Articolo-Patrizia-Marini-finale - 900 Letterario | Letteratura del

Un’arma efficace ed economica
contro le infezioni killer
di Patrizia Marini1
“I medici non dovrebbero mai dimenticare che le certezze
della scienza medica non sono nulla più che delle certezze.
Non sono la Verità. Tutt’al più delle verità solo parziali e provvisorie.
Nel corso della sua carriera, ogni medico ha dovuto rettificare
varie volte le certezze sulle quali fondava il suo operato.
Eppure, ogni volta, la medicina pare credere che le sue verità
del giorno siano assolute e definitive”
NORBERT BENSAID
[medico francese, autore di Le illusioni della medicina]
1
Naturopata e articolista web.
La soluzione più efficace a volte
è anche la più semplice ed economica
SENZ’ALTRO troverai difficile credere che una sola terapia possa
debellare letteralmente moltissime forme di infezioni
dermatologiche (batterica, fungina, parassitaria, virale). Hai
tutto il diritto di essere scettico e incredulo, ma non lasciare
che ciò ti freni dal leggere attentamente questo libro. Qui in
Italia, e non soltanto, sono veramente poche le persone che
conoscono l’effetto benefico di questa sostanza. Non c’è da
stupirsi, perché i concetti e le soluzioni più semplici sono
spesso quelli più veritieri ed efficaci, ma, nello stesso tempo,
quelli più ignorati, e questo è particolarmente vero quando si
tratta di argomenti che riguardano la salute. Siamo stati
educati a credere che la soluzione dei nostri problemi fisici sia
necessariamente monopolio di pochi, eppure la cura per una
malattia non deve essere per forza costosa o complessa per
essere veramente efficace.
Forse in questo momento sei alle prese con un problema
della pelle che ti assilla da tempo. Provaci. Non é un
esperimento per vedere se alla fine funziona oppure no, il
Metodo Ruffini è, in effetti, un metodo terapeutico che ha
portato beneficio a moltissime persone e ha prodotto risultati
ben oltre quelli sperati.
Curare una malattia non significa
risolverne solo i sintomi
La storia dell’umanità non è fatta soltanto di conquista
progressiva di scienza-conoscenza che, man mano che viene
acquisita nel patrimonio culturale, elimina automaticamente
quella inutile; l’evoluzione procede per sovrapposizione su
basi precedenti, senza eliminare mai ciò che possa
eventualmente tornare utile in futuro.
Alcuni medici si rifugiano nel tecnicismo per paura: paura
dell’ignoto e paura di fronte all’angoscia dei malati. Il
tecnicismo per certi versi protegge il dottore e gli dà la
sensazione di sapere e di potere (poter fare), rischiando di
divenire un comodo rifugio per deresponsabilizzarsi, per non
assumersi cioè direttamente la responsabilità dello stato di
salute del proprio paziente. Spesso la pigrizia mentale e la
mancanza di strumenti culturali e cognitivi impedisce al
professionista di accedere a una mentalità di confronto con
una diversa realtà.
Non tutte le cure mediche creano salute, e credere di
migliorarla moltiplicandole è soltanto un’illusione. Molti dei
farmaci in commercio, per esempio, non risultano efficaci o
risolutivi per la cura di un disturbo o patologia. In non pochi
casi, piuttosto che di “terapia farmacologica” sarebbe
opportuno parlare di “trattamento farmacologico”, giacché
molti tipi di medicinali non hanno alcuna utilità nel rimuovere
le cause che hanno generato la malattia ma si limitano a
gestirne i sintomi.
Tra i farmaci si nascondono tanti “falsi amici”
La medicina nel corso degli ultimi anni ha fatto passi da
gigante, se pensiamo all’epoca in cui si moriva per un banale
ascesso, oggi curabile con una comune terapia antibiotica. La
moderna farmacologia, oggi supportata dalla tecnologia più
avanzata, vanta un arsenale sempre più ampio di nuove
molecole per la cura della maggioranza di patologie, sfornando
ogni anno nuovi farmaci di sintesi, clinicamente testati e
sempre più evoluti. Ma allora come mai c’è ancora un gran
numero di persone sofferenti a questo mondo?
Il rovescio della medaglia di questo sviluppo delle società
farmaceutiche è che siamo diventati una società sempre più
ipermedicalizzata e, come ha scritto il farmacologo Silvio
Garattini, “tra i farmaci si nascondono tanti falsi amici che non
portano alcun beneficio ma sono solo rischi. Ma tanti pericoli
per la salute si nascondono anche dietro all’uso inappropriato
di medicinali”2, infatti un’eccessiva protezione terapeutica può
determinare dipendenza, vulnerabilità, carenze immunitarie e
quindi, presto o tardi, indirettamente, anche uno stato di
2
Farmaci. Garattini, “A volte inutili, anzi dannosi”, in “Quotidiano
sanità”, 3 maggio 2011, goo.gl/1ovVBS.
malattia. Troppa protezione sanitaria statale diminuisce forse
l’ansia ma può anche ridurre l’essenziale diritto del paziente
all’autonomia, ad autogestire cioè la propria salute.
L’abuso e il cattivo uso dei medicinali
ci espone di più alle malattie
Nonostante gli oggettivi progressi nella ricerca, vi sono
patologie contro cui la scienza è ancora impotente e altre per
le quali rischia ben presto di diventarlo: basti pensare al
fenomeno delle resistenze antibiotiche, divenute una vera e
propria emergenza sanitaria in tutto il mondo. Morire a
seguito di un piccolo intervento chirurgico o per una banale
ferita che si infetta non è più un’eventualità remota perfino
nei Paesi occidentali. La resistenza agli antimicrobici, cioè la
capacità dei microrganismi di alcune specie di sopravvivere e
moltiplicarsi in presenza di concentrazioni di antibiotici di
regola sufficienti a inibirli o ucciderli, è in costante aumento in
tutta Europa.
Questo problema, di cui si parla sempre più spesso ma
forse mai abbastanza, ha assunto negli ultimi anni grande
rilevanza: l’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il
controllo delle malattie) ritiene che la resistenza agli antibiotici
rappresenti “la più grande minaccia nell’ambito delle malattie
infettive”. Perché, se gli antibiotici non funzionano, molte
malattie finora facilmente curabili si trasformano in patologie
mortali. E, come ha dichiarato a marzo 2012 Margaret Chan,
direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità
(che nel 2011 aveva dedicato la Giornata mondiale della salute
proprio a questo problema), “un’era post-antibiotici significa
di fatto la fine della medicina moderna così come la
conosciamo”3.
Gli esperti di tutto il mondo, da anni ormai lanciano un
allarme che oggi si sta presentando in tutta la sua gravità. I
germi responsabili di infezioni anche assai gravi e pericolose
per la vita, quali pseudomonas, klebsiella, acinobacter
baumanii e altri gram-negativi, enterococchi, stafilococchi e
pneumococchi, hanno ormai raggiunto in diversi ambienti un
tale grado di resistenza multipla da diventare intrattabili anche
con i più recenti antimicrobici, mentre problemi di primo
piano sono posti dagli enterococchi resistenti alla vancomicina
(Vre), dagli stafilococchi meticillino-resistenti (Mrsa), dai bacilli
gram-negativi che elaborano ß-lattamasi ad ampio spettro, da
pneumococchi penicillino ed eritromicino resistenti, per non
citare le serie preoccupazioni connesse alla multiresistenza del
mycobacterium tuberculosis, responsabile della tubercolosi.
Troppi antibiotici accelerano l’evoluzione delle specie
batteriche creando i “superbatteri” o “batteri killer”
3
Oms, super-batteri devastanti, vecchie infezioni tornano a uccidere, in
“Adnkronos Salute”, goo.gl/sLNp8h.
In generale è una caratteristica dei batteri quella di
adattarsi e trovare nuove vie per aggirare l’effetto dei farmaci,
fa parte della naturale evoluzione delle specie, lo fa anche il
genere umano quando si trova di fronte a epidemie mortali: si
adatta, selezionando solo gli individui più resistenti a
quell’agente patogeno, accelerando così, attraverso la
selezione naturale, l’evoluzione della specie, appunto.
Sebbene la resistenza agli antibiotici sia dunque di per sé un
fenomeno biologico naturale, oggi il loro abuso elimina tutti i
ceppi batterici tranne quelli resistenti, che quindi prendono il
sopravvento, accelerando il processo di selezione delle specie
più forti.
Inoltre, il cattivo uso degli stessi antibiotici (per esempio
ricorrendovi quando non necessario o interrompendo la
terapia in anticipo), permette ai batteri che altrimenti
morirebbero di sopravvivere e rafforzarsi, come una sorta di
‘vaccino’ a quella classe di antibiotico. L’Ecdc riporta che più
del 50% delle prescrizioni di antibiotici negli ospedali sono
superflue o inappropriate e che, non a caso, i Paesi europei
dove si concentra questa pratica sono gli stessi dove è
maggiore l’incidenza di batteri resistenti: Grecia, Cipro, Italia,
Ungheria e Bulgaria4.
4
M. Sandal, La fine dell’era antibiotica, in “Il post”, 20 novembre 2011,
goo.gl/JkSnOz.
Gli antimicrobici andrebbero utilizzati, infatti, soltanto se
necessario e non prima di un antibiogramma, per individuare il
bacillo responsabile dell’infezione e prescrivere quindi
l’antibiotico adatto e non, come si fa abitualmente, uno a
largo spettro. Un’altra cattiva abitudine è quella di prescrivere
antibiotici a scopo preventivo (per evitare complicanze
batteriche) anche in caso di influenza e altre forme virali, che non si ricorderà mai abbastanza - non sono sensibili agli
antibiotici. Ciò avviene spesso proprio per combattere le
sempre più frequenti infezioni ospedaliere, invece di
focalizzarsi maggiormente sui protocolli di igiene e
sull’isolamento dei casi accertati: un circolo vizioso che rischia
di avvolgersi a spirale.
Sono tante le infezioni letali
che vengono contratte negli ospedali
Negli ultimi anni si sta osservando un aumento delle
infezioni contratte per cause correlabili al percorso di cura del
paziente in ospedale o a un soggiorno in una struttura
sanitaria, le cosiddette infezioni nosocomiali o ospedaliere.
Come si legge su Oggi Salute, “nel 30% dei casi si potrebbe
evitare il contagio rafforzando i controlli igienici. Per tutti gli
altri dipende dalle condizioni di salute del paziente e dalla
resistenza dei ceppi batterici”5. I luoghi privilegiati per i
contagi sono paradossalmente proprio gli ospedali, a volte per
questioni di igiene, altre per il fatto che sono i luoghi in cui
circolano più persone, spesso veicolo di batteri e virus ma
anche indebolite dalle malattie stesse, infettive e non. Ancora
oggi il 7% dei pazienti ricoverati in corsia corre il rischio di
contrarre un’infezione. Una percentuale troppo elevata che
incide in maniera esosa sui costi sociali ed economici del
servizio sanitario nazionale.
Nonostante l’elevato impatto, sia sociale sia economico, il
panorama dei sistemi di sorveglianza e dei programmi di
prevenzione delle infezioni ospedaliere è piuttosto
disomogeneo; addirittura, in molte realtà, questi sistemi e
programmi sono del tutto inesistenti. Sono ben pochi, per
esempio, gli ospedali che hanno istituito unità di Igiene
ospedaliera e di Risk management.
I superbatteri aumentano i costi
umani ed economici del sistema
Alcuni superbatteri hanno anche sviluppato la capacità di
sopravvivere ad alcuni comuni disinfettanti e non soltanto agli
antibiotici. A esserne più colpiti sono i soggetti più deboli, con i
5
Infezioni ospedaliere, 37 mila morti l’anno. Colpa di superbatteri e
scarsa igiene, in “Oggi Salute”, 12 dicembre 2013, goo.gl/Qxpgiu.
sistemi immunitari più compromessi, spesso anziani affetti da
altre patologie croniche.
Per avere un’idea del problema, in Europa si contano
quattro milioni di infezioni all’anno, che causano circa 37 mila
decessi. Una percentuale di cittadini che oscilla tra l’8 ed il
12% è vittima di eventi indesiderabili connessi alle cure
ricevute. Solo in Italia si verificano ogni anno circa 450-700
mila infezioni (soprattutto infezioni urinarie, seguite da
infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi) e nell’1% dei
casi si stima che esse siano la causa diretta del decesso del
paziente.
Negli Usa i dati non sono migliori: l’incidenza di ricoveri
ospedalieri dovuti a infezioni antibiotico-resistenti è
aumentata del 359% in dieci anni, da 37.005 casi nel 1997 a
169.985 nel 2006. Louise Slaughter, una deputata
democratica, ha rivelato lo scorso marzo, in un’intervista a The
Guardian, che “ogni anno 100.000 americani muoiono in
ospedale per un’infezione batterica, e non è che la punta
dell’iceberg. Il 70% di queste infezioni è resistente ai
trattamenti utilizzati abitualmente”6.
Fra queste, l’Mrsa (uno stafilococco resistente alla
meticillina), che è responsabile del decesso di 19 mila pazienti
all’anno e provoca sette milioni di visite dal medico o nei
pronto soccorso, come riporta Maryn McKenna, giornalista
6
McVeigh, K., Fda draws criticism after U-turn on antibiotics in animal
feed, in “The Guardian”, 29 dicembre 2011, goo.gl/w3nXDp.
specializzata in salute pubblica: “Ogni volta che una persona
contrae l’Mrsa, i costi sanitari sono moltiplicati per quattro. La
resistenza agli antibiotici è un peso enorme per la salute
pubblica nella nostra società”, il cui costo stimato si aggira
negli Stati Uniti sui 20 miliardi di dollari l’anno7.
Il fenomeno comporta un surplus di spese per la sanità e di
perdite in produttività di almeno 1,5 miliardi di euro8, di cui un
miliardo per le sole spese sanitarie, assorbendo lo 0,8% del Pil
italiano. Le infezioni correlate all’assistenza sanitaria
rappresentano dunque una grande sfida per il servizio
sanitario nazionale anche sotto il profilo economico, in quanto
hanno un impatto diretto piuttosto elevato sui costi sanitari. In
media, secondo i dati raccolti da Sic (Sanità in cifre), il centro
studi di Federanziani, le infezioni ospedaliere fanno
aumentare fino a 30 giorni la convalescenza di chi le contrae.
Nello specifico, un’infezione del tratto urinario aumenta le
giornate di degenza da uno a quattro giorni, del sito chirurgico
da sette a otto giorni, la sepsi da sette a 21, mentre la
polmonite da sette a 30 giorni.
Il costo, prevalentemente associato all’incremento dei
giorni di ospedalizzazione, può variare da 4.000 euro per un
paziente ricoverato nel dipartimento di Medicina a 28.000 per
7
M. McKenna, Superbug: The fatal menace of Mrsa, 2010, FreePress,
superbugthebook.com.
8
Dati Commissione europea, Piano d’azione di lotta ai crescenti rischi di
resistenza antimicrobica, 2011.
uno ricoverato in Terapia intensiva. Proprio le terapie
intensive sono le aree ospedaliere con la maggior frequenza di
infezioni nosocomiali; in questi reparti, quindi, un programma
di controllo delle infezioni diventa ancora più importante
anche sotto il profilo economico9.
Secondo Il Sole 24ore, ogni 100 infezioni contratte durante
la degenza ospedaliera, una diventa richiesta di risarcimento
danni. Secondo i dati Marsh (2004-2011) il costo del
contenzioso per le infezioni ospedaliere è pari a circa il 4% del
costo totale dei sinistri medmal nella sanità pubblica,
comportando in media una spesa annua in aumento che
raggiunge circa gli 8 milioni di euro10.
Ogni giorno ingeriamo carni e altri cibi infetti
contenenti superbatteri e antibiotici
Infine, gli antibiotici li ingeriamo quotidianamente senza
volerlo (né saperlo) anche attraverso la carne macellata,
perché vengono somministrati agli animali per prevenirne (e
9
Assobiomedica, La posizione associativa in tema di: infezioni
ospedaliere, goo.gl/jP4Pnn.
10
Marsh: infezioni ospedaliere da 50mila euro a testa, in “Il Sole 24 ore
Sanità”, 14 maggio 2013, goo.gl/l4KZ7m.
non solo curare) le malattie11. Secondo l’Organizzazione
mondiale della sanità, la metà degli antibiotici prodotti nel
mondo è destinata agli animali e la percentuale sale all’80%
negli Stati Uniti, dove gli animali da allevamento, secondo un
recente rapporto della Fda (Food and drug administration),
consumano 13 mila tonnellate di antibiotici l’anno12.
Se l’impiego sconsiderato di antibiotici fosse un rischio per
la salute dei soli animali di allevamento sarebbe già grave, ma
il vero problema è che i batteri resistenti, assieme agli
antibiotici, finiscono nella catena alimentare umana. Uno
studio, condotto dal Translational genomics research institute
(TGen) e pubblicato dalla rivista medica Clinical infectious
diseases nel 2011, rivela che la metà della carne di bue, di
pollo, di maiale e di tacchino venduta nei grandi magazzini
degli Stati Uniti contiene germi resistenti agli antibiotici (in
particolare lo stafilococco Mrsa)13.
Questo sovraconsumo favorisce lo sviluppo di batteri
resistenti che possono essere rintracciati nei cibi in caso di
cottura insufficiente. Alcuni ricercatori hanno mostrato,
11
Dati Commissione europea, Piano d’azione di lotta ai crescenti rischi di
resistenza antimicrobica, 2011.
12
2009 Summary report on antimicrobials sold or distributed for use in
food-producing animals, Fda, 9 dicembre 2010, goo.gl/xbuX7C.
13
A.E. Waters et al., Multidrug-resistant staphylococcus aureus in US
meat and poultry, in “Clinical infectious diseases”, 15 aprile 2011,
goo.gl/N5QlB5. V. anche: E. Capuano, Animali ingozzati con gli antibiotici,
in “EC planet”, 26 febbraio 2012, goo.gl/yLxGWM.
peraltro, che gli antibiotici non sono presenti solamente nella
carne, ma anche nei cereali o nei legumi14.
La battaglia dell’uomo contro
i superbatteri è ancora aperta
Il premio Nobel Joshua Lederberg, uno dei pionieri della
genetica dei batteri (a lui si deve la scoperta che i batteri
possono scambiarsi geni), ha dichiarato nel 1990 che “il
dominio dell’uomo sulla Terra, a meno del suicidio della nostra
specie, è oggi seriamente sfidato solo dai batteri patogeni, per
i quali noi siamo la preda, e loro sono i predatori. Non c’è
alcuna garanzia che in questa gara evolutiva saremo noi a
uscire vincitori”15.
Mentre i microbi che risultano resistenti a una sola famiglia
di antibiotici possono essere trattati con principi attivi di
diverso tipo, quando i batteri sviluppano quella che viene
definita ‘resistenza multipla’, cioè la resistenza a quattro o più
antimicrobici appartenenti a classi diverse, il problema diventa
davvero serio. Non perché la malattia provocata in questi casi
14
M. Cimitile, Crops absorb livestock antibiotics, science shows, in
“Environmental health news”, 6 gennaio 2009, goo.gl/wpp6P1.
15
Microbial evolution and co-adaptation: a tribute to the life and
scientific legacies of Joshua Lederberg: workshop summary,
in “National center for biotechnology information”, 2009, goo.gl/JEc3Ov.
sia più grave in sé rispetto a quella provocata dai
microrganismi sensibili, ma perché diventa più difficile da
trattare, dato il numero ridotto di farmaci efficaci. Ciò dà
luogo a un decorso più lungo, a costi ospedalieri più elevati e,
nei casi limite, alla morte dei pazienti. In Italia e in Grecia, per
esempio, dal 15 al 50% delle infezioni da klebsellia
pneumoniae (una delle principali cause della polmonite) è
resistente anche ai carbapenemi, gli antibiotici ‘ultima
spiaggia’, quelli ad ampio spettro di azione, capaci di
contrastare una vasta serie di agenti batterici, risultando
quindi praticamente incurabile16.
Oggi i nuovi antibiotici hanno vita sempre più breve, perché
la resistenza si sviluppa spesso molto velocemente.
L’Organizzazione mondiale della sanità, l’Ente americano per
le malattie infettive e il Centro europeo per la prevenzione e il
controllo riconoscono il dramma e sono alla ricerca di una
soluzione. Un’esigenza urgente, anche alla luce di quanto
sostengono i Centri per la prevenzione e il controllo delle
malattie di Atlanta: il 30% delle infezioni ospedaliere è
evitabile, che in Italia significherebbe salvare ogni anno da
1.350 a 2.100 vite umane.
L’ultima sfida che queste organizzazioni hanno lanciato ai
governi – nella speranza di ottenere finanziamenti – è quella di
trovare almeno10 nuovi principi attivi entro il 2020. Negli
ultimi cinque anni, infatti, ne sono stati messi a punto solo
16
M. Sandal, La fine dell’era antibiotica, (cit.).
due, mentre negli ultimi 20 anni il numero di quelli divenuti
inefficaci è passato da 60 a 90. Al momento, sono molto scarse
le risorse economiche impiegate nella ricerca e nello sviluppo
di nuovi trattamenti17.
Investire nella ricerca di nuovi
antibiotici è poco remunerativo
Combattere i patogeni antibiotico-resistenti, tuttavia, non è
impossibile: le infezioni ospedaliere da Mrsa in alcuni Paesi
europei stanno lentamente diminuendo, grazie a programmi
mirati di contenimento, anche se, nonostante l’allarme,
sembra esserci un serio disinteresse generale. La logica
vorrebbe infatti che, se i batteri killer sono resistenti a tutti gli
antibiotici conosciuti, se ne ricercassero di nuovi, invece la
maggior parte delle molecole in circolazione risale agli anni
Settanta, sarà perché l’antibiotico è un prodotto poco
remunerativo?
In effetti, un antibiotico si usa (o per lo meno si dovrebbe
usare) per un periodo di tempo limitato e il prezzo è
relativamente basso, mentre i costi di ricerca e sviluppo di un
nuovo principio attivo sono talmente elevati che le società
farmaceutiche investono ormai solo nella cura delle malattie
croniche (per le quali i farmaci necessitano quindi di essere
17
M. Dell’Amico, Se i batteri vincono la guerra contro gli antibiotici, in
“Wired”, 29 gennaio 2013, goo.gl/FhYhlz.
somministrati a vita) oppure per i chemioterapici e gli
antiretrovirali, che hanno un prezzo elevatissimo18. Un nuovo
antibiotico costa, dall’individuazione del principio attivo ai test
clinici, circa 650 milioni di euro. È molto più redditizio
produrre e vendere molecole come le statine per abbassare il
colesterolo o farmaci anti-obesità, che, dovendo essere
assunti per lunghi periodi, garantiscono un ritorno
dell’investimento19.
Secondo un nuovo report della Infection desease society
americana riportato dalla rivista Clinical infectious diseases,
attualmente, solo sette nuovi farmaci sono in sviluppo per il
trattamento delle infezioni causate da “superbatteri”
multiresistenti come l’escherichia coli e i cosiddetti Cre
(enterobatteri resistenti ai carbapenemi), come salmonella,
shigella e altre specie di batteri appartenenti alla classe degli
enterobatteri20.
Nel frattempo, i batteri aumentano e diventano più
resistenti e, nell’attesa di nuove armi, la soluzione migliore è
cercare di rallentare la diffusione della resistenza, per
esempio, come sostiene questo editoriale di The Lancet, una
delle più accreditate riviste scientifiche, implementando
migliori pratiche igieniche a livello ospedaliero ma anche della
18
Batteri multiresistenti, si investe poco nella ricerca di nuovi antibiotici,
in “PharmaStar”, 18 aprile 2013, goo.gl/hkWVth.
19
M. Dell’Amico, Se i batteri vincono la guerra..., (cit.).
20
Batteri multiresistenti... (cit.).
produzione alimentare, anche se questo potrebbe portare a
un aumento del costo dei prodotti finali21.
L’ipoclorito di sodio “cuoce” i batteri
attivando una proteina speciale
I derivati del cloro sono già ampiamente utilizzati da anni
come disinfettanti delle acque potabili, delle piscine, in alcuni
prodotti per l’igiene personale, per la disinfezione di strumenti
medici e delle ferite, come pure in odontoiatria per ‘ripulire’ i
canali radicolari. Per non parlare, naturalmente, dell’uso
quotidiano di prodotti per l’igiene della casa contenenti
ipoclorito di sodio (ed altri eccipienti) come la candeggina,
nota anche come varechina.
A oltre due secoli di vita, non era stato ancora svelato il
meccanismo con cui la candeggina esplicasse i suoi effetti
battericidi; a farlo è stato uno studio di ricercatori
dell’Università del Michigan, che lo hanno spiegato in un
articolo pubblicato sulla rivista scientifica Cell22. Come spesso
21
Antibiotic resistance: long-term solutions require action now, in “The
Lancet infectious diseases”, 2013, goo.gl/q257W5.
22
J. Winter et al., Bleach Activates a Redox-Regulated Chaperone by
Oxidative Protein Unfolding (La candeggina attiva una chaperonina Redox
regolata tramite spiegamento ossidativo della proteina Hsp33), in “Cell”,
vol. 135, 14 novembre 2008, pgg. 691-701, goo.gl/gh3lSl.
avviene nella ricerca scientifica si parte da una scoperta
casuale mentre magari si sta cercando qualcos’altro. I nostri
scienziati stavano studiando i meccanismi dello shock termico
che crea il sistema immunitario per difendersi da agenti
patogeni, procurando stati febbrili. Questo shock termico
attiva la proteina Hsp33, una chaperonina, che ha la
caratteristica di far perdere la propria struttura alle altre
proteine, che diventano aggregati insolubili, inutilizzabili dalle
cellule e in primo luogo dai batteri, senza le quali non
riusciranno a riprodursi e quindi non potranno portare a
termine l’attacco ai tessuti umani.
Di fatto cuoce le proteine, un po’ come quando si fa bollire
l’uovo, il quale non potrà più tornare liquido. Durante la
ricerca, gli scienziati si sono accorti che il nostro organismo,
quando è sotto attacco batterico, produce alcune quantità di
ipoclorito di sodio e che è questo ad attivare la proteina Hsp33
in modo frenetico, dando inizio alla battaglia antibatterica.
Insomma, è un po’ come se l’ipoclorito cuocesse, seppur
indirettamente, i batteri.
Il Metodo Ruffini, che si basa sull’ipoclorito di sodio in
concentrazione variabile tra il 6 e il 12%, può risolvere
tantissime infezioni topiche. Pensiamo al piede diabetico
infetto, causa di molte sofferenze e amputazioni in Occidente,
attualmente incurabile con i metodi tradizionali e
curabilissimo con il Metodo Ruffini. Pensiamo alle infezioni
Mrsa, anch’esse molto comuni in Occidente e spesso mortali
perché resistenti agli antibiotici, così alle infezioni virali come
l’herpes labiale, quello genitale e l’herpes zoster, meglio noto
come “fuoco di Sant’Antonio”.
E che dire della fastidiosissima candida o del pericoloso
papilloma virus, che può evolvere anche in tumore del collo
dell’utero? Anche in questo caso, se il virus non ha già dato
luogo a lesioni tumorali, una semplice applicazione vaginale
della soluzione di ipoclorito di sodio è risolutiva. Incredibile,
non è vero? E quante altre malattie gravi e persino mortali si
potrebbero curare con semplicità e a basso costo nei Paesi più
poveri, che non hanno fondi economici da destinare a costose
cure, o in quelli in cui non esiste comunque una vera sanità
pubblica che si addossi i costi medici dei cittadini!
Il Metodo Ruffini può aiutare
a debellare i batteri killer
L’ipoclorito di sodio, secondo le modalità del Metodo
Ruffini, può trovare applicazione, naturalmente, anche come
disinfettante negli ospedali. Se per evitare la diffusione di
batteri multiresistenti, i cosiddetti superbatteri o batteri killer,
come abbiamo visto, è raccomandato di evitare la
somministrazione di antibiotici a largo spettro in modo
preventivo rafforzando invece l’igiene, il nostro ipoclorito può
essere un ottimo alleato “nelle mani”, è il caso di dire, degli
operatori sanitari. Nulla di nuovo se già nell’Ottocento il
medico ungherese Ignác Fülöp Semmelweis scoprì che bastava
lavarsi le mani con un composto di cloro per prevenire la
setticemia ovvero la febbre puerperale.
Come si legge in un testo sulla sanificazione nell’industria
alimentare, “è probabile che la resistenza batterica nei
confronti dei disinfettanti, in particolare quelli dell’ammonio
quaternario, si sviluppi con modalità analoghe a quelle delle
resistenze antibiotiche. [...] L’impiego di trattamenti più blandi
con acidi organici rappresenta una scelta più sicura per il
personale e anche efficace nell’ambito di alcune applicazioni;
tali trattamenti possono però favorire la selezione di ceppi
resistenti capaci di adattarsi e di diventare tolleranti agli acidi.
Tuttavia, un biocida ad ampio spettro come il cloro è
sufficientemente potente da impedire tale selezione”23.
Al contrario di alcuni altri disinfettanti, l’ipoclorito di sodio
non crea resistenze batteriche, ovvero la formazione di ceppi
patogeni resistenti, perché non elimina quelli più deboli ma
tutti: non c’è batterio, virus, fungo, protozoo o parassita che vi
possa fisicamente resistere! Se sopravvive qualche agente
patogeno all’applicazione è perché l’ipoclorito non l’ha
incontrato sul suo cammino, perché applicato in dosi minime o
in percentuale non sufficiente. Se il problema quasi non si
pone nel caso delle mucose, dove infatti in genere è
23
N.G. Marriott e R.B. Gravani, Sanificazione nell’industria alimentare,
Springer-Verlag, 2008, p. 195, goo.gl/DkQxMB.
sufficiente in concentrazione del 6%, ad esempio nel caso
dell’onicomicosi l’unghia stessa diventa un ostacolo difficile
ma non impossibile da superare per l’ipoclorito, offrendo
riparo al fungo parassita. Anche nel caso in cui sopravviva
qualche agente patogeno, dunque, non sarà quello
geneticamente più forte, quindi non può contribuire in alcun
modo all’evoluzione della specie patogena.
Il Metodo Ruffini può aiutare
ad abbattere i costi sanitari
Il Metodo Ruffini si è dimostrato sempre di più uno
strumento efficace in un’ampia gamma di patologie
dermatologiche, di pratico utilizzo, privo di effetti collaterali e
a basso costo, derivandone quindi diversi vantaggi sociali.
Innanzitutto, può rivelarsi una freccia in più nella faretra
terapeutica del medico, importante sia da solo che come
coadiuvante di una qualsiasi altra cura.
È dovere e compito di ogni medico adoperarsi e attivarsi
per utilizzare il sistema di cura più efficace con i propri pazienti
e tengo a precisare che il Metodo Ruffini non può essere
giudicato senza prima essere provato, perché i risultati che si
possono ottenere sono eccezionali quanto eccezionale è la sua
semplicità di utilizzo. In ambito ospedaliero e ambulatoriale si
potrebbero ottenere enormi soddisfazioni sul piano
professionale e offrire un servizio di qualità terapeutica
davvero unico.
Un altro vantaggio consiste nella riduzione del rischio di
dover troppo frequentemente far ricorso ad antibiotici di
sintesi, per esempio limitandone l’uso ai casi più gravi o a
infezioni interne, al fine di arginare il fenomeno delle
resistenze di cui si è ampiamente trattato. Ultimo, ma non da
meno, il vantaggio economico.
Facciamo i conti dell’oste:
Produrre 1 litro di ipoclorito (su grandi quantità, per uso
comunitario) costa 70 centesimi di euro. Un litro equivale a
1.000 millilitri e una singola applicazione mediamente è di 5
ml/10ml, quindi, se la matematica non è un’opinione:
1.000 ml diviso 5 ml = 200 applicazioni
e
1.000 ml diviso 10 ml = 100 applicazioni
ovvero
dalle 100 alle 200 applicazioni al costo di produzione di 70
centesimi di euro.
Considerando, inoltre, che in molti casi una sola
applicazione è risolutiva, si può arrivare a curare fino a 200
patologie (e relativi pazienti) con soli 70 centesimi.
Ogni ospedale, clinica, farmacia, comunità, società di
ambulanze, pronto soccorso, organizzazione umanitaria ecc.
può risparmiare maggiormente sui costi acquistando lo
strumento per l’autoproduzione di ipoclorito, che ha un costo
di circa 5.000 euro, facilmente ammortizzabile. Con la
macchina per l’elettrolisi è possibile produrre ipoclorito al
momento dell’uso nella giusta percentuale e quantità, senza
sprechi. Nel medio tempo, infatti, l’ipoclorito decade dal
proprio titolo in quanto, essendo una molecola fortemente
volatile e instabile, evapora lasciando al suo interno solo
acqua e sale, con insignificanti tracce di cloro.
Tuttavia, il costo modesto ha reso questo rimedio poco
appetibile per le case farmaceutiche, non potendone fare un
farmaco vendibile (i noti problemi di durata ne impediscono lo
stoccaggio nei magazzini e nelle farmacie, come previsto dalla
legge), quindi fuori commercio come farmaco. Questo è il
motivo principale per cui il Metodo Ruffini non è di dominio
pubblico e poco conosciuto al di fuori dei canali alternativi
(Facebook, Youtube, Twitter, blog e forum vari), grazie ai quali,
tuttavia, migliaia di persone si sono avvicinate ad esso, il tutto
nel più assordante silenzio del mondo scientifico.
Tutto ciò è davvero inconcepibile, visto che il denaro
risparmiato dal sistema sanitario nazionale sarebbe notevole
(considerata la vasta quantità di patologie trattabili e la
riduzione delle degenze dovute alle infezioni ospedaliere) e
potrebbe essere dirottato verso la ricerca medico-scientifica o
in un fondo da destinare, per esempio, ai servizi socio-sanitari
e socio-assistenziali.
Medici e ricercatori hanno potuto
confermare l’efficacia del Metodo
Il Metodo Ruffini, dunque, inizialmente accolto solo con
derisione, ha dimostrato, già dopo le prime osservazioni
microscopiche in ambito accademico e i risultati raggiunti in
automedicazione e con trattamento medico, di avere tutte le
carte in regola per essere promosso a pieni voti. Va precisato
che questo metodo non esclude la diagnosi del dottore
curante né alcuna forma di trattamento ufficiale, ma vuole
essere una integrazione per un valido supporto laddove
ufficialmente non esista un rimedio efficace.
Non c’è ancora una lista ufficiale di medici in grado di
applicare il metodo nei casi in cui non sia possibile
l’automedicazione. Il dottor Ruffini confida di giungere al più
presto a questo obiettivo, con l’auspicio di diffondere il più
possibile questo trattamento perché sempre più persone se ne
possano giovare. Al momento è alla ricerca di partner che
vogliano sviluppare un percorso capace di riconoscere a livello
istituzionale questa metodologia che si colloca tra le principali
scoperte medico-scientifiche di tutti i tempi. Per il momento si
sta pensando alla creazione di una fondazione (aperta alle
università, a privati e professionisti interessati) il cui scopo
principale è l’istituzionalizzazione del metodo, portando la
gente a usufruirne a livello pubblico. Saranno create borse di
studio, collaborazioni con gli atenei e con i centri di ricerca.
L’efficacia del metodo (testimoniata dalle numerosissime
testimonianze di chi ne ha tratto beneficio), la praticità d’uso
in termini di utilizzo e l’estrema economicità ci inducono a
continuare in questa direzione per coglierne tutte le
opportunità di sviluppo. Il nostro auspicio è che non ci si
trinceri reciprocamente dietro posizioni ideologiche, ma che,
avendo a cura solo la salute della persona, si favorisca un
dialogo aperto e sincero, altrimenti conflittuale, con la
medicina accademica.
Nota finale
L’articolo qui riportato è frutto di ricerca, elaborazione di
notizie pubblicate sul web e letteratura scientifica; non
essendo medico declino ogni responsabilità su quanto scritto,
invito anzi il lettore a una verifica diretta, andando alle fonti
accreditate o rivolgendosi a persone aventi titolo. Le
informazioni fornite quindi sono a esclusivo scopo informativo
e non sostituiscono il medico, a cui è sempre bene rivolgersi
per i problemi relativi alla salute, come del resto ha sempre
suggerito lo stesso dottor Ruffini.