (è) alcuna realtà, alcuna esistenza. Il risveglio dellospiritoèilregnodei nomi[…]L’ioèdapprima in possesso dei nomi, e deve conservarli nella sua notte, come servi, che a lui ubbidiscono»[102]. Nel «deposito generale» dell’io sono stivate le immagini che poi si traducono in segni, si manifestano come esteriorizzazione dell’interno nella loro arbitrarietà[103]. Il rapporto fra il segno e l’intuizione ivi contenutaèquellodella «piramide,nellaqualesi è messa e si serba un’anima straniera»[104]. La memoria, connessa all’abitudine, fissa e rielabora i segni nello «spazio»dell’io[105]. Quando il linguaggio si costituisce nella sua autonomia dalle immagini, noi possiamo pensare, parlare e leggere senza appoggiarci a nessuna figura, senza che ci appaiano più le «fantasmagoriche rappresentazioni notturne» delle teste insanguinate e delle bianche figure[106]. Ora, senza il sillabario dell’immaginazione, pensiamo nel nome: «Pel nome leone, noi nonabbiamobisognoné dell’intuizionediuntale animale, e neppure dell’immagine; ma il nome, in quanto noi l’intendiamo, è la rappresentazione semplice e senza immagine. Noi pensiamo nel nome»[107]. L’io, così, in quanto «potenza dominatrice dei nomi diversi» è «il legame vuoto,cherafforzainsé leseriediessieletiene in ordine fermo»[108]. Anche le immagini metaforichesonoperciò asservite,alorovolta,al sistema linguistico, che, procedendo verso il pensiero, tende a subordinarle ai ‘legami vuoti’ e a restringere lo spazio dell’immaginazione. Ciò produce, tra l’altro, una divisione all’interno della storia del mondo: mentre infatti gli abitanti dell’Europa, della «parte razionale della Terra», hanno sviluppato il pensiero astratto, il «legame vuoto», a spese dell’immaginazione, gli Orientali e in genere tutti i popoli extraeuropei sono ancora alla prevalenza dell’immaginazione e della metafora[109]. La stessa scrittura geroglifica è il segno di questo restare chiusi all’immediato concreto sensibile e rappresentativo: «la scrittura per geroglifici designa le rappresentazioni mediante spaziali; la figure scrittura alfabetica,invece,suoni, che sono gia essi stessi segni. Questa consiste perciò di segni di segni, e in modo da risolvere i segni concreti del linguaggio fonico, le parole,neiloroelementi semplici, e designare questi elementi. Leibniz si è fatto traviare dal suo intellettualismo a porre come cosa molto desiderabile un completo linguaggio scritto, formato alla maniera geroglifica: il che ha luogo parzialmente con la scrittura alfabetica (come nei nostri segni dei numeri, dei pianeti, delle materie chimiche, ecc.): dovrebbe essere una lingua universale scritta pel commercio dei popoli, e specialmente dei dotti. Ma bisogna ritenere per contrario che il commercio dei popoli (come forse accadde in Fenicia, e accade presentemente in Kanton: si veda il Viaggio di Macartney di Staunton)[110] ha piuttosto prodotto il bisogno della scrittura alfabetica e l’ha fatta sorgere. Inoltre, non è da pensare a un esteso linguaggio geroglifico stabile: gli oggetti sensibili, sì, sono capaci disegnipermanenti;ma pei segni della spiritualità il progresso nella coltura del pensiero, il progressivo svolgimento logico, produce vedute nuove intorno ai loro rapporti interni,equindiintorno allaloronatura;ondeda ciò dovrebbe nascere una nuova determinazione geroglifica […] Solo al carattere stazionario della coltura spirituale cinese la scrittura geroglificaèadeguata;e inoltre, questo modo di scrittura può essere proprio solo di quella più piccola parte di un popolo, che si tiene in esclusivo possesso della colturaspirituale[…]Un linguaggio di scrittura geroglificarichiederebbe una filosofia tanto stazionaria, quanto è in generale la coltura dei cinesi»[111]. Questo genere di scrittura, con la molteplicità dei suoi segni e con il suo carattere rigido, favorisce da un lato il monopolio della cultura e della vita spirituale in pochemani,dall’altrola lentamarciadellastoria orientale, che può per Hegel essere accelerata solo dall’esterno. La scrittura alfabetica, invece, è il supporto dello sviluppo più generale e più veloce della vita spirituale e della storia: «in essa, la parola, che è per l’intelligenza il modo più caratteristico e degno di manifestare le sue rappresentazioni, è messa dinanzi alla coscienzaefattaoggetto della riflessione. Nel lavorio dell’intelligenza intornoaessa,laparola viene analizzata; cioè la creazione dei segni viene ridotta ai suoi pochi e semplici elementi (i gesti originari dell’articolare). Essi sono il materiale sensibile del discorso, recato nella forma dell’universalità; il quale, in questa maniera elementare, raggiunge insieme la piena determinatezza e purità»[112]. Infatti, «la nostra scrittura è assai semplice da imparare, in quanto noi analizziamo la lingua parlata risolvendola in circa 25 suoni (col che essa viene determinata, èlimitatalaquantitàdei suoni possibili, e sono eliminate le tonalità medie poco chiare); noi nondobbiamoimparare che questi segni e la loro composizione. Quandopressodinoiun individuo conosce i 25 segni dei suoni ed è capace di comprenderli nel loro nesso, tutte le scritture gli accessibili. sono Le rappresentazioni, invece, sono infinitamente più svariatecheglielementi che, presso di noi, compongono le parole. Per poter dire che un Cinese sa leggere, si calcola che debba conoscere novemila segni»[113]. Inserendosi nella grande discussione contemporanea sulla natura del linguaggio che si svolgeva accanto a lui con Friedrich Schlegel, Franz Bopp, Jacob Grimm e Wilhelm vonHumboldt[114],Hegel distingue tra la «forma» grammaticale di una lingua, opera di un «istinto logico», e le sue altre manifestazioni lessicaliefonetiche.È,a prima vista, abbastanza sorprendente che il linguaggiodeipopolipiù colti «abbia la grammatica più imperfetta; e che un medesimolinguaggio,in uno stadio più incolto del popolo cui appartiene, ne abbia una più perfetta che non nello stadio più colto»[115].Taledato,che Hegel desume direttamente dall’opera di Wilhelm von Humboldt, Über den Dualis[116], era nel complesso il risultato delle osservazioni di molti viaggiatori e studiosi, che modificavano in parte l’idea che i selvaggi, i barbari o i rappresentanti di civiltà stazionarie dovessero avere strutture linguistiche altrettanto imperfette[117]. Hegel fornisce di questa apparenteincongruenza laseguentespiegazione: «È un fatto provato dai monumenti che le lingue hanno raggiunto un grado di sviluppo estremamente alto già in un’età in cui i popoli che le parlavano non erano ancora evoluti: l’intelletto, evolvendosi, aveva ampiamente preso possesso di questo campo teoretico […] È inoltre un fatto che, con il progredire della civilizzazione nella società e nello Stato, questo sistematico interventodell’intelletto si attutisce, e la lingua divieneinciòpiùincolta e più povera; – ed è un fenomeno caratteristico che lo sviluppo, il quale in sé si spiritualizza generando e costituendo la razionalità, trascuri quell’esattezza ed esaustività intellettuale, la trovi d’impaccio, e la renda superflua o almeno non indispensabile»[118]. Accade così, anche al livello della grammatica, che l’istinto della ragione prema sui confini dell’intelletto, faccia assumere a quel «corpo del pensare» (Leib des Denkens)[119] che è il linguaggio andamenti più sciolti. Quel che di determinatezza e di precisione perde la lingua, a un determinato livello del suo sviluppo, guadagnato viene dal pensiero. Certo, le «forme del pensiero sono anzitutto esposte e consegnate nel umano»[120] grammatica «sviluppata linguaggio e la stessa e sistematizzata, è opera del pensiero, che vi mette in luce le sue categorie»[121]. Ed è ancheveroche«intutto ciò che l’uomo fa suo si èinsinuatoillinguaggio; equellodicuil’uomofa linguaggio e ch’egli estrinseca nel linguaggio, contiene, in unaformainviluppatae meno pura, oppure all’incontro elaborata, una categoria […] Il vantaggio di una lingua sta nell’essere ricca di espressioni logiche, proprie cioè e separate, per le determinazioni stesse del pensiero. Fra le proposizioni e gli articoli, molti appartengono già a rapporti tali che hanno per base il pensiero. La lingua cinese, nel suo svolgimento, sembra esser andata innanzi poco o nulla, da questo lato. Ma coteste particelle si presentano in una forma del tutto dipendente, solo un pocopiùseparata,come aumenti, segni di flessione ecc. Molto più importanteècheinuna lingualedeterminazioni delpensierosianvenute a mettersi in rilievo come sostantivi e verbi, ricevendo così l’impronta dell’oggettività»[122]. Tutto questo è giusto, ma il pensiero non coincide col linguaggio, colsuocorpo,edèstato l’errore di Hamann quello di aver compiuto questa identificazione[123]. Infatti, anche le lingue più provviste di «spirito speculativo», come il tedesco, in cui molte parole posseggono «la proprietà di aver significati non solo diversi,maopposti»[124], hanno pur sempre una struttura troppo rigida per poter esprimere immediatamente nuove forme di pensiero. Ovviamente il pensiero si manifesta attraverso illinguaggio,malodeve piegare e asservire, dimodoché ogni nuova filosofia, pur non utilizzandounaspeciale terminologia, forza la grammatica, la «forma» di una lingua, fino a farne sprigionare tutte le possibilità nascoste. Ad esempio, una delle maggiori difficoltà che la forma di alcune lingue(noidiremmoqui la sintassi) oppone al pensiero dialettico è la struttura della proposizione, nel suo aspetto di giudizio, poiché«ilgiudizioèuna relazione identica fra soggettoepredicato.Nel giudizio si prescinde da ciò che il soggetto ha altre determinatezze oltre a quella del predicato, come vi si prescinde da ciò che il predicato è più esteso del soggetto. Se ora il contenutoèspeculativo, anche il non identico, del soggetto e predicato, è del un momento essenziale; ma questo nel giudizio non è espresso. L’aspetto paradossale e bizzarro che una gran parte della filosofia moderna assume per chi non ha familiarità col pensare speculativo, dipende spesso dalla forma del semplice giudizio, quando viene adoperata a esprimere i resultati speculativi»[125]. Per rimediare a questa unilateralità della proposizione, si aggiunge allora «la proposizione contraria», e dopo aver affermato, adesempiocheesseree nulla sono la stessa cosa, si deve dire che essere e nulla non sono la stessa cosa, ma «così sorge un altro difetto, il difetto cioè che queste proposizioninonsonfra loro collegate, epperò presentano il contenuto soltanto nell’antinomia, mentre d’altra parte il contenuto loro si riferisce a uno stesso, e ledeterminazioni,chesi trovano espresse nelle due proposizioni, debbono assolutamente essereunite(unioneche si può allora designare solo come una inquietudine d’incompatibili, o come un movimento)»[126]. In questo senso è da intendersi anche la metafora adorniana: «Per usare un paragone anacronistico, le pubblicazioni di Hegel sono più film del pensierochetesti.Come l’occhioinespertofapiù fatica a trattenere i dettagli di un film rispetto a quelli di un’immagine in quiete, lo stesso accade con i suoi scritti»[127]. Da qui ledifficoltàdiintendere il pensiero dialettico, la relativa inadeguatezza dellinguaggioinquanto prodotto dell’«intelletto». Da qui, inoltre, la resistenza della dialettica hegeliana a essere ricondotta a una logica formale diacronica, a una «filiazione di strutture»[128], a un calcolo proposizionale[129]. Il movimento dialettico infrange infatti per sua natura «l’ordine del discorso»[130] attingendo al e, novum della storia[131], si pone esso stesso nello sviluppo del linguaggio, produce nuove forme linguistiche, sposta in avanti, con le barriere dell’intelletto, quelle dellacoscienzacomune. Il pensiero, in sostanza, assimila anche qui il linguaggio e lo plasma nellatradizionevivente. Perquantoriguardala comprensione dei processi cognitivi, Jean Piaget, nel suo ultimo libro, apparso appena quattro mesi prima della morte, Les formes élémentaires de la dialectique (Paris, 1980), giunge,percertiversi,a conclusioni innovative involontariamente simili a quelle di Hegel[132]. In lui la dialettica è una fase della ricerca (e, dal punto di vista dell’età evolutiva, una fase tarda dello sviluppo del pensiero dell’adolescente), che si apre quando non si riesconopiùarisolverei problemi in cui ci si imbatte, a eliminare cioè le antinomie e le dissonanze cognitive che permangono in un dato insieme di teorie, ipotesi o credenze. Comincia allora l’esplorazione a tentoni diparadigmialternativi. Le anomalie – passando gradualmente, dai margini al centro dell’attenzione vengono allora – viste all’interno delle loro contraddizioniedeiloro conflitti. Dopo una tormentata rielaborazione ci si accorge infine di essere giunti a una nuova, soddisfacente teoria, che ingloberà retroattivamente, après coup, le teorie di partenza, restringendone la vanità, ma riconoscendole come propri casi particolari. Intalmodo,acosefatte, a risultato conseguito, sembra–aggiungo–che il percorso trovato per prove ed errori sia l’unico giusto, che costituisca una «via regia»,comeperEuclide il metodo seguito negli Elementi. E non solo: sembra che sia ‘sempre stato lì’, che si trattava soltanto di vederlo con maggiore perspicacia e checisipotevaarrivare prima. Se si considera la questione dal punto di vista dell’inizio dell’indagine, questo stesso cammino risulta tuttavia costruito, appare come una procedura che si è mostrata efficace, una strada che ha prolungato rischiosamente se stessa,unarottachesiè scoperta quasi accidentalmente e che in seguito è, tuttavia, diventata insegnabile e ripercorribiledaaltri.La dialettica si mostra così in Piaget quale soluzione creativa di antinomie, strategia per pilotare crisi di trasformazione, ponte gettato verso soluzioni capaci di spiegare e giustificare il perché le antinomie si sono formate e di sbloccare quindi, secondo una espressione di Wittgenstein, determinati «crampi del pensiero». Anche in questo senso, Hegel ha già prima completamente rinnovato la concezione della dialettica. Mentre, da Aristotele a Kant, essa designava soprattutto la conoscenza del probabile e dell’incerto (sillogismi dialettici sono quelli che, partendo da premesse probabili, conducono a conclusioni probabili e sillogismi analitici sono quelli, al contrario, che, partendo da premesse certe, conducono a conclusioni certe, una posizione tradotta da Kant nella distinzione tra Analitica trascendentale e Dialettica trascendentale), con Hegel la dialettica diventa quella mossa audace che erode le certezze e conduce, attraverso una navigazione azzardata, verso la conoscenza «speculativa»,chepassa dal finito kantiano, dai limiti posti alla conoscenza di ciò che cade al di fuori dell’esperienza all’infinito speculativo, dalla analitica alla dialettica, dalla logica formaleall’ontologia.Se quindi Kant paragonava la conoscenza vera, basata sull’esperienza, al solido terreno di un’isola dai confini immutabili, in contrapposizione alla dialettica, alla metafisica, al pensiero puro (rappresentati come un nordico mare tempestoso, pieno di nebbia e di ghiacci)[133], per Hegel l’attraversamento dell’incertezza conduce invece alle certezze della ragione speculativa[134]. L’elemento mobile, infido, su cui naviga la filosofia, il suo mare procelloso, è dato dal non poter presupporre alcuno stabile e certo terreno di partenza. In quanto la filosofia «non ha il vantaggio, del quale godono le altre scienze, di poter presupporre oggetti i suoi come immediatamente dati dalla rappresentazione»[135], succede che su di essa cada il discredito e l’accusa di incomprensibilità: «Alla conoscenza della verità si contrappone la pavidità. Per uno spirito pigro è facile dire: non venga in mente di prendere sul serio il filosofare. Certo, ascoltiamo anche delle lezioni di logica, ma questo deve lasciare il tempo che trova. Si crede che se il pensiero vaoltrelasferaabituale delle rappresentazioni, prende una brutta strada; questo vorrebbe dire avventurarsi in un mare dove si è sbattuti qua e là dalle onde del pensieroe,allafine,cisi trova sulla spiaggia di questa temporalità che si è abbandonata per niente e niente di niente. I risultati di un talmododivederesono alla luce del sole. Si possono acquisire capacità e conoscenze di ogni genere, diventare esperti funzionari e per il resto coltivarsi per scopi particolari. Ma è cosa ben diversa formare il proprio spirito anche perciòcheèpiùelevato e sforzarsi di raggiungerlo»[136]. Hegel è un nuovo Cristoforo Colombo della filosofia, un esploratore coraggioso dei mari ignoti della dialettica che giunge al Nuovo Mondo della «speculazione» o è invece un avventuriero della filosofia, kantianamente destinato al naufragio che può tuttavia rivendicare per sé il dettobenenavigavinunc, cumnaufragiumfeci?[137] [1] Hegel, Einleitung in die GeschichtederPhilosophie,cit., pp.159-160. [2] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 165166 (trad. it. cit., vol. I, pp. 189-190). Non sembra che Hegel – cui erano ben noti naturalisti e geologi come Buffon, Lamarck, Cuvier, Werner e Hutton – accetti qui la cronologia biblica dell’età del mondo ridotta a pochi millenni. Egli si riferisce piuttosto agli inizi delle civiltà umane, della loro storia che – secondo gli insegnamentidiCondorcet– subisce una forte accelerazionedopolafasein cui si passa dal nomadismo all’agricoltura. [3] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 245 (trad. it. cit.,vol.III,2,p.7). [4]Ibid.,p.239(trad.it.cit., vol.III,2,p.1). [5] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 871 (trad.it.cit.,vol.IV,p.139). [6]Ibid.,p.912(trad.it.cit., vol.IV,p.188). [7] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 242 (trad. it. cit.,vol.III,2,p.4). [8] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 855 (trad.it.cit.,vol.IV,pp.120121). [9] Cfr. Hegel, Vorlesungen überdieAesthetik,cit.,vol.X2, pp. 231-232 (trad. it. cit., p. 676):«Masel’arteharivelato da tutti i lati le concezioni essenziali del mondo contenutenelsuoconcettoe lacerchiadelcontenutoche a esse appartiene, essa si è liberata di questo contenuto che è di volta in volta determinatoperunpopoloe un’epoca particolari; e il vero bisogno di riaccoglierlo si ridesta esclusivamente a quello di volgersi contro il contenuto che era finora unicamente valido così come per es., in Grecia Aristofanesièvoltocontroil suo presente e Luciano controilsuopassatogreco,e come in Italia e in Spagna nel declino del Medioevo Ariosto e Cervantes incominciarono a volgersi contro la cavalleria». Su Sancho Panza che – contrariamente a Don Chisciotte – non ama i misteri e preferisce farsi dareinanticipolasoluzione degli indovinelli, cfr. Hegel, Aphorismen aus der Jenenser Periode, cit., p. 545 (trad. it. cit., p. 67 nota 46). Sull’arte, che non solo seppellisce il passato o il presente divenuto inessenziale, ma che annuncia il futuro, cfr. Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 869 (trad. it. cit., vol. IV, p. 137), a proposito del fiorire della pittura italiana ai tempi di Giotto, che prelude alla conciliazione dell’arte rinascimentale in Europa: «Lo spirito, non potendo trovare soddisfazione, si costruiva mercé la fantasia immagini più belle, e di guisa più serenaelibera,diquelleche offriva la realtà. In Italia sorgeun’artenuova.L’uomo ha cessato di contentarsi solo di una pietà che non nasce da se stessa, e di lasciare d’altro canto il sensibile nella sua mera materialità: egli lo vuole ormaispiritualizzare». [10] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 888889 (trad. it. cit., vol. IV, pp. 159-160). [11] Cfr. Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 299(trad.it.cit.,vol.III,2,p. 67). [12] Cfr. Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., pp. 140 ss. (trad. it. cit., vol. I, pp. 207 ss.); Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§38Z. [13] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.96(trad.it. cit.,vol.I,p.130). [14]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 402 (trad. it. cit., vol. III, 2, p. 180). Per l’antinewtonianesimo di Hegel, cfr. Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, pp. 353-354 (trad. it. cit., vol. I, pp. 383384); Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, §§ 266 A (trad. it. cit., pp. 228-229); 267 A (polemica indiretta, trad.it.cit.,pp.231-232);270 A(trad.it.cit.,p.236);270Z; D. Dubarle, La critique de la mécaniquenewtoniennedansla philosophiedeHegel,inL’esprit objectif. L’unité de l’histoire, cit.,pp.113-136;E.Oeser,Der Gegensatz von Kepler und Newton in Hegels ‘Absoluter Mechanik’, in «Wiener Jahrbücher für Philosophie», III(1970),pp.69-93. [15]Cfr.Hegel,Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§§40(trad.it. cit., p. 45) e 415 A (trad. it. cit.,p.390). [16] Hegel, Unveröffentlichte Vorlesungsmanuskripte,acura e con commento di H. Schneider, in «HegelStudien»,7(1972),p.17. [17] Sul significato della querelle, cfr. le osservazioni di G. Macchia, I nani sulle spalledeigiganti,inIlparadiso della ragione, Bari, 1964, pp. 111-127 e di Paolo Rossi, I filosofi e le macchine 14001700,Milano,1962,passim. [18]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, pp. 258-259 (trad.it.cit.,vol.III,2,pp.2122). [19] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 429 (trad. it. cit., vol. II, p. 298); Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,420Z. [20] Cfr. K. Korsch, L’empirismo nella filosofia di Hegel, conferenza tenuta a Berlinoil27ottobre1931alla Società per la filosofia empirica pubblicato da un dattiloscritto inedito in K. Korsch,Dialetticaescienzanel marxismo, a cura di G.E. Rusconi, Bari, 1974, pp. 1141; Th.W. Adorno, Der Erfahrungsgehalt der HegelschenPhilosophie,inDrei StudienzuHegel, cit., trad. it. cit., pp. 83-114, per il quale inoltre la dialettica hegeliana è «lo sforzo inflessibile di costringere insieme l’autocoscienza critica della ragione e l’esperienza critica degli oggetti» (Aspekte der hegelschen Philosophie, in Drei Studien zu Hegel, trad. it. Aspetti, in Tre studi su Hegel, cit., p. 41). Per i fraintendimentidelrapporto hegeliano fra ragione ed esperienza, valga come esempioH.Reichenbach,The Rise of Scientific Philosophy, Berkeley-Los Angeles, 1951, trad. it. di D. Parisi e A. Pasquinelli, La nascita della filosofia scientifica, III ed., Bologna, 1972, pp. 76-81. Sul concetto di esperienza in Hegel si veda la puntuale analisi di D. Emunds, Erfahren und Erkennen. Hegels Teorie der Wirklichkeit, Frankfurt a.M., 2012, pp. 23166. [21] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§38Z. [22]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 379 (trad. it. cit., vol. III, 2, p. 155). Cfr. Unveröffentlichte Diktate aus einer Enzyklopädie-Vorlesung Hegels,pubblicatiacuradiF. Nicolin, in «Hegel-Studien», 4(1969),p.19:«L’altrastrada consiste nel prendere le mosse empiricamente dalla percezione, di trovare in essaordine,unità,leggi,edi sollevarla a punti di vista universali. Se questa strada empirica procedesse coerente e razionale, essa elaborerebbe e preparerebbe l’esperienza della natura interna ed esterna – che è l’immagine della ragione –, così che i suoi risultati sarebbero suscettibili di essere accolti nella filosofia». [23]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 382 (trad. it. cit.,vol.III,2,pp.158-159). [24]Ibid., pp. 382-383 (trad. it.cit.,vol.III,2,p.159). [25] Cfr. Kant, Kritik der reinen Vernunft, A 271; B 327 (trad.it.cit.,vol.I,p.268). [26] Cfr. Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, pp. 378-379 (trad. it. cit., vol. III, 2,p.154). [27] Ibid., p. 380 (trad. it. cit.,vol.III,2,p.156). [28] Ibid., vol. XIII, p. 54 (trad. it. cit., vol. I, p. 51). Sulla coscienza sensibile, si veda, fra l’altro, A.F. Koch, Sinnliche Gewißheit und Wahrnehmung. Die beiden ersten Kapitel der PhänomenologiedesGeistes,in Hegels Phänomenologie des Geistes, cit., pp. 135-152. Sulla questione dell’indicibile, affrontata da Hegel nella giovanile poesia Eleusis, del 1796, dedicata a Hölderlin,cfr.G.Agamben,Il linguaggio e la morte, Torino, 1982,pp.13-23.Sulpeculiare senso del concetto di «astratto» in Hegel, in relazionealsaggioWerdenkt abstrakt? del periodo di Bamberga (ora in edizione critica, a cura di A. Bennholdt-Thomsen, con commento, in «HegelStudien», 5 (1969), pp. 161164 e 165-199), cfr. R. Racinaro, Sul concetto hegeliano di «astratto»: la «riconciliazione alla Kotzebue», in «Critica marxista», X (1972),n.5,pp.78-107. [29] Th.W. Adorno, Der Erfahrungsgehalt der Hegelschen Philosophie, trad. it.cit.,p.77. [30] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§8A(trad.it. cit.,p.11). [31] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 920 (trad.it.cit.,vol.IV,p.197). [32] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§119A(trad. it.cit.,p.119). [33] Ibid., § 259 A (trad. it. cit.,p.220). [34] Ibid., § 12 (trad. it. cit., pp.15-16). [35]EngelsanF.A.Lange, 29 marzo 1865, in MEW, cit., vol.XXXI,pp.467-468.Perla conoscenza dell’analisi infinitesimale da parte di Marx cfr. K. Marx, Matematiceskie rukopisi, Moskva, 1968. Hegel si era dedicato con passione allo studio della matematica fin dai primi tempi del soggiorno jenense: «Ella sa che mi sono occupato moltissimo […] anche di matematica,erecentemente di analisi superiore, del calcolo differenziale […]» (Hegel an Paulus, 30 luglio 1814, in Briefe, vol. II, cit., p. 31, trad. it. cit., vol. II, p. 242).Popperfadell’ironiasu affermazioni simili, ritenendole frutto di millanteria, il che è falso (cfr. K.R. Popper, The Open Society and Its Enemies, trad. it. cit., vol. II, p. 43). Dal semestre invernale 18051806 e per tre semestri di seguito – nel periodo cioè in cui componeva la Fenomenologia dello spirito – Hegel infatti insegnò aritmetica e geometria all’università di Jena, sulla base, come era l’uso, di alcuni affermati manuali. Cfr. l’annuncio delle lezioni per il semestre 1805-1806: «Ge. Wilh. Frid. Hegel, D a) Mathesin puram, et quidem Arithmeticam ex libro: Stahls Anfangsgründe der reinen Arithmetik, 2te Auflage. Geometriam ex libro Lorenz erster Cursus der reinen Mathematik 2te Auflage» (cfr. H. Kimmerle, Dokumente zu HegelsJenaerDozententätigkeit (1801-1807), in «HegelStudien»,4(1967),pp.55,69, 83). I testi utilizzati sono quelli di C.D.M. Stahl, Reine Mathematik, Arithmetik und Geometrie. Parte I: Anfangsgründe der Arithmetik zum Gebrauche bey Vorlesungen, Jena-Leipzig, 18022, e J.F. Lorenz, Grundrisse der reinen und angewandten Mathematik oder der erste Cursus der gesamten Mathematik, Helmstedt, 17982.Lorenzèl’autoredella prima grande traduzione tedesca di Euclide: Euclids Elemente, aus dem Griechischen übersetzt von Johann Friedrich Lorenz. Zweyte durchhaus verbesserte Ausgabe, Halle, 1798. È da osservare, per inciso, che l’aritmetica e la geometria, al pari della logica formale, non hanno mairappresentatoperHegel un problema di fondazione. Come la maggior parte dei suoi contemporanei, Hegel leconsideravascienzesolide echiaredipersé.Duranteil suo insegnamento a Norimberga, egli aveva però progettato di pubblicare un manualedimatematicaperi ginnasi, cosa che poi non ebbe seguito: «Avrei in mente già da tempo di redigereuncompendiocirca il modo di svolgere l’insegnamento teoretico della geometria e dell’aritmetica nei ginnasi, perché tanto a Jena che qui ho trovato nelle mie lezioni che questa scienza, senza mescolarvi la filosofia, che non c’entra, può essere trattata in modo più intellegibile e sistematico del solito, mentre in genere non si riesce a scorgere da dove provenga il tutto e dove sia diretto, dal momento che non vi è indicata norma teoretica alcuna» (Hegel and Niethammer, 24 marzo 1812, in Briefe, cit., vol. I, p. 398; trad.it.cit.,vol.II,p.179).Su alcuniaspettidelrapportodi Hegel con la geometria, cfr. A.L.T. Paterson, Hegel’s early Geometry, in Hegel-Studien», voll. 39/40 (2004/2005), pp. 61-124. Su Hegel e la matematica, con particolare riguardo al calcolo infinitesimale, sono da vedere: H. Schwarz, Versuch einer Philosophie der Mathematik verbunden mit einer Kritik der Austellungen HegelsüberdenZweckunddie Natur der höheren Analysis, Halle, 1853; W.R. Smith, Hegel and the Methaphysics of the Fluxional Calculus, in «Transactions of the Royal Society of Edinburgh», XXV (1869), pp. 491-511; R. Baer, Hegel und die Mathematik, in Verhandlungen des zweiten Hegelkongressesvon18.bis21. Oktober 1931, BerlinTübingen, 1932, pp. 104-120; M. Rehm, Hegels spekulative Deutung der Infinitesimalrechnung, DissertationKöln,discussail 16 dicembre 1963; D. Dubarle, La critique de la mécaniquenewtoniennedansla philosophie de Hegel, cit., pp. 118ss.;V.Verra,Hegel critico della filosofia moderna: matematica e filosofia, in Enciclopedia ’72, cit., pp. 8395; N. Badaloni, Teleologia ed idea del conoscere nella logica di Hegel, cit., pp. 35-40; E. Doumit, Hegel et l’infinitésimal, in AA.VV., Les signes et leur interprètation, Lille, 1972, pp. 75-93; J.-T. Desanti, Notes sur l’épistémologie hégélienne, in «Dialectiques», n. 1-2, settembre1973,pp.55-87;M. Vadée, Nature et fonction des Mathematiques et de leur histoire dans le système dialectiquehégélien,in«HegelJahrbuch», 1972 [1973], pp. 33-39; J.O. Flockenstein, Hegel’s Interpretation der Cavalierischen Infinitesimalmethode, in «Hegel-Studien», vol. suppl. 11, Bonn, 1974, pp. 117-124; T. Pinkard, Hegel’s Philosophy of Mathematics, in «Philosophy and Phenomenological Research»,41(1981),pp.452464; A. Moretto, Hegel e la ‘matematica dell’infinito’, Trento, «Quaderni di Verifiche 8», 1984; P. Ziche, Mathematische und NaturwissenschaftlicheModelle in der Philosophie Schellings und Hegels, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1996. Più in generale si veda Ch. Houzel, Philosophie et calcul de l’infini, Paris,1976. [36] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.306(trad. it.cit.,vol.I,p.333). [37]Ibid.,vol.I,p.241(trad. it.cit.,vol.I,p.266). [38] Sullo sviluppo delle matematiche in questo periodo e sui problemi teorici del calcolo infinitesimale, cfr. J.-B. Delambre, Rapport historique sur les progrès des sciences mathématiques depuis 1789, Paris, 1810; L. Geymonat, Storia e filosofia del calcolo infinitesimale moderno, Torino,1947;O.Toeplitz,Die Entstehung der Infinitesimalrechnung, Berlin, 1949; C.B. Boyer, The History of the Calculus and its Conceptual Development, New York, 1949; N. Bourbaki (pseudonimodiungruppodi matematici, fra cui Cartan, Dieudonné, A. Weyl ecc.), Éléments d’histoire des mathématiques, Paris, 1960, trad. it. di M.L. Vesentini Ottolenghi, Elementi di storia della matematica, Milano, 1963, pp. 161-211; H. Cohen, Das Prinzip der Infinitesimalrechnung und seine Geschichte, ristampa, Frankfurt a.M., 1968; I. Grattan-Guiness, The Development of the Foundation of the Mathematical Analysis from Euler to Riemann, Cambridge, Mass., 1970; G. Birkhoff, A Source Book in Classical Analysis, Cambridge,Mass.,1973. [39] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.241(trad. it.cit.,vol.I,p.266). [40]Ibid.,vol.I,p.240(trad. it.cit.,vol.I,pp.264-265). [41]Cfr.d’Alembert,Surles principes métaphysiques du calcul infinitésimal, in Mélanges de littérature, d’histoire et de philosophie, nuovaedizione,Amsterdam, 1768, t. V, pp. 207-219 (non risulta tuttavia che Hegel avesse una conoscenza diretta di questo scritto mentre è assai verosimile che conoscesse di d’AlembertlevociDifférentiel e Limite dell’Encyclopédie); J.L. Lagrange, Théorie des fonctions analytiques, Paris, 1797(oraancheinŒuvres,t. IX, Paris, 1881, di questa primaedizionedel1797uscì subito una traduzione tedesca: J.-L. Lagrange, Théorie der analytischen Funktionen…, Berlin, 17981799; anche della seconda edizione francese del 1813 uscì la traduzione tedesca nel 1823, cfr. A.L. Crelle, Lagranges mathematische Werke, vol. I, Berlin, 1823); L.N.M. Carnot, Réflexions sur la métaphysique du calcul infinitésimal,Paris,1797(trad. tedesca: L.N.M. Carnot, BetrachtungenüberdieTheorie der Infinitesimalrechnung, Frankfurt a.M., 1800). Di Carnot Hegel possedeva anche Neue Eigenschaften der Vierecke. Mit einer Kupfertafel. Frei aus dem Französische übersetzt… von Karl Friedrich Schelling, Dresden, 1802. Su Lagrange comeunodegliiniziatoridel calcolo simbolico, cfr. L.A. Lusternik e S.S. Petrova, Les premières étapes du calcul symbolique, in «Revue d’histoiredessciences»,XXV (1972), pp. 202 ss. Devo alla cortesia dei colleghi dello «Hegel-Archiv»diBochumla conoscenza anticipata della lista dei libri della biblioteca privata di Hegel (non tutti, ma quelli che erano stati venduti all’asta): Verzeichniß der von dem professor Herrn Dr. Hegel und dem Dr. Herrn Seebeck hinterlassenen BücherSammlungen […], Berlin, Gedruckt bei G.F. Müller, 1832. Mancano in questa lista quelli che riguardano il calcolo infinitesimale e che Hegel ha comunque letto e citato. Si vedano, in ordine cronologico rispetto alla data di pubblicazione: G.-F.A. de L’Hospital, Analyse des infiniment petits, pour l’intelligencedeslignescourbes, Paris, 1696 (II ed. 1716); L. Euler, Einleitung in die Analysis des Unendlichen, tradottodaMichelsen,3voll. Berlin, 1788-1791; Id., Differentialrechnung, 2 voll., tradotto da Michelsen, Berlin, 1790-1793; J.Ph. Grüson, Supplement zu Eulers Differential, Berlin, 1798; S.F. Lacroix, Traité du calcul différentialetducalculintégral, Paris, An VIII [1800]; J.-L. Lagrange, Traité des différences et des series, Paris, An VIII [1800]; C. Bunzengeiger,Überdiewahre Darstellung des DifferentialCalculs, Ansbach, 1808; J.-L. Lagrange, Traité de la résolution des équations numeriques de tous les degrès…, Paris, 1808; F.W. Spur, Neue Prinzipe des Fluentcalculs, Brauschweig, 1826. [42]Cfr.Hegel,Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, pp. 250251 (trad. it. cit., vol. I, pp. 275-276): «L’esempio matematico, con cui egli illustra (Epist. XXIX) [nella numerazione odierna è la XII] il vero infinito è uno spazio fra due circoli diseguali, l’uno dei quali cade dentro l’altro senza toccarlo, e che non sono concentrici […] “I matematici dic’egli, concludono che le ineguaglianze, che son possibili in un tale spazio, sono infinite, non già a cagione dell’infinita moltitudine delle parti, perocché la sua grandezza è determinata e limitata e io posso porre simili spazi più grandi e più piccoli ma perché la natura della cosa sorpassa ogni determinazione”». Cfr. Spinoza, Epistulae, in Opera, cit., vol. IV, trad. it. di A. Droetto, Epistolario, Torino, 1951, pp. 82-83. Hegel aveva aiutato Paulus nell’edizione delle opere di Spinoza – Benedicti de Spinoza operae quaesupersuntomnia…, Jena, 1802-1803, controllando le traduzioni francesi, cfr. K. Rosenkranz, Hegels Leben (trad. it. cit., p. 533). Per un succinto e chiaro inquadramento del problemadell’infinito,cfr.P. Zellini, Breve storia dell’infinito,Milano,19932. [43] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.256(trad. it.cit.,vol.I,p.282). [44]Cfr.Hegel,Wissenschaft der Logik 1812, cit., p. 42: «Queste grandezze sono nel loro svanire, ma non prima del loro svanire e neppure dopo, perché altrimenti sarebbero grandezze finite». Èdatenerpresentechenella Wissenschaft der Logik del 1812 – a prescindere dalle aggiunteecorrezioniminori – mancavano, rispetto alla seconda edizione che Hegel ebbeiltempodicurare,poco prima della morte, le note II e III della Sez. II, Quantità, cap. II, Il Quanto (corrispondenti a Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, pp. 278-322, cfr. trad. it. cit., vol. I, pp. 305-350). Dall’ampiezza della trattazione si può vedere quale importanza centrale avesseperHegelilcalcolo,e come sia quindi inadeguato considerare queste parti della Wissenschaft der Logik come un semplice excursus chesquilibral’insieme.Tale, adesempioèlaposizionedi H. Rademaker, Hegels objektive Logik. Eine Einführung, Bonn, 1969, pp. 46 ss. (sulla quale cfr. V. Verra, Hegel critico della flosofiamoderna:matematicae filosofia,cit.,p.88). [45] Cfr. Marquis de L’Hospital, Analyse des infiniment petits, cit. (è il primo trattato di calcolo differenziale pubblicato, in buona parte un plagio dell’opera di Johann Bernoulli, composta nel 1691,marimastapoiinedita fino al 1924: J. Bernoulli, Die Differentialrechnung, Leipzig, 1924); Ch. Wolff, Der Anfangs-Gründe aller mathematischen Wissenschaften letzter Theil, welcher so wohl die gemeine Algebra, als die Differential = und Integral = Rechnung… in sich begreift…, Halle, 1750. Cfr. Hegel, Logik-MetaphysikNaturphilosophie, in Jenaer Systementwürfe II, cit., p. 18; Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, pp. 259-260 (trad. it. cit.,vol.I,pp.285-286). [46] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.276(trad. it.cit.,vol.I,p.304). [47] Cfr. Ch. Wolff, Der Anfangs-Gründe aller mathematischen Wissenschaften letzter Theil, cit.,pp.1800ss. [48] Nouveaux Mémoires de l’Académie Royale des Sciences et Belles Lettres, Berlin, 1784, p. 12. Sulla figura e il ruolo di Lagrange nella cultura dell’epoca, cfr. J.J. Virey, Précishistoriquesurlavieetla mortdeJoseph-LouisLagrange, Paris, 1813, e M.T. Borgato e L.Pepe,Lagrange.Appuntiper una biografia scientifica, Torino,1990. [49] Anche le Réflexions sur la métaphysique du calcul infinitésimal di Carnot erano state scritte in origine in vista del concorso berlinese (al quale non furono poi presentate). Nel settembre 1822 Hegel andò a trovare il vecchio Carnot, a Magdeburgo, cfr. Hegel an seine Frau, 15 settembre 1822, in Briefe, vol. II, cit., p. 340 e K. Rosenkranz, Hegels Leben(trad.it.cit.,p.821):«A Magdeburgo non poté fare a menodivisitareCarnot,che viveva in esilio in quella città, e di rallegrarsi per l’amichevole accoglienza fattagli da questo eroe della Rivoluzione, dell’Impero e dellascienza». [50] N. Bourbaki, Éléments d’histoire des mathématiques, trad.it.cit.,p.209. [51] Buona parte delle ricerche di questi autori si svilupparono mentre Hegel eraancorainvita.L’impulso determinantefudatodaA.L. CauchyconilCoursd’analyse del’ÉcoleRoyalePolytechnique, I. Partie: Analyse algébrique, Paris, 1821, e con il Résumé des leçons… sur le calcul infinitésimal, Paris, 1823. Sul rapportotraHegeleCauchy, cfr. M. Wolff, Hegel und Cauchy.EineUntersuchungzur Philosophie und Geschichte der Mathematik, in Hegels Philosophie der Natur. Veröffentlichungen der Internationalen HegelVereiningung. vol. 15, a cura di R.-P. Horstmann e M.J. Petry, Stuttgart, 1986, pp. 197-263. A Berlino Hegel strinse amicizia con il matematico E.H. Dirksen, autore di una Analytische Darstellung der Variationsrechnung, pubblicata nel 1823, e di un articolo sui «Berliner Jahrbücher» del 1827, scritto forse su invito di Hegel, che di fatto dirigeva la rivista (cfr. Hegel an Van Ghert, 10 agosto1823,inBriefe,vol.III, cit., pp. 22-23; Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 272, trad.it.cit.,vol.I,p.299),ma non sembra che abbia recepito nulla di questi sviluppi dell’analisi infinitesimale. Per lui ormai Lagrange e Carnot rappresentavano quasi una «figura» nello svolgimento dell’analisi. Su Cauchy e la disputa sulla priorità rispetto a Bolzano di alcune scoperte, cfr. H. Sinaceur, Cauchy et Bolzano, in «Revue d’histoire des sciences», XXVI (1973), pp. 97-112. Di GaussHegelpossedevaperò, in altri campi della matematica, le Theorematis fundamentalis in doctrina de residuis quadracticis demonstrationes et ampliationes novae, Göttingen, 1818 e l’Allgemeine Auflösung der Aufgabe: die Theile einer gegebenenFläche…inkleinsten Theilen ähnlich wird. Als Beantwortung der von der Königlichen Societät der Wissenschaften in Copenhagen für 1822 aufgegebenen Preisträger. [52]Cfr.HegelanVanGhert, 18 dicembre 1812, in Briefe, cit.,vol.I,p.426(trad.it.cit., vol.II,p.209):«Perpenetrare più profondamente in questocampo[l’astronomia] si esige prontezza nel calcolo differenziale e integrale, in particolare secondo le nuove esposizionifrancesi». [53] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.268(trad. it.cit.,p.296). [54]Ibid.,vol.I,p.309(trad. it.cit.,vol.I,p.336). [55]Cfr.J.-T.Desanti,Notes sur l’épistémologie hégélienne, cit., p. 83. Sullo sviluppo del problema in Fourier, cfr. I. Grattan-Guiness (in collaborazione con J.R. Ravotz), Joseph Fourier, 17681830, Cambridge, Mass., 1972, passim. Sulla forma seriale dell’analisi in Newton, cfr. Ph. Kitscher, Fluxions, Limits and Infinite Littleness, in «Isis», LXIV (1973),n.221,pp.33-49. [56]Cfr.J.-T.Desanti,Notes sur l’épistémologie hégélienne, cit.,p.78. [57] B. Bolzano, Paradoxien des Unendlichen, Leipzig, 1851, trad. it. di C. Sborgi, I paradossi dell’infinito, Milano, 1965,p.10. [58] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, cit., § 257 Z. Sulla quarta dimensionetempo in rapporto a LagrangeeaHegel,cfr.A.M. Bork,The Fourth Dimension in Nineteenth-Century Physics, in «Isis», LV (1964), n. 181, p. 327 e M.J. Petry, Hegel’s Philosophy of Nature, cit., vol. I,p.314. [59] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, pp. 246-251 (trad. it. cit., vol. I, pp. 271277). [60]Ibid.,vol.I,p.269(trad. it.cit.,vol.I,p.297). [61]Cfr.ibid.,vol.I,pp.236 ss.(trad.it.cit.,vol.I,pp.261 ss.). [62] Hegel, LogikMetaphysik-Naturphilosophie, in Jenaer Systementwürfe II, cit., pp. 17, 18. Cfr. Wissenschaft der Logik, cit., vol.I,p.236(trad.it.cit.,vol. I,p.261):«Ilquantoinfinito, come infinitamente grande o infinitamente piccolo, è esso stesso in sé progresso infinito;èquantoperciòch’è ungrandeounpiccolo,edè inparitempononesseredel quanto. L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo son quindi figure della rappresentazione, che a una considerazione più particolaresidannoavedere comevananebbiaeombra». [63] Hegel, LogikMetaphysik-Naturphilosophie, in Jenaer Systementwürfe II, cit., p. 36. Per un commento alla logica hegeliana del 1804/1805sivedaC.Meazza, L’occhio e il testimone: dalla logica alla fenomenologia in Hegel, Pisa, 1992, in particolarepp.101-130. [64] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.244(trad. it.cit.,vol.I,p.269). [65] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., pp. 14-15 (trad.it.cit.,vol.I,pp.8-9). [66] Hegel, Philosophie des Rechts,cit.,Vorrede,p.9(trad. it.cit.,Prefazione,pp.8-9). [67] Sul concetto di rivoluzione nel mondo antico e in termini comparativi, si vedano questi due testi ormai classici: H. Ryffel, Metabolé politeion. Der Wandel der Staatsverfassungen, Bern, 1949; H. Arendt, On Revolution, New York, 1965, trad. it. Sulla rivoluzione, Milano, 1983, passim e, per una messa a punto della questione, L. Bertelli, Metabolè politeion, in «Filosofiapolitica»,III(1989), pp.275-326.Periprodigiche annunciano i grandi mutamenti politici basterà ricordare, fra i tanti passi, quelli di Plutarco per la morte di Cesare e di Tacito perlaguerracivilefraGalba, Otone e Vitellio, cfr. Plutarco,Caes.,63,trad.it.di C. Carena, Cesare, in Plutarco,Viteparallele,2voll. Torino, 1958, vol. II, p. 348: «Maildestinosembrachesi possa più facilmente prevedere,cheevitare.Segni e visioni miracolose si dice che siano apparse durante quei giorni. Luci che brillarono nel cielo, fragori che durante la notte trascorsero un po’ dappertutto, uccelli solitari che vennero a posarsi nel Foro […] il filosofo Strabone dicechesividerointerefolle d’uomini correre in preda al fuoco;echeloschiavodiun soldato gettò una lunga fiammata dalla mano, tanto che gli astanti credettero bruciasse,einvecequandoil fuoco si spense, videro che non aveva riportato nessun danno.Cesarestessofeceun sacrificio e non trovò il cuore della vittima: prodigio terribile, dice Strabone, poiché in natura non esistonoanimalicuimanchi il cuore». E cfr. Tacito, Hist., I, 3. trad. it. di C. Giussani, Storie,inOpere,Torino,1968, p. 545: «E a codesto turbine di umani eventi, aggiungi i prodigidelcieloedellaterra, le minacce della folgore, i presagi del futuro, lieti o tristi, misteriosi o palesi; né mai con più terribili colpi al popoloromano,maiconpiù eloquenti segni apparve manifestocheglidèi,nondi proteggerci hanno cura, ma di punirci». Sul moderno concetto di rivoluzione, cfr. in particolare, K. Griewank, Der neuzeitliche Revolutionsbegriff, Jena, 1955, trad. it. Il concetto di rivoluzione nell’età moderna, Firenze,1979. [68] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.381(trad. it.cit.,vol.I,p.411). [69] Cfr. soprattutto G. Della Volpe, Logica come scienza positiva, MessinaFirenze,19562,pp.113ss.;M. Rossi, Introduzione alla storia delle interpretazioni di Hegel, Messina, 1953, pp. 71 ss.; L. Colletti, Il marxismo e Hegel, Introduzione a V.I. Lenin, Quaderni filosofici, Milano, 1958,pp.XI-XXVI;N.Merker, Leoriginidellalogicahegeliana, Milano,1961,passim. [70] Come date convenzionali si possono scegliere, appunto, il 1948 (Convegno di studi hegelianomarxisti presso l’Istituto di filosofia del diritto dell’università di Roma, con la partecipazione, oltre che di Della Volpe, di Massolo, Panzieri, Spirito, S. Timpanaro senior ecc.; cfr. gli atti sul «Costume politico-letterario», maggio ottobre 1948, ora riprodotti in «Studi urbinati», nuova serie B, XLI (1967), pp. 183248) e il 1962 (discussione del rapporto Hegel-Marx fra studiosi marxisti sulle colonne di «Rinascita»). Su questi punti e le loro implicazioni, cfr. anche L. RicciGarotti,Interpretiitaliani di Hegel nel dopoguerra, in Heidegger contra Hegel, Urbino, 1965, pp. 113 ss.; M. Rossi, Galvano della Volpe: dalla gnoseologia critica alla logica storica, in «Critica marxista», VI (1968), n. 4-5, pp. 186 ss.; N. Badaloni, Il marxismo italiano degli anni sessanta, Roma, 1971, pp. 31 ss. [71]Èunatendenzaquesta che, sotto la pressione della realtà storica e la mediazione culturale della Scuola di Francoforte e di unanuovaletturadiMarx,si èavvertitaancheinItaliafin dagli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, cfr.B.DeGiovanni,Hegeleil tempo storico della società borghese,cit.,pp.183ss.eId., Prefazione a F. Papa, Logica e Stato in Hegel, Bari, 1973, pp. 12-17. Sulla diffusione di analoghe interpretazioni in Franciacfr.L.Marino,Recenti studi hegeliani in lingua francese,in«Rivistacriticadi storia della filosofia», XXIX (1974),pp.57ss. [72] Cfr. R. Bodei, «Tenerezza per le cose del mondo»: sublime, sproporzione e contraddizione in Kant e in Hegel, in Hegel interprete di Kant, a cura di V. Verra, Napoli,1981,pp.181-218. [73] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.117(trad. it.cit.,vol.I,pp.128-129).La negazione del carattere perituro del finito e l’immagine stessa dell’evanescenza graduale e dell’infinitamente piccolo è anche un modo per esorcizzare il nascere e il perire, la dialettica qualitativa e la distruzionecreazione che la accompagna. Cfr. Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, pp. 383-384 (trad. it. cit.,vol.I,pp.413-414):«Ogni nascita e morte, invece di essereuncontinuoApocoa poco,sonoanziuntroncarsi dell’A poco a poco e il salto dal mutamento quantitativo nel mutamento qualitativo […]Lagradualitàdelnascere sibasasull’immaginarsiche ciò che nasce esista già sensibilmenteo,ingenerale, realmente, e che solo a cagione della sua piccolezza non sia ancora percepibile; parimenti nella gradualità del perire si suppone che il non essere o l’altro che subentra in luogo di ciò che perisce esista pur esso, ma soltanto non sia ancora osservabile […] Con ciò si toglie via in generale il nascere e il perire». Il salto qualitativo ha per Hegel ancheunsignificatopolitico, poiché mutamenti qualitativi, si verificano nelloStatoquandosisupera una determinata soglia quantitativa, cfr. Wissenschaft der Logik, cit., vol.I,p.384(trad.it.cit.,vol. I, p. 414) e C. Schmitt, Le categorie del politico, saggi raccolti per l’edizione italiana e trad. it. di P. Schiera, Bologna, 1972, pp. 146-147. [74] Hegel, Wissenschaft der Logik, vol. I, p. 118 (trad. it. cit.,vol.I,p.130). [75]Ibid.,vol.I,pp.136-137 (trad.it.cit.,vol.I,p.151). [76]Ibid.,vol.I,pp.145-146 (trad. it. cit., vol. I, pp. 159160). [77] Sul rapporto spirito- lavoro, cfr. B. Lakebrink, Geist und Arbeit im Denken Hegels, in «Philosophisches Jahrbuch», LXX (1962), pp. 107-108. [78] Adorno ha spesso rilevato l’analogia esistente in Hegel tra «lavoro» e «spirito»: «Il primato del logos fu sempre un pezzo di moraledellavoro.[…]Infatti in ogni pensiero c’è anche quel momento di sforzo violento – riflesso del bisogno vitale – che caratterizzaillavoro;faticae sforzodelconcettononsono metaforici» (Adorno, Drei StudienzuHegel, trad. it. cit., p.52).Nonsempre,tuttavia, Hegelidealizzaillavoroegli dà un significato positivo. All’interno della società civile, inoltre, esso non ha per lui un valore autonomo, ma dipende dalle leggi dello Stato. Per un approfondimento di questi temi, cfr. R. Bodei, Hegel e l’economiapolitica,cit.,pp.2977. [79] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.258(trad. it.cit.,vol.I,p.284). [80] Ibid. Nel porre in evidenza questo passo, Badaloni nota: «[…] per Hegel la coscienza sensibile assume il suo significato nell’atto del suo svanire entrolaretedeirapportiche la penetrano. La immaginazione sensibile non è il contrario del vero, ma invece essa è la manifestazione evanescente di eventi che assumono il lorosignificatosoloinnesso alreticolodelleformee,fuor di questo, svaniscono […] Tutta la teoria hegeliana dell’esperienza ha alle sue spalle questa riduzione» (N. Badaloni, Teleologia ed idea del conoscere nella logica di Hegel,cit.,p.39). [81] Hegel, Philosophische Propädeutik, in Werke, a cura di H. Glockner, vol. III, Stuttgart,19583,§159,p.211 (trad. it. di G. Radetti, Propedeutica filosofica, Firenze,1951,p.225). [82] Kant, Kritik der reinen Vernunft, B 207 (trad. it. cit., vol.I,p.183). [83] Ibid., A 270, B 211-212 (trad.it.cit.,vol.I,p.186).Su questo punto, cfr., in particolare, L. Scaravelli, Saggiosullacategoriakantiana della realtà, Firenze, 1947 (ora,coltitoloKantelafisica moderna, in L. Scaravelli, Scritti kantiani, Firenze, 1973, pp. 5-189) e C. Luporini, Spazio e materia in Kant, Firenze, 1961, pp. 205 ss. (anche sul rapporto fra grado e analisi infinitesimale).Cfr.ancheG. Mihaud, La connaisance mathématique et l’idéalisme transcendental, in «Revue de MétaphysiqueetdeMorale», XII (1904), pp. 393 ss., e G. Böhme, Über Kants Unterscheidung von extensiven und intensiven Grössen, in «Kant-Studien», LXV (1974), fasc.3,pp.239-259. [84]Cfr.L.Scaravelli,Kante la fisica moderna, cit., pp. 38 ss.,87ss. [85] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, pp. 219-220 (trad. it. cit., vol. I, pp. 241242). [86] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§24Z1. [87] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, pp. 220-221 (trad.it.cit.,vol.I,p.244). [88] Cfr. L. Landgrebe, Hegels Systembegriff, in Phänomenologie und Geschichte, Gütersloh, 1968, trad. it. di M. von Stein, Fenomenologia e storia, Bologna, 1972, pp. 84 ss. Si tratta di un concetto chiaramentearistotelico,cfr. Aristotele, Politica, I, 1253 a, trad. it. di R. Laurenti, Bari, 1966, pp. 9-10: «il tutto dev’essere necessariamente anteriore alla parte, infatti, soppresso il tutto, non ci sarà più né piede né mano se non per analogia verbale, comesesidicesseunamano dipietra(talesaràsenz’altro una volta distrutta)». Cfr. il passo in Hegel, col relativo commento, in Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIV, p. 354 (trad. it. cit., vol. II, p. 371). [89] Sul rapporto matematica-esperienza in Lagrange, cfr. A.L. Crelle, Lagranges mathematische Werke,vol.I,cit.,p.572;M.J. Petry, Hegel’s Philosophy of Nature,cit.,vol.I,p.337. [90] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.276(trad. it.cit.,vol.I,p.303). [91]Ibid. [92] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§267A(trad. it. cit., p. 231); cfr. J.L. Lagrange, Théorie des fonctions analytiques, cit., parteIII,cap.I,art.4. [93] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.277(trad. it.cit.,vol.I,p.305). [94]Ibid. [95] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§267A(trad. it.cit.,p.232). [96] Ibid. (trad. it. cit., p. 230). La posizione hegeliana sul rapporto esperienzateoria è in sostanza questa: «Il vero problema consiste nel far sì che le due operazioni, lo svolgimento del particolare dall’idea, e la sussunzione del particolare sotto l’universale, si vengano incontro. I fenomenidelmondofisicoe spirituale debbono incominciare, sotto il loro aspetto particolare, a essere elaborati e avviati a concetto, perché le altre scienze possano ricavarne leggi e principi generali: soltanto allora la ragione speculativa può esprimersi nei pensieri determinati, e recare compiutamente a coscienzailloronesso,cheè interiore»(Hegel,Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIV, pp. 375-376, trad. it. cit., vol. II, p.394).Manellamatematica la teoria va distinta dall’esperienza. [97] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§267(trad.it. cit., p. 232). Per un refuso, nella traduzione italiana c’è s = ct2, invece di s = ct3. Su queste funzioni di Lagrange cfr. anche Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 266 nota (trad. it. cit.,vol.I,p.294nota). [98] Hegel, Der Geist des Christentums und sein Schicksal, in Theologische Jugendschriften, cit., p. 299 (trad.it.cit.,p.412). [99] Hegel, Philosophische Propädeutik,cit.,§159,p.211 (trad. it. cit., p. 225). Sul problema del linguaggio in Hegel, cfr. J. Simon, Das Problem der Sprache bei Hegel, cit., assai dettagliato; K. Löwith,HegelunddieSprache, in Vorträge und Abhandlungen. Zur Kritik der christlichen Überlieferung, Stuttgart,1966,pp.97-118;T. Bodammer, Hegels Deutung der Sprache. Interpretationen zu Hegels Äusserungen über die Sprache, Hamburg, 1969; M.Zuefle,ProsaderWelt.Die Sprache Hegels, Einsiedeln, 1968;I.Fetscher,HegelsLehre vom Menschen, cit., pp. 170 ss. [100]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§459A(trad. it. cit., p. 420). Per un commento e per le fonti di questa problematica, cfr. Hegel, Philosophie des subjektiven Geistes, trad. e cura di M.J. Petry, 3 voll. Dordrecht,1978. [101] Ibid., §§ 453-457. Su questi nessi, cfr. J. Habermas, Arbeit und Interaktion. Bemerkungen zu Hegels «Jenenser Philosophie des Geistes», in Technik und Wissenschaft als «Ideologie», Frankfurt a.M., 1966, pp. 947;V.Verra,Storiaememoria inHegel,cit.,pp.344ss.Nella sua biblioteca Hegel aveva anche un libro di mnemotecnica:A.L.Kästner, Mnemonik oder die Gedächtniskunst der Alten systematisch gearbeitet, Leipzig,18052. [102] Hegel, Jenenser RealphilosophieII,cit.,pp.184, 186 (trad. it. cit., pp. 110, 112). [103] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften, §§ 455-458. Come osserva M. Rossi, Hegel definisce il segno willkürlich, ossia arbitrario, e nonconvenzionale,secondola tradizione (cfr. M. Rossi, Hegel e l’enciclopedia delle scienze, cit., p. 178). Sul rapporto tra memoria e linguaggio, cfr. G. Cantillo, Natura umana e senso della storia,Napoli,2005,pp.9-38. [104]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§458A(trad. it. cit., p. 419). Su questo punto e su questa immagine, cfr. J. Derrida, Le puits et la pyramide, cit., pp. 27ss.Siveda,inoltre,Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 492 ss. (trad. it. cit., vol.II,pp.265ss.). [105]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§463(trad.it. cit.,p.427). [106]Cfr.sopra,p.87. [107]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§462A(trad. it.cit.,p.426). [108] Ibid., § 463 (trad. it. cit.,p.427). [109] Cfr., ad esempio, Hegel, Vorlesungen über die Aesthetik, cit., vol. X1, pp. 544-545 ss. (trad. it. cit., pp. 464 ss.); Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§573A(trad. it.cit.,pp.519ss.). [110] Des Grafen Macartney Gesandschaftsreise nach China…indenJahren1792bis 1794…, von sir Georg Staunton, trad. dall’inglese, 3 voll. Berlin, 1797-1799. Sir George Staunton era segretario di Macartney durante l’ambasciata in Cina. Il testo esisteva nella biblioteca di Hegel nell’edizione Zürich, 179899. [111]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§459A(trad. it. cit., pp. 421-422, 424). Hegel trae le sue nozioni sulla lingua e la cultura cinese soprattutto dal grande sinologo francese Abel Rémusat, che insegnava il cinese al Collège de France ed era statofondatoredellaSocietà Asiatica di Parigi (Hegel lo conobbepersonalmenteefu da lui invitato a una seduta della Académie des Inscriptions,cfr.Hegelanseine Frau, 19 settembre 1827, in Briefe, vol. III, cit., p. 189) e dall’opera di W. von Humboldt, Lettre à M. Abel Rémusat sur la nature des formes grammaticales en général et sur le génie de la langue chinoise en particulier, Paris, 1827. Per quanto riguarda l’interesse dell’epoca per la lingua e la cultura dell’Oriente, cfr. Th. Benfey, Geschichte der Sprachwissenschaft und orientalischen Philologie in Deutschland, München, 1869, e R. Gérard, L’Orient et la Pensée romantique allemande, Nancy, 1963; R.F. Merkel, Herder und Hegel über China, in «Sinica», XVII (1942), pp. 11 ss.; J. Schinckel, Hegels China. China Hegels, in Aktualität und Folgen der Philosophie Hegels, a cura di O.Negt,Frankfurta.M.,1970, pp. 183-194; D. De Pretto, Oriente assoluto. India, Cina e «mondo buddista» nell’interpretazione di Hegel, Milano-Udine, 2011. In relazione poi all’antico Egitto e ai geroglifici, c’è appena il bisogno di ricordare l’attualità della questione, sia per la recente decifrazione (1822) di tale scrittura, da parte di Champollion, sia per le polemiche seguitene, cfr. M. Brown, Aperçu sur les hiéroglyphes d’Egypte et les progrès faits jusqu’à présent dans leur déchiffrement, traduzione dall’inglese, Paris, 1827; H. Hartleben, Champollion, sein Leben und sein Werk, Berlin, 1906, passim; B. Bravo, Philologie, Histoire, Philosophie de l’histoire. Étude sur J.G. Droysenhistoriendel’antiquité, Wroclaw-Varsovie-Cracovie, 1968, pp. 191-205, per il quale rinvio alla mia recensione, in «Rivista di filologia e di istruzione classica», 98 (1970), pp. 483490. [112]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§459A(trad. it.cit.,pp.422-423). [113] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 314 (trad.it.cit.,vol.II,p.59). [114]GiàFriedrichSchlegel, in Über die Sprache und Weisheit der Indier, Heidelberg, 1808, aveva posto l’accento sulla grammatica come forma organica del linguaggio. In seguito Franz Bopp, collega di Hegel a Berlino, e Jacob Grimm avevano fondato la grammatica storica e comparata (per Grimm si vedaH.Jendreieck,Hegelund Jacob Grimm, Berlin, 1975); cfr. F. Bopp, Über das Conjugationssystem,Frankfurt a.M., 1816; Id., Vergleichende Grammatik, Berlin, 1833; J. Grimm, Deutsche Grammatik, vol. I, Göttingen, 1819; S. Lefman, Franz Bopp, sein Leben und seine Wissenschaft, in appendice a W. von Humboldt, Briefwechsel mit Bopp, Berlin, 1897. Ma fu soprattutto Humboldt a distingueretrala«forma»di una lingua e il suo «carattere». Sulla filosofia del linguaggio del tempo, la figura di Humboldt e la discussione sulla natura delle singole lingue, cfr. E. Fiesel, Die Sprachphilosophie der deutschen Romantik, Tübingen, 1927; L. FontaineDe Visscher, La pensée du language comme forme. La «forme intérieure» du language chez W. von Humboldt, in «Revue philosophique de Louvain», terza serie, LXVIII (1970), pp. 449-472; Id., La notion de ‘grammaire’ chez W. von Humboldt, in «Revue philosophique de Louvain», LXXV (1977), pp. 436-452; O. Hansen-Love, La Révolution copernicienne dans l’oeuvre de Wilhelm von Humboldt, Paris, 1972; S. Timpanaro, Il contrastofraifratelliSchlegele Franz Bopp sulla struttura e la genesidellelingueindoeuropee, in «Critica storica», nuova serie, X (1973), pp. 553-590 (che pone in luce anche il rapporto tra grammatica comparata e anatomia comparata di Cuvier in FriedrichSchlegel). [115]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften,§459A(trad. it.cit.,p.421). [116] Cfr. ibid. e W. von Humboldt, Über den Dualis, Berlin, 1828, I, 10, 11 (ora in Gesammelte Schriften, a cura della Königlich-preussische Akademie der Wissenschaften,Berlin,1903 ss.,vol.VI,pp.4-30).W.von Humboldt polemizza qui contro coloro che disprezzavano le lingue dei «selvaggi» in quanto legate «alla stupidità dell’esistenza naturale» e osserva, a proposito degli Indiani dell’America del Nord: «Le assemblee che tengono le nazioni dell’America del Nord, i discorsi di certi loro capi ci forniscono, se dobbiamo credere ai resocontidicuidisponiamo, una tutt’altra idea. Numerosi sono i passaggi di questi discorsi che testimoniano di una eloquenzapossente,eanche se è vero che questi popoli intrattengono strette relazioniconicittadinidegli Stati Uniti, le espressioni che essi impiegano portano il segno irrefutabile di una originalitàcheèloropropria. Seessirifiutanodicambiare la libertà delle loro foreste e delle loro montagne per il lavoro dei campi e una dimora fissa, conservano però nella loro vita nomade un’anima intrisa di verità e di nobiltà […] Le lingue parlatedauominichesanno dare alla loro espressione tanta chiarezza, tanta forza, tanta vita, non possono essere indegne dell’attenzione dei linguisti» (W. von Humboldt, Über den Dualis, in Gesammelte Schriften, cit., vol. VI, p. 6 nota, cfr. Über die Verschiedenheiten des menschlichen Sprachbaues, ibid., p. 140). Il duale è un esempio tipico di questa estrema specificazione del linguaggio. Esso si trova quindi nell’antico dialetto attico, nel groenlandese, nel neozelandese ecc., mentre è scomparso dalle moderne lingueeuropee,osiconserva al massimo in certi idiomi dialettali di aree isolate, come in Polonia o in Bretagna, dimodoché in Europa la grammatica più ricca è in effetti quella delle lingue morte o quella dei dialetti (cfr. W. von Humboldt, Über den Dualis, cit., pp. 11-15). Sul rapporto Hegel-Humboldt, cfr. H. Steinthal, Die Sprachwissenschaft W. von Humboldts und die Hegelsche Philosophie,Berlin,1848. [117] Sull’estrema specificazione delle lingue dei ‘primitivi’ hanno in tempi più vicini a noi posto l’accento (traendone vaste implicazioniteoriche)Frazer e Lévi-Strauss, cfr. J.G. Frazer, The Golden Bough. A Study in Magic and Religion, London, 1922, trad. it. di L. De Bosis, Il ramo d’oro, Torino, 1965, vol. II, pp. 391 ss.;C.Lévi-Strauss,Lapensée sauvage, Paris, 1962, trad. it. di P. Caruso, Il pensiero selvaggio, Milano, 1964, pp. 151-234. [118] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 147 (trad. it. cit., vol. I, pp. 169170). In questa perdita di rigiditàdellinguaggiosipuò forsevedereilrisultatodella grande mobilità della vita sociale ed economica europea dei «commerci» e della divisione del lavoro, che stimolano la rapidità e la varietà delle associazioni, cfr.GrundlinienderPhilosophie desRechts,cit.,§197(trad.it. cit., p. 176): «Nella molteplicità della destinazione degli oggetti che interessano, si sviluppa l’educazione teoretica, non soltanto una molteplicità di rappresentazioni e conoscenze, ma anche una mobilità e rapidità del rappresentare e del trapassare da una rappresentazione all’altra, il comprendere le relazioni intricate e universali etc., – l’educazione dell’intelletto in generale e, quindi, anche del linguaggio». Sul lavoro come produttore dell’educazione teoretica e del linguaggio, cfr. J. Simon, Das Problem der Sprache bei Hegel,cit.,pp.92ss. [119]Hegel,Enzyklopädieder philosophischen Wissenschaften, § 145 Z. È curioso osservare che ci fu anche una grammatica di tipo hegeliano: G.L. Städler, Wissenschaft der Grammatik, Berlin, 1833 (cfr. K. Rosenkranz, Psychologie, Königsberg,18633,p.378). [120] Hegel, Wissenschaft derLogik,cit.,vol.I,p.9(trad. it.cit.,vol.I,p.10). [121] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 147 (trad.it.cit.,p.169). [122] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 10 (trad.it.cit.,vol.I,p.10). [123] Hegel, Hamanns Schriften, in Berliner Schriften, cit.,pp.270ss. [124] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 10 (trad.it.cit.,vol.I,p.10). [125] Ibid., p. 76 (trad. it. cit.,p.80).La«dialettica»ela «speculazione» trovano in Hegel la loro giustificazione proprio nei limiti del linguaggio (si potrebbe aggiungere: più specificamente nelle lingue ‘indo-europee’) e dei correlativi giudizi in forma di proposizione. Ciò spiega sia perché la filosofia hegeliana appaia particolarmente oscura, sia perché Hegel venga spesso costretto a contorsionismi espressivi, peraltro non sempre indispensabili. Che egli non avesse grandi abilità retoriche lo avevano giànotatoisuoiprofessorial SeminariodiTubinga,dacui era definito orator haud magnus (cfr. Rosenkranz, Hegels Leben, trad. it. cit., p. 111). Più tardi, nelle lezioni berlinesi,isuoiscolari,come Heinrich Gustav Hotho, hanno testimoniato le oggettive difficoltà del loro maestro nel formulare i concetti: «Spossato, corrucciato, sedeva là afflosciato a testa china, e parlando continuava a sfogliare e a cercare nelle lunghe pagine di quaderno, avantieindietro,suegiù;il continuo tossire e schiarirsi la voce intralciava il flusso deldiscorso,ognifrasesene stava isolata, e usciva con sforzo, spezzata e gettata alla rinfusa […] Un’eloquenza scorrevole presuppone la completa padronanza interiore ed esteriore del suo oggetto, e la destrezza formale può scivolare loquace con tutta lagraziapossibileinciòche è incompleto e banale. Ma luidovevaestrarreipensieri più potenti dai fondi più remoti delle cose, e se volevano agire come pensieri vivi dovevano, anche se già sviscerati ed elaborati ogni volta e per anni, prodursi di nuovo in luistesso,inunsemprevivo presente» (H.G. Hotho, Vorstudien für Leben und Kunst [1835], Stuttgart-Bad Cannstatt,2002,trad.it.diG. Zanotti, in appendice alla trad. it. di Adorno, Drei StudienzuHegel,cit.,p.182). [126] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., p. 76 (trad. it. cit., vol. I, pp. 80-81). Sul problemadelgiudizioedella proposizione speculativa, cfr.J.Simon,DasProblemder SprachebeiHegel,cit.,pp.191 ss. e H. Lenk, Kritik der logischen Konstanten. Philosophische Begründungen der Urteilsformen von Idealismus bis zur Gegenwart, Berlin, 1968, pp. 257 ss. Cfr. anche S. Otto, Die Kritik der historischenVernunftinnerhalb der Denkfigur des hegelschen «Vernunftschlusses», in «Philosophisches Jahrbuch», LXXXI(1974),pp.30-49. [127] Th.W. Adorno, SkoteinosoderWiezulesensei, inDreiStudienzuHegel(trad. it.cit.,p.126). [128] Per questo genere di studi di logica diacronica, che ha una spiccata tradizione culturale in Polonia,cfr.R.Suszko,Logika formalna a niektore zagadnienia teorii poznania (Diachroniczna logika formalna), in «Mysl Filozofiezna», nn. 2-3, 1957, o S. Rogowski, Logika Kierunkowa. A Hegelowska Teza O Sprzecznosci Zmiany, in «Studia scientiarum Torunensis»(testicitatidaL. Apostel,Logiqueetdialectique, in AA.VV., Logique et connaissance scientifique, volume pubblicato sotto la direzione di Jean Piaget, Paris, 1967, p. 371). Secondo Rogowski, a quanto si può ricostruire attraverso Leo Apostel, esiste la possibilità di tradurre la dialettica, almeno in parte, secondo una logica modale a quattro valori, con simboli come cioèpcominciaaesserevero o cioè p cessa di essere vero. Sulla dialettica come «filiazionedistrutture»esul rapporto struttura-genesi e sulpensierodialettico,cfr.J. Piaget, Les courants de l’épistémologie contemporaine, in AA.VV., Logique et connaissance scientifique, cit., pp.1241ss. [129] Per evitare l’inadeguatezza del calcolo proposizionaleapplicatoalla dialetticahegeliana,Dubarle ha costruito un complesso edificio concettuale, una sorta di algebra «iperbooleana», che ha il suo «termine vuoto» (più altre tre costanti) e tre operatori. La dialettica viene così espressa in termini di logica matematica, cfr. D. Dubarle, Logiqueformalisanteetlogique hégélienne, in Hegel et la pensée moderne, cit., pp. 114159,cfr.D.DubarleeA.Doz, Logique et dialectique, Paris, 1971. Una delle ricerche più singolari – sul piano della formalizzazione della dialettica hegeliana –, condotta attraverso l’Air Force Office of Scientific Research degli Stati Uniti, è quella di G. Günther, Das Problem einer Formalisierung der transzendentaldialektischen Logik, unter besonderer Berücksichtigung der Logik Hegels, in «HegelStudien», volume suppl. 1, Heidelberger Hegel-Tage 1962, Bonn, 1964, pp. 65-123, zeppa di grafici e di «morfogrammi». Per altri tentativi di formalizzazione, cfr. M. Kosok, The Formalization of Hegel’s Dialectical Logic, ora in AA.VV., Hegel. A Collection of Critical Essays, a cura di A. MacIntyre,GardenCity,N.Y., 1972, pp. 237-287; R. Kaher, Materialien zur Formalisierung der dialektischen Logik, in appendiceaG.Günther,Idee und Grundriss einer nichtAristotelischen Logik, Hamburg, 19782, pp. 5-117. Più in generale, si veda La formalizzazionedelladialettica. Hegel, Marx e la logica contemporanea, a cura di D. Marconi, Torino, 1980. Sui tentativi di W. Harich, G. Klaus e G. Günther di formalizzare la dialettica, cfr. anche R. SimonSchaefer, Dialektik. Kritik eines Wortgebrauchs, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1973, pp. 136 ss. e R. Schaefer, Die Dialektik und ihre besonderen Formen in Hegels Logik, in «HegelStudien», volume suppl. 45, 2001. Per una rinnovata visione della dialettica, cfr. F.Berto,Checos’èladialettica. Un’interpretazione analitica del metodo,cit.,e,soprattutto,P. Masciarelli, Un’apologia della dialettica,Bologna,2014. [130]Diamoall’espressione ilsensodiFoucault,dilimiti istituzionali che ogni forma di discorso umano assume all’interno delle diverse società, sebbene Foucault sembrinegarealladialettica hegeliana la funzione di modificare positivamente l’«ordine del discorso», cfr. M. Foucault, L’ordre du discours (testo della lezione inaugurale al Collège de Francedel2dicembre1970), trad. it. di A. Fontana, L’ordine del discorso. I meccanismisocialidicontrolloe di esclusione della parola, Torino, 1972, in particolare suHegel,pp.54ss. [131]Cfr.J.Simon,DasNeue in der Geschichte, in «Philosophisches Jahrbuch», LXXIX(1972),pp.269-287. [132] Cfr. J. Piaget, Les formes élémentaires de la dialectique,Paris,1981.Inuna prospettivadiversadaquella da me presentata, sul rapportotraPiageteHegelsi vedano: P. Dammerow, Handlung und Erkenntnis in der genetischen Erkenntnistheorie Piagets und in der Hegelschen Logik, in «Hegel-Jahrbuch», 1977/78, pp. 136-160; J. Lawler, Dialektische Philosophie und Entwicklungspsychologie:Hegel und Piaget über Widerspruch, in Zur Ontologie dialektischer Operationen, a cura di K.F. Riegel, Frankfurt a.M., 1978, pp. 7-29; Th. Kesselring, Entwicklung und Widerspruch. Ein Vergleich zwischen Piagets genetischer Entwicklungstheorie und Hegels Dialektik, Frankfurt a.M., 1981; Id., Die Produktivität der Antinomie, Frankfurta.M.,1984. [133] Cfr. Kant, Kritik der reinen Vernunft, A 236; B 294 (trad. it. cit., vol. I, p. 243): «Noi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell’intelletto puro esaminandoneconcuraogni parte; ma l’abbiamo anche misurato, e abbiamo in esso assegnato a ciascuna cosa il suoposto.Maquestaterraè un’isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili. È la terra della verità (nome allettatore!) circondata da un vasto oceano tempestoso, impero propriodell’apparenza,dove nebbie grosse e ghiacci, prossimi a liquefarsi, danno a ogni istante l’illusione di nuove terre, e, incessantemente ingannando con vane speranze il navigante errabondo in cerca di nuove scoperte, lo traggono in avventure, alle quali egli non sa mai sottrarsi, e delle quali non può mai venire a capo. Ma, prima di affidarci aquestomare,perindagarlo in tutta la sua distesa, e assicurarci se mai qualche cosa vi sia da sperare, sarà utile che prima diamo uno sguardo alla carta della regione, che vogliamo abbandonare, e chiederci anzitutto se non potessimo in ogni caso star contenti a ciò che essa contiene; o anche, se non dovessimo accontentarcene per necessità, nel caso che altrove non ci fosse assolutamente un terreno, sul quale poterci fabbricare una casa; e in secondo luogo, a quale titolo noi possediamo questa stessa regione, e come possiamo assicurarla contro ogni nemicapretesa». [134] Cfr. R. Bodei, Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno, Torino, 1987, pp. 61-73. Da un diverso punto di vista, si veda A. Arndt, Hegels Begriff derDialektikimBlickaufKant, in «Hegel-Studien», 38 (2003),pp.105-120. [135] Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften,§1. der [136]Ibid.,§19Z1. [137]Lafrase,utilizzataper la prima volta da Zenone di Cizio con allusione al suo fortunato naufragio che lo portò a conoscere il proprio maestro Cratete (cfr. Diogene Laerzio, Vite e opinioni dei filosofi, VII, 4), resa in latino da Erasmo, Adagia (2,9,78: Bene navigavi nunc, cum naufragium feci), ripresadaSchopenhauernei Parerga e paralipomeni, viene ripetutamente citata da Nietzsche e amata da Jaspers. Capitoloquinto Movimento logico, sistemae mutamento storico In questo ultimo capitolo si indaga la relazione tra movimento logico, sistema e mutamento storico, passaggio centrale della filosofia hegeliana. Il punto di partenza è la 'Scienza della logica', testo nel quale Hegel poneva la logica come una materia metodica e insegnabile come la geometria – e per poter fare questo la filosofia deve esprimereilcontenuto concreto del proprio tempo al massimo livellodiastrazione.La logica è per Hegel la dimensione astratta della vita spirituale, mostrando l’innalzamento dell’Idea fino al grado da cui diventa creatrice della natura e passa alla forma di una immediatezza concreta, il cui concetto rompe da capoquestaformaper diventare a se stesso quale spirito concreto. Per tali ragioni la logica, l’ordine, il movimento sistematicosonopunti imprescindibili nella filosofiahegeliana,che ha lasciato comunque alcuni problemi aperti espostiquiinchiusura dicapitolo. […] soltantoil metodo è in grado di mettere le redini al pensiero, di condurlo alla cosa e di mantenervelo. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche[1]. 1.Leduestrade pergiungerealla logica Per attraversare il desertodighiacciodelle astrazioni della logica hegeliana si possono prendere due strade: o partire dal concreto e dalle singole scienze, per ritrovare nelle categorie il tessuto connettivo di ogni conoscenza, immergersi o subito «nella incolore e fredda semplicità delle […] determinazioni pure»[2]. Le due strade, pur convergendo, non hanno lo stesso significato: «Altro è la logica per chi si accosta perlaprimavoltaaessa e in generale alle scienze, e altro è la logica per chi dalle scienze ritorna a lei. Colui che comincia a imparar la grammatica trova nelle sue forme e leggi delle astrazioni aride, delle regole accidentali, in generale una moltitudine isolata di determinazioni, le quali lascian soltanto vedere il valore e il senso di ciò che sta nel loro significato immediato: il conoscere non conosce dapprima in quelle altro che loro stesse. Se all’incontro uno è padrone di una lingua e insieme è in grado di confrontarla con altre, a lui soltanto si può far sentire lo spirito e la civiltà di un popolo nella grammatica della sua lingua; quelle stesse regole e forme hanno ormai un valore pieno, vivente. Attraverso la grammatica costui può conoscere l’espressione dellospiritoingenerale, la logica. Così chi si accosta alla scienza trova dapprima nella logica un sistema isolato di astrazioni che è limitato a se stesso e non si estende sopra altre cognizioni e scienze»[3]. Si prospettano quindi immediatamente due modi di leggere la Scienza della logica e di connetterla all’articolazione sistematica. Dal punto di vista didattico della costruzione scientifica, essaprecedeilconcreto, dal punto di vista genetico, lo segue. Allo stesso modo gli uomini hanno parlato secondo regole grammaticali o emettendo determinati suoni prima che queste regole venissero individuate o i suoni caratterizzati secondo lettere dell’alfabeto, ma per imparare a scrivere o a parlare correttamente bisogna iniziare dalla semplice intelaiatura del concreto: «Accade come quando si impara a leggere, allorché non si può cominciare ad un tratto leggendo l’intera parola, come hanno preteso i super-acuti pedagogisti[4], ma si deve cominciare con l’astrazione, dalle singole aste. Così nel pensare, nella logica, proprio ciò che è più astratto è ciò che è più ricco, in quanto è del tutto semplice, puro e non mescolato. Solo gradualmente si può procedere a esercizi di pensiero sul sensibile e sul concreto, quando quei semplici suoni si sono adeguatamente fissati nelle loro differenze»[5]. Storicamente, «il bisogno di occuparsi di puri pensieri presuppone un lungo cammino, che lo spirito umano deve aver percorso.Èpercosìdire il bisogno del già soddisfatto bisogno di necessità, il bisogno nascente dalla mancanza di ogni bisogno»[6]. Questa situazione di libertà dai bisogni si riproduce nella vita di un individuo durante la gioventù, prima di affrontare «il serio della vita», ed è allora che lo studio della logica vale come «lavoro preliminare»[7]. Nella scuola,checostituisceil luogo di «transizione dalla famiglia alla società civile»[8], il «sistema dei bisogni» di quest’ultima non è ancora sorto, ma già si fa valere la disciplina dell’universale contro l’immediatezzanaturale dell’«amore» della famiglia: il giovane infatti ha valore nella misura in cui riesce a impadronirsi dell’astratto[9],acuisolo inunsecondomomento potrà dare il riempimento dell’effettualità. Per ora «pensieri e concetti devono appresi essere come ben si apprende che c’è un singolare e un plurale, tre persone, le diverse parti del discorso»[10]. Fissati dall’abitudine e dallamemoria,ricordati e interiorizzati dall’Erinnerung, assimilati nella Bildung come una seconda natura, essi forniranno ai giovani la «rete adamantina» entro cui cogliere e inquadrare il proprio tempo; un tempo in cui l’«aggrovigliata situazione della vita civile e politica […] non concedeall’animo[…]di liberarsi verso fini superiori»[11], in cui sorge persino il dubbio (nella distrazione «cagionata dalla grandezza e dalla molteplicità degli interessi dell’epoca» e dal «rumoroso tumulto dei nostri giorni») che noncisiapiùspazioper «la serena calma della conoscenza semplicemente pensante»[12]. Questo tipo di educazione, che parte dal più astratto per giungere al più concreto, acquisizioni dalle dello «spirito» o del genere umano per giungere all’esperienza individuale, è conforme alle vigenti condizioni storiche, al bisogno di attenersi a «punti di vista generali e di regolarediconseguenza il particolare, cosicché forme universali, leggi, doveri, diritti, massime valgono come motivi determinanti e sono ciò che fondamentalmente ci guida»[13]. Nell’età moderna l’astratto si trova già elaborato, pronto per essere consumato dal singolo, eilcumuloattualedelle conoscenze non potrebbe essere altrimenti fruito che a partire dalle esperienze già cristallizzate nella culturaenellinguaggio: «Il genere di studio proprio dell’antichità si differenziadaquellodei tempi moderni, perché era propriamente il processo di formazione della coscienza naturale. Allora, l’individuo, esercitandosi dettagliatamente in ciascunapartedellasua esistenza e filosofando su ogni accadimento, si educòaunauniversalità intimamente concretata. Nei tempi moderni egli trova invece bella e preparata la forma astratta […] Ora, quindi, il compito non consiste tanto nel purificare l’individuo dal modo dell’immediata sensibilità per renderlo una sostanza pensata e pensante, quanto piuttosto nell’opposto: nell’attuare, cioè, l’universale e nell’infondergli spirito, togliendo i pensieri determinati e solidificati. È peraltro assai più difficile rendere fluidi i pensieri solidificati, che render fluida l’esistenza sensibile»[14]. Inizialmente, dunque, la forma astratta già preparata si presenta all’apprendimentocome qualcosa di estraneo o di rigido, che deve essere poi posto in fluidità dall’esperienza concreta e, al livello più alto, dalla filosofia: «Già albambinovieneofferta la riflessione. Gli viene ad esempio assegnato il compito di connettere aggettivi con sostantivi. Qui ha da stare attento e da distinguere; deve ricordarsi una regola e applicarla secondo il caso particolare. Ma la regola non è nient’altro che un universale, e il bambinodeverendereil particolare conforme a questo universale»[15]. Nella difesa del «cominciamento» astratto, e del carattere isagogico della logica per i giovani, c’è anche unrisvoltopolemiconei confrontidiFriesedelle Burschenschaften, dell’affermazione che i giovani abbiano in se stessi la verità: «Si è dato a intendere alla gioventù che essa sia già in possesso del vero (nella religione e nell’etico), così come esso realmente è. In particolare si è detto anche, sotto questo aspetto, che tutti gli adulti sono immersi, sclerotizzati e ossificati nella non-verità. Alla gioventù sarebbe apparsa l’aurora, ma il mondo dei più anziani si troverebbe nel pantano, nella palude del quotidiano»[16]. In effetti – dice Hegel, proponendo questa disciplina mediante l’astratto –, bisogna riporre in generale delle speranze nella gioventù solo perché non rimanga «come è, ma si assuma il duro lavoro (saure Arbeit) dello spirito»[17],ossiavadaal di là del sapere immediato e produca il «mondo nuovo», passando però attraverso la comprensione del vecchio. La Scienza della logica va vista anche all’interno della paideia hegeliana, senza staccarla dalla Propedeutica che ne costituisce la premessa di insegnabilità[18]. «Io sonounuomodiscuola, che deve insegnar filosofia, è forse anche per questo che reputo che la filosofia debba diventare una costruzionemetodica,al pari della geometria, insegnabile come questa»[19]. Per acquistaretalenaturala filosofia deve esprimere il contenuto concreto del proprio tempo al massimo livello di astrazione (che è poi non soltanto la massima concretezza del pensiero, ma il miglior punto di diffusione, di comunicabilità, una volta depurato dall’accidentalità delle esperienze soggettive), deve diventare perciò «evidente, comunicabile e capace di essere un patrimonio comune»[20]. Hegel aveva difeso questa concezione dell’astratto contro le anche autorità scolastiche della Baviera, che, sotto il pretesto di evitare lo spirito opprimente dei sistemi e di dare ai giovani una conoscenza più immediata della realtà, imponevano le esercitazioni pratiche nell’insegnamento della logica: «Nei chiarimenti ufficiali del programma dell’autunno 1810 è indicato espressamente di non insegnare un tutto sistematico, ma di assegnare esercizi pratici nel pensiero speculativo. Ma questa appunto mi sembra la cosa più difficile di tutte. Volgere in forma speculativa un oggetto concreto o una situazione reale, prepararlo e sgrossarlo in modo che possa essere compreso speculativamente, questa è certo la cosa che deve venire da ultima, come nell’insegnamento musicale il giudicare un pezzo secondo il basso fondamentale. Come esercizio pratico nel pensiero speculativo, non so intendere altro che trattare i concetti puri, reali, nella loro forma speculativa, e questaèlalogicastessa nel suo nucleo più intimo. Al pensare speculativo, in quanto articolazione del significato, può e deve precedere il pensare astratto, il concetto intellettuale astratto nella sua determinatezza; ma la serie dei medesimi è di nuovo un tutto sistematico»[21]. La logica è infatti la dimensione astratta della vita spirituale, «la semplice impalcatura interna delle forme dello spirito»[22]. Sotto questo profilo, essa è «scienza formale», che non può contenere ancora «quella realtà che è il contenuto delle altre successive parti dellafilosofia,cioèdelle scienze della natura e dello spirito. Queste scienze concrete riesconoaognimodoad una forma più reale dell’Idea, che non la logica,mainparitempo non quasi si volgessero daccapo a quella realtà, che la coscienza elevatasi al di sopra dellasuaapparenzafino a farsi scienza ha abbandonata, o quasi nuovamente tornassero all’uso di forme, come son quelle categorie e quelle determinazioni della riflessione, la cui finità e non verità si è fattavederenellalogica. Anzi la logica mostra l’innalzamento dell’Idea fino al grado da cui diventa creatrice della natura e passa alla forma di una immediatezza concreta, il cui concetto però rompe da capo questa forma per divenire a se stesso quale spirito concreto. A fronte di questescienzeconcrete, che però hanno e conservanoillogico(das Logische) ossia il concetto performatore interno come l’avevano per preformatore, la logica stessa è a ogni modo la scienza formale, ma scienza della forma assoluta, la quale è in sé totalità e contiene la pura idea della verità stessa»[23]. Sono oggetto della logica solo le determinazioni pure del pensiero, a prescindere da ogni applicazione particolareaduncampo specifico[24]. Ma questo non vuol dire che la logica sia forma e astrazione vuota, che poi debba applicarsi dall’esterno ai singoli contenuti: essa è tale solodidatticamente,nel momento della sua insegnabilità sistematica,inquantole singole categorie logiche, dopo essere state al culmine dell’attività spirituale delle singole epoche, ridiventano «cognizioni «aste» o […] da ragazzi». 2.Laviabreve Per chi giunge invece alla logica dal cammino dellaesperienzamatura oppure dopo aver percorso le singole scienze, la logica è un risultato,nonl’iniziodel sistema, ma il suo coronamento.Inquanto punto d’approdo, essa è filosofia o scienza della logica, appartiene cioè allaformapiùaltadello spirito assoluto, del ritornare in sé dall’alienazione, e non al punto di partenza, allalogicacomescienza «formale» che precede didatticamente nella Enciclopedia il concreto della natura e dello spirito.Èevidentechela logica in sé è sempre la stessa, ma che, mutandoilsuovaloredi posizione nell’insieme, muta anche il suo senso,finoadassumere significatiopposti.Sorge così, ad esempio, il problema, in genere male impostato, del «doppio cominciamento»[25] oppure l’universale effetto ottico di un Logos che crea demiurgicamente il mondo. Malgrado la tradizionale compattezza di questa interpretazione della logica di Hegel, che ne ratifica l’«idealismo», essa si fonda sulla parzialità del punto di vista (quello della costruzione didattica) e sull’oblio del cammino storico e fenomenologico percorso. È già strano, inoltre,checoluicheha tanto sottolineato il legame della filosofia colpropriotempo,abbia poi potuto capovolgere leproprieposizionisino a rovesciarle, senza rendersene conto, ed è veramente ridicolo attribuire a un pensatore con tanto senso della realtà delle costruzioniteorichecosì ingenue. Né si può rimediare a queste difficoltà concettuali con dei piccoli trucchi, certo empiricamente utili ma insufficienti, come quello di Litt, che consiglia di leggere l’Enciclopedia a rovescio, cominciando dalla fine[26].Sidevepiuttosto capire alla base questa presunta incongruenza, vedere le categorie logiche come risultato del processo storico, come serie dialettica di espressioni concettuali delle diverse epoche storiche, incapsulate nella struttura in movimento dell’ultima epoca storica considerata dalla filosofia, e tutte convergenti come patrimonio collettivo attualmente fruito e assimilato. Il pensare puro è geneticamene, infatti, il prodotto di un lungo tirocinio che la ragione umana ha compiuto sul concreto del mondo naturale e sociale. Tale bene comune (Gemeingut) cumulativo e trasmissibile si presenta solo a prima vista come immediato: «Un difficile pezzo per pianoforte può essere facilmente suonato dopo che è stato ripetuto parecchie volte in singoli passaggi; ogni singola nota si è impressa nella coscienza e il tutto, che può apparire immediato, è solo il risultato di molte mediazioni. Così è della natura del pensiero; questa identità con se stesso, questa pura trasparenza dell’attività con sé, è in sé la negazione del negativo edèilrisultatochesifa immediato, che appare come immediato»[27]. È da cercarsi qui la spiegazione del perché la Scienza della logica, l’opera che contiene il più di idealismo, sia anche quella che ha in sé «il più materialismo» e di del perché Lenin possa fare questa constatazione: «QuandoHegelsistudia (e talora persino si sforza e si spreme) di ricondurre l’attività finalistica umana sotto le categorie della logica, dicendo quest’attività che è il ‘sillogismo’(Schluss),che ilsoggetto(l’uomo)hala funzione di un “termine” nella “figura” del “sillogismo”, ecc., questa non è soltanto una forzatura, non è soltanto un gioco. C’è qui un contenuto molto profondo, puramente materialistico. Bisogna ribaltare la cosa: la attività pratica umana ha dovuto condurre la coscienza dell’uomo a ripeteremiliardidivoltele diverse figure logiche, affinché tali figure potessero assumere il significato di assiomi»[28]. In parte, questo ribaltamento della «cosa» è già presente in Hegel,ancheseeglinon procede dall’«attività pratica umana» in quanto tale, ma dalle operazioni della coscienza, mediate tuttaviadallavoro. Se la filosofia, quindi, non è altro che «immediatezza ripristinata»[29]; se «la serie dei sistemi filosofici quale si presenta nella storia, è uguale alla successione che si presenta nella deduzione logica delle determinazioni concettualidell’idea»[30], allora si può affermare che la logica («deduzione delle determinazioni concettuali dell’idea») è la trascrizione concettuale abbreviata di tutta la ricchezza delle singole epoche, lo stenogramma teorico di tutta la storia umana, e che, di conseguenza, la successione delle categorie, che si presenta come autokynesis (o come autarchia)[31], ha già ricevuto il suo impulso, il suo nisus dall’epoca, poiché il suo movimento è lo stesso movimento storico al livello del pensiero. Al pari delle figure fenomenologiche–ilcui contenuto «è già l’effettualità affievolita nella possibilità, l’immediatezza già forzata, è la figurazione già ridotta alla sua abbreviazione (Abbreviatur), alla semplice determinazione di pensiero»[32] –, anche le categorie, nel loro uso «naturale» e non riflesso, valgono come «abbreviazioni» nelle quali è «riassunta (epitomiert) una infinita moltitudine di rappresentazioni, di attività, di stati o condizioni etc.»[33]. Le tappe percorse dal pensiero umano con lungo e faticoso sforzo vengono così accorciate e facilitate per poter essere rapidamente fruibili dal singolo, sebbene in tal modo scompaia allo sguardo quella tensione dello spiritoche,asuotempo, hatessutooevidenziato ciascuno dei punti nodali della «rete adamantina». In quanto abbreviazioni, le categoriehannorispetto alla realtà lo stesso rapporto che il danaro ha rispetto alla totalità dei bisogni; infatti, anche il «danaro è l’abbreviazione di tutti i bisogni esteriori»[34]. Tuttavia, nella Scienza della logica, a Hegel non interessa tanto il momento storicogenetico del sorgere delle categorie, l’«itinerario» dell’esperienza o della storiadellafilosofia(che viene qui presupposto), quantoilloroarticolarsi apparentemente autonomo di «via che costruisce se stessa»[35], l’esperienza categoriale che il pensiero di una determinataepocafasu se stesso e la propria origine, ma al livello delle «forme» in cui è stata colta la successione delle diverseepocheeinvista dell’autocomprensione del presente. A partire dall’«essere» parmenideo, il contenuto concreto di ciascuna epoca è considerato da Hegel ormai intimamente inglobato nella categoria, assimilato nella sua inquietudine dialettica che già fu storica, conservato come sfondo soppresso, alparideldx.L’effettodi autarchia e di chiusura delpensieroinsestesso che la logica hegeliana produce deriva dal fatto che questa grammatica delpropriotempoviene vista dimenticando completamente il suo rapporto con la serie delle epoche colte nel pensiero, come grammatica cui non corrisponda alcuna linguastorica,unasorta di esperanto bizzarramente e arbitrariamente costruito[36]. Nella sfera logica – al di fuori della successione meramente cronologica e dell’opposizione nella coscienza di certezza e verità – si assiste al sistematico dipanarsi della «rete adamantina» del presente, quale si è venuta intrecciando attraverso patrimonio tutto il collettivo del pensiero umano. Non è che, plotinianamente, il tempo sia «nientificato, quando l’anima si unisce all’intellegibile»[37]; è veropiuttostoche,nella sua trascrizione concettuale, il tempo viene strutturato mediante forme più complesse che non quella della semplice serie lineare, viene strutturato nientemeno che dalla totalità delle categorie (non solo logiche)dellafilosofiadi volta in volta dominante, dal «sistema». Per Hegel il tempo cronologico, nella sua forma seriale, è unicamente la modalità più povera di unificazione e comprensione del molteplice storico. Ma anche il sistema, nel suo specifico terreno, non ha affatto cancellato quell’aspetto ‘diacronico’, di «filiazione di strutture», che caratterizza la cadenza dialettica. Lo ha universalizzato nell’Erinnerung del «sapere assoluto», prima di lasciarlo sviluppare nell’«etere» delpensieropuro,come carenza avvertita in ogni singola categoria e visveri. 3.Concatenazione eautarchialogica Impieghi bene il tempo. Corre via così presto! Ma a guadagnarlo le sarà d’aiuto l’ordine. Quindi, amico caro, il mio consiglio è, anzitutto, Collegium Logicum. La mente sua sarà là dentro cosìbene ammaestrata e stretta in calzari spagnoli che più prudente poi percorrerà la strada del pensiero. Eadestra e a manca non sfarfalli come le lucciole, di qua e dilà. Quello che tutti subito fanno da sé, ad esempio bere e mangiare, per vari giorni le insegneranno che in tre tempi si devefare. In realtà, la fabbrica dei pensieri va come va un telaio: pigi il pedale, mille fili siagitano le spole volano di qua e di là, i fili corrono invisibili, un colpo lega mille maglie. A questo punto entra il Filosofo e le dimostra che così dev’essere. Mefistofele, in Goethe, FaustI, vv.1908- 1929[38]. Il pensiero logico permea costantemente la vita quotidiana dell’uomo, in maniera altrettanto spontanea (una volta acquisito e ritornato all’immediatezza), della digestione o del respiro: «Se, ad qualcuno, esempio, in una mattina d’inverno, appena sveglio, ode per strada stridere le ruote delle carrozze e da questo è portato a fare la considerazione che potrebbe esserci stata una bella gelata, egli esegue una operazione sillogistica, e questa operazione noi la ripetiamo quotidianamente fra le più molteplici complicazioni.Dovrebbe quindi, perlomeno, essere di non poco interesse diventare esplicitamente consapevoli di questo proprio fare quotidiano, in quanto fare di un uomo che pensa, allo stesso modo che è di riconosciuto interesse il prendere conoscenza non solo delle funzioni della nostra vita organica (quali digestione, la la formazione del sangue, larespirazioneecc.),ma anche degli eventi e dei prodotti della natura che ci circonda»[39]. In quantoscienza,lalogica non ha altro compito che evidenziare e ordinare in un tutto sistematico le categorie eiprocedimentidiquel pensare che è presente in tutti gli uomini: «Depurare pertanto queste categorie, che operano soltanto istintivamente come impulsi, e che son dapprima portate nella coscienza dello spirito come isolate, epperò come mutevoli e come intralciantesi, mentre procuran così allo spirito una realtà a sua volta isolata e malsicura, depurarle, e sollevar con ciò in esse lo spirito alla libertà e allaveritàquestoèilpiù alto compito logico»[40]. Il concetto puro, così enucleato, si manifesta non come una morta ossatura del sensibile, bensìcome«lasemplice pulsazione vitale tanto degli oggetti stessi, quantodelloropensiero soggettivo»[41]. Esso appare tuttavia alla coscienza – con una reminiscenza schilleriana e con un significativo rovesciamento del platonico mito della caverna[42] – sotto l’aspetto di una pallida ombra: «Il sistema della logica è il regno delle ombre. Il mondo delle semplici essenzialità, libero da ogni concrezione sensibile. Lo studio di questa scienza, la dimora e il lavoro in questo regno delle ombre è l’assoluta educazione e disciplina della coscienza»[43]. Il soggiorno in questo mondo diafano, in cui diventa percettibile la rete «adamantina», altrimenti invisibile ai sensi, richiede una potente capacità di astrazione e di rinuncia ai sensi e alle rappresentazioni[44]. In compenso, però, è qui che si attinge la verità formale del sensibile e delrappresentativo,che si conoscono – è il caso di dirlo – quelle eminenze grige che governano la vita non soltanto teoretica; ed è qui, infine, che le categorie, lungi dall’essere immobili essenze, si presentano dotate di quell’energia cinetica che è l’espressione del movimento già compiuto dallo spirito e del suo attuale tendere. Che la scienza della logica riproduca, con sequenza rigorosa di arricchimento dell’astratto del pensiero, un processo che in parte si è già svolto,inpartecontinua a svolgersi, è detto nuovamente da Hegel: «Quindi la scienza logica, in quanto tratta quelle determinazioni che attraversano in generaleilnostrospirito istintivamente e senza che se ne abbia coscienza, mantenendosi non oggettive, inavvertite, anchequandoentranoa far parte del linguaggio, è insieme anche la ricostruzione di quelle altre, che sono state rilevatedallariflessione, e da essa fissate quali forme soggettive, esterne alla materia e alla sostanza»[45]. La logica–epiùingenerale la filosofia, in quanto «sistema nello sviluppo»[46] – si impadronisce infatti dello«spiritonuovo,che è sorto per la scienza non meno che per la realtà»[47]. Finora esso non si è fatto sentire molto nella logica, che vien sempre ammirata da lontano come un edificio venerabile in sé compiuto e bisognoso, al massimo, di qualche restauro. E di fronte all’esigenza diffusa di una logica radicalmente nuova (ossia di un nuovo reticolo formale perilpropriotempo)siè risposto con dei surrogati di spiegazione antropologica o psicologica (Fries e Kant)[48].Ma,daunlato, quando una «forma sostanziale» dello spirito è mutata, è «vano voler ritenere le forme di una cultura anteriore.Cotesteforme sono allora foglie flaccide, che vengono spinte via dalle nuove gemme già sorte al loro piede»[49]; dall’altro, l’impostazione antropologica e psicologica riguarda il concetto nel suo «apparire» e non nella sua concatenazione scientificamente insegnabile.Alparidelle «aste» nello scrivere o del«puntoelalinea»in geometria[50], la partenza della logica dall’astratto ha due ulteriori motivazioni, una storica e una didattica: storica, perchélarealtàsirivela nel pensiero progressivamente,inun crescendo di concretezza concettuale che corrisponde al processo ‘a valanga’ di accumulazione dell’esperienza collettiva e di complicazionedellavita sociale; didattica, perché la successione delle categorie forza nella coscienza del singolo la via di minor resistenza, non solo in quanto essa è quella di fatto già spianata, ma anche in quanto le «differenzesincrone»,in cui si risolve la successione, sono «i lati necessari di un unico principio»[51], cioè, le singole categorie, che nella loro epoca erano ciascuna il concretissimo del pensiero, sono di per sé astratte ed hanno concretezza solo nella totalità dell’orizzonte strutturato dell’ultima filosofia dominante. In talmodoèillorostesso nisus che le fa convergere nel punto focale di quell’unico principio egemonico. Nella sequenza teleologica delle categorie si scopre la cospirazione tramata dall’istintodellaragione (sulterreno«formale»)a favore dell’«unica» filosofia egemone in ciascun periodo. Questa «comprendeinsestessa tutti gli stadi, è il prodotto e la conclusione di tutte le filosofie precedenti»[52]. In quanto tale, «la filosofia più tarda, più recente,piùgiovane,più nuova, è anche la più progredita, ricca, profonda. Essa deve conservare e contenere tuttoquellocheaprima vista sembra passato, e deve essere essa stessa il riflesso di tutta la storia. Il primordio è il più astratto, appunto perché è primordio e non ha ancora proceduto innanzi; l’ultima forma, che nasce da questo moto progressivointesocome progressiva determinazione, è anche la più concreta. Questa, bisogna subito rilevarlo, non è affatto presunzione orgogliosa della filosofia contemporanea: infatti lo spirito di tutta la presente esposizione consistenelconsiderare la più progredita filosofia d’un periodo posteriore come risultato, in sostanza, del precedente lavoro dello spirito pensante; sicché essa, stimolata e sospinta da queste vedute anteriori, non è spuntata come un fungo,dalnulla»[53].Una filosofia non è però più progredita per il semplice fatto di venire dopo,masoloinquanto riesca a impossessarsi dei princìpi di tutte le filosofie precedenti, a essere «il riflesso di tutta la storia» e non dell’immediato presente; e il presente (la Gegenwart) che l’ultima filosofia riflette non è unicamente la propria epoca racchiusa entro precisi confini cronologici, ma il fronte del presente, che è alla testa di tutto il passato inquadrato secondo le sue direttive ed è in marciaversoilfuturo,è la «falange corazzata» della lettera a Niethammer. Un sistema filosofico non dipende per Hegel da «un principio limitato e diverso da altri: è, per contrario, principio di vera filosofia contenere in sé tutti i princìpi particolari»[54]. L’unica filosofia egemone in ciascun periodo è lo sforzo immane di fondare l’autocomprensione del proprio tempo sul terreno dall’intero ereditato processo storico. Che il progetto hegeliano di inserire coscientemente nella propria filosofia tutto il patrimonio collettivo della storia umana sia riuscito o no, resta pur sempre l’audacia dell’impresa e fecondità della la sua direzione, nonché la significativaotticadiun pensatore e di un’epoca che si sentono eredi diretti, malgrado ogni discontinuità rivoluzionaria, dell’intero passato. La Rivoluzione francese e Napoleone, la Restaurazione e la Rivoluzione di luglio avevano generato l’esperienza storica del riassorbimento delle lacerazioni e della rottura degli equilibri, trasformato in avvenimenti sofferti lo schema sottostante della continuità attraverso la discontinuità e il salto qualitativo. E la polemica hegeliana contro il «cattivo infinito» è, da questo punto di vista, rivolta contro la paralisi nell’avviare a soluzione i problemi del proprio tempo, con una fuga in avanti o con la dispersione nei dettagli marginali. Solo nel previo riconoscimento chelasoluzionesitrova già dentro le contraddizioni della realtà effettuale e che gli equilibri vigenti non sono eterni, solo nel rendersi conto che il processo di formazione del mondo storico è un travaglio millenario, è possibile per Hegel non cadere in una passiva disperazione o in una velleitaria utopia. Ma si può anche fuggire all’indietro – e non unicamente nei vagheggiamenti romantici del Medioevo o negli ideali da ancien régime della Restaurazione –, bensì ritornando dalle contraddizioni, poste in luce efficacemente dall’intelletto, alla certezza sensibile. Questo è l’atteggiamento più generale al livello della coscienzacomune,della religione e anche delle scienze, e ciò spiega l’asprezza della lotta hegeliana: l’intelletto individua il «necessario contrasto» delle proprie determinazioni,manon compie «il gran passo negativo» di risolvere dialetticamente le contraddizioni; infatti, la riflessione «non si accorge che la contraddizione è appunto il sollevarsi della ragione sopra le limitazioni dell’intelletto, e il risolver queste. Invece di muover di qui l’ultimopassoinalto,la conoscenza insoddisfacenti delle determinazioni intellettuali è fuggita indietro all’esistenza sensibile, persuasa di possedere in questa la stabilità e la concordia»[55]. Si può ormai constatare certezza come la sensibile moderna sia meno che mai ingenua, come sia piuttosto una certezza sensibile di ritorno, che nasconde nell’immediatezza le contraddizioni irrisolte dell’intelletto, una falsa coscienza che reifica le contraddizioni irrisolte nel concreto sensibile. Ecco perché il «qui» e «l’ora» contengono già l’universale: essi sono una incertezza che si spaccia per certezza sensibile, ma che si fonda in realtà sulla retroazione dell’astratto, e si serve del sensibile come àncora per fissare le determinazioni dell’intelletto nella loro rigidità. Da tale prospettiva, l’indugiare sulsensibileosuciòche si ritiene il sensibile è per Hegel uno dei più diffusi segni di inadeguatezza nei confronti dello spirito dei tempi, di quella fluidità continua e di quel ritmo fatto di scissioni, provvisoria revoca di esse, nuove scissioni a più alto esponente e così via. Certo, «l’interesse dell’umanità di questo tempo» è che l’uomo vuole «soddisfazione per sé»[56], ed è più facile credere di «possedere la stabilità e laconcordia»poggiando sul substrato sensibile che non dimorando nel «regno delle ombre» in cuiilpensierosimuove. Ma tale dimora non è tuttavia per Hegel un al dilà,unafuga,bensìun passaggio necessario tanto dell’educazione, quanto dell’esperienza, sia quella della coscienza comune che quella delle scienze: «Così la logica deve a ogni modo impararsi sulle prime come qualcosa che certamente s’intende e si penetra, ma di cui peròdaprincipiononsi sa vedere l’estensione, la profondità e l’ulteriore importanza. Soloinseguitoaunapiù profonda conoscenza delle altre scienze l’elemento logico si eleva per lo spirito soggettivo fino a valere non già semplicemente come un universale astratto, ma l’universale come che abbraccia in sé la ricchezza del particolare. In egual maniera una stessa sentenza morale non ha, nella bocca del giovinetto, che pur l’intendeperfettamente, quel significato e quella portata che ha nello spirito di un uomo ormaiespertodellavita, per il quale, pertanto, esprime l’intiera forza della sostanza contenutavi. Così l’elemento logico non ottiene la giusta estimazione del suo valore,senoninquanto sia divenuto il resultato dell’esperienza delle scienze.Essosipresenta allora allo spirito come laveritàuniversale,non come una conoscenza particolare accanto ad altra materia e ad altre realtà, ma come l’essenzadituttoquesto rimanente contenuto»[57]. Subìta la disciplina logica, il suo agire ritorna sotterraneo; le categorie, una volta interiorizzate (erinnerte), divengono nuovamente potere inconscio, dimodoché nella logica il più di coscienza si ribalta nel più di inconscio; talpa e civetta scambiano i loro ruoli: «Ma soprattutto il pensiero arriva con ciò [conladimoranelregno delle ombre] a sussistere per sé e a essere indipendente. Esso si familiarizza coll’astratto e coll’avanzare attraverso a concetti senza substrato sensibile, diventa il potere inconscio di accoglier nella forma razionale la rimanente molteplicità delle cognizioni e delle scienze, di afferrarle e tenerle ferme in ciò che hanno di essenziale, di spogliarle dell’estrinseco, e di estrarneinquestaguisa l’elemento logico, – o, ch’è lo stesso, il pensierodiventaconciò il potere inconscio di riempire colla sostanza d’ogni verità quell’astratta base logicagiàacquistataper mezzo dello studio, e di dare all’elemento logico il valore di un universale, che non sta più come un particolare accanto a un altro particolare, ma si impone sopra a tutto questo ed è la sua essenza, l’assolutovero»[58]. Rispetto alle altre forme dello spirito, le categorie logiche hanno una vischiosità maggiore e permanenza, formano un reticolo di più lunga durata, proprio perché coinvolgono l’intera comprensione della realtà.Ilfattostessoche da Aristotele in poi la logica non abbia fatto unpassoavanti(giacché i mutamenti consistono «quasi per intiero in semplici omissioni»), implica per Hegel non solo la lentezza con cui si producono le variazioni su questo terreno, ma anche il bisogno, ormai maturo, di un suo «totale rifacimento». In effetti, «un continuo lavoro di duemil’anni deve aver procurato allo spirito una più alta coscienza intorno al suo pensare, e intorno alla sua pura essenzialità in se stessa»[59]. Le nuove categorienonsonostate tuttavia finora compenetrate e sistemate, e inoltre, durante tutto il Medioevo,perquantola coscienza si sia sviluppata e abbia prodotto delle «figure», non c’è stata l’acquisizione di alcuna nuova categoria logica. Dopo la caduta del mondo antico, gli arabi, diversamente dai barbari insediatisi in Europa, «con la stessa rapiditàconcuigrazieal loro fanatismo si estesero sul mondo orientale e occidentale, percorsero anche i vari stadi della civiltà, e in breve tempo si procuraronounacultura moltosuperioreaquella dell’Occidente»[60]. Essi peròseguironolastessa direzionechelafilosofia e le scienze avevano seguito anteriormente tra i Greci e non fecero quindi progredire la filosofia[61]. Neppure gli Scolastici in Occidente fecero progredire la filosofia, ma nell’esercizio del pensiero, analogo all’esercizio delle armi nei tornei cavallereschi[62], essi imposero alla coscienza la dura disciplina del regno delle ombre, e fu proprio la lunga incubazione nella «notte»delMedioevo,in luogo della rapida assimilazione da parte degli arabi, che estrasse il nuovo pensiero a partiredallabarbarie.Lo «sprofondarsi in sé» dell’Occidente nel sole interiore, il suo sottosviluppo, di contro all’«espansione» della civiltà islamica[63], fu la premessa di uno sviluppo accelerato. Ma il «giogo» inizialmente imposto alla rozzezza barbarica fu tremendo, anche se aveva come scopo «l’infinita elasticità» e come premio «la libertà dello spirito»[64]. La nuova verità, l’assoluto, si rivelò in maniera concreta e immediata già nella figura del Cristo, in cui l’abbandono della naturalità assunse la forma tragica e individuale della morte[65]. Perciò la filosofia cristiana fu, fin dalleorigini,«untorbido agitarsi nelle profondità dell’idea, nelle configurazioni di essa, che ne costituiscono i momenti, un aspro combattimento della ragione, che non riesce a farsi strada dalla fantasia e dalla rappresentazione concetto»[66]. al Nel Medioevo la verità infinita, sotto forma di spirito e sotto la parvenza dell’alterità, venne affidata «a un popolo di barbari, che non posseggono la coscienza della loro umanità spirituale, che hanno bensì petto umano, ma non ancora spirito umano. La verità assoluta ancora non si realizza, non diventa ancora presente nella coscienza reale, ché anzi gli uomini sono strappati fuori di se stessi. Per gli uomini, questo contenuto dello spirito si trova ancora deposto in loro come in un vaso estraneo, pieno dei più intensi stimoli della vita fisica e spirituale,macomeuna pietra pesantissima, di cui possono soltanto sentire l’enorme pressione, ma ch’essi non digeriscono e non ancora assimilano coll’istinto»[67]. Tuttavia, proprio perché spiritus durissima coquit, anche questo masso viene dapprima sbriciolato e poi assimilato. Il compitodellaScolastica è stato, appunto, quello di trasformare la rozzezza del sensibile e della fantasia nella forma dell’intelletto. Parallelamente, la grande rivoluzione apportata dal cristianesimo in questo periodoèstataquelladi diffondere l’intellegibile fralemasse,tradurrela filosofia nel linguaggio dellacoscienzacomune, ampliando così il numero degli individui consapevoli e ponendo le premesse di una svolta qualitativa della storia europea: «in virtù della nuova religione il mondo intellegibile della filosofia è diventato mondo della coscienza comune; perciòilGellertafferma: – “Oggi i bambini sanno di Dio ciò che nell’antichità seppero soltanti i maggiori sapienti”. Ma perché tutti possano sapere la verità, è necessario che quest’ideapervengaloro come un oggetto, non per la coscienza pensante e coltivata filosoficamente, ma per la coscienza sensibile, ancora ferma ad un modo rozzo di rappresentarsi le cose […] Nel Cristianesimo questoessereinséeper sé del mondo intellettuale, dello spirito, è diventato coscienzagenerale»[68]. Per combattere la rozzezza della rappresentazione, gli Scolastici procedono, per così dire, ad una sorta di iconoclastia del sensibile e dell’esperienza, fondando un «regno del pensiero» che, evangelicamente, non è ancora un regno di questomondo,manella sua aridità si oppone a esso; o meglio, proprio la sua separazione dal mondo sensibile è la cifra di questa scissione esistente. La Scolastica ha nel Medioevo la stessa funzione di ginnastica mentale che in precedenza aveva svolto la Sofistica: «Come i Sofisti greci si erano aggirati in concetti astratti a serviziodellarealtà,così fecero gli Scolastici al servizio del loro mondo intellegibile»[69]. Essi astraggono completamente infatti dall’esperienza nel forgiare i propri concetti, perché disprezzano la realtà e non provano alcun interesse per essa, e fanno camminare il pensierosenzal’apporto di ciò che è esterno[70]. In un periodo in cui la Chiesa si garantisce «dagli attacchi dei potenti coi terrori dell’inferno»[71], anche la filosofia, per difendersi dalla cattiva realtà dell’esistente, si arrocca nella cittadella dell’intelletto e costituisce lo scenario superiore e complementare del mondo degli inferi. Dopo un lungo periodo di diffidenza, anche la filosofia è ammessa nellacivitasDeietendea identificarsi con questa realtà soprannaturale. Il cristianesimo era sorto, infatti, dal sentimento giudaico della propria «nullità», e contro tale «miseria» aveva innalzato «il mondo intiero […] in questo elemento del nulla […] ma appunto però in base a questo principio s’innalzò nel regno del pensiero,inquantoquel nulla si cangiò in una conciliazione positiva. È stata questa una seconda creazione del mondo, seguita alla prima»[72].Diunasimile seconda creazione del mondo, cominciata con latragediadellacroce,il pensiero è il segreto artefice.Solochelarosa della conciliazione non è ancora fiorita e se ne ha un vago sentore unicamente nel suono delle campane o nella debolelucedeiceri,che sostituisce il sole esteriore e illumina la «notte» di quest’epoca: «Ciò che la coscienza di séavevadasuperareera da un lato questa immediatezza sensibile del suo mondo intellegibile, d’altro lato l’opposta immediatezza sensibile della realtà, cheperlasuacoscienza vale come nulla. Essa esclude il sole, lo sostituisce con candele, si adorna soltanto d’immagini; la conciliazione è avvenuta soltanto in sé, nell’interno, non per la coscienza: per l’autocoscienza non c’è che un mondo peccaminoso, malvagio. Giacché il mondo intellegibile della filosofia non aveva appunto ancora in sé finito di farsi anche mondo reale, di conoscere nel l’intellegibile, reale nell’intellegibile il reale»[73]. Nella Fenomenologia, laddove la coscienza sperimenta la conciliazione interiore come pensiero devoto, «il suo pensare, come devozione, resta un vago brusio di campane o una calda nebulosità, un pensare musicalechenonarriva alconcetto,chesarebbe l’unica e immanente guisaoggettiva»[74]. C’è voluto del tempo prima che il mondo intellegibileassorbisseil mondo reale, prima che l’ideasiinnestassenella realtà, giungendo infine – con la Rivoluzione francese,chehapostoil pensiero «sul trono», e con energica determinazione lo ha concretamente applicato–agovernarla. La conciliazione ha dovuto abbandonare la sua calda intimità, la luce delle sue candele, per diventare «aurora» rivoluzionaria dell’esistente. Essa ha tolto, nell’endiadi ragione-effettualità, le astrazioni unilaterali di uncattivoesistenteedi un pensiero ultraterreno, ed ha trasformato il salto utopico in un regno che non è di questa terra, nel continuo trascendere i limiti di questa terra stessa. Ha eliminato la duplice immagine di un mondo superno fatto solo di luce, di verità e di amore e di un mondo terreno fatto di tenebre, dierroreediodio:«Cisi potrebbe bene immaginare una comunione universale dell’amore,unmondodi piiedisanti,unmondo di fratellanza, di agnellini e di frivolezze spirituali, una repubblica divina, un cielosullaterra.Macosì non vanno le cose del mondo: perciò quelle fantasiesiindirizzanoal cielo, cioè altrove, cioè alla morte. Ogni realtà viventeesigeinveceben altri sentimenti, istituzioni e azioni. Al primo apparire è stato detto “il mio regno non èdiquestomondo”:ma la realizzazione doveva enonpotevanonessere nel mondo. In altri termini, le costumi, leggi, i gli ordinamenti politici, e in generale tutto quello che appartiene alla realtà della coscienza spirituale, debbono diventare razionali»[75]. La verità ormai non è più – come nella tradizione del pensiero antico medievale – phos noetos o lux intellegibilis[76], ma differenza e contrasto, dialettica di un mondo che ha in se stesso, e non al di fuori, il negativoeilpositivo:«è facile accorgersi che nell’assoluta chiarezza noncisivedenépiùné meno che nell’assoluta oscurità,echecosìl’uno comel’altrovederesono un puro vedere, un vedernulla.Lapuraluce e la pura oscurità son due vuoti, che son lo stesso. Solo nella luce determinata–elaluceè determinata nell’oscurità –, quindi solo nella luce intorbidata, si può distinguer qualcosa. Parimenti qualcosa si distingue solo nell’oscurità determinata – e l’oscurità è determinata dalla luce –, quindi solo nell’oscurità rischiarata»[77]. Il mondo moderno, di fronte a quello medievale, è contrasto che si supera dentro la realtà effettuale stessa, è la contraddizione accompagnata da una redenzione immanente. Il mondo intellegibile, discendendo dal suo isolamento, procede qui veramente a una seconda creazione e rifondazione dell’esistente, progettata dal pensiero. La sua marcia è più o meno violenta, a seconda delle diverse nazioni, più o meno percepibile, ma è costante e inarrestabile. Appunto perché il pensiero sta già dettando legge dal suo «trono» invisibile, lo studio logica della nuova assume un diverso valore, e la pedagogia a essa collegatanonèsemplice iniziazione a un mondo qualsiasi, statico e uniforme, ma introduzione a questo mondo particolare dominato dall’universale esistente. Il nuovo principio egemone del mondomoderno–come si è ricordato in precedenza–sipresenta anch’esso, al pari di ogni nuovo elemento, caratterizzato da una faziosa inimicizia nei confronti del vecchio mondo: «Nel suo primo apparire, la nuova creazione suole abbandonarsi a una ostilità fanatica contro la larga sistematizzazione del principio precedente. Essa suole anche in parte aver paura di perdersi nell’estensione del particolare, in parte, poi, rifuggire dal faticoso lavoro necessario al perfezionamento della costruzione scientifica, onde in mancanza di quello si attacca per lo più dapprima ad un vuoto formalismo»[78]. Tale ostilità fanatica si presenta nella storia ogniqualvolta il principio nuovo, ancora astratto, vuole affermarsi nella sua immediatezza e unicità contro tutte le restanti determinazioni concrete. Per imporsi devealloraricorrerealla violenza. Così avviene durante la caccia alle streghe, quando il sorgere della «coscienza della soggettività dell’uomo», dell’interiorità delle sue decisioni, porta con sé «questa fede nel male, come forza immensa della mondanità»[79]. E così avviene nell’islamismo, il cui principio era «la religion etlaterreur,comepresso Robespierreeralaliberté et la terreur»[80]. Così avviene, appunto, con il Terrore della Rivoluzione francese, quando l’immediatezza dell’universale, della «volontà generale» del citoyen, vuole cancellare subito la particolarità esistente degli individui in una società tuttora atomizzata. In ciascuno di questi casi – che hanno in comune solo l’impatto che il nuovo subisce a contatto del vecchio e la spietata difesa che esso fa di se stesso, il suo ineliminabile aspetto di negatività – al terrore si accompagna il sospetto, e la pena è sempre la negazione astratta, la morte. Vi ricorrono i califfi arabi per imporre la fedeltà e vi ricorrono cattolici e protestanti contro le streghe fino al 1780,quandol’ultimafu bruciata a Glarus in Svizzera. Queste «povere donne, chiamate streghe, dovevano limitarsi alla soddisfazione di piccole vendette contro le vicine,guastandoillatte alla vacca o facendo ammalare il bambino»[81]. La caccia alle streghe fu «come unaimmensapeste,che imperversò fra i popoli, soprattutto nel Cinquecento. Sua ragione principale fu la sospettosità. Con lo stesso spaventoso carattere questo principio del sospetto si manifesta nel dominio imperiale a Roma e sotto il terrore di Robespierre, quando veniva punita anche l’intenzione come tale»[82]. Una volta passato il primo necessario «periodo fermentazione»[83], di l’impulso rivoluzionario si cristallizza e muore oppure la sua tensione si abbassa e si intreccia con una tensione opposta che ne riduce l’aggressività e ne muta la natura o, ancora, la rivoluzionesicodificae, abbandonata l’immediatezza devastatrice, si articola in istituzioni, procedendoadunritmo piùlentomapiùsicuro. Abbiamo quindi tre sbocchi esemplari di un principio nuovo, con la progressiva riduzione delladuratadivirulenza e di riflusso: l’Islam, la religionecristianainetà moderna,laRivoluzione francese. Nell’Islam, dopo la rapida assimilazione della cultura superiore, si assiste ad un lento declino, intervallato da «ondate» via via più deboli di vitalità: «Raffreddatosi il fanatismo, nessun principio etico era rimasto negli animi. L’Oriente precipitò nella più grande dissolutezza […] Presentemente l’Islam, ricacciato verso l’Asia e l’Africa, e tollerato in un angolo d’Europa solo dalla reciproca gelosia delle potenze cristiane, è già da lungo tempo scomparso dal piano della storia del mondo, e ricaduto nell’inerzia e tranquillità orientale»[84]. Nella religione cristiana, invece, il fanatismo, la superstizioneelacaccia allestreghesiscontrano col pensiero, e nella lotta fra il pensiero e la superstizione, quale è descritta nella Fenomenologia, religione, e la in particolare quella protestante, è costretta a mediare la sua immediatezza,adivenir cosciente della razionalità e a fare i conti con essa (per quanto l’ostilità latente trafedeesaperenonsia ancora finita, né possa in assoluto finire). L’impulso rivoluzionario, attenuato nel suo principio terroristico interno allo Stato, si conserva invece nella Francia napoleonica: il Code Napoléon ha infatti riconosciuto in parte le conquiste della Rivoluzione, ma contemporaneamente, sul piano del diritto privato, ha riconosciuto anche quella particolarità soggettiva che il Terrore voleva assorbire immediatamente nella volontà generale. Dopo la Rivoluzione, infatti, già con il Direttorio, si era affacciata l’esigenza di un ritorno ad una situazione più ‘normale’:«sicostituisce di nuovo l’organizzazione delle masse spirituali, nelle qualivienedistribuitala folla delle coscienze individuali. Queste, che hanno provato la paura del loro signore assoluto, la morte, si rassegnano di nuovo alla negazione e alle differenze, si ordinano sotto le masse e ritornano a un’opera frazionata e limitata; ma, con ciò, anche alla loro effettualità sostanziale»[85]. Il Terrore viene ora interiorizzato in dominio della morte in guerra e trasferito all’esterno,neicampidi battaglia dell’Egitto e dell’Europa. Ma la guerra ha il suo limite nella proprietà, così come questa ha il suo correttivo nella guerra, nella necessaria insicurezza del possesso, onde evitare che la vita privata, il particolare, prenda il sopravvento sulla vita pubblica, l’universale. Riconoscimento della particolarità sotto il controllo dell’universale, diffidenza nei confronti dell’universalità vuota e astratta (che rievoca fantasmi giacobini), assenza di ogni «tenerezza» per le cose e per gli uomini: questi sono i punti di contatto oggettivi, filtrati attraverso l’esperienza globale dell’epoca, fra Napoleone e Hegel. Anche Hegel, a modo suo,havolutocodificare nel sistema il nuovo principio dispiegato, «sorto per la scienza non meno che per la realtà»; ha voluto enucleare dalla «ghianda» del nuovo mondo il concettuale codice che comincia già a imporsi non solo nella realtà, ma anche sul terreno della filosofia, dove il periodo della «fermentazione» del nuovo sembra «ormai passato».Sitrattaoradi abbandonare il «vuoto formalismo» che lo ha caratterizzato e di porgere ascolto all’esigenza di un universale concreto nella forma di sistema, come risposta al sistema di fatto già vigente nell’epoca: «Il bisogno di una elaborazione e di una sapientetrasformazione del materiale diventa ora tanto più urgente». Valelapenadirileggere quanto segue: «V’è un periodo nella formazione di un’epoca storica, come nell’educazione di un individuo,incuisitratta soprattutto della conquista e dell’affermazione del principio nella sua intensità non sviluppata. Un compito superioreèperòdifarsì che quel principio diventiscienza»[86]. La struttura del presente è contenuta nel sistema come totalità, ma essa si manifesta anche nella dimensionelogica,nella «rete adamantina». Qui l’insieme potrebbe essere esposto con «rigore di immanente plasticità», in una concatenazione analoga aquelladellageometria di Euclide, ma «l’inquietudine e la dissipazione propria della nostra coscienza moderna»[87] impediscono uno sviluppo senza intralci della «cosa stessa». Si deve così procedere con digressioni, soffermarsi continuamente a riflettere su qualche aspetto che l’abitudine rende non chiaro, rettificare le rappresentazioni inadeguate, richiamare la coscienza al filo dell’argomento dalla sua dispersione, costringerlaasollevarsi, con una sorta di argano fenomenologico, dal concreto sensibile e dal noto, farla pensare. È vero infatti che il pensierodominaquesto tempo, ma più sotto forma di riflessione che sotto forma di speculazione. La speculazione, tuttavia, non può ormai prescindere dalla riflessione: deve concederle spazio, se vuol penetrare nella coscienza del singolo; deve momentaneamente aderire alla sua inquietudine e dissipazione, se vuole trascinarlo nel regno delleombre. Non sono soltanto l’arte e la religione a essere insidiate nella loro autonomia dalla riflessione; è anche la filosofia, almeno finché non riesce a subordinarla ai suoi scopi, a trasformarla in appigli ausiliarî per la coscienza. C’è in questa impostazione hegeliana del rapporto concatenazione rigorosa/digressioni un nodo complesso, che rinvia non tanto al problema del pubblico al quale un’opera filosofica si rivolge[88], quanto alla convinzione di fondo che ora non esiste più, come nella metafisica antica e medievale, una verità oggettivachestapersé, indifferente nei confronti della coscienza; oggi la verità esiste solo nella sua fruizione soggettiva, nel rivivificare soggettivamente la «lettera» mediante lo «spirito»:«lospiritonon significa se non ciò che èdentrocoloroiqualisi accostano alla lettera per intenderla e vivificarla spiritualmente, vale a dire che sono le rappresentazioni che unosiportaseco,quelle che si debbono far valerenellalettera[…]È vero che l’affermazione che lo spirito deve vivificarelanudalettera è più precisamente intesanelsensoch’esso debba limitarsi a spiegare il dato: esso dovrebbe cioè lasciare intatto il senso di quanto è contenuto immediatamente nella lettera. Ma si dà prova di cultura non molto progredita, se non si scorge l’inganno contenuto in questo rapporto. È impossibile “spiegare” senza che intervenga il nostro spirito, quasi che il significato fosse soltanto un dato. Spiegare vuol dire render chiaro, e propriamente chiaro a me: ora non può diventar chiaro a me se non ciò ch’è già in me. Essodevecorrispondere al mio modo di giudicare soggettivo, ai bisogni del mio sapere, del mio conoscere, del mio cuore ecc.: soltanto così è per me. Si trova ciò che si cerca, e nell’atto in cui io me lo rendo chiaro, vi faccio valere la mia rappresentazione,ilmio pensiero: altrimenti esso è un che di morto, di esteriore, che non esiste affatto per me»[89]. L’individuo si impossessa dunque del vero traducendolo nel suolinguaggio,madeve anche, nello stesso tempo, depurare la propria coscienza degli aspetti meramente soggettivi e arbitrari e «sprofondarsi nella cosa».Perchéquestosia possibile, perché si formi un antidoto nei confronti della soggettività vuota e delle sue presunte certezze, è necessario il «sistema», che non vuol essere una modalità di prevaricazione sul concreto, ma un mettere alla prova il sapere e l’esperienza raggiunti,unverificarne latenutadinanziatutte le possibili obiezioni soggettive: «Un filosofare senza sistema non può esser niente di scientifico;eoltrechéun siffatto filosofare per sé preso esprime piuttosto un modo di pensare soggettivo, è, rispetto al suo contenuto, accidentale. Un contenuto ha la sua giustificazione solo come momento del tutto,efuoridiquestoè un presupposto infondato o una certezza meramente soggettiva: molti scritti filosofici si restringono intalmodoaesprimere soltanto pareri e opinioni»[90]. Il sistema non è la diabolica tentazione del serpente dell’Eden di rendersi uguali a Dio con una conoscenza globale della realtà, ma lo sforzo supremo di pensare il proprio tempo con la massima coerenza e profondità[91], proprio perché, al livello di pensiero, le categorie si stringono fra loro con «nodi più fermi» (festere Knoten) di quelli delle intuizioni o delle rappresentazioni[92].Èla filosofiastessa,giuntaa una certa epoca, che esige il pensare sistematico (almeno asintoticamente, ossia come avvicinamento progressivo a una meta irraggiungibile, ma irrinunciabile) come unico modo di esprimere e articolare coerentementelaverità, didarleunaparadossale fondazione senza fondamento,nellaquale la fissità di un astratto «cominciamento» (che dovrebbe, comunque, essere infondato, assiomatico, per evitare il pericolo del regressus ad infinitum) sia scardinata e il principio si mostri quale dinamico processo di autoproduzione. L’operazione hegeliana consiste, dunque: nell’«eliminare l’idea di una fondazione riposante su un substrato o centrata su un primum fisso»; nel «sostituire a tale substrato un processo che produca se stesso insieme alle leggi del proprio movimento e alle regole della sua comprensione razionale; e infine – e questa è l’idea veramente cruciale ed essenziale della posizione hegeliana – [nel] fare di questo autogenerarsi della forma nei suoi contenuti (la ‘forma assoluta’) il principio logico di una struttura sistematica»[93] Per tale motivo l’inizio deve potersi ricongiungere circolarmente fine[94]. alla 4.Ordinee movimento sistematico È triste che soltanto dopo aver lungo tempo dietro la guida di un’idea che giace nascosta in noi raccolte rapsodicament molte conoscenze ad essa relative, a guisa di materiali da costruzione e messele magari insieme per lungo tempo tecnicamente diventi possibile per noi vedere l’idea in piena luce e abbozzare un tutto secondo gli scopi della ragione architettonicam I sistemi paiono, come i vermi, essere nati per una generatio aequivoca dal semplice concorso di concetti raccolti assieme, da prima mutili, poi, col tempo, formati completament quantunque avessero tutti il loro schema, come germe originario, nella ragione che semplicemente si sviluppa; e perciò non soltanto ciascuno per sé è organato secondo un’idea, ma inoltre tutti, a lorovolta, sono tra loro riuniti opportunamen come membri di un tutto, in un sistema di conoscenza umana, e permettono un’architetton di tutto il sapere umano;la quale, oggi che già tanta materia è stata raccolta o può essere presa dalle rovine delle antiche costruzioni crollate, non soltanto sarebbe possibile, ma non sarebbe neanche tanto difficile […] Kant, Critica della ragion pura[95]. Sistemaè,com’ènoto, un termine di origine stoica (systema) che designa l’ordine dell’universo. Tale significato si è conservato a lungo, attraverso l’astronomia, e non è andato perduto neppure dopo che il concetto di «sistema» si estese a diversi campi. In Condillac, infatti, che col Traité des Systèmes del 1749 aprì il dibattito modernosullateoriadei sistemi,illegameconla natura resta paradigmatico (in precedenza il termine «sistema» era stato usatoincontestimedici o, dagli stoici, in rapporto al kosmos)[96]: «Un sistema non è altro cheladisposizionedelle diversepartidiun’arteo di una scienza in un ordine in cui esse si sostengono a vicenda, e dove le ultime si spiegano attraverso le prime. […] I sistemi sono più antichi dei filosofi: la natura ne fa fare, e non se ne facevano di cattivi quando gli uomini non avevano che essa per padrona»[97].Eancorain Schelling: «Come è possibile in generale un sistema? Risposta: prima che l’uomo pensasse a farne uno, esistevadamoltotempo un sistema – il sistema dell’universo»[98]. Con Condillaciniziaanchela polemica contro l’esprit de système, la pretesa di costruire un edificio coerente e astratto di conoscenze, secondo massime generali non comprovate dall’esperienza. A una tale struttura secondo princìpi, Condillac contrappone l’insieme delle ipotesi controllate, e affaccia l’idea – che ritornapoiinFichtecon segno positivo – che il «sistema astratto» rifletta soltanto le passioni e il carattere del filosofo che lo prospetta: sono «di solito le passioni [che] decidono tutte da sole. Uno spirito, naturalmente dolce e benevolo, adotterà i princìpi che si traggono dalla bontà di Dio […] Infine, un carattere chiuso, melanconico, misantropo, odioso a sé e agli altri, avrà predilezione per queste parole: destino, fatalità, necessità, caso»[99]. D’ora in avanti, la disputa sui sistemi diventerà più accesa, rivelando da un lato la tendenza del sapere a presentarsi in forma organica, a seguire una tendenza ‘architettonica’, dall’altro il timore che l’elemento estetico, di simmetria e di completezza, costringa il concreto a piegarsi all’arbitrio di schemi precostituiti. Per limitarci all’immediato retroterra del discorso hegeliano, è interessante osservare come nella cultura filosoficatedescaenella cultura scientifica francese del tempo il concetto di sistema fosse ritenuto in genere essenziale strutturazione alla del sapere e lo si ritrovi anche in autori che hanno, sotto questo profilo, una fama migliore di Hegel. Così per Kant il filosofo è il legislatore dell’umana ragione, che riporta a quest’unica fonte tutte le manifestazioni del sapere e trasforma un aggregatodiconoscenze in scienza: «Sotto il governo della ragione le nostre conoscenze in generale non possono formare una rapsodia, madevonocostituireun sistema […] Per sistema poi intendo l’unità di molteplici conoscenze raccolte sotto una idea […] L’unità del fine, a cui tutte le parti si riferiscono, riferendosi intanto, nell’idea del fine stesso, anche tra loro, fa che ciascuna parte non mancare possa nella conoscenzadellealtre,e che non possa esserci alcuna addizione accidentale, o alcuna grandezza indeterminta di perfezione, che non abbia i suoi limiti determinati a priori. Il tutto è quindi organizzato(articulatio)e non ammucchiato (coacervatio); può crescere dall’interno (per intussusceptionem), manondall’esterno(per appositionem), come un corpo animale il cui crescere non aggiunge nessun membro, ma, senza alterazione della proporzione, rende ogni membro più forte e più utile […] Nessuno tenti di fare una scienza senza avere un’idea a base […] la filosofia è la scienza della relazione di ogni conoscenza al fine essenziale della ragione umana (teleologia rationis humanae); e il filosofo non è un ragionatore, ma il legislatore dell’umanaragione»[100]. Come vedremo, il modello analogico dell’organismo animale sostienespessol’ideadi sistema e tende anzi a sovrapporsi al modello astronomico precedente, facendo cadere l’accento sul «sistemanellosviluppo». Tale è la prima posizione di Schelling, nel 1797: «Ma questo sistema generale non è una catena che scenda verso il basso, nella qualeognianellopenda dall’altro all’infinito, bensìunaorganizzazione, in cui ogni singolo membro è reciprocamente fondamento e conseguenza, mezzo e fine, rispetto a ogni altro. Ogni progresso in filosofia è quindi soltanto un progresso mediante sviluppo»[101]. InseguitoSchellingsarà più guardingo e dirà: «I maggiori sistemi filosofici sono mere costruzioni, più o meno ben trovate, dei loro inventori: equivalgono press’a poco ai nostri romanzi storici»[102]. In Hegel,invece,loschema organicistico raggiunge la sua massima espansione, e il sistema diventa veramente una creatura viva che si sviluppa nel tempo, seppure in quanto «riflesso di tutta la storia». Il filosofo ne scruta i movimenti con paterna trepidazione, al pari dei «genitori» quando fanno esperienza per la prima volta della crescita spontanea del loro bambino e «si vedono davanti una specie di miracolo»[103]. La ‘filosofica famiglia’ è in effetti per Hegel una realtà vivente, un rapportarsi commosso all’eredità degli avi per farla fruttare, una continuità ideale tra le generazioni: «come per la contadina sono il fratello e lo zio morti, così per il filosofo sono Platone, Spinoza ecc.»[104]. Il sistema è così opera collettiva di tutti i filosofi precedenti,èunportare a compimento le grandi filosofie del passato, superandone i limiti rispetto al presente e scoprendonelanascosta finalità. L’ultimo sistema apparso nel tempo è perciò il più ricco, perché esprime un presente più ricco; è ilpiùadeguato,perchéè la risposta a problemi che sono sorti sul terrenodelpresenteeai quali i pensatori del passato non potevano dare risposta. È inutile quindi volersi rifare ad unafilosofiadelpassato (e ciò vale per Hegel stesso) e proporre impossibiliritorni:«Non dobbiamo credere di poter trovare negli antichi la risposta agl’interrogativi della nostra coscienza, agl’interessi del mondo odierno: tali interrogativi presuppongono una determinata educazione del pensiero. Ogni filosofia, per il fatto di rappresentare un particolare stadio di svolgimento, appartiene al tempo suo ed è chiusa nella sua limitatezza. L’individuo è figlio del suo popolo, del suo mondo, di cui egli non fa altro che manifestarelasostanza, sebbene in una forma peculiare. Il singolo può ben gonfiarsi quanto vuole,manonpotràmai uscire dal proprio tempo, come non può uscire dalla propria pelle[…]Ognifilosofiaè filosofia dell’età sua, è un anello della catena complessiva dello svolgimento spirituale, e può dar soddisfazione soltanto agli interessi del suo tempo»[105]. Il volertornareindietro,in filosofia, è una fuga dinanzi alle difficoltà del presente, corrisponde ad una forma di regressione psicologica, a una «stoltezza simile a quella d’un uomo che volesse sforzarsi di ritornare alle idee che avevadagiovinetto,odi un giovinetto che volesse ridiventar fanciullo o bambino»[106]. Ma che necessità c’è allora di conoscerelefilosofiedel passato? Tanto più che ogni filosofia non è trasferibile e imitabile neltempo:essaè«insé compiuta ed ha, come un’autentica opera d’arte la totalità in sé. Come le opere di Apelle ediSofocle,seRaffaello e Shakespeare le avessero conosciute, non sarebbero potute loro apparire di per sé come semplici esercizi preparatorî – bensì espressioni di uno spirito affine – così anche la ragione nelle sue precedenti figure nonpuòvederviesercizi preliminari semplicemente utili. E proprio perché Virgilio ha considerato Omero, rispetto a sé e alla sua epoca più raffinata, un eserciziodiquelgenere, il suo poema è rimasto un esercizio di imitazione»[107]. Un’opera d’arte non si può smembrare per sottrarne delle parti da utilizzare in seguito; così un sistema filosofico del passato nonsipuòassimilarein quanto tale: bisogna negarlonellasuastorica immediatezza e trovare soluzioni più alte che rispondano anche agli interrogativi posti da esso. Si studiano le filosofie del passato per trovare in esse la «radice»[108]delpresente e del suo sistema concettuale, per scoprire le fondamenta del proprio tempo e del suo movimento. Il passato è sistemato dunque continuamente dal ‘campo magnetico’ del presenteinmutamento, ed ha la sua «verità» nella struttura che di volta in volta assume all’internodell’orizzonte temporale dell’ultima epoca. Se la verità è nel tempo, non ha senso per Hegel chiedersi quale sia la verità di un sistema in assoluto: esso è valido nella misura in cui riesce a fornire la rete adamantina (o parte di essa)perladecifrazione dellapropriaepoca.Ele affinità elettive che fanno rivolgere il sistema più evoluto alle filosofiedelpassato–ad alcune più o piuttosto che ad altre – si spiega col bisogno di attualizzare quegli aspetti di esse che possono fornire un embrione di risposta ai nuoviinterrogativiposti dal proprio tempo. Attualizzare le filosofie del passato è indirizzarle verso il futuro. L’Erinnerung è anche qui il ripiegamento in vista di un’avanzata. Ma se in tal modo i filosofi precedenti non sono «canimorti»,èveroperò cheilriferirsialpassato è solo un momento, il momento che precede la soluzione dei problemi del presente. Quando un’epoca si attarda nelle filosofie del passato, come il Medioevo, con la Scolastica, questo è un segno di crisi, della mancanza di sbocchi immediati per il presente. Allora l’Erinnerung diventa un lungo «sprofondarsi» in sé, la sotterranea preparazione del nuovo attraverso un’immane attività di assimilazione della tradizione e dell’esistente. E il sistema è solo una summa, un resoconto dettagliato di quest’opera di conquista, ma non una scoperta consapevole del nuovo. Anche il periodo della Reflexionsphilosophie, dopo la rivoluzione kantiana, mostra, sotto l’opposto profilo dell’originalità soggettiva e della proliferazione dei sistemi, l’incapacità di formulare concettualmente la realtàglobaledelnuovo, e la fuga nella dissipazione quantitativa: «Un’epoca chehadietrodisécome passato una tale abbondanza di sistemi filosofici sembra dover pervenire a quell’indifferenzachela vita raggiunge dopo essersi cimentata in tutte le forme. Quando l’individualità fossilizzata non rischia più se stessa nella vita, l’impulso alla totalità si esprime ancora come impulso alla totalità delle conoscenze. Essa cerca di procurarsi, attraverso la molteplicità di ciò che ha, l’apparenza di ciò che non è»[109]. Per innalzarsi formalmente aldisopradeicontenuti del proprio tempo, il sistema che ne è l’espressione deve sì poggiare sulle filosofie del passato, ma le deve negare nella loro rigidità, inserendole in funzione subordinata al suo interno, così da comprendere il loro esser-divenute come un «divenire», un processo sempreapertoesempre apribile. Nel divenire il sistema più compiuto rimodella la sostanza resa fluida del passato, che non appare più in età moderna come un duro e opprimente macigno, ma come un materiale con cui plasmare il presente. Neppureilpassatodeve sfuggire alla presa di quest’epoca ‘totalitaria’, che si specchia in un sistema onnicomprensivo, che coinvolge nel suo corso l’intero pianeta ormai sostanzialmente esplorato e circumnavigato, che ha postoperlaprimavolta in contatto reciproco tuttiipopolidellaTerra, facendone confluire i prodotti e le ricchezze verso un centro, nella «parte razionale» di essa, l’Europa. Il pathos di Hegel nel trattare la coppia indissolubile totalità-sviluppo riflette la diffusa esperienza storica dell’epoca, come impossibilità di sfuggire ormai all’interdipendenza dall’intero – fin nei suoi contraccolpi più remoti – e al mutamento storico, resosi in larga misura autonomo dalla volontà cosciente dei singoli. Tale condizione era stata efficacemente espressa anche da Hölderlin nella poesia Zeitgeist (Spirito del tempo): Già da troppo tempo tu domini sopra il miocapo, Tu nella oscura nuvola, dio del Tempo! ovunque Io guardi tutto va in frantumi o vacilla. Ah! come un fanciullo mi affiso al suolo sovente, Cerco uno scampoda te nella grotta e vorrei, Stolto, trovare un luogo Dove non fossi tu che tutto sconvolgi! Concedimi infine, o padre, d’affrontarti Con fermo ciglio! Non hai dunque, per primo, lospirito Suscitato in me col tuo raggio, nonm’hai Splendidame alla vita portato, o padre! – [110] . L’enfasicheinvestein Hegel la potenza divina del tempo, la totalità e lo sviluppo organico, in quanto rivelatrice di una situazione storica, nonhanulladineutroo di innocente. Ogni sottolineatura manifesta l’urgenza di arginare il principio opposto, avvertito come pericolo, di venire a patti con esso, riconoscendogli un diritto subordinato. Il sistema appare così come dominio sul caos[111]; la totalità come modo esorcizzare di la disgregazione atomistica della società; l’insistenzasullavitalità delle idee come rivalsa contro «l’arida vita di intelletto»[112] a cui gli uominisonocondannati dalla divisione del lavoro e dall’ottusità mentale prodotta dalla ripetizione nelle fabbriche di poche e monotone operazioni[113]; la sublimità dello Zeitgeist come confessione di debolezza nei confronti di forze imperscrutabili o nascoste. La questione, qui, non è più tanto quella di vedere Hegel in negativo, ma di capire inchemodoilsistemae la dialettica – in quanto risposta agli «interrogativi» dell’epoca – siano appunto sottomissione e la la gestione del pericolo rappresentato dall’opposto negativo nella dinamica del processo, istituzionalizzato in nessi concettuali. La soluzionehegeliananon è tuttavia ideologica, soltanto né tantomeno il sistema è in Hegel – come voleva Solger – la manifestazione del «militärischer Geist» dei tempi che intende imporre a tutti la sua «uniforme»[114]. E d’altronde in Hegel, in contrastoconl’opinione diCondillac,ilsistemaè appunto una garanzia contro l’intrusione delle passioni e dei sentimenti personali in filosofia, da cui egli tendeva a separare la sua opera: «Quel che vi è di personale nei miei libri, – disse a questo proposito Hegel a una commensale che lo guardava ammirata comesefosseuntenore e si sentiva onorata di sedere accanto a una figura così interessante –, quel che vi è di personale nei miei libri è falso»[115]. Alla base della forma sistematica vi sono importanti problemi reali di carattere storico-sociale e scientifico. Come è possibile, ad esempio, orientarsi in un mondo in sé aperto alla dimensione planetaria quando l’esperienza diretta del singolo si fa sempre più ristretta e settoriale, rendendo impossibilelapersonale verifica di tutta la congeriediinformazioni che lo colpiscono? Quando si crea un rapporto di proporzionalità inversa fra l’allargarsi del mondoedelpatrimonio collettivo dell’umanità come genere e le capacità dell’individuo di tener dietro a questi sviluppi? Quando le epitomi e le abbreviazioni tendono a ridurre la complessità, semplificando e diventando sbrigative, come accadde nel tardo impero romano, ai tempi di Eutropio, che nel Breviarium ab urbe condita riassumeva Tito Livio, Svetonio e altri perchésapevacheisuoi potenziali lettori avevano meno tempo per opere di maggior mole? Quando la politica e la religione non sono più (o non sonoancora)ingradodi dare un inquadramento pieno alla vita, così che il «regno del pensiero», trasformatosi in luogo diraccoltadimoltiesuli insoddisfatti dalla realtà, lascia alla filosofia solo il compito di «darsi da fare con la religione» e ai filosofi, unavoltaaffievolitasila fede religiosa, di sostituirsi ai parroci, di predicare la conciliazione?[116] Il sistema,nelsuoaspetto dinamico, svolge allora una funzione pedagogica in senso lato, offre un orientamento più solido e organico di quanto non facciano, spontaneamente, la tradizione, la cultura limitata, l’opinione pubblica o i giornali. Sembravainoltregiunto il momento – per Hegel e diversi suoi contemporanei – di ordinare il cumulo delle conoscenze, alla maniera di Cuvier in paleontologiaodiFranz Bopp nello stabilire le relazioni tra le lingue indoeuropee, secondo un modello sorto «nella scienza non meno che nella realtà», di dar loro una sistemazione meno casuale, di scoprire le segrete corrispondenze fra elementi diversi, nella certezza che tale riorganizzazione non solo non avrebbe nuociuto all’esperienza successiva o l’avrebbe resa superflua, ma che anzi si sarebbe riverberata su di essa e le avrebbe indicato nuovestrade. Persino le numerose forzature hegeliane su questioni di fatto, i suoi fraintendimenti, i suoi ritardi rispetto alla scienza o alla politica del tempo, vanno guardatiinquestalucee commisurati allo sforzo gigantesco compiuto; e non per malintesa indulgenza, per inutili apologie o per la mera rettifica di critiche filologicamente ingiustificate, ma perchéaltrimentisfugge il nucleo essenziale dei problemi e la complessità degli elementicheentranoin gioco. Nel diffuso giudizio negativo sui sistemi in quanto tali pesa il fastidio per le orge speculative che in loro nome sono state celebrate, diffidenza la giusta contro i «ragni» di baconiana memoria, i quali secernono le loro elucubrazioni traendole semplicemente da se stessi, e il sospetto, formulato da Rosenzweig,Benjamine Adorno, che il ricorso alla totalità, in un mondo scisso e attraversato da lacerazioni attualmente non componibili, sia un mezzo per occultare i conflitti reali e quindi, in ultima analisi, una patente di legittimità rilasciata al cattivo esistente, concepito in termini armonicistici. Si dovrebbe quindi, da questa prospettiva, contrapporre a Hegel il motto adorniano «l’intero è il falso»; al sistema, il pensiero volutamente frammentario, l’aforisma che secondo Kraus «non coincide mai con la verità; o è una mezza verità o una verità e mezzo»[117];alla totalità plastica, ancora perseguita da Lukács sulle orme dei classici (Goethe,Hegel,Ricardo), l’allegoria benjaminiana della totalità, a cui le parti possono soltanto alludere, pur restando incommensurabili, oppure la «dialettica negativa» come forma antagonistica di ogni «conciliazione forzata»; allo sviluppo teleologicamente orientato dell’insieme, la «stella redenzione» Rosenzweig[118]. Le posizioni della di di Benjamin, di RosenzweigediAdorno, teseadenunciarequello che appare loro un sacrificio dell’individualità, costituiscono un’utile pietra di paragone per mostrare la grandezza, ma anche le peculiari malformazioni, della dialettica hegeliana. Interessante è, soprattutto,laposizione di Benjamin, che, per evitare che la totalità schiacciasse il particolare, aveva opposto a quella hegeliana la sua Dialektik im Stillstande, una dialettica in quiete che si articola sia in un movimento in grado di arrestarsi e cristallizzarsi in di una monade, sia in una universalità che si individualizza, sia, infine, in una filosofia che è anche filologia. L’idea leibniziana di monade gli permette di rinchiudere la ricchezza del mondo e del divenire in un punto di vista singolo che non contrasta con l’universale, ma ne selezionaun’angolatura. La monade, la contrazione della realtà in unità, è impoverimento che si rivela ricchezza: autentica «L’idea è monade – ciò significa in breve: ogni idea contienel’immaginedel mondo. Alla sua rappresentazione è posto il compito, nientedimeno, che di disegnare in scorcio precisamente immagine questa del mondo»[119]. La dialettica, che hegelianamente è «inquietudine», viene così bloccata. Benjamin insiste costantemente sulla necessità di salvare il dettaglio, l’individuale, il piccolo, e – a partire da esso e con esso – di salvare l’universale.Tuttiquesti insegnamenti li raccoglie da più autori di riferimento: dai fratelli Grimm (a causa della loro «devozione […] per il piccolo»)[120], dal Freud della Psicopatologia della vita quotidiana, che lavora sui residui e sugli scarti del mondo fenomenico, e dai romanzi di Proust ediJoyce.Ilsuosforzoè rivolto a evitare che la dialettica diventi quello che Sartre – più tardi e in polemica con il marxismo – chiamerà un «bagno di acido solforico» in cui l’individualità e la particolarità si dissolvono. Il secondo problema reale, di carattere scientifico, che il sistema pone è quello della sua utilizzazione in campi diversi dalla filosofia, e del modo in cui veniva inteso. Nell’anatomia comparata, nello studio delle lingue, nella cristallografia, nella ‘teratologia’deltempoil concetto di sistema è euristicamente fecondo e pressoché universalmente affermato. Che esistano delle strutture oggettive simmetriche (ad esempio la costanza degli angoli diedri di un cristallo), che le parti siano solidali strettamente col tutto è esemplarmente affermato nel principio di corrispondenza di Cuvier, nella sua nota affermazione di poter ricavare da un singolo ossolaformadell’intero scheletro dell’animale[121]. Nelle lingue indoeuropee, parole apparentemente lontanissime fra loro (greche, latine, germaniche, indiane) venivano ricondotte a radici comuni e sottoposte a una complessa dinamica di trasformazioni che non escludeva un fondamento unitario. Ma ancora più caratteristico è che, contemporaneamente, queste strutture acquistassero anche una forma di movimento (Bildung) e perdessero l’aspetto di forma statica (Gestalt). La ‘dialettica’ – nel senso più lato di movimento di forme, di sviluppo sistematico mediante opposizione o contraddizione – si era presentatagiàdatempo sulterrenodellescienze naturali (nel passaggio dal germe invisibile alla struttura cristallina in Romé de L’Isle, nel concetto di polarità in fisica, nella «vita» come insieme di funzioni che sioppongonoallamorte in Bichat e Richerand, nel goethiano svolgimento degli esseri organici dalla Urpflanze e dall’Urtier), della linguistica storica, dell’analisi infinitesimale ecc., stringendo in un nodo sempre più stretto processo e struttura. Quelchevieradinuovo rispetto a concezioni molto più antiche, era che lo sviluppo veniva segnato attraverso modificazioni di forme per salti qualitativi, veniva cioè spezzata in diversi punti la «grande catena dell’essere», ad esempio quando Bichat sostiene l’impossibilità di spiegare la fisiologia attraversoleggifisichee chimiche, o quando Lamarck considera i tre regni della natura come nettamente separati. Oppure nella chimica, aspetto sottolineato da Hegel, attento lettore dell’Essai de Statique Chimique di Berthollet e dell’Essai sur la théorie des proportions chimiques di Berzelius: «Nelle combinazioni chimiche si presentano, col progressivo mutarsi dei rapportidimistione,tali nodi e salti qualitativi, che due sostanze, in certi particolari punti della scala di mistione, formanoprodottiiquali mostrano particolari qualità. Questi prodotti non si distinguono già semplicemente uno dall’altro per un più o meno,néliabbiamogià dinanzi (quasi in un grado più debole) con queirapportichestanno accanto a cotesti rapporti nodali, ma son legati proprio a cotesti punti. Per esempio, le combinazioni dell’ossigeno e dell’azoto danno i diversi ossidi di azoto e acidi nitrici, che si producono solo con determinati rapporti quantitativi della mistione, ed hanno essenzialmente qualità diverse,inmodochecoi rapporti di mistione intermedii non hanno luogo combinazioni nessune di esistenze specifiche»[122]. Non è questa la sede per articolare una casistica tratta dalla storia della scienza; quello che immediatamente mi preme di rilevare è comeinHegelcifosse– dilatata all’intero universo delle conoscenze – la stessa fiducia nella possibilità discoprireilmovimento razionale delle forme che animò, ad esempio, la storia della chimica e della scienza in genere dalle notazioni di Berzelius al sistema periodico degli elementi di Mendeleev, e come infine i suoi modelli dialettici non fossero solo la storia, l’economia capitalistica olatrinitàcristiana,ma anche la complessa ‘dialettica della natura’ che la scienza stava portando alla luce e ai cuiconfinieragiunta. Lametaforahegeliana del sistema come «circolo»,chesisvolgea partire da un punto, o come circolo di circoli»[123], ha contribuito anch’essa alla rappresentazione del sistema come sistema chiuso. Ma l’immagine del circolo ha un significato dinamico, rinvia ad un movimento circolare di progressiva estensione[124] (si vedanoperòleriservee ilimitiaquestatesi)[125]. Sebbene l’Enciclopedia di Hegel costituisca una ripresa in senso etimologico del tema della circolarità del sapere, essa rappresenta una novità sia rispetto al modello delle scienze ad albero, che era proprio della tradizione[126], sia rispetto all’idea di circolarità enciclopedica che non partiva da un unico principio e non si articolavanellaformadi «sistemainmovimento» dituttiicircoli. Solo in quanto sistema la filosofia può per Hegel essere «scienza»[127]. Certo, ogni sistema esige la completezza, è concluso. Eppure, Hegel non ha mai pensato a una chiusura definitiva rispetto al futuro, non ha mai creduto che la sua filosofia fosse il culminediognifilosofia e che dopo di essa non ci sarebbe stato più niente di importante da dire (una interpretazione, a ben pensare, assurda, ma sostanzialmente accettata da Kojève che l’approva e la fa sua traendone però notevoli implicazioni). Questo perché il «bisogno della filosofia»dieliminarele scissioni che attraversano la vita e che, in forma nuova, si riproducono in ogni epoca, non può esaurirsi[128]. Hegel ha individuato queste scissioni e, con la sua filosofia, ha cercato di depotenziarle comprendendole. E lo ha fatto proprio in un’epoca che invecchia, che è entrata nel crepuscolo sotto gli occhidicivettadellasua filosofia,laqualeèperò consapevole del fatto che la talpa della storia continua a scavare le sue sotterranee (e quindiperorainvisibili) gallerie. Il sistema ricapitola, trasformandoneilsenso e interiorizzandolo nell’Er-innerung, il percorso compiuto con maggiore consapevolezza grazie all’esperienza accumulata nell’intero cammino: «il vero contenuto non è altro, pertanto, che l’intero sistema, il cui sviluppo abbiamo finora considerato. Si può quindi anche dire che l’idea assoluta sia l’universale, non semplicemente come forma astratta, alla quale si contrappone il contenuto particolare come qualcosa d’altro, bensì come forma assoluta, in cui sono ritornate tutte le determinazioni, l’intera pienezza del contenuto posto per loro tramite. L’idea assoluta, sotto questo aspetto, è paragonabile al vecchio che pronuncia le stesse frasi religiose del fanciullo, ma per il vecchio queste frasi hanno il significato di tutta quanta la sua vita […]Seancheilfanciullo comprende il contenuto religioso, questo vale per lui certo soltanto come qualcosa al di fuori del quale sta ancoralasuavitaintera e il suo intero mondo […] Allo stesso modo anche il contenuto dell’idea assoluta è l’intera espansione che avevamo finora davanti anoi»[129]. Nelle sue opere Hegel ha sempre posto l’accentosulcaratteredi infinita perfettibilità, ed èquasiincredibilechea molti interpreti sfuggano passi di lampante evidenza, come questo, tratto dalla Prefazione alla seconda edizione della Scienza della logica, datata «Berlino, 7 novembre 1831», una settimana esatta prima della morte del filosofo: «A proposito dell’esposizione platonica,achilavoraa innalzar di nuovo, nei tempi moderni, un edifizio indipendente di scienza filosofica si può ricordareilraccontoche Platone rifacesse sette volte i suoi libri sulla repubblica. Questo ricordo – un confronto, inquantopuòsembrare che ne contenga appunto uno – potrebbe solo far nascere tanto piùforteildesiderioche per un’opera, la quale, appartenendo al mondo moderno, ha un più profondo principio, un oggettopiùdifficileeun più ampio materiale innanzi a sé da elaborare, fosse stato concesso agio di rifonderla settantasette volte. L’autore invece, considerando l’opera suadifronteallavastità del compito, dové contentarsi di quello ch’essa poté diventare, in mezzo circostanze di alle una esterna necessità»[130]. Ortega y Gasset ha scritto, con spirito polemico che rafforza una critica tradizionale, che la filosofia hegeliana(inparticolare quella della storia) è «chiusa al domani» e che il suo è «un pensierodafaraone,che guarda il formicaio dei lavoratori affannati nel costruire la sua piramide»[131]. Queste non erano certo le sue intenzioni. Semmai, Hegel ha elaborato, per così dire, un’immagine della filosofia come scienza rigorosa che conserva elementi fin troppo euclidei o spinoziani. Per questo il sistema deve potersi chiudere, in qualche modo, alla maniera del quod erat demonstrandum, mediante la forzatura (spesso consapevole) di non lasciare residui nel trattare lo sfuggente e profondo «principio» moderno rispetto all’«ampiomateriale[…] da elaborare». È come se, nel cercare la perfezioneformaleenel voler far tornare i conti, Hegel non si contentassediaccettare come inevitabili le circostanze esterne in cui l’Enciclopedia era stata composta e rivista per ben tre volte (1817, 1829 e 1830), cosciente, peraltro, che, in quella forma, essa è uno strumento didattico, un compendio a uso degli studenti, scritto in uno stile«conciso,formalee astratto», che deve «ricevere le spiegazioni necessarie per mezzo dell’esposizione orale»[132]. Si potrebbe, quindi, affermare che Hegel non intende lasciare didatticamente residui a livello del sistema, anche se diventa sempre più conscio della difficoltà di articolare il «principio» moderno nella sua complessità e profondità ora che, giuntoallozenitdelsuo sviluppo, comincia a tramontare. Dato che il sistema è uncircolodicircoli,non dovrebbe esistere un ingresso privilegiato a esso, nel senso che il «cominciamento» potrebbe situarsi ovunque. Ma se si accetta questa ipotesi fino in fondo, allora la progressione canonica logica-natura-spirito (il «sistemahegeliano»,per antonomasia, dell’Enciclopedia)cessadi essere vincolante, e cadonoositrasformano radicalmente tutti quei ‘classici’problemichesi trascinanofindaitempi di Schelling e di Trendelenburg,sucome sia possibile, ad esempio, all’idea logica licenziare o «lasciar uscire liberamente» (frei entlassen) da sé la natura, sul carattere premondano delle categorieecc.[133]Infatti, sarebbe allora possibile – ciò che Hegel sembra fare – considerare la triade maggiore del sistema come un sillogismo, in cui ogni membro è a turno il termine medio. In tal modo, lo schema di progressione dell’Enciclopedia sarebbe soltanto il primo dei tre sillogismiottenibili: 1) Logica-naturaspirito 2) Natura-spiritologica 3) Spirito-logicanatura(?). Considerate le importanti conseguenze che deriverebbero da una soluzione, in un senso o in un altro, di questo problema dei tre sillogismi, la contrapposizione di tesi fortemente divergenti nelle interpretazioni, nonchélastringatezzae l’oscurità dei §§ 574-577 dell’Enciclopedia del 1830, sui quali verte la polemica, è utile presentare i testi per esteso: §574 Questo concetto della filosofia è l’Idea che pensa se stessa, la verità che sa (§ 236), la logicità, col significato che essa è l’universalità convalidata dal contenuto concreto come dalla sua realtà. Lascienzaè,per talguisa,tornata al suo cominciamento; e la logicità è il suo risultato come spiritualità: dal giudizio presupponente, incuiilconcetto erasoloinséeil cominciamento alcunché d’immediato, e quindi dall’apparenza, che aveva colà, la spiritualità si è elevata al suo puro principio come a elemento. suo §575 Questo apparire è ciò che fonda dapprima lo svolgimento ulteriore. La prima apparenza è costituita dal sillogismo, che ha per base, come punto di partenza, la logicità; e la natura per termine medio, checongiungelo spirito con se stesso. La logicità diventa natura; e la natura, spirito. La natura, che sta tra lo spirito elasuaessenza, non si scinde in estremi di astrazionefinita, né si separa da essi facendosi alcunché d’indipendente, che congiunge gli altri soltanto come un altro; giacché il sillogismo è nell’idea e la natura è essenzialmente determinata come un punto di passaggio e momento negativo,edèin sé l’idea; ma la mediazione del concetto ha la formaestrinseca deltrapasso,ela scienza quella dell’andamento necessario, cosicché la libertà del concetto è posta soltantonell’uno degli estremi come il suo congiungersi consestesso. §576 Questa apparenza è soppressa nel secondo sillogismo, in quanto questo è già il punto di vista dello spirito stesso; il quale è il mediatore del processo, presuppone la natura, e la congiungeconla logicità. È il sillogismo della riflessione spirituale nell’idea: la scienza appare come un conoscere soggettivo, il cui fine è la libertà, ed esso stesso è la via di produrla. §577 Il terzo sillogismo è l’idea della filosofia, la quale ha per termine medio laragionechesa se stessa, l’assolutamente universale: termine medio, che si dualizza in spirito e natura, fa di quello il presupposto come processo dell’attività soggettiva dell’idea, e di questa l’estremo universale, in quanto processo dell’idea, che è in sé e oggettivamente. L’autogiudizio dell’idea nelle due apparenze (§§ 575-6) determina queste come le sue manifestazioni (manifestazioni della ragione, chesasestessa); e si riunisce in essa in modo che è la natura della cosa, il concetto,ciòche si muove e svolge, e questo movimento è altresì l’attività del conoscere. L’idea, eterna in sé e per sé, si attua,siproduce e gode se stessa eternamente come spirito assoluto[134]. Le maggiori difficoltà di interpretazione riguardano almeno due punti, sui quali le divergenze, di carattere estremamente tecnico, sono nette e su cui si richiede, ragione proprio in della loro importanza,l’attenzione elapazienzadellettore, ammesso che le voglia esaminare: a) Secondo Lasson, Van der Meulen e Puntel, i tre sillogismi corrispondono a tre diverse scienze filosofiche (identificate rispettivamente, e nell’ordine, come enciclopedia, fenomenologia, complesso delle lezioni, e in enciclopedia, fenomenologia, una scienza x, impossibile da determinare) o a tre ordini sistematici diversi, che hanno la loro base nell’origine comune di logica, fenomenologia e ‘noologia’[135]; secondo Fulda e Gauvin, essi corrispondonoinvecead una suddivisione interna all’Enciclopedia, alla modalità con cui l’elementologicoappare nelle parti della scienza già trattate[136]; b) Il terzosillogismo(§577)è anomalo?[137] Ha la logica o no come termine medio?[138] Accantoalsuosviluppo, come Spirito-logica- natura, va posto un visibile punto interrogativo? Sullo sfondo di questo dibattito stanno delle ulteriori domande, sulla natura della Fenomenologia (se sia un’introduzioneomeno al sistema, se sia internaoesternaaesso) e sulla possibilità di distinguere fra un sistema in senso stretto (Enciclopedia) e un sistema in senso lato (Fenomenologia + Enciclopedia + Storia della filosofia)[139]. Che le difficoltà siano serie lo indicaindirettamentelo stesso Hegel; infatti, nell’Enciclopedia di Heidelberg del 1817 il testo è assai diverso da quello del 1830, mentre nella seconda edizione del 1827 la dottrina dei tre sillogismi manca addirittura. Coscienti di queste difficoltà e del fatto che dietro certi bizantinismi filologicisinascondeun problemaessenzialeper la comprensione del pensiero hegeliano, si può tentare un abbozzo di risposta, anche alla luce di quanto sono venuto dicendo. In primoluogo,ècertoche coni§§su«lafilosofia» dell’Enciclopedia, la logica, come punto di partenza, si è trasformata in risultato, si è riempita di contenuto attraverso tutto il percorso enciclopedico;nonèpiù l’arida grammatica dell’esempio hegeliano, maunaformavivente.Il nocciolodellaquestione è qui: come avviene il passaggiodellalogicain quanto prius didatticoscientifico alla logica come «spiritualità», scienza dello spirito, ritorno a sé dall’«espansione» nel concreto? E, per converso, come si retrocede – nell’assimilazione abbreviata della «spiritualità» da parte delsingolo–dallalogica come sapere culmine del autocosciente alla logica come costruzione astrattamente insegnabile, dal concreto di nuovo alle «aste»? Con due strade, lo sappiamo già, convergenti. Ora, quel che Hegel vuol dire è che sia il percorso didattico-scientifico (primo sillogismo), sia il «conoscere soggettivo», l’essere immersi nella riflessione (secondo sillogismo), nei confronti dell’«idea della filosofia», della logica in quanto vetta dell’attività spirituale, sono due apparenze. Ossia: la verità più alta non è né la costruzione didattica (che deve ricorrere alla «forma estrinseca del trapasso»), né l’accostarsi soggettivo allascienza(chehatutti gli svantaggi della riflessione e della soggettività), bensì il movimento unitario nel conoscere della Sache selbst, che solo astrattamente si può distinguere nel movimento oggettivo del primo sillogismo e in quello soggettivo del secondo. È «la natura della cosa, il concetto, ciò che si muove e svolge, e questo movimento è altresì l’attività del conoscere» (§ 577); è, insomma, quella stessa «pulsazione vitale tanto degli oggetti stessi, quantodelloropensiero soggettivo»cheabbiamo già incontrato o, con significativa allusione ad Aristotele[140], è il sistema in quanto risultato, pensiero che pensa se stesso, superando nella sua energeia le opposte apparenze di processo semplicemente oggettivo e di processo semplicemente soggettivo conoscere. un un del Se questa ipotesi di soluzione è corretta, le conclusioni che se ne possono trarre per la comprensione dell’intera filosofia hegeliana non sono insignificanti. Intanto, sia il preteso ordine scientificamente oggettivo dell’Enciclopedia, sia il preteso ordine scientificamente soggettivo della Fenomenologia o dell’esperienza in genere, si dimostrano «apparenza», manifestazioni parziali della «ragione che sa se stessa». La «verità» del sistema è allora da cercare nel terzo sillogismo, non esposto innessunaoperaperché presente come totalità (e perciò, a prima vista, introvabile, punto interrogativo), né, d’altronde esponibile secondo un ordine privilegiato, didatticooggettivo o temporalesoggettivo,inquantoèil «semplice fuoco» sul quale convergono i due ordini, la possibilità di intendere dialetticamente il tutto come«circolodicircoli». Qui realmente Hegel – comediceKierkegaard– chiede all’uomo di parlare con la «lingua deglidèi»,dipensare,in altri termini, i due ordini come conservati e soppressi nella conoscenza assoluta e di considerare la ragione autocosciente come astrattamente scindibile in un processo oggettivo e in uno soggettivo; chiede, per servirci di un paragone matematico, che il tutto sia pensato come un geometrale, ossia come un solido geometrico (cubo, piramideecc.)qualorasi potesse vedere contemporaneamente da tutti i lati. Questa totalità di prospettive è certamente impossibile all’intuizionesensibilee all’immaginazione, ma non al pensiero e al concetto, giacché quando penso a un solidononhobisognodi appoggiarmi ad alcuna immagine e posso quindi prescindere, per intenderlo come tutto, da ogni prospettiva, ciò che equivale, hegelianamente, affermare che ad il concetto di un solido conserva tutte le prospettivecometolteo le contiene come lati parziali e modi di apparire. Tale è l’idea del sistema nel suo punto più alto, nel ricongiungersi della logica come inizio alla logica come ritorno in sé. E questo spiega anche perché vi sia nell’itinerario dell’esperienza (Fenomenologia) o in quello del sapere sistematico(Enciclopedia) un rapporto apparenza e di di inversione reciproca. Infatti, da una parte, il cammino dell’esperienza della coscienza non è solo soggettivo – poiché contemporaneamente sorge il sapere –, dall’altra, il cammino del sapere che si costituisce non è solo oggettivo, verità neutrale – poiché contemporaneamente, nella marcia verso lo spirito assoluto, si produce e si esalta la ‘soggettività’, che si svincola continuamente dal suo contrario. La verità è autocoscienza cherientrainséefonde in sé, nella sua attività ‘soggettiva’, mediata dall’oggettività astratta e dalla soggettività astratta, i due processi dell’oggettività e della soggettività generare il per «sapere assoluto»[141]. Vi è in Hegel quindi una fame di oggettività che lo induce a rifiutare sia l’idealismo soggettivo, sialameraempiria,così dagiungereaunaforma di oggettività che costituisce la base della soggettività concreta, a un pensiero oggettivo (objektiver Gedanke)[142]. Egli illustra tale concezione per mezzo dellaFiabagoethianadel barcaiolo,delserpentee dei tre re (d’oro, d’argento e di bronzo). Parlando del re di bronzo, Hegel dice che: «un’autocoscienza umana lo pervade grazie alle vene dell’oggettività, sicché egli sta dritto come una statua; queste vene sono svuotate dall’idealismo trascendentale formale dimodochelastatuasi accascia,edèunaviadi mezzo tra forma e ammasso informe, ripugnante a vedersi»[143]. In maniera analoga, anche il soggetto si regge soltantofinchéilsangue dell’oggettività (e del sistema) continua a circolare in lui: altrimenti crolla, rivelando il proprio vuotointeriore[144]. Per fare il punto in relazione alle altre interpretazioni, si può affermare: a) che l’ordine di successione dei paragrafi dell’Enciclopedia è un ordine didattico e subalterno rispetto all’intero della «ragione che sa se stessa»; esso non è dunque l’ordine scientifico in assoluto, in quanto segue nella successione natura-spirito logicauna tradizioneenciclopedica consolidata sotto forma didivisioneinscienzadi Dio,scienzadellanatura e scienza dell’uomo[145]; b) che, sebbene non manchino nel primo e nel secondo sillogismo le allusioni all’Enciclopedia e alla Fenomenologia, non è necessario presupporre il riferimento immediato a opere diverse dall’Enciclopedia, e si può ben concedere (questa volta d’accordo con Fulda) che i tre sillogismi l’articolazione siano interna del sistema, con la precisazionecheilterzo sillogismo esprime la «vera» natura del sistema, che non è quindi nemmeno necessario ricorrere alla macchinosa distinzione fra sistema in senso stretto e sistema in senso lato; c) che nel terzo sillogismo il termine medio è sì la logica, come «ragione che sa se stessa, l’assolutamente universale», ma anche come punto d’arrivo e ragione autocosciente; d)cheilterzosillogismo non si riferisce a una scienza misteriosa o impossibile, ma all’«idea» stessa della filosofiaedelsistemain cui essa deve essere espressa;e)cheilpunto d’accesso al sistema non è indifferente, il «cominciamento» non può essere astrattamente dovunque, bensì è funzionale ai diversi scopi (didattici, fenomenologici, per chi parte senza esperienza, per chi ritorna dall’esperienza) e si conclude comunque nel «sole» del concetto, nella«pulsazionevitale» tanto degli oggetti, quanto del soggetto; f) che la «coscienza intorno alla forma dell’interno muoversi del suo contenuto»[146] non è altro che il «metodo» dialettico inseparabile dal contenuto del sistema; non vi sono dunque tre itinerari a scelta in assoluto, secondo la progressione dei tre sillogismi, ma un ‘geometrale dialettico’ di ordine superiore rispetto ai primi due itinerari, dimodoché non è più nemmeno il caso di far ricorso a comuni radici noologiche per spiegare quella «Elementarstruktur» che sembra in Puntel giustificare l’intercambiabilità delle tre forme di unità sistematica e la permanenza di uno stesso schema, con successive estensioni, nellalogica,nellanatura e nello spirito[147]. In conclusione, non esiste realiter alcun passaggio dalla logica alla natura se non per la rappresentazione espositiva dell’Enciclopedia,chenon coincide con il sistema inquantotale. Anche ammettendo, dunque, che la Fenomenologia e l’Enciclopedia abbiano la stessa ampiezza – espongano cioè la totalità sistematica secondo due diverse dimensioni,soggettivae didattica – non è il loro itinerario in quanto tale a costituire l’idea di sistema, ma il sapersi della totalità autocosciente al quale entrambe conducono. Da questo punto di vista, la domanda posta da Ernst Bloch se, oltre il metodo dialettico, si possa in Hegel rovesciare anche il sistema[148], deve ottenere una risposta diversadaquelladiuna mera inversione dell’ordine dell’Enciclopedia (dal leggere a rovescio, secondo il già ricordato suggerimento di Litt). E la risposta è che il sistema si rovescia, assiemealmetodo–che ne è la «coscienza» inscindibile – quando il campo degli interrogativi posti dall’epoca storica come tutto non trova più una soluzione adeguata e organica. Ma ciò che fa saltareilsistema,nonè una sua semplice obsolescenza, il fatto che sia passato del tempo,bensìilfattoche si sia presentata un’altra filosofia a rivelare l’inadeguatezza dellaprecedente.Esela nuova filosofia si riferisce con insistenza aunsistemaoasistemi precedenti, è segno, appunto,cheessooessi non sono ancora completamente inattivi o esauriti. E se la filosofiahegeliananonè certo la più alta espressione del nostro tempo «appreso in pensieri»,tuttavialasua presenza insistente «nella nostra sera» non può essere senza significato. 5.Espansionedel sistemae problemiaperti La vera confutazione deve penetrare dov’è il nerbo dell’avversario e prender posizione là dove risiede la suaforza. Hegel, Scienza della logica[149]. Il «circolo di circoli» del sistema non è chiusura al nuovo, ma piuttostolasuacostante assimilazione per espansione e ritorno in sé. Come risulta ormai dall’intero contesto – nonché da un’ulteriore possibilità di raffronti più precisi –, la circolarità del sistema è unininterrottoprocesso di «arricchimento», analogo alla «ricchezza circolante», la quale aumenta ogni volta la sua massa in proporzione alle dimensioni già raggiunte, inglobando il concreto, attraverso contraddizioni, e trasformandolo nella sua «abbreviazione», il danaro. Guardiamo ancora più da vicino questo aspetto, che ci permette di presentare anche alcuni scorci significatividellelezioni berlinesi. Partiamo, per ora, da questo passo della Scienza della logica in cui il processo di «arricchimento» del pensiero nel «circolo di circoli» è presente già con la massima precisione: «Quella determinatezza che era unresultatoè,comesiè mostrato, a cagione della forma della semplicità in cui si è ristretta e fusa, essa stessa un nuovo cominciamento. In quanto questo cominciamento è distinto, appunto per questa determinatezza, dal suo cominciamento precedente,ilconoscere si va svolgendo da contenuto a contenuto. Prima di tutto, questo avanzare si determina per ciò che comincia da determinatezze semplici, e le susseguenti diventano sempre più ricche e concrete. Infatti il resultatocontieneilsuo cominciamento e questosiènelsuocorso arricchito di una nuova determinatezza. L’universale costituisce la base; quindi l’avanzamentononèda prendersi come uno scorrere da altro ad altro. Nel metodo assoluto il concetto si conserva nel suo esser altro, l’universale si conserva nella sua particolarizzazione, nel giudizioenellarealtà;a ogni grado di ulterior determinazione, l’universalesollevatutta la massa del suo contenutoprecedente,e non solo col suo avanzare dialettico non perde nulla, né nulla lasciaindietro,maporta con sé tutto quello che ha acquistato e si arricchisce e si condensa in se stesso. Questo allargamento si può riguardare come il momentodelcontenuto e, nell’insieme, come la prima premessa; l’universale è comunicato alla ricchezzadelcontenuto, è conservato immediatamente in lui. Mailrapportohaanche il secondo lato, il lato negativo o dialettico. L’arricchimento progredisce nella necessitàdelconcetto,è contenuto da questo, e ogni determinazione è una riflessione in sé. Ogni nuovo grado dell’andar fuori di sé, cioè di ulterior determinazione, è ancheunandareinsé,e la maggior estensione è parimenti la più alta intensità. Il più ricco è quindi il più concreto e il più soggettivo, e quello che si ritira nella più semplice profondità è il più potente e invadente»[150]. arricchimento Tale del pensiero, mediante ‘circolazione allargata’ – che è ad un tempo aumentodiintensità(ed ecco perché nell’ambito spirituale quantità estensive e quantità intensive non si possono separare) – è anche lo schema di sviluppo economico e politico di tutta la civilisierte Welt, poiché tutti i fenomeni più diversi hanno la radice comune nello Zeitgeist che ha «dato l’ordine di avanzare» e di ingrandire le proprie forze. Ormai «la morta ricchezzaesiste[…]solo nei tesori dei Cosacchi, dei Tartari; nel mondo civilizzato si tratta della ricchezza circolante», che, tuttavia, si distribuisce in maniera estremamente disuguale: «Nella stessa proporzione in cui si accresce la ricchezza, si accresce pure la miseria, se non si provvede a deviarla diversamente tramite ad esempio la colonizzazione»[151]. Uno dei meriti maggiori della francese, Rivoluzione con l’abolizione del feudalesimo, è stato appunto per Hegel l’impulso dato alla proprietà e alla ricchezza circolanti, sia pure all’interno di laceranti contraddizioni[152]. La dialetticadel«danaro»e del«Kapital» si presenta informaassaiarticolata soprattutto nelle Vorlesungen über Rechtsphilosophie del 1824-1825.Ildanaroele banche appaiono qui come strutture portanti non solo della vita economica, ma anche della vita politica delle nazioni: «Poiché il danaro è il grande mezzo, il ceto commercialeèoratanto legato alla politica. Esso è, così, particolarmente occupato con i bisogni dei diversi Stati in quantocorpipolitici,eil commercio del danaro, le banche, ha ottenuto questa grande importanza […]; dato che gli Stati hanno bisogno di danaro per i loro interessi, essi dipendono da questa circolazione di danaro (Geldverkehr) in sé indipendente»[153]. Nel periodo che precede immediatamente la Rivoluzione di luglio – che avrebbe visto i Laffitte, i Périer e i Rothschild assumere anche il controllo del poterepolitico–nonera sfuggito a Hegel il fatto nuovo che il danaro, in veste di potenza astratta e «indipendente», limitava nella sua assolutezza persino la sovranità di quel dio terreno, di quel «geroglifico della ragione» che è lo Stato. Del resto, a prescindere dalla traduzione filosofica compiuta da Hegel con acutezza di questi temi, essi non erano poi tanto reconditi per un contemporaneo del primo Balzac, per un amico di banchieri e di uomini d’affari, quali Beer e August Friedrich Bloch, per un conoscitore attento, attraverso i giornali e attraverso Cousin, della grande politica londineseoparigina[154], perunfrequentatoredel salotto di Rahel, la signora Varnhagen von Ense, dove si discuteva dieconomiapoliticaedi saint-simonismo[155]. È l’abitudineconsolidataa vedere Hegel come filosofo «puro» che fa guardare ancora a questasuatematicacon l’occhio rivolto a semplici «precorrimenti» di Marx, mentre in realtà si tratta di problemi ampiamente dibattuti (in quell’epoca ‘prosaica’ seguita alla caduta del mito eroico napoleonico), che Hegel ha comunque saputo cogliere«nelpensiero». Il Kapital, oltre a possedere questa caratteristica di dettare legge ai governi, ha anche la mirabile capacità di crescere per forza propria, di sconfiggere i concorrenti più deboli e di costringere gli operai a lavorare a salari più bassi: «Quanto più grande è il capitale, più grandi sono le imprese chesipossonocondurre a termine, e il possessore del capitale può accontentarsi di un profitto minore, per cui il capitale viene di nuovo ingrossato […] In una situazione di grande miseria, il capitalista trova molta gente che lavora per un salario minore e ciò ha, a sua volta, come conseguenza che i capitalisti più piccoli cadono in miseria»[156]. La«logica»delcapitaleè un circolo di espansione, di lievitazione dialettica, ma non è facile entrare dentro di esso, né è facilelosvilupposenon si è raggiunto un certo grado quantitativo. Infatti, tale logica si riassume nella proposizione hegeliana: «A chi ha già, a questo vien dato», e, per converso,achihapoco, anche questo poco vien tolto. La ricchezza si alimenta della povertà dei più: «La ricchezza, come ogni massa, diventa forza. L’accumulazione della ricchezza si verifica in parte per caso, in parte per l’universalità prodottadalladivisione. Èunpuntomagneticoin un modo tale che esso getta il suo sguardo su tutto il resto e lo raccoglie in sé – come unamassagrandeattira a sé la massa più piccola. A chi ha già, a questo vien dato. Il guadagno diventa un sistema multilaterale, che dàprofittodatuttiilati, cheun’impresapiùpiccola non può utilizzare»[157]. Inoltre:«Chihacapitale, può guadagnare.Questa però è soltanto la condizione di base, l’elemento principale è costituito dall’abilità. Ma essa, a sua volta, è condizionata capitale, poiché dal [per conseguirla] ci vogliono spese, da investire solo sul soggetto, senza che nel frattempo questi produca dapprima qualcosa di scambiabile (ein Vertauschbares)»[158]. L’avanzare della ricchezza e del capitale avviene – come è noto anche dalla Filosofia del diritto del 1821 – attraverso immani rivolgimenti sociali e la condanna di grandi masse d’uomini all’abbrutimento, alla «ribellione interiore» e al risentimento della povertà. L’introduzione delle macchine ha provocato, da un lato, un vertiginoso aumento della produzione, dall’altro l’ottundimento spirituale del lavoro di fabbrica, i bassi salari e la disoccupazione. Tuttavia,perHegel,non sipuòtornareindietroa improbabili stati di natura, a ‘robinsonate’, né si può utopisticamente immaginare una qualche soluzione immediata, bisogna accettare le contraddizioni e trovare una soluzione che passi attraverso di loro: Hic Rhodus, hic salta![159] Certo, la miseria generata dal capitale e dall’industria è impressionante: «Non possiamo neppure immaginare come a Londra, questa città infinitamente ricca, siano spaventosamente grandi indigenza, miseria, povertà. Accrescendosi, la ricchezza si concentra in poche mani; e una volta verificatasi questa differenzapercuigrossi capitali sono in poche mani, ciò permette di guadagnare vendendo a prezzipiùbassidiquelli consentiti da un capitale più ridotto, sicché la differenza diviene sempre più grande»[160]. Gli operai se la prendono con le macchineelespaccano: «in Inghilterra sono [state] in parte distrutte da operai disoccupati (brodtlose Arbeiter); ma gli uomini potrebbero essere utilizzati per qualcosa di meglio che non per le operazioni che sono in grado di svolgere le macchine»[161].Ilfattoè, però, che il lavoro, una voltaricondottoapoche operazioni semplicissime, secondo la scissione imposta dall’«intelletto», non richiedepiùuomini,ma soltanto macchine: «Non appena il lavoro è diventato del tutto semplice, astratto, allora si può sostituire l’uomoconlemacchine. L’Inghilterra avrebbe bisogno di molte centinaia di migliaia di uomini per sostituire il lavoro delle macchine. Gli operai, soprattutto gli operai di fabbrica, che perdono il loro sostentamento a causa delle macchine, divengono facilmente scontenti, e bisogna necessariamente schiudere loro nuovi settori»[162]. Hegel sembra adombrare molto cautamente l’ipotesi che il lavoro delle macchine (dato cheaumentailprodotto socialecomplessivo,pur sacrificando i singoli) possa essere alla fine uno strumento di liberazione, nel senso che le macchine potrebbero svolgere quei compiti per i quali l’uomo è sprecato e gli uomini potrebbero fare «qualcosa di meglio»: «L’industria sarà certo abbandonata spontaneamente, ma col sacrificio di questa generazione e l’accrescimento della povertà»[163]. Passato un determinato periodo, presumibilmente non limitato a «questa generazione», sarà forse lecito liberarsi dagli effetti negativi, individuali e sociali, dell’industrializzazione e del lavoro meccanico: «Inoltre, l’astrazione del produrre rende il lavoro sempre più meccanico e, quindi, alla fine, atto a che l’uomo ne sia rimosso e possa essere introdotta, al suo posto, la macchina»[164]. Ma attualmente, questa soluzioneèprematurae la difficoltà di trovare unosbocconelpresente alle contraddizioni spinge verso l’ottativo o il passato remoto: «L’orripilante descrizione della miseria, la impedisce quale la soddisfazione dei bisogni, la troviamo particolarmente in Rousseau e in alcuni altri. Si tratta di uomini profondamente colpiti dalla miseria del loro tempo, del loro popolo, di uomini conoscono che profondamente ed espongono in modo commovente la corruzione etica che ne deriva, la rabbia, la ribellione degli uomini per la loro miseria, per lacontraddizionefraciò cheessisonoingradodi pretendere e la condizione in cui si trovano, la esasperazione per tale contraddizione, la vergogna per questa situazione e con ciò l’interna amarezza, la cattiva volontà che ne scaturisce. Tutto questo è causato veramente dalla società civile (bürgerliche Gesellschaft), e,nellaribellionecontro tutto ciò, quegli spiriti, che pensavano e sentivano profondamente,l’hanno rifiutataesonpassatiad un altro estremo. Essi non hanno visto altra salvezza in quanto tale che nell’abbandonare interamente un sistema (ein System ganz aufzugeben) e, giacché non potevano negare i vantaggi della società civile, hanno ritenuto più vantaggioso sacrificarla interamente e ritornare ad una situazionechesiasenza bisogni così molteplici, ad uno stato di natura comequellodeiselvaggi del Nord-America, pressoiqualilamiseria e l’infelicità non può aver luogo così»[165]. Non si sono accorti che non è più possibile tornare indietro e che, anzi, persino quelle zone residue di naturalità e di limitazione dei bisogni stanno per essere travoltedaun«sistema» economico che ha necessitàdinonlasciare fuoridiséildiversonon assimilato, di espandersi se non vuol morire, un sistema che è costretto ad «avanzare»: Esso deve artificialmente svegliare i bisogni dei popoli per poter esportare, e deve esportareperinfrangere divoltainvoltailcircolo sovrapproduzione/sottoco In tal modo, le nazioni che più soffrono di quest’ultima contraddizione irrisolta, e della sua più macroscopica conseguenza sociale (il contrasto fra grande ricchezza e grande povertà), cercano l’espansione nella conquista di nuovi mercati non saturati, esportando contemporaneamente «corruzione» negli ordinamenti dei paesi che ricevono le merci, e civiltà: «Con gli inglesi ciò avviene soprattutto mediante donazioni di armi, polvere da sparo, stoffe, acquavite, [mediante] fiere. La felice situazione di una tale nazione che ha un commercio mondiale è che il suo benessere è connesso al benessere delmondointero,lasua cultura alla cultura di tutti i popoli; il suo benessere è fondato sul benesserecosmopolitico di tutte le nazioni. In quanto queste nazioni imparano a conoscere i bisogni, escono dallo statodinatura,vengono corrotte; d’altro canto esse devono creare i mezzi per i loro bisogni – i regali si fanno solo all’inizio – hanno necessità di lavorare, sono spinte all’attività, sono portate a prender coscienza di ciò, a questa autocoscienza; ne scaturisce sicurezza della proprietà, rispetto dei trattati, e tali nazionipervengonocosì alla cultura (Bildung) etica»[166]. Il «circolo di circoli», la totalità in movimento, si plasma così nella realtà e nella coscienza attraverso la corruzione portata dall’astratto, dal danaro e dal pensiero, dai nemici di ogni immediatezza naturale, rappresentati socialmente dalla «classeindustriale»(che comprende tutti i ceti produttivi, ossia, oltre agli industriali in senso stretto, gli operai e gli artigiani), nella quale si manifesta maggiormente la «coscienza della libertà»[167]. Ma la loro prevalenza è, per converso, un indice della crisi e del «tramontare» di un mondo reale, che si manifesta con la formazione della «plebe» e l’atomismo della società civile. Al pari delle astrazioni giuridiche dominanti nell’antica Roma (in presenza di una plebe corrotta e di governanti incapaci di frenare il declino e la caduta dell’impero), anche in età moderna astrazione e disgregazione sociale, «scienza» e «rovina» di un popolo, si presentano assieme. L’importanza assunta dalla società civile, e la forte sottolineatura del ruolo dello Stato, devono ricondursi a questa crisi storica, alla necessitàdisubordinare e controllare disgregazione, la di arginaregliinteressidei singoli convogliandoli verso l’«universale concreto», la mediazione attiva di universalità e particolarità. Il tramonto sul quale si innalza la civetta della filosofia è per Hegel questa dissoluzione etica: «Il fenomeno del tramontare ha le sue diverse forme; la corruzione prorompe dall’interno,lecupidigie si scatenano, le entità singole cercano la loro soddisfazione, modo lo in tal spirito sostanziale viene sconfitto e distrutto. Gli interessisingoliattirano a sé le energie e le capacità che prima erano dedicate al tutto […] Gli individui si racchiudono in sé e tendono a fini propri; abbiamo già fatto osservare come ciò sia la rovina del popolo; ognuno si propone i suoi fini secondo le propriepassioni.Manel tempo stesso, in questo ritirarsi dello spirito in sé, il pensiero si fa innanzi particolare come realtà, e nasconolescienze.Così le scienze e la rovina, il declino di un popolo vanno sempre di pari passo»[168]. Tuttavia – a differenza delle epoche precedenti – esiste per Hegel nel suo tempo la possibilità di guidare la crisi, di gestire in qualche misura il mutamento gettando luce sui lati più distruttivi e corrosivi delle presenti forme di vitaassociata. Perché ciò accada, si devono scoprire nel pensieroerealizzarenel mondoleistituzioniatte a canalizzare creativamente l’energia potenziale degli elementi che generano la crisi. Infatti, da un lato non è pensabile l’eliminazione degli egoismi e delle contraddizioni della società civile senza un regredire astratto allo stadio dei «selvaggi del Nord-America», senza rinunciareallosviluppo; dall’altro, son proprio questiegoismiscatenati – come espressione individuale di rapporti sociali – a produrre la corruzionedelpresente, di cui la filosofia è la coscienza e il tentativo di andare oltre. Nell’urgenza stessa della questione del sistema in Hegel, nell’architettonica della relazionefrailtuttoele parti si ha la cifra della situazione storica del tempo, l’allegoria filosofica più alta ed ‘abbreviata’ dell’epoca trascritta in pensieri: la ricerca di una perpetua ricomposizione della totalità che, stimolata dalla contraddizione e dalla disgregazione, si realizzi mediante l’espansione; l’avvertito bisogno–senonsivuol scardinare il «sistema» della realtà sociale – di conservare in posizione subalterna, teleologicamente asservita, quella stessa cecità istintuale che è «l’elementoattivo»della crisi. MaconlaRivoluzione diluglioinFranciaecon il progetto di riforma elettorale in Inghilterra, per Hegel l’orizzonte storico si oscura di nuovo: i conflitti si fanno più acuti e le soluzionipiùdifficili[169]. Come potrà rappresentare l’interesse collettivo quellostessoStatocheè subordinato alla ricchezza dei privati? Come potrà trovarsi un equilibrio politico stabile, dopo la già ricordata «farsa» dei quindici anni della Restaurazione[170], che tocca ormai molti aspetti dell’esperienza comune? Come potrà porsi rimedio alla povertà, che ha assunto proporzioni tali che neppure lo sbocco della colonizzazione, presentatonellaFilosofia del diritto, sembra più sufficiente? «Si è proposto di fondare colonie per far partire il sovrappiù dei poveri, ma perché questa misura sia efficace dovrebbe assicurare l’esodo di almeno un milione di abitanti; e come ottenere questo risultato?»[171]. In Inghilterra, inoltre – dove maggiore è lo sviluppo economico e sociale, ma anche il divario di ricchezza e povertà – i contrasti, provocati dalla tenace difesa dei privilegi da parte della classe dirigente, presentano un’asprezza estrema: «l’attivitàlegiferantedel parlamentoresta,anche dopo la riforma elettorale, nelle mani di quella classe che è tenuta dai suoi interessi, e più ancora dalle sue caparbie abitudini, nell’ambito del vigente sistema di proprietà,echefinorasi è preoccupata soltanto di affrontare le conseguenze del sistema quando il bisogno e la miseria diventano troppo clamorosi, ma con palliativi (come il Subletting Act) o con pii desideri (che chi possiede beni in Irlanda vi stabilisca la sua residenza, e simili)»[172]. L’ottusa difesa dei privilegifeudalidaparte dell’aristocrazia terriera britannica(nellaqualeè soprattutto «radicato e imperturbabile il pregiudizio che colui al quale nascita e ricchezza danno una carica, riceva insieme l’intelligenza necessaria a esercitarla»)[173] porta a stridenti ingiustizie: «Nell’Inghilterra vera e propriaaicontadinivien reso impossibile possedere dei campi: ridotti al rango di fittavoli o di giornalieri, cercano, in parte, quel lavoro che è offerto dall’opulenza inglese, e in particolare dalle immense fabbriche, quando sono in periodo di prosperità; ma assai più di questo, a proteggerli dalle conseguenze della estrema miseria sono le leggi sui poveri, che fanno obbligo a ogni parrocchia di provvedere ai suoi poveri»[174]. Ancor più duramente i proprietari inglesi si comportano con i contadini irlandesi: «se trovano più redditizia una cultura agricola per la quale abbiano bisogno di minor mano d’opera, cacciano dalle loro campagne, che non erano proprietà degli abitanti, centinaia e migliaia di contadini i quali, proprio come i servi della gleba, erano legatiaquelsuoloperil lorosostentamento,ele cui famiglie da secoli abitavano capanne edificatesuquellaterra, e la coltivavano; così a coloro che erano già senza alcuna proprietà, viene tolta anche la patria, e la tradizionale possibilità di lavoro, e tutto ciò per via legale. Ed è legale che i proprietari, onde cacciare una volta per tutte i contadini da quelle capanne, ed evitare che ritardino la partenza, o che tornino di soppiatto sotto quel tetto, le facciano incendiare»[175]. DallaFrancialascossa rivoluzionaria si è propagata in Europa, e inInghilterrahaportato alla formulazione di un Reformbill per abolire i «borghi putridi» e per ammettere in parlamento anche i rappresentanti della ricca borghesia. In tal modo è sorto «il timore da una parte, e la speranza dall’altra, che la riforma del sistema elettoraleporteràconsé altre riforme materiali»[176]. La «plebe» dà ora segni di maggior inquietudine: spacca le macchine a vapore in Inghilterra e prende in Francia iniziative politiche che dovrebbero spettare al governo[177]. Hegel è indubbiamente preoccupato e inquieto per questo riaprirsi di prospettive rivoluzionarie in tal forma,forseperchéesse incrinano «trop la base sur laquelle repose la liberté»[178] e comunque perchépossonosfuggire a ogni controllo ‘razionale’. Ma si sforza di comprenderne il senso, di prestar loro ascolto: l’aristocrazia ingleseritienesuperfluo indagare i fondamenti dell’organizzazione politica e del diritto vigente, «mentre i popoli che ne sentono l’oppressione, sono stimolati a far ciò dalle miserie esteriori, e dal bisogno della ragione che esse suscitano»[179]. L’oppressione e le miserie esteriori spingono nuovamente la filosofia all’indagine, alla prefigurazione di soluzioni razionali per una crisi reale. Dopo le giornate parigine del luglio 1830 la talpa ha ripreso a scavare più alacremente in un mondo che comincia a farsi più buio, anche se nonèancoragiuntoalla «notte polare di fredde tenebre e di stenti»[180], qualesimanifesteràpiù tardi. L’atteggiamento hegeliano diventa allora più «amletico»[181], ma nel senso della talpa: in un appunto che egli aveva preparato per l’introduzione al corso difilosofiadeldirittodel 1831-1832, al posto tenuto dalla civetta nellaPrefazionedel1820, compare ora la «talpa»[182], quasi a significare che l’avvenire è segnato dalle oscure forze dell’istinto e che l’unica cosa che gli occhi di civetta della filosofia sembrano ora cogliere è proprio l’incertezza del futuro. Il mondo ha di nuovo accelerato il suo movimento inconscio, costringendo la filosofia a portare i propri ‘lumi’ in un crepuscolo su cui incombe lo «spirito nascosto, che batte alle porte del presente». Il lavoro di decifrazione della realtà effettuale attraverso il pensiero non può, dunque, giungereacompimento. [1] Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften. Vorrede zur zweiten Ausgabe, cit., vol. I, pp.14-15. [2] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 40 (trad. it.cit.,vol.I,p.40). [3] Ibid., p. 39 (trad. it. cit., vol.I,pp.39-40). [4] Allusione al metodo pedagogico l’apprendimento lettura di H. per della Stephani, Handfibel oder Elementarbuch zum Lesenlernen, Erlangen, 1802; Id., Fibel für Kinder von edler Erziehung, nebst der Methode für Mutter, die Kinder in kurzer Zeit zu lesen zu lehren,Erlangen,1807. [5] Hegel an Niethammer, 10 ottobre 1811, in Briefe, cit., vol.I,p.390(trad.it.cit.,vol. II, p. 168: ho modificato la traduzione). [6] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 12 (trad. it.cit.,vol.I,p.12). [7] Ibid., p. 13 (trad. it. cit., vol.I,p.13). [8] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§396Z. [9]Ibid. [10]HegelanNiethammer,24 marzo 1812, in Briefe, cit., vol.I,p.398(trad.it.cit.,vol. II,p.179). [11]Hegel,Vorlesungenüber die Aesthetik, cit., vol. X1, p. 15(trad.it.cit.,p.15). [12] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 22 (trad. it.cit.,vol.I,p.22). [13]Hegel,Vorlesungenüber die Aesthetik, cit., vol. X1, p. 15(trad.it.cit.,p.15). [14] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.28(trad.it. cit.,vol.I,pp.26-27). [15] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§21Z. [16]Ibid.,§19Z1. [17]Ibid. [18] Sulle idee e l’attività pedagogica di Hegel, cfr. G. Schmidt, Hegel in Nürnberg. Untersuchungen zum Problem der philosophischen Propädeutik, Tübingen, 1960; F. Heer, Hegel und die Jugend, in «Frankfurter Hefte», XXII (1967), fascicolo 5, pp. 323332; F.L. Luqueer, Hegel as Educator (1896), rist., New York, 1967. Su Hegel a Norimberga, nel periodo di composizione della Wissenschaft der Logik, cfr., oltre ai classici lavori biografici, anche W.K. Schultheiss, Geschichte der Schulen in Nürnberg, Nürnberg, 1853-1854; W.R. Beyer, Hegel «Lokal-Schulrat», in Hegeliana, a cura di L. Sichirollo, Urbino, 1965, pp. 61-69;K.Hussel,Hegelrettore e insegnante del Gymnasium, ibid.,pp.70-79;GeorgWilhelm Friedrich Hegel in Nürnberg 1808-1816, con contributi di W.R. Beyer, K. Lanig e K.H. Goldmann, Nürnberg, 1966; GeorgWilhelmFriedrichHegel. RektorinNürnberg1808-1816, s.l. e s.d. (ma Nürnberg, 1967: commemorazioni del Gymnasium di Norimberga per il centocinquantesimo anniversario – 1816-1966 – dellapartenzadiHegeldalla città). [19] Hegel an Sinclair, metà ottobre 1810, in Briefe, cit., vol.I,p.332(trad.it.cit.,vol. II,p.108). [20] Hegel an Von Raumer, 2 agosto 1816, in Briefe, cit., vol. II, p. 100 (trad. it. cit., vol.II,p.319). [21]HegelanNiethammer,24 marzo 1812, in Briefe, cit., vol.I,p.397(trad.it.cit.,vol. II,p.178).Iclericalibavaresi della Schulplans-Sozietät, diretta dal conservatore CajetanWeiller(autoredella Einleitung zur freien Ansicht der Philosophie, München, 1804), avevano elaborato e fattointrodurredalgoverno, nel 1804, un piano di insegnamento per i ginnasi che limitava (per poter legare gli insegnanti) lo studio della filosofia alla storia della filosofia, vietando cioè ogni esposizione sistematica e libera delle filosofie più recenti, sospettate di tendenze rivoluzionarie. Il § 45 di questo Lehrplan für alle kurpfälzischen Mittelschulen oder für die sogenannten Realklassen (Prinzipien), Gymnasien und Lyceen, München, 1804 e l’Über das Verhältnis des philosophischen Versuchs zur Philosophie, München, 1812, insistevano appunto sulla necessità di coltivare il sentimento contro la «costrizione sistematica». Sul carattere «oscurantista» di questi piani cfr. Hegel an Niethammer,20maggio1808, Briefe,cit.,vol.I,p.231(trad. it. cit., vol. I, p. 353), dove si dice che il sistema è considerato dai bavaresi come«unchiodointesta»e, in generale, S.H. Löwe, Die Entwicklung des Schulkampfes in Bayern, bis zum vollständigen Sieg des Neuhumanismus, Berlin, 1917 (e il maggior rappresentante del neoumanismo proprioNiethammer). era [22] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.II,p.224(trad. it.cit.,vol.II,p.662). [23]Ibid.,vol.II,pp.230-231 (trad. it. cit., vol. II, p. 669). Sulla logica, nel suo carattere di «scienza formale», cfr. L.B. Puntel, Darstellung, Methode und Struktur. Untersuchungen zur Einheit der systematischen PhilosophieG.W.F.Hegels,cit., pp. 52 ss., che paragona il passaggio dalla logica alla filosofia della natura al convertirsi o capovolgersi (das Umschlagen) della forma nel contenuto, cfr. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§133A(trad. it.cit.,p.127).Talecarattere formale ha fatto erroneamente pensare che anche la logica si trovi ancora sul piano della «riflessione», mentre essa è già una dimensione dello speculativo, della totalità sistematica(perlariduzione dellalogicaariflessione,cfr. M. Wetzel, Reflexion und Bestimmtheit in Hegels Wissenschaft der Logik, Hamburg, 1968, ma sulla «riflessione» si vedano anche M. Theunissen, Sein und Schein. Die kritische Funktion der Hegelschen Logik, Frankfurt a.M., 1980; L. Hüllen, Herkunft und Bedeutung der Reflexionsbestimmungen in Hegels Wesenslogik, Diss. Universität Bonn, 2006 [on line: http://hss.ulb.unibonn.de/2006/0899/0899.htm]) Sul rapporto logica-sistema, comepassaggiodaunaparte al tutto, cfr. M. Clark, Logik andSystem, The Hague, 1971 e, in particolare, sul problema della soggettività nella logica, K. Düsing, Das Problem der Subjektivität in Hegels Logik. Systematische und entwicklungsgeschichtliche Untersuchungen zum Prinzip des Idealismus und zur Dialektik,in«Hegel-Studien», vol.suppl.16,Bonn,1976,in particolarepp.209ss. [24]Cfr.Hegel,Wissenschaft der Logik, cit., vol. II, p. 414 (trad.it.cit.,vol.II,p.864). [25]Cfr.piùavanti,pp.353 ss. [26] Cfr. Th. Litt, Hegel. Versuch einer kritischen Erneuerung,Heidelberg,1961. [27]Hegel,Vorlesungenüber die Philosophie der Religion, a cura di G. Lasson, cit., vol. I, p. 144 (trad. it. cit., vol. I, p. 191). [28] Lenin, Filosofskia Tetradi, trad. it. cit., pp. 176177.Unaconfermadiquesto modo hegeliano di procedere viene, da tutt’altro punto di vista, dall’articolo di K. Düsing, Syllogistik und Dialektik in Hegels spekulativer Logik, in Hegels Wissenschaft der Logik, a cura di D. Henrich, Stuttgart,1986,pp.15-38. [29] Hegel, Jenenser Realphilosophie II, cit., p. 272 (trad. it. cit., p. 215). Cfr. Phänomenologie des Geistes, cit., p. 433 (trad. it. cit., vol. II,pp.304-305). [30]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XIII, p. 43 (trad. it. cit., vol. I, p. 41). Cfr. EinleitungindieGeschichteder Philosophie, cit., p. 34. Ma il parallelismofralalogicaela storia della filosofia non è privo di vuoti o di distorsioni: ad esempio, se Leucippo corrisponde al livello logico dell’«essereper-sé», manca tuttavia chi rappresentinellastoriadella filosofia la categoria del Dasein: «Veramente quando si procede per via logica dall’essere e dal divenire a questa determinazione del pensiero, appare prima l’essere determinato ma questo rientra nella sfera dellafinità,enonpuòquindi diventar principio della filosofia.Sedunqueanchelo svolgimento storico della filosofia deve corrispondere allosvolgimentodellalogica filosofica, anche in quest’ultimadevonotrovarsi dei punti, che nello svolgimento storico invece non appaiono. Se per esempio si volesse considerare come principio l’esistenza,s’avrebbeciòche noi abbiamo nella nostra coscienza: vale a dire che esistonocose,cheessesono finite, che hanno relazione l’una con l’altra; insomma, s’avrebbe la categoria della nostra coscienza priva di pensiero, della parvenza» (Hegel, Vorlesungen über die GeschichtederPhilosophie,cit., vol. XIII, p. 326, trad. it. cit., vol. I, p. 333). Hegel si contenta di dire, alludendo alle discrepanze fra serie logica e serie storica delle filosofie, che la spiegazione «ci porterebbe troppo lontano dal nostro scopo» (EinleitungindieGeschichteder Philosophie, cit., p. 35). Un ulteriore macroscopico esempio di non-coincidenza fra logica e storia della filosofia è, come vedremo, il Medioevo, che, pur essendo rappresentato nella Storia della filosofia, non porta alcun contributo categoriale allaScienzadellalogica. [31]SecondoTh.Litt,Hegel. Versuch einer kritischen Erneuerung, cit., la logica hegeliana sarebbe appunto «autarchica» rispetto alla realtàeneprescinderebbe. [32] Hegel, Phänomenologie desGeistes,cit.,p.26(trad.it. cit.,vol.I,p.24). [33] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 13 (trad. it.cit.,vol.I,p.13). [34] Hegel, Auszüge und Bemerkungen, in Berliner Schriften, cit., p. 731. È curioso, ma anche indicativo, l’abbondante uso di abbreviazioni fatte da Hegel nei suoi manoscritti (cfr. l’elenco nell’Editorischer Bericht a Hegel, Jenaer Systementwürfe II, cit., pp. 354-355). [35] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.7(trad.it. cit.,vol.I,p.7). [36] Sulla «chiusura del pensiero»insestessocheci sarebbe in Hegel cfr. H. Kimmerle, Das Problem der Abgeschlossenheit des Denkens. Hegels «System der Philosophie» in den Jahren 1800-1804, in «HegelStudien», volume suppl. 8, Bonn, 1970 e, in particolare, pp. 286, 294-295: «Il riferimentoaquellochenon è pensare viene in Hegel in tal modo interrotto. Il pensare viene sviluppato come cerchio che ritorna su se stesso, cerchio in cui fin dall’inizio è da presupporre ciò che deve divenire, e in cui non diviene nient’altro se non ciò che è già contenuto nel presupposto […] Il problema hegeliano dell’andare al di là della scissione ha invero la sua risposta solo mediante il pensare,mediantelafilosofia, ma non solo nel pensare, nella filosofia, come un sistemainséconchiuso». [37] Plotino, Enneadi, III, 7,12. Per un inquadramento del testo, cfr. Plotino, L’eternità e il tempo (Enneade III7),trad.ecommentodiF. Ferrari e M. Vegetti, Milano, 1991. Per l’interpretazione, secondo cui la logica annullerebbe il tempo, cfr. A. Massolo, Ricerche sulla logica hegeliana (1944), in Logica hegeliana e filososofia contemporanea, a cura di P. Salvucci,Firenze,1967,p.27. [38] Goethe, Faust I, vv. 1908-1929(cfr.Goethe,Faust, trad. it. di F. Fortini, Milano, 1970, p. 147). I calzari spagnoli erano strumenti di tortura. [39] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§183Z. [40] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 16 (trad. it.cit.,vol.I,p.17). [41]Ibid.,p.16(trad.it.cit., vol.I,p.16). [42] Cfr. Schiller, Das Ideal und das Leben, e Hegel, VorlesungenüberdieAesthetik, cit., vol. X1, p. 201 (trad. it. cit.,p.179). [43] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 41 (trad. it.cit.,vol.I,p.41). [44]Apropositodella«rete adamantina» e delle metaforedellatrasparenzaè da ricordare l’interesse di Hegel (e di Goethe) per le teorie di Malus, cfr. E.-L. Malus, Théorie de la double refractiondelalumièredansles substances cristallisées, Paris, 1810,chetrattaampiamente delle proprietà della luce in rapporto ai corpi diafani (su Malus cfr. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§278A,trad. it.cit.,pp.248-249). [45] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 19 (trad. it.cit.,vol.I,p.19).Suquesta logica naturale delle categorie, che resta inavvertita, cfr. K. Harlander, Absolute Subjektivität und kategoriale Anschauung. Eine Untersuchung der Systemstruktur bei Hegel, Meisenheim am Glan, 1969, pp.40ss. [46] Hegel, Einleitung in die GeschichtederPhilosophie,cit., p.32. [47] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,pp.4-5(trad. it.cit.,vol.I,p.5). [48] Cfr. Hegel an Niethammer,20maggio1808, in Briefe, cit., vol. I, p. 229 (trad. it. cit., vol. I, p. 352): «nessuno sa più intraprendere alcunché con questa vecchia logica; ce la si trascina dietro come un vecchio lascito e questo unicamente perché non esiste ancora un altro surrogato, il cui bisogno è universalmentesentito».Per un giudizio tagliente sulla logica di Fries, fondata sull’antropologia, cfr. Hegel an Niethammer, 10 ottobre 1811,inBriefe, cit., vol. I, pp. 388-389 (trad. it. cit., vol. II, pp.166-167). [49] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.5(trad.it. cit.,vol.I,p.5). [50] Ibid., vol. II, p. 459 (trad.it.cit.,vol.II,p.911). [51]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 623 (trad. it. cit.,vol.III,2,p.417). [52] Ibid., p. 623 (trad. it. cit.,vol.III,2,p.417). [53] Ibid., vol. XIII, p. 55 (trad.it.cit.,vol.I,p.53). [54] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 14 A (trad. it.cit.,p.19). [55] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 27 (trad. it.cit.,vol.I,p.27). [56] Hegel, Aphorismen aus der Jenenser Periode, cit., p. 551 (trad. it. cit., p. 73 nota 59). [57] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 40 (trad. it.cit.,vol.I,p.41). [58]Ibid.,p.41(trad.it.cit., vol.I,pp.41-42). [59]Ibid.,p.33(trad.it.cit., vol.I,p.33). [60]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 110 (trad. it. cit.,vol.III,1,p.117). [61] Cfr. ibid., pp. 113-114 (trad. it. cit., vol. III, 1, pp. 120-121). [62] Cfr. Hegel, Philosophie derWeltgeschichte,cit.,p.859 (trad. it. cit., vol. IV, p. 124): «Come l’Europa offriva in generale l’universale spettacolo di lotte cavalleresche, di guerre e di tornei,cosìessaeraancheil teatro dei tornei del pensiero.Èinfattiincredibile lo sviluppo a cui furono portate le forme astratte del pensiero e l’abilità degli individui nel muoversi in esse». [63] Cfr. Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 108(trad.it.cit.,vol.III,1,p. 115). [64] Ibid., p. 140 (trad. it. cit.,vol.III,1,p.149). [65]Ibid.,pp.88-89(trad.it. cit.,vol.III,1,pp.94-95). [66] Ibid., p. 108 (trad. it. cit.,vol.III,1,p.115). [67]Ibid., pp. 179-180 (trad. it.cit.,vol.III,1,pp.188-189). [68] Ibid., pp. 92, 106 (trad. it.cit.,vol.III,1,pp.98,112). Il testo di Michelet ha «Tertulliano» al posto di «Gellert». [69] Ibid., p. 128 (trad. it. cit.,vol.III,1,p.137). [70] Ibid., p. 126 (trad. it. cit.,vol.III,1,pp.134-135). [71] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 830 (trad.it.cit.,vol.IV,p.90). [72]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 106 (trad. it. cit.,vol.III,1,p.113). [73] Ibid., p. 107 (trad. it. cit.,vol.III,1,pp.113-114). [74] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 125 (trad. it.cit.,vol.I,p.180). [75]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, p. 106 (trad. it. cit.,vol.III,1,p.112). [76] Sull’interpretazione aristotelica dell’on mediante il phos (Aristotele, De anima, 418 b, a cui Hegel allude in Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 78, trad. it. cit., vol. I, p. 82), cfr. W. Beierwaltes, Lux intellegibilis. Untersuchungen zur Lichtmetaphysik der Griechen, München,1957,pp.15ss. [77] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, pp. 78-79 (trad.it.cit.,vol.I,p.83). [78] Ibid., p. 5 (trad. it. cit., vol.I,p.5). [79] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 891 (trad.it.cit.,vol.IV,p.163). [80] Ibid., p. 729 (trad. it. cit., vol. IV, p. 43). Sulla proiezione di stereotipi europei relativi al mondo islamico,cfr.A.Grosrichard, Structure du Sérail. La fiction du despotisme asiatique dans l’Occident classique, cit. Che tali stereotipi non fossero peraltro del tutto privi di fondamento, in particolare relativamente all’uso del terrore nel califfato abbasside, lo mostra, tra gli altri, il classico libro di K.A. Wittfogel, Oriental Despotism. A Comparative Study on Total Power, New Haven, Colo., 1957,trad.it.diR.Pavetto,Il dispotismo orientale, Firenze, 1968, vol. I, pp. 233-234. Cfr. anche L. Ventura, Hegel e l’Islam, Pomigliano D’Arco, 2013. [81]Ibid.Ilconfrontoèfatto con Faust, che cercava una soddisfazionebenmaggiore. [82] Ibid., p. 892 (trad. it. cit.,vol.IV,p.164). [83] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.5(trad.it. cit.,vol.I,p.5). [84] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., p. 797 (trad.it.cit.,vol.IV,p.50). [85] Hegel, Phänomenologie des Geistes, cit., p. 321 (trad. it.cit.,vol.II,p.132). [86] Hegel, Wissenschaft der Logik,cit.,vol.I,p.5(trad.it. cit.,vol.I,p.5). [87]Ibid.,pp.19-20(trad.it. cit.,vol.I,pp.19-20). [88] Il problema dei ‘generi letterari’delleoperediHegel andrebbe affrontato con attenzione, distinguendo cioè il diverso tipo di redazione e di pubblico al quale sono rivolte, il loro carattere eventuale di manuali, di appunti di lezioniecc.L’unicotentativo specifico che è stato compiuto in questa direzione, con risultati non entusiasmanti,èquellodiA. Léonard, La structure du systéme hégélien, in «Revue philosophique de Louvain», LXIX (1971), pp. 495-524, che collega i generi espositivi a quattro diversi tipi di sillogismo.Un’analisiditesti filosoficiconglistrumentidi un Genette, di un Bachtin o di una Kristeva potrebbe portare anche in questo campo (si pensi alla struttura ‘narrativa’ della Fenomenologia) a chiarimenti utilieaspuntinuovi. [89]Hegel,Vorlesungenüber die Geschichte der Philosophie, cit., vol. XV, pp. 97-98 (trad. it.cit.,vol.III,1,pp.103-104). Più in generale, sul concetto di metafisica tradizionale e la critica che Hegel ne compie, cfr. B. Longuenesse, Hegel et la critique de la métaphysique,Paris,1981. [90] Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 14 A (trad. it.cit.,p.19). [91]Nell’ideahegelianadel serpente e del paradiso terrestre come mito originario ci sarebbero ascendenze libertine, cfr. G. Schneider, Der Libertin. Zur Geistes- und Sozialgeschichte desBürgertumsim16.und17. Jahrhundert, Stuttgart, 1970, trad. it. di G. Panzieri, Il libertino. Per una storia sociale dellaculturaborghesenelXVIe XVII secolo, Bologna, 1974, p. 72nota. [92] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 16 (trad. it.cit.,vol.I,p.16). [93] A. Nuzzo, Logica e sistema. Sull’idea hegeliana di filosofia,Genova,1992,p.19. [94]Cfr.piùavanti,pp.357 ss. [95] Kant, Kritik der reinen Vernunft, A 834-835; B 862863 (trad. it. cit., vol. II, pp. 629-630). [96] La nozione di «sistema» appare dapprima in Ippocrate, Platone (Leg. 686 B), Aristotele (Eth. Nic. 1168b)eneglistoici(SVF,III, fr. 327 ss.), generalmente in contesti medici relativi all’organismo, ma per gli stoicianchealkosmos(cfr.fr. 527). Nell’espressione systema mundi in età moderna è, soprattutto, un termine legato all’astronomia, ma con Spinoza, indirettamente, e con il Système nouveau di Leibniz, direttamente, il termine entra nel vocabolario filosofico, diventando infine un problema con Kant, cfr. Ch. Krijnen, Philosophie als System. Prinzipientheoretische Untersuchungen zum Systemgedanke bei Hegel, im Neukantianismus und in der Gegenwartsphilosophie, Würzburg,2008,pp.10-25. [97] Condillac, Traité des Systèmes, in Œuvres philosophiques, ed. critica a curadiG.LeRoy,Paris,1947, vol. I, pp. 121, 124. Sul concetto di sistema in Condillac e in generale, cfr. O. Ritschl, System und systematische Methode in der Geschichte des wissenschaftlichen Sprachgebrauchs und der philosophischen Terminologie, Bonn, 1906. La critica della filosofia sistematica attraversa, del resto, tutto l’Illuminismo francese: Buffon, Maupertuis, d’Alembert o Voltaire, cfr. P. Kondylis, Die Aufklärung im Rahmen des neuzeitlichen Rationalismus, Stuttgart, 1981, pp. 298 ss. Nella celebre Professione di fede del vicario savoiardo Rousseau attribuisce la nascita dei sistemi filosofici alla ricerca di originalità e all’egoismo dei singoli. Per una diversa concezione dell’idea di sistema in Hegel, cfr. B. Heimann, System und Methode in Hegels Philosophie, Leipzig,1927;H.F.Fulda,Das Problem einer Einleitung in Hegels Wissenschaft der Logik, Frankfurt a.M., 1965, in particolare pp. 173 ss.; H. Kimmerle, Zur Genesis des Hegelschen Systembegriffs, in «Neue Zeitschrift für systematische Theologie und Religionsphilosophie», XIV (1972), pp. 294-314; A. Doz,Hegeletl’idéedesystème, in «Hegel-Jahrbuch», 1973, pp. 81 ss. Più in generale, oltre al già citato von Bertalanffy, cfr. R. Mac Rae, TheProblemoftheUnityofthe Sciences. Bacon to Kant, Toronto, 1961, pp. 89-106; J. Pucelle, Note sur l’idée de système, in «Les études philosophiques», 1948, pp. 254-267; O. Lange, Wholes andParts.AGeneralTheoryof System Behaviour, trad. ingl. Oxford-London-EdinburghNew York-Paris-Frankfurt a.M., 1995; W. Marx, On the Necessity of Transformation of the Philosophical Concept of System, in «Ratio», XX, 2 (December1978),pp.92-102; Ch. Strub, System, in Historische Wörterbuch der Philosophie,acuradiJ.Ritter, K. Gründer e G. Gabriel, vol. X,Darmstadt,1998,coll.475493;H.F.FuldaeCh.Krijnen, Einleitung. Systemphilosophie als Selbestekenntnis?, in Einleitung. Systemphilosophie als Selbestekenntnis, a cura di H.F. Fulda e Ch. Krijnen, Würzburg, 2006, pp. 9-23 (i quali ultimi, argomentando contro il sistema, considerato quale un rigido contenitore di elementi eterogenei, fanno però notare come i più grandi filosofi della modernità – Spinoza, Kant, Hegel – abbiano considerato la sistematizzazione dei loro pensieri non come un bisogno secondario o un istinto di potenza, ma qualcosacheènell’interesse di «una radicale autoillustrazione della libertà umana» [einer radikaler Selbstaufklärung und menschlicher Freiheit]). E si veda anche H.F. Fulda, MethodeundSystembeiHegel. Das Logische, die Natur, der Geist als universale Bestimmungen einer monistischen Philosophie, ibid., pp. 25-50. È interessante notare come vi sia stata, al livellodellesingolescienzee di quello dei rapporti fra diversi campi del sapere, una sorta di rinascita, con segno positivo, del concetto di sistema e di sistematica, tanto che ne è scaturita, ormai da diversi decenni, una «teoria generale dei sistemi», come scienza «ufficiale» che raggruppa studiosidivariaprovenienza (cfr. sopra, pp. 158-159 nota 110). [98] Schelling, Stuttgarter Vorlesungen, in Werke, cit., vol. IV, p. 309 (trad. it. di G. Preti, Lezioni di Stoccarda, in L’empirismo filosofico e altri scritti, cit., p. 89). Si veda anche l’Introduzione di C. Tatasciore alla sua nuova traduzione delle Stuttgarter Vorlesungen: Lezioni di Stoccarda, Napoli-Salerno, 2013,pp.7-34. [99] Condillac, Traité des Systèmes, cit., p. 126. Cfr. Fichte, Erste Einleitung in die Wissenschaftslehre (1797), in Sämtliche Werke, a cura di I.H. Fichte, vol. I, Berlin, 1845, p. 434 (trad. it. di L. Pareyson, Prima introduzione alla Dottrina della scienza, in «Rivistadifilosofia»,XXXVII, 1946, pp. 190-191): «Quale filosofiasiscelgadipendeda quale uomo si è; perché un sistema filosofico non è una suppellettile inanimata che si possa prendere o lasciare a nostro capriccio, ma è animato dall’anima dell’uomochelopossiede». [100] Kant, Kritik der reinen Vernunft, A 832-839; B 860867 (trad. it. cit., vol. II, pp. 629-634). Cfr. sull’argomento,E.Kraus,Der Systemgedanke bei Kant und Fichte, in «Kant-Studien», fascicolo suppl. 37, Berlin, 1916; A. Schurr, Philosophie als System bei Fichte, Schelling und Hegel, Stuttgart-Bad Cannstatt,1974. [101] Schelling, Aus dem allgemeinen Übersicht der neuesten philosophischen Literatur,inWerke,cit.,vol.I, p.382. [102] Schelling, Stuttgarter Vorlesungen,cit.,p.309(trad. it.cit.,p.89). [103]Hegel,Einleitung in die GeschichtederPhilosophie,cit., p.33. [104]Hegel,Aphorismen aus der Jenenser Periode, cit., p. 539 (trad. it. cit., p. 59 nota 11). [105] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie,cit.,vol.XIII,p.59 (trad.it.cit.,vol.I,p.57). [106] Ibid., p. 60 (trad. it. cit.,vol.I,p.58). [107] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie,cit.,p.12(trad.it. cit.,p.13). [108] Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie,cit.,vol.XIII,p.60 (trad.it.cit.,vol.I,p.58). [109] Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie, cit., p. 9 (trad. it. cit.,p.9). [110] Hölderlin, Zeitgeist, trad. it. di G. Vigolo, in Hölderlin, Poesie, Torino, 1963,p.37. [111] Sul «caos al di fuori delsistema»,cfr.F.Schlegel, Ideen, in «Athenaeum», III, 1 (1800),n.55(Minor). [112] Hegel, Freiheit und Schicksal, in Schriften zur Politik und Rechtsphilosophie, cit., p. 140 – ora anche in Gesammelte Werke, cit., vol. V, Schriften und Entwürfe (1799-1808), a cura di M. Baum e K.R. Meist in collaborazione con T. Ebert, Hamburg, 1998, pp. 16-18 – (trad. it. di C. Luporini, Libertàedestino,orainHegel, Scritti politici 1798-1831, cit., p. 10). Per un’ampia e articolata analisi di questo testo, cfr. R. Bodei, Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno, cit., pp.4-58. [113] Sull’ottusità e la degradazione degli operai prodotte dall’estrema divisione del lavoro di fabbrica, cfr. Hegel, System der Sittlichkeit, cit., pp. 428, 443 (trad. it. cit., pp. 187, 195), Jenenser Realphilosophie I, cit., p. 239 (trad. it. cit., p. 99);JenenserRealphilosophieII, cit.,pp.214,256-257(trad.it. cit., pp. 147, 197-198); GrundlinienderPhilosophiedes Rechts,cit.§198(trad.it.cit., p. 176), Vorlesungen über Rechtsphilosophie 1818-1831, cit.,vol.III,pp.611-612,trad. it.inLefilosofiedeldiritto,cit., p. 250: «Il lavoro diviene sempre più ottuso, non vi è più alcuna molteplicità per l’indagine dell’intelletto. La dipendenza degli operai è una conseguenza delle fabbriche; in questo lavoro essi ottundono lo spirito, diventano totalmente dipendenti, del tutto unilaterali, e in pratica non hanno nessun’altra possibilitàdiguadagnarsida vivere, dato che sono immersi in quest’unico lavoro, solo a esso sono abituati». [114] Cfr. K.W.F. Solger, Philosophische Gespräche, Berlin,1817,p.247. [115] E. Bloch, SubjektObjekt. Erläuterungen zu Hegel,cit.(trad.it.cit.,p.35). [116]Hegel,Aphorismen aus der Jenenser Periode, cit., p. 551(trad.it.cit.,n.59,p.73). [117] K. Kraus, Sprüche und Widersprüche, München, 1955, trad. it. di R. Calasso, Detti e contraddetti, Milano, 1972,p.165. [118] Cfr. Lukács, Die Zerstörung der Vernunft, trad. it. cit., pp. 308 ss.; W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, Frankfurt a.M., 1963 (ora anche in Gesammelte Schriften, in collaborazione con Th.W. Adorno e G. Scholem, a cura di R. Tiedemann e H. Schweppenhäuser, Frankfurt a.M., 1972 ss.), trad. it. di E. Filippini, Il dramma barocco tedesco, Torino,1971,pp.9ss.;Th.W. Adorno, Minima Moralia. Reflexionen aus dem beschädigten Leben, BerlinFrankfurta.M.,1951,trad.it. di R. Solmi, Minima moralia, Torino, 19792, pp. 5 ss., 48 e passim; Id., Erpresste Versöhnung. Zu Georg Lukács’ «Wider den missverstandenen Realismus», in Noten zur Literatur II, Frankfurt a.M., 1961, pp. 152-187; Id., Negative Dialektik, Frankfurt a.M., 1966, trad. it. di P. Lauro,Torino,2004,pp.3-53 e 123-186; F. Rosenzweig, Stern der Erlösung, Frankfurt a.M.,1921. [119] W. Benjamin, Ursprung des deutschen Trauerspiels, cit. (trad. it. cit., p.31). [120] W. Benjamin, An Th.W. Adorno, 9 dicembre 1938, in Briefe, Frankfurt a.M., 1966, vol. II, p. 794 (trad. it. Lettere 1913-1940, Torino,1978,pp.371-372). [121] Da un ossicino di animale preistorico Cuvier riteneva, infatti, di poter ricostruire l’intero scheletro: «ogni individuo organizzato costituisce di per sé un sistema unico e chiuso, le cui parti corrispondono l’unaall’altraeconcorronoa produrre un certo risultato definito, per reazione reciproca. Alcune di queste parti possono cambiare senza che anche le altre cambino; e pertanto ognuna diesse,presaseparatamente indica tutte le altre». Egli giungeva così alla conclusione secondo cui «cominciando da ciascun [singolo osso], chi possieda razionalmente le leggi dell’economia organica, potrebbe rifare tutto l’animale» (Discours sur les révolutions de la surface du globe, Paris-Amsterdam, 1825,pp.95,99). [122] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 382 (trad. it. cit., vol. I, p. 412). Cfr. C.L. Berthollet, Statique Chimique, Paris, 1803 (su cui Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§324A,trad. it.cit.,p.292;332Z;333eA, trad. it. cit., pp. 303-304; Wissenschaft der Logik, cit., vol.I,pp.369ss.,trad.it.cit., vol. I, pp. 401 ss.); J.J. Berzelius, Essai sur la théorie des proportions chimiques et sur l’influence chimique de l’électricité,Paris,1819(sucui Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften,§330A,trad. it. cit., pp. 300-302; 333 Z; Wissenschaft der Logik, cit., vol.I,pp.370ss.,trad.it.cit., vol. I, pp. 402 ss.). Su questi punti, cfr. A. Doz, Commentaire e G.W.F. Hegel, Théorie de la mésure, trad. e commento della sezione III del libro I della Scienza della logica, Paris, 1970, passim e, ma generico, D. von Engelhardt, Das chemische System der Stoffe, Kräfte und Prozesse in Hegels Naturphilosophie und der Wissenschaft seiner Zeit, in «Hegel-Studien», vol. suppl. 11, Bonn, 1974, pp. 125-139; Id., Hegel und die Chemie. Studien zur Philosophie und Wissenschaft der Natur um 1800, Wiesbaden, 1976 e U. Rusch, Chemische Einsichten widerWillen.HegelsTeorieder Chemie, in «Hegel-Studien», 22 (1987), pp. 173-179. Sull’impostazione logica dellastrutturadellachimica nella «misura», cfr. B. Lakebrink, Kommentar zu Hegels ‘Logik’ in seiner ‘Enzyklopädie’von1830.I.Sein und Wesen, FreiburgMünchen, 1979, pp. 171 ss.; D.G. Carlson, A Commentary toHegel’sScienceofLogic,New York-London, 2007, pp. 197248 e, più in generale, C. Cesa, Problemi della misura, nel numero speciale di «Teoria», XXXIII (2013), cit., pp. 87-99. Per un inquadramento storico, si vedaH.Doebling,Die Chemie in Jena zur Goethezeit, Jena, 1928. Per un esame più ampio della «Logica dell’essenza» nella Scienza dellalogica,cfr.G.Martin,Die Wesenlogik in Hegels “Wissenschaft der Logik”, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1994. [123] Cfr. Hegel, Jenenser Realphilosophie I, cit., p. 264; Wissenschaft der Logik, cit., vol. II, p. 504 (trad. it. cit., vol. II, p. 955), Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, § 15 (trad. it. cit.,p.19). [124] Cfr. F. Kümell, Platon und Hegel. Zur ontologischen Begründung des Zirkels in der Erkenntnis,Tübingen,1968,e, in senso dinamico W.R. Beyer,DasSinnbilddesKreises im Denken Hegels und Lenins, Meisenheim am Glan, 1971, pp.9ss. [125] Cfr. A. Peperzak, Autoconoscenza dell’assoluto. Lineamenti della filosofia dello spiritohegeliana,Napoli,1988, p.142. [126] W. Tega, L’ideale enciclopedico e l’unità del sapere,cit. [127] Cfr. T. Rockmore, Hegel’s Circular Epistemology, Bloomington, Ind., 1986 (di cui si veda, per un inquadramento generale, anche il volume Hegel, Idealism, Analytical Philosophy, New HavenLondon, 2005, pp. 165-228); V. Verra, Su Hegel, Bologna, 2007, pp. 199-216 e W. Tega, Tradizione e rivoluzione. Scienza e potere in Francia (1815-1840), cit., pp. 40-41. Che nella teoria hegeliana del circolo di circoli vi sia unachiarareminiscenzadel finale della Metafisica di Aristotele del Dio che pensa se stesso, è mostrato da K. Düsing, Noesis Noeseos und absoluter Geist in Hegels Bestimmung der “Philosophie”, in Hegels enzyklopädisches System.Vonder“Wissenschaft der Logik” zur Philosophie des absoluten Geistes, a cura di H.-Ch. Lucas, B. Tuschling e B. Vogel, Stuttgart-Bad Cannstatt,2004,pp.459-480. La differenza tra il modello dell’enciclopediahegelianae quello della Grande enciclopedia francese credo sipossatrovareinunafrase di d’Alembert in cui si dice che l’intenzione dell’opera è quella di mostrare «per quantoèpossibile,l’ordinee la concatenazione delle conoscenze umane» (d’Alembert, Discours préliminaire de l’Encyclopédie, inId.,MélangesdeLittérature, d’Histoire, et de Philosophie, Leyde, 1783, p. 11, trad. it. Discorso preliminare, cit., vol. I, p. 7). «Per quanto è possibile», appunto, lasciando, dove non lo sia, vuotieresidui. [128] Cfr. Hegel, Differenz des Fichte’schen und Schelling’schen Systems der Philosophie, cit., pp. 11, 14 (trad. it. cit., pp. 13, 15): «La scissione è la fonte del bisogno della filosofia […] Quando la potenza dell’unificazione scompare dalla vita degli uomini e le opposizionihannoperdutoil lororapportovivente,laloro azione reciproca e guadagnano l’indipendenza, allora sorge il bisogno della filosofia». [129] Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften,§237Z. der [130] Hegel, Wissenschaft derLogik,cit.,vol.I,pp.21-22 (trad.it.cit.,vol.I,p.22).Cfr. ibid., vol. II, p 212 (trad. it. cit.,vol.II,p.650). [131] J. Ortega y Gasset, Hegel y America, in Obras completas, Madrid, 2004, vol. I, p. 566; C. Cantillo, La ragione e la vita. Ortega y Gasset interprete di Hegel, Soveria Mannelli (CZ), 2012, p.5. [132] Cfr. A. Peperzak, Autoconoscenza dell’assoluto, cit., pp. 14-16 e si veda anche L. De Vos, Hegels Enzyklopädie 1827 und 1830: Die Offenheit des Systems?, in «Hegel-Studien», 31 (1996), pp.99-112. [133] Enzyklopädie Cfr. Hegel, der philosophischen Wissenschaften,§244(trad.it. cit., p. 199); Schelling, Münchener Vorlesungen. Zur Geschichte der neueren Philosophie und Darstellung des philosophischen Empirismus, in Werke, cit., vol.V,pp.223ss.(trad.it.di G.Durante,Lezioni monachesi sulla storia della filosofia moderna ed esposizione dell’empirismo filosofico, Firenze, 1950, pp. 180 ss.); F.A. Trendelenburg, Logische Untersuchungen, Leipzig, 1840,vol.II,pp.344ss.Sulle critichediSchellingaHegel, cfr.X.Tillette,Schellingcontre Hegel, in «Archives de philosophie», XXIX (1966), pp. 89-108; G. Semerari, La critica di Schelling a Hegel, in Incidenza di Hegel, cit., in particolare, pp. 490 ss. Sulle obiezioni di Trendelenburg, cfr.N.Merker,Leoriginidella logicahegeliana,cit.,passim,e E.GrilloeN.Dazzi,Sullacrisi dellafilosofiahegeliana:Adolph Trendelenburg, in Enciclopedia ’72, cit., pp. 199-205. Sul senso dell’espressione hegeliana «lasciar uscire liberamente»esulpassaggio dalla logica alla filosofia della natura, cfr. H. Braun, Zur Interpretation der Hegel’schen Wendung: frei entlassen, in L’esprit objectif. L’unité de l’histoire, cit., pp. 51-64 e D. Wandschneider e V.Hösle,DieEntäusserungder Idee zur Natur und ihre zeitliche Entfaltung als Geist beiHegel,in«Hegel-Studien», 18 (1983), pp. 173-199. Per l’interpretazione della logica come «prima epoca speculativa di Dio», cfr. invece I. Iljin, Die Philosophie Hegels als contemplative Gotteslehre, Bern, 1946, pp. 203ss. [134] Cfr. Hegel, der Enzyklopädie philosophischen Wissenschaften, §§ 575-577 (trad.it.cit.,pp.527-529). [135] Cfr. G. Lasson, Was heisst Hegelianismus, Berlin, 1916,pp.31ss.;Id.,Hegelund die Gegenwart, in «KantStudien», XXXVI (1931), p. 267;J.vanderMeulen,Hegel. Die gebrochene Mitte, Hamburg, 1958, pp. 339 ss.; L.B. Puntel, Darstellung, Methode und Struktur. UntersuchungenzurEinheitder systematischen Philosophie G.W.F.Hegels,cit.,pp.322ss. La«noologia»èinPuntelciò che Hegel nell’Enciclopedia chiama «psicologia». Sull’ipotesi che la dialettica hegeliana abbia un’origine sillogistica, cfr. H. Schmitz, Hegel als Denker der Individualität, Meisenheim amGlan,1957,pp.122-126. [136] Cfr. H.F. Fulda, Das Problem einer Einleitung in Hegels Wissenschaft der Logik, cit., pp. 284 ss., J. Gauvin, recensione al libro di Fulda, in «Hegel-Studien», 4 (1967), p. 247. La dottrina dei tre sillogismi era stata affrontataperlaprimavolta da K.Ph. Fischer, Spekulative Charakteristik und Kritik des HegelschenSystems,Erlangen, 1845, p. 186. Sulla dottrina hegelianadeitresillogismie l’ampio dibattito che ha sollevato, cfr. M. Theunissen, Hegels Lehre von absolutenGeistalstheologischpolitischer Traktat, Berlin, 1970, pp. 308-322; A. Léonard, La structure du système hégélien, cit.; Th. Geraets, Les trois lectures philosophiques de l’Encyclopédie ou la réalisation du concept de la philosophie chez Hegel, in «HegelStudien», 10 (1975), pp. 231254 (che considera i tre sillogismi come le tre possibili letture dell’Enciclopedia); Id., Lo spirito assoluto come apertura del sistema hegeliano, Napoli, 1985, pp. 72-98; J. Beaufort, Die drei Schlüsse. Untersuchung zur Stellung der “Phänomenologie” in Hegels System der Wissenschaft, Würzburg, 1983; D. SoucheDagues, Le cercle hégélien, Paris, 1986; W. Jaeschke, Die Schlüsse der Philosophie (§ 574-577), in Hegels “Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften” (1830). Ein Kommentar zum Systemgrundriß, a cura di H. Schnädelbach, Frankfurt a.M., 2000, pp. 375-501; AA.VV., Hegels enzyklopädisches System. Von der “Wissenschaft der Logik” zur Philsophie des absoluten Geistes, cit.; N. Füzesi, Hegels drei Schlüsse, FreiburgMünchen, 2004 (secondo cui «i tre sillogismi della filosofia garantiscono la conclusione del sistema hegeliano in quanto lo autofondano. Questa autofondazione non è da interpretarsi solo a partire dalla prospettiva delle strutture logiche della sola logica speculativa, ma metafisicamente dalle strutturegesamtsystematische del sistema» [ibid., p. 16]) e A. Peperzak, Autoconoscenza dell’assoluto,cit.,pp.150-189. In Hegel i tre sillogismi corripondono alle tre Posizioni del pensiero rispetto all’oggettività dell’Enciclopedia, §§ 26-78 e cfr.ibid.,§187A. [137] Sul rapporto tra autocoscienzaesoggettività, cfr. G. Varnier, La teoria hegeliana dell’autocoscienza e della sua razionalità, in «Giornale critico della filosofia italiana», LXX [LXXXII], fasc. 1 (gennaioaprile 1991), pp. 35-75; Ch. Iber, In Zirkeln ums Selbstbewußtsein. BemerkungenzuHegelsTheorie der Subjektivität, in «HegelStudien», 35 (2000), pp. 5175;O.Balaban,Is there a real Subject in Hegel’s Philosophy?, in «Hegel-Studien», 43 (2008), pp. 37-66 e, per un inquadramento del tema, R. Bodei, Immaginare altre vite. Realtà, progetti, desideri, cit., pp.51-55,76-78. [138] Per i passi hegeliani relativiaquestaespressione e per il loro commento e interpretazione, cfr. W. Jaeschke. Objektives Denken. PhilosophischeErwägungenzur Konzeption und zur Aktualität derspekulativenLogik,in«The Independent Journal of Philosophy»,3(1979),pp.2337. [139] Hegel, Glauben und Wissen, cit., p. 332 (trad. it. cit., p. 146) e cfr. Goethe, Märchen,inWerke,Weimarer Ausgabe, Weimar, 18871919, p. 299. Sui rapporti tra Hegel e Goethe, cfr. R. Bubner, Hegel und Goethe, Heidelberg,1978.Sipotrebbe aggiungere che la vita che circola in queste vene è la verità stessa, ma cfr., da un’altra angolatura, M. Spieker, Wahres Leben denken. Über Sein, Leben und Wahrheit in Hegels Wissenschaft der Logik, Hamburg,2009. [140] Per E. Fackenheim, The Religious Dimension in Hegel’s Tought, Bloomington, Ind.-London,1967,pp.75ss., il terzo sillogismo non è altrochel’Enciclopedia.PerG. Jarczyk, Système et liberté danslalogiquedeHegel,Paris, 1980, pp. 274-282, il sistema è invece un sillogismo di sillogismi e i tre sillogismi non formano che un solo sillogismonelterzo. [141] W. Wallace, nel suo commento al terzo libro dell’Enzyklopädie (nella trad. inglese dell’opera: Hegel, Philosophy of Mind, Oxford, 1894, p. 196), intende il termine medio come la logica mentre per Petry si tratta invece dello spirito, cfr. M.J. Petry, Introduction a Hegel’s Philosophy of Nature, cit.,vol.I,p.93. [142] Cfr. H.F. Fulda, Das Problem einer Einleitung in Hegels Wissenschaft der Logik, cit.,pp.3ss.;P.-J.Labarrière, Structures et mouvement dialectique dans la Phénoménologie de l’esprit de Hegel, cit., pp. 243 ss., Id., La Phénoménologie de l’esprit comme discours systematique, cit.,pp.131ss. [143] Cfr. la citazione hegeliana di Aristotele, Met. 1072 b 18-30 nel finale dell’Enciclopedia(mancanella primaedizionedel1817). [144] Hegel, Glauben und Wissen, cit., p. 332, trad. it. cit., p. 146 e cfr. Goethe, Märchen,inWerke,Weimarer Ausgabe, Weimar, 18871919, vol. XVI, p. 299. La Fiaba fu pubblicata a Tubinga nella rivista «Die Horen» (Stück 10, pp. 145 ss.), ma l’allusione dovrebbe riferirsi alla quarta favola, quella del re composito, e non alla terza, quella del re di bronzo. Tra i contributi più rilevanti sul tema dell’oggettività vale la pena ricordare, in rapporto all’«autosvolgimento del contenuto» nella Scienza della logica, S. Opiela, Le réel danslalogiquedeHegel,Paris, 1983 e il fascicolo di «Verifiche», XXXVI (2007), n. 1-4dedicatodavariautoria L’oggettività del pensiero. La filosofia di Hegel tra idealismo, anti-idealismoerealismo. [145] Cfr. d’Alembert, Discours préliminaire, trad. it. cit., vol. I, pp. 78, 86. Sulla successione enciclopedica secondo lo schema della Trinità, cfr. C. Bruaire, Logique et religion chrétienne dans la philosophie de Hegel, Paris,1964,passim. [146] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. I, p. 35 (trad.it.cit.,vol.I,p.36). [147] Cfr. L.B. Puntel, Darstellung, Methode und Struktur. Untersuchungen zur Einheit der systematischen PhilosophieG.W.F.Hegels,cit., pp. 174 ss., 279 ss. Sull’inseparabilitàdimetodo e sistema insiste anche S. Opiela, Le réel dans la logique deHegel,cit.,pp.17-51. [148] Cfr. E. Bloch, Über MethodeundSystembeiHegel, cit.,p.75. [149] Hegel, Wissenschaft der Logik, cit., vol. II, p. 218 (trad.it.cit.,vol.II,p.656). [150] Ibid., p. 502 (trad. it. cit.,vol.II,pp.953-954). [151] Hegel, Vorlesungen über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. IV, Philosophie des Rechts. Nach der Vorlesungsnachschift von K.G. v. Griesheim 1824-25, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1974,§195,p.494,trad.it.in Le filosofie del diritto, cit., p. 227. [152]Cfr.Hegel,Freiheitund Schicksal, cit., p. 140 (trad. it. cit., p. 10). Per un inquadramento, cfr. C. Borghero, in La polemica sul lusso nel Settecento francese, cit. [153] Hegel, Vorlesungen über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. IV, § 204, pp. 520-521. [154] Cfr. K. Rosenkranz, HegelsLeben(trad.it.cit.,pp. 815,851-872epassim). [155] Sull’ambiente e le teoriechevicircolavano,cfr. I. Drewitz, Berliner Salons. Gesellschaft und Literatur zwischen Aufklärung und Industrie-Zeitalter, Berlin, 1965; F. List, Das nationale System der politischen Oekonomie(18443),trad.it.di G.Mori,Ilsistemanazionaledi economia politica, Milano, 1972, pp. 26-27. Sulla figura di Rahel Varnhagen von Ense, animatrice del salotto in cui confluiva la vita intellettualeberlinese,cfr.H. Arendt, Rahel Varnhagen. The Life of a Jewess, New York, 1958, trad. it. Rahel Varnhagen. Storia di un’ebrea, Milano, 1988. Su Oelsner, il corrispondente da Parigi della «Minerva» di Archenholz durante il periodo della Rivoluzione (incontrato da Hegel a Berna) e diffusore in Germania delle idee saintsimoniane, e sul suo rapporto con Rahel, cfr. J.E. Spenlé, Rahel. Madame Varnhagen von Ense, Paris, 1910, pp. 210 ss.; J. D’Hondt, Hegel et les socialistes, in «La pensée»,n.157,giugno1971, p. 20. Sulla conoscenza che Hegel aveva del pensiero di Saint-Simon attraverso la lettura di «Le Globe» e la pubblicazione di testi sugli «Jahrbücher der wissenschaftlichen Kritik» del 1830, da lui di fatto diretti,cfr.N.Waszek,SaintSimonismus und Hegelianismus. Einführung in dasForschungsfeld,inAA.VV., Hegelianismus und SaintSimonismus,Paderborn,2007, pp.20-24. [156] Hegel, Vorlesungen über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. IV, § 244, pp. 609-610. [157] Hegel, Jenenser Realphilosophie II, cit., pp. 232-233. Cfr. A. Smith, An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations,trad.it.diF.Bartoli, C. Camporesi e S. Catuso, Indaginesullanaturaelecause della ricchezza delle nazioni, Milano, 1973, p. 92: «Generalmente un grande capitale, anche se dà piccoli profitti, aumenta più velocemente di uno piccolo, che dà grandi profitti. Denaro, dice il proverbio, fa denaro; quando ne avete ottenutounpo’èspessopiù facile ottenerne di più. La grossa difficoltà è ottenere quelpoco». [158] Hegel, Vorlesungen über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. III, Philosophie des Rechts. Nach der VorlesungsnachschriftvonH.G. Hotho,1822-23,Stuttgart-Bad Cannstatt, 1974, § 200, p. 619. [159] Sull’origine e la diffusione di questa espressione di Esopo, cfr. P.M. Schul, Hic Rhodus, hic salta, in «Revue philosophique de la France etdel’Étranger»,XCII(1967), pp.468-469. [160] Hegel, Vorlesungen über Rechtsphilosophie, 1818- 1831, cit., vol. IV, § 195, p. 494, trad. it. in Le filosofie del diritto, cit., pp. 227-228 [trad. modificata]. Queste considerazioni sembrano derivare a Hegel (lettore di giornali e riviste inglesi e scozzesi) da un articolo di Robert Southey apparso sulla«QuarterlyReview»,cfr. Hegels Exzerpte aus der «QuarterlyReview»1817-1818, comunicati e illustrati da N. Waszek, in «Hegel-Studien», 21 (1986), p. 19. Per un’integrazione di questi dati e prospettive, cfr. A. Arndt, Zur Herkunft und Begriff des Arbeitsbegriffs in Hegels Geistesphilosophie, in «Archiv für Begriffsgeschichte», 29 (1985), pp. 99-115. Sul problema della povertà in Hegel si vedano anche N. Waszek, Hegels schottische Bettler, in «Hegel-Studien», 19 (1984), pp. 311-316; J. Anderson, Hegel’s Implicit View on How to Solve the Problem of Poverty: the Responsible Consumer and the Return of the Ethical to Civil Society, in Beyond Liberalism and Communitarianism. Studies on Hegel’s Philosophy of Right, a cura di R.R. Williams, New York, 2001, pp. 185-205. Sull’incepparsi, nellaFilosofiadeldiritto,delle mediazioni tra i vari elementi della società civile (famiglia, povertà, bisogno, lavoro, consumo, ceti) e sul passaggiodallasocietàcivile allo Stato (scuola, colonizzazione), cfr. le pertinenti osservazioni critiche di G. Cesarale, La mediazione che sparisce. La società civile in Hegel, Roma, 2009. [161] Hegel, Vorlesungen über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. III, § 198, p. 613, trad. it. in Le filosofie del diritto,cit.,p.246. [162] Ibid., vol. IV, § 198, p. 503 (trad. it. cit., pp. 268- 269).Èallasocietàcivileche spetta l’obbligo di dare a ciascuno la possibilità di guadagnarsi da vivere e quello di procurare il lavoro ai disoccupati, cfr. Hegel, Philosophie des Rechts. Die Vorlesungvon1819/20ineiner Nachschrift,cit.,p.192. [163] Hegel, Jenenser Realphilosophie II, cit., p. 233 (trad.it.cit.,p.169). [164] Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, cit., § 198(trad.it.cit.,p.176). [165] Hegel, Vorlesungen über Rechtsphilosophie, 18181831, cit., vol. IV, § 185, pp. 477-478. [166] Ibid., § 200, p. 508 (trad.it.cit.,pp.268-269). [167] Hegel, Philosophie des Rechts. Die Vorlesung von 1819/20 in einer Nachschrift, cit.,p.166. [168] Hegel, Philosophie der Weltgeschichte, cit., pp. 47, 48-49 (trad. it. cit., vol. I, pp. 56,57).Grandeimportanzaè attribuita al problema della plebe (Pöbel) in Hegel da F. Ruda. Hegel’s Rabble. An Investigation in Hegel’s PhilosophyofRight, afterword by S. Žižek, London, 2009. Cfr. Hegel an Schelling, 16 novembre1803,inBriefe,cit., vol. I, p.