TGD - Lezione 1

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 HANS KELSEN. LA DOTTRINA PURA DEL DIRITTO
1911. Anno di pubblicazione del testo “Problemi fondamentali della dottrina del diritto pubblico
esposti a partire dalla dottrina della proposizione giuridica”
La “Dottrina pura del diritto” è un punto di rottura con il pensiero giuridico ottocentesco.
- Dottrina avalutativa che non si occupa del diritto giusto ma del diritto reale, l’unico sul
quale la ragiona ha forza indagatrice.
- Nuova direzione nello studio della scienza del diritto (prima oggetto di interesse era il
diritto privato e l’autonomia dei soggetti contraenti).
- Centralità del diritto pubblico, il diritto dello Stato (prima screditato come mera
espressione della volontà e dell’arbitrio del legislatore).
- Per evidenziare la lontananza dalla volontà legislatrice, Kensen sostituisce la proposizione
“norma giuridica” (forte imperativismo) con “proposizione giuridica”.
«Kelsen era fermo nell’indicare il diritto positivo, ovvero il diritto posto da un legislatore e, quindi,
anche e soprattutto da uno Stato legislatore, come l’unico diritto di cui si potesse occupare la
scienza del diritto per non vedere sconfessata la propria pretesa di scientificità e,
contemporaneamente, aveva cura di mettere in evidenza quegli elementi strutturali della norma
giuridica che non consentivano di vedervi solo un imperativo discendente da una volontà detentrice
del potere legislativo» (F. RICCOBONO, La dottrina pura del diritto di Hans Kelsen, in AA. VV.,
Prospettive filosofiche del diritto del nostro tempo, Torino 2010, 220).
Due testi fondamentali:
1) Lineamenti di dottrina pura del diritto (1934).
2) La dottrina pura del diritto (1966).
DOTTRINA PURA DEL DIRITTO
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Teoria del diritto positivo che vuole conseguire una conoscenza del diritto non
influenzata da giudizi di valore (evitare condizionamenti ideologici, politici, religiosi,
morali).
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Inoltre, la “purezza” richiama la necessità di mantenere la scienza del diritto autonoma
da qualunque altra influenza metodologica legata alle altre scienze.
Per Kelsen il diritto non è un fenomeno naturale. Questo significa che non esistono atti che
possano essere di per sé ricondotti alla sfera giuridica e percepiti come diritto.
«L’atto sensibilmente percepibile, posto nello spazio e nel tempo e rispondente al principio
di causalità, diviene atto giuridico solo se così qualificato attraverso una attribuzione sociale di
significato» (RICCOBONO, 222) - Questa attribuzione di significato giuridico è impartita da una
norma che qualifica atti e fatti:
-
La specificità del diritto è nella norma intesa come struttura che qualifica atti (non atto
psico-fisico di volizione)
-
La conoscenza del diritto deve vertere sulle norme, perché «il diritto è una norma» e la
norma è l’unico oggetto della conoscenza giuridica (H. KELSEN, Lineamenti di dottrina
pura del diritto) – “normativismo” kelseniano.
Il diritto è un fenomeno sociale e la sua esistenza non va confusa con l’esistenza dei fenomeni
naturali.
Concetto di validità (Geltung): indica l’esistenza specifica della norma. Non è corretto
affermare che una norma esiste o non esiste: una norma è valida o non è valida. La validità esprime
la realtà della norma giuridica.
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Questo concetto allontana il diritto dalla natura e da tutti gli altri fenomeni spirituali,
primo fra tutti la morale.
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Kelsen taglia il legame tra il diritto e la morale. Il diritto non fa parte della morale e non
incarna un valore di giustizia (contro il giusnaturalismo), perché la giustizia esprime un
valore assoluto, un ideale irrazionale che la conoscenza razionale non può determinare.
-
Un diritto “giusto” rischia di essere la giustificazione di interessi e poteri del più forte.
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Il diritto positivo è l’unico diritto “assolutamente giusto”.
«Il giusnaturalismo intende valutare il diritto positivo, legittimandolo come giusto o
delegittimandolo come ingiusto, secondo un criterio – la giustizia – non accessibile alla conoscenza
razionale dell’uomo» (RICCOBONO, 223; G. VISENTINI, Lezioni di teoria generale del diritto, 3° ed.,
Padova 2008, 67-68).
Dovere giuridico secondo l’orientamento scientifico giuspositivistico: Essere vs dover essere (Sein
vs Sollen). Il concetto di dover essere del diritto si contrappone all’essere della realtà naturale e allo
stesso tempo, al dover essere della morale, la quale ha contenuti presunti buoni e giusti.
Per Kelsen il “dover essere” è una categoria formale, applicabile a qualsiasi contenuto, che lega, in
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una connessione funzionale, una condizione e una conseguenza in un giudizio ipotetico (se c’è A
deve (soll) esserci B). La norma giuridica ha la forma logica di questo giudizio ipotetico.
(es. I ladri devono essere puniti. È una proposizione e non una norma; infatti, essa può essere vera o
falsa. È vera se nell’ordinamento considerato esiste una norma che ordina che i ladri siano puniti; è
falsa se una tale norma non esiste. Lo scienziato del diritto non afferma che sia obbligatorio punire i
ladri, ma che se ci si vuole conformare al diritto di tale paese, i ladri devono essere puniti).
LA NORMA GIURIDICA E IL GIUDIZIO IPOTETICO
Per Kelsen la norma è un giudizio ipotetico: “se A, deve essere B”.
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A è l’illecito.
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B è la sanzione.
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Il dover essere (Sollen) esprime lo specifico rapporto di imputazione che consente la
connessione tra condizione e conseguenza giuridica, senza che si ricada nella legge di
causalità, che regola la connessione fra fatti naturali come una relazione necessaria.
Sollen non indica un dovere necessariamente accadere (TROPER, 50-52)
Sollen indica una relazione che potrebbe o no verificarsi nella realtà dei fatti, senza annullare la
validità della regola in questione (es. La mancata sanzione di un furto non annulla la validità della
norma che punisce il furto).
- Superamento della formulazione imperativistica ottocentesca della norma giuridica: “Tu
devi fare o omettere di fare ciò”.
Conseguenze:
1) Illecito: perde ogni consistenza ontologica di malum in se e il carattere di negazione del
diritto, ma diventa un elemento interno imprescindibile della norma giuridica,
identificabile solo per essere la condizione per la posizione di un atto coattivo
(sanzione). (es. Un comportamento è illecito se è considerato nella proposizione
giuridica condizione per una sanzione come conseguenza).
2) Sanzione: La sanzione viene posta al centro dell’esperienza giuridica, quale
qualificazione della norma giuridica rispetto alle altre regole di comportamento. Il diritto
è principalmente coattivo: «È un ordinamento coattivo esterno. […] Il diritto è un
meccanismo coattivo a cui in sé e per sé non corrisponde nessun valore politico o etico»
(H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, 68, 71). È una tecnica sociale che
può supportare qualsiasi scopo.
- Diritto: Insieme di norme coattive riguardanti l’uso della forza a determinate
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condizioni. Il rapporto con l’atto coattivo è essenziale per il carattere giuridico della
norma. Kelsen inverte la teoria giuridica tradizionale tra norme primarie e norme
secondarie. (La dottrina ottocentesca riteneva “primaria” la norma disciplinante il
comportamento e “secondaria”, cioè non essenziale per determinare il concetto giuridico,
la norma che prescrive la sanzione in caso di violazione della norma principale. Nella
dottrina Kelseniana è primaria la norma che collega alla condizione dell’illecito la
conseguenza della sanzione; è secondaria la norma che prescrive il comportamento che
evita la sanzione)
3) Efficiacia: Kelsen si disinteressa della reale osservanza e applicazione della norma
giuridica. A differenza della norma imperativa, la proposizione giuridica kelseniana non
ha il potere di motivare il comportamento dei suoi destinatari, ritenuto irrilevante per la
conoscenza scientifica del diritto. Sono troppe le variabili che possono comportare
l’adesione a una norma (ideologia, morale, religione), e questo altera il presupposto della
conoscenza scientifica del diritto.
L’obbligatorietà della norma non va confusa con la sua efficacia. Il dover essere (Sollen) della
proposizione giuridica non si occupa dell’osservanza del precetto da parte del destinatario
(efficacia), ma si preoccupa che al lui venga applicata la conseguenza prevista dalla norma giuridica
(sanzione). La mancata applicazione della conseguenza, non altera la validità della norma giuridica
(di questo si occupa la sociologia). La scienza del diritto è scienza di significati normativi e deve
occuparsi della validità della norma giuridica.
La norma giuridica come prescrizione. Nel 1960 (La dottrina pura del diritto) Kelsen distingue
tra norma giuridica e proposizione giuridica:
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La norma giuridica è una prescrizione (ordine, imperativo dell’autorità), non un giudizio,
prodotta da un organo giuridico predisposto a farlo, applicata da organi giuridici e
osservata dai destinatari.
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La proposizione giuridica è una possibile descrizione della norma giuridica (ambito della
conoscenza), operata dalla scienza del diritto nella forma di un giudizio ipotetico che
afferma che, in un determinato ordinamento giuridico, «devono aver luogo certe
conseguenze previste da questo ordinamento giuridico, qualora si verifichino certe
condizioni, anch’esse previste dall’ordinamento giuridico in questione» (H. KELSEN, La
dottrina pura del diritto, 88). La scienza del diritto descrive il diritto e non prescrive,
come accade per il diritto prodotto dall’autorità giuridica.
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L’ORDINAMENTO GIURIDICO
La norma fondamentale
È impossibile definire una norma giuridica a partire dal suo contenuto (vero, giusto, buono), perché
una norma giuridica può avere un contenuto identico a quello di una norma morale o religiosa.
L’unica soluzione è quella di chiamare norma quella che è conforme a un’altra norma, o perché
creata in virtù di un potere conferito da questa norma, o perché il suo contenuto deve essere
considerato come dedotto da quello della norma superiore (ordinamento giuridico).
La rappresentazione statica della norma giuridica descrive la natura coercitiva del diritto e la sua
differenza dalla morale; occorre però comprendere come determinate prescrizioni assumano
significato giuridico e divengano norme giuridiche. Kelsen affronta la questione nel capitolo sulla
nomodinamica, nel quale studia la norma in movimento (TROPER, 62-67).
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Il presupposto basilare della nomodinamica kelseniana risiede nel concetto di
ordinamento giuridico, inteso come insieme o sistema di norme giuridiche.
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Il principio è quello secondo il quale in un sistema normativo, la validità di una pluralità
di norme sia riconducibile a un’unica norma. Questa norma è il fondamento ultimo di
validità di tutte le norme appartenenti al sistema giuridico di riferimento.
NORMA FONDAMENTALE (Grundnorm) determina l’appartenenza delle norme a un
ordinamento e costituisce l’unità nella pluralità di tutte le norme che formano un ordinamento. A
seconda del tipo di norma fondamentale, si distinguono due specie di ordinamento:
1) Le norme dell’ordinamento sono valide in forza del loro contenuto. Il contenuto può
essere dedotto logicamente dal contenuto della norma fondamentale. (es. Ordinamento
morale: le varie norme morali sono già contenute nell’unica norma fondamentale, la
quale attende solo di essere specificata attraverso un procedimento logico). La norma
morale di questo ordinamento è di tipo contenutistico (carattere statico-materiale).
2) Le norme dell’ordinamento non sono valide per il loro contenuto ma per il fatto di essere
prodotte in un modo stabilito. (es. Ordinamento giuridico: «Ogni qualsiasi contenuto
può essere diritto perché è stata prodotto secondo una regola del tutto determinata» (H.
KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, 96). In questo caso, la norma
fondamentale regola il procedimento di formazione delle norme all’interno
dell’ordinamento: ne è il punto di partenza (carattere dinamico-formale).
La norma fondamentale di un ordinamento giuridico non è una norma di diritto positivo, ma una
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norma presupposta che consente di attribuire un significato giuridico all’atto costituente e, grazie a
una catena di trasmissione di significato giuridico, a tutti gli atti discendenti dall’atto costituente:
«Essa è un’ipotesi, che rende possibile la conoscenza del diritto positivo; più precisamente, è la
condizione logico-trascendentale che rende la conoscenza di determinati atti coercitivi come diritto»
(RICCOBONO, 229; TROPER, 37-38).
La efficacia è una condizione per la validità dell’ordinamento: «Le norme di un ordinamento
giuridico positivo sono in vigore per il fatto che la norma fondamentale, che costituisce la regola
fondamentale per la loro produzione, viene presupposta come valida e non perché esse stesse sono
efficaci; ma esse sono in vigore soltanto quando (cioè fino a quando) questo ordinamento giuridico
è efficace» (H. KELSEN, La dottrina pura del diritto, 242).
La costruzione dell’ordinamento giuridico
Dalla norma fondamentale deriva la costruzione per gradi dell’ordinamento giuridico:
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L’ordinamento giuridico si compone di differenti strati di norme giuridiche in rapporto
gerarchico tra loro.
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La gerarchia è definita dalla superiorità della norma che fissa le norme di produzione
rispetto alla norma prodotta nella forma stabilita.
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In questa struttura dinamica, la norma inferiore ha il proprio fondamento di validità nella
norma superiore.
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Le regole per la produzione delle norme inferiori riguardano maggiormente il
procedimento della loro produzione e, in parte, il loro contenuto.
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Tanto più alto è il grado del livello normativo, tanto minori e poco dettagliati sono i
vincoli contenutistici che la norma superiore pone a quella inferiore.
Il più alto grado del diritto positivo è rappresentato dalla costituzione, la cui funzione essenziale è
quella di regolare gli organi e il procedimento della legislazione.
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Al di sotto della costituzione vi è la legislazione, alla quale compete la determinazione
del procedimento di produzione e dei contenuti degli atti giurisdizionali e amministrativi.
Giurisdizione e amministrazione non hanno un carattere meramente dichiarativo, ma
rappresentano la continuazione del processo di produzione del diritto, dal generale al
particolare. Per Kelsen, sia la sentenza che l’atto amministrativo sono vere e proprie
norme giuridiche individuali e non semplici atti di applicazione delle norme generali.
(Lo stesso ragionamento vale per il diritto civile, per il negozio giuridico, nel quale le
parti, delegate dalla legge, pongono in essere delle norme concrete per il comportamento
reciproco).
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La costituzione, la legislazione, la giurisdizione, l’amministrazione, il negozio giuridico,
l’atto esecutivo sono tutte fasi di un unico processo gerarchico di produzione del diritto;
la realizzazione dell’atto coercitivo come conseguenza dell’illecito «è la fase ultima di
questo processo di produzione del diritto che ha inizio con la promulgazione della
costituzione» (H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, 111).
La concezione dell’ordinamento giuridico proposta da Kelsen, inteso come una struttura gerarchica
unitaria, altera due principi della dottrina classica dello Stato di diritto:
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La teoria della divisione dei poteri. Per Kelsen, il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario
non sono tre poteri indipendenti, posti l’uno accanto all’altro, ma sono solo tre diversi
livelli normativi dell’unico e unitario ordinamento giuridico.
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La distinzione tra creazione e applicazione del diritto diventa relativa: ogni atto
giuridico è esecuzione-applicazione di una norma superiore e produzione-creazione di
una norma inferiore. I due livelli estremi, la norma superiore e l’atto esecutivo della
sanzione sono rispettivamente gli unici atti di mera produzione e mera applicazione.
Tutti gli altri atti giuridici hanno al proprio interno un momento di subordinato di
applicazione e sovraordinato di creazione del diritto.
Gli organi pubblici o i soggetti privati autorizzati a porre l’atto giuridico non mettono in
atto una meccanica di applicazione, ma di creazione.
Questo secondo aspetto trova conferma nella teorizzazzione kelseniana dell’interpretazione, intesa
come «un procedimento spirituale cha accompagna il processo di produzione del diritto nel nuovo
sviluppo da un grado superiore a uno inferiore regolato da quello superiore» (H. KELSEN,
Lineamenti di dottrina pura del diritto, 117).
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La norma superiore rappresenta uno schema che comprende diverse possibilità di
esecuzione. Nel passaggio da una norma superiore a una norma inferiore, la norma
superiore non offre mai una determinazione completa dei caratteri formali e materiali,
procedurali e sostanziali, della norma inferiore. Rimane un «margine più o meno ampio
di potere discrezionale in modo che la norma di grado superiore, in rapporto all’atto di
produzione o di esecuzione che la esegue, abbia sempre e soltanto il carattere di uno
schema che deve essere riempito per mezzo di questo atto» (H. KELSEN, Lineamenti di
dottrina pura del diritto, 118).
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L’interpretazione giuridica è constatazione delle possibilità date entro questo schema e
scelta di una di queste possibilità.
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Nel 1960 (La dottrina pura del diritto) Kelsen distingue due tipi di interpretazione:
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L’interpretazione del diritto da parte dell’organo che deve applicarlo. Questa
interpretazione produce effetti giuridici. L’organo chiamato ad applicare il diritto
sceglie, con un atto di volontà e con discrezionalità, una delle possibilità date dalla
norma superiore (interpretazione autentica, diversa dalla teoria tradizionale che vede
nell’autore stesso della norma l’interprete autentico. Es. Parlamento, Prefetto. Per Kelsen
è autentica perché questa interpretazione crea comunque diritto).
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L’interpretazione operata da un soggetto privato, ovvero dalla scienza del diritto. Questa
interpretazione non è produzione di diritto, ma si limita ad accertare il significato delle
norme giuridiche da un punti di vista meramente conoscitivo (RICCOBONO, 232-234).
LO STATO E L’ORDINAMENTO GIURIDICO
Kelsen rivendica la perfetta identità tra Stato e ordinamento giuridico accentrato, nel quale si
formano gli organi centrali aventi funzione di curare la produzione e l’esecuzione delle norme che
lo costituiscono.
Lo Stato è un ordinamento sociale coattivo e «questo ordinamento coattivo deve essere identico
all’ordinamento giuridico dato che sono gli stessi atti coattivi quelli che caratterizzano entrambi gli
ordinamenti e dato che una medesima comunità sociale non può essere costituita da due
ordinamenti diversi» (H. KELSEN, Lineamenti di dottrina pura del diritto, 140). Non vi è atto dello
Stato che non sia un atto giuridico, cioè un atto di produzione o di esecuzione di norme giuridiche
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