Un’arma efficace ed economica contro le infezioni killer di Patrizia Marini1 “I medici non dovrebbero mai dimenticare che le certezze della scienza medica non sono nulla più che delle certezze. Non sono la Verità. Tutt’al più delle verità solo parziali e provvisorie. Nel corso della sua carriera, ogni medico ha dovuto rettificare varie volte le certezze sulle quali fondava il suo operato. Eppure, ogni volta, la medicina pare credere che le sue verità del giorno siano assolute e definitive” NORBERT BENSAID [medico francese, autore di Le illusioni della medicina] 1 Naturopata e articolista web. La soluzione più efficace a volte è anche la più semplice ed economica SENZ’ALTRO troverai difficile credere che una sola terapia possa debellare letteralmente moltissime forme di infezioni dermatologiche (batterica, fungina, parassitaria, virale). Hai tutto il diritto di essere scettico e incredulo, ma non lasciare che ciò ti freni dal leggere attentamente questo libro. Qui in Italia, e non soltanto, sono veramente poche le persone che conoscono l’effetto benefico di questa sostanza. Non c’è da stupirsi, perché i concetti e le soluzioni più semplici sono spesso quelli più veritieri ed efficaci, ma, nello stesso tempo, quelli più ignorati, e questo è particolarmente vero quando si tratta di argomenti che riguardano la salute. Siamo stati educati a credere che la soluzione dei nostri problemi fisici sia necessariamente monopolio di pochi, eppure la cura per una malattia non deve essere per forza costosa o complessa per essere veramente efficace. Forse in questo momento sei alle prese con un problema della pelle che ti assilla da tempo. Provaci. Non é un esperimento per vedere se alla fine funziona oppure no, il Metodo Ruffini è, in effetti, un metodo terapeutico che ha portato beneficio a moltissime persone e ha prodotto risultati ben oltre quelli sperati. Curare una malattia non significa risolverne solo i sintomi La storia dell’umanità non è fatta soltanto di conquista progressiva di scienza-conoscenza che, man mano che viene acquisita nel patrimonio culturale, elimina automaticamente quella inutile; l’evoluzione procede per sovrapposizione su basi precedenti, senza eliminare mai ciò che possa eventualmente tornare utile in futuro. Alcuni medici si rifugiano nel tecnicismo per paura: paura dell’ignoto e paura di fronte all’angoscia dei malati. Il tecnicismo per certi versi protegge il dottore e gli dà la sensazione di sapere e di potere (poter fare), rischiando di divenire un comodo rifugio per deresponsabilizzarsi, per non assumersi cioè direttamente la responsabilità dello stato di salute del proprio paziente. Spesso la pigrizia mentale e la mancanza di strumenti culturali e cognitivi impedisce al professionista di accedere a una mentalità di confronto con una diversa realtà. Non tutte le cure mediche creano salute, e credere di migliorarla moltiplicandole è soltanto un’illusione. Molti dei farmaci in commercio, per esempio, non risultano efficaci o risolutivi per la cura di un disturbo o patologia. In non pochi casi, piuttosto che di “terapia farmacologica” sarebbe opportuno parlare di “trattamento farmacologico”, giacché molti tipi di medicinali non hanno alcuna utilità nel rimuovere le cause che hanno generato la malattia ma si limitano a gestirne i sintomi. Tra i farmaci si nascondono tanti “falsi amici” La medicina nel corso degli ultimi anni ha fatto passi da gigante, se pensiamo all’epoca in cui si moriva per un banale ascesso, oggi curabile con una comune terapia antibiotica. La moderna farmacologia, oggi supportata dalla tecnologia più avanzata, vanta un arsenale sempre più ampio di nuove molecole per la cura della maggioranza di patologie, sfornando ogni anno nuovi farmaci di sintesi, clinicamente testati e sempre più evoluti. Ma allora come mai c’è ancora un gran numero di persone sofferenti a questo mondo? Il rovescio della medaglia di questo sviluppo delle società farmaceutiche è che siamo diventati una società sempre più ipermedicalizzata e, come ha scritto il farmacologo Silvio Garattini, “tra i farmaci si nascondono tanti falsi amici che non portano alcun beneficio ma sono solo rischi. Ma tanti pericoli per la salute si nascondono anche dietro all’uso inappropriato di medicinali”2, infatti un’eccessiva protezione terapeutica può determinare dipendenza, vulnerabilità, carenze immunitarie e quindi, presto o tardi, indirettamente, anche uno stato di 2 Farmaci. Garattini, “A volte inutili, anzi dannosi”, in “Quotidiano sanità”, 3 maggio 2011, goo.gl/1ovVBS. malattia. Troppa protezione sanitaria statale diminuisce forse l’ansia ma può anche ridurre l’essenziale diritto del paziente all’autonomia, ad autogestire cioè la propria salute. L’abuso e il cattivo uso dei medicinali ci espone di più alle malattie Nonostante gli oggettivi progressi nella ricerca, vi sono patologie contro cui la scienza è ancora impotente e altre per le quali rischia ben presto di diventarlo: basti pensare al fenomeno delle resistenze antibiotiche, divenute una vera e propria emergenza sanitaria in tutto il mondo. Morire a seguito di un piccolo intervento chirurgico o per una banale ferita che si infetta non è più un’eventualità remota perfino nei Paesi occidentali. La resistenza agli antimicrobici, cioè la capacità dei microrganismi di alcune specie di sopravvivere e moltiplicarsi in presenza di concentrazioni di antibiotici di regola sufficienti a inibirli o ucciderli, è in costante aumento in tutta Europa. Questo problema, di cui si parla sempre più spesso ma forse mai abbastanza, ha assunto negli ultimi anni grande rilevanza: l’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) ritiene che la resistenza agli antibiotici rappresenti “la più grande minaccia nell’ambito delle malattie infettive”. Perché, se gli antibiotici non funzionano, molte malattie finora facilmente curabili si trasformano in patologie mortali. E, come ha dichiarato a marzo 2012 Margaret Chan, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (che nel 2011 aveva dedicato la Giornata mondiale della salute proprio a questo problema), “un’era post-antibiotici significa di fatto la fine della medicina moderna così come la conosciamo”3. Gli esperti di tutto il mondo, da anni ormai lanciano un allarme che oggi si sta presentando in tutta la sua gravità. I germi responsabili di infezioni anche assai gravi e pericolose per la vita, quali pseudomonas, klebsiella, acinobacter baumanii e altri gram-negativi, enterococchi, stafilococchi e pneumococchi, hanno ormai raggiunto in diversi ambienti un tale grado di resistenza multipla da diventare intrattabili anche con i più recenti antimicrobici, mentre problemi di primo piano sono posti dagli enterococchi resistenti alla vancomicina (Vre), dagli stafilococchi meticillino-resistenti (Mrsa), dai bacilli gram-negativi che elaborano ß-lattamasi ad ampio spettro, da pneumococchi penicillino ed eritromicino resistenti, per non citare le serie preoccupazioni connesse alla multiresistenza del mycobacterium tuberculosis, responsabile della tubercolosi. Troppi antibiotici accelerano l’evoluzione delle specie batteriche creando i “superbatteri” o “batteri killer” 3 Oms, super-batteri devastanti, vecchie infezioni tornano a uccidere, in “Adnkronos Salute”, goo.gl/sLNp8h. In generale è una caratteristica dei batteri quella di adattarsi e trovare nuove vie per aggirare l’effetto dei farmaci, fa parte della naturale evoluzione delle specie, lo fa anche il genere umano quando si trova di fronte a epidemie mortali: si adatta, selezionando solo gli individui più resistenti a quell’agente patogeno, accelerando così, attraverso la selezione naturale, l’evoluzione della specie, appunto. Sebbene la resistenza agli antibiotici sia dunque di per sé un fenomeno biologico naturale, oggi il loro abuso elimina tutti i ceppi batterici tranne quelli resistenti, che quindi prendono il sopravvento, accelerando il processo di selezione delle specie più forti. Inoltre, il cattivo uso degli stessi antibiotici (per esempio ricorrendovi quando non necessario o interrompendo la terapia in anticipo), permette ai batteri che altrimenti morirebbero di sopravvivere e rafforzarsi, come una sorta di ‘vaccino’ a quella classe di antibiotico. L’Ecdc riporta che più del 50% delle prescrizioni di antibiotici negli ospedali sono superflue o inappropriate e che, non a caso, i Paesi europei dove si concentra questa pratica sono gli stessi dove è maggiore l’incidenza di batteri resistenti: Grecia, Cipro, Italia, Ungheria e Bulgaria4. 4 M. Sandal, La fine dell’era antibiotica, in “Il post”, 20 novembre 2011, goo.gl/JkSnOz. Gli antimicrobici andrebbero utilizzati, infatti, soltanto se necessario e non prima di un antibiogramma, per individuare il bacillo responsabile dell’infezione e prescrivere quindi l’antibiotico adatto e non, come si fa abitualmente, uno a largo spettro. Un’altra cattiva abitudine è quella di prescrivere antibiotici a scopo preventivo (per evitare complicanze batteriche) anche in caso di influenza e altre forme virali, che non si ricorderà mai abbastanza - non sono sensibili agli antibiotici. Ciò avviene spesso proprio per combattere le sempre più frequenti infezioni ospedaliere, invece di focalizzarsi maggiormente sui protocolli di igiene e sull’isolamento dei casi accertati: un circolo vizioso che rischia di avvolgersi a spirale. Sono tante le infezioni letali che vengono contratte negli ospedali Negli ultimi anni si sta osservando un aumento delle infezioni contratte per cause correlabili al percorso di cura del paziente in ospedale o a un soggiorno in una struttura sanitaria, le cosiddette infezioni nosocomiali o ospedaliere. Come si legge su Oggi Salute, “nel 30% dei casi si potrebbe evitare il contagio rafforzando i controlli igienici. Per tutti gli altri dipende dalle condizioni di salute del paziente e dalla resistenza dei ceppi batterici”5. I luoghi privilegiati per i contagi sono paradossalmente proprio gli ospedali, a volte per questioni di igiene, altre per il fatto che sono i luoghi in cui circolano più persone, spesso veicolo di batteri e virus ma anche indebolite dalle malattie stesse, infettive e non. Ancora oggi il 7% dei pazienti ricoverati in corsia corre il rischio di contrarre un’infezione. Una percentuale troppo elevata che incide in maniera esosa sui costi sociali ed economici del servizio sanitario nazionale. Nonostante l’elevato impatto, sia sociale sia economico, il panorama dei sistemi di sorveglianza e dei programmi di prevenzione delle infezioni ospedaliere è piuttosto disomogeneo; addirittura, in molte realtà, questi sistemi e programmi sono del tutto inesistenti. Sono ben pochi, per esempio, gli ospedali che hanno istituito unità di Igiene ospedaliera e di Risk management. I superbatteri aumentano i costi umani ed economici del sistema Alcuni superbatteri hanno anche sviluppato la capacità di sopravvivere ad alcuni comuni disinfettanti e non soltanto agli antibiotici. A esserne più colpiti sono i soggetti più deboli, con i 5 Infezioni ospedaliere, 37 mila morti l’anno. Colpa di superbatteri e scarsa igiene, in “Oggi Salute”, 12 dicembre 2013, goo.gl/Qxpgiu. sistemi immunitari più compromessi, spesso anziani affetti da altre patologie croniche. Per avere un’idea del problema, in Europa si contano quattro milioni di infezioni all’anno, che causano circa 37 mila decessi. Una percentuale di cittadini che oscilla tra l’8 ed il 12% è vittima di eventi indesiderabili connessi alle cure ricevute. Solo in Italia si verificano ogni anno circa 450-700 mila infezioni (soprattutto infezioni urinarie, seguite da infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi) e nell’1% dei casi si stima che esse siano la causa diretta del decesso del paziente. Negli Usa i dati non sono migliori: l’incidenza di ricoveri ospedalieri dovuti a infezioni antibiotico-resistenti è aumentata del 359% in dieci anni, da 37.005 casi nel 1997 a 169.985 nel 2006. Louise Slaughter, una deputata democratica, ha rivelato lo scorso marzo, in un’intervista a The Guardian, che “ogni anno 100.000 americani muoiono in ospedale per un’infezione batterica, e non è che la punta dell’iceberg. Il 70% di queste infezioni è resistente ai trattamenti utilizzati abitualmente”6. Fra queste, l’Mrsa (uno stafilococco resistente alla meticillina), che è responsabile del decesso di 19 mila pazienti all’anno e provoca sette milioni di visite dal medico o nei pronto soccorso, come riporta Maryn McKenna, giornalista 6 McVeigh, K., Fda draws criticism after U-turn on antibiotics in animal feed, in “The Guardian”, 29 dicembre 2011, goo.gl/w3nXDp. specializzata in salute pubblica: “Ogni volta che una persona contrae l’Mrsa, i costi sanitari sono moltiplicati per quattro. La resistenza agli antibiotici è un peso enorme per la salute pubblica nella nostra società”, il cui costo stimato si aggira negli Stati Uniti sui 20 miliardi di dollari l’anno7. Il fenomeno comporta un surplus di spese per la sanità e di perdite in produttività di almeno 1,5 miliardi di euro8, di cui un miliardo per le sole spese sanitarie, assorbendo lo 0,8% del Pil italiano. Le infezioni correlate all’assistenza sanitaria rappresentano dunque una grande sfida per il servizio sanitario nazionale anche sotto il profilo economico, in quanto hanno un impatto diretto piuttosto elevato sui costi sanitari. In media, secondo i dati raccolti da Sic (Sanità in cifre), il centro studi di Federanziani, le infezioni ospedaliere fanno aumentare fino a 30 giorni la convalescenza di chi le contrae. Nello specifico, un’infezione del tratto urinario aumenta le giornate di degenza da uno a quattro giorni, del sito chirurgico da sette a otto giorni, la sepsi da sette a 21, mentre la polmonite da sette a 30 giorni. Il costo, prevalentemente associato all’incremento dei giorni di ospedalizzazione, può variare da 4.000 euro per un paziente ricoverato nel dipartimento di Medicina a 28.000 per 7 M. McKenna, Superbug: The fatal menace of Mrsa, 2010, FreePress, superbugthebook.com. 8 Dati Commissione europea, Piano d’azione di lotta ai crescenti rischi di resistenza antimicrobica, 2011. uno ricoverato in Terapia intensiva. Proprio le terapie intensive sono le aree ospedaliere con la maggior frequenza di infezioni nosocomiali; in questi reparti, quindi, un programma di controllo delle infezioni diventa ancora più importante anche sotto il profilo economico9. Secondo Il Sole 24ore, ogni 100 infezioni contratte durante la degenza ospedaliera, una diventa richiesta di risarcimento danni. Secondo i dati Marsh (2004-2011) il costo del contenzioso per le infezioni ospedaliere è pari a circa il 4% del costo totale dei sinistri medmal nella sanità pubblica, comportando in media una spesa annua in aumento che raggiunge circa gli 8 milioni di euro10. Ogni giorno ingeriamo carni e altri cibi infetti contenenti superbatteri e antibiotici Infine, gli antibiotici li ingeriamo quotidianamente senza volerlo (né saperlo) anche attraverso la carne macellata, perché vengono somministrati agli animali per prevenirne (e 9 Assobiomedica, La posizione associativa in tema di: infezioni ospedaliere, goo.gl/jP4Pnn. 10 Marsh: infezioni ospedaliere da 50mila euro a testa, in “Il Sole 24 ore Sanità”, 14 maggio 2013, goo.gl/l4KZ7m. non solo curare) le malattie11. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, la metà degli antibiotici prodotti nel mondo è destinata agli animali e la percentuale sale all’80% negli Stati Uniti, dove gli animali da allevamento, secondo un recente rapporto della Fda (Food and drug administration), consumano 13 mila tonnellate di antibiotici l’anno12. Se l’impiego sconsiderato di antibiotici fosse un rischio per la salute dei soli animali di allevamento sarebbe già grave, ma il vero problema è che i batteri resistenti, assieme agli antibiotici, finiscono nella catena alimentare umana. Uno studio, condotto dal Translational genomics research institute (TGen) e pubblicato dalla rivista medica Clinical infectious diseases nel 2011, rivela che la metà della carne di bue, di pollo, di maiale e di tacchino venduta nei grandi magazzini degli Stati Uniti contiene germi resistenti agli antibiotici (in particolare lo stafilococco Mrsa)13. Questo sovraconsumo favorisce lo sviluppo di batteri resistenti che possono essere rintracciati nei cibi in caso di cottura insufficiente. Alcuni ricercatori hanno mostrato, 11 Dati Commissione europea, Piano d’azione di lotta ai crescenti rischi di resistenza antimicrobica, 2011. 12 2009 Summary report on antimicrobials sold or distributed for use in food-producing animals, Fda, 9 dicembre 2010, goo.gl/xbuX7C. 13 A.E. Waters et al., Multidrug-resistant staphylococcus aureus in US meat and poultry, in “Clinical infectious diseases”, 15 aprile 2011, goo.gl/N5QlB5. V. anche: E. Capuano, Animali ingozzati con gli antibiotici, in “EC planet”, 26 febbraio 2012, goo.gl/yLxGWM. peraltro, che gli antibiotici non sono presenti solamente nella carne, ma anche nei cereali o nei legumi14. La battaglia dell’uomo contro i superbatteri è ancora aperta Il premio Nobel Joshua Lederberg, uno dei pionieri della genetica dei batteri (a lui si deve la scoperta che i batteri possono scambiarsi geni), ha dichiarato nel 1990 che “il dominio dell’uomo sulla Terra, a meno del suicidio della nostra specie, è oggi seriamente sfidato solo dai batteri patogeni, per i quali noi siamo la preda, e loro sono i predatori. Non c’è alcuna garanzia che in questa gara evolutiva saremo noi a uscire vincitori”15. Mentre i microbi che risultano resistenti a una sola famiglia di antibiotici possono essere trattati con principi attivi di diverso tipo, quando i batteri sviluppano quella che viene definita ‘resistenza multipla’, cioè la resistenza a quattro o più antimicrobici appartenenti a classi diverse, il problema diventa davvero serio. Non perché la malattia provocata in questi casi 14 M. Cimitile, Crops absorb livestock antibiotics, science shows, in “Environmental health news”, 6 gennaio 2009, goo.gl/wpp6P1. 15 Microbial evolution and co-adaptation: a tribute to the life and scientific legacies of Joshua Lederberg: workshop summary, in “National center for biotechnology information”, 2009, goo.gl/JEc3Ov. sia più grave in sé rispetto a quella provocata dai microrganismi sensibili, ma perché diventa più difficile da trattare, dato il numero ridotto di farmaci efficaci. Ciò dà luogo a un decorso più lungo, a costi ospedalieri più elevati e, nei casi limite, alla morte dei pazienti. In Italia e in Grecia, per esempio, dal 15 al 50% delle infezioni da klebsellia pneumoniae (una delle principali cause della polmonite) è resistente anche ai carbapenemi, gli antibiotici ‘ultima spiaggia’, quelli ad ampio spettro di azione, capaci di contrastare una vasta serie di agenti batterici, risultando quindi praticamente incurabile16. Oggi i nuovi antibiotici hanno vita sempre più breve, perché la resistenza si sviluppa spesso molto velocemente. L’Organizzazione mondiale della sanità, l’Ente americano per le malattie infettive e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo riconoscono il dramma e sono alla ricerca di una soluzione. Un’esigenza urgente, anche alla luce di quanto sostengono i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie di Atlanta: il 30% delle infezioni ospedaliere è evitabile, che in Italia significherebbe salvare ogni anno da 1.350 a 2.100 vite umane. L’ultima sfida che queste organizzazioni hanno lanciato ai governi – nella speranza di ottenere finanziamenti – è quella di trovare almeno10 nuovi principi attivi entro il 2020. Negli ultimi cinque anni, infatti, ne sono stati messi a punto solo 16 M. Sandal, La fine dell’era antibiotica, (cit.). due, mentre negli ultimi 20 anni il numero di quelli divenuti inefficaci è passato da 60 a 90. Al momento, sono molto scarse le risorse economiche impiegate nella ricerca e nello sviluppo di nuovi trattamenti17. Investire nella ricerca di nuovi antibiotici è poco remunerativo Combattere i patogeni antibiotico-resistenti, tuttavia, non è impossibile: le infezioni ospedaliere da Mrsa in alcuni Paesi europei stanno lentamente diminuendo, grazie a programmi mirati di contenimento, anche se, nonostante l’allarme, sembra esserci un serio disinteresse generale. La logica vorrebbe infatti che, se i batteri killer sono resistenti a tutti gli antibiotici conosciuti, se ne ricercassero di nuovi, invece la maggior parte delle molecole in circolazione risale agli anni Settanta, sarà perché l’antibiotico è un prodotto poco remunerativo? In effetti, un antibiotico si usa (o per lo meno si dovrebbe usare) per un periodo di tempo limitato e il prezzo è relativamente basso, mentre i costi di ricerca e sviluppo di un nuovo principio attivo sono talmente elevati che le società farmaceutiche investono ormai solo nella cura delle malattie croniche (per le quali i farmaci necessitano quindi di essere 17 M. Dell’Amico, Se i batteri vincono la guerra contro gli antibiotici, in “Wired”, 29 gennaio 2013, goo.gl/FhYhlz. somministrati a vita) oppure per i chemioterapici e gli antiretrovirali, che hanno un prezzo elevatissimo18. Un nuovo antibiotico costa, dall’individuazione del principio attivo ai test clinici, circa 650 milioni di euro. È molto più redditizio produrre e vendere molecole come le statine per abbassare il colesterolo o farmaci anti-obesità, che, dovendo essere assunti per lunghi periodi, garantiscono un ritorno dell’investimento19. Secondo un nuovo report della Infection desease society americana riportato dalla rivista Clinical infectious diseases, attualmente, solo sette nuovi farmaci sono in sviluppo per il trattamento delle infezioni causate da “superbatteri” multiresistenti come l’escherichia coli e i cosiddetti Cre (enterobatteri resistenti ai carbapenemi), come salmonella, shigella e altre specie di batteri appartenenti alla classe degli enterobatteri20. Nel frattempo, i batteri aumentano e diventano più resistenti e, nell’attesa di nuove armi, la soluzione migliore è cercare di rallentare la diffusione della resistenza, per esempio, come sostiene questo editoriale di The Lancet, una delle più accreditate riviste scientifiche, implementando migliori pratiche igieniche a livello ospedaliero ma anche della 18 Batteri multiresistenti, si investe poco nella ricerca di nuovi antibiotici, in “PharmaStar”, 18 aprile 2013, goo.gl/hkWVth. 19 M. Dell’Amico, Se i batteri vincono la guerra..., (cit.). 20 Batteri multiresistenti... (cit.). produzione alimentare, anche se questo potrebbe portare a un aumento del costo dei prodotti finali21. L’ipoclorito di sodio “cuoce” i batteri attivando una proteina speciale I derivati del cloro sono già ampiamente utilizzati da anni come disinfettanti delle acque potabili, delle piscine, in alcuni prodotti per l’igiene personale, per la disinfezione di strumenti medici e delle ferite, come pure in odontoiatria per ‘ripulire’ i canali radicolari. Per non parlare, naturalmente, dell’uso quotidiano di prodotti per l’igiene della casa contenenti ipoclorito di sodio (ed altri eccipienti) come la candeggina, nota anche come varechina. A oltre due secoli di vita, non era stato ancora svelato il meccanismo con cui la candeggina esplicasse i suoi effetti battericidi; a farlo è stato uno studio di ricercatori dell’Università del Michigan, che lo hanno spiegato in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Cell22. Come spesso 21 Antibiotic resistance: long-term solutions require action now, in “The Lancet infectious diseases”, 2013, goo.gl/q257W5. 22 J. Winter et al., Bleach Activates a Redox-Regulated Chaperone by Oxidative Protein Unfolding (La candeggina attiva una chaperonina Redox regolata tramite spiegamento ossidativo della proteina Hsp33), in “Cell”, vol. 135, 14 novembre 2008, pgg. 691-701, goo.gl/gh3lSl. avviene nella ricerca scientifica si parte da una scoperta casuale mentre magari si sta cercando qualcos’altro. I nostri scienziati stavano studiando i meccanismi dello shock termico che crea il sistema immunitario per difendersi da agenti patogeni, procurando stati febbrili. Questo shock termico attiva la proteina Hsp33, una chaperonina, che ha la caratteristica di far perdere la propria struttura alle altre proteine, che diventano aggregati insolubili, inutilizzabili dalle cellule e in primo luogo dai batteri, senza le quali non riusciranno a riprodursi e quindi non potranno portare a termine l’attacco ai tessuti umani. Di fatto cuoce le proteine, un po’ come quando si fa bollire l’uovo, il quale non potrà più tornare liquido. Durante la ricerca, gli scienziati si sono accorti che il nostro organismo, quando è sotto attacco batterico, produce alcune quantità di ipoclorito di sodio e che è questo ad attivare la proteina Hsp33 in modo frenetico, dando inizio alla battaglia antibatterica. Insomma, è un po’ come se l’ipoclorito cuocesse, seppur indirettamente, i batteri. Il Metodo Ruffini, che si basa sull’ipoclorito di sodio in concentrazione variabile tra il 6 e il 12%, può risolvere tantissime infezioni topiche. Pensiamo al piede diabetico infetto, causa di molte sofferenze e amputazioni in Occidente, attualmente incurabile con i metodi tradizionali e curabilissimo con il Metodo Ruffini. Pensiamo alle infezioni Mrsa, anch’esse molto comuni in Occidente e spesso mortali perché resistenti agli antibiotici, così alle infezioni virali come l’herpes labiale, quello genitale e l’herpes zoster, meglio noto come “fuoco di Sant’Antonio”. E che dire della fastidiosissima candida o del pericoloso papilloma virus, che può evolvere anche in tumore del collo dell’utero? Anche in questo caso, se il virus non ha già dato luogo a lesioni tumorali, una semplice applicazione vaginale della soluzione di ipoclorito di sodio è risolutiva. Incredibile, non è vero? E quante altre malattie gravi e persino mortali si potrebbero curare con semplicità e a basso costo nei Paesi più poveri, che non hanno fondi economici da destinare a costose cure, o in quelli in cui non esiste comunque una vera sanità pubblica che si addossi i costi medici dei cittadini! Il Metodo Ruffini può aiutare a debellare i batteri killer L’ipoclorito di sodio, secondo le modalità del Metodo Ruffini, può trovare applicazione, naturalmente, anche come disinfettante negli ospedali. Se per evitare la diffusione di batteri multiresistenti, i cosiddetti superbatteri o batteri killer, come abbiamo visto, è raccomandato di evitare la somministrazione di antibiotici a largo spettro in modo preventivo rafforzando invece l’igiene, il nostro ipoclorito può essere un ottimo alleato “nelle mani”, è il caso di dire, degli operatori sanitari. Nulla di nuovo se già nell’Ottocento il medico ungherese Ignác Fülöp Semmelweis scoprì che bastava lavarsi le mani con un composto di cloro per prevenire la setticemia ovvero la febbre puerperale. Come si legge in un testo sulla sanificazione nell’industria alimentare, “è probabile che la resistenza batterica nei confronti dei disinfettanti, in particolare quelli dell’ammonio quaternario, si sviluppi con modalità analoghe a quelle delle resistenze antibiotiche. [...] L’impiego di trattamenti più blandi con acidi organici rappresenta una scelta più sicura per il personale e anche efficace nell’ambito di alcune applicazioni; tali trattamenti possono però favorire la selezione di ceppi resistenti capaci di adattarsi e di diventare tolleranti agli acidi. Tuttavia, un biocida ad ampio spettro come il cloro è sufficientemente potente da impedire tale selezione”23. Al contrario di alcuni altri disinfettanti, l’ipoclorito di sodio non crea resistenze batteriche, ovvero la formazione di ceppi patogeni resistenti, perché non elimina quelli più deboli ma tutti: non c’è batterio, virus, fungo, protozoo o parassita che vi possa fisicamente resistere! Se sopravvive qualche agente patogeno all’applicazione è perché l’ipoclorito non l’ha incontrato sul suo cammino, perché applicato in dosi minime o in percentuale non sufficiente. Se il problema quasi non si pone nel caso delle mucose, dove infatti in genere è 23 N.G. Marriott e R.B. Gravani, Sanificazione nell’industria alimentare, Springer-Verlag, 2008, p. 195, goo.gl/DkQxMB. sufficiente in concentrazione del 6%, ad esempio nel caso dell’onicomicosi l’unghia stessa diventa un ostacolo difficile ma non impossibile da superare per l’ipoclorito, offrendo riparo al fungo parassita. Anche nel caso in cui sopravviva qualche agente patogeno, dunque, non sarà quello geneticamente più forte, quindi non può contribuire in alcun modo all’evoluzione della specie patogena. Il Metodo Ruffini può aiutare ad abbattere i costi sanitari Il Metodo Ruffini si è dimostrato sempre di più uno strumento efficace in un’ampia gamma di patologie dermatologiche, di pratico utilizzo, privo di effetti collaterali e a basso costo, derivandone quindi diversi vantaggi sociali. Innanzitutto, può rivelarsi una freccia in più nella faretra terapeutica del medico, importante sia da solo che come coadiuvante di una qualsiasi altra cura. È dovere e compito di ogni medico adoperarsi e attivarsi per utilizzare il sistema di cura più efficace con i propri pazienti e tengo a precisare che il Metodo Ruffini non può essere giudicato senza prima essere provato, perché i risultati che si possono ottenere sono eccezionali quanto eccezionale è la sua semplicità di utilizzo. In ambito ospedaliero e ambulatoriale si potrebbero ottenere enormi soddisfazioni sul piano professionale e offrire un servizio di qualità terapeutica davvero unico. Un altro vantaggio consiste nella riduzione del rischio di dover troppo frequentemente far ricorso ad antibiotici di sintesi, per esempio limitandone l’uso ai casi più gravi o a infezioni interne, al fine di arginare il fenomeno delle resistenze di cui si è ampiamente trattato. Ultimo, ma non da meno, il vantaggio economico. Facciamo i conti dell’oste: Produrre 1 litro di ipoclorito (su grandi quantità, per uso comunitario) costa 70 centesimi di euro. Un litro equivale a 1.000 millilitri e una singola applicazione mediamente è di 5 ml/10ml, quindi, se la matematica non è un’opinione: 1.000 ml diviso 5 ml = 200 applicazioni e 1.000 ml diviso 10 ml = 100 applicazioni ovvero dalle 100 alle 200 applicazioni al costo di produzione di 70 centesimi di euro. Considerando, inoltre, che in molti casi una sola applicazione è risolutiva, si può arrivare a curare fino a 200 patologie (e relativi pazienti) con soli 70 centesimi. Ogni ospedale, clinica, farmacia, comunità, società di ambulanze, pronto soccorso, organizzazione umanitaria ecc. può risparmiare maggiormente sui costi acquistando lo strumento per l’autoproduzione di ipoclorito, che ha un costo di circa 5.000 euro, facilmente ammortizzabile. Con la macchina per l’elettrolisi è possibile produrre ipoclorito al momento dell’uso nella giusta percentuale e quantità, senza sprechi. Nel medio tempo, infatti, l’ipoclorito decade dal proprio titolo in quanto, essendo una molecola fortemente volatile e instabile, evapora lasciando al suo interno solo acqua e sale, con insignificanti tracce di cloro. Tuttavia, il costo modesto ha reso questo rimedio poco appetibile per le case farmaceutiche, non potendone fare un farmaco vendibile (i noti problemi di durata ne impediscono lo stoccaggio nei magazzini e nelle farmacie, come previsto dalla legge), quindi fuori commercio come farmaco. Questo è il motivo principale per cui il Metodo Ruffini non è di dominio pubblico e poco conosciuto al di fuori dei canali alternativi (Facebook, Youtube, Twitter, blog e forum vari), grazie ai quali, tuttavia, migliaia di persone si sono avvicinate ad esso, il tutto nel più assordante silenzio del mondo scientifico. Tutto ciò è davvero inconcepibile, visto che il denaro risparmiato dal sistema sanitario nazionale sarebbe notevole (considerata la vasta quantità di patologie trattabili e la riduzione delle degenze dovute alle infezioni ospedaliere) e potrebbe essere dirottato verso la ricerca medico-scientifica o in un fondo da destinare, per esempio, ai servizi socio-sanitari e socio-assistenziali. Medici e ricercatori hanno potuto confermare l’efficacia del Metodo Il Metodo Ruffini, dunque, inizialmente accolto solo con derisione, ha dimostrato, già dopo le prime osservazioni microscopiche in ambito accademico e i risultati raggiunti in automedicazione e con trattamento medico, di avere tutte le carte in regola per essere promosso a pieni voti. Va precisato che questo metodo non esclude la diagnosi del dottore curante né alcuna forma di trattamento ufficiale, ma vuole essere una integrazione per un valido supporto laddove ufficialmente non esista un rimedio efficace. Non c’è ancora una lista ufficiale di medici in grado di applicare il metodo nei casi in cui non sia possibile l’automedicazione. Il dottor Ruffini confida di giungere al più presto a questo obiettivo, con l’auspicio di diffondere il più possibile questo trattamento perché sempre più persone se ne possano giovare. Al momento è alla ricerca di partner che vogliano sviluppare un percorso capace di riconoscere a livello istituzionale questa metodologia che si colloca tra le principali scoperte medico-scientifiche di tutti i tempi. Per il momento si sta pensando alla creazione di una fondazione (aperta alle università, a privati e professionisti interessati) il cui scopo principale è l’istituzionalizzazione del metodo, portando la gente a usufruirne a livello pubblico. Saranno create borse di studio, collaborazioni con gli atenei e con i centri di ricerca. L’efficacia del metodo (testimoniata dalle numerosissime testimonianze di chi ne ha tratto beneficio), la praticità d’uso in termini di utilizzo e l’estrema economicità ci inducono a continuare in questa direzione per coglierne tutte le opportunità di sviluppo. Il nostro auspicio è che non ci si trinceri reciprocamente dietro posizioni ideologiche, ma che, avendo a cura solo la salute della persona, si favorisca un dialogo aperto e sincero, altrimenti conflittuale, con la medicina accademica. Nota finale L’articolo qui riportato è frutto di ricerca, elaborazione di notizie pubblicate sul web e letteratura scientifica; non essendo medico declino ogni responsabilità su quanto scritto, invito anzi il lettore a una verifica diretta, andando alle fonti accreditate o rivolgendosi a persone aventi titolo. Le informazioni fornite quindi sono a esclusivo scopo informativo e non sostituiscono il medico, a cui è sempre bene rivolgersi per i problemi relativi alla salute, come del resto ha sempre suggerito lo stesso dottor Ruffini.