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SENTENZE IN SANITÀ – TAR LAZIO
TAR LAZIO – sentenza n. 535/2003
Tutti i congiunti e i coeredi di una persona defunta possono accedere, a richiesta, alla cartella clinica
per meglio comprendere le cause del decesso; nessuno degli interessati può permettersi di diffidare
l’ospedale dal rilasciare copia della documentazione medica a qualunque altro soggetto al di fuori di se
stesso.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO SEZIONE TERZA
TER composto dai signori:
Francesco Corsaro
PRESIDENTE
Umberto Realfonzo
COMPONENTE
Stefania Santoleri
COMPONENTE, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 11489/02, proposto da ZULIANI MARCELLA, rappresentata e difesa dall’Avv.
Alessandro Marconi ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Ostia Lido, Viale
dei Misenati n. 50.
CONTRO
gli ISTITUTI FISIOTERAPICI OSPITALIERI – I.F.O. – in persona del legale rappresentante
p.t., rappresentati e difesi dall’Avv. Fabrizio Abbate ed elettivamente domiciliati presso il suo
studio sito in Roma, Corso di Francia n. 178.
e nei confronti
SASSI PAOLO, non costituito in giudizio
per l'annullamento
del silenzio rifiuto formatosi sulla richiesta di accesso, presentata in data 13/9/02, alla cartella
clinica della figlia della ricorrente deceduta presso gli I.F.O. e per l’accertamento del diritto ad
ottenere copia della suddetta cartella clinica.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;
Vista la memoria prodotta da parte resistente a sostegno delle proprie difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla Camera di Consiglio del 19 dicembre 2002 la Dott.ssa Stefania Santoleri, e udito,
altresì, l’Avv. Alessandro Marconi per la parte ricorrente.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
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TAR LAZIO - SENTENZA N. 535/2003
ESPOSIZIONE IN FATTO
Con reiterate istanze, la ricorrente, in qualità di madre della Sig.ra Maiorano Anna Paola ricoverata presso gli I.F.O. di Roma e lì deceduta il 27/1/02, ha chiesto il rilascio di copia della cartella clinica della figlia dichiarando di volerne conoscere il contenuto al fine di meglio comprendere le esatte cause che hanno portato al decesso della figlia.
L’Amministrazione, diffidata dal marito della defunta a rilasciare copia della documentazione
medica relativa alla moglie a qualunque altro soggetto al di fuori di esso, ha dapprima negato il
rilascio di copia della cartella clinica e poi non ha fornito ulteriori risposte alle successive istanze avanzate dalla ricorrente.
Con il presente ricorso la ricorrente ha quindi chiesto al Tribunale di voler ordinare l’esibizione
della suddetta documentazione.
L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso, dichiarandosi comunque disposta a rilasciare copia della cartella clinica qualora il Tribunale avesse
ritenuto sussistente il diritto della ricorrente.
Alla Camera di Consiglio del 19 dicembre 2002 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con il presente ricorso la ricorrente ha chiesto l’accertamento del suo diritto all’accesso alla cartella clinica della figlia, Sig.ra Anna Paola Maiorano, deceduta presso gli I.F.O. in data 27/1/02.
Con la nota del 19/3/02 gli I.F.O., dopo aver dichiarato che i legittimari hanno diritto all’accesso
della cartella clinica del defunto, hanno però negato alla ricorrente, legittimaria, l’estrazione di
copia a causa del dissenso manifestato dal marito della defunta, genero della ricorrente, sostenendo che in questo caso, essendo in contestazione la sussistenza del diritto della richiedente,
avrebbe dovuto preventivamente pronunciarsi l’autorità giudiziaria.
La ricorrente non ha prontamente impugnato il diniego del 19/3/02 ma ha reiterato l’istanza ed
ha quindi impugnato il silenzio rifiuto.
Preliminarmente ritiene il Collegio di dover accertare l’ammissibilità del ricorso atteso che la
ricorrente ha omesso di impugnare il diniego di accesso.
Giova richiamare al riguardo l’orientamento della giurisprudenza secondo cui il giudizio in materia di accesso non ha carattere impugnatorio, bensì si atteggia come rivolto immediatamente
all’accertamento della sussistenza o no del diritto dell’istante all’accesso medesimo (C.d.S. Sez.
VI 9/5/02 n. 2542; 23/2/99 n. 193).
Il giudizio in materia di accesso, è un giudizio sul rapporto, come può evincere, del resto, dal
comma 6 dell’art. 25 della L. n. 241/90, il quale all’esito del ricorso, prevede che il giudice,
“sussistendone i presupposti” ordina l’esibizione dei documenti richiesti e quindi accerta direttamente l’esistenza o meno del diritto alla luce del parametro normativo (così C.d.S. Sez. VI
9/5/02 n. 2542).
In merito alla questione in oggetto, la giurisprudenza ha più volte affermato che “il diritto di
accesso ai documenti amministrativi si configura come diritto soggettivo all’informazione, per
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cui le eventuali decisioni negative, anche divenute inoppugnabili per decorso del termine di cui
all’art. 25 comma 5 della L. 241/90, non fanno venir meno, sul piano sostanziale la posizione
giuridica dell’interessato all’accesso, potendo questi rinnovare l’istanza e riattivare così la tutela
giurisdizionale; ne consegue che la decorrenza del termine per l’impugnativa di un atto di diniego dell’accesso non preclude il nuovo esercizio del diritto all’informazione da parte del titolare….” (C.d.S. Sez. IV 22/1/99 n. 56; 16/4/98 n. 641; T.A.R. Abruzzo Sez. Pescara 24/3/99 n.
327; ecc.).
Ne consegue l’ammissibilità, sotto questo profilo, del ricorso.
Prima di passare ad esaminare la fondatezza o meno dell’istanza, e cioè accertare se
l’opposizione del marito della defunta, coerede insieme alla madre di essa, sia di per sé idonea
ad escludere il diritto di estrazione di copia della cartella clinica della persona deceduta, occorre
valutare se la ricorrente vanti la legittimazione al ricorso.
Ai sensi dell’art. 22 della L. n. 241/90, infatti, il diritto di accesso spetta soltanto a quei soggetti
che siano titolari di una situazione giuridicamente rilevante.
Comunque, la posizione che legittima all’accesso non deve necessariamente possedere tutti i requisiti stabiliti per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo avverso un atto lesivo
della posizione giuridica vantata, tra i quali l’attualità dell’interesse ad agire, essendo sufficiente
che l’istante sia titolare di un interesse giuridicamente rilevante e che il suo interesse alla richiesta di documenti si fondi su tale posizione (C.d.S. Sez. VI 16/6/94 n. 1015; ecc.).
In particolare deve ritenersi che la nozione di “interesse giuridicamente rilevante sia più ampia
rispetto a quella dell’interesse all’impugnazione, caratterizzato dall’attualità e concretezza
dell’interesse medesimo, e consenta la legittimazione all’accesso a chiunque possa dimostrare
che il provvedimento o gli atti endoprocedimentali abbiano dispiegato o siano idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di una posizione
giuridica (C.d.S. Sez. IV 3/2/96 n. 98; 14/1/99 n. 32; ecc.).
Correlativamente il concetto di interesse giuridicamente rilevante sebbene sia più ampio di quello di interesse all’impugnazione, nondimeno non è tale da consentire a chiunque l’accesso agli
atti amministrativi: il diritto di accesso ai documenti amministrativi non si atteggia come una
sorta di azione popolare diretta a consentire una sorta di controllo generalizzato sull’Amministrazione, giacché da un lato l’interesse che legittima ciascun soggetto all’istanza, da accertare
caso per caso, deve essere personale e concreto e ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso, e dall’altro la documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile a tale interesse oltre che individuata o ben individuabile (C.d.S. Sez. VI 17/3/2000 n. 1414; 3/11/2000 n.
5930).
Detti presupposti ricorrono nel caso di specie, atteso che la richiesta di accesso è stata presentata
da un soggetto, la madre, strettamente legata per ragioni parentali ed affettive alla defunta della
quale chiede di poter estrarre copia della cartella clinica; inoltre la richiesta di accesso è stata
motivata dall’esigenza di voler comprendere le ragioni del decesso, sottintendendo così la sussistenza di un vero e proprio interesse morale (ma forse anche prettamente giuridico giacché a seguito della conoscenza dei dati medici ben potrebbe, se del caso, attivarsi in sede giurisdizionale).
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E’ del tutto evidente che la richiesta di accesso non è stata avanzata da un soggetto qualunque,
ma dal titolare di una posizione qualificata che dalla conoscenza del documento in questione
(cartella clinica della figlia deceduta in ospedale) può trarre le dovute informazioni soddisfacendo un interesse meritevole di tutela, qual’ è quello alle informazioni sulle condizioni di salute
del proprio familiare, alle cure prestate presso la struttura ospedaliera e alle precise cause del
decesso.
Passando all’esame del merito, ritiene il Collegio di dover preventivamente precisare che nella
fattispecie, la problematica dell’accesso ai documenti sanitari, dati sensibili ai sensi della normativa sulla “privacy”, deve essere delineato tenendo conto delle precise circostanze di fatto:
non bisogna dimenticare, infatti, che i dati in questione riguardano una persona defunta, e che
comunque il rilascio di copia della cartella clinica alla madre della paziente deceduta non costituisce “diffusione” così come definita dall’art. 1 lett. h) della L. n. 675/96 (laddove per diffusione si intende “il dare conoscenza di dati personali a soggetti indeterminati”) per la quale opera il
divieto di cui all’art. 23 comma 4 della stessa L. n. 675/96.
Chi chiede i dati, inoltre, è erede della defunta (essendo la stessa deceduta senza aver avuto figli), come puntualmente ribadito dalla difesa della ricorrente anche alla Camera di Consiglio
nella quale è stata trattenuta in decisione la causa.
Quanto al primo aspetto, quello relativo all’accertamento dell’esistenza di un diritto alla riservatezza relativamente alle persone defunte, si ritiene comunemente che il suo fondamento possa
essere rinvenuto nella disciplina relativa al diritto di autore (L. 22/4/41 n. 633) ed in special
modo nell’art. 93 della legge, ove si fa espresso riferimento alle corrispondenze epistolari che si
riferiscano all’intimità della vita privata le quali non possono essere pubblicate o comunque riprodotte o portate a conoscenza del pubblico senza il consenso dell’autore, ed in caso di sua
morte, senza “ il consenso del coniuge o dei figli, o, in loro mancanza, dei genitori…..” e così
via.
Detta norma, sebbene affermi implicitamente l’esistenza di un diritto alla “privacy” anche dopo
la morte, sussistendo il diritto alla non divulgazione di dati afferenti propriamente l’intimità della vita privata anche successivamente al decesso, nondimeno non può essere utilizzata al fine di
statuire chi siano i soggetti legittimati a decidere se consentire o meno l’accesso agli atti relativi
alla persona defunta.
Nel caso in questione, infatti, come già ricordato, non viene in rilievo la divulgazione delle informazioni afferenti la persona defunta a seguito dell’autorizzazione alla pubblicazione dei suoi
scritti personali (e gli eventuali diritti patrimoniali connessi alla pubblicazione medesima) come
nel caso contemplato dall’art. 93 L. diritto d’autore, ma soltanto la comunicazione di dati attinenti alla salute di una paziente ad un familiare.
Non può quindi ritenersi utilizzabile la disposizione del medesimo art. 93 laddove richiede il
consenso del coniuge e dei figli (ed in mancanza dei genitori o degli altri congiunti contemplati
dalla norma), ed in caso di dissenso (facendo quindi intendere che occorre sempre il consenso di
tutti i soggetti) rimette la decisione all’autorità giudiziaria.
Deve essere più propriamente richiamata la disciplina sulla “privacy” che in generale prevede in
caso di trattamento dei dati (non sensibili) il diritto dell’interessato di conoscere l’esistenza di
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trattamento di dati che possono riguardarlo, la comunicazione in forma intelligibile dei medesimi dati (art. 1 comma 1 L. n. 675/96) e statuisce che i diritti in questione riferiti ai dati personali
concernenti persone decedute possono essere esercitati da chiunque vi abbia interesse (art. 13
comma 3 L. 675/96).
Più rigida è la disciplina relativa al trattamento dei dati sensibili (art. 22) tra i quali rientrano anche quelli idonei a rivelare lo stato di salute, che possono essere oggetto di trattamento solo con
il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante (comma 1); inoltre il trattamento dei dati in questione da parte di soggetti pubblici, è consentito solo se espressamente
autorizzato da una disposizione di legge, ovvero in mancanza, previa autorizzazione del Garante
(art. 22 comma 3 L. n. 675/96).
Per ciò che concerne propriamente il trattamento dei dati relativi alle condizioni di salute di
soggetti terzi da parte degli esercenti le professioni sanitarie, art. 23 della più volte citata legge
sulla “privacy” stabilisce il diritto al loro trattamento prescindendo dall’autorizzazione da parte
del Garante, mentre per ciò che concerne la manifestazione del consenso al trattamento il comma 1 quater stabilisce che in caso di “incapacità di agire, ovvero di impossibilità fisica o di incapacità di intendere o di volere, il consenso al trattamento dai dati idonei a rivelare lo stato di
salute è validamente manifestato nei confronti di esercenti le professioni sanitarie e di organismi
sanitari, rispettivamente, da chi esercita legalmente la potestà ovvero da un familiare, da un
prossimo congiunto, da un convivente, o, in loro assenza, dal responsabile della struttura presso
cui dimori”.
A giudizio del legislatore, quindi, il titolare del diritto alla riservatezza (e quindi soggetto autorizzato al trattamento dei dati relativi allo stato di salute) è il soggetto medesimo, oppure in caso
di sua incapacità, non soltanto chi lo rappresenti legalmente, ma anche un semplice “familiare”,
un “prossimo congiunto” dimostrandosi così che la legittimazione a fornire il consenso al trattamento dei dati sanitari da parte delle strutture mediche non si radica esclusivamente sulla base
di precise posizioni giuridiche, ma anche sul mero rapporto affettivo.
Sebbene detta norma, dettata per i casi di contingibile necessità, non risulti direttamente applicabile al caso di specie, in cui non si è in presenza di una situazione di incapacità
dell’interessato a prestare il consenso, - ma nella sostituzione di un terzo (suo congiunto ed erede) all’esercizio dei suoi diritti (acquisire copia della sua cartella clinica) -, nondimeno detta
norma, può essere comunque utilizzata, perché consente di evincere un principio generale, quello secondo cui, dopo la morte, il diritto a conoscere i dati relativi alle condizioni di salute di un
familiare, non sono disciplinate propriamente dalla normativa ereditaria dettata per finalità del
tutto diverse.
Gli eredi, in quanto subentranti nella posizione giuridica del defunto, sono ovviamente legittimati ad esercitare i diritti a lui spettanti (tra i quali rientra ovviamente anche quello a prestare il
consenso al trattamento dei dati personali anche sensibili, e quindi ad estrarre copia della documentazione sanitaria a lui pertinente), ma le regole che disciplinano l’esercizio di detto diritto
non sono quelle proprie della normativa sulle successioni, poiché, come già ha avuto modo di
chiarire la giurisprudenza, l’accesso alla documentazione sanitaria del congiunto, non risulta in
alcun modo pregiudizievole per i coeredi, non implica alcuna “deminutio” delle prerogative e-
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reditarie, ovvero l’esclusione da informazioni utili con l’appropriazione esclusiva da parte di un
coerede in danno di un altro, né la disposizione di alcun diritto ereditario.
Appare quindi del tutto irragionevole l’imposizione di un consenso di tutti i coeredi per
l’esercizio di un diritto all’informazione che, oltretutto, appare inerire più alla qualità di congiunto, e quindi autonomamente a chiunque si trovi in tale relazione di parentela, che non a
quella di coerede (T.A.R. Piemonte Sez. II 19/3/92 n. 65).
Ne consegue l’irrilevanza dell’opposizione manifestata dal coerede della paziente deceduta,
considerato che l’interesse ad acquisire notizie in merito alle condizioni di salute, alle cure e alle
cause del decesso di una paziente, spettano autonomamente e disgiuntamente a ciascuno dei legittimari in quanto di per sé titolari di una posizione giuridicamente rilevante.
Il ricorso deve essere pertanto accolto, dichiarandosi l’obbligo per gli I.F.O. di rilasciare alla ricorrente copia della cartella clinica della figlia, Sig.ra Anna Paola Maiorano deceduta presso la
struttura ospedaliera in questione in data 27/1/02.
Le spese di lite possono essere equamente compensate tra le parti, ricorrendone giusti motivi.
P. Q. M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio- Sezione Terza Ter- accoglie
il ricorso in epigrafe indicato e per l’effetto ordina all’Amministrazione resistente l’esibizione
della documentazione di cui in motivazione.
Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 dicembre 2002.
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