Inibitori della Farnesil transferasi - Università di Catanzaro Facoltà di

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI “MAGNA GRÆCIA”
DI CATANZARO
FACOLTÀ DI FARMACIA
Scuola di Specializzazione
in
Farmacia Ospedaliera
Corso di
Chimica Farmaceutica e Tossicologica I
Inibitori della Farnesil transferasi
Dott.ssa Antonia Devito
Matr. 94690
ANNO ACCADEMICO 2006-2007
INDICE
INTRODUZIONE
pag. 3
FARNESIL TRANSFERASI
pag. 6
- Complessi della farnesil transferasi
pag. 8
INIBITORI ENZIMATICI
pag. 10
- Derivati isoprenoidi
pag. 11
- Peptidomimetici
pag. 11
- Bisubstrati mimetici
pag. 15
CONCLUSIONI
pag. 16
BIBLIOGRAFIA
pag. 17
2
INTRODUZIONE
I progressi scientifici delle ultime decadi hanno portato alla comprensione di molti
meccanismi molecolari alla base delle patologie neoplastiche che sono causa di mortalità in costante
aumento.
Da numerosi studi condotti è risultato sempre più chiaro come la proteina Ras giochi un
ruolo fondamentale nella crescita e nella proliferazione cellulare.
Ras è una piccola proteina di 21 kDa con attività GTPasica, ubiquitariamente espressa, che
funziona da interruttore cellulare alternando uno stato attivo, in cui è legato il GTP, ad uno inattivo,
in cui è legato il GDP. L’affinità di Ras per il GDP è molto più alta di quella per il GTP, perciò il
complesso inattivo Ras-GDP si accumula all’interno della cellula [1].
Ci sono tre proto-oncogeni Ras codificanti per quattro proteine (H-Ras, N-Ras, K-Ras4a e
KRas4b) le quali si localizzano all’interno della membrana plasmatica e trasmettono vari segnali
indotti da fattori di crescita (EGFR, HER-2, PGRF), citochine (interleuchine 2 e 3) e ormoni
(insulina, I-LGF) [2].
Dopo l’attivazione del recettore tirosin-chinasico sulla membrana cellulare, Grb2 (proteina
legante il fattore di crescita) lega il recettore fosforilato e recluta SOS, un fattore di scambio di
nucleotidi guaninici, che stimola il legame Ras-GTP. Ras può attivare così molte vie trasduzionali,
tra cui la cascata Raf-MEK-ERK (chinasi a varia specificità che regolano il segnale extracellulare),
infatti, in seguito all’attivazione di Raf tramite il suo reclutamento nei pressi della membrana
plasmatica, c’è un’attivazione sequenziale delle chinasi sottostanti MEK1,2 e ERK1,2 che
fosforilano ulteriori substrati proteici (Fig.1) [3].
Fig. 1 Rappresentazione della via trasduzionale operata dalla proteina Ras.
3
Mutazioni puntiformi del gene Ras (sui codoni 12, 13 e 61) sono oncogeniche o trasformanti
poiché portano alla produzione di proteine con sequenza aminoacidica alterata che perdono
l’autocapacità di idrolizzare il GTP a GDP e mantengono permanentemente attivate le vie effettrici
sottostanti, anche in assenza di stimolazione extracellulare.
In aggiunta a tali effetti sulla proliferazione cellulare, Ras può essere coinvolta in molte vie
mediatrici della sopravvivenza delle cellule tumorali. Quando le cellule epiteliali si staccano dalla
loro matrice extracellulare vanno incontro a specifiche forme di apoptosi, ma alcune evidenze
mostrano che Ras può prevenire questo processo, in associazione alla crescita indipendente
dall’ancoraggio. Secondariamente Ras può contribuire alla sopravvivenza cellulare tramite la via
della fosfatidilinositolo-3-chinasi attraverso il legame della subunità p110, quindi attivando la via di
segnale dell’AKT che può risultare nella soppressione della morte cellulare programmata.
Infine, l’espressione di proteine Ras mutate è associata ad up-regulation del VEGF (fattore
di crescita endoteliale vascolare) che facilita la sopravvivenza attraverso l’induzione
dell’angiogenesi tumorale [2].
Le mutazioni attivanti in K-Ras sono prevalenti in alcuni tumori epiteliali, tra cui cancro al
pancreas (>90%), cancro al colonretto (50%) e cancro al polmone (30%); quelle in N-Ras si
riscontrano nel melanoma (10-20%) e in certe forme ematologiche e, sebbene rare, in H-Ras per il
cancro alla vescica (15-20%). Al contrario non risultano comuni nel cancro al seno o nei gliomi
dove Ras è spesso superattivata dalle vie di segnale tramite i fattori di crescita [3].
Affinché Ras possa funzionare correttamente nella cascata trasduzionale, deve essere
associata fisicamente alla superficie interna della membrana plasmatica tramite una serie di
modifiche strutturali [4] (Fig.2).
Il primo step è la farnesilazione, in cui un isoprenoide farnesilico a 15 atomi di carbonio è
trasferito da un farnesil difosfato (FPP), prodotto intermedio della biosintesi del colesterolo, per
formare un legame tioetere con la cisteina del tetrapeptide CaaX C-terminale della proteina
(costituito da un residuo di cisteina C, seguito da due piccoli residui a, generalmente alifatici
rappresentati da leucina, isoleucina o valina, e un residuo X con metionina o serina che conferisce
specificità [5]), reazione questa catalizzata da proteine prenilanti quali Farnesil transferasi (FT) e
Geranilgeranil transferasi (GGT).
A ciò seguiranno, nel reticolo endoplasmatico, altre reazioni importanti per impartire un
maggiore carattere idrofobico alla porzione C-terminale e migliorare l’affinità con il doppio strato
lipidico della membrana plasmatica: un’operazione di clivaggio tramite l’enzima convertente Ras
(Rce1), proteasi che rimuove i tre aminoacidi aaX, e una carbossimetilazione della cisteina
farnesilata tramite l’isoprenilcisteina metiltrasferasi (ICMT) usando S-adenosinlmetionina come
4
donatore del gruppo metilico. Nel caso specifico H-Ras e N-Ras subiscono un’ulteriore modifica
lipidica per aggiunta di un residuo palmitoilico adiacente al gruppo farnesilico, in una reazione
catalizzata dalla proteina palmitoil trasferasi, mentre K-Ras non subisce palmitoilazione poiché
contiene un tratto aminoacidico altamente basico, adiacente alla cisteina farnesilata, che serve a
rinforzare l’affinità membranale grazie ad interazioni elettrostatiche.
Fig. 2 Rappresentazione delle reazioni post-traslazionali subite dalle proteine Ras.
Le forme complete di Ras saranno quindi trasportate dal reticolo endoplasmatico lungo una
via secretoria e associate al doppio strato lipidico [3], dove, in risposta a segnali superiori mediati
dalle tirosinchinasi, passeranno ciclicamente dallo stato attivo legante GTP a quello inattivo legante
GDP [2].
Numerosi studi hanno determinato il ruolo di ogni passaggio, in loro assenza infatti si ha
uno scarso ancoraggio della proteina alla membrana e conseguente riduzione o mancanza
dell’attività biologica [3] e in particolar modo la farnesilazione sembra essere una reazione
fondamentale in tutto il processo.
Tali evidenze hanno portato a considerare e a studiare l’enzima farnesil transferasi come
possibile bersaglio di terapie antitumorali, sfruttando molecole inibitrici, in modo da impedire
l’attivazione di proteine Ras mutate e la successiva proliferazione cellulare non controllata.
5
FARNESIL TRANSFERASI
L’enzima farnesil transferasi è stato identificato all’inizio degli anni ’90 in un certo numero
di specie, oltre che nei mammiferi anche nei funghi, nelle piante e nei protozoi dov’è fondamentale
la sua presenza e corretta funzione.
Catalizza una reazione di farnesilazione tramite un meccanismo di legame ordinato, in cui
una molecola di farnesil difosfato (FPP) si lega all’apoenzima, seguita dal legame del substrato
peptidico; lo step limitante risulta essere il rilascio del prodotto farnesilato che si ha solo in presenza
di un eccesso di isoprenoide difosfato [6].
L’enzima è una preniltransferasi Zn2+-dipendente contenente due eterodimeri α e β costituiti
da numerose α-eliche. Nella subunità α , le α-eliche 2-15 si ripiegano in una nuova struttura “a
forcina”, risultante in un dominio a forma di mezzaluna che coinvolge parte della subunità β. Dalla
parte opposta, le 12 eliche della subunità β formano un α-α cilindro. Sei eliche aggiuntive collegano
il nucleo interno delle eliche e formano la porzione esterna del cilindro. Una profonda insenatura
circondata da aminoacidi idrofobici al centro del cilindro è proposta come tasca per il legame del
farnesil difosfato [7] (Fig.3).
Fig. 3 Struttura completa della Farnesil transferasi
Il dominio N-terminale (50 aa) è ricco di proline e può interagire con altri fattori cellulari,
forse funzionando nella localizzazione enzimatica, tanto che la sua eliminazione non intacca
l’attività catalitica o la struttura del resto della proteina; in assenza di alcuni partners tale dominio
può essere anche disteso [6].
6
Un singolo ione Zn2+ è localizzato alla giunzione tra la superficie α idrofilica e la fessura
nella subunità β ed è coordinato da tre residui altamente conservati: D297 e C299, localizzati
sull’elica N-terminale, e H362 nell’elica 13 della subunità β. La sostituzione della cisteina con
alanina risulta in una bassa affinità per lo ione e abolisce l’attività enzimatica [7]. Strutture
cristalline hanno rivelato anche la presenza di un legame H stabilizzante tra D359 e H362 che ne
aumenta il grado di coordinazione.
Lo zinco è richiesto per l’attività catalitica dell’enzima e studi hanno dimostrato che il tiolo
della cisteina forma una piccola interazione (2.3 Å) con esso nel complesso con il substrato e una
leggermente maggiore (2.6 Å) nel complesso con il prodotto (Fig. 4) [6]
Fig. 4 Coordinazione dello zinco in un complesso ternario con il substrato (A) e in un complesso con il
prodotto peptidico farnesilato (B)
7
Complessi della Farnesil transferasi
Substrati naturali dell’enzima sono le molecole di farnesil difosfato e il tetrapeptide CaaX di
alcune proteine [5].
Per comprendere meglio la sua conformazione strutturale, la FT è stata studiata anche
complessata con FPP e come complesso ternario contenente un anologo FPP inattivo e un substrato
peptidico CaaX; comunque molte caratteristiche dell’apoenzima si presentano anche nei complessi
[7]
Nel complesso binario l’isoprenoide si lega lungo un lato della cavità idrofobica del cilindro
in forma estesa (Fig. 5), interagendo con un certo numero di residui aromatici, mentre il difosfato si
lega in una fessura carica positivamente al bordo dello stesso cilindro, formando una serie di legami
H con l’enzima [6].
Fig. 5 Legame dell’isoprenoide difosfato nella cavità idrofobica dell’enzima.
Nel complesso ternario la struttura rimane essenzialmente identica a quella dell’apoenzima,
ad eccezione di un piccolo riarrangiamento nella catena laterale nei pressi del sito di legame del
difosfato.
Il peptide schiaccia così l’isoprenoide contro la parete della cavità idrofobica nascondendo
una porzione di area accessibile all’analogo isoprenoide e sequestrando completamente la terza
unità isoprenica dal solvente. La posizione e la conformazione degli analoghi inattivi sono simili a
quelle osservate nei complessi binari e i residui enzimatici che interagiscono con il difosfato
possono interagire anche con gli analoghi, confermando che il legame dell’isoprenoide difosfato
precede il legame del peptide.
8
In ogni struttura l’isoprenoide assume un’ampia parte della superficie di legame della
sequenza Caax con la seconda e terza unità isoprene, tramite interazioni di Van der Waals
particolarmente con i residui a2 e X del tetrapeptide (Fig. 6).
Fig. 6 Legame del substrato CaaX all’enzima, opposto al substrato difosfato. In viola è mostrato anche
l’analogo FPP e in blu scuro lo ione zinco catalitico.
Infatti, in questi complessi ternari, la porzione del CaaX si lega nella cavità idrofobica della
subunità β in una conformazione estesa. Come predetto, il residuo di cisteina coordina lo ione Zn2+,
la catena laterale del residuo di valina in posizione a1 è rivolta al solvente senza creare alcuna
interazione con l’isoprenoide. La catena laterale dell’isoleucina in posizione a2 invece è in stretta
prossimità dell’isoprenoide, con cui ha interazioni idrofobiche, e il suo scheletro carbonilico
partecipa ai legami H con l’enzima. La porzione carbossilata del residuo X (metionina) forma
legami H e interazioni di Van der Waals con una serie di residui enzimatici che nascondono
un’ampia parte di superficie accessibile al residuo stesso.
Ciò determina che le sole interazioni dirette tra la sequenza CaaX e l’enzima sono quelle tra
lo Zn2+ e la cisteina e i legami H che coinvolgono gli atomi di ossigeno carbonilico del residuo di
isoleucina (a2) e il C-terminale carbossilato.
Ulteriori studi su strutture cristalline di complessi ternari privi di Zn2+ hanno dimostrato che
lo ione non è richiesto per mantenere il ripiegamento tridimensionale dell’enzima; i substrati,
infatti, conservano la stessa conformazione e lo stesso tipo di legame, l’unica differenza notata è per
la cisteina e la valina del tetrapeptide che formano una β-rotazione, nella quale il tiolo cisteinico è
9
spostato di 9 Å dalla normale posizione. Ciò ha dimostrato che è proprio l’interazione zinco-tiolo ad
ancorare il residuo aminoacidico, mantenendo il peptide in una forma distesa, e che, pur non
essendo strettamente richiesto per il legame della porzione CaaX, lo ione Zn2+ è richiesto per
orientare il tiolo e stabilizzare la conformazione del peptide ai fini del processo catalitico.
L’attacco del peptide è comunque un processo altamente selettivo, tanto che altri studi
hanno dimostrato la presenza di due punti di ancoraggio fissi nella porzione di riconoscimento che
fa interazioni specifiche con l’enzima e distingue tra peptidi troppo corti o troppo lunghi o che
mancano della cisteina nella corretta posizione. La posizione a1 è esposta al solvente e può
accogliere ogni aminoacido, entrambe le posizioni a2 e X invece sono nascoste nel sito attivo e di
conseguenza sono i maggiori determinanti della selettività tramite complementarietà sterica ed
elettrostatica tra aminoacidi della catena laterale e residui enzimatici. Perciò essendo una porzione
maggiormente polare verranno ad esempio accettati meglio metionina e serina [6].
INIBITORI DELLA FARNESIL TRANSFERASI
Dalla comprensione dei meccanismi molecolari è stato possibile identificare tre classi
principali di molecole inibitrici della proteina, di diversa natura chimica:
-
derivati isoprenoidi;
-
peptidi competitivi (mimetici e non);
-
bisubstrati.
Molti di questi sono stati studiati ampiamente e alcuni sono gia in fase di studio clinico
come agenti terapeutici antitumorali [5].
I loro effetti farmacologici sono stati studiati su varie linee cellulari tumorali dove spesso
hanno manifestato maggiore citostaticità che citotossicità. Essi, infatti, bloccano la crescita di un
certo numero di linee cellulari tumorali sia in vitro che in vivo, conducendo ad un accumulo delle
fasi G2/M del ciclo cellulare e l’arresto in fase G1, ad esempio nelle cellule che esprimono forme di
H-Ras mutate.
In associazione ad altri composti antitumorali possono però anche indurre apoptosi [3].
Nella seguente trattazione si è focalizzata l’attenzione sull’aspetto riguardante le interazioni
tra la loro struttura e l’enzima, che conducono all’inibizione di quest’ultimo.
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INIBITORI ISOPRENOIDE-DIFOSFATO DERIVATI
Di questa classe fanno parte composti come la manumicina (fig. 7 A), prodotto naturale
derivato da Streptomyces, che, pur legandosi, ha un’affinità più bassa per l’enzima rispetto al FPP e
l’acido α-idrossifarnesil fosfonico (fig. 7 B), di sintesi, che al contrario ha un’affinità 10 volte
maggiore del FPP [5].
Fig. 7 A: Struttura della manumicina
Fig. 7 B: Struttura dell’acido α-idrossifarnesil fosfonico
Le analisi di struttura-attività di una serie di derivati isoprenoidi indicano che i più potenti
conservano un gruppo farnesilico idrofobico e porzioni cariche negativamente che mimano il
difosfato. Tale studio ha rivelato anche l’effetto della lunghezza della catena idrofobica sull’attività
enzimatica, poiché l’allungamento del farnesile con un singolo atomo di carbonio risulta in una
diminuizione dell’IC50 di circa 200 volte. Gli analoghi si legano in modo simile al loro substrato
controparte e possono interagire ampiamente sia con l’enzima che con la porzione CaaX [6].
INIBITORI PEPTIDO COMPETITIVI
Peptidomimetici
La caratterizzazione iniziale dell’enzima ha subito dimostrato che esso poteva essere inibito
da piccoli peptidi CaaX.
Il primo ad essere stato identificato fu il tetrapeptide CVFM (fig. 8) a cui ne seguirono altri.
Fig. 8 Struttura del tetrapeptide CVFM
11
Dal punto di vista strutturale, gli studi hanno dimostrato che i più efficaci contengono un
aminoacido aromatico o alifatico non polare in posizione a1 e a2, con la possibilità di continuare ad
agire come substrati, mentre l’aggiunta di un residuo aromatico come la fenilalanina in posizione a2
elimina la prenilazione, risultando in un inibitore competitivo puro. Ugualmente la rimozione o
sostituzione del gruppo amino sulla cisteina del tetrapeptide inibitorio ripristina l’attività catalitica.
Poiché tali composti sono di origine peptidica, presentano tre importanti svantaggi per
l’attività in vivo: scarso uptake cellulare, rapida degradazione e fanesilazione (in alcuni casi), che
risultano nella perdita del potere inibitorio. Ciò ha portato a procedere nello studio di tali molecole
con opportune modifiche sulla sequenza aminoacidica con l’ottenimento di profarmaci [5].
Il meccanismo di inibizione è stato comunque studiato usando strutture cristalline
dell’enzima complessato con il tetrapeptide non substrato (CVFM), l’esapeptide substrato
(TKCVFM) e l’inibitore peptidomimetico L-739,750 (prodotto metabolico del profarmaco L744,832) [8].
Ognuna di queste molecole si lega nel sito di legame del peptide; i due inibitori CVFM e L739,750 adottano una conformazione simile, stabilizzata da un legame H tra l’azoto terminale
dell’inibitore e un ossigeno nel difosfato, così come da interazioni idrofobiche tra la catena laterale
fenilalanina-derivata dell’inibitore e molti residui aromatici dell’enzima (fig. 9). In entrambi i
complessi, l’inibitore si lega nello spazio tra l’isoprenoide e lo ione Zn2+ e interferisce con il
movimento dell’isoprenoide stesso durante la reazione, prevenendo la formazione del legame.
Fig. 9 Confronto tra le conformazioni del substrato e del non substrato
12
Inibitori non peptidici
Altra classe numerosa di peptidocompetitivi include molecole che non sono derivate da
peptidi ma si legano ugualmente al sito di legame per il CaaX dell’enzima.
Molti di questi composti sono stati caratterizzati e già valutati in studi clinici di fase I, II e
III per il trattamento di una serie di tumori umani.
Sono state determinate le strutture cristalline di un certo numero di questi inibitori
complessati con l’enzima; in ognuna di queste, i composti si legano nel sito legante il peptide senza
indurre grandi cambiamenti strutturali e partecipano con molte interazioni idrofobiche sia con la
proteina che con la molecola di difosfato e con un certo numero di legami H, diretti o mediati dal
solvente, con l’enzima.
Esempi di questi composti sono molecole come R115777, BMS-214662 e ABT-839, che si
sovrappongono nel sito della porzione CaaX [5].
R11577 o tipifarnib (Zarnestra™), inizialmente sviluppato come agente antifungino, è un
analogo chinolonico [9] con elevata specificità enzimatica e interessanti livelli di inibizione della
crescita [10] (fig. 10).
BMS-214662 invece è strutturalmente correlato alle benzodiazepine e ha ottima selettività
verso la farnesil transferasi [10] (fig. 10).
Fig. 10 Struttura di Tipifarnib e BMS-214662
I primi due coordinano lo ione Zn2+ catalitico mediante un gruppo imidazolico, mentre
ABT-839 possiede una metionina mimetica all’estremità della molecola che si può estendere
all’interno del sito di legame del residuo X (Fig. 11) [6].
13
Fig. 11 Farnesil transferasi complessata con FPP o analogo FPP acido idrossifarnesilfosfonico (viola) e
molecole inibitrici (arancio): R115777 (A), BMS-214662 (B) e ABT-839 (C) comparate con il
tetrapeptide CVIM.
Ulteriori studi hanno condotto alla caratterizzazione di una serie di composti triciclici,
formati cioè da tre anelli legati, con una coda contenente due o più anelli che si estende dall’anello
centrale a 7 atomi di carbonio.
Di questa serie fa parte SCH66336 o lonafarnib (SARASAR*) (fig. 12), un inibitore
reversibile dell’enzima.
Fig. 12 Struttura del lonafarnib
Esso assume una conformazione insolita nel sito attivo della farnesil transferasi: non è
coordinato dallo ione Zn2+ e si sovrappone solo alle porzioni a1 e a2 del substrato CaaX; inoltre una
sua porzione più grande si lega nel canale di uscita dove va a legarsi anche il gruppo prenilico del
prodotto farnesilato e ciò spiega l’affinità di legame verso l’enzima, pur mancando la coordinazione
dello zinco (Fig. 9) [6].
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Fig. 9 Farnesil transferasi complessata con FPP (viola) e l’inibitore SCH-66336 (arancio) comparato con il
peptide CVIM (grigio scuro) (A) e il prodotto peptidico (grigio chiaro) (B).
BISUBSTRATI MIMETICI
L’ultima classe di inibitori della farnesil transferasi include una varietà di molecole che
mimano un complesso bisubstrato e sono competitivi sia per l’isoprenoide difosfato che per i siti di
legame CaaX.
Molti di questi sono stati sintetizzati e caratterizzati, ma nessuno è stato studiato con metodi
strutturali [6].
Esempi sono BMS 187858 e BMS 184467, rispettivamente inibitore fosfinato e fosfonato,
che, pur manifestando effetti sull’enzima in vitro, hanno limitata attività sulle cellule complete,
probabilmente per la loro scarsa penetrazione cellulare, mentre BMS 186511 (profarmaco di BMS
187858) mostra buona attività cellulare e selettività per la farnesil transferasi (Fig. 10) [5].
Fig. 10 Struttura di BMS 185878, BMS 186511 e BMS 184467
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CONCLUSIONI
Gli inibitori della farnesil transferasi risultano essere una promettente classe di farmaci
antitumorali.
Le ultime evidenze indicano che anche altre proteine farnesilate, oltre Ras, sono coinvolte
nei loro effetti inibitori e la piena conoscenza dei loro meccanismi rimane un’area di ricerca
interessante.
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