FACOLTA’ DI FARMACIA E MEDICINA DOTTORATO DI RICERCA SCIENZE DI SANITÀ PUBBLICA E MICROBIOLOGIA Coordinatore: Prof. G. Tarsitani CICLO XXVI CURRICULUM IN MEDICINA SOCIALE E LEGALE Responsabile: Prof. S. Ricci LA RESPONSABILITÀ PENALE DEL MEDICO E LE PROBLEMATICHE CONNESSE AL RISCHIO CLINICO. UNA PROPOSTA DI RIFORMA Relatore Dottoranda Prof. Serafino Ricci Dott.ssa Domenica Pugliese Triennio 2010/2013 INDICE PARTE I Il nesso di causalità....................................................................... Pag. 4 1. Introduzione...................................................................................... >> 5 2. Il nesso di causalità nel diritto penale............................................ >> 3. Obbligo di impedire l’evento. I soggetti obbligati......................... >> 4. Il nesso di causalità nel reato omissivo.......................................... >> 6 12 16 5. Il nesso di causalità in ambito medico. Evoluzione giurisprudenziale .......................................................................................................... >> 17 6. La colpa penale medica.................................................................... >>31 6.1 La colpa penale medica nelle fasi del suo intervento............... >> 49 7. Il consenso del paziente all’atto medico......................................... >>54 PARTE II La medicina difensiva....................................................................Pag.69 8. Ricerca empirica sulla medicina difensiva....................................... >> 70 8.1 Premessa................................................................................... >> 70 8.2 Il campione anagrafico............................................................. >> 73 8.3 I comportamenti adottati dai medici......................................... >> 75 8.4 I fattori che hanno influenzato i comportamenti difensivi......... >> 79 8.5 Conclusioni................................................................................ >> 80 9. La ricerca presso il Tribunale di Roma........................................... >>81 9.1 Premessa.................................................................................. >>81 9.2 I principali risultati................................................................... >> 82 9.3 Considerazioni conclusive........................................................ >> 84 2 PARTE III Relazione di presentazione del progetto...................................... Pag.89 10. Premessa........................................................................................... >> 90 11. Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale........... >> 91 12. L’importanza della perizia medico- legale nel processo.................. >>92 13. Proposta di integrazione della disciplina della perizia.................... >>93 Bozza del disegno di legge..................................................................... >>95 Modifiche in tema di perizia.................................................................. >>98 GRAFICI E TABELLE..................................................................................... >> 99 BIBLIOGRAFIA............................................................................................... >> 100 GIURISPRUDENZA........................................................................................ >> 108 SITOGRAFIA................................................................................................... >> 117 3 PARTE I Il nesso di causalità 1. Introduzione....................................................................................Pag. 5 2. Il nesso di causalità nel diritto penale............................................ . >> 6 3. Obbligo di impedire l’evento. I soggetti obbligati........................... >> 12 4. Il nesso di causalità nel reato omissivo.......................................... >> 16 5. Il nesso di causalità in ambito medico. Evoluzione giurisprudenziale ..........................................................................................................>> 17 6. La colpa penale medica.................................................................. ..>> 31 6.1 La colpa penale medica nelle fasi del suo intervento............... >> 49 7. Il consenso del paziente all’atto medico........................................>> 54 4 1. Introduzione Il presente lavoro vuole esplorare più da vicino la responsabilità penale del medico e le problematiche ad essa connesse. Il tema nel corsi degli anni è stato ampiamente studiato dove è stato registrato una molteplicità di impostazioni dottrinali e giurisprudenziali, sintomo di incertezza degli operatori del diritto. La prima parte del nostro lavoro è dedicata a delineare nelle sue linee generali e istituzionali la figura del reato e dei suoi elementi costitutivi così come viene presentato nel diritto penale e nel nostro codice. Questa parte descrittiva è essenziale per comprendere come questi contenuti si declinano in ambito sanitario. Infatti, gli elementi del reato più discussi in ambito medico sono stati il nesso di causalità, soprattutto nelle fattispecie omissive improprie, e la colpa e ad essi verrà dedicata un’attenzione particolare. Il sistema legislativo reagisce all’errore medico con un modello accusatorio che ricerca il colpevole e non si preoccupa di predisporre un sistema preventivo agli errori tecnologici. I medici si sentono a rischio continuo di contenziosi penali e ciò li porta ad adottare comportamenti difensivi con pregiudizio della tutela della salute del paziente. Nella seconda parte si è proceduto ad analizzare il fenomeno della medicina difensiva e le principali motivazioni che inducono i medici a modificare la propria condotta con tali atteggiamenti e in che misura viene attuato. Per definire le dimensioni del fenomeno della medicina difensiva, abbiamo analizzato altresì lo stato del contenzioso giudiziario in materia di malpractice medica esistente presso il Tribunale di Roma. L’obiettivo principale della terza parte del lavoro è stato quello di realizzare un ipotesi possibile di riforma della materia riscrivendo le norme codicistiche idonee a garantire un livello sempre più elevato della tutela della salute al fine di porre un freno alla prassi diffusa nel settore medico della “medicina difensiva”, unico apparente rimedio, per evitare il pericolo di contenziosi. Di recente è intervenuta la legge 8 novembre 2012 n. 189, di conversione del D.L. 158/2012, dove all’art. 3 prevede la depenalizzazione, a determinate condizioni, della colpa lieve dell’esercente la professione sanitaria. La giurisprudenza ha ritenuto che la novella legislativa abbia introdotto una abolitio criminis, ex art. 2 c.p., con applicazione della norma più favorevole al reo, ravvisando, nell’art. 3 l. cit. la parziale abrogazione delle fattispecie colpose commessi dagli esercenti le professioni sanitarie connotate da colpa lieve che si collocano all’interno di linee guida o 5 pratiche mediche virtuose accreditate dalla comunità scientifica. Se la colpa lieve esclude la responsabilità penale, resta ferma la responsabilità civile ex art. 2043 c.c., da far valere esclusivamente in sede civile. Secondo noi, questa novità legislativa salutata con favore dalla magistratura non elimina la necessità di un intervento normativo. Riteniamo che le nuove norme non siano formulate giuridicamente in modo corretto e che la riforma della materia debba avvenire in modo diverso attraverso la modifica delle norme contenute nel codice penale e procedura penale. Per tali motivi, abbiamo elaborato quello che secondo noi potrebbe essere un ipotesi di riforma possibile della responsabilità professionale. La nostra proposta è quella di considerare la responsabilità penale del medico, in aderenza al principio costituzionale, una extrema ratio, riservando l’intervento giudiziario ai soli casi di “grave” errore medico e prevedendo al contempo, strumenti di tutela extrapenali. 2. Il nesso di causalità nel diritto penale Per poter arrivare a definire un ipotesi di intervento di riforma legislativa in ambito penale, che è lo scopo del nostro lavoro, è necessario preliminarmente effettuare un approfondimento su alcuni istituti e categorie del diritto penale. L’indagine penalistica ha finalità di esplicazione iniziale della materia necessaria, per il successivo studio in ambito clinico e sanitario. Possiamo definire il reato come un “atto giuridico illecito” che consiste in una condotta umana contrastante con una determinata norma al quale l’ordinamento ricollega come conseguenza una sanzione penale1. Due sono gli elementi fondamentali del reato2: l’elemento oggettivo (fatto 1 Tale definizione è di natura formale poiché si basa sulle conseguenze giuridiche, la pena, che il legislatore riconnette ai fatti. Sotto un profilo astratto il reato è “il fatto tipico o fattispecie legale” cioè il comportamento vietato descritto dalla norma; in concreto, come fatto storico che si verifica nella realtà è “il fatto conforme alla fattispecie legale”. Mantovani, F.: Diritto Penale. Cedam, Padova, 1994, p.50. Parte della dottrina penalistica ha elaborato una concezione sostanziale del reato. Si è ritenuto che il reato è “un fatto che offende gravemente l’ordine etico e per tale ragione non può essere tollerato dallo Stato”. Maggiore, Diritto penale, v. I. Bologna, 1951, p. 189. Il Garofolo ne dette questa definizione: “il reato è la violazione dei sentimenti altruistici fondamentali della pietà e della probità, secondo la misura media in cui si trovano nell’umanità civile, per mezzo di azioni nocive alla collettività”. Garofalo, Criminologia. II ed. Torino 1891, p. 2. Per Ferri-Berenini “Sono azioni punibili (delitti) quelle determinate da moventi individuali (egoistici) antisociali, che turbano le condizioni di vita e contravvengono alla moralità media di un popolo in un dato momento”. Ferri, Principi di dir. Criminale.Torino 1928, p. 383. Berenini, Offese e difese. Parma 1884, p. 148. Per Crispigni sono 6 materiale): costituito dall’azione3 od omissione4 del soggetto5, dall’evento6 e dal nesso di causalità che deve intercorrere tra condotta ed evento; l’elemento soggettivo (colpevolezza): costituito dall’atteggiamento psichico del soggetto richiesto dalla legge per la commissione di un dato reato ai fini dell’imputazione soggettiva del fatto reati: “quelle azioni che, a giudizio delle persone autorizzate a porre le norme giuridiche, rendono impossibile o mettono in grave pericolo l’esistenza e la conservazione della società. Crispigni, Diritto penale Italiano, v. I, p. 144. Per Antolisei il reato è: “quel comportamento umano che, a giudizio del legislatore, contrasta coi fini dello Stato ed esige come sanzione una pena criminale”. Antolisei, Manuale di Diritto Penale. Parte Generale. Giuffrè, Milano 1997 p. 168. La concezione formalesostanziale: “il reato è un fatto umano che aggredisce un bene giuridico ritenuto meritevole di tutela da un legislatore che si muove nel quadro dei valori costituzionali; sempreché la misura dell’aggressione sia tale da far apparire inevitabile il ricorso alla pena e le sanzioni di tipo non penale non siano sufficienti a garantire una efficace tutela”. Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte Generale. Bologna, 1994, p.132 2 Nel testo viene fatto riferimento alla teoria della bipartizione. Secondo questa teoria l’antigiuridicità, e cioè il contrasto tra il fatto e la norma, non costituirebbe un terzo, autonomo elemento essenziale del reato ma, sarebbe “l’essenza”, la “natura intrinseca del reato”. In tale prospettiva, la presenza di una causa di giustificazione (es. legittima difesa), non esclude semplicemente l’antigiuridicità ma esclude l’esistenza del fatto tipico (reato). Dunque, le cause di giustificazione sono elementi negativi del fatto, cioè elementi che devono mancare affinchè un fatto possa costituire reato. La teoria della tripartizione invece ritiene che gli elementi del reato siano tre: il fatto, l’antigiuridicità e la colpevolezza. L’antigiuridicità si desume da due note: una positiva (la conformità del fatto concreto al modello astratto di reato configurato dal legislatore) e l’altra negativa (la mancanza di cause di giustificazione). Gli oppositori ritengono che il difetto di tale tripartizione consiste nel degradare l’antigiuridicità ad elemento costitutivo del reato, mentre ne costituisce la natura intrinseca, il carattere essenziale. Antolisei, F., op. cit. p. 289 3 L’azione è il movimento del corpo idoneo ad offendere l’interesse protetto dalla norma o l’interesse statuale perseguito dal legislatore attraverso l’incriminazione. Mantovani, F., op. cit. p. 164 4 La dottrina ha elaborato la teoria dell’aliud agere, enunciata per la prima volta dal criminalista tedesco Luden: l’omissione, come comportamento di un soggetto non è un quid vacui, non è il nulla. L’omittente non rimane inerte, ma fa qualche altra cosa; se non compie l’azione che da lui si aspettava, ne compie un’altra. Luden, Abhandlungem aus dem gemeinen deutschen Strafretcht. V. II, 1840, pp. 250 ss.Tale tesi non può accettarsi perchè chi omette di agire non sempre compie un’altra azione, continuando a rimanere inerte. La dottrina dominante riconosce all’omissione una natura non fisica ma normativa. L’omissione non è altro che: “il mancato compimento dell’azione che si attendeva da un uomo”. Antolisei, F., op. cit., p. 223. 5 Nella dogmatica del reato si distinguono reati di azione e reati di omissione. L’azione è un comportamento attivo, un movimento del corpo che incide nel mondo esteriore idoneo ad offendere o ad esporre a pericolo l’interesse protetto dalla norma. I reati di azione consistono nel compimento dell’azione vietata. L’omissione è un comportamento passivo, inattivo che consiste nel non compiere l’azione che si aveva l’obbligo giuridico di compiere. L’azione è dunque un quid naturalistico perchè può essere osservata nella sua realtà fattuale, l’omissione è invece un quid normativo perché si può solo pensare la condotta che doveva tenersi e che non è stata tenuta. Fiandaca, G., Musco, E.: Diritto penale. Parte generale. Bologna 2007, p. 209 Mantovani, F.: Diritto penale. Parte generale. Padova, 2007, p. 124. Antolisei, F.: Manuale di diritto penale. Parte generale. Giuffrè, Milano, 2003, p. 225 Ramacci, F.: Corso di diritto penale. Torino 2005, p. 286 6 L’evento, secondo la concezione naturalistica, è l’effetto naturale della condotta che il diritto prende in considerazione, in quanto connette al suo verificarsi conseguenze di carattere penale. Secondo la concezione giuridica l’evento consiste nell’offesa (lesione o messa in pericolo) dell’interesse protetto dal diritto. Se nella concezione naturalistica l’evento può mancare, in quella giuridica è elemento essenziale. Antolisei, F.: Manuale di diritto penale. Parte generale. XIII ed. Giuffrè, Milano, 1997 p. 224 7 criminoso (dolo, colpa, preterintenzione) 7. In tale sede, si analizza in particolar modo il nesso di causalità nei suoi aspetti generali e nello specifico in ambito medico, dove i criteri per l’accertamento del nesso eziologico sono stati oggetto di una vivace evoluzione giurisprudenziale. Come avremo modo di vedere in tale materia, la regola probatoria per la ricostruzione del rapporto di causalità è mutata nel tempo soprattutto con riferimento alla causalità omissiva cioè nei reati omissivi impropri 8. La ricerca del nesso di causalità assume rilievo nel diritto penale, in considerazione del principio di responsabilità personale sancito dalla Costituzione all’art. 27 Cost.9 e delle conseguenze che la sanzione penale comporta per l’autore del fatto di reato. Il nesso o rapporto di causalità può essere definito come il rapporto che unisce il comportamento (condotta) assunto dal colpevole nel commettere un reato alla conseguenza dannosa (evento). Si pone quindi il problema di stabilire quando, ai sensi e per gli effetti dell'ordinamento penale, un evento possa dirsi conseguenza di una determinata condotta. Le norme del codice penale dedicate al nesso di causalità sono gli artt. 40 e 41 c.p. L’art. 40 c.p. stabilisce che un evento, per essere ascrivibile all'imputato, deve essere “conseguenza” della sua azione od omissione e specifica che non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.10 In primo luogo bisogna accertare se una data condotta è scientificamente causa di un dato evento per poi poter oggettivamente imputare l’evento di modo che la condotta sia anche penalmente rilevante. Il nesso di causalità 7 Art. 43 c.p. Elemento psicologico del reato. Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente; è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La distinzione tra reato doloso e colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico. 8 Sono reati omissivi impropri (o reati commissivi mediante omissione), quei reati nei quali il soggetto deve aver causato, con la propria omissione, un dato evento affinchè possa sussistere il reato. Delpino, L.: Diritto Penale. Parte Generale. XII ed. Simone 1998, p. 144 9 Art. 27 Cost. La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. 10 Art. 40 c.p. Rapporto di causalità. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’ esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. 8 tra la condotta e l’evento si accerta stabilendo se in base al procedimento logico controfattuale la condotta non possa essere eliminata mentalmente senza che l’evento venga meno, la condotta è cioè “condicio sine qua non” dell’evento.11 Si adotta il procedimento di eliminazione mentale o giudizio controfattuale, se si elimina mentalmente la condotta e l’evento viene meno, la condotta è causa dell’evento. E’ sufficiente che l’agente abbia posto in essere una condizione qualsiasi dell’evento lesivo. Il concetto di causa è diverso dalla semplice occasione perché solo la causa rappresenta una delle condizioni per la verificazione dell’evento, senza l’intervento della quale non si sarebbe verificato; l’occasione si individua in una circostanza di fatto indifferente ai fini dell’eziologia dell’evento12. Nel sistema vigente è accolto il principio dell’equivalenza di cause: in base a tale principio non è possibile graduare l’intensità causale o l’efficacia di ogni singola condizione; tutte le condizioni indispensabili sono equivalenti fra loro ed egualmente causali. 13L'evento deve 11 Nel disciplinare il rapporto di causalità il vigente codice penale ha accolto la teoria condizionale (c.d. teoria dell’equivalenza causale): la causa di un fenomeno è il complesso delle sue condizioni; gli antecedenti senza i quali l’evento non si sarebbe verificato. La condotta umana è causa se rappresenta un antecedente senza il quale l’evento non si sarebbe realizzato (condicio sine qua non): una fra le tante condizioni necessarie dell’evento. De Simone Palatucci, M.: La responsabilità penale del medico. La scuola di Pitagora, Napoli, 2010. Concetto riconfermato dalla giurisprudenza la quale ribadisce che per causa penalmente rilevante si deve intendere “la condotta umana, attiva o omissiva, che si pone come condizione «necessaria» — condicio sine qua non — nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l’evento da cui dipende l’esistenza del reato non si sarebbe verificato”. Cass. Sez. Unite, 10 luglio 2002, dep. 11 settembre 2002, n. 30328. 12 Quando una situazione di pericolo è di tale evidenza da potere essere agevolmente superata con l’uso della normale diligenza, non può essere ritenuto responsabile degli incidenti che, ciò nonostante, ne derivano, colui che ha posto in essere siffatta situazione, poiché essa costituisce solo l’occasione dell’incidente medesimo, dovendosi di questo ricercare la causa nella negligenza della vittima. Cass. Pen. 21giugno 1961, Fornaro e altro, CPMA 62, 26. In senso analogo Cass. Pen. 20 aprile 1970, Atzeni, ivi, 71, 1101. Cass. Pen.16 maggio 1989, Esposito, CP. 91, 1961. 13 Art. 41 c.p. Concorso di cause. Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento. Sul punto la Cassazione afferma che “Il vigente codice penale, nel regolare il rapporto di causalità, ha accolto il principio dell’equivalenza delle cause, secondo cui le cause concorrenti che siano da sole sufficienti a determinare l’evento sono, tutte e ciascuna, causa dell’evento stesso. Ne consegue che il nesso di causalità può escludersi solo se si verifichi una causa autonoma, rispetto alla quale la precedente sia da considerare tanquam non esset e trovi, nell’attività dell’imputato, soltanto l’occasione per svilupparsi; cioè quando detta causa si trovi nella serie causale in modo eccezionale, atipico e imprevedibile; mentre il medesimo nesso non può escludersi allorchè la condotta posta in essere dall’imputato abbia soltanto accelerato la produzione dell’evento destinato comunque a compiersi”. Cass. Pen. Sez. V n. 5249/91 rv. 187142. In aderenza a tale principio la Corte, in tema di suicidio di un paziente, ha ritenuto che correttamente i giudici di merito, sulla base di un ragionamento probatorio esente da vizi logici e che aveva escluso ogni interferenza di fattori alternativi, avessero affermato l’efficacia causale della condotta del medico psichiatra che aveva autorizzato l’uscita dalla struttura sanitaria di una paziente malata di mente e con forti istinti suicidiari, affidandola ad una accompagnatrice volontaria priva di specializzazione adeguata, alla quale non aveva fornito qualsivoglia informazione sullo stato mentale della malata e sui precedenti tentativi di 9 costituire una conseguenza della condotta secondo una legge scientifica, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento: che consente di affermare che l’evento è conseguenza certa o altamente probabile dell’azione. Per spiegare le ragioni per cui l’evento non si sarebbe con certezza o probabilmente verificato se l’azione non vi fosse stata, si ricorrere al modello di spiegazione generalizzante: ricorso a leggi di copertura o generalizzazioni causali14. Il “perché” dell’evento si identifica con “un insieme di condizioni empiriche antecedenti, dalle quali dipende il susseguirsi dell’evento stesso secondo un’uniformità regolare, rilevata in precedenza ed enunciata in una legge” 15. Con il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche si procede dal concreto all’astratto. La legge dice che nella generalità dei casi al verificarsi di una condotta del tipo di quella che si è verificata, in base ad una successione regolare di eventi conforme alla legge, si producono eventi del tipo di quello che si è verificato. Prima viene in considerazione una legge costruita su generalizzazioni, comportamenti-tipo o conseguenze-tipo, poi si controlla se il singolo comportamento “storico” può essere inserito nello schema generale. Le leggi scientifiche universali e statistiche, devono essere dotate di alto grado di credibilità razionale affinchè si possa giungere ad affermare che una condotta è causa di un evento.16Secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, si dirà che è probabile che la condotta dell’agente costituisca una condizione necessaria dell’evento; probabilità che significa probabilità logica o credibilità razionale di alto suicidio dalla stessa attuati. Cass. Pen. Sez. IV, 6 novembre 2003, dep. 4 marzo 2004, n. 10430, Guida. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C.: Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità. Ed. Scientifiche Italiane, Napoli, 2011 p. 124 14 Il modello nomologico-deduttivo (elaborato per la prima volta da Hempel nel 1948) si basa sulla riconosciuta veridicità di enunciati nomologici costituiti da leggi scientifiche che si considerano universali quando sono in grado di affermare che il verificarsi di un evento è inevitabilmente accompagnato dalla verificazione di un altro evento. Hempel, C.G.: Come lavora uno storico, 1953, trad. it. Antiseri, D., Armando Editore, Roma, 1977, p. 77 15 Delpino, L., op. cit., p. 155 16 Secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, un antecedente può essere configurato come condizione necessaria solo a patto che esso rientri nel novero di quegli antecedenti che, sulla base di una successione regolare conforme ad una legge dotata di validità scientifica – la cosiddetta legge generale di copertura – portano ad eventi del tipo di quello verificatosi in concreto. Le leggi generali di copertura accessibili ai giudici sono sia le leggi “universali”, che sono in grado di affermare che la verificazione di un evento è invariabilmente accompagnata dalla verificazione di un altro evento, sia le leggi “statistiche”, che si limitano, invece, ad affermare che il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento soltanto in una certa percentuale di casi, con la conseguenza che queste ultime sono tanto più dotate di validità scientifica quanto più possono trovare applicazione in un numero sufficientemente alto di casi e sono suscettive di ricevere conferma mediante il ricorso a metodi di prova razionali e controllabili. Cass. Pen. Sez. IV, 6 dicembre 1990 dep. 29 aprile 1991, n. 4793, CP 92, II, 36. 10 grado. La legge scientifica deve consentire di poter descrivere un accadimento ripetibile tenendo conto di tutti gli aspetti della vicenda suscettibili di ripetersi in assenza dei quali l’evento non si sarebbe verificato. Accertato che una certa condotta è scientificamente causa di un dato evento non basta per dire che essa è anche penalmente rilevante ma è necessario poter imputare oggettivamente l’evento alla condotta del soggetto. La norma che stabilisce se il nesso di causalità è penalmente rilevante è l’art. 41 co.2 c.p.: “le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento”. L’interpretazione di questa norma ha dato luogo a contrastanti teorie in dottrina e giurisprudenza. 17La giurisprudenza ritiene che le cause sopravvenute da sole sufficienti a causare l’evento, idonee ad escludere il nesso causale tra la condotta del soggetto e l’evento, sono sia quelle che costituiscono serie causali autonome 18, rispetto alle quali la precedente causa è da considerarsi inesistente, sia quelle che costituiscono un processo causale atipico di carattere eccezionale e anomalo, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta.19 Nel campo medico, la causa sopravvenuta, da sola sufficiente a 17 A tal fine la teoria della causalità umana esclude il nesso di causalità laddove siano intervenuti fattori eccezionali, non prevedibili cioè quel fatto che ha una probabilità minima di verificarsi e che perciò sfuggono alla sfera di signoria dell’uomo. Si ritiene infatti, che esiste una sfera d’azione che l’uomo può dominare con i suoi poteri volitivi e conoscitivi: solo i risultati che entrano in questa sfera sono causati da lui, perché anche se non li ha voluti poteva impedirli. Antolisei F., op. cit., p. 241. Teoria accettata spesso dalla giurisprudenza (sentenza Bonetti). Le critiche a tale teoria hanno riguardato l’ambiguità della nozione di eccezionalità, il rischio di confondere il nesso di causalità con l’elemento soggettivo del reato. Infatti, quando l’autore parla di astratta prevedibilità dell’evento lo fa rientrare nella sfera di signoria dell’uomo e quindi nell’ambito della sua dominabilità. In conclusione per tale teoria la causa sopravvenuta da sola a determinare l’evento è il fatto eccezionale, avvenimento anormale. Delpino, L., op. cit., p. 159. 18 La serie causale autonoma si verifica quando all’azione diretta a produrre l’evento, ne subentra un’altra che determina l’evento anche se non ci fosse stata l’azione del soggetto. Delpino L., op. cit. p. 163. 19 Ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento, il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, giacchè allora, la disposizione sarebbe pressoché inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza delle cause di cui all’art. 41, co.1 c.p. La norma invece si applica anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, ma caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. Da queste premesse la Corte ha escluso l'applicabilità dell'articolo 41 co. 2 c.p. in relazione ad un infortunio sul lavoro addebitato alla condotta colpevole dell'imputato e l'evento morte provocata da una broncopolmonite massiva bilaterale contratto dall’infortunato durante il ricovero in ospedale per la cura degli esiti dell'infortunio, ciò sul rilievo che, secondo quanto ricostruito in sede di merito, la broncopolmonite era risultata essere una complicanza non eccezionale delle gravi lesioni subite dall’infortunato, che ne avevano provocato l’allettamento prolungato con la conseguente 11 determinare l’evento, è quella che innesta un processo causale ricollegato alla condotta dell’agente, ma completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale e che produce un evento che non si sarebbe verificato se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta20. 3. Obbligo di impedire l’evento. I soggetti obbligati Il nostro ordinamento parifica la causalità dell’azione alla causalità dell’omissione 21 e stabilisce che non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo 22. Deve trattarsi di un “obbligo giuridico” generale, valevole per tutti i cittadini, professionale o d’ufficio, valevole per una classe o categoria d i persone, oppure speciale valevole per una determinata persona; imposto dal diritto penale o da altri rami del diritto pubblico e privato, da un ordine legittimo dell’autorità, da un provvedimento del magistrato, da una precedente attività propria quando può ledere interessi di terzi o derivante da una posizione di garanzia. Per quanto riguarda l’ambito medico, la fonte della posizione di garanzia assunta dal medico nei confronti del paziente risiede nella relazione terapeutica instaurata su fonte privatistica, contratto, o pubblicistica, ricovero ospedaliero, da cui deriva l’obbligo di agire a tutela della salute e della vita 23. Nello specifico, gli operatori di una struttura sanitaria, medici e paramedici, sono tutti ex lege portatori di una posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex artt. 2 e 32 cost. nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare disventilazione polmonare che, a sua volta aveva provocato la patologia rivelatesi letale. Cass. Pen. Sez. IV, 13 gennaio 2006, n.1214 rv. 233173 20 Non interrompe il nesso causale l’eventuale comportamento imperito di un medico intervenuto successivamente, in quanto fattore prevedibile e non eccezionale. La Corte, in tema di morte per shock emorragico, successivo ad incidente stradale non tempestivamente trattato, ha disatteso le doglianze difensive circa l’applicabilità dell’art. 41 co.2 c.p., poiché l’imperita condotta del secondo medico intervenuto non aveva rappresentato un nuovo rischio prima inesistente, ma solo lo sviluppo ulteriore dell’originario iter eziologico. Cass. Pen. Sez. IV, 16 giugno 2010, dep. 20 agosto 2010, n. 32121, Chiodo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 116 21 L’omissione consiste nella violazione di un comando, oppure non arrestando, avendone l’obbligo giuridico, un decorso eziologico in atto. Cass. Pen. Sez. IV, 12 novembre 2008, dep. 28 gennaio 2009, n. 4107, Calabrò. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 65 22 Art. 40 co. 2. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. 23 Ritenuta assunta la posizione di garanzia per la scelta della terapia farmacologica, per i colloqui con il paziente e per la richiesta di intervento alla manifestazione dello scompenso psicotico. Cass. Pen. Sez. IV, 14 novembre 2007, dep. 11 marzo 2008, n. 10795, Pozzi. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 33 12 contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità. L’obbligo di protezione dura per tutto il turno di lavoro e non è delegabile ad altri24. La giurisprudenza ha avuto modo di discutere sulla posizione di garanzia assunta dalle diverse figure mediche. L’aiuto primario, che non condivide le scelte del primario, è tenuto ad esprimere il proprio dissenso se sussiste il rischio per il paziente diversamente sussiste la sua responsabilità per non aver impedito l’evento25. Il medico di turno che subentra al collega negligente è gravato di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, e ha l’obbligo di effettuare una diligente attività ricognitiva e diagnostica, sulla scorta dei dati già acquisiti26, e di informarsi dal medico che lo ha preceduto nel turno sulle condizioni di salute dei pazienti e delle particolari cure di cui necessitano 27. Un’ampia posizione di garanzia riveste il capo équipe operatoria che si estende alla fase postoperatoria che lo stesso ha il dovere di controllare anche per interposta persona28. Il primario ospedaliero è gravato da una posizione di garanzia poiché a lui 24 Fattispecie in cui è stato escluso che fosse giustificato il comportamento di un infermiere che, in prossimità della fine del turno di lavoro, delegava un collega per eseguire l’ordine impartitogli da un medico di chiamare un altro medico, ordine facilmente e rapidamente eseguibile attraverso un citofono. Cass. Pen. Sez. IV n. 9638/2000 rv. 217477 25 L’aiuto primario che non condivide le scelte terapeutiche del primario è tenuto ad esprimere il proprio dissenso quando ha motivo di ritenere che queste comportino un rischio per il paziente. Diversamente egli potrà essere ritenuto responsabile dell’esito negativo del trattamento terapeutico non avendo compiuto quanto in suo potere per impedire l’evento. Cass. Pen. Sez. IV, 3 novembre 2004, dep. 4 maggio 2005, n. 16658, Capitani. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 36 26 E’ immune da vizi logici la sentenza con cui i giudici di merito ritengano che l’anestesista di turno, intervenuto in una situazione di crisi al capezzale di un paziente già sottoposto ad anestesia totale, pur a fronte di una negligenza del collega, specialista anestesiologico, che ha in precedenza effettuato la prevista visita preoperatoria, sia comunque gravato di una posizione di garanzia. Nella fattispecie, in considerazione del blocco di branca sinistro già rilevato nella fase preoperatoria, e della successiva crisi lipotimica, verificatesi non appena il paziente ha assunto la posizione eretta, s’imponeva al successivo garante di procedere ai più penetranti accertamenti diagnostici ed all’approntamento dei presidi terapeutici del caso. Cass. Pen. Sez. IV, 2 marzo 2004, dep. 7 maggio 2004, n. 21732, Bocca. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 36 27 Fattispecie relativa alla riconosciuta responsabilità per omicidio colposo del medico, che in mancanza di ragguagli in merito da parte del collega smontante, non si era informato presso il medesimo circa le necessarie modalità di somministrazione di una trasfusione di sangue disposta in precedenza e la cui errata esecuzione aveva in seguito cagionato la morte del paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 30 gennaio 2008, n. 8615. 28 Decesso della vittima nella fase successiva all’intervento chirurgico, il medico è stato ritenuto responsabile, insieme agli altri operatori sanitari imputati, del decesso in quanto, nella sua qualità, avrebbe dovuto assicurarsi che la vittima fosse adeguatamente assistita dopo l’operazione da personale idoneo e presente in numero adeguato, cui egli avrebbe dovuto anche fornire tutte le indicazioni terapeutiche necessarie: a maggior ragione per il fatto che il chirurgo stesso aveva imprudentemente deciso di praticare un intervento altamente specialistico nell’ultimo turno pomeridiano così precostituendo le condizioni di quella prevedibile carenza di assistenza notturna successiva che avrebbe determinato la morte del paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 1 dicembre 2004, dep. 11 marzo 2005, 13 spetta impartire al personale delegato direttive e istruzioni, verificandone l’esatta attuazione. Può perciò rispondere della condotta colposa dei suoi collaboratori se viene meno ai suoi obblighi di controllo e sorveglianza 29. Il medico specializzando assume autonoma posizione di garanzia nei confronti del paziente, perché anche se vincolato alle direttive del tutore, partecipa alle attività e responsabilità della disciplina che si svolgono nella struttura in cui opera. 30 Il soggetto dismette la sua posizione originaria verificando che il successore abbia preso in carico effettivamente il bene da tutelare 31 in tal modo, si libera da ogni responsabilità imputabile esclusivamente al medico subentrante configurando, in tale ultimo caso, la condotta causa sopravvenuta da sola idonea a determinare l’evento in modo eccezionale e atipico 32 ex art. 41 co.2 c.p. Diversamente, sussiste la responsabilità di entrambi gli operatori33. Nel caso di cooperazione multidisciplinare ogni sanitario è n. 9739, Di Lonardo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 36 29 Morte per peritonite diffusa successiva ad intervento di anastomosi: estesa al primario la scelta, gravemente imprudente, dei due medici partecipanti all’equipe, di praticare l’anastomosi anziché l’ileostomia, poiché sul primario incombeva l’obbligo di controllare l’attività dei suoi collaboratori. Cass. Pen. Sez. IV, 26 maggio 2010, dep. 23 settembre 2010, n. 34521, Huscher e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit. p. 43 30 Respinta la censura del medico specializzando secondo cui la stessa era presente in reparto esclusivamente per finalità formative, per cui non poteva ritenersi da lei esigibile una conoscenza in materia cardiologica quale quella ipotizzata nella sentenza impugnata, che sembra richiedere una diligenza addirittura superiore a quella dello specialista cardiologo. Cass. Pen. Sez. IV, 10 dicembre 2009, dep. 16 febbraio 2010, n. 6215 Pappadà et altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit. p. 46. In tema di colpa professionale, risponde del reato commesso dal medico specializzando, materiale esecutore dell’intervento chirurgico anche il primario, cui lo specializzando è affidato, il quale allontanandosi durante l’operazione, viene meno all’obbligo di diretta partecipazione agli atti medici posti in essere dal sanitario affidatogli. Cass. Pen. Sez. IV, 02 aprile 2007, n. 21594 31 Fattispecie in cui un medico cardiologo si è limitato ad avvisare un medico chirurgo circa la presenza di un paziente di competenza di quest’ultimo, senza peraltro verificare che il c.d. passaggio delle consegne fosse effettivamente avvenuto e, quindi, dismettendo anzitempo la propria posizione di garanzia in capo al paziente. Cass. Pen. Sez IV, 15 dicembre 2005, dep. 18 maggio 2006, n. 16991, Mastropasqua. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit. p. 48 32 Morte di un paziente per insufficienza respiratoria dovuta a frattura cervicale non diagnosticata né dal pronto soccorso, né dall’ortopedico visitante il paziente il giorno dopo: ritenuta non eccezionale la condotta dell’ortopedico. Cass. Pen. Sez. IV, 5 novembre 2009, dep. 17 novembre 2009, n. 43958, Feminella. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 47 33 Chi riveste la posizione di garanzia e con la sua condotta colposa ha creato una situazione di pericolo, non può fare legittimo affidamento nell’eliminazione di quella situazione da parte del garante successivo; qualora anche il successore sia in colpa e l’evento si verifichi, questo avrà due antecedenti causali: la condotta colposa del primo e del secondo garante. Nel caso di specie ipotizzate scorrette manovre rianimatorie da parte del medico successore: negata l’applicazione del principio di affidamento al medico predecessore che non aveva trattenuto un piccolo paziente presso il pronto soccorso e ne aveva disposto il trasferimento presso un ospedale accompagnato dai genitori. Cass. Pen. Sez. IV, 17 aprile 2007, dep. 1 giugno 2007, n. 21602, Ventola. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 48 14 tenuto a valutare e controllare la correttezza dell’attività precedente di altro collega, anche se specialista in altra disciplina, se del caso ponendo rimedio all’errore altrui che sia evidente e non settoriale, rilevabile con l’ausilio delle conoscenze del professionista medio 34. La giurisprudenza, per l’ipotesi di successione di soggetti nella stessa posizione di garanzia ha elaborato il principio di affidamento. Il medico che subentra dopo l’intervento di un collega deve poter confidare nel fatto che questi abbia agito secondo scienza e coscienza. Tale principio non può essere invocato da colui che versa in colpa e quindi confidare che altri, che gli succedano pongano rimedio alla sua negligenza 35. Il principio di affidamento ha avuto ampia applicazione nell’attività medica di èquipe dove, la cooperazione tra medici si fonda sul principio della divisione del lavoro, in base al quale ciascun operatore risponde delle decisioni che afferiscono alla propria branca di specializzazione professionale e potendo confidare che gli altri specialisti esplicheranno il proprio apporto professionale conformemente alle legis artis del proprio settore disciplinare. Il principio di affidamento non opera quando colui che si affida sia in colpa confidando che altri pongano riparo alla violazione di norme precauzionali o all’omissione di condotte36. Non opera inoltre, con riferimento alle attività di controllo non settoriali e strumentali alla buona riuscita dell’intervento chirurgico nella sua globalità 37. Il 34 Morte di un paziente per shock anafilattico da anestesia: ritenuto responsabile dell’omessa tempestiva tracheotomia, oltre che l’anestesista anche il chirurgo. Cass. Pen. Sez. IV, 18 febbraio 2010, dep. 16 marzo 2010, n. 10454, Corcione. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit. p. 51 35 Sintomi neurologici suggestivi di origine vascolare, interpretati invece di origine psicotica con trasferimento della paziente ad altro ospedale: ritenuta colposa la condotta del medico e negato rilievo all’omessa corretta diagnosi da parte anche dei medici riceventi la paziente nell’ospedale dove la stessa era stata trasferita. Cass. Pen. Sez. IV, 20 novembre 2009, dep. 14 gennaio 2010, n. 1489, Brenna. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 58 36 Si è imputato all’anestesista ed ai chirurghi che hanno effettuato l’intervento da cui sono derivate le complicanze che hanno condotto al decesso del paziente, asportazione di una formazione neoplastica, di non aver preventivamente accertato, attraverso l’effettuazione di una TAC, le effettive condizioni cliniche del paziente. L’anestesista versa in colpa, pur avendo correttamente accertato il rischio anestesiologico del paziente, per non aver effettuato la TAC e non essersi accertato che questa fosse eseguita dai chirurghi, subentrati successivamente nella posizione di garanzia, prima del predetto intervento chirurgico. L’affidamento dell’anestesista verso la corretta condotta dei chirurghi non elide l’efficienza eziologica della propria colpa rispetto all’evento. Cass. Pen. Sez. IV, 23 settembre 2010, dep. 2 novembre 2010, n. 38592, De Filippi. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 57 37 Tutti i soggetti intervenuti all’atto operatorio devono partecipare ai controlli per evitare il rischio di lasciare nel corpo del paziente oggetti estranei. Fattispecie in tema di lesioni personali derivanti dalla dimenticanza nell’addome di un paziente di garza laparotomica. Cass. Pen. Sez. IV, 18 giugno 2009, dep. 21 settembre 2009, n. 36580, Cazzato. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 58. In altra fattispecie la Corte ha ritenuto l’intera èquipe operatoria colpevole 15 medico facente parte dell’èquipe deve conoscere e valutare anche l’attività degli altri componenti in modo da porre rimedio ad eventuali errori altrui sempreché siano evidenti e non settoriali per un professionista medio 38. 4. Il nesso di causalità nel reato omissivo Il problema della causalità non si pone nei reati omissivi propri caratterizzati dalla mancanza di un evento naturalistico 39. Si presenta invece per i reati omissivi impropri nei quali il soggetto causa con la propria omissione un dato evento. L’omissione è un concetto normativo e non materiale e il giudizio sul nesso causale non può essere identico a quello dei reati di azione 40. La stessa formulazione dell’art. 40 c.p. postula espressamente un diverso criterio di imputazione dell’evento: evento che l’omissione non può aver causato perché si tratta di un processo causativo su cui l’autore non è intervenuto. Il giudizio di equivalenza causale è costituito dall’azione dovuta che il soggetto ha omesso. Occorre formulare un giudizio ipotetico o prognostico, verificare in che modo l’eventuale compimento dell’azione doverosa delle lesioni provocate al paziente nel cui addome era stata lasciata la pinza. Cass. Pen. Sez. IV, 2 febbraio 2005, dep. 4 maggio 2005, n. 16695, CED 231542. 38 In tema di colpa professionale, nel caso di èquipes chirurgiche e, più in generale, in quello in cui ci si trovi di fronte ad ipotesi di cooperazione multidisciplinare nell’attività medicochirurgica, sia pure svolta non contestualmente, ogni sanitario, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, è tenuto ad osservare gli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio o facendo in modo che si ponga opportunamente rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, e come tali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio. Cass. Pen. Sez. IV, 2 marzo 2004, dep. 26 maggio 2004, n. 24036, Sarteanesi. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 55. In tema di colpa medica nell’attività di èquipe, ciascuno dei soggetti che si dividono il lavoro risponde dell’evento illecito, non solo per non aver osservato le regole di diligenza, prudenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, ma altresì per non essersi fatto carico dei rischi connessi agli errori riconoscibili commessi nelle fasi antecedenti o contestuali al suo specifico intervento. Cass. Pen. Sez. IV, 11 ottobre 2007, n. 41317. 39 Sono reati omissivi propri (o reati di pura condotta) quelli per la cui sussistenza è necessaria e sufficiente la semplice condotta omissiva del soggetto non essendo quindi richiesto anche un ulteriore effetto di tale condotta (evento naturalistico) per integrare il reato. Delpino, L., op. cit., p. 144 40 Nei reati omissivi impropri, la causalità, in quanto costruita secondo un percorso logico e non in base ad una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà, è una causalità ipotetica, normativa. Essa si fonda, come quella commissiva, su un giudizio controfattuale, al quale si fa ricorso per ricostruire una sequenza che, però, a differenza di quest’ultima, non potrà mai essere empiricamente verificabile. Cass. Pen. Sez. IV, 14 luglio 2010, dep. 27 settembre 2010, n. 34846, Solerte. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 71 16 avrebbe modificato il corso degli eventi e avrebbe fatto venir meno l’evento. Non si tratta di spiegare l’evento come avviene nei casi di azione o prognosi postuma dove viene effettuata una ricostruzione del passato dato che il soggetto ha agito 41. Nei reati omissivi impropri la modalità di accertamento del nesso di causalità è lo stesso dei reati di azioni e cioè, il giudizio controfattuale con l’adozione della formula della condicio sine qua non utilizzando il procedimento di eliminazione mentale, la cui formula dovrà rispondere al quesito se, mentalmente eliminato il mancato compimento dell’azione doverosa, supposta come realizzata, il singolo evento lesivo, verificatosi, sarebbe o non, venuto meno, mediante un enunciato esplicativo coperto dal sapere scientifico del tempo. In definitiva, il nesso di causalità sussiste ogni volta che si accerti che se l’azione doverosa omessa fosse stata realizzata, si sarebbe impedito la verificazione dell’evento con certezza o alto grado di probabilità. Trattandosi di prognosi non si potranno fornire certezze per cui il nesso causale si configura secondo una struttura probabilistica. Queste caratteristiche della causalità omissiva giustificano la difficoltà della giurisprudenza di accertare il nesso di causalità nel reato omissivo e inducono a delle proposte alternative al modello del reato causale laddove si tratta di tutelare beni fondamentali come l’incolumità fisica rispetto all’attività medica. 5. Il nesso di causalità in ambito medico. Evoluzione giurisprudenziale Il settore della responsabilità medica è quello in cui maggiormente è entrato in crisi il modello nomologico-deduttivo cioè quel modello che ricostruisce il nesso di causalità facendo ricorso a leggi scientifiche di copertura. Tale modello è stato utilizzato fino agli anni novanta per poi essere sostituito con un modello di tipo 41 La distinzione attiene alla necessità, in caso di comportamento omissivo, di fare ricorso, per verificare la causalità, ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico, anziché fondato sui dati della realtà; infatti nel caso di comportamento omissivo, è solo con riferimento alle regole cautelari inosservate che può formularsi un concreto rimprovero e verificarsi, con giudizio controfattuale ipotetico la causalità. Nella specie decesso del paziente per lesione della via biliare nel corso di un intervento di colecistectomia, non rilevata né durante l’intervento, né nel postoperatorio. Cass. Pen. Sez. IV, 14 novembre 2008, dep. 22 dicembre 2008, Calzini, n. 47490. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 65 17 probabilistico e statistico-induttivo42. Appare perciò, a tal fine necessario soffermarsi preliminarmente sull’evoluzione della giurisprudenza di legittimità che ha avuto per oggetto il mutamento nel tempo, della regola probatoria per accertare il nesso di causalità, con specifico riferimento alla condotta omissiva dell’esercente la professione sanitaria. Gli orientamenti della Suprema Corte di Cassazione sulle modalità di accertamento del nesso causale tra condotta ed evento possono essere distinti in: volatilizzazione del nesso causale, criterio della probabilità e criterio della certezza. Volatilizzazione del nesso causale: nella giurisprudenza più remota, si prescinde dall’accertamento del nesso causale, la sua valutazione si disperde nel giudizio sulla colpevolezza. La responsabilità del medico veniva fondata sull’inosservanza dei doveri funzionali in relazione alla posizione di garanzia rivestita; il giudizio sull’idoneità della condotta doverosa, omessa, di impedire il verificarsi dell’evento lesivo veniva compiuto a prescindere dalla causalità43. La colpevolezza circoscriveva la rilevanza penale. In tali casi era certo che l’evento fosse il risultato dell’agire umano, ma non sussistevano i presupposti per l’imputazione perché difettava 42 Il modello statistico-induttivo (elaborato da Hempel) si basa sul fatto che anche le leggi statistiche (per le quali il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento soltanto in una percentuale di casi) sono in grado di spiegare perché un evento si è verificato, a patto che la frequenza tra eventi consenta di spiegarli con quasi certezza. In base a questo modello, il giudice, servendosi di una fonte probabilistica come la legge statistica ed attivando un giudizio di probabilità logica, deve giungere ad affermare che una determinata condotta è causa di un preciso evento, fatta salva una verifica aggiuntiva circa la credibilità dell’impiego della legge statistica nel caso concreto. La legge statistica, dotata di alto grado di credibilità razionale, indica che nella generalità dei casi al verificarsi di una condotta del tipo di quella che si è verificata, in base ad una successione regolare di eventi conforme alla legge, si producono effetti del tipo di quello che si è verificato. Quindi, prima viene in considerazione una legge, come tale costruita su generalizzazioni (comportamenti-tipo, situazionitipo, conseguenze-tipo), poi si controlla se il singolo comportamento, la singola situazione, la specifica conseguenza possano essere inseriti nello schema generale previamente delineato. Si può dire che le leggi statistiche si considerano dotate di validità scientifica quando possono trovare applicazione in un numero abbastanza elevato di ipotesi. Si considera sufficiente per ritenere sussistente il nesso di causalità, quindi, che l’azione doverosa omessa, ove compiuta, sarebbe valsa ad impedire l’evento con un apprezzabile probabilità di tipo statistico, anche se non prossima alla certezza. Hempel,C.G., op. cit., p. 80. Hempel C.G. Oppen-Heim, P.: Studies in the Logic of Explanation. Philosophy of Science, ed. XV, 1948, pag. 135 ss. Hempel, C.G.: Filosofia delle scienze naturali, 1966. Trad. it. Il Mulino, Bologna, 1968 43 La colpa del medico nell’esercizio della sua professione può ravvisarsi quando la condotta riveli elementi di grave violazione dei principi di diligenza e di prudenza dalla quale possa derivare un errore di diagnosi ovvero una somministrazione di terapie contrarie alle più elementari norme mediche, ciò in quanto la malattia può talvolta manifestarsi in modo non chiaro con sintomi equivoci che possono determinare un errore di apprezzamento e, perciò di diagnosi. Cass. Pen. Sez. VI, 15 febbraio 1978, dep. 13 maggio 1978, Violante, in Cass. Pen. 1980, 1565, pag. 1560. Aleo, S., Centonze, A., Lanza, E.: La responsabilità penale del medico. Giuffrè, Milano 2007 p. 110 18 l’elemento soggettivo del reato. Si riteneva sufficiente la violazione di una regola cautelare per attribuire la responsabilità, l’indagine si limitava alla sola verifica dell’ottemperanza ai doveri professionali44. In sostanza, il medico veniva ritenuto responsabile per la sua posizione di garanzia e per la violazione degli obblighi connessi. In alcune decisioni poi, la sussistenza del nesso causale veniva per lo più affermata che dimostrata45. Orientamento probabilistico46: secondo tale orientamento ai fini dell’accertamento del nesso di causalità era sufficiente la probabilità circa l’efficacia salvifica della 44 In linea con questo orientamento, non è stato ritenuto responsabile il medico che prestava la sua opera presso il Servizio di Igiene mentale, per l’omicidio commesso da un malato di mente sottoposto a TSO, perché non aveva il dovere di intervenire e non si riscontrava, quindi il nesso causale tra condotta ed evento. Si è rilevato che il provvedimento per disporre il TSO è adottato dal sindaco su proposta motivata di un medico ed è convalidato da uno specialista della struttura sanitaria pubblica. L’esclusione della responsabilità del medico è stata fondata sulla formale insussistenza della posizione di garanzia. Non si è proceduto invece, a valutare una eventuale negligenza del medico del servizio di Igiene Mentale. Cass. Pen. Sez. IV, Bondioli, in Cass. Pen. 1988, 710, pp. 839 ss. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp. 63-65 45 Il caso riguardava la rilevazione della responsabilità per lesioni personali colpose di un ginecologo, che aveva in cura una paziente affetta da disturbi adenosici ad una mammella con sospetto rischio di degenerazione e che aveva omesso di prescrivere tempestivamente ed urgentemente un esame mammografico, con il quale si sarebbe potuto prevenire l’aggravamento del carcinoma ad esito letale da cui la donna era affetta. Esaminando la sussistenza del nesso di causalità fra l’intempestività della diagnosi da parte del medico e l’aggravamento delle condizioni della persona offesa, il pretore, richiamando gli esiti peritali, ha evidenziato come fosse indubbio che una valutazione più accurata e precoce delle condizioni della paziente avrebbe avuto un’influenza determinante sullo svolgimento del processo morboso, visto che è noto come la sopravvivenza dei malati di carcinoma sia inversamente correlata con il diametro e la progressione del tumore. Pertanto, esiste un evidente nesso di causalità tra la mancata diagnosi precoce e l’evoluzione del tumore. Pretura di Ivrea, 5 giugno 1989, Alongi, Foro it. II,1989, c.c. 601 ss. Aleo, S., Centonze, A., Lanza, E., op. cit., p. 112. In senso analogo in tempi più recenti la Corte ha così affermato: “Sussiste la responsabilità per colpa professionale del personale medico e paramedico, qualora si ometta di assicurare la dovuta protezione nei confronti di un paziente nella fase post-operatoria, indipendentemente dal fatto che siano stati rispettati il proprio turno di lavoro e le regole che presiedono agli obblighi contrattuali, in quanto ogni operatore di una struttura sanitaria è portatore di una posizione di garanzia verso il paziente, la cui salute va tutelata contro un qualunque pericolo che ne minacci l’integrità. Ne consegue la responsabilità per la morte del paziente sia del medico-chirurgo che, dopo avere eseguito un’operazione chirurgica, pur perfettamente riuscita, lo abbia affidato nelle mani di personale paramedico non in grado di fornire idonea assistenza post-operatoria, sia del medico di guardia che, pur rimanendo a disposizione nella propria stanza durante il turno di servizio, abbia omesso di informarsi sulla presenza di pazienti in situazioni di emergenza, sia del personale infermieristico per non aver raccolto durante la notte le richieste allarmate di intervento da parte dei familiari del paziente”. Cass. Pen. Sez. IV, 1 dicembre 2004, dep. 11 marzo 2005, n. 9739, D.A. ed altri, Riv. Pen. 2005, n.7-8, pag. 828. Aleo, S., Centonze, A., Lanza, E., op. cit., p. 114 46 Le ragioni che hanno favorito questa prassi giurisprudenziale risiedono nella limitatezza delle conoscenze umane circa le variabili che interferiscono sui decorsi delle patologie, che costituisce un limite generale in relazione all’accertamento del nesso causale, nei margini di rischio sempre presenti in ogni intervento terapeutico, anche se eseguito col massimo rispetto delle regole professionali, a causa della possibilità di incidenza di fattori non prevedibili, nella rilevanza dei beni da proteggere, costituiti dalla vita umana, integrità fisica, salute, e dalla natura ipotetica del nesso di causalità nel reato omissivo. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp. 69-70 19 condotta doverosa omessa da parte del sanitario 47. In sostanza per poter attribuire al medico l’evento bastava la sola possibilità che la condotta omessa avrebbe salvato il bene protetto cioè “serie ed apprezzabili possibilità di successo” 48. Si è proceduto pertanto, alla quantificazione aritmetica dell’idoneità salvifica della condotta omessa49 specificando che pur in un contesto di una probabilità anche limitata, la sussistenza del nesso di causalità richiedeva comunque “serie ed apprezzabili possibilità di successo”, alla stregua di tale parametro venne considerata rilevante una possibilità di successo pari al 30%. Si fece riferimento alle leggi elaborate dalla statistica sanitaria e si ritenne esistente il nesso di causalità qualora l’intervento immediato del sanitario avesse avuto anche sole poche possibilità di successo. Venne precisato poi, che seppur consentito il ricorso a un giudizio di probabilità, in ordine alla prognosi sugli effetti che avrebbe potuto avere se fosse stata tenuta la condotta dovuta, era necessario che il nesso causale venisse riscontrato con sufficiente grado di certezza, se non assoluta almeno con un grado tale da fondare su basi solide un'affermazione di responsabilità non essendo sufficiente un giudizio di mera 47 Certa dottrina ha evidenziato che tale indirizzo abbandoni di fatto, anche se in modo inespresso, lo schema causale condizionalistico per adottare il criterio della diminuzione del rischio. Si rientrerebbe perciò, nell’ambito della teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento, secondo il criterio dell’aumento o della mancata diminuzione del rischio. Bisogna considerare però che tale teoria nasce sempre con funzione di restrizione della punibilità, per fatti rispetto ai quali l’efficacia condizionante della condotta umana appare certa. Blaiotta, R.: Sulla causalità nell’ambito della professione medica: una pronunzia di legittimità contro tendenza, in Cass. Pen. 2001, p. 129 48 Il rapporto causale sussiste anche quando l’opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza quanto soltanto serie ed apprezzabili possibilità di successo, tali che la vita del paziente sarebbe stata probabilmente salvata. Nella ricerca del nesso causale al criterio della certezza degli effetti della condotta si possa sostituire quello della probabilità di tali effetti. E’ da aggiungere, altresì, che, quando è in gioco la vita umana, anche solo poche probabilità di successo di un immediato o sollecito intervento chirurgico sono sufficienti, talchè sussiste il nesso causale quando un siffatto intervento non sia stato possibile a causa dell’incuria colpevole del sanitario che ha visitato il paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 7 gennaio 1983, dep. 12 maggio 1983, Melis, in Cass. Pen. 1984, 820, p. 1142 ss. In senso adesivo anche Cass. Pen. Sez. IV, 22 aprile 1987, dep. 10 luglio 1987, Ziliotto, in Riv. It. Med. Leg. 1989, p. 668 ss. Aleo, S., Centonze, A., Lanza, E., op. cit., pp. 117-119. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 68 49 Con la sentenza Silvestri si è proceduto alla quantificazione del livello di probabilità sufficiente ai fini della responsabilizzazione dell’autore della condotta nella misura del trenta per cento delle probabilità di salvezza del bene protetto. “Nella ricerca del nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’evento, al criterio della certezza degli effetti della condotta, si può sostituire quello della probabilità di tali effetti – anche limitata (nel caso di specie, il 30%) - e della idoneità della condotta a produrli; quindi il rapporto causale sussiste anche quando l’opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza, bensì soltanto serie ed apprezzabili possibilità di successo, tali che la vita del paziente sarebbe stata, con un certa probabilità, salvata, nel caso di specie tali probabilità erano rafforzate dalla giovane età della paziente e dalla sua forte fibra, dato che era sopravvissuta per tre giorni dopo le cure ospedaliere”. Cass. Pen. Sez. IV, 12 luglio 1991, dep. 17 gennaio 1992, n. 1846, Silvestri e Leone in Cass. Pen. 1992, 1115, p. 2104. Aleo, S., Centonze, A., Lanza, E., op. cit., p. 124 20 verosimiglianza. 50 In tempi meno remoti la prevalente giurisprudenza pose l'accento sulle “serie e rilevanti o apprezzabili possibilità di successo”; “sull'altro grado di possibilità” ed espressioni simili, a tal fine venne apprezzata una percentuale del 75% di probabilità di sopravvivenza della vittima ove fosse intervenuta una diagnosi corretta e cure tempestive. 51Il criterio della certezza degli effetti della condotta venne sostituito con quello della probabilità nel senso che il nesso causale era ritenuto sussistente quando l’opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza, ma solo serie ed apprezzabili possibilità di successo, tali da far ritenere che la vita del paziente sarebbe stata probabilmente salvata.52 Tale orientamento venne criticato da altra parte della giurisprudenza che ravvisava una violazione delle fondamentali garanzie poste dall’ordinamento penale a tutela dell’imputato riducendo l’accertamento del nesso eziologico ad un giudizio meramente ipotetico e non provato, con la conseguenza del pericolo di un’imputazione oggettiva del reato, fondata non tanto sul rapporto di causalità tra condotta ed evento, ma sull’aumento del rischio che una determinata condotta avrebbe apportato al verificarsi di un dato evento. Orientamento della certezza o quasi certezza 53: secondo questo orientamento la condotta omissiva era causa dell’evento qualora si riuscisse a dimostrare, con un 50 Cass. Pen. Sez. IV, n. 10437/93. In tema di responsabilità per colpa professionale del medico, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento, al criterio della certezza degli effetti della condotta, si può sostituire quello della probabilità di tali effetti e dell'idoneità della condotta a produrli, probabilità che deve essere seria ed apprezzabile ed avere alto grado di possibilità di successo.(Fattispecie in cui i giudici di merito avevano apprezzato una probabilità di sopravvivenza del 75% ove fossero intervenuti una diagnosi corretta e cure tempestive). Cass. Pen. Sez. IV, 7 dicembre 1999, dep. 1 febbraio 2000, n.126, CED 215659. Conforme Cass. Pen. sez. IV, n.1126/2000. 52 In tema di responsabilità penale per colpa professionale del sanitario, nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento, al criterio della certezza degli effetti della condotta può sostituirsi quello della probabilità e della idoneità della condotta a produrre tali effetti, nel senso che il rapporto causale sussiste anche quando l'opera del sanitario se correttamente e tempestivamente intervenuta avrebbe avuto non già la certezza ma solo serie ed apprezzabili possibilità di successo tali da far ritenere che la vita del paziente sarebbe stata probabilmente salvata. Invero, quando è in gioco la vita umana, anche limitate probabilità di successo di un immediato intervento chirurgico sono sufficienti a configurare la necessità di operare. Pertanto, sussiste sempre il nesso di causalità tra la condotta negligente del sanitario, che non si sia adoperato per un urgentissimo intervento chirurgico, in ordine al quale spettava di provvedere, e l'evento mortale che ne è seguito, quando tale intervento, anche se non fosse valso con ogni certezza a salvaguardare la vita del paziente, avrebbe avuto notevoli probabilità di raggiungere il detto scopo. Cass. Pen. Sez. IV, 7 marzo 1989, dep. 12 maggio 1999, n. 7118, CP 90, 1278. 53 La corte di cassazione ha ad un certo punto deciso di abbandonare il criterio probalistico di accertamento del nesso causale in ragione dell’eccesso di responsabilizzazione cui poteva dare origine, anche richiamando le conclusioni del progetto di riforma del codice penale elaborato dalla 51 21 grado di approssimazione confinante con l’intero, che il compimento dell’azione doverosa avrebbe impedito la produzione dell’evento. Ovviamente non era possibile pretendere la certezza assoluta di connessione fra gli avvenimenti perché esisteva sempre un margine di alea impossibile da controllare, coincidente con l’ambito del fortuito. Il livello di certezza auspicabile era quello umanamente ottenibile con gli strumenti a disposizione nel momento considerato. Il nesso di causalità poteva essere accertato in presenza di leggi di copertura che affermavano la regolarità della successione in un numero di casi prossimo all’intero54. Ciò cui si poteva tendere era l’alta probabilità logica o credibilità razionale, il convincimento che l’evento avesse una certa spiegazione e non vi fosse il concorso di fattori da soli idonei a produrlo. L’elevata probabilità che un fatto si fosse verificato implicava un giudizio di prossimità alla certezza, di vicinanza al cento per cento delle probabilità 55. In altre parole, il significato da attribuire all'espressione “con alto grado di probabilità” era commissione Grossi. Il criterio probalistico appare infatti in contrasto con i principi costituzionali di legalità, tassatività e colpevolezza del sistema penale. Poneva in termini errati un approccio diverso sull’accertamento del nesso causale in ambito medico-legale ed in quello giuridico. I margini di incertezza, nell’ambito medico, dell’efficacia eziologica di dati comportamenti sono considerati satisfattivi, però poi, nel contesto penalistico, non sono tali perché rimane valido il principio della presunzione di non colpevolezza ogni qual volta sussistono dubbi, posto che si controverte in materia di libertà personale. La responsabilità penale del medico. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp. 73-74 54 Con la sentenza Baltrocchi si è espresso l’orientamento circa la necessità che il nesso causale fra condotta ed evento venga espresso in termini di certezza. La cassazione ha condiviso la posizione dottrinaria sull’accertamento del nesso di causalità che si basa sul modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, in ragione del quale un evento può essere legato ad un altro solo qualora esista una legge di copertura di valore universale o statistico che affermi la regolarità della relazione di causa ed effetto. Nel caso in cui si ricorra a proposizioni statistiche il livello di verificazione del fatto in presenza di determinati antecedenti, deve essere prossimo all’intero infatti, solo in tali casi il giudizio di responsabilità penale non risulta in contrasto con il principio di tassatività della norma penale e con quello di colpevolezza. Nel caso di specie, l’imputato era stato accusato, come medico del pronto soccorso, di omicidio colposo per non aver disposto il ricovero di un paziente nonostante gli esiti dell’emogasanalisi fossero tali da far prevedere la crisi cardio-respiratoria, poi verificatasi. Non si era riusciti a dimostrare che il compimento della terapia doverosa avrebbe salvato o posticipato il decesso del paziente in modo altamente probabile, sostanzialmente certo. I periti avevano individuato nella misura del 50% le chances di sopravvivenza del malato. A queste condizioni la morte non poteva essere ascritto, con il livello di sicurezza necessario all’omissione del sanitario. Cass. Pen. Sez. IV, 28 settembre 2000, dep. 9 marzo 2001, n.1688, Baltrocchi, in Riv. It. Med. Leg. 2001, pp. 805 ss. Aleo, S., Centonze, A., Lanza, E., op. cit., pp. 137-139. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 75 55 Il giudizio sul rapporto di causalità tra condotta ed evento deve essere formulato secondo regole giuridiche e non naturalistiche nel senso che su quel giudizio deve fondarsi la individuazione di una regola di consequenzialità necessaria o anche solo ricorrente in grado elevato, che sia conoscibile dal soggetto agente, giudizio quindi, da formulare secondo la regola, quantomeno, dell’id quod plerumque accidit, nella quale è compresa la prevedibilità implicante la prevedibilità con la conseguenza che il giudice, nel formulare il giudizio di condizionamento, deve rispondere alla domanda sul se, al momento della condotta, si poteva ritenere conseguenza necessaria o probabile l’effetto che poi dalla condotta ne è scaturito. Cass. Pen. Sez. IV, 11 gennaio 1999, Traballi, in Cass. Pen. 2001, 21, pp.125 ss. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 78 22 quello che la scienza e il diritto gli attribuivano e cioè dire “alto grado di probabilità” “altissima percentuale di numero sufficientemente alto di casi” voleva dire che il giudice poteva affermare che un'azione o un omissione erano stati causa di un evento in quanto poteva effettuarsi il giudizio controfattuale avvalendosi di una legge scientifica che enunciava una connessione tra eventi in una percentuale vicino a cento, questa in sostanza realizzando quella probabilità vicino alla certezza. 56 Successivamente57, venne sottolineata la distinzione tra probabilità statistica e probabilità logica, facendo notare come una percentuale statistica anche alta poteva non avere nessun valore causale effettivo nel caso in cui venisse accertato che in realtà l’evento era stato causato da una diversa condizione; allo stesso modo poteva accadere che una percentuale statistica medio-bassa potesse risultare positivamente suffragata in concreto qualora si fosse accertata l’inesistenza di altre possibili cause esclusive dell'evento che ne escludessero l'interferenza. Venne richiesto l'intervento delle Sezioni Unite per dirimere il contrasto che nel tempo si era determinato all'interno della giurisprudenza di legittimità tra i due contrapposti indirizzi interpretativi in ordine alla ricostruzione del nesso causale. Il primo, delineatosi più recentemente, come abbiamo visto, riteneva per la sussistenza del nesso causale la prova che un diverso comportamento del medico avrebbe impedito l'evento con “un elevato grado di probabilità prossimo alla certezza e cioè in una percentuale di casi quasi prossima a cento”; per il secondo orientamento, per la sussistenza del nesso di causalità sarebbero sufficienti “serie ed apprezzabili probabilità di successo” per l'impedimento dell'evento. Le sezioni unite della Cassazione, per dirimere il 56 In tema di causalità omissiva è possibile ravvisare il nesso causale se l'azione doverosa omessa avrebbe impedito l'evento con alto grado di probabilità logica ovvero con elevata credibilità nazionale, cioè con una probabilità vicino alla certezza che può ritenersi raggiunta quando, sulla base di una legge universale o di una legge statistica, sia possibile effettuare un giudizio controfattuale (supponendo realizzata l'azione doverosa omessa e chiedendosi se in tal caso l'evento sarebbe venuto meno con percentuale vicino a cento). Cass. Pen. Sez. IV, 28 settembre 2000, dep. 9 marzo 2001, n. 9780, CP 02,159, nt. Iadecola. In senso conforme. In tema di responsabilità medica il rapporto di causalità deve essere accertato avvalendosi di una legge di copertura, scientifica o statistica, che consenta di ritenere che la condotta omissiva, con una probabilità vicina alla certezza, sia stata causa di un determinato evento. (Fattispecie nella quale si è accertato che un tempestivo ricovero in ospedale di un paziente colpito da infarto acuto del miocardio avrebbe consentito un adeguato trattamento terapeutico che, con un alto grado di probabilità in termini di elevati coefficienti percentualistici vicino a cento o quasi cento, avrebbe migliorato notevolmente la prognosi del paziente ed evitato l'evento letale verificatosi solo dopo pochi giorni. Cass. Pen. 28 novembre 2000, Di Cintio, CED 218727. 57 Cass. Pen. sez V, 23 gennaio 2002, dep.10 giugno 2002, Orlando. Tale sentenza è stata richiamata successivamente dalla IV sezione (12/12/2012-14/1/2013 n. 1716) 23 contrasto, si sono pronunciate con la sentenza del 10 luglio 2002, n. 30328, Franzese, con la quale vennero individuati i criteri da seguire affinchè potesse ritenersi sussistente il nesso causale. In sintesi, appare opportuno ricordare tali principi: 1) il nesso causale può essere ravvisato quando alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza 58 o di una legge scientifica universale o statistica 59 si accerti che ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento questo non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato ma in un'epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva60; 2) non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma o meno dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto61 sulla 58 Laddove alcuni elementi non siano spiegabili tramite la riconduzione ad una legge di copertura, si farà ricorso, alle generalizzazioni del senso comune, ad una regola di esperienza generalizzata, non espressiva cioè del punto di vista del singolo interprete. In ogni caso, vista l’impossibilità di conoscere tutti gli antecedenti che espletano efficacia eziologica sulla produzione dell’evento, il giudice deve avvalersi, necessariamente, di alcune assunzioni tacite, deve cioè ritenere sussistenti determinate condizioni, ignote o solo ipotizzate, sulla base delle quali, ceteris paribus, la legge di copertura utilizzata mantiene la propria validità. Aleo, S., Centonze, A., Lanza, E., op. cit., p. 158 59 La gran parte delle leggi di copertura non può che essere di tipo statistico. In questo caso la validità scientifica della legge è tanto maggiore quanto più elevato è il numero di casi in cui risulta applicabile (criterio quantitativo), nonché quanto più razionali ed empiricamente controllabili siano gli strumenti di conferma delle asserzioni (criterio qualitativo: alto grado di credibilità razionale o probabilità logica). Aleo S., Centonze A., Lanza, E., op. cit., p. 157 60 Il metodo di verifica della causalità viene identificato dalla Suprema Corte nel giudizio controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica. In altre parole un antecedente può essere considerato condizione necessaria di un evento se e quando esso rientri nell’insieme di quelli che conducono ad eventi del “tipo” di quello verificatosi nel caso di specie, sulla base di una successione regolare, conforme ad una generalizzata regola di esperienza o ad una legge dotata di validità scientifica (c.d. legge di copertura), frutto della migliore scienza ed esperienza di quel momento storico. Tale metodo deve essere utilizzato anche nei reati omissivi impropri, nel qual caso si dovrà verificare se, eliminata mentalmente l’omissione della condotta doverosa e sostituita a detto mancato adempimento un ipotetico facere corrispondente al comportamento doveroso, il singolo evento lesivo, hic et nunc avvenuto, si sarebbe, o non, verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. La S.C. ha ritenuto la responsabilità di un medico dermatologo per aver diagnosticato ed escisso tardivamente un melanoma a diffusione superficiale: un tempestivo intervento chirurgico avrebbe garantito al paziente una significativa sopravvivenza. Cass. Pen. Sez. IV, 26 ottobre 2010, dep. 24 novembre 2010, n. 41563, Giordano. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 67 61 Ben potrebbe accadere, cioè, che, pur in presenza dell’elevatissima probabilità statistica di produzione dell’evento in concomitanza di una data condotta, esistano elementi utili ad affermare una spiegazione causale diversa con riferimento al singolo fatto storico. Così come, pur in presenza di un coefficiente statistico medio o basso di connessione fra accadimenti, può dimostrarsi l’attendibilità del nesso di condizionamento, sempre che la ricostruzione della vicenda sia razionalmente credibile. Per una analisi critica Cfr. Stella, F.: Verità, scienza e giustizia: le frequenze medio-basse nella successione di eventi. Riv.it. Dir. e Proc. Pen. 2002, p. 1242. Nella sentenza Franzese però non si fa 24 base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile così che all'esito del ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza dei fattori alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo “con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica”, 62 3) l’insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale quindi il ragionevole dubbio sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l’esito assolutorio del giudizio 63. Le Sezioni Unite hanno ripudiato qualsiasi interpretazione che faccia leva, ai fini dell'individuazione del nesso causale, esclusivamente o prevalentemente su dati statistici ovvero su criteri valutativi probabilistici mostrando di propendere tra i due indirizzi interpretativi sopra ricordati, per quello delineatosi in tempi più recente. La necessità di individuare il nesso di causalità in termini di certezza è riferita non alla certezza oggettiva storica e scientifica, risultante da elementi probatori inconfutabili sul piano riferimento al quantum di probabilità necessario perché la connessione possa dirsi accertata. Aleo S., Centonze A., Lanza, E., op. cit., p. 165 62 Peraltro, si osserva, non si può pretendere che la spiegazione causale sia data solo dalle leggi scientifiche universali e da quelle statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico prossimo ad uno e cioè alla certezza, in quanto vi sono settori, in primis quello medico, sprovvisti o quasi di tali leggi. Una tale pretesa quindi finirebbe “col frustrare gli scopi preventivo repressivi del diritto e del processo penale in settori nevralgici per la tutela di beni primari”. Tuttavia le difficoltà (anche probatorie) ed i limiti della ricostruzione processuale del reato, sottolinea la Cassazione, non possono volgersi in danno dell’imputato, che altrimenti rischierebbe di essere condannato sulla base del richiamo a meri dati statistici ed avulsi dalla realtà dei fatti, con grave violazione dei principi di legalità, tassatività e tipicità della fattispecie penale e di personalità della pena, poiché verrebbe attribuito all’agente come fatto proprio un evento forse, ma non certamente, cagionato dal suo comportamento. In aderenza al principio della probabilità logica e l’alto grado di credibilità razionale la Corte ha annullato, in una fattispecie di lesioni personali colpose, una sentenza di assoluzione di un medico che, in presenza di quadro diagnostico equivoco, non ha proceduto ad intervento chirurgico esplorativo che avrebbe permesso di diagnosticare tempestivamente la torsione del funicolo testicolare in atto ed evitare lo stato necrotico che ne ha reso doverosa l’asportazione. Cass. Pen. Sez. IV, 19 ottobre 2010, dep. 31 dicembre 2010, n. 45871, Pecori. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 85 63 Addebitato a un ginecologo un disturbo depressivo di una paziente per il compimento della gestazione nonostante gravi malformazioni del feto non rilevate e non segnalate alla gestante: ritenuto non provato il nesso di causalità fra l’omissione del ginecologo e la depressione, atteso che si trattava di paziente fragile e che comunque l’interruzione di gravidanza si sarebbe in ipotesi praticata fra il quarto e quinto mese, quando l’attaccamento fra madre e bambino è già raggiunto. Cass. Pen. Sez. IV, 5 marzo 2009, dep. 24 aprile 2009, n. 17619, Piga. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 76 25 della oggettività bensì alla certezza processuale64 che deve essere raggiunta dal giudice valorizzando tutte le circostanze del caso concreto secondo un procedimento logico analogo alla valutazione della prova indiziaria ex art.192 co. 2 c.p.p. e che consente di ricollegare un evento ad una condotta omissiva al di là di ogni ragionevole dubbio vale a dire con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica. Le pronunce successive alla sentenza Franzese 65 mostrano la necessità di conoscere tutti gli elementi della fattispecie. La giurisprudenza consolidata ritiene pacifico che nella ricostruzione del nesso di causalità non si può prescindere dall'individuazione di tutti gli elementi riguardanti la causa dell’evento. In campo medico, solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia sarà possibile analizzare la condotta omissiva addebitabile al sanitario, attraverso il giudizio controfattuale verificando, avvalendosi di leggi statistiche o scientifiche e massime di esperienza che si attagliano al caso concreto, se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta (ma omessa), l'evento lesivo “al di là di ogni ragionevole dubbio” sarebbe stato evitato o si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. 66 L’elemento innovativo ricavabile dalla sentenza Franzese consiste nel superamento del concetto di alta probabilità statistica sostituito da quello 64 La certezza processuale sulla sussistenza del nesso di causalità si sostanzia in un alto grado di credibilità razionale. Mortale scompenso diabetico per inadeguata terapia insulinica: ritenuto processualmente certo che lo scompenso sarebbe stato evitato da un attento monitoraggio glicemico e dalla conseguente corretta gestione farmacologica. Cass. Pen. Sez. IV, 22 gennaio 2007, dep. 5 aprile 2007, n. 14130, Pastorelli. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 101 65 La struttura sanitaria ed i medici ivi operanti, rispondono a titolo di colpa, dell’evento pregiudizievole cagionato alla paziente quale conseguenza del comportamento omissivo, negligente ed imperito dagli stessi assunto in occasione delle errate prestazioni terapeutiche e chirurgiche messe in atto. In tema di responsabilità medica, il nesso causale tra il danno subito e il comportamento omissivo dei sanitari, va individuato alla stregua di un giudizio comparativo in forza del quale, ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa del medico, l'evento lesivo non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca notevolmente posteriore o con minore intensità”. Trib. Campobasso, 3 marzo 2011 66 Nella specie, è stata annullata con rinvio la sentenza di condanna per omicidio colposo pronunciata nei confronti del primario di un reparto nel quale si erano verificati i plurimi decessi di pazienti per epatite fulminante, sul rilievo che il giudice di merito aveva mancato di individuare con certezza la modalità di trasmissione del virus e di insorgenza della malattia risultata letale, cosicché non aveva saputo motivare in modo convincente l’addebito colposo omissivo, articolato nella decisione di condanna, sulla pretesa omissione, riconducibile all’imputato, della condotta di vigilanza e del controllo sull'osservanza, da parte del personale del reparto, delle precauzioni universali atte a prevenire il contagio durante lo svolgimento delle pratiche assistenziali e terapeutiche. Cass. Pen. Sez. IV, 25 maggio 2005, n. 25233. Conforme: Cass. Pen. Sez. IV, 11 marzo 2009 n. 10819. 26 della certezza processuale. La legge scientifica di copertura in precedenza individuata deve essere validata e riscontrata ex post 67. Non sono mancate pronunce che hanno riproposto le ambiguità antecedenti alla sentenza Franzese68. Altre hanno seguito solo in maniera formale ed apparente, in ordine al percorso probatorio, i principi affermati69. In una recente pronuncia la Corte rileva come la sentenza impugnata, osservava i principi della sentenza Franzese solo formalmente ma in concreto li disattendeva70. Altrove, la Corte annullava la sentenza facendo notare che i giudici dell’impugnazione non avevano condotto nessun giudizio controfattuale, sostituendo il concetto di “alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica” con la “possibilità” 71. In tempi recenti, si ritiene che nella valutazione del nesso di causalità bisogna considerare anche la natura e i tempi dell’offesa in 67 La Corte, in un caso relativo di omessa diagnosi di un’opacità oculare la quale è stata ritenuta essere l’antecedente causale di un arresto cardiaco, conferma la sentenza di condanna e ritiene soddisfatti i requisiti della “alta credibilità razionale e della attendibilità del giudizio controfattuale” similari alla dicitura più di frequente utilizzata “assai probabilmente”. Cass. Pen. Sez. IV, 15 dicembre 2002, n.38334, Abissini. Riv. Pen. 2003, p. 1119. Nella sentenza in esame il concetto di alta probabilità ex post non risulta verificato e si sovrappongono i piani della causalità e della colpa. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp. 88-89 68 In questa decisione la Corte riprende il concetto di “probabilità statistica” ed essenzialmente l’analisi si limita a quanto riscontrato senza procedere ad un giudizio ex post sulla base delle circostanze fattuali all’evidenza riscontrabili e non si procede, nemmeno ad escludere eventuali fattori alternativi che abbiano, eventualmente, potuto determinare l’evento. Cass. Pen. Sez. IV, 21 gennaio 2003, n.17379 De Paula. Giust. Pen. 2004, II, 67. De Simone Palatucci, M., op. cit., pag. 89 69 La decisione affronta il caso di un chirurgo vascolare condannato in secondo grado per omicidio colposo per non aver impedito la morte della sua paziente deceduta a causa di una tromboembolia polmonare. La Corte annulla la sentenza di secondo grado perché ritiene che la spiegazione causale ex ante, a conferma dell’utilità dell’esame diagnostico, è esaustiva, ma è carente la verifica fenomenica ex post. Cass. Pen. Sez. IV, 25 novembre 2004, n.11977, Nobili. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 91 70 La Corte ha annullato senza rinvio perché ha ritenuto che il fatto non sussiste. Si controverteva in merito alla vicenda di un chirurgo condannato per non essersi attivato ad impedire la morte di un paziente sottoposto ad un intervento di colicistectomia laparoscopica e poi deceduto per un’imponente emorragia. L’addebito mosso al medico era di non aver proceduto tempestivamente ad una ecografia post-operatoria di controllo per la verifica del decorso patologico. Appare carente, in sede di impugnazione, la verifica della effettiva attualizzazione dell’azione doverosa omessa per valutare se il decesso sarebbe stato scongiurato “con alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità logica”. La Corte ha censurato la sentenza nel punto in cui il giudizio di probabilità logica veniva riferito non alla capacità impeditiva della condotta omessa, ma alle opzioni che, al momento si ponevano all’imputato. Cass. Pen. n.19334, 2007 R.B. La responsabilità penale del medico. De Simone Palatucci, M., op. cit. p. 91 71 La Corte annulla la condanna inflitta ad un chirurgo per omicidio colposo emessa dalla Corte di Appello di Genova. La condanna si fondava sul presupposto che l’imputato, per negligenza, imprudenza, imperizia non aveva prevenuto adeguatamente e fattivamente il decesso del paziente causato da setticemia da “stafilococco aureo”. La Corte ha rilevato che per l’individuazione del nesso causale, non si può far, esclusivamente, riferimento a dati statistici o a criteri probalistici ed, inoltre, ha sottolineato che l’identificazione del nesso causale non può avvenire in termini di certezza oggettiva ma processuale. Cass. Pen. Sez. IV, 3 ottobre 2007, n. 36162, Isola. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp. 92-93 27 concreto cagionata e quindi ritenere sussistente il nesso eziologico qualora l’evento si sarebbe verificato in tempi significativamente, non minuti o ore, più lontani ovvero anche quando alla condotta colposa omissiva o attiva, sia ricollegabile un’accelerazione dei tempi di latenza di una malattia provocata da altra causa 72. Dopo questo excursus giurisprudenziale, si ritiene opportuno esaminare in maniera più chiaro e concreto il procedimento per giungere ad una “probabilità logica” sul nesso di causalità, con riferimento ai casi di responsabilità medica 73. Il punto di partenza dell’indagine sul nesso di causalità sarà la legge di copertura, se esistente, scientifica74 o statistica75, verificata nella sua attendibilità e fondatezza valutandone il grado di conferma empirica e il consenso di cui goda nella comunità scientifica. Occorrerà verificare poi, se la legge di copertura sia utilizzabile nel caso esaminato perché compatibile con le specifiche caratteristiche di quest’ultimo. 76Altre caratteristiche del caso concreto da tenere in considerazione ai fini del giudizio di probabilità logica possono essere il livello di gravità della patologia, la tempestività dell’accertamento della malattia, l’interazione con altri farmaci somministrati. Si 72 Fattispecie in tema di omicidio colposo, imputato ad un medico radiologo, in posizione funzionale apicale, per aver controfirmato, in esito ad un esame radiologico da cui è risultata una formazione neoplastica polmonare, un referto radiologico negativo. Il ritardo diagnostico che ne è derivato avrebbe, secondo l’accusa, concausato l’exitus. La S.C. ha annullato con rinvio l’impugnata sentenza di non luogo a procedere non essendo stato adeguatamente approfondito il tema del nesso di causalità; in particolare non è stato chiarito se un tempestivo intervento chirurgico e una tempestiva terapia chemioterapica e radioterapica avrebbero consentito di dilazionare significativamente il decesso del paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 23 settembre 2010, dep. 2 novembre 2010, n. 38586, Montrasio. Giunta, F., Lubinu G., Micheletti D., Piccialli P., Piras P., Sale C., op. cit., p. 67 73 La probabilità logica, richiamata dalla Sezioni Unite nella sentenza Franzese, è una categoria concettuale radicalmente distinta da quella della probabilità statistica. Le leggi statistiche ed i correlati studi costituiscono uno strumento revisionale utile ai fini della prevenzione dei rischi ed ipotizzano un rapporto causale tra fenomeni senza che provino di per sé un nesso di causalità cioè costituiscono un indizio da poter valorizzare, insieme ad altri, nell’accertamento di detto rapporto ex post. 74 Ritenuto sussistente il rapporto di causalità fra la mancata diagnosi di microsomia fetale e il mancato intervento di taglio cesareo con produzione di paresi brachiale alla neonata. Cass. Pen. Sez. IV, 2 aprile 2008, dep. 11 giugno 2008, n. 23507, Martino. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 83 75 Morte del paziente per polmonite da inalazione di cibo nell’albero respiratorio: ritenuto accertato il nesso causale con la mancata diagnosi per un dato statistico: su 38 pazienti affetti da malattia solo 2 sono deceduti e per l’età giovane del paziente e l’assenza di concomitante malattie. Cass. Pen. Sez. IV, 2 aprile 2007, dep. 1 giugno 2007, n. 21597, Pecchioli. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 83 76 Il giudice dovrà verificare, altresì, se queste leggi siano compatibili con l’età, il sesso, le condizioni generali del paziente, con la presenza o l’assenza di altri fenomeni morbosi interagenti, con la sensibilità individuale ad un determinato trattamento farmacologico e con tutte le altre condizioni, presenti nella persona nei cui confronti è stato omesso il trattamento richiesto, che appaiono idonee ad influenzare il giudizio di probabilità logica. Cass. Pen. 14 dicembre 2006, dep.2 febbraio 2007, n. 4177. 28 dovranno quindi comparare le peculiarità del caso77 con le condizioni in cui è stata sviluppata l'indagine scientifica e/o statistica. In casi siffatti, secondo la citata sentenza Franzese, l’esistenza del nesso causale dovrà essere valutata sulla base delle massime di esperienza o delle generalizzazioni del senso comune, purché le stesse abbiano un solido fondamento scientifico che confermi la valutazione che ricollega la condotta all’evento78. Infine, per concludere sull’argomento ai fini dell’accertamento del nesso causale bisogna tener conto anche dell’esistenza di eventuali fattori causali alternativi. 79Questo modus operandi appare come una trasposizione in sede giudiziaria del metodo della c.d. falsificazione, sostenuto in primis da K. Popper. In base a tale metodo, per verificare la validità di una legge scientifica il metodo migliore non è quello di cercare conferme alla sua validità, ma di individuare elementi che possano smentirla. Infatti per quante conferme positive una legge possa ricevere, è sufficiente una sola smentita per invalidarla. La ricerca di fattori causali alternativi diventa quindi fondamentale per ritenere processualmente certo il rapporto di causalità. Infatti, anche solo il ragionevole dubbio sull’esistenza di una singola 77 Il giudizio sulla sussistenza del nesso di causalità deve essere effettuato non solo sulla base dei dati statistici evincibili dalle leggi scientifiche di copertura ma anche sulla base delle circostanze del caso concreto emergenti dal quadro probatorio disponibile agli atti, in modo da ottenere una ragionevole certezza processuale circa la effettiva derivazione dell’evento concreto dalla specifica condotta contestata. La Corte, in tema di omicidio colposo, ha confermato la sentenza assolutoria nei confronti degli imputati medici cardiologi relativamente all’omesso trasferimento del paziente, affetto da infarto del miocardio, in un centro specializzato in emodinamica. Sulla base del quadro clinico del paziente, non avrebbe potuto affermarsi con certezza che l’omesso trasferimento dello stesso e le cure che avrebbe potuto ricevere ne avrebbero ragionevolmente evitato il decesso. Cass. Pen. Sez. IV, 23 giugno 2010, dep. 12 ottobre 2010, n. 36353, Caiazza e altro. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 85 78 Ritenuta insufficientemente motivata l’affermazione di sussistenza del nesso causale basata sulla norma di comune esperienza che il monitoraggio glicemico impedisce l’insorgere del coma diabetico e quindi la morte del paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 8 novembre 2006, dep. 25 gennaio 2007, n. 2619 Dumitrescu. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 84 79 L’indagine del p.m. prima e l’attività istruttoria del giudice poi devono essere dirette non soltanto ad ottenere la conferma dell’ipotesi formulata ma devono riguardare anche la conferma, o meno, dell’esistenza di fattori causali alternativi che possano costituire elementi di smentita della ricostruzione ipotizzata”. Cass. Pen. 6 novembre 2007, dep. 10 gennaio 2008, n.840. In senso conforme: in tema di lesioni colpose gravi in cui sono stati tratti a giudizio un medico radiologo e i medici rianimatori per non aver tempestivamente rilevato un errore nell’intubazione oro tracheale del paziente che ha provocato la formazione di una fistola esofago-tracheale e disfagia del paziente. Il giudizio sul nesso di causalità fra tali comportamenti colposi e l’evento si è appuntato anche sull’esclusione di fattori causali alternativi che potessero aver provocato l’evento, in particolare: a) complicanze legate al trauma cranico subito dal paziente nell’incidente stradale che ha occasionato il ricovero; b) l’abitudine al fumo del paziente stesso. Cass. Pen. Sez. IV, 19 gennaio 2010, dep. 8 aprile 2010, n. 13237, Leonetti ed altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 73 29 ipotesi alternativa non consentirebbe di arrivare alla richiesta “probabilità logica” circa la sussistenza del nesso di causalità. Tale modo di procedere assumerà tanto più importanza nel caso in cui non esistano leggi scientifiche applicabili al caso concreto e quindi il nesso di causalità viene accertato in base a massime d’esperienza generalmente riconosciute, oppure nel caso in cui le leggi statistiche forniscano percentuali probabilistiche medio-basse. E’ovvio che il procedimento per giungere alla richiesta “probabilità logica” non è semplice, soprattutto in ipotesi di causalità omissiva, ma in tale compito il giudice può essere senz’altro aiutato dall’attività processuale delle parti. E’ infatti evidente che sarà interesse della difesa, ad esempio, indicare al giudice i fattori causali alternativi e valorizzare le caratteristiche del caso concreto che potrebbero portare ad un ragionevole dubbio circa la sussistenza del nesso di causalità80. Occorre precisare però, che la difesa non ha l’onere di provare l’esclusione di processi causali alternativi81. Nel campo medico il ragionamento da seguire per accertare il nesso di causalità non è più il modello nomologico-deduttivo ma quello statistico-induttivo. Si tratta di un metodo diverso da quello seguito dal giurista perché il penalista ragiona ispirandosi al modello nomologico-deduttivo che parte da premesse certe e richiede risposte sicure. Tale metodo non può essere seguito dal medico legale perché in campo medico esistono vaste informazioni scientifiche e non è riscontrabile un apparato nomologico che si può porre come premessa per un ragionamento deduttivo. Il medico legale adotterà invece un metodo di ragionamento di tipo induttivo basato su fatti caratteristici di ogni singola vicenda considerata irripetibile e caratterizzata da molti fattori causali. Non potrà dedurre da premesse certe conclusioni rigorose ma si dovrà basare su osservazioni statistiche e probalistiche raccogliendo tutti i dati biologici e risalendo ad ogni antecedente 80 La mancanza di prova certa e rigorosa sul nesso di causalità importa l’esito assolutorio del processo. La Corte, in tema di morte per ustioni da incendio autoprovocato, dalla paziente, ha escluso il nesso causale ritenendo che la presenza di più personale non avrebbe impedito l’evento e che comunque vi fu un tempestivo, ma inutile intervento di soccorso. Cass. Pen. Sez. IV, 11 novembre 2009, dep. 17 dicembre 2009, n. 48313, Cellerino. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 91 81 La difesa non ha l’onere di provare che l’evento è stato causato da un processo causale diverso da quello indicato in imputazione. La Corte, in un caso di dissezione aortica prodotta durante un intervento di angioplastica, ha annullato con rinvio la condanna basata sull’affermazione che era onere della difesa provare che le lesioni al paziente erano derivate da causa diversa da un errata manovra d’introduzione del catetere. Cass. Pen. Sez. IV, 18 ottobre 2008, dep. 4 luglio 2008, n. 27398, Nigri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 113 30 causale di un evento sottolineandone i caratteri e modalità di azione e interazione nel processo che conduce all’evento. Il medico legale partendo dall’evento concreto risale induttivamente alla causa che lo ha determinato utilizzando il metodo criteriologico elaborato dalla dottrina medico-legale, fondato su osservazioni di valore statistico e di alta probabilità. 6. La colpa penale medica La condotta colposa82, è caratterizzata, dalla “non volontà” dell’evento, dall’assenza di dolo e quindi l’evento si verifica per negligenza 83, imprudenza84 o imperizia85 (colpa generica) ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline 86 82 Art. 43 c.p. co.3. Il delitto è colposo o contro l'intenzione quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. 83 La colpa per negligenza, concerne una condotta di disaccortezza e di disattenzione; il soggetto cioè assume, per errore ed ignoranza da lui ineccepibili, un comportamento omissivo e volontario diverso, da quello che una norma di qualsiasi natura impone. Cass. Pen. 16 maggio 1952, Gozzi, GCCP 52, II, 306. 84 L’essenza della nozione di imprudenza consiste nella realizzazione di una attività positiva che non si accompagni, nelle speciali circostanze del caso, a quelle cautele che la ordinaria esperienza suggerisce di impiegare a tutela della incolumità e degli interessi propri ed altrui. Cass. Pen. Sez. IV, 21 maggio 1985, dep. 5 giugno 1985, n. 5576, GP 87, II, 56. In tema di responsabilità per delitto colposo (nella specie interruzione della gravidanza di una paziente) posto in essere nell’esercizio della professione medica, la scelta compiuta dal sanitario il quale, tra due possibili decisioni, abbia adottato quella più agevole, ma poco sicura, invece dell’altra, più accurata e meno rischiosa per la salute del nascituro, integra una ipotesi di condotta imprudente. (Fattispecie nella quale il medico, a cui erano ben presenti le risultanze di un esame cardiotocografico, indicativo di una probabile sofferenza fetale, riscontrando un elemento rassicurante costituito dal movimento del feto, aveva rinviato il controllo al giorno successivo, invece di procedere all’immediato ricovero del paziente, sottoponendola a monitoraggio e a pronto intervento). Cass. Pen. Sez. V, 9 luglio 2001, dep. 10 ottobre 2001, n. 36590 rv. 219654. 85 L’imperizia è un concetto che si riferisce alla violazione di regole tecniche attinenti all’esercizio di una determinata professione. Presuppone quindi, che l’agente, consapevole della propria carente abilità professionale, agisce pur sapendo di non essere in grado di operare. In sostanza si traduce nella violazione delle c.d. legis artis ovvero quel complesso di regole tecnico-scientifiche, scritte o non scritte, universalmente riconosciute in ambito sanitario e nelle singole specialità. Cass. Pen. Sez. IV, 2 luglio 2002, n.31452, Cass. Pen. n. 3409/2003. Si ha imperizia quando la condotta del medico è incompatibile con quel livello minimo di cognizione tecnica, di cultura, di esperienza e di capacità professionale, che costituiscono il presupposto necessario per l'esercizio della professione medica. Cass. Pen. Sez. IV, 16 febbraio 1987. 86 Indica un contrasto tra comportamento e regole di condotta le quali presentano la particolarità di essere direttamente dettate dall’ordinamento giuridico, e trattasi di ipotesi di colpa specifica da fonte giuridica. In tema di colpa specifica, ad integrare la colpa medesima basta l’inosservanza della regola cautelare imposta dalla legge, regolamento, ordine o disciplina, purchè beninteso, l’evento verificatosi sia riconducibile al tipo di evento che tale regola intende prevenire, per cui non vale invocare la mancanza del requisito della prevedibilità, essendo questa insita nello stesso precetto normativo violato, nel senso che è stato l’autore di questo a prefigurarsi una volta per tutte la pericolosità di una certa situazione. Cass. Pen. Sez. IV, 1 dicembre 1989, dep. 2 febbraio 1990, n. 1501 rv. 183204 31 (colpa specifica). La colpa professionale è ravvisabile nell’errore inescusabile cioè in carenza della necessaria abilità tecnica o nella omessa applicazione delle cognizioni fondamentali che regolano la professione 87. L’attività medica per sua natura è rischiosa per cui, la colpa medica ha come caratteristica l’inosservanza di regole di condotta, le leges artis, che tendono a prevenire il rischio non consentito. Considerando che l’ambito medico è caratterizzato in prevalenza da regole tecniche non scritte, per accertare la colpa 88 la dottrina e la giurisprudenza utilizzano i criteri della prevedibilità89 ed evitabilità90 dell’evento in concreto91, cioè tenendo presente 87 E' stato sostenuto che la misura della perizia oggettivamente richiesta nell'espletamento dell'attività sanitaria è graduabile a seconda che il medico appartenga alla cerchia dei cattedratici, degli specialisti o dei semplici generici. Fiandaca – Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 1995, p. 496. Ai fini della colpa professionale dell'esercente un'attività sanitaria non si richiede una grande perizia, ma quel minimo che si deve attendere dall'esercente la professione medica. Cass. Pen. Sez. IV, 18 febbraio 1983, dep. 21 ottobre 1983, n. 8784, CP 84, 81. Di fronte all'errore del medico specialista, invece, è necessario un atteggiamento di maggiore severità, poiché, in tali ipotesi, non si richiede al sanitario solo quel minimo di cognizioni e l'abilità sopra indicate, ma quella conoscenza e quella particolare abilità e perizia proprie di chi ha acquisito un titolo specialistico. Cass. Pen. 11 marzo 1983 e in Giustizia Penale, 1984, II, p. 227. Nel caso di prestazioni mediche di natura specialistica, effettuate da chi sia in possesso del diploma di specializzazione, non può prescindersi dalla considerazione delle cognizioni generali e fondamentali proprie di un medico specialista nel relativo campo, non essendo sufficiente il riferimento alle cognizioni fondamentali di un medico generico. Cass. Pen. Sez. IV, 2 ottobre 1990, dep. 6 novembre 1990, n. 14446, cit. La condotta del medico specialista (a fortiori se tra i migliori del settore) va esaminata non già con minore ma al contrario semmai con maggior rigore ai fini della responsabilità professionale, dovendo aversi riguardo alla peculiare specializzazione e alla necessità di adeguare la condotta alla natura e al livello di pericolosità della prestazione (cfr., con riferimento al medico sportivo, Cass., 8/1/2003, n. 85), implicante scrupolosa attenzione e adeguata preparazione professionale (cfr. Cass., 13/1/2005, n. 583). Cfr. Cass. civ. sez. III, 9/10/2012 n. 17143. Ciò comporta che l’impegno dal medesimo dovuto, se si profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attività professionale esercitata, giacchè il professionista deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità. Cfr. Cass. civ. n. 17143 cit. testo integrale e nota disponibile su www.neldiritto.it 88 Risponde a titolo di colpa il sanitario quando non valuti le possibili conseguenze di ogni suo atto e non riduca al minimo i rischi di ogni terapia e dei possibili interventi. Cass. Pen. Sez. IV, 26 ottobre 1983, n. 8917 89 Consiste nella possibilità di prevedere l’evento che conseguirebbe al rischio non consentito riferendosi sempre al “modello di agente”, arricchito dalle eventuali maggiori conoscenze dell’agente in concreto. Cass. Pen. Sez. IV, 28 aprile 1994, n. 11007. Nel reato colposo, l’essenza della colpevolezza è la prevedibilità dell’evento, definita anche come motivabilità. Essa si configura nella discrepanza tra il processo motivazionale reale del soggetto, che lo ha condotto a compiere il fatto antigiuridico, ed il processo motivazionale ipotetico che l’agente modello, in determinate circostanze di fatto, avrebbe potuto compiere in modo conforme alle richieste di liceità dell’ordinamento. (Morte per trombosi venosa cerebrale non correttamente trattata: negato rilievo ad invocate modalità colpose dei sanitari poiché, a fronte dei limitati dati scientifici disponibili all’epoca dei fatti, non era possibile prevedere il rischio trombotico che aveva colpito la paziente). Cass. Pen. Sez. IV, 16 giugno 2010, dep. 20 agosto 2010, n. 32125, Bacci ed altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 129 32 tutte le circostanze oggettive e soggettive in cui il medico si è trovato ad operare92, rapportati al parametro oggettivo dell’agente modello 93. Praticamente, secondo il parametro dell’agente modello la prevedibilità dell’evento 94, che conseguirebbe al rischio non consentito, va determinato dal giudice con criterio ex ante95, cioè collocandosi mentalmente nel momento in cui il medico è intervenuto; il medico ha l’onere di fornire la corretta diagnosi della malattia corredata da tutte le indicazioni e 90 Il giudice deve valutare l’evitabilità dell’evento, cioè è necessario individuare la condotta il c.d. comportamento alternativo lecito, ossia verificare se qualora il medico si fosse comportato in maniera osservante della regola cautelare, l’evento stesso si sarebbe verificato ugualmente oppure no. In altre parole non sussiste l’evitabilità (e quindi la colpa) qualora l’evento si sarebbe verificato anche se il soggetto avesse agito con diligenza. L’evento mortale deve, dunque, rappresentare la concretizzazione del rischio che le regole di diligenza violate miravano a prevenire. Cass. Pen. Sez. IV, 26 maggio 2010, dep. 23 settembre 2010, n. 34521, Huscher e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 139 91 Merita annullamento con rinvio la sentenza del giudice di merito che prescinde dalla considerazione approfondita delle circostanze del caso concreto che avrebbero potuto incidere sul decorso causaleattraverso la possibile interferenza di fattori causali alternativi- e sull’esigibilità nei confronti dell’imputato del comportamento alternativo rispettoso delle regole professionali. (Fattispecie in tema di omicidio colposo. La S.C. ha annullato con rinvio la sentenza di merito che ricostruiva la responsabilità del medico-chirurgo - per ritardata diagnosi di una complicanza postoperatoria e conseguente omesso tempestivo intervento chirurgico correttivo idoneo- senza valutare in modo sufficientemente approfondito l’incidenza del quadro patologico che il paziente presentava già al momento del ricovero-particolarmente grave- sul decorso causale che ha condotto all’exitus e sulle scelte terapeutiche fruttuosamente praticabili dell’imputato, conseguentemente è stata ritenuta la violazione delle regole poste dagli artt. 40 e 43 c.p. in tema di accertamento del nesso di causalità e della colpa). Cass. Pen. Sez. IV, 24 settembre 2009, dep. 11 febbraio 2010, n. 5574 Alquati. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., pp. 130-131 92 L’agente modello cui fare riferimento e ai fini della prevedibilità di un evento e ai fini della colpa o, meglio, ai fini della esigibilità dell’osservanza delle regole di condotta sia generiche, dettate dalla comune prudenza, sia specifiche, dettate dal legislatore, è l’agente del momento in cui è stata posta in essere la condotta che ha infranto la regola cautelare e, quindi, l’agente modello che tenga conto dello stato della scienza e della tecnica in quel determinato settore e in quel determinato momento storico. Cass. Pen. Sez. IV, 30 marzo 2000, dep. 6 febbraio 2001, n.5037. 93 Chi pone in essere una condotta attiva od omissiva per individuare il comportamento diligente doveroso si deve interrogare su quale tipo di azione, nella situazione concreta, avrebbe posto in essere l’agente modello svolgendo il suo stesso tipo di attività. Il parametro dell’agente modello si riferisce all’uomo medio ragionevole con la sua capacità di prevedere i rischi e di evitarne la realizzazione. E’ possibile enucleare una pluralità di figure modello a seconda della disciplina specialistica considerata. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp.164-165 94 Omissis…Ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell’evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione. Cass. Pen. Sez. IV, 17 maggio 2006, dep. 6 febbraio 2007, n. 4675 rv. 235660 95 In tema di delitti colposi, la prevedibilità dell’evento dannoso va accertata con criteri ex ante e va valutata dal punto di vista dell’agente (non di quello che ha concretamente agito, ma dell’agente modello) per verificare se era prevedibile che la sua condotta avrebbe potuto provocare quell’evento; il criterio della concretizzazione del rischio, invece, è una valutazione ex post che consente di avere conferma, o meno, che quel tipo di evento effettivamente verificatosi rientrasse tra quelli che la regola cautelare mirava a prevenire, tenendo conto che esistono regole cautelari per così dire aperte, nelle quali la regola è dettata sul presupposto che esistano o possano esistere conseguenze dannose non ancora conosciute, ed altre cd. rigide, che prendono in considerazione solo uno specifico e determinato evento. Cass. Pen. Sez. IV, 17 maggio 2006, dep. 6 febbraio 2007, n. 4675 rv. 235662 33 dalla terapia adeguata, le eventuali complicazioni che rientrano nelle evenienze probabili secondo i dettami della scienza medica. Bisogna considerare le difficoltà tecniche in concreto96, la sua complessità, il tipo di patologia, le condizioni generali del paziente, le conoscenze acquisite dalla scienza medica tenendo conto di eventuali margini di opinabilità che il caso presenta97. La regola cautelare violata deve essere individuata su base scientifica e fondata su credibilità razionale 98 e non frutto di congetture o supposizioni del giudice. Le regole cautelari non consentono di eliminare dall’ origine il rischio 99 né offrono la certezza di un esito positivo. Si è avvertita perciò la necessità di formalizzare le regole dell’arte individuando delle c.d. “linee guida”100 codificate sulla base dell’evidenza scientifica con l’intento di 96 La difficoltà dell’intervento e la diligenza del professionista vanno valutate in concreto, rapportandole al livello di specializzazione del professionista e alle strutture tecniche a sua disposizione, sicchè il medesimo deve, da un canto, valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, ricorrendo anche all’ausilio di un consulto (se la situazione non è così urgente da sconsigliarlo); e, d’altro canto, deve adottare tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell’intervento, e laddove ciò non sia possibile, deve informare il paziente, financo consigliandoli, se manca l’urgenza di intervenire, il ricovero in una struttura più idonea. Cass. 13/4/2007, n. 8826, Cass. 5/7/2004 n. 12273, Cass. 21/7/2003 n. 11316, Cass., 16/5/2000 n. 6318, Cass. 9/10/2012 n. 17143 97 Cass. Civ. Sez. III, 9/10/2012 n. 17143 98 In mancanza di predeterminazione legislativa delle regole cautelari la misura del rischio consentito resta affidata al potere discrezionale del giudice: il quale dovrà tenere conto che la prevedibilità e la prevenibilità vanno determinate in concreto, avendo presenti tutte le circostanze in cui il soggetto si trova ad operare ed in base al parametro relativistico dell’homo eiusdem condicionis et professionis, parametro che, specialmente nella professione medica, è variegato, dovendo tenersi conto delle specializzazioni e del livello di conoscenze raggiunto nelle varie specializzazioni. Ne consegue, che se l’agente è un medico che ha una specializzazione, la responsabilità da rischio non consentito dovrà essere valutata avuto riguardo ai rischi che le conoscenze certe, raggiunte in quel determinato settore, consentono o impongono di evitare. Cass. Pen. Sez. IV, 2 marzo 2007, dep. 18 maggio 2007, n. 19354, Duce. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., pp. 135136 99 In tema di responsabilità per colpa medica rischio consentito non significa esonero dall’obbligo di osservanza delle regole di cautela, ma rafforzamento di tale obbligo in relazione alla gravità del rischio, che solo in caso di rigorosa osservanza di tali regole potrà effettivamente ritenersi consentito per quella parte che non può essere eliminata”. Cass. Pen. Sez. IV, 12 novembre 2008, dep. 28 gennaio 2009, n. 4107, Calabrò. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 133 100 La natura e l’efficacia giuridica delle linee guida hanno generato un acceso dibattito. Se le si considera annoverabili nella nozione di discipline di cui all’art. 43 c.p. allora costituiscono il presupposto per un addebito di colpa specifica, altrimenti, volendole considerare inquadrabili nella situazione opposta di esclusione ci troveremmo di fronte ad un criterio per valutare l’esistenza o meno della colpa generica. La giurisprudenza di legittimità, aderendo alla concezione che la colpa va sempre accertata al momento in cui l’agente ha posto in essere la condotta in base alle conoscenze acquisite, ritiene condivisibile la seconda impostazione. L’inosservanza delle linee guida, isolatamente considerata, non è sintomo di colpa perché, ad esempio, un quadro diagnostico diverso può far propendere per una patologia non contemplata. Cass. Pen. Sez. IV, 24 febbraio 2000, Minella. Cass. Pen. 2001, 2696. La dottrina interpreta le linee guida e i protocolli non come norme vincolanti, ma in qualità di indicazioni o suggerimenti per orientare il medico. Lionetto, R., Mazzotta, G.: Le linee guida: alcune considerazioni su uno degli strumenti culturali su cui si potrebbe fondare la svolta del 34 guidare il medico nelle scelte e ridurre al minimo i rischi clinici. 101 La definizione ufficiale delle linee guida è stata data nel 1992 dall’Institute of Medicine statunitense, qualificandole come: “raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico allo scopo di assistere i medici e pazienti nel decidere quali siano le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche”102. Questa definizione tuttavia, riguarda solo le direttive di contenuto medico e non tiene conto di quelle dettate da esigenze di risparmio economico, che tengono conto del rapporto costi-benefici. Ne deriva la prassi di linee guida aziendali che sono in parte condizionate dall’esigenza di correlare la qualità e Sistema Sanitario Nazionale. Italian Heart J. Suppl. 2000, I, 617-631; Fiori, A.: Medicina legale della responsabilità medica, Milano, 1999, 515; Ronchi, E., Compari, O.: Il ruolo di linee guida e protocolli nella valutazione della colpa medica. Problemi di responsabilità sanitaria, Medicina e diritto, Milano, 123 ss. Una recente pronuncia giurisprudenziale ribadisce che le linee guida e i protocolli, proprio in ragione delle peculiarità della attività del medico, che sfugge a regole rigorose e predeterminate, non possono assumere il rango di fonti di regole cautelari codificate, rientranti nel paradigma normativo dell’art. 43 c.p. “leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Ciò risulta evidente dal carattere non tassativo (in quanto è la situazione individuale del paziente il punto di partenza della valutazione clinica) e non vincolante (in quanto non possono prevalere sulla libertà del medico nelle scelte terapeutiche) sia delle linee guida che dei protocolli. Tale assunto è inoltre confermato dal rilevato rapporto tra il medico e i pazienti, laddove il medico è sempre tenuto a prescegliere la migliore soluzione curativa per il paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 19 settembre 2012, (u. p. 11 luglio 2012), n. 35922, Brusco. Corriere giuridico 4/2013, p. 479 101 E’ ritenuto in colpa, per imperizia e negligenza il medico che adotti una terapia non conforme ai protocolli diagnostici, senza peraltro fondare la propria scelta operativa su sicuri dati anamnestici e diagnostici per aver inescusabilmente omesso opportuni accertamenti e rilevamenti che avrebbero permesso di calibrare la risposta terapeutica al quadro sintomatologico del paziente. (Fattispecie in tema di omicidio colposo. Un bambino, afflitto da vomiti e diarrea da quattro giorni, è stato curato senza preventivamente valutare l’entità dei liquidi persi ed il suo peso, dati in relazione ai quali i protocolli terapeutici in uso stabiliscono la corretta posologia del trattamento farmacologico che avrebbe dovuto essere somministrato.) Cass. Pen. Sez. IV, 18 febbraio 2010, dep. 8 marzo 2010, n. 9199, De Lorenzo. Versa in colpa il medico che opera in contrasto con le regole cautelari contenute nelle linee guida (Riduzione e sospensione di farmaco con modalità contrastanti con le guide lines dell’American Psychiatric Association). Cass. Pen. Sez. IV, 14 novembre 2007, dep. 11 marzo 2008, n. 10795, Pozzi. E’ priva di ogni profilo colposo la condotta del medico che, dovendo effettuare un intervento di colecistectomia su una paziente ad alto rischio tromboembolitico, per essere la stessa portatrice di valvola protesica, associata a terapia anticoagulante, abbia affrontato e risolto il problema del bilanciamento tra il rischio emorragico in soggetto sottoposto a terapia anticoagulante e quello tromboembolico, derivante dalla sospensione di quel trattamento, conformandosi alle linee guida dettate dal Trattato di cardiologia di E. Braunwald. Cass. Pen. Sez. IV, 2 marzo 2007, dep. 18 maggio 2007, n. 19354, Duce. Ancorchè le linee guida (nella fattispecie quelle edite a cura della Società Italiana di neurochirurgia) siano da considerare solo suggerimenti atti a orientare i sanitari nei comportamenti che devono porre in essere in relazione ai casi concreti, qualora il medico si sia attenuto alle indicazioni ivi suggerite, l’affermazione di una sua responsabilità colposa impone al giudice la necessità di spiegare puntualmente quali siano i particolari sintomi sottovalutati dall’imputato e gli specifici profili di inadeguatezza della terapia attuata. Cass. Pen. Sez. IV, 8 giugno 2006, dep. 14 luglio 2006, n. 24400, Cardillo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., pp. 130-136 102 Field, M.J - Lohr, K.N.: Guidelines for clinical practice: from development to use. Washington, Institute of Medicine, National Academy Press, 1992, 35 35 l’efficienza del servizio prestato con quella di razionalizzare la spesa sanitaria e contenere i costi. A tal fine è stata individuata una nuova definizione di linee guide: “raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, coerenti con le conoscenze sul rapporto costo-beneficio degli interventi sanitari, per assistere medici e pazienti nella scelta delle modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche”103. I Piani Sanitari Nazionali prevedono ex art. 155 d.lgs n. 12/1998, l’elaborazione di linee guida per la definizione di criteri di riferimento per l’esercizio delle attività sanitarie. La stessa normativa ha previsto poi, l’adozione di un piano nazionale per le linee guida (PNLG), in coordinamento con l’AGE.N.A.S e l’ISS, che hanno prodotto numerose linee guida nazionali offerte agli operatori sanitari come strumento nella scelta delle alternative possibili. Diversamente dalle linee guida i protocolli prevedono percorsi diagnostici ed operativi, quindi vanno intesi come regolamenti la cui vincolatività e inderogabilità deriva da una fonte normativa di rango superiore, quale la legge 104 oppure da regolamenti delle strutture ospedaliere. Giuridicamente, rientrerebbero nell’art. 43 c.p. nel novero delle leggi, regolamenti, ordini o discipline. Tuttavia, sia la giurisprudenza105 che la normativa106 tende a confondere i due piani di efficacia e di applicazione. Discussa è stata la questione dell’applicabilità in sede penale dell’art. 2236 c.c.107 che si trova nella normativa civilistica dell’esercizio della professione intellettuale, e che limita la responsabilità del professionista 108 al dolo e 103 Cartabellotta, Potena: Sanità e management. Il Sole 24 Ore, aprile 2001, 35-41 D.lgs. n. 281/1997. Art. 2, n. 8 prevede l’adozione da parte della Conferenza Stato-Regioni, di: “indirizzi per l’uniforme applicazione dei percorsi diagnostici e terapeutici in ambito locale e le misure da adottare in caso di mancato rispetto dei protocolli relativi, ivi comprese le sanzioni a carico del sanitario che si discosti dal percorso diagnostico senza giustificato motivo”. 105 Cfr. Cass. Pen. Sez. IV, 19 settembre 2012, u. p. 11 luglio 2012, n. 35922, Brusco cit., nota 98, che considera linee guida e protocolli alla stessa stregua affermandone il carattere non tassativo e non vincolante. 106 L. 40/2004 e regolamento attuativo D.M. 21 luglio 2004: Linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita. L’art. 7 D.M. cit., definisce le linee guida: “vincolanti per tutte le strutture autorizzata”. Dunque, le linee guide hanno efficacia di protocolli. 107 Art. 2236 c.c. Responsabilità del prestatore d’opera. Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave. [1176, 1218] 108 Poiché, in base all'articolo 1176 codice civile, la diligenza richiesta nell'adempimento della prestazione – che solitamente è quella del “buon padre di famiglia” nel caso di obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale deve essere valutata avendo riguardo alla “natura dell'attività esercitata”. Nuvolone, P.: Colpa civile e colpa penale. Trent'anni di diritto e procedura penale, Padova, 1969, p. 696. Caputo, A.: La responsabilità penale del medico: unicità del concetto di colpa. Filodiritto. Articolo del 17.09.2011 http://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=2435 104 36 alla colpa grave109 nell’ipotesi in cui la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà110. Inizialmente la giurisprudenza applicò il concetto di colpa grave sia nei casi di condotte del medico connotate da imperizia che da negligenza e imprudenza. Dopo la pronuncia della Corte Costituzionale 111 che ha avallato tale orientamento, si è cominciato a distinguere i casi in cui la condotta si concretizzava in comportamenti negligenti o imprudenti da quelli in cui si concretizzava in un comportamento imperito. E, quindi, nei casi di condotte negligenti o imprudenti la sussistenza della colpa veniva accertata secondo le regole generali dettate dall'art. 43 codice penale, con la conseguente rilevanza penale anche della colpa lieve112, mentre nelle ipotesi di imperizia la condotta del medico aveva 109 Versa in colpa grave il medico specialista, la cui condotta è in contrasto con i canoni fondamentali della disciplina della sua specializzazione. Cass. Pen. Sez. IV, 6 novembre 2008, dep. 4 dicembre 2008, n. 45126, Ghisellini. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 143 110 La giurisprudenza, infatti, afferma che la norma di cui all’art. 2236 c.c. costituisce espressione della necessità di rapportare alla fattispecie concreta il giudizio di prevedibilità e prevenibilità dell’evento. Cass. Pen. Sez. IV, 21 aprile 2006, n. 21473, CED 2006, 234414. L’errore medico, conducente a morte o lesione personale del paziente, può essere valutato sulla base del parametro di cui all’art. 2236 c.c., vale a dire della colpa grave, solo se il caso imponga la soluzione di particolari problemi diagnostici e terapeutici in presenza di quadro patologico complesso e passibile di diversificati esiti terapeutici e quando tanto l’agire urga da escludere alternative d’attesa (convocazione a consulto di esperti specialisti, trasferimento presso luogo di cura più attrezzato e similmente). Diversamente, quando non sia presente una situazione emergenziale, o quando il caso non implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, così come quando venga in rilievo e sia contestata negligenze e/o imprudenza, i canoni valutativi della condotta colposa non possono essere che quelli ordinariamente adottati nel campo della responsabilità penale per danni cagionati alla vita o all’integrità dell’uomo ex art. 43 c.p. Cass. Pen. 23 marzo 1995, Salvati, CP 96, 1835 111 La Corte Costituzionale con sentenza del 28 novembre 1973, n. 166, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 42 e 589 c.p. in relazione all'art. 3 Cost. nella parte in cui consentono che nella valutazione della colpa professionale il giudice attribuisca rilevanza penale soltanto a gradi di colpa di tipo particolare. Tali norme avrebbero realizzato, secondo il Tribunale di Varese, una indebita disparità di trattamento tra chi era medico e chi non lo era, essendo il primo chiamato a rispondere solo per colpa grave a differenza di qualunque cittadino che avrebbe dovuto risponderne anche per colpa lieve. La Corte ha osservato che l'esenzione o limitazione di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c. trova giustificazione nei caratteri oggettivi dell'attività svolta dal professionista, nei confronti del quale la responsabilità colposa derivante da imperizia viene limitata, in relazione alle prestazioni comportanti problemi tecnici di speciale difficoltà, alle sole ipotesi di colpa grave; mentre le condotte colpose negligenti o imprudenti rimangono ancorate a criteri di normale severità. Longo, O.: L’evoluzione giurisprudenziale in materia di colpa medica. Filodiritto. http://filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=1539 112 In materia di colpa professionale, se la contestazione riguarda una condotta imprudente o negligente del medico, la valutazione del giudice deve essere effettuata nell’ambito della colpa generica, secondo i criteri normali e di comune applicazione, validi per qualsiasi condotta colposa. In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta l’affermazione della responsabilità colposa del medico il quale, dinanzi ad una sintomatologia equivoca esibita dalla paziente, non aveva atteso l’esito delle indagini di laboratorio, procedendo, senza che sussistessero ragioni di urgenza, al raschiamento dell’utero, cui era seguita una malattia della paziente nonché la perdita del feto. Cass. Pen. Sez. IV, 10 luglio 2001, dep. 16 gennaio 2002, n. 1583, CP 03,877 37 rilevanza penale solo se riconducibile nell'ambito della colpa grave113. La tesi prevalente, in dottrina e giurisprudenza, è contraria, in sede penale, alla limitazione della responsabilità per quanto concerne la colpa dovuta ad imperizia. Si argomenta che l’art.2236 c.c. riguarda solo il settore civilistico nella prospettiva del risarcimento del danno e si ritiene l’inapplicabilità nel valutare la colpa penale, senza affrontare la questione se si tratta o meno di problema di speciale difficoltà. 114 Applicare, anche in sede penale, il parametro dell’art. 2236 c.c. significherebbe violare il principio di analogia data la natura eccezionale della norma de qua che, pertanto, non permetterebbe un interpretazione estensiva. L’ordinamento penale, distingue, tra i vari gradi della colpa, solo ai fini della misura della pena ex art. 133 c.p. e l’art. 43 c.p. non ammette restrizioni nell’accertamento dell’elemento psicologico 115. 113 Il carattere colposo della condotta del sanitario, quando l’addebito sia mosso sotto il profilo dell’imperizia, deve essere valutato nel ristretto ambito della colpa grave, stabilito dall’art. 2236 c.c. La gravità è ravvisabile soltanto quando il comportamento del medico sia incompatibile con il livello minimo di cultura e di esperienza, indispensabile per l’esercizio della professione sanitaria. Cass. Pen. Sez. IV, 19 febbraio 1981, dep. 15 giugno 1981, n. 5860, CP 82, II, 99. In senso conforme Cass. Pen. 19 febbraio 1981 Desiato, CP 82, 99; Cass. Pen. 13 dicembre 1977, Mongrovejo, CPMA 80, 1561; RP 78, 765; Cass. Pen. 27 giugno 1979, Ghisotti e altro, GP 80, III, 73; RIML 81, 856; Cass. Pen. 19 novembre 1979, Rocco, GP 81, III, 83; A Perugia, 26 marzo 1980, Fini e altro, RIML 80, 890; A Venezia, 29 aprile 1981, De Vido e altro, ivi 82, 249. 114 Il giudizio di colpa in diritto penale non può essere svolto in base all’art. 2236 c.c., perché, trattandosi di disposizione eccezionale, opera il divieto di applicazione analogica. (Omesso approfondimento diagnostico per neoplasia maligna al colon, non riferendo il paziente perdite ematiche nelle feci: esclusa la colpa del medico, indipendentemente dall’applicazione dell’art. 2236 c.c., senza quindi affrontare la questione se si trattasse di problema di speciale difficoltà). Cass. Pen. Sez. IV, 14 ottobre 2009, dep. 13 novembre 2009, n. 43446, Dell’Orso. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 142 115 L’art. 2236 c.c. è inapplicabile nell’accertamento della colpa penale, non ammettendo l’art. 43 c.p. restrizioni nell’accertamento dell’elemento psicologico del reato e rilevando il grado di colpa soltanto sulla commisurazione della pena. (Negata l’applicazione dell’art. 2236 c.c. riguardo alle regole cautelari da seguire in ipotesi di parto con distocia di spalla). Cass. Pen. Sez. IV, 27 novembre 2008, n. 1236, Labriola. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 142. La valutazione della colpa professionale in sede penale non è limitata all’ipotesi di colpa grave, posto che a differenza di ciò che avviene nel processo civile in ragione dell’art. 2236 c.c. ai fini del risarcimento del danno, l’accertamento dell’elemento psicologico ai sensi dell’art. 43 c.p. non ammette restrizioni. Cass. Pen. Sez. IV, 16 giugno 2005, dep. 29 luglio 2005, n. 28617 rv. 232447. La norma dell’art. 2236 c.c., secondo cui il prestatore d’opera è esonerato dall’obbligo del risarcimento del danno quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, salvo che il fatto sia stato commesso con dolo o colpa grave, è diretta unicamente a disciplinare l’obbligo del risarcimento nel rapporto contrattuale citato, nonché in caso di responsabilità aquiliana, ma in nessun caso può essere estesa all’ordinamento penale al fine di determinare un’ipotesi di non punibilità per fatti commessi con grado di colpa non grave. Cass. Pen. Sez. IV, 18 dicembre 1989, dep. 13 luglio 1990, n. 10289 rv. 184881. L’accertamento della colpa professionale del sanitario deve essere valutata con larghezza di comprensione per la peculiarità dell’esercizio dell’arte medica e per la difficoltà dei casi particolari, ma pur sempre nell’ambito dei criteri dettati per l’individuazione della colpa medesima dall’art. 43 c.p. Tale accertamento non può essere effettuato in base al disposto dell’art. 2236 c.c., secondo cui il prestatore d’opera è esonerato dall’obbligo del risarcimento dei danni, quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, tranne che 38 Tuttavia, la norma civilistica potrebbe valere come regola di esperienza nel valutare l’imperizia nei casi complessi116. Da ultimo in ambito della colpa professionale è intervenuta la legge 8 novembre 2012 n. 189 (di conversione del D.L. 158/2012 117) pubblicata sulla G.U. del 10 novembre 2012, n. 263, entrata in vigore in data 11 novembre, che all’art. 3118 prevede la depenalizzazione a determinate condizioni, della colpa lieve dell’esercente la professione sanitaria 119. In parole semplici la novità introdotta nel diritto penale consiste nel fatto che il medico che si attiene alle nell’ipotesi di commissione del fatto con dolo o colpa grave. L’applicabilità di tale norma è esclusa dalla sistematica disciplina del dolo e della colpa in diritto penale per la quale il grado della colpa è previsto solo come criterio per la determinazione della pena, o come circostanza aggravante, e mai per determinare la stessa sussistenza dell’elemento psicologico del reato, sicchè il minor grado della colpa non può avere in alcun caso efficacia scriminante. Cass. Pen. Sez. IV, 22 febbraio 1991, dep. 12 aprile 1991, n. 4028 del 12.4.91 rv. 187774 116 “…...omissis…...tuttavia, detta norma civilistica può trovare considerazione anche in tema di colpa professionale del medico quando il caso specifico sottoposto al suo esame imponga la soluzione di problemi di specifica difficoltà, non per effetto di diretta applicazione nel campo penale, ma come regola di esperienza cui il giudice possa attenersi nel valutare l’addebito di imperizia. Cass. Pen. Sez. IV, 21 giugno 2007, dep. 26 ottobre 2007, n. 39592, Buggè. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 144 117 L’art. 3 del decreto legge Balduzzi 13 settembre 2012, n. 158, disponeva che: “fermo restando il disposto dell'articolo 2236 del codice civile, nell'accertamento della colpa lieve nell'attività dell'esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell'articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Con tale disposizione si recepiva, sul piano normativo l’orientamento giurisprudenziale secondo cui: si configura la responsabilità professionale del medico, anche per colpa lieve, ai sensi dell’art. 1176, co.2, c.c., ove, di fronte ad un caso ordinario, non abbia osservato, per inadeguatezza o incompletezza della preparazione professionale, ovvero per omissione della media diligenza, quelle regole precise che siano acquisite, per comune consenso e consolidata sperimentazione, alla scienza ed alla pratica, e quindi, costituiscano il necessario corredo del professionista che si dedichi ad un determinato settore della medicina. Cass. 22 febbraio 1998,n. 1847, Giust. Civ. Mass., fasc. 2, 1998. Tale disposizione non innovava particolarmente la materia ed, anzi, è stata ritenuta inutile. Infatti, il potersi limitare a tenere conto dell’osservanza delle linee guida lasciava pressoché immutata quella discrezionalità del giudice che, in particolare negli ultimi quindici anni, ha portato a un notevole aumento delle possibilità dei pazienti di ottenere risarcimenti da parte di medici, strutture sanitarie e relative assicurazioni. Montanari Vergallo, G., Frati, P., Zaami, S., Ciancolini, G., Correnti, FR., Di Luca, N.M.: La Riforma della responsabilità medica in Italia e la depenalizzazione della colpa lieve: criticità. Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, Medico Legali e dell’Apparato Locomotore, Sapienza Università di Roma. Rivista Prevention&Research vol. 3 n. 2 118 L’art. 3 mira a contenere il fenomeno della c.d. medicina difensiva, che determina la prescrizione di esami diagnostici inappropriati, con gravi conseguenze sia sulla salute dei cittadini, sia sull’aumento delle liste di attesa e dei costi a carico delle aziende sanitarie. Relazione illustrativa al D.L. n. 158/2012 119 Legge 8 novembre 2012 n. 189. Art. 3: l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo. 39 linee guida può essere penalmente responsabile solo se versa in colpa grave 120. E’ esclusa quindi una sua responsabilità penale se versa in colpa lieve. La prima osservazione che si può fare è che anziché inserire una specifica norma nel codice penale si è preferito regolare la materia in un unico testo legislativo che accorpa argomenti diversi. A mero titolo esemplificativo ricordiamo che la legge citata, tocca molti aspetti della sanità: riorganizzazione della medicina territoriale, nuove norme per la nomina dei direttori generali e dei primari, l’attività intramuraria, aggiornamento dei Lea e delle malattie croniche e rare, nuove regole per prevenire la ludopatia e scoraggiare il gioco di azzardo, nuove disposizioni in materia di emergenze veterinarie, farmaci e innovatività terapeutica e prontuario. La nuova normativa ha sollevato dubbi di legittimità costituzionali 121 anche perché ha utilizzato la decretazione d’urgenza ex art. 77 cost. anziché, l’ordinario esercizio del 120 Il legislatore ha introdotto una causa di giustificazione, ovvero una situazione in presenza della quale un fatto che altrimenti costituirebbe reato, non lo è. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, 2011, p. 250. Altri sostengono che si tratti di un esimente ovvero una causa di non punibilità. 121 Si veda sul punto S. Breda, Sollevata la prima questione di legittimità costituzionale della legge Balduzzi, http://www.lider-lab.sssup.it/lider/it/ricerca/in-evidenza/436-sollevata-la-prima-questionedi-legittimità-costituzionale-della-legge-balduzzi.html, con particolare riferimento all’ordinanza attraverso la quale il Tribunale di Milano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della legge Balduzzi, qualificata come norma “(…) ad personam che delinea un’area di non punibilità riservata esclusivamente a tutti gli operatori sanitari che commettono un qualsiasi reato lievemente colposo nel rispetto delle linee guida e delle buone prassi (…)”, e che come tale si pone in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24, 25, 27, 28, 32, 33, 111 cost. La Corte Costituzionale ha deciso per la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale. Al centro della pronuncia i Supremi giudici rilevano un difetto di forma “macroscopico” nell’ordinanza del giudice remittente: “conformemente a quanto eccepito dall’Avvocatura dello Stato”, sostiene la Corte, “il giudice a quo ha omesso di descrivere la fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio e, conseguentemente, di fornire un adeguata motivazione in ordine alla rilevanza della questione”. Il Tribunale di Milano ha, difatti, esclusivamente riferito “di essere investito del processo penale nei confronti di alcuni operatori sanitari, imputati del reato di lesioni personali colpose gravi, cagionate ad un paziente con colpa generica e per violazione dell’arte medica”; non precisando “la natura dell’evento lesivo, le modalità con le quali esso sarebbe stato causato e il grado della colpa ascrivibile agli imputati; ma soprattutto non precisa se, nell’occasione, i medici si siano attenuti – o, quantomeno, se sia sorta questione in ordine al fatto che essi si siano attenuti – a “‘linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica” proprie del contesto di riferimento, così che possa venire effettivamente in discussione l’applicabilità della norma censurata”. Tale insufficiente descrizione della fattispecie concreta, esposta dal remittente in termini “meramente astratti ed apodittici”, secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale comporta sol per questo la manifesta inammissibilità della questione. Ciò comporta l’impossibilità e l’inutilità per la Consulta di procedere ad un analisi delle ragioni di diritto. Dall’ordinanza della Corte emerge un'unica motivazione di natura strettamente giuridica utile a suffragare la scelta di rigetto. Nella pronuncia si legge come non possa dimenticarsi che, tanto la giurisprudenza di legittimità che la dottrina maggioritaria, abbiano ritenuto che “la limitazione di responsabilità prevista dalla norma censurata venga in rilievo solo in rapporto all’addebito di imperizia, giacché le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole di perizia: non, dunque, quando all’esercente la professione sanitaria sia ascrivibile, sul piano della colpa, un comportamento negligente o imprudente”. Corte Costituzionale, ordinanza del 06/12/2013 n. 295. Telesca E., Responsabilità medica: la legge Balduzzi supera l’esame della Consulta. Quotidiano giuridico Altalex http://www.altalex.com/index.php?idnot=66036 40 potere di iniziativa legislativa ex art. 71 cost. qualora si tratti di disciplinare materie o settori di materie122. L’art. 3, ridefinisce la disciplina della responsabilità professionale e rinvia per attuare le norme in ambito assicurativo a successivi provvedimenti, e ciò appare in contrasto con la pretesa sussistenza dei presupposti di necessità e urgenza ex art. 77 cost. Inoltre, la norma sarebbe incostituzionale perché in sede di conversione si è operato uno stravolgimento normativo passando dal settore civile a quello penale, contrariamente agli insegnamenti della Corte Cost. che ribadisce l’omogeneità di disciplina nell’iter di conversione dei decreti legge 123. E’ stato fatto notare come il neonato art. 3 della legge citata sia una contraddizione in termini definendola in culpa sine culpa perché ipotizza la colpa nonostante il rispetto delle linee guida124. Ciò si pone in netta contraddizione di quanto si afferma in giurisprudenza che ritiene perito e senza colpa il medico che si attiene alle linee guida con un limite, perché le stesse non possono escludere la responsabilità penale a fronte di un quadro clinico che ne impone il discostamento e quindi una condotta diversa125. 122 La disciplina a regime di materie o settori di materie deve essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa, di cui all’art. 71 cost. Corte Cost. 16 febbraio 2012, n. 22 123 Cfr. Corte cost. cit. (nota 118) 124 La norma suona così al suo destinatario: “Se ti attieni alle linee guida, non rispondi se la tua colpa è lieve ma solo se è grave”. Come è possibile che sia in colpa il medico che si attiene a linee guida? Piras, P.: In culpa sine culpa. Commento dell’art. 3 1 co. L. 8 novembre 2012 n. 189. Diritto penale contemporaneo http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1353763675PIRASculpa.pdf 125 A tale logica si è sostanzialmente ispirata la decisione della Corte di Cassazione, laddove ha considerato comunque colpevole il medico che si era attenuto alle linee guida in uso nella propria struttura sanitaria, non esercitando la propria autonomia culturale su un paziente considerato “particolare”, omettendo cioè la verifica della rispondenza delle dimissioni alle specifiche condizioni di salute del paziente tali da configurarlo come soggetto a rischio. Per il giudicante, infatti, l’osservanza delle linee guida nulla può aggiungere o togliere al diritto del malato di ottenere le prestazioni mediche più appropriate né all’autonomia e alla responsabilità del medico nella cura del paziente soprattutto se esse rappresentino uno strumento improntato a criteri di economicità di gestione e non alle effettive esigenze del singolo paziente. Cass. Pen. n. 8254/2011. Angioni, Montanari Vergallo G., Catarinozzi, Iovenitti, Frati. Valore giuridico e medico-legale delle linee guida. Sapienza Università di Roma Scuola di specializzazione in Medicina Legale. Rivista Prevention&Research. www.prevention&research.com. Ancora sul punto: L'adeguamento o il mancato adeguamento del medico alle linee guida non esclude né determina di per se la colpa dello stesso. Tali linee guida, infatti, contengono valide indicazioni generali riferibili al caso astratto, ma è altrettanto evidente che il medico è sempre tenuto ad esercitare le proprie scelte considerando le circostanze peculiari che caratterizzano il caso concreto e la specifica situazione del paziente, nel rispetto della volontà di quest'ultimo, al di là delle regole previste nei protocolli medici. La verifica circa il rispetto delle linee guida va, pertanto, sempre affiancata ad un'analisi - svolta eventualmente attraverso perizia - della correttezza delle scelte terapeutiche alla luce della concreta situazione in cui il medico si è trovato ad intervenire. Cass. Pen. Sez. IV, 19 settembre 2012, n.35922. Risponde di omicidio colposo per imperizia, nell'accertamento della malattia, e per negligenza, per l'omissione delle indagini necessarie, il primario ospedaliero che, in presenza di sintomatologia idonea a porre una diagnosi differenziale, scostandosi dalle linee guida rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benché 41 Volendo ripercorrere brevemente il copioso quadro giurisprudenziale in materia di linee guida possiamo sintetizzarli in quattro orientamenti: secondo il primo si riconosce la responsabilità penale del medico che si è discostato negligentemente dalle linee guida126, altre pronunce hanno escluso la responsabilità penale del medico che si è attenuto scrupolosamente alle linee guida dettate per la diagnosi o per il trattamento di una determinata situazione clinica127, un terzo ordine di pronunce riconosce la responsabilità del medico che si è conformato alle linee guida, senza praticare trattamenti terapeutici alternativi imposti dalle particolarità della patologia o dalle condizioni del paziente128, un quarto orientamento perviene ad esenzione di responsabilità anche in casi in cui il medico non ha osservato le indicazioni contenute nelle linee guida in considerazione delle circostanze di fatto che suggerivano un diverso iter comportamentale 129. Alla luce di quanto sin qui esposto, secondo la nuova norma, se il medico ha erroneamente valutato il quadro clinico e quindi si è posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie comunque pervenutegli, omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 12 luglio 2011, n. 34729. Nel caso di attività, quale quella medica, che comportano una misura di pericolosità in tutto o in parte ineliminabile e che, tuttavia, si accetta che vengano esercitate per la loro intrinseca rilevanza (la cura del paziente), il rischio (per la salvezza del paziente) non può essere certamente evitato, ma deve essere governato e mantenuto entro determinati limiti (cosiddetto rischio consentito). A tal fine, per stabilire la linea di confine che segna il passaggio dal lecito all'illecito, non avendovi provveduto né il legislatore, né l'autorità amministrativa, il relativo compito è attribuito al giudice, con l'aiuto, nella maggior parte dei casi degli esperti. In tale opera di ricostruzione un importante ausilio può essere trovato nelle cosiddette linee-guida e nei protocolli, che, in talune situazioni, sono in grado di offrire delle indicazioni e dei punti di riferimenti anche per i medici chiamati a operare. Tuttavia, in proposito, onde valutare il comportamento del medico, non potrà tenersi efficacemente conto né delle linee-guida frutto di scelte totalmente economicistiche, né di quelle obsolete o inefficaci, non potendosi accettare che in tal modo venga attribuito una patente di legittimità a comportamenti sciatti o disattenti, occorrendo invece avere riguardo alle linee guida virtuose e scientificamente accreditate. Cass. Pen. Sez. IV, 22 novembre 2011, n. 34402. In una situazione di particolare difficoltà (shock anafilattico) non esenta da responsabilità il fatto che siano state seguite le linee guida o siano stati osservati protocolli per una scelta alternativa all’unica scelta che in concreto si rendeva, nell’evidenza, chiaramente risolutiva (la tracheotocomia). Cass. Pen. Sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 10454. In tema di colpa medica il giudice, nel valutare la correttezza della scelta operata dal professionista e quindi giudicare della sussistenza o meno del profilo di colpa (in particolare, nella componente della imperizia), deve effettuare un giudizio "ex ante" collocandosi mentalmente nel momento in cui il medico fu chiamato ad operare la sua scelta, valutando tutti gli elementi che consigliarono di adottare una soluzione piuttosto che un'altra e considerando la consistenza scientifica della scelta con esclusivo riferimento alle "leges artis". Non è pertanto censurabile la condotta del medico che, fra varie soluzioni terapeutiche prospettabili, tutte ugualmente foriere di rischi per la vita del paziente, scelga quella meno invasiva, a nulla rilevando la circostanza che l'intervento terapeutico prescelto si dimostri, solo "ex post", come non indicato. Cass. Pen. Sez. IV, 25 gennaio 2002, n. 2865. 126 Cass. Pen. Sez. IV, 12 luglio 2011, n. 34729; Cass. Pen. Sez. IV, 11 marzo 2008, 10795 127 Cass. Pen. Sez. IV, 12 giugno 2012, n. 23146 128 Cass. Pen. Sez. IV, 22 novembre 2011, n. 34402 129 Cass. Pen. Sez. IV, 25gennaio2002, n. 2865 42 attenuto alle linee guide risponde penalmente solo se l’errore è dovuto a colpa grave. I principi giurisprudenziali citati vanno allora reinterpretati perché, per affermare la responsabilità penale dovrà trattarsi di un quadro clinico che con immediata evidenza, in maniera macroscopica, impone di discostarsi dalle linee guida. La verifica della colpa grave o della colpa lieve si dovrà effettuare solo nei casi in cui il medico si è attenuto alle linee guida, la violazione costituisce colpa grave 130. In realtà, sembra improbabile riscontrare una colpa grave per aver osservato le linee guida che contengono norme specialistiche, le regole base dell’arte medica e rari in giurisprudenza sono i casi in cui si è ravvisata una colpa del medico per essersi attenuto alle linee guida quando invece avrebbe dovuto discostarsene. L’applicazione di una linea guida finalizzata anche a ridurre la spesa sanitaria potrebbe essere valutata come colpa grave perché la Suprema Corte afferma che la prevalenza dell’interesse del paziente sulle esigenze economiche è una regola basilare. All’art. 3 l. cit. si parla di linee guida accreditate dalla comunità scientifica 131, se si considerano le numerose linee guida esistenti in materia, per arginare il fenomeno della medicina difensiva e la c.d. scelta postuma delle stesse a danno avvenuto per giustificare la condotta del medico, il legislatore dovrebbe indicare con più certezza quelle idonee allo scopo, magari prevedendone un recepimento con decreto del ministero della salute. All’indomani dell’entrata in vigore della legge de quo, la 130 La Suprema Corte ha osservato che nel caso di colpa per negligenza ed imprudenza, non può trovare applicazione la disciplina più favorevole al medico introdotta con la Legge n. 189 del 2012 che limita la responsabilità in caso di colpa lieve. La disposizione obbliga, infatti, a distinguere fra colpa lieve e colpa grave solo limitatamente ai casi nei quali si faccia questione di essersi attenuti a linee guida e solo limitatamente a questi casi è possibile escludere la responsabilità penale laddove venga accertato il rispetto delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Tale norma tuttavia non può riguardare ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza in quanto le linee guida contengono solo regole di perizia. Cass. Pen. Sez. IV, 11/3/2013, n. 11493. In senso analogo si è ritenuto che il terapeuta potrà invocare la nuova normativa solo se si sia attenuto a direttive solidamente fondate e riconosciute. Nel caso di specie non era stato dimostrato che la condotta avesse osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, per giunta accreditate dalla comunità scientifica. Pertanto, l'imputato è incorso in quella colpa grave tutt'ora rilevante nell'ambito della professione medica è rinvenibile "nell'errore inescusabile, che trova origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell'uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell'atto operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria. Cass. Pen. Sez. IV, 20 gennaio 2014 n. 2347. Altalex http://www.altalex.com/index.php?idnot=22701 131 Si è conferito pieno riconoscimento normativo alle cc.dd. guide lines che l'Institute of Medicine (IOM) definisce “…statements that include recommendations, intended to optimize patient care, that are informed by a systematic review of evidence and an assessment of the benefits and harms of alternative care options”. 43 Cassazione ha affrontato l’analisi della nuova norma in relazione alla successione delle norme integratrici della legge penale. La Corte ha ritenuto che la novella legislativa ha introdotto una abolitio criminis ex art. 2 c.p., con applicazione della norma più favorevole al reo, ravvisando nell’art. 3 l. cit. la parziale abrogazione delle fattispecie colpose commessi dagli esercenti le professioni sanitarie connotate da colpa lieve che si collocano all’interno di linee guida o pratiche mediche virtuose accreditate dalla comunità scientifica 132. In base all’art. 2 c.p., nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge intervenuta successivamente, non è reato. E se vi è stata sentenza di condanna, ne cessano gli effetti e l’esecuzione. Inoltre, se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede solo la pena pecuniaria, la pena detentiva si converte in pena pecuniaria. Se la legge del tempo in cui è stato commesso il reato è diversa da quella posteriore, si applica la legge più favorevole al reo, sempre che la sentenza non sia passata in giudicato. In quest’ultimo caso, infatti, la sentenza non può essere più impugnata, o per decorrenza dei termini o perché sono stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione previsti. Dunque, dopo l’entrata in vigore dell’art. 3 l. cit., nei processi penali in corso, incardinati prima dell’intervento normativo, su presunti illeciti dovuti a colpa lieve, sarà possibile avvalersi della depenalizzazione. Si applica il principio tempus regit actum, la controversia giudiziale è regolata dal tempo della norma in vigore al momento dell’adozione del provvedimento, anche se successiva alla commissione del fatto133. Prosegue la norma che se la colpa lieve esclude la responsabilità penale, resta ferma la responsabilità civile ex art. 2043 c.c., da far valere esclusivamente in sede civile. Lascia perplessi la formulazione della norma nel punto in cui dice che la colpa lieve perde rilevanza penale, l’imputato viene assolto perché il fatto non costituisce reato, per poi riacquisirla in sede civile come parametro per determinare il 132 La condotta medica connotata da colpa lieve che si collochi all’interno dell’area segnata da linee guide o da virtuose pratiche mediche, purchè accreditate dalla comunità scientifica non ha più rilevanza penale. Cass. Pen. Sez. IV del 29 gennaio 2013, dep. 30 gennaio 2013 n. 268, Brusco. La Corte ha annullato con rinvio una sentenza di condanna per omicidio colposo nei confronti di un medico chirurgo che, nella esecuzione di un intervento di ernia discale recidivante, aveva leso vasi sanguigni con conseguente emorragia letale. Il giudice del rinvio, chiamato a riesaminare il caso, ai fini dell'eventuale applicazione della norma sopravvenuta più favorevole ex art. 2 cpv. cod. pen. dovrà ora verificare se esistano linee guida o pratiche mediche accreditate afferenti all'esecuzione di quell'intervento chirurgico, e se esso sia stato condotto entro i confini segnati da tali direttive, per valutare, in caso di positivo riscontro, se ricorrano profili di colpa lieve o grave. 133 Benevento, A.: Il decreto Balduzzi salva anche in caso di processo in corso. Il giornale della Previdenza dei medici e degli odontoiatri. Enpam Anno XVIII, n. 2-2013 pp. 46-47. 44 danno. Inoltre, viene previsto che il danno biologico verrà risarcito sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del D. Lgs 209 del 7 settembre 2005. Dunque, vengono accantonate le c.d. tabelle milanesi134. Una recente pronuncia di merito135 in tema di risarcimento del danno biologico per lesioni micropermanenti, ha però disapplicato la legge in questione, utilizzando i parametri da essa prevista solo come base di partenza chiarendo che il risarcimento va riconosciuto anche al di là della mera quantificazione tabellare operata ex lege. Questa normativa così come è stata formulata lascia spazio a una serie di considerazioni. Per quanto riguarda il riferimento all’art. 2043 c.c., il sistema civile tende a risarcire il danno subito e non a punire il colpevole, inoltre il mancato guadagno e la perdita subita non possono essere determinati in base alla colpa del soggetto, né il danno biologico. Potrebbero essere graduate in base alla colpa del soggetto i danni esistenziali e il danno morale poiché, le sofferenze subite dalla vittima possono essere più o meno gravi se chi le ha causate ha agito con colpa grave o lieve 136. Il legislatore sembra non aver tenuto conto del consolidato sistema bipolare: all’interno del quale l’art. 2043 c.c. si riferisce solo al danno patrimoniale mentre, è l’art. 2059 c.c. che si riferisce al danno non patrimoniale. E’ questa infatti, la ricostruzione operata dal 2003 in poi, ovvero dalle “sentenze gemelle”137 della Cassazione e confermate dalle sentenze di “San Martino”138. La norma formulata in questo modo è contraddittoria perché, da un lato 134 Art. 3 co.3 legge cit.: Il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti all'attività di cui al presente articolo. 135 Tribunale di Torino, 16 gennaio 2013, P.M., Storani. 136 Riverso, R.: Colpa medica: danni e legislatore da bocciare. Altalex www.altalex.com Articolo del 13.11.2012 http://www.altalex.com/index.php?idnot=59943 137 Cass. 31 maggio 2003 n. 8827, in Giur. It. 2004, 1129; Cass. 31 maggio 2003, n. 8828 in Foro It. 2003, 2272. Forniscono un interpretazione ampia e costituzionalmente garantita dell’art. 2059 c.c. in collegamento con l’art. 2 della cost. che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo e che quindi il danno non patrimoniale va inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia stato leso un valore inerente la persona. Questa interpretazione era stata avallata dalla già citata Corte Costituzionale che ribadiva la necessità di dare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. in modo da tutelare tutti i diritti che la costituzione riconosce agli individui, effettuando una tripartizione interna allo stesso articolo tra danno morale soggettivo inteso quale patema d’animo e turbamento psichico, danno biologico inteso come danno alla salute psico-fisica, danno esistenziale inteso quale danno ad ogni altro interesse costituzionalmente garantito. Tucci, C., E.: La valutazione del danno non patrimoniale alla luce delle innovazioni biotecnologiche. Tesi di Dottorato di Ricerca, 2008-2011, pp. 16-20 e 29 138 Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008 nn. 26972, 26973, 26974, 26975, in Resp. Civ. e Prev., 2009 1, 38. Si è statuito che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in 45 il giudice non potrebbe condannare il medico che ha agito per colpa lieve e dall’altro non potrebbe liquidare il danno non patrimoniale (danno biologico, morale, esistenziale) perché la norma fa espresso riferimento solo all’art. 2043 c.c. che riguarda il danno patrimoniale 139. Inoltre il riferimento all’art. 2043 c.c. appare ulteriormente discutibile se si considera che a partire dalla sentenza n.589/99 la responsabilità sanitaria si inquadra nella responsabilità contrattuale con tutto ciò che ne segue in sede probatoria e in tema di prescrizione140. Dunque, se le norme civili sottocategorie variamente etichettate. Quindi, non si sono cancellate le tre categorie di danno ma se ne è affermato la sola valenza descrittiva. La corte afferma che ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale per lesioni di diritti costituzionalmente garantiti è necessario oltre l’inviolabilità del diritto anche la gravità dell’offesa. Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico. Ulteriore novità introdotta dalle sentenze di san Martino è stata quella di fornire una nuova chiave di lettura dell’art. 2059 c.c. includendo tra i casi previsti dalla Legge quelli di lesione di valori della persona protetti a livello costituzionale. Viene ribadita così la bipolarità danno patrimoniale- danno non patrimoniale ritenendo in quest’ultimo compreso anche il danno biologico e quello esistenziale riconoscendone la risarcibilità. Risulta in tal modo riconosciuta una sola voce di danno non patrimoniale con una valutazione onnicomprensiva di tutte le alterazioni aredittuali alla totalità dei pregiudizi non patrimoniali. Tucci, C., E., op. cit., pp. 16-20 e 29 139 Riverso, R., op. cit. 140 La Corte, infatti, ha costantemente inquadrato la responsabilità dell'ente ospedaliero nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto. Cass. Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589 ha definito di natura contrattuale la responsabilità del sanitario medico dipendente del Servizio Sanitario Nazionale ancorchè non fondata su contratto ma sul contatto sociale connotato dall'affidamento che il malato pone nella professionalità dell'esercente una professione protetta. Anche recentemente, Cass. Civ. Sez. III, n. 2042/05, ha affermato che la responsabilità dell'ente ospedaliero ha dunque natura contrattuale e può conseguire, a norma dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento di quelle obbligazioni che sono direttamente a carico dell'ente debitore. E può anche conseguire, a norma dell'art. 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, che assume la veste di ausiliario necessario del debitore. Ulteriori sentenze della suprema Corte dello stesso tenore sono le sentenze: n. 6141/1978; n. 1716/1979; n. 2144/1998; n. 6707/1988; n. 5939/1993; n. 4152/1995; n. 7336/1998; n. 12233/1998; n. 9198/1999; n. 3492/2002; n. 11001/2003; n. 11316/2003. Cass. 1 marzo 1988 n. 2144, non fa alcuna distinzione tra la responsabilità dell'ente pubblico ospedaliero e del medico dipendente: in ogni caso di natura contrattuale di tipo professionale. Le decisioni ispirate a tale principio si basano sul disposto dell'art. 28 Cost. e su tale presupposto l'ente e il sanitario risponderebbero ugualmente per responsabilità contrattuale. Cass. 11 aprile 1995 n. 9152; Cass. 27 maggio 1993 n. 5939; Cass. 1 febbraio 1991 n. 977. L’assenza di un contratto diretto tra il paziente danneggiato e il medico, non vale a mettere in discussione la natura contrattuale della sua responsabilità, veicolata dal contatto sociale, in cui il rapporto tra le parti si identifica. Il fondamento di tali obbligazioni è stato altresì individuato nell’art. 1173 c.c., quale clausola generale aperta, che consente di inserire tra le fonti delle obbligazioni qualsiasi altro “atto o fatto idoneo a produrle secondo l’ordinamento giuridico”. L’inquadramento in tale categoria evidenzia una duplice caratteristica del fenomeno: 1) la fonte dell’obbligazione ex art. 1173 c.c. (nel caso di specie, è un fatto, il contatto sociale); 2) la disciplina, mutuata dallo schema contrattuale del quale il rapporto presenta le caratteristiche funzionali. R. Vaccaro, La responsabilità professionale medica e quella della struttura sanitaria pubblica e privata: natura giuridica, nesso di causalità e onus probandi (tratto da Tracce, nel diritto, 2007) disponibile su www.neldiritto.it. La giurisprudenza fornisce una chiave di lettura autonoma delle due responsabilità infatti, la responsabilità della struttura ospedaliera non è necessariamente connessa alla sussistenza di profili di colpa professionale in capo al medico. Conseguentemente, si può avere una responsabilità della 46 restano invariate, il medico ospedaliero che venisse condannato a risarcire i danni in sede civile per colpa lieve, potrebbe esercitare azione di rivalsa nei confronti dell’ospedale, nel caso in cui quest’ultimo fosse privo di assicurazione 141. La colpa lieve non dà diritto ad azione di rivalsa da parte della struttura sanitaria, che in ipotesi avesse risarcito il danno, nei confronti del medico, prevista solo in caso di dolo o colpa grave di quest’ultimo 142. Secondo la giurisprudenza l’imperizia, sia nella scelta del metodo di intervento che nella sua esecuzione, rientra nei casi di colpa grave. Spetta alla corte dei Conti definire se un indennizzo è dovuto a titolo di colpa grave. Dal 2000 al 2010 le sentenze della corte dei conti in caso di colpa grave struttura non solo per il fatto del medico dipendente, ma anche del personale ausiliario o della struttura stessa, in entrambi i casi, a nulla rileva la natura pubblica o privata dell’ente. Cass. Sez. Un. 1.7.2002, n. 9556, Cass. n. 571/2005, Cass. n. 1698/2006 141 Le Asl e gli ospedali sono tenuti ad assicurare i medici propri dipendenti. L’assicurazione fornita nella gran parte dei casi non fornisce una copertura nei casi di colpa grave. Secondo i dati pubblicati dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari, oltre il 60% non fornisce una copertura ominicomprensiva. Anzi, l’azienda è obbligata a rivalersi nei confronti dei dipendenti che hanno provocato un danno economico per colpa grave. Dopo la finanziaria del 2008 l’azienda non può più tutelare se stessa e i suoi dipendenti in caso di colpa grave, i dipendenti possono essere tutelati da una polizza convenzionata solo se gli oneri supplementari restano a proprio carico. La Pera A., Colpa grave senza tutele. Il Giornale della previdenza 6-2013, pp. 50-51 142 Art. 28 cost. I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili, amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. Art. 1228 c.c. Responsabilità per fatto degli ausiliari. Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. Art. 2055 c.c. Responsabilità solidale. Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dalla entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali. Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato. Art. 22 D.P.R. cit.: Responsabilità verso i terzi. L'impiegato che, nell'esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell'art. 23 è personalmente obbligato a risarcirlo. L'azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'Amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell'ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato. L'amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente si rivale agendo contro quest'ultimo a norma degli articoli 18 e 19. Contro l'impiegato addetto alla conduzione di autoveicoli o di altri mezzi meccanici l'azione dell'Amministrazione è ammessa solo nel caso di danni arrecati per dolo o colpa grave. Art. 23 D.P.R cit.: Danno ingiusto. È danno ingiusto, agli effetti previsti dall'art. 22, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave; restano salve le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti. La responsabilità personale dell'impiegato sussiste tanto se la violazione del diritto del terzo sia cagionata dal compimento di atti od operazioni, quanto se la detta violazione consista nell'omissione o nel ritardo ingiustificato di atti od operazioni al cui compimento l'impiegato sia obbligato per legge o per regolamento. Benevento, A., op. cit., p. 47 47 medica sono state 66, di cui 39 di condanna. Nel solo 2011 le vertenze aperte sono state 41, salite a 90 l’anno successivo 143. E’ stato ritenuto, anche in seguito ad una pronuncia della Cassazione civile 144 che, sebbene l’art. 2043 codice civile riguardi soltanto il danno patrimoniale e la responsabilità extra-contrattuale, la riforma non sembra poter modificare la natura contrattuale della responsabilità medica e l’obbligo di risarcire anche il danno biologico e il danno morale. Infatti, la legge n. 189/2012 richiama soltanto l’obbligo previsto dall’art. 2043 codice civile, ossia l’obbligo di risarcire il danno ingiusto e non anche il tipo di responsabilità, se contrattuale o extra-contrattuale145. La giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi in questo acceso dibattito dove sembra prevalere la tesi che nulla sia cambiato in tema di qualificazione contrattuale della responsabilità medica. Secondo il Tribunale di Varese, il legislatore sembra suggerire l’adesione al modello di responsabilità civile anteriore al 1999 con conseguente alleggerimento dell’onere probatorio del medico 146. Il tribunale di Arezzo ritiene invece, che il nuovo art. 3 l. cit. non impone nessun ripensamento dell’attuale inquadramento contrattuale della responsabilità medica, limitandosi solo a determinare un esimente in ambito penale 147. Argomentando in maniera diversa si 143 La Pera A., op. cit. p. 51 Cass. Civ. Sez. III, 10 gennaio 2013, dep. 18 gennaio 2013, n. 4030 145 Montanari Vergallo G., Frati P., Zaami S., Ciancolini G., Correnti FR., Di Luca, N.M., op. cit. 146 La struttura della disposizione legislativa…sembra abbastanza logica…:in sede penale, la responsabilità sanitaria è esclusa per colpa lieve (se rispettate le linee guida/prassi); in sede civile, invece, anche in caso di colpa lieve, è ammessa l’azione ex art. 2043 c.c. Così facendo il legislatore sembra (consapevolmente e non per dimenticanza) suggerire l’adesione al modello di responsabilità civile medica come disegnato anteriormente al 1999, in cui, come noto, in assenza di contratto, il paziente poteva richiedere il danno iatrogeno esercitando l’azione aquiliana. È evidente che l’adesione ad un modulo siffatto contribuisce a realizzare la finalità perseguita dal legislatore (contrasto alla medicina difensiva) in quanto viene alleggerito l’onere probatorio del medico e viene fatto gravare sul paziente anche l’onere di offrire dimostrazione giudiziale dell’elemento soggettivo di imputazione della responsabilità. Tribunale di Varese, 26 novembre 2012, Buffone. Corriere giuridico 4/2013, p. 494. In senso conforme il Tribunale di Enna (sent. n. 252, del 18.5.2013) ha osservato che l’interpretazione della innovativa disposizione condurrebbe a delineare la sussistenza di un titolo di responsabilità duplice: a) contrattuale per la struttura sanitaria (ne deriva un termine prescrizionale più lungo e un onere della prova più leggero per il paziente; b) extracontrattuale per il medico (ne deriva un termine prescrizionale abbreviato a cinque anni e un onere della prova aggravato per il paziente). 147 La norma del secondo periodo ha la funzione di chiarire che l’esclusione della responsabilità penale non fa venire meno l’obbligo di risarcire il danno (in ciò sostanziandosi l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.). Atteso che il richiamo all’art. 2043 c.c. è limitato all’individuazione di un obbligo, senza alcuna indicazione in merito ai criteri da applicare nell’accertamento della responsabilità risarcitoria (se non che deve tenersi debitamente conto del rispetto delle linee guida e buone pratiche) non sussistono ragioni per ritenere che la novella legislativa incida direttamente sull’attuale costruzione della responsabilità medica (diritto vivente) e che imponga un revirement giurisprudenziale nel senso del ritorno ad un’impostazione aquiliana, con le consequenziali ricadute in punto al riparto degli oneri 144 48 rischierebbe anche una disparità di trattamento con gli altri professionisti con conseguente violazione dell’art. 3 cost. La lettura costituzionalmente orientata delle norme porta a concludere che il legislatore non abbia voluto privare il paziente della maggior tutela risarcitoria offerta dall’ art. 1218 c. c.148Anche la Suprema Corte persevera nel ritenere che la materia della responsabilità civile segue le sue regole consolidate, e non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche per la c.d. responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria da contatto sociale.149Secondo noi, questo spiraglio aperto dal combinato disposto di un articolo di legge e dalle interpretazioni della magistratura, non elimina la necessità di una introduzione specifica nel codice penale di una fattispecie che disciplini la responsabilità professionale del medico. 6.1 La colpa del medico nelle fasi del suo intervento La colpa del sanitario può essere ascritta nelle varie fasi del suo operare cioè nella fase diagnostica, terapeutica, dell’intervento, assistenziale e di controllo 150. Nella fase diagnostica, sulla base della sintomatologia rilevata, il medico deve procedere alla completa e corretta analisi del quadro clinico del paziente. Diversamente, può essere ritenuto in colpa per aver sottovalutato la sintomatologia 151 del paziente, ovvero per diagnosi omessa 152 o incompleta153/, tardiva154 o errata155 compresa la probatori e di durata del termine di prescrizione. Tribunale di Arezzo, 14 febbraio 2013. Corriere giuridico 4/2013, p. 495 148 Bona: La R.C. medica dopo il decreto legge n. 158/2012: indicazioni per la corretta interpretazione e per la (dis)applicazione delle nuove disposizioni, p. 51. La valutazione della colpa medica e la sua tutela assicurativa. Martini, F., Genovese, U., Rimini 2012. Il Corriere giuridico 4/2013, p. 496 149 Punto fermo gli arresti delle sentenze delle Sezioni Unite nel novembre 2008, e tra queste la n. 26973, ed in particolare nel punto 4.3 del c.d. preambolo sistematico, che attiene ai c.d. contratti di protezione conclusi nel settore sanitario, ed agli incipit giurisprudenziali ivi richiamati, e seguiti da decisioni di consolidamento. Cassazione Civile, sez. III del 19/2/2013 n. 4030, con nota di B. Guidi, Dopo la c.d. legge Balduzzi la responsabilità sanitaria ha ancora natura contrattuale http://www.liderlab.sssup.it/lider/it/ricerca/in-evidenza/433-dopo-la-cd-legge-balduzzi-la-responsabilita-sanitaria-haancora-natura-contrattuale.html. 150 Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p.164 151 Versa in colpa il medico che, a fronte di un determinato quadro clinico, sottovaluta i sintomi manifestati dal paziente nei giorni successivi all’intervento. Cass. Pen. Sez. IV, 26 maggio 2010, dep. 23 settembre 2010, n. 34521, Huscher e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 150 152 Versa in colpa il medico che, a fronte di una sintomatologia grave, omette l’esecuzione di un esame fondamentale per la formulazione di un’esatta diagnosi. (Perforazione della parte esofagea e mancata 49 valutazione di diagnosi differenziale 156, per la presenza di quadro clinico suggestivo157, per mancato approfondimento in presenza di dubbi diagnostici158, per l’ambiguità del quadro clinico 159 o per la presenza di condizioni di rischio 160. Nella esecuzione di esame con mezzo di contrasto: ritenuta immune da censure la sentenza impugnata, che evidenzia come una valutazione più approfondita del quadro clinico, mediante mezzo di contrasto, avrebbe immediatamente rivelato non solo la presenza di una perforazione, ma anche dell’entità della stessa). Cass. Pen. Sez. IV, 7 luglio 2010, dep. 20 agosto 2010, n. 32175, Casetti e altro. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 151 153 Versa in colpa il medico che, sulla base della sintomatologia rilevata, non proceda ad una corretta e completa analisi del quadro clinico del paziente. (Morte per occlusione intestinale successiva ad intervento chirurgico affrettato e incompleto: ritenuta la colpa dell’imputato che, limitando l’intervento ad un settore soltanto dell’intestino, aveva trascurato di valutare l’esistenza e la potenzialità occlusiva di altre aderenze). Cass. Pen. Sez. IV, 25 maggio 2010, dep. 5 luglio 2010, n. 25548, Voltattorni. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 151 154 E’ ritenuta la colpa per negligenza, imprudenza, imperizia nell’esercizio dell’attività professionale del medico ginecologo che abbia erroneamente eseguito e valutato un esame ecografico e, conseguentemente, sia pervenuto tardivamente a diagnosticare un ritardo di crescita fetale intrauterino (c.d. IUGR). Da tali errori diagnostici è derivata la morte del nascituro in quanto non è stato possibile approntare tempestivamente il salvifico parto tramite taglio cesareo. Cass. Pen. Sez. IV, 18 dicembre 2009, dep. 19 marzo 2010, n. 10821, Di Filippo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 152 155 Versa in colpa lo psichiatra che dispone le dimissioni del paziente ritenendo un mero disagio psicologico sia pure a fronte di un quadro clinico da indagare per malattia organica. (Morte per complicanze performative da morbo di Crohn non diagnosticato in paziente con disturbi gastrici, febbre, diarrea, astenia e rilevante calo ponderale). Cass. Pen. Sez. IV, 10 luglio 2009, dep. 16 febbraio 2010, n. 6197, D’Agostino. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 153 156 E’ obbligo del medico cui sia sottoposto il caso, a fronte della possibilità di una diagnosi differenziale non ancora risolta, compiere gli approfondimenti diagnostici necessari per accertare quale sia l’effettiva patologia che affligge il paziente e adeguare le terapie in corso a queste plurime possibilità. (Morte per infarto del miocardio non adeguatamente trattato: ritenuta colposa la scelta di escludere la patologia cardiaca, data anche la sua maggiore gravità rispetto alle altre ipotizzate). Cass. Pen. Sez. IV, 10 dicembre 2009, dep. 16 febbraio 2010, n. 6215, Pappadà e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., pp. 152-153 157 Versa in colpa il medico che, a fronte di un quadro suggestivo di un’emorragia interna in atto, non procede a laparatomia e infusioni di sangue, ma somministra eparina, aggravando il quadro. (Morte per emorragia post-cesareo non diagnosticata). Cass. Pen. sez. IV, 15 ottobre 2009, dep. 2 febbraio 2010, n. 4156, Lagna e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 153 158 Versa in colpa il medico che, in caso di dubbio sulla diagnosi, non sottopone il paziente ad ulteriori controlli. (Morte per infezione non trattata, manifestatasi dopo un intervento di taglio cesareo con sintomatologia da indagare). Cass. Pen. Sez. IV, 21 giugno 2007, dep. 20 luglio 2007, n. 29211, Martinelli. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 157 159 L’ambiguità del quadro clinico non giustifica l’inerzia, ma al contrario impone i necessari approfondimenti diagnostici, con configurabilità di colpa in ipotesi di mancata esecuzione. (Febbre, trattata con antipiretico, sintomo di una peritonite evolutasi in un fatale shock settico di una piccolissima paziente). Cass. Pen. Sez. IV, 12 ottobre 2006, dep. 7 dicembre 2006, n. 40289, Ciardini. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 158 160 Versa in colpa il medico che, apprezzando una determinata condizione di rischio e attivandosi per i necessari conseguenti accertamenti diagnostici, non ne segua l’immediata esecuzione ai fini di ulteriori approfondimenti, che in ipotesi possono e debbono farsi. (Morte per shock ipovolemico da anemizzazione per perdite ematiche, il medico aveva disposto un prelievo sulla paziente per indagare un’eventuale emorragia, senza poi verificarne gli esiti e disporre ulteriori esami e in presenza di un 50 fase terapeutica il sanitario per un corretto agire che vale ad escludere una sua responsabilità colposa deve sempre procedere alla valutazione delle alternative terapeutiche, quando più alternative sono possibili, il medico deve orientare le proprie scelte alla massima prudenza per evitare di mettere a rischio la salute del paziente161. Deve poi valutare l’idoneità della terapia162, nel somministrare i farmaci bisogna sempre valutare e comparare i possibili benefici e rischi, controllando costantemente nel corso della cura, le condizioni del paziente 163. Infine, è necessario sempre attenersi ai protocolli scientifici in caso di terapia sperimentale164. Nella fase dell’intervento, la colpa del medico sussiste, ad esempio, quando opta per un determinato intervento quando le caratteristiche del caso lo rendono del tutto sconsigliabile165. Prima dell’intervento il medico deve sempre procedere, sulla base dei dati clinici a sua disposizione, a ulteriori accertamenti onde intervenire quadro suggestivo della malattia in atto. Cass. Pen. Sez. IV, 19 giugno 2006, dep. 22 novembre 2006, n. 38424, Di Salvo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 158 161 Morte per shock ipovolemico successiva a parto: ritenuta colposa la scelta di non praticare gli adeguati e necessari presidi terapeutici, nonché di trattenere la paziente in una struttura non attrezzata, una volta accertata l’inutilità delle mere suture vaginali per fermare l’emorragia in corso. Cass. Feriale, 27 luglio 2010, dep. 23 settembre 2010, n. 34537, Martino e altro. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 161 162 E’ ritenuta la colpa del medico cardiologo che, in fase successiva alle dimissioni del paziente, pur conoscendo la sintomatologia da cui questi è affetto, nella specie lesione femorale, abbia approvato una terapia anticoaugulante, inidonea ad influire sulla patologia in atto, anziché, come il rispetto delle leges artis avrebbe imposto, suggerire il ricovero ospedaliero o l’effettuazione di esami strumentali. La condotta diligente omessa dall’imputato avrebbe, con alto grado di probabilità logica, evitato l’evento lesivo in concreto prodottosi. Cass. Pen. Sez. IV, 17 giugno 2009, dep. 6 agosto 2009, n. 32255, Montenero. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 162 163 Fattispecie in tema di omicidio colposo nella quale l’imputato aveva prescritto alla vittima, adolescente affetta da sintomatologia lieve, ovaio policistico con alterazioni di tipo estetico quali acne, caduta di capelli ed irsutismo, un farmaco adottato per la cura delle neoplasie della prostata su pazienti maschili, comportante gravi effetti collaterali, senza previ esami ematochimici e della funzionalità epatica, ed aveva omesso di controllare le sue condizioni di salute, nel corso dell’assunzione del farmaco, attraverso analoghi esami. Cass. Pen. Sez. IV, 13 marzo 2008, dep. 30 aprile 2008, n. 17499, Remorgida. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 163 164 E’ da considerarsi imprudente ed imperita la condotta del medico che sottoponga un paziente affetto da una malattia cronica-dermatologica a una terapia in fase sperimentale (ozonoterapia), non consigliata per la patologia della vittima, praticando il trattamento per un numero di giorni e di sedute superiori rispetto a quelli indicati nel protocollo stilato dalla Società Scientifica Italiana Ossigeno Ozono Terapia (S.I.O.T.). Cass. Pen. Sez. IV, 14 aprile 2005, dep. 10 giugno 2005, n. 22034, Agosta. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 164 165 Morte per una peritonite diffusa successiva ad intervento di colecistectomia per via laparoscopica: ritenute colpose le condotte dei medici che avevano effettuato l’intervento con la metodica laporoscopica anziché laparotomia, nonostante la presenza di massive aderenze causate da pregressi gravi interventi all’addome, lo rendesse difficile se non impossibile esecuzione. Cass. Pen. Sez. IV, 26 maggio 2010, dep. 23 settembre 2010, n. 34521, Huscher e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 164 51 chirurgicamente in situazione di sicurezza 166. Le tardive manovre risolutive durante l’intervento possono essere fonte di responsabilità colposa in caso di prevedibile emergenza in relazione alla posizione di garanzia rivestita167. Condotte colpose possono concretizzarsi per aver effettuato manovre errate 168 oppure perché il sanitario ha scelto la tecnica operatoria più rischiosa 169 ovvero per violazione dell’obbligo di astensione dal praticare un intervento estremamente rischioso e di non certa utilità170. Ancora, genera responsabilità durante la fase dell’intervento la mancata osservanza della regola c.d. “del conteggio dei ferri” 171. Infine, si può riscontrare una condotta colposa nella fase assistenziale e di controllo. Ad esempio le omesse visite per controllare la regolarità del decorso postoperatorio dei pazienti 172 166 Morte per AIDS slatentizzata da un intervento di protesi all’anca destra non preceduto da approfondimenti, in presenza di alterazioni immunologiche evidenziate da anemia, leucopenia, piastrinopenia, pergammaglobulinemia e accelerazione della VES: ritenuta la colpa. Cass. Pen. Sez. IV, 14 luglio 2009, dep. 25 settembre 2009, n. 37880, Wolfram. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 165 167 E’ ritenuto in colpa il medico ginecologo che, nonostante la concreta prevedibilità dell’emergenza ostetrica e la successiva insorgenza di una situazione di reale pericolo per l’incolumità del nascituro, nella specie, incagliamento della spalla di feto megalosoma durante la manovra espulsiva, abbia ritardato il proprio personale intervento, avendo delegato all’ostetrica il ricorso a quelle misure di particolare emergenza che la disciplina vigente riconduce invece alla propria primaria responsabilità proprio in ragione della presumibile maggiore capacità tecnica e del più elevato profilo professionale. Cass. Pen. Sez. IV, 19 maggio 2009, dep. 5 agosto 2009, n. 31968, Raso. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 165 168 Versa in colpa il ginecologo che in caso di parto distocico opera una manovra di trazione anziché di rotazione, con successive lesioni paralizzanti il braccio del nascituro. Cass. Pen. Sez., IV, 27 novembre 2008, dep. 14 gennaio 2009, n. 1236, Labriola. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 166 169 La scelta compiuta dal sanitario il quale, tra due possibili decisioni, abbia adottato quella ritenuta più rischiosa, integra una ipotesi di condotta imprudente. Cass. Pen. Sez. IV, 6 novembre 2008, dep. 4 dicembre 2008, n. 45126, Ghisellini. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 166 170 L’obbligo del sanitario di astenersi dall’intervento chirurgico presuppone che si versi in ipotesi di intervento estremamente rischioso e di non certa utilità. (Annullamento con rinvio di una condanna, della quale una delle ragioni era stata individuata nel non essere necessario e urgente l’intervento praticato). Cass. Pen. Sez. IV, 12 aprile 2007, dep. 26 giugno 2007, n. 24859, Comitini. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 166 171 In materia di colpa medica, la rottura durante un operazione chirurgica all’addome, del margine della pinza e il suo scivolamento nell’addome del paziente, costituiscono condotta colpevole da parte dei sanitari sotto il profilo dell’omesso conteggio dei ferri dopo la sutura della ferita e della conseguente omessa rimozione del corpo estraneo: regole semplici di diligenza, di prudenza e di perizia impongono infatti che quel controllo (mancato nella fattispecie) sia effettuato anche dopo la sutura in modo tale da poter porre rimedio immediatamente all’eventuale errore. (La Corte ha ulteriormente specificato che il controllo della rimozione dei ferri spetta all’intera èquipe operatoria, cioè ai medici, che hanno la responsabilità del buon esito dell’operazione anche con riferimento a tutti gli adempimenti connessi, e non può essere delegato al personale paramedico, avendo gli infermieri funzioni di assistenza ma non di verifica). Cass. Pen. Sez. IV, 26 maggio 2004, dep. 6 ottobre 2004, n. 39062, Picciurro. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 169 172 Versa in colpa il medico che, essendo a disposizione del reparto, non effettua ripetute visite in sala degenza per controllare la regolarità del decorso postoperatorio dei pazienti. Cass. Pen. Sez. IV, 14 52 ovvero la sottovalutazione del quadro sintomatico generano una responsabilità per colpa del medico173. Il chirurgo capo dell’èquipe operatoria, nel trasferire la sua posizione di garanzia, deve fornire le necessarie indicazioni terapeutiche e dei controlli dei parametri vitali del paziente appena operato e deve seguire direttamente, anche per interposta persona, il decorso post-operatorio; a tal fine, egli ha l’obbligo di individuare i soggetti che dovranno seguire il decorso post-operatorio del paziente fino al suo ritorno in reparto; in caso di omissione è da ritenersi consapevolmente abbandonato il paziente a se stesso 174 che abbia . Comportamenti negligenti del medico possono ravvisarsi anche nel caso disponga le dimissioni anticipate di un paziente ancora a rischio 175 allo stesso modo, nel valutare l’ospedalizzazione del paziente, si deve sempre operare un bilanciamento di interessi tra la tutela del malato e l’economicità pubblica per stabilire nel caso concreto se debba o meno prevalere la tutela della salute.176 luglio 2010, dep. 27 settembre 2010, n. 34845, Amella e altro. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 169 173 Versa in colpa, il medico in servizio presso il pronto soccorso che non abbia proceduto all’immediato ricovero del paziente pur in presenza di sintomi che, complessivamente considerati, indicavano una ischemia miocardica in atto. Il ricovero e gli approfondimenti diagnostici che avrebbero dovuto essere compiuti avrebbero permesso di evitare le prevedibili complicanze cardiache che hanno condotto a morte il paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 11 febbraio 2010, dep. 18 marzo 2010, n. 10680, Bonatesta. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 171 174 Nella specie il chirurgo, in vista della fase postoperatoria, aveva trasferito la posizione di garanzia ad un reparto che sapeva, o avrebbe dovuto sapere, affidato solo a personale paramedico – indipendentemente dalla competenza, diligenza e scrupolo che costoro possedessero – certamente non in grado di far fronte all’assistenza di pazienti appena sottoposti a interventi di alta chirurgia, e ad un medico di guardia per contratto disponibile solo dietro chiamata o a richiesta. Cass. Pen. Sez. IV, 1 dicembre 2004, dep. 11 marzo 2005, n. 9739, Di Lonardo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 175 175 In tema di responsabilità per colpa professionale medica, correttamente viene affermata una tale responsabilità nel caso di evento che risulti causalmente riconducibile alla dimissione del paziente da una struttura ospedaliera, in presenza di condizioni nelle quali sarebbe stato invece necessario mantenere la degenza, come si verifica allorchè il paziente presenti uno stato patologico produttivo di un pericolo attuale fronteggiabile esclusivamente, in caso di necessità, con un intervento immediato che solo l’ambiente ospedaliero possa garantire. Cass. Pen. Sez. IV, 7 aprile 2004, dep. 7 giugno 2004, n. 25310, Ardovino. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 176 176 Il problema dell’ospedalizzazione del paziente continuata deve essere risolto in generale, dai medici che trattano il caso, nel senso di contemperare le esigenze terapeutiche con quelle di efficienza ed economicità dell’organizzazione sanitaria pubblica. Quando infatti una patologia può essere adeguatamente trattata presso l’abitazione del paziente, la continuazione dell’ospedalizzazione non solo ha carattere di antieconomicità ma è addirittura inutile o dannosa. Se invece la terapia può essere più utilmente praticata in ambiente ospedaliero va operato un bilanciamento tra la tutela del malato e l’interesse pubblico a non protrarre i ricoveri oltre un certo limite. E il contemperamento può essere trovato in un rapporto costi benefici che prenda però in adeguata considerazione la gravità della 53 7. Il consenso del paziente all’atto medico L’attività medica presuppone la volontà del paziente a sottoporsi alle cure. La necessità del consenso 177 del paziente al trattamento medico-chirurgico costituisce un principio giuridico e deontologico. Il medico, prima di avviare qualsiasi attività, dalla semplice visita ad interventi sul corpo del paziente, deve richiedere il suo consenso, salvo il caso di pericolo di vita o danno grave alla persona. La regola del consenso è enunciato in primis nella Costituzione secondo cui, ogni individuo ha diritto all’autodeterminazione in ordine alla tutela della salute, della libertà e dell’integrità fisica e psichica178. Infatti, nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge. (art. 13179 e 32 cost.)180. Viene poi ribadita, nell’art. malattia e il pericolo per la salute del paziente che devono, per ovvie ragioni, essere privilegiati. (Cfr. Cass. Pen. n. 25310/04) 177 Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario: senza il consenso informato l'intervento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità, sicuramente illecito, anche quando è nell'interesse del paziente; la pratica del consenso libero e informato rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell'individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi. Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma - atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione (la quale vede nella persona umana un valore etico in sé e guarda al limite del "rispetto della persona umana" in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive) e la nuova dimensione che ha assunto la salute (non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza) - altresì di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale. Cass. Civ. Sez. I , 16 ottobre 2007, n. 21748 178 Art. 32 Cost. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. 179 Art. 13 Cost. La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva. 180 A meno che siano obbligatori per legge o che ricorrano gli estremi dello stato di necessità e il paziente non possa per le sue condizioni prestare il proprio consenso, i trattamenti sanitari sono di norma volontari (artt. 13 e 32, 2 co., cost.) e la validità del consenso è condizionata all’informazione, da parte del professionista al quale è richiesto, sui benefici, sulle modalità e in genere sulla scelta tra 54 33, 1° e 5° comma, della legge 23 dicembre 1978 n.833 secondo cui, gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari, prevedendosi, in caso di accertamenti obbligatori, che questi debbano essere comunque accompagnati da iniziative volte ad assicurare il consenso e la partecipazione di chi vi è obbligato 181. Nell’art. 1, 1° co. della legge 13 maggio 1978 n.180 è previsto che, anche in ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio della persona affetta da malattia mentale, il medico deve preventivamente impegnarsi per ottenere il consenso del soggetto. Anche a livello internazionale, ed in particolare nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ratificata in Italia con legge n. 848/1955, all’art. 8, il principio è posto implicitamente, dove si limita l’ingerenza della pubblica autorità nella vita privata di una persona per esigenze di tutela della salute collettiva 182. Analoga previsione si ha diverse modalità operative e sui rischi specifici prevedibili (anche ridotti che possano incidere gravemente sulle condizioni fisiche o sul bene della vita) dell’intervento terapeutico, informazione che deve essere effettiva e corretta, e, nel caso che sia lo stesso paziente a richiedere un intervento chirurgico, per sua natura complesso e svolto in èquipe, la presunzione di un implicito consenso a tutte le operazioni preparatorie e successive connesse all’intervento vero e proprio, non esime il personale medico responsabile dal dovere di informarlo anche su queste fasi operative, nel caso di specie in relazione ai diversi metodi anestesiologici utilizzabili, alle loro modalità di esecuzione e al loro grado di rischio, in modo che la scelta tecnica dell’operatore avvenga dopo un’adeguata informazione e con il consenso specifico dell’interessato. Cass. 15 gennaio 1997, n. 364 181 Legge 23 dicembre 1978, n. 833. Norme per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari volontari e obbligatori. Art. 33 l. cit. “Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l'articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura. Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta motivata di un medico. Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono attuati dai presidi e servizi sanitari pubblici territoriali e, ove necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate. Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori di cui ai precedenti commi devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato. L'unita' sanitaria locale opera per ridurre il ricorso ai suddetti trattamenti sanitari obbligatori, sviluppando le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed i rapporti organici tra servizi e comunità. Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio, l'infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno. Chiunque può rivolgere al sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento con il quale è stato disposto o prolungato il trattamento sanitario obbligatorio. Sulle richieste di revoca o di modifica il sindaco decide entro dieci giorni. I provvedimenti di revoca o di modifica sono adottati con lo stesso procedimento del provvedimento revocato o modificato. 182 C.E.D.U. Art. 8 - Diritto al rispetto della vita privata e familiare.1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui. 55 nella Convenzione di Oviedo, del 4 aprile 1997, sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina183, ratificata in Italia con legge n.145/2001 (seppure ancora non risulta depositato lo strumento di ratifica). Inoltre, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, sancisce all’art. 3 che ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica e che nell’ambito della medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge (Vedi Corte Cost. 438/2008). L’art. 5 c.c.184 sancisce il divieto degli atti di disposizione del proprio corpo che causano una diminuzione permanente dell’integrità fisica, ma riconosce il diritto di disporne nei limiti in cui sia funzionale a finalità terapeutiche185. In ambito deontologico, il principio del consenso del 183 Convenzione di Oviedo. Capitolo II: Consenso. Art. 5 Regola generale. Un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso. Art. 6 Protezione delle persone che non hanno la capacità di dare consenso. (1) Sotto riserva degli articoli 17 e 20, un intervento non può essere effettuato su una persona che non ha capacità di dare consenso, se non per un diretto beneficio della stessa. (2) Quando, secondo la legge, un minore non ha la capacità di dare consenso a un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. Il parere di un minore è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del suo grado di maturità. (3) Allorquando, secondo la legge, un maggiorenne, a causa di un handicap mentale, di una malattia o per un motivo similare, non ha la capacità di dare consenso ad un intervento, questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. La persona interessata deve nei limiti del possibile essere associata alla procedura di autorizzazione. (4) Il rappresentante, l’autorità, la persona o l’organo menzionati ai paragrafi 2 e 3 ricevono, alle stesse condizioni, l’informazione menzionata all’articolo 5. (5) L’autorizzazione menzionata ai paragrafi 2 e 3 può, in qualsiasi momento, essere ritirata nell’interesse della persona interessata. Art. 7 Tutela delle persone che soffrono di un disturbo mentale. La persona che soffre di un disturbo mentale grave non può essere sottoposta, senza il proprio consenso, a un intervento avente per oggetto il trattamento di questo disturbo se non quando l’assenza di un tale trattamento rischia di essere gravemente pregiudizievole alla sua salute e sotto riserva delle condizioni di protezione previste dalla legge comprendenti le procedure di sorveglianza e di controllo e le vie di ricorso. Art. 8 Situazioni d’urgenza. Allorquando in ragione di una situazione d’urgenza, il consenso appropriato non può essere ottenuto, si potrà procedere immediatamente a qualsiasi intervento medico indispensabile per il beneficio della salute della persona interessata. Art. 9 Desideri precedentemente espressi. I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione. 184 Art. 5 c.c. Atti di disposizione del proprio corpo. Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. [c.c., art. 1343, 1418]. 185 Questo divieto non deve essere inteso come principio assoluto perché, essendo la salute costituzionalmente tutelata come bene primario, il paziente deve potersi sottoporre a trattamenti sanitari ritenuti più efficaci per salvaguardarlo. Il soggetto interessato, dunque, se può disporre del diritto all’integrità fisica nei limiti in cui sia funzionale a finalità terapeutiche la ratio dell’art. 5 c.c. circoscrive gli atti non consentiti a quelli che non sono tesi alla tutela della propria salute come ad 56 paziente incontra riconoscimento e disciplina negli artt. 33-38 del Nuovo codice di deontologia medica approvato il 16 dicembre 2006 che riflette le linee di regolamentazione del precedente codice deontologico del 1998 186. Il fondamento esempio, il prelievo di organi ai fini di trapianto a favore di altri, a seguito del quale risultino irrimediabilmente pregiudicate le funzioni vitali. Il disposto dell’art. 5 c.c. non mortifica quindi, la libertà di autodeterminarsi, anzi, la protegge in quanto vieta esclusivamente l’abuso, non l’atto dispositivo del proprio corpo. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 101. Per giurisprudenza costante “gli atti dispositivi del proprio corpo, quando rivolti alla tutela della salute, anche psichica devono ritenersi leciti. La natura terapeutica che la scienza assegna all’intervento chirurgico, e che la legge riconosce ne esclude la illiceità”. Corte costituzionale 25 maggio 1985, n. 161, For. It, 985, I, p.21. La Corte di Assise di Firenze con sentenza n. 13/90 confermata da Cass. n. 5639/92 ha collocato l’art. 5 c.c. nell'ambito degli articoli 13 e 32 della Costituzione puntualizzando che quest'ultimo (art. 32) è una norma di rango primario che, tutelando la salute come fondamentale diritto dell'individuo, pone un principio all'interno del quale si colloca il disposto del articolo 5 del Codice Civile. Ciò comporta che il limite della diminuzione permanente dell'integrità fisica in relazione agli atti di disposizione del proprio corpo è necessariamente "inoperante" in caso di atti (medico chirurgici) volti alla tutela della salute della persona ovviamente consenziente. Va precisato, per completezza di informazione, che, in realtà, alcuni particolari settori dell’attività medica trovano, quanto al consenso del malato, una qualche più puntuale regolamentazione giuridica (con la previsione della necessaria previa informazione del paziente e, talvolta, della forma scritta della raccolta del consenso), come la materia della trasfusione di sangue (D.M. del 1 settembre 1995 e, poi, del 26 gennaio 2001) e dei trapianti d’organo (legge 26 giugno 1967, n. 458, in tema di trapianto del rene tra viventi), la sperimentazione dei farmaci (D.M. del 27 aprile 1992), gli accertamenti circa l’infezione da Hiv (legge 5 giugno 1990, n.135) ed i trattamenti radiologici mediante radiazioni ionizzanti (D. Lgs n.230 del 17 marzo 1995). 186 Art. 33 Informazione al cittadino. Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate. Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche. Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. Il medico deve, altresì, soddisfare le richieste di informazione del cittadino in tema di prevenzione. Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza. La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione deve essere rispettata. Art. 34 Informazione a terzi. L'informazione a terzi presuppone il consenso esplicitamente espresso dal paziente, fatto salvo quanto previsto all’art. 10 e all’art. 12, allorché sia in grave pericolo la salute o la vita del soggetto stesso o di altri. In caso di paziente ricoverato, il medico deve raccogliere gli eventuali nominativi delle persone preliminarmente indicate dallo stesso a ricevere la comunicazione dei dati sensibili. Art. 35 Acquisizione del consenso. Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente. Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all'art. 33. Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l'incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito una opportuna documentazione del consenso. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona. Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente 57 della liceità penale dell’attività medica consiste nella sua vantaggiosità sociale, nella sua utilità per la collettività perché tutela un interesse costituzionalmente protetto quale quello della salute187. Il consenso del paziente è requisito di validità dell’attività del medico, del trattamento sanitario e non del contratto d’opera professionale e, in particolare alla diagnosi della situazione del paziente ed alla scelta della terapia188. La libertà del soggetto si sostanzia nel diritto di rifiutare e interrompere le cure189. Lo stesso art. 34 IV co. del codice di deontologia medica incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente. Art.36 Assistenza di urgenza. Allorché sussistano condizioni di urgenza, tenendo conto delle volontà della persona se espresse, il medico deve attivarsi per assicurare l’assistenza indispensabile. Art. 37 Consenso del legale rappresentante. Allorché si tratti di minore o di interdetto il consenso agli interventi diagnostici e terapeutici, nonché al trattamento dei dati sensibili, deve essere espresso dal rappresentante legale. Il medico, nel caso in cui sia stato nominato dal giudice tutelare un amministratore di sostegno deve debitamente informarlo e tenere nel massimo conto le sue istanze. In caso di opposizione da parte del rappresentante legale al trattamento necessario e indifferibile a favore di minori o di incapaci, il medico è tenuto a informare l'autorità giudiziaria; se vi è pericolo per la vita o grave rischio per la salute del minore e dell’incapace, il medico deve comunque procedere senza ritardo e secondo necessità alle cure indispensabili. Art. 38 Autonomia del cittadino e direttive anticipate. Il medico deve attenersi, nell’ambito della autonomia e indipendenza che caratterizza la professione, alla volontà liberamente espressa della persona di curarsi e deve agire nel rispetto della dignità, della libertà e autonomia della stessa. Il medico, compatibilmente con l’età, con la capacità di comprensione e con la maturità del soggetto, ha l’obbligo di dare adeguate informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà. In caso di divergenze insanabili rispetto alle richieste del legale rappresentante deve segnalare il caso all’autorità giudiziaria; analogamente deve comportarsi di fronte a un maggiorenne infermo di mente. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato. 187 La liceità dell'attività medica trova fondamento e giustificazione non tanto nel consenso dell'avente diritto (art. 51 c.p.), che incontrerebbe spesso l'ostacolo di cui all'art. 5 c.c., quanto nelle sua intrinseca legittimità, quale strumento di tutela di un bene, come la salute, costituzionalmente garantito. Cass. Civ. Sez. III, 15 gennaio 1997, n. 364. L’autolegittimazione dell’attività medica, anche aldilà dei limiti dell’art. 5 c.c., non importa che il medico, al di fuori di casi eccezionali, esempio paziente privo della possibilità di consentire o di dissentire; presenza delle condizioni previste dall’art. 54 c.p., possa intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente. Cass. 15 gennaio 1997, n. 364, Foro it., I, f. 3; Giust. Civ. 1997, I, 1586; Foro amm. 1998, 18; Riv. It. med. Legale 1998, 345. 188 La mancanza del consenso informato non rende nullo il contratto tra il medico e il paziente. L’inosservanza dell’obbligo di ottenere il consenso, trova la sua sola sanzione in una responsabilità contrattuale del sanitario anche nel caso in cui, a prescindere da una sua colpa professionale, il trattamento praticato abbia comportato un aggravamento delle condizioni di salute, il cui rischio il paziente non era stato messo in condizione di valutare. La Corte di Cassazione ha enunciato il principio a seguito di una azione giudiziaria intrapresa da un odontoiatra per ottenere il pagamento delle proprie competenze. La paziente ingiunta a sua difesa aveva opposto che la mancanza del consenso informato determinava in ogni caso la nullità del contratto con conseguente infondatezza della pretesa avanzata nei suoi confronti. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla paziente. Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net- Cass. Civ. Sez. II del 08.04.2013, n. 8527 189 La questione del dissenso del paziente è stata affrontata specificamente dalla Corte di Assise in primo grado laddove è stata affermato che “salvi i casi di necessità e di rappresentanza legale, non può 58 impone al medico di desistere dalla terapia di fronte al documentato rifiuto del paziente, capace di intendere e volere 190. In caso di pericolo di vita, solo la certezza sulla volontà di morire del paziente può consentire al medico di astenersi dalle cure, in tutti gli altri casi, vale il principio in dubbio pro vita191. Evidente, la difficoltà del medico nella scelta tra l’obbligo di curare e la volontà di morire del paziente suscitando dubbi di natura non solo giuridica, ma anche etico-morali. In definitiva, anche se l’art. 32 cost. sancisce il diritto del paziente di rifiutare i trattamenti non voluti, il dissenso deve essere manifestato in maniera chiara, non potendo essere sufficiente né la volontà presunta espressa tramite i parenti né la medaglietta ritrovata addosso recante la dicitura “niente sangue”192. Il dissenso deve essere contenuto in eseguirsi qualsiasi attività medico-chirurgica, né attuarsi alcuna modificazione al tipo di intervento concordato senza il consenso reale, e non solo presunto del paziente. Corte di Assise di Firenze, 1810-8/11/90 Giur. Merito 1991, 1119. In senso analogo “Il consenso informato ha, come contenuto concreto, la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale”. Cass. Civ. Sez. III, 4 Ottobre 2007, n. 21748. “Tale conclusione, fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall’art. 32 cost., per il quale i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge, sta a significare che il criterio di disciplina della relazione medico malato è quella della libera disponibilità del bene salute da parte del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte che può comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario. E però dal rilievo così attribuito al consenso del paziente non può farsi discendere la conseguenza che dall’intervento effettuato in assenza di consenso o con un consenso prestato in modo invalido si possa sempre profilare la responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale, in caso di esito letale, ovvero a titolo di lesioni volontarie”. Cass. Sez. IV, 16 gennaio 2008, n. 11335. 190 Fra i casi più noti e dibattuti va menzionato il rifiuto all’emotrasfusione da parte del paziente testimone di Geova. E’ opinione dominante che la volontà espressa del paziente appartenente a questo credo religioso sia vincolante per il medico. Secondo la giurisprudenza il medico deve rispettare la volontà del paziente in precedenza espressa in modo inequivoco anche se l’omissione dello specifico trattamento non voluto può condurre alla morte. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 102. Altrove è stato ritenuto legittimo l’intervento coercitivo del sanitario responsabile di una struttura pubblica nei confronti di un paziente in pericolo di vita, che rifiuti una terapia trasfusionale, siccome contraria al suo credo religioso. Pret. Modica, 13 agosto 1990, Giur. Merito 1993, 1314 nota Dogliotti. 191 Nella specie il paziente era stato ricoverato in ospedale, a seguito di un incidente stradale, con fratture multiple e con lesione dell’arteria principale e sottoposto ad intervento chirurgico nel corso del quale gli era stata praticata una trasfusione nonostante avesse dichiarato che, in ossequio al suo credo religioso, non voleva gli si praticasse. Il paziente citava in giudizio i medici per il risarcimento dei danni morali per essere stato costretto a subire il trattamento rifiutato di trasfusione sanguigna. In questa decisione la Corte ribadisce che, nel caso sia in pericolo la vita e sussista anche un minimo dubbio sulla validità o attualità del dissenso alle cure, il medico ha il dovere di agire e non gli si può attribuire alcuna responsabilità se il suo intervento, determinante ed adeguatamente eseguito, risulti poi, essere ex post non voluto dal paziente. Cass. Sez. III, 15 gennaio 2007, n.4211, Guida al diritto, Il sole 24 ore. De Simone Palatucci, M., op. cit. pp. 102-103 192 Nel medesimo alveo interpretativo è stata ritenuta non sussistente la responsabilità della struttura sanitaria presso cui era stato effettuato un intervento chirurgico per una grave affezione epatica nel 59 una espressa dichiarazione dalla quale, inequivocabilmente, emerge la volontà di non volersi sottoporre a cure193. L’uso del termine “informato” indica un diverso modo di impostare il rapporto tra medico e paziente superando una concezione paternalistica, in cui il medico aveva un potere incondizionato sulla scelta terapeutica e sulle modalità di attuazione. Il paziente quale soggetto decidente, non è più oggetto della prestazione medica, ma è titolare del diritto di essere informato al fine di scegliere consapevolmente tra le possibili alternative terapeutiche, di consentire o di rifiutare l’opera medica194. Il consenso poi deve essere personale, salvo i casi di incapacità di intendere e volere del soggetto, specifico ed esplicito, reale ed effettivo cioè non può essere presunto195. La violazione da parte del medico, dell’obbligo di informazione 196 configura inadempimento contrattuale dell’obbligazione assunta197. Il contenuto corso del quale si era resa necessaria una ematotrasfusione senza la previa acquisizione del consenso del paziente impossibilitato a farlo perché sottoposto a narcosi in anestesia generale essendoci, però, il consenso informato iniziale alla attività chirurgica in corso. Il chirurgo aveva praticato la trasfusione in presenza di una situazione più grave rispetto a quella inizialmente riscontrata e con una incombente conclusione letale a cui il paziente, in seguito ad emorragia, era esposto. Il professionista si è trovato di fronte alla necessità di salvare una vita e, valutando un quadro clinico più grave e diverso rispetto alla situazione patologica pregressa, ha agito lecitamente ai sensi dell’art. 54 c.p., scriminante dello stato di necessità, in quanto non si presentavano alternative. Cass. Sez. III, 26 settembre 2006, n. 20832, Guid. Al dir. Il Sole 24 ore, Responsabilità e risarcimento, 10, 2006, 36. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 103-104 193 La Corte ha rigettato la richiesta di risarcimento per danni morali avanzata da un testimone di Geova che, trasportato in stato di incoscienza ed in pericolo di vita presso una struttura ospedaliera, era stato sottoposto ad una serie di trasfusioni, nonostante portasse con sé un cartellino recante la dicitura “niente sangue”. Cass. sez. III, 15.09.2008, Dir. Giust. 2008. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 104 194 Si veda anche Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847. Il consenso informato, inteso come espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto inviolabile della persona. Corte costituzionale sent. n. 438 del 2008. Come tale trova fondamento nei principi espressi dall’art. 2 della cost. oltre che negli artt. 13 e 32 cost., in base ai quali la libertà personale è inviolabile e nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Cass. 28 luglio 2011, n. 16543 195 Cass. 23 maggio 2001, n. 7027 196 La violazione dell’obbligo informativo del medico integra di per sé sola il parametro della negligenza. Cass. civ. sez. III 8/7/1994 n. 6464. Secondo altre pronunce grave. Cass. civ. sez. III, 16/5/2000, n. 6318 o quantomeno dell’imperizia Cass. civ. sez. IV, 5/11/2002 n. 1240, ascrivibile ad autonomo profilo di responsabilità contrattuale rispetto al quale ogni indagine circa la correttezza o meno dell’atto medico sarebbe del tutto superflua. Trib. Brescia sez. III 31712/2003 197 La responsabilità del medico per violazione dell’obbligo contrattuale di porre il paziente nella condizione di esprimere un valido ed effettivo consenso informato è ravvisabile sia quando le informazioni siano assenti od insufficienti, sia quando vengano fornite assicurazioni errate in ordine all’assenza di rischi o complicazioni derivanti da un intervento chirurgico necessariamente da eseguire, estendendosi l’inadempimento contrattuale anche alle informazioni non veritiere. Cass. Civ. Sez. III, 28 novembre 2007, n. 24742. Sulla natura contrattuale di siffatta responsabilità si veda anche Trib. Venezia sez. III, 4/10/2004, Trib. Forlì, sez. dist. Cesena, 21/6/2007 n. 209, Cass. civ. sez. III 19/10/2006, n. 22390, Cass. civ. sez. III 28/11/2007, n. 24742, Cass. civ. sez. III 23/9/2009 n. 20806, Cass. civ. sez. III 28/7/2011 n. 16543. In senso contrario, si verterebbe in tema di responsabilità precontrattuale, id est extracontrattuale, nel senso che la violazione degli obblighi informativi equivale 60 dell’informazione comprende i rischi oggettivi e tecnici prevedibili dell’intervento198 compresi i rischi specifici derivanti da una determinata scelta 199. L’obbligo di informazione si estende altresì alla situazione ospedaliera del momento considerando le dotazioni e le attrezzature di modo che il paziente possa scegliere se sottoporsi ad intervento in una data struttura200. La qualità del malato, chi è e quale professione fa, può solo influire sul modo in cui viene presentata l’informazione, ovvero determinare il tipo di linguaggio con il quale vengono date le informazioni, che deve essere più o meno tecnico in considerazione del grado di conoscenze specifiche e del livello culturale del paziente, ma non cambia l’assetto delle norme e condotte che regolano il consenso informato. Qualsiasi paziente ha diritto ad acquisire una reale consapevolezza prima di un trattamento sanitario, anche se il paziente è un alla violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto ex art. 1337 c.c. Cass. civ. sez. III, 30/7/2004, n. 14638. La violazione dell’obbligo informativo si estende di riflesso alla struttura sanitaria per cui agisce, anche nelle ipotesi in cui non sia stato individuato il sanitario sul quale incombeva tale obbligo. Cass. civ. sez. III, 24/9/1997 n. 9374. 198 Il consenso informato, personale del paziente o di un proprio familiare, in vista di un intervento chirurgico o di altra terapia specialistica o accertamento diagnostico invasivo, non riguarda soltanto i rischi oggettivi e tecnici in relazione alla situazione soggettiva e allo stato dell’arte della disciplina, ma riguardano anche la concreta, magari momentaneamente carente situazione ospedaliera, in rapporto alle dotazioni e alle attrezzature, e al loro regolare funzionamento, in modo che il paziente possa non soltanto decidere se sottoporsi o meno all’intervento, ma anche se farlo in quella struttura ovvero chiedere di trasferirsi in un’altra. Cass. Sez. III, 30.07.2004 n. 14638; Cass. Sez. III, 21.07.2003, n. 11386; 16.05.2000, n. 6318. L’omessa informazione sulla carente situazione ospedaliera, in rapporto alle dotazioni, alle attrezzature e al loro regolare funzionamento […] può configurare una negligenza grave, della quale il medico risponderà in concorso con l’ospedale. Cass. civ. sez. III, 16/10/2000, n. 6318, www.enpam.it, cfr nota di G. Cassano, obbligo di informazione, relazione medico-paziente, difficoltà della prestazione e concorso di responsabilità, Danno e responsabilità, 2001, n. 1, IPSOA, p. 159; in tal senso anche Cass. civ. sez. III, 30/7/2004, n. 14638, Cass. civ. sez. III, 19/10/2006, n. 22390 con nota di A. Spirito, A. Batà, Responsabilità del medico, Danno e responsabilità, 2007, n. 1, IPSOA, p. 103 199 L’obbligo di informazione si estende, inoltre, ai rischi specifici rispetto a determinate scelte alternative, in modo che il paziente, con l’ausilio tecnico-scientifico del sanitario, possa determinarsi verso l’una o l’altra delle scelte possibili, attraverso una cosciente valutazione dei rischi relativi e dei corrispondenti vantaggi. Cass. Sez. III, 30.07.2004 n. 14638; Trib. Milano Sez. V, 29.03.2005 n. 3520. L’obbligo si estende ai rischi prevedibili e non anche agli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l’id quod plerumque accidit, non potendosi disconoscere che l’operatore sanitario deve contemperare l’esigenza di informazione con la necessità di evitare che il paziente, per una qualsiasi remota eventualità, eviti di sottoporsi anche ad un banale intervento, evitando quindi quella che la giurisprudenza francese definisce una reaction dangereuse del paziente. Assume rilevanza, in proposito, l’importanza degli interessi e dei beni in gioco, non potendosi consentire tuttavia, in forza di un mero calcolo statistico, che il paziente non venga edotto di rischi, anche ridotti, che incidano gravemente sulle sue condizioni fisiche o, addirittura, sul bene supremo della vita. Cass. Sez. III, 30.07.2004 n. 14638 200 Cfr. Cass. Civ. n. 6318/2000 cit. e Cass. 2/2/2010 n. 2354 con nota di R. Simone, Nascite dannose: tra inadempimento (contrattuale) e nesso causale (extracontrattuale) Danno e responsabilità, 2011, n. 4, IPSOA, p. 387 61 medico201. Nella legislazione italiana il consenso manca di una disciplina organica e si fa riferimento a fonti diverse legislative e regolamentari ed al codice di deontologia medica. Il trattamento medico è arbitrario quando viene eseguito senza consenso o risulta viziato da errore essenziale. Passando ad analizzare le conseguenze penali del trattamento sanitario senza consenso o viziato, occorre precisare che non esiste nel codice penale una autonoma fattispecie di reato che prevede la responsabilità del medico che agisce senza consenso. La disciplina si ricava dai principi generali, cosa che ha determinato contrasti interpretativi in dottrina e giurisprudenza. Quindi nel caso in cui manca il consenso del paziente all’atto medico si prospettano ipotesi diverse. Se l’attività medica arbitraria viene considerata come lesione alla libertà di autodeterminazione, il consenso attiene alla libertà morale del soggetto. Il reato ipotizzabile sarebbe, sempre che ne risultano integrati i presupposti, la violenza privata ex art.610 c.p. oppure il sequestro di persona ex art. 605 c.p. Se poi seguissero le lesioni o la morte del paziente, senza attribuzione di colpa al medico, si configurerebbe il reato ex art.586 c.p., morte o lesioni come conseguenza di altro delitto. Questa tesi è applicabile in un numero ristretto di casi o comunque inverosimili casi di scuola perché riguarda il caso del paziente dissenziente che subisca coattivamente, con violenza o minaccia, un trattamento. Quindi, in assenza di consenso, l’atto medico arbitrario resterebbe impunito. Se invece si ritiene che il consenso tutela l’integrità fisica del soggetto allora, l’atto medico arbitrario configura il reato di lesioni personali. Questa tesi equipara, in mancanza di consenso, l’uso del bisturi al colpo di pugnale e considera il reato di lesioni personali un’offesa all’integrità fisica e la “malattia”, evento del reato di lesioni, una mera alterazione anatomica. La giurisprudenza ritiene invece che la malattia è ogni alterazione anatomica e funzionale dell’organismo 202. Seguendo quest’ultima tesi bisognava poi distinguere se l’atto medico senza consenso avesse avuto esisto fausto o infausto. Infatti, l’esito favorevole non determinava la malattia e 201 Cass. 27 novembre 2012, n. 20984 Il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di un fatto morboso in evoluzione, a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l’adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte. Ne deriva che non costituiscono malattia, e quindi non possono integrare il reato di lesioni personali, le alterazioni anatomiche, a cui non si accompagni una riduzione apprezzabile della funzionalità. Cass. Sez. IV, 14 novembre 1996, dep. 9 dicembre 1996, n. 10643, rv. 207339. 202 62 non configurava il delitto di lesioni non essendoci stata compromissione funzionale dell’organismo così come richiede l’art.582 c.p. Nel caso di esito infausto bisognava considerare se la condotta del medico fosse stata perita e senza colpa in tal caso, veniva meno la condotta tipica dei reati ex artt. 582 e 583 c.p.: l’esito infausto si sarebbe verificato lo stesso a causa del preesistente stato morboso del paziente non arrestabile. Alla base di questa tesi vi era la convinzione che il consenso del paziente si identificasse con il “consenso dell’avente diritto”, cioè con la causa di giustificazione ex art. 50 c.p., costituendo il fondamento della liceità penale dell’attività medica, il motivo per cui il chirurgo che incideva l’integrità fisica del malato non commetteva reato203. Per tale motivo, l’atto medico senza consenso configurava un reato contro la vita e l’incolumità della persona. Il medico che interveniva sul paziente senza consenso commetteva il reato di lesioni personali dolose e, se ne derivava la morte rispondeva di omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p.204, salvo la ricorrenza dello stato di necessità ex art. 54 c.p., nelle ipotesi 203 Appare dubbio che l’art. 50 c.p. di per sé solo, possa legittimare lesioni all’integrità fisica, stante il divieto sancito dall’art. 5 c.c. e quindi è opinabile che fintanto che si permea nell’idea della natura in re ipsa lesiva dell’attività medica, che il consenso ex art. 50 sia adeguato a valicare gli atti di disposizione del proprio corpo ex art. 5 c.c. Il legislatore ha inteso tutelare l’uomo prima da stesso e poi dalla collettività cosicchè egli non può definirsi sic et simpliciter dominus membro rum suorum, posto che l’integrità fisica è presupposto indefettibile per l’adempimento dei suoi doveri familiari e sociali. La scriminante opererebbe allora solo per gli atti medici che causano una diminuzione dell’integrità fisica non permanente. In tale prospettiva resta intatto il problema della legittimazione dell’atto medico che operi fuori del perimetro scriminato. A confutare l’inidoneità dell’art 50 c.p. a legittimare una diminuzione permanente dell’integrità fisica basti considerare che quando il legislatore è intervenuto per disciplinare i casi in cui poteva derogarsi all’art. 5 c.c., il consenso rilevava solo in un momento successivo e a diverso titolo, giacchè coinvolge l’autodeterminazione dell’individuo e non anche la legittimazione ad una attività medica considerata aprioristicamente illecita. L. Eusebi, Verso una recuperata determinatezza in ambito penale? Criminalia 2009, sarebbe del tutto fuorviante identificare l’atto medico posto in essere leges artis come una condotta in sé illecita, ma scriminata dal consenso: il quale, del resto, non rappresenta né una condizione sempre necessaria all’esercizio di un’attività medica (si pensi ai casi di urgenza), né una condizione da sola sufficiente a garantirne la liceità (si pensi ad una richiesta di mutilazione genitale femminile), p. 427, con riferimento a tale indirizzo dottrinario G. Martiello, La responsabilità penale del medico, tra punti (quasi) fermi, questioni aperte e nuove frontiere, Criminalia 2007, op. cit. pp. 332, 333 204 Di tale reato il chirurgo Massimo venne ritenuto responsabile, avendo consapevolmente e volontariamente, eseguito un intervento chirurgico diverso da quello consentito e senza consenso. Il caso riguardava il decesso di una anziana paziente a due mesi di distanza dall’asportazione totale addomino-peritoneale del retto, intervento demolitivo e diverso rispetto a quello programmato ed accettato. L’informazione venne data tramite le figlie e quindi per interposta persona senza che nessun medico avesse reso edotta la paziente della modifica della tecnica operatoria. Dopo alcuni giorni la paziente venne sottoposta a nuovo intervento chirurgico per eliminare una sopraggiunta occlusione intestinale, ma ebbe un esito infausto conducendola alla morte. Le figlie dell’anziana paziente denunciarono il prof. Massimo, esecutore dell’intervento, per omicidio colposo ma il giudice istruttore chiese l’incriminazione per omicidio preterintenzionale. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 145 Argomenta la Corte che “ogni intervento medico necessita del preventivo consenso del paziente e non 63 nelle quali l’atto medico doveva essere eseguito con urgenza e il paziente non era in grado di manifestare il proprio consenso 205. Parte della dottrina invocò anche l’art. 51 c.p., individuando nell’esercizio di un diritto 206 e nell’adempimento di un dovere207 l’humus giustificativo dell’atto medico. La dottrina prevalente si espresse può legittimare ad eseguirne un altro di natura diversa non prospettato e non acconsentito. Se nel corso di un intervento il medico non può più procedere come programmato e ravvisi l’opportunità di ricorrere ad un intervento diverso più traumatizzante e demolitivo di quanto previsto, deve sospendere la sua attività ed acquisire preventivamente il consenso necessario. L’unica deroga prefigurabile a detto principio ricorre se, nel corso dell’intervento, si manifesti una situazione di necessità e urgenza e, onde tutelare la vita del paziente, si rende indispensabile l’esecuzione di un intervento diverso rispetto a quello previsto. L’esecuzione di un intervento invalidante e cruento, senza consenso e al di fuori di una situazione di assoluta necessità, configura la fattispecie di lesioni personali volontarie evidenziando sia gli estremi dell’offesa all’integrità fisica sia il dolo generico. L’intervento arbitrario del medico che fa seguire il decesso del paziente integra il delitto di omicidio preterintenzionale”. Cass. Sez. V, 21 aprile 1992 n. 5639. Prosegue la Corte: “Soltanto il libero consenso del paziente, quale manifestazione di volontà di disporre del proprio corpo, può escludere in concreto, in assenza di altre cause di giustificazione codificate, l’antigiuridicità della lesione procurata mediante trattamento medico chirurgico. Sussiste pertanto il delitto di omicidio preterintenzionale ove, in seguito all’intervento chirurgico illecito e in conseguenza delle lesioni personali da esso derivate, si verifichi la morte del paziente. Cass. Sez. V, 21aprile 1992, dep. 13 maggio, 1992, n. 5639, CP 93, 63, nt. Melillo. 205 Parimenti confutabile è la scriminante dell’art. 54 c.p. Nel caso di trattamento sanitario l’art. 54 c.p. dovrebbe misurarsi con l’identità del soggetto passivo, titolare del bene giuridico al contempo sacrificato e salvaguardato. In tali casi, il medico interviene sul paziente provocando un’alterazione anatomica o funzionale, ergo una malattia, esimendosi al contempo dal reato di lesioni personali per esservi stato costretto dalla necessità di salvare, non se stesso o altri, ma proprio lo stesso paziente, da un danno grave alla persona. Si rende superflua anche la proporzionalità tra l’offesa e il benefici o perché fanno capo allo stesso bene giuridico e allo stesso unico titolare configurandosi l’una strumentale all’altra (salvo colpa professionale per imperizia, negligenza). Infine, posto che l’art. 54 c.p. prevede una facoltà e non un obbligo, in campo medico si perverrebbe al paradosso secondo cui il medico a fronte di un paziente in stato di incoscienza e pericolo di vita potrebbe intervenire come astenersi dal farlo. In tale ultimo caso il medico sarebbe responsabile per omissione. Ma anche nel caso in cui l’intervento comportasse per lo stesso medico un pericolo grave e attuale non potrebbe invocare l’art. 54 c.p. perché tale articolo non può essere invocato da chi, come lui, ha un particolare dovere giuridico di esporsi a pericolo. Cfr. sul punto F. Angioni, Il nuovo codice di deontologia medica, Criminalia 2007, p. 282, tale tesi viene formulata in senso critico alla sentenza Volterrani. A. Fiorella, Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, Giappichelli editore-Torino 2012, p. 26 ss. Iadecola G., potestà di curare e consenso del paziente, cedam, Padova, 1998, p. 17. F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, XVI ed. aggiornata e integrata da L. Conti, Giuffrè editore 2003. 206 Secondo parte della dottrina l’art. 51 c.p. legittimerebbe il medico ad agire qualificando il trattamento sanitario come un diritto che l’autorità statale gli attribuisce subordinandolo al consenso del paziente titolare del diritto sacrificato. Appare dubbio che l’attività medica possa qualificarsi come diritto, infatti il titolare del diritto può anche decidere di non avvalersene, mentre l’attività medica è connotata da un’obbligatorietà ex lege o ex contracto. A. Fiorella, Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale. Giappichelli editore Torino 2012, p. 26 ss. 207 Sostenere che l’operato del medico equivale a un adempimento di un dovere posto a suo carico dall’autorità statale induce a sorvolare ogni valutazione circa il consenso libero e consapevole del paziente facendo ricadere il rapporto medico paziente in quella concezione paternalistica superata in cui il paziente era succube dell’atto medico. In tal modo, alla violazione del dovere conseguirebbe una responsabilità ex art. 328 c.p. Verrebbe in tal modo ignorata a fronte del dovere di agire la volontà del paziente cosciente e capace con violazione dell’art. 32 cost. D. Pulitanò Esercizio di un diritto e adempimento di un dovere, in Dig. Disc. Pen. IV, Torino, 1990, p. 320. G. Martiello op. cit. pp. 335, 336 64 criticamente evidenziando la mancanza dell’elemento soggettivo del reato di lesioni, perchè l’agire medico tende ad apportare un miglioramento allo stato di salute e ribadendo che la “malattia” è un processo patologico non identificabile con l’incisione procurata dal bisturi208. Questo orientamento rigoroso non è stato seguito dalla giurisprudenza successiva la quale, anche se continuava a ritenere il consenso condizione di liceità dell’atto medico, escludeva che l’evento fosse imputabile a titolo di dolo privilegiando la tesi della responsabilità per lesioni colpose 209. Quindi, ha ritenuto configurabile, nel caso di atto medico senza consenso, il reato di lesioni colpose210. Allo stesso tempo continuavano ancora ad incontrarsi pronunce in adesione al caso “Massimo” ravvisando il reato di lesioni dolose anche se il medico avesse agito con finalità terapeutiche. 211 Tali orientamenti sono stati superati dalla 208 La nozione di malattia, rilevante ex art. 582 c.p., non può consistere nella mera alterazione anatomica del corpo del paziente (ecchimosi, arrossamento, escoriazione, ecc.), ma è necessario che, all’esito del trattamento, residui un’alterazione funzionale o un significativo processo patologico che non può concretizzarsi nella semplice incisione chirurgica propedeutica all’intervento. Cass. IV, 26 maggio 2010, dep. 23 settembre 2010, n. 34521, Huscher e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 137 209 In tema di lesioni personali colpose, il consenso del paziente, richiesto quale presupposto per la valida e concreta liceità dell’attività medica, non si identifica con quello previsto dall’art. 50 c.p. ne consegue che il consenso dell’avente diritto, ancorchè prestato nella piena consapevolezza delle conseguenze lesive all’integrità personale derivanti dal trattamento medico, perde efficacia scriminante se le stesse si risolvono in una menomazione permanente che incide negativamente sul valore sociale della persona umana. Fattispecie concernente un intervento odontoiatrico che aveva provocato l’indebolimento della funzione masticatoria del paziente. Cass. Sez. VI, 14.02.2006, n. 11640. 210 La mancanza di adeguata informazione è stata ricondotta ad una espressione di negligenza o di trascuratezza originando solo una responsabilità per colpa senza sconfinare in una dolosa coazione del paziente. Corte Appello di Firenze, 11.07.1995, Foro it. 1996, I, 188 con nota di Polvani. In senso conforme è altra decisione che ha valutato la condotta del medico colposa, avendo questi ritenuto di agire nella erronea convinzione, dovuta a colpa, di intervenire su paziente consenziente. Il caso riguardava la condotta di un chirurgo che aveva proceduto senza consenso alla xeresi di un polipo e ci si chiedeva se si potesse ipotizzare il consenso presunto del paziente o una errata percezione della realtà, viziando in tal modo il processo volitivo che portò alla condotta errata. I giudici, hanno ritenuto che il chirurgo per colpa era caduto in errore sul fatto integrante il reato. Il suo comportamento è stato ritenuto negligente non avendo proceduto scrupolosamente ad accertarsi dell’effettiva adesione alla scelta terapeutica messa in atto. Tribunale di Venezia, Sez. II, 4 febbraio 1998. Riv.it. Med. Leg.1999, 965. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp.148-149 211 Sussiste il reato di lesioni dolose nel caso di trattamento medico-chirurgo prestato senza il valido consenso del paziente e il correlativo diritto al risarcimento del danno morale ex art.2059 c.p. e del danno biologico ed eventualmente patrimoniale, trasmissibile agli eredi iure hereditatis”. Tribunale di Milano, sez. IV civile, 4.12.1997, Riv.it. Med. Leg. 1998, 1224 Iadecola. In senso conforme si ritiene configurabile “il delitto di lesioni personali volontarie, poiché per ritenere dimostrata l’esistenza di tale reato occorre che sia raggiunta la prova non soltanto dell’intento doloso dell’autore della condotta, ma anche dell’omessa informazione del paziente circa la sua situazione clinica e la convenienza del trattamento operatorio, o del dissenso implicitamente o espressamente manifestato dal medesimo”. Tribunale di Torino, 2.2.2000, Giur. Di merito 2001, 1079. In senso conforme “il medico il quale, senza valido consenso del paziente, procura una malattia, in seguito al proprio intervento, risponde di lesioni dolose anche se ha agito con finalità terapeutiche”. Tribunale di 65 giurisprudenza successiva allorchè si è ritenuto che il fondamento della liceità penale dell’attività medica risieda nella sua intrinseca utilità e vantaggiosità sociale, per cui è di per sé penalmente lecita, l’attività medica si autolegittima e non configura, sempre che correttamente eseguita, nessun reato contro la vita e l’incolumità individuale, assegnando al consenso il ruolo di tutela della libertà di autodeterminazione del soggetto212. Concludendo, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che l’intervento medico correttamente eseguito imposto al paziente, può essere penalmente rilevante solo come violazione dell’art. 610 c.p., cioè violenza privata. Il reato si configura solo quando c’è il dissenso del paziente, cioè il rifiuto manifestato al medico e non se manca il consenso non richiesto. Nel caso in cui, l’intervento non sia eseguito correttamente, secondo le leggi dell’arte o criteri di diligenza e prudenza, si configura il reato di lesioni colpose o in caso di morte di omicidio colposo. Solo se l’atto medico non è posto in essere con finalità terapeutica costituisce un reato contro la vita e la incolumità individuale cioè lesione personale e in caso di morte omicidio preterintenzionale 213. Allo stesso modo l’atto medico, senza consenso, correttamente eseguito non ha rilevanza penale, anche se l’esito è infausto, perché il consenso è condizione di legittimità e non di liceità penale dell’attività medica. Sarebbe contraddittorio ravvisare il delitto di lesioni personali per l’assenza del consenso del paziente che ne beneficia 214. La violazione Torino, 2.10.2006, Dir. e Giur.12, 2006,25, con nota di Marra “Medici, manca il consenso informato e l’intervento fallisce: lesione dolosa”. De Simone Palatucci, M., op. cit. pp. 149-150 212 Nel caso in cui sopravvenga la morte del malato, l’intervento chirurgico eseguito senza il consenso del paziente, ed in assenza di ragioni di urgenza, integra a carico del medico, se ne ricorrono le condizioni, il delitto di omicidio colposo e non quello di omicidio preterintenzionale, e ciò perché nella condotta del sanitario mancano gli estremi degli atti diretti a commettere il delitto di lesioni personali volontarie a danno del paziente. Nella stessa decisione la Corte ha affrontato la problematica del consenso informato circoscrivendone la portata e disconoscendogli il ruolo di condizione di liceità dell’attività medico-chirurgica, che, invece si autolegittima, ed escludendo che la sua carenza possa avere valenza di “atto lesivo” ai sensi dell’art. 582 c.p. La condotta medica assume rilevanza penale nel caso di una manifestazione esplicita contraria all’intervento cioè nel caso di espresso dissenso. In presenza di disapprovazione del paziente e fuori dai casi in cui ricorra lo stato di necessità, l’attività medica diventa una indebita violazione dell’autodeterminazione del paziente e dell’integrità fisica perdendo il carattere terapeutico. Cass. Sez. IV, 9 marzo 2001, n. 585, Barese, Cass. Pen. 2002, 517 con nota di Iadecola. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp. 153-154 213 Cass. Pen. Sez. IV, 30/9/2008, n. 37077 214 Nella specie la decisione della Corte riguarda il caso di un paziente sottoposto ad un intervento per un’ernia ombelicale, ma all’atto dell’esplorazione addominale, viene riscontrato un tumore maligno ed il chirurgo effettua un intervento demolitivo cui segue il decesso per complicanze di varia natura. In nessun caso, afferma la Corte eseguendo un trattamento, in assenza del consenso del paziente, ma conforme alle leges artis anche se l’intervento ha avuto esito infausto, potrebbe discendere una 66 dell’obbligo di informazione del medico configura solo un illecito civile nel caso in cui dall’intervento derivano danni, a prescindere se sia stato o meno correttamente eseguito215. Si discute, sul piano risarcitorio, se tale violazione costituisca autonoma fonte di responsabilità216 o è necessario la sussistenza di un rapporto di causalità tra l’intervento e le condizioni del paziente, sempre in connessione con la violazione degli obblighi informativi217. Dalla violazione del diritto all’autodeterminazione scaturisce l’obbligo di risarcire il danno biologico anche se nessun rimprovero possa responsabilità del medico per lesioni personali o, in caso di decesso, per omicidio preterintenzionale. Cass. sez. IV, 29.5.2002 n. 26446 Volterrani. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp. 156-157 215 Ferma restando la sicura illiceità anche penale, della condotta del medico che abbia operato in corpore vili “contro” la volontà del paziente […], l’eventuale mancato consenso del paziente al diverso tipo di intervento praticato dal chirurgo, rispetto a quello originariamente assentito, potrà rilevare su altri piani, ma non su quello penale. Cass. Pen. Sez. Un. 18/12/2008. 21/01/2009 n. 2437. [..] Tant’è che per converso, sul piano del danno conseguenza, venendo in considerazione il mero peggioramento della salute e dell’integrità fisica del paziente, rimane del tutto indifferente che la sua verificazione sia dovuta ad un’esecuzione del trattamento corretta o scorretta. Cass. civ. sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444 in Guida al diritto, n. 24/2006, 59 216 La violazione dell’obbligo di informazione costituisce autonoma fonte di responsabilità in tutti i casi in cui dall’intervento scaturiscano effetti lesivi, indipendentemente dal fatto che l’intervento sia stato eseguito correttamente e diligentemente. In altri termini, il diritto ad essere informati è risarcibile in sé, perché incide sul diritto del paziente di autodeterminazione, nelle proprie scelte. Trib. Roma, 30 giugno 2003, Giur. Romana 2004, 12. In senso conforme Cass. civ. sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444 in Guida al diritto, n. 24/2006, 59, cit.; Trib. Genova 18 gennaio 2006, Foro it. 2006, I, 100. Secondo Tribunale Terni, 26 giugno 2002, Rass. Giur. Umbra 2002, 536, solo in presenza di conseguenze del tutto anomale ed imprevedibili, rispetto all’intervento eseguito avrebbe potuto parlarsi di irrilevanza della prestazione o meno del consenso; in tutti gli altri casi grava sul debitore l’onere di fornire la prova dell’adempimento dell’obbligo di informazione del medico. 217 Perché l’inadempimento dell’obbligo di informazione dia luogo a risarcimento, occorre che sussista un rapporto di causalità tra l’intervento chirurgico e l’aggravamento delle condizioni del paziente o l’insorgenza di nuove patologie. Cass. Civ. Sez. III, 3 luglio 2004, n. 14638. In senso conforme. Sebbene la violazione dell’obbligo di informazione da parte del medico incida in via diretta sul diritto di rango costituzionale del paziente all’autodeterminazione in ordine alle scelte terapeutiche che attengano alla propria salute, tuttavia a tale lesione non consegue ipso iure un danno risarcibile, essendo necessaria l’allegazione e la prova dell’entità dello stesso che deve essere apprezzabile per poter dar luogo a risarcimento. Trib. Milano, 24 marzo 2005. Quindi, nelle ipotesi di esito infausto, ancorchè l’intervento sia eseguito nel pieno rispetto delle leges artis, occorre domandarsi se la condotta omessa avrebbe evitato l’evento ove fosse stata tenuta: se, cioè, l’adempimento da parte del medico dei suoi doveri informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico dal quale, senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato. E poiché l’intervento chirurgico non sarebbe stato eseguito solo se il paziente lo avesse rifiutato, per ravvisare la sussistenza di nesso causale tra lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente (realizzatosi mediante l’omessa informazione da parte del medico) e lesione della salute per le, pure incolpevoli, conseguenze negative dell’intervento (tuttavia non anomale in relazione allo sviluppo del processo causale: Cass. Civ. n. 14638/2004 cit.), deve potersi affermare che il paziente avrebbe rifiutato l’intervento ove fosse stato compiutamente informato, giacchè altrimenti la condotta positiva omessa dal medico (informazione, ai fini dell’acquisizione di un consapevole consenso) non avrebbe comunque evitato l’evento (lesione alla salute). Cass. civ. sez. III, 9/2/2010, n. 2847 con nota di Di Majo A., La responsabilità da violazione del consenso informato, Corriere giuridico (II), 2010, n. 9, IPSOA, p. 1204; Cacace S., I danni da (mancato) consenso informato, Nuova giurisprudenza civile commentata (La), 2010, n. 7/8, CEDAM, parte I, p. 790; Chiarini G., Il medico (ir)responsabile e il paziente (dis)informato. Note in tema di danno risarcibile per intervento terapeutico eseguito in difetto di consenso, Giurisprudenza italiana, 2011, n.4, UTET, p. 818. 67 essere mosso al medico per aver seguito correttamente l’intervento, quando dallo stesso consegue una lesione della salute, sempre che il paziente dimostri che ove fosse stato informato, non avrebbe acconsentito all’intervento.218Non può trascurarsi che ricorrente giurisprudenza di merito, discostandosi da tale orientamento, ritiene configurabile il delitto di violenza privata anche nell’atto medico correttamente eseguito ma in assenza di consenso del paziente a cui non è stato richiesto 219. Così come si continuano ad incontrare casi in cui, seguendo i criteri del caso Massimo, contestano al medico che esegue un trattamento senza consenso ovvero ne esegua uno diverso da quello consentito, indipendentemente dall’esito fausto o meno, il delitto di lesioni personali. Questo quadro giurisprudenziale, non è affatto tranquillizzante e postula un intervento del legislatore che dovrebbe provvedere a qualificare la natura giuridica del consenso del paziente al trattamento medico 220. 218 Con riferimento al danno morale, la giurisprudenza di legittimità sembra riservare uno spazio risarcitorio anche in caso di sola violazione del diritto all’autodeterminazione, pur senza correlativa lesione del diritto alla salute ricollegabile a quella violazione per essere stato l’intervento terapeutico necessario e correttamente eseguito, a patto che esso varchi la soglia della gravità dell’offesa secondo i canoni delineati dalle sentenze delle Sezioni unite nn. da 26972 a 26974 del 2008, con le quali si è stabilito che il diritto deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza, secondo il parametro costituto dalla coscienza sociale in un determinato momento storico. Cass. civ. sez. III, 9/2/2010 n. 2847 con nota di Di Majo A., La responsabilità da violazione del consenso informato, op. cit. 219 Cass. Pen. Sez. Un. 18/12/2008-21/1/2009 n. 243 220 Il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no il consenso informato del paziente, con la precisazione che non è di regola possibile fondare la colpa sulla mancanza di consenso, perchè l'obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza, essendo l'acquisizione del consenso preordinata a evitare non già fatti dannosi prevedibili (ed evitabili), bensì a tutelare il diritto alla salute e, soprattutto, il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica in attuazione dell’art. 32 della Costituzione. E ciò salvo che la mancata sollecitazione di un consenso informato abbia finito con il determinare, mediatamente, l'impossibilità per il medico di conoscere le reali condizioni del paziente e di acquisire un'anamnesi completa; in questo caso, il mancato consenso rileva come elemento della colpa non direttamente, ma come riflesso del superficiale approccio del medico all'acquisizione delle informazioni necessarie per il corretto approccio terapeutico. Cass. Pen. 13/2/2013Avv. Ennio Grassini www.dirittosanitario.net. Pubblicata su www preventionandresearch.com/fatti-e-senten.html 68 PARTE II La medicina difensiva 8. Ricerca empirica sulla medicina difensiva.....................................Pag.70 8.1 Premessa................................................................................... >> 70 8.2 Il campione anagrafico............................................................. >> 73 8.3 I comportamenti adottati dai medici......................................... >> 75 8.4 I fattori che hanno influenzato i comportamenti difensivi......... >> 79 8.5 Conclusioni................................................................................ >> 80 9. La ricerca presso il Tribunale di Roma............................................ >> 81 9.1 Premessa.................................................................................. >>81 9.2 I principali risultati................................................................... >> 82 9.3 Considerazioni conclusive........................................................ >> 84 69 8. Ricerca empirica sulla medicina difensiva 8.1 Premessa Per medicina difensiva si intendono una serie di comportamenti posti in essere dalla classe medica che hanno come fine ultimo quello di porsi al riparo da eventuali contenziosi giudiziari a cui possono essere chiamati ex post a causa del loro operato. La teoria tradizionale ravvisa la medicina difensiva nei comportamenti della prassi medica volti ad adottare o evitare determinate misure e decisioni diagnostiche e terapeutiche, per allontanare il rischio di responsabilità per risarcimento danni e non per tutelare la salute del paziente.221 Quando il medico pone in essere una attività di natura commissiva avremo manifestazioni di medicina difensiva attiva o positiva consistenti nella prescrizione di test, accertamenti diagnostici, prestazioni e atti burocratici o di cura non necessari. Parliamo, invece, di medicina difensiva passiva o negativa quando il medico si astiene da atti, pratiche e interventi su pazienti dai quali, direttamente o indirettamente, possa derivare il rischio di ricadute giudiziarie.222 Le cause del fenomeno sono di diversa natura; in primis è dovuto a ragioni di natura socio-culturale che hanno cambiato il rapporto medico paziente facendo venir meno l’insindacabilità dell’atto medico. Si è passati da un rapporto di tipo paternalistico con il paziente, in posizione di inferiorità culturale rispetto al medico, ad un rapporto di codecisione delle cure riducendo il divario di conoscenze223. Altra causa si ravvisa nel progresso scientifico: l’aumento del livello numerico degli interventi medici, il perfezionamento di tecniche e trattamenti precedentemente scoperti riducono i rischi ma aprono le porte a nuovi scenari e 221 La Medicina difensiva è identificabile in una serie di decisioni attive od omissive, consapevoli ma non di rado inconsapevoli o non specificamente meditate, che non obbediscono al criterio essenziale del bene del malato nel rispetto di un equilibrato rapporto costo/beneficio, bensì all’intento di evitare accuse per non avere effettuato tutte le indagini o tutte le cure conosciute o al contrario per avere effettuato trattamenti gravati da alto rischio di insuccesso o di complicanze. Fiori, A.: La Medicina Legale difensiva. Riv. It. Med. Leg. 18, 899, 1996 222 La medicina difensiva si verifica quando i medici prescrivono test, procedure diagnostiche o visite, oppure evitano pazienti o trattamenti ad alto rischio, principalmente (ma non esclusivamente) per ridurre la loro esposizione ad un giudizio di responsabilità per malpractice. Quando i medici prescrivono extra test o procedure, essi praticano medicina difensiva positiva; quando evitano certi pazienti o trattamenti praticano una medicina difensiva negativa. OTA (Office of Technology Assessment, U.S. Congress, 1994 223 Ricci, S. Miglino, A.: Atto medico e consenso informato. Società Editrice Universo, Roma, 2009 70 scoperte in cui il progresso deve ancora formarsi. Il fenomeno si aggrava anche perché sono sempre di più i pazienti che avanzano richieste di risarcimento danni verso i medici e le strutture sanitarie, raggiungendo dimensioni da costringere molte compagnie di assicurazioni a rifiutare di sottoscrivere polizze adeguate agli iscritti medici. Secondo il rapporto Ania nel 2009 sono stati denunciati 34.035 casi di malpractice, 27.689 euro è stato il rimborso medio per ogni causa vinta nel 2010, 500 milioni di euro sono stati i premi pagati nel 2010 (58% da strutture 42% dai medici), 800 milioni di euro sono stati i rimborsi a carico delle assicurazioni nel 2010. Le denunce nel 2010 sono state 33.682. Quindi +10,5% tasso annuo di crescita dei premi per i professionisti, +6,2% tasso annuo di crescita dei premi per le strutture sanitarie. Fonte: Rapporto ANIA - L’assicurazione italiana 2011-12. La conseguenza che deriva da questi dati è la rottura del rapporto tra le assicurazioni e le strutture sanitarie, molte assicurazioni potrebbero essere indotte a lasciare il mercato a causa delle perdite crescenti. Sempre l’Ania mette in evidenza che i rimborsi superano del 50% i premi incassati dalle compagnie (l’intero settore per ogni 100 euro di premi incassati ne spende 152 nei risarcimenti dei danni). Altra conseguenza della medicina difensiva, è quella dell’aumento dei costi dell’offerta sanitaria. Da un’indagine dell’Ordine dei medici di Roma, si stima che la spesa annua per la sola medicina difensiva ammonta all’11,8 % della spesa complessiva, dovuta all’aumento della prescrizione di farmaci, visite, esami e ricoveri. Anche il modo in cui il sistema legislativo reagisce all’errore medico non facilita le cose. L’ordinamento è di natura accusatoria, tende a cercare il colpevole dell’errore non preoccupandosi di predisporre un sistema di prevenzione adeguato per prevenire la natura tecnologica degli errori medici. Il sistema, incentrato sulla responsabilità personale, non tiene conto dei fattori organizzativi e strutturali che potrebbero aver avuto un ruolo decisivo nel predisporre le condizioni che hanno favorito l’errore. Recenti studi hanno evidenziato che molti errori in ambito sanitario sono da ascrivere al deficit organizzativo-gestionale della struttura che dovrebbe approntare adeguate contromisure attraverso un idonea riorganizzazione interna. Nella prima fase della ricerca abbiamo analizzato le principali motivazioni che inducono i medici a modificare la propria condotta con atteggiamenti di medicina difensiva e in che misura viene attuato. Il questionario, composto da 17 domande tratte dai 71 comportamenti più citati in letteratura, è stato somministrato di persona a 100 medici appartenenti alle specializzazioni di medicina del lavoro, neurofisiopatologia, ginecologia, radiologia, urologia, chirurgia, neurologia, nefrologia, ortopedia. La distinzione è operata per età, professione, ruolo, reparto di appartenenza, anzianità di servizio, tipo di struttura; tipi e motivazione dei comportamenti adottati. Le interviste sono state condotte nel mese di ottobre 2012, hanno risposto tutti i medici generando un tasso di risposta pari al 100%. 72 8.2 Il campione anagrafico Il campione anagrafico analizzato è giovane, la maggior parte dei medici sono donne (53%) medici strutturati (56,6%) con un’età che va dai 32 ai 42 anni (71,7%) e tra 43 a 52 anni (20,8%); gli uomini (47%) hanno un’età che va dai 32 ai 42 anni (57,7%) e tra i 53 ai 62 anni (19,2%) e sono medici strutturati (64%). Entrambi lavorano in una struttura pubblica (l’83% delle donne e l’85% dei maschi). L’anzianità di servizio sia degli uomini che delle donne è bassa da 1 a 5 anni (36,2 % maschi e 37,7% donne) da 6 a 10 anni (21,3% maschi e 13,2% donne), da 21 a 30 anni (17% maschi e 15% donne). Gli uomini sono dirigenti medici (il 53,2%), medici specialisti (42,6%), direttori di presidio (4,2%), le donne sono dirigenti medici (47,1%), specialisti (51%), direttori di presidio (1,9%) 0% 0% 47 53 maschi femmine Grafico 1. Campione anagrafico distinto per sesso 71,7 57,7 17 19,2 20,8 7,5 32-42 43-52 maschi 53-62 femmine Grafico 2. Campione anagrafico distinto per sesso e per fasce di età 73 6,1 0 63-72 36,2 37,7 20,8 21,3 17 13,2 11,3 15 15 7,5 2,2 2 fino a 1 anno da 1 a 5 anni da 6 a 10 anni da 11 a 20 anni maschi da 21 a 30 anni più di 30 anni femmine Grafico 3. Campione anagrafico distinto per sesso e per anzianità professionale 80 60 64 56,6 43,4 40 36 20 0 maschi medico strutturatto femmine medico specializzando Grafico 4. Campione anagrafico distinto per sesso e per qualifica professionale 60 50 40 30 20 10 0 53,2 47,1 42,6 maschi dirigente medico altro 51 1,9 4,2 femmine direttore presidio/dipartimento/struttura Grafico 5. Campione anagrafico distinto per sesso e per ruolo ricoperto 74 100 80 85 83 60 17 15 40 20 0 maschi pubblica femmine privata accreditata Grafico 6. Campione anagrafico distinto per sesso e per tipo di struttura 8.3 I comportamenti adottati dai medici I medici intervistati dichiarano di aver adottato comportamenti di medicina difensiva almeno una volta negli ultimi tre anni di lavoro (16,5%). Dalla nostra inchiesta emerge l’attenuazione della medicina difensiva nei campi specialistici osservati: il 76% dei medici dichiara che negli ultimi 3 anni di lavoro non hanno mai adottato comportamenti difensivi. 76 16,5 5 mai da 1 a 3 volte da 4 a 6 volte 1,4 da 7 a 9 volte 1,1 più di 10 volte Grafico 7. Comportamenti difensivi dei medici negli ultimi tre anni di lavoro 75 Nel dettaglio vediamo che questi comportamenti sono tenuti da medici molto giovani con età dai 32 ai 42 anni (18,6%) e da medici ricompresi nella fascia di età elevata che va dai 63 – 72 anni (18,2%), nella fascia di età intermedia tendono a diminuire. 100 81,2 73,8 80,4 75,8 80 60 40 20 18,6 4,8 12 4,8 1,3 1,5 1 1 10 6,2 3,4 0 18,2 6 0 0 0 mai 30-42 da 1 a 3 volte 43-52 da 4 a 6 volte 53-62 da 7 a 9 volte 63-72 più di 10 volte Grafico 8. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per età Tali comportamenti, sono posti in essere più dai maschi (18,3%) che dalle donne (14,7%) 80 77 74 60 40 18,3 5 20 1 14,7 4,6 1,5 2,2 1,2 0 maschi mai da 1 a 3 volte femmine da 4 a 6 volte Grafico 9. Comportamenti difensivi per sesso 76 da 7 a 9 volte più di 10 volte Sia i maschi che le donne che pongono in essere atteggiamenti difensivi hanno un’anzianità professionale molto bassa, da 1 a 5 anni (21,6%). 100 83 72,2 82 82,4 74,7 72,2 80 60 40 20 14,3 11,3 1,30 21,6 3,4 1,6 1,2 16 7,5 1,62,7 14,5 63 10,2 4 3,4 1,8 0 11 7 00 0 mai fino a 1 da 1 a 5 da 6 a 10 da 11 a 20 da 21 a 30 più di 30 anno da 1 a 3 volte da 4 a 6 volte da 7 a 9 volte più di 10 volte Grafico 10. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per anzianità professionale E il fenomeno difensivo si riscontra di più nelle strutture private accreditate (31,2%) rispetto a quelle pubbliche (15%). 78,1 57,3 80 60 40 20 31,2 15 7 4,2 1,6 1,1 1,7 2,8 0 mai pubblica da 1 a 3 volte da 4 a 6 volte privata accreditata da 7 a 9 volte più di 10 volte Grafico11. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per tipo di struttura I comportamenti difensivi più diffusi, consistono nella prescrizione di esami diagnostici non necessari (27%), nel disporre consulenze specialistiche non necessarie (22%), inserire in cartella clinica annotazioni ulteriori per evitare 77 conseguenze legali (22%), richiedere esami diagnostici complessi o invasivi pur non condividendone l'utilità su pressione del paziente e/o famiglia (21%) Negli ultimi tre anni, quali tipi di comportamento tra quelli indicati di seguito ha assunto? Tabella 1. Comportamenti di medicina difensiva più diffusi tra i medici 78 8.4 I fattori che influenzano i comportamenti difensivi I fattori principali che inducono i medici ad adottare comportamenti difensivi durante l’esercizio della loro professione, consistono nel timore di un contenzioso penale in caso di complicanze/eventi negativi (51,6%) e richiesta di risarcimento danni da parte del paziente (36,6%). Influiscono anche le esperienze di contenziosi da parte di altri colleghi (43,3%). I medici intervistati non sembrano preoccupati di una pubblicità negativa o perdita di immagine a seguito di una denuncia di malpractice: si dichiarano per nulla (il 43%) o poco (il 36,6%) preoccupati. Quali fattori hanno influito sui comportamenti sopra indicati? Tabella 2. Fattori che maggiormente conducono ad assumere atteggiamenti di medicina difensiva Dichiarano i medici intervistati che l’origine dei comportamenti difensivi della classe medica siano da rinvenire nella organizzazione poco soddisfacente del sistema sanitario (82%), lamentano i medici che molto spesso gli errori sono favoriti da deficit strutturali; dalla trasformazione del rapporto medico-paziente (76%) si riscontra sempre di più la perdita di fiducia del paziente nelle capacità del medico mettendo in moto la macchina giudiziaria con estrema facilità se il risultato ottenuto 79 non lo appaga completamente, quasi a pretendere l’onnipotenza della medicina (54%). Ritiene che ci siano ragioni di “sistema” che spingono i medici ad assumere atteggiamenti di “difesa” verso il paziente? Tabella 3. Fattori che inducono i medici ad assumere atteggiamenti difensivi verso il paziente 8.5 Conclusioni Riassumendo le principali conclusioni che possiamo trarre dalla nostra ricerca sono: 1) Diminuzione dei comportamenti di Medicina difensiva: il 76% dei medici intervistati dichiara di non aver adottato mai un comportamento di medicina difensiva negli ultimi 3 anni di lavoro. Solo il 16,5% dei medici afferma di aver tenuto almeno una condotta difensiva negli ultimi 3 anni. Tra questi il 27% ha prescritto esami diagnostici non necessari, disposto consulenze specialistiche non necessarie il 22%, inserito in cartella clinica annotazioni ulteriori al solo fine di evitare conseguenze legali il 22%, richiesto esami diagnostici complessi o invasivi pur non condividendone l'utilità su pressione del paziente e/o famiglia il 21%. 2) Diffusione della Medicina Difensiva tra i medici molto giovani con età dai 32 ai 42 anni (18,6%) e tra i medici ricompresi nella fascia di età elevata che 80 va dai 63 – 72 anni (18,2%), quindi nella fascia di età intermedia i comportamenti difensivi tendono a diminuire. 3) Preoccupazione di conseguenze legali e influenza di esperienze di contenziosi da parte di altri colleghi. Il timore di un contenzioso penale (51%), di una richiesta di risarcimento danni (36,6%), l’influenza di esperienze di contenziosi da parte di altri colleghi (43,3%). 4) Poco o nulla timore di pubblicità negativa. Si dichiara per nulla preoccupato (il 43,3%) o poco (36,6%) degli intervistati. Maggiore preoccupazione risulta essere il timore di sanzioni disciplinari (30%). 9. La ricerca presso il Tribunale di Roma 9.1 Premessa Per definire le dimensioni del fenomeno preoccupante della medicina difensiva, abbiamo analizzato lo stato del contenzioso giudiziario in materia di malpractice medica esistente presso il Tribunale di Roma. I contenuti di questa seconda fase della ricerca vengono presentati qui di seguito, l’obiettivo è stato quello di misurare il contenzioso esistente presso il Tribunale di Roma, nel periodo ricompreso tra il 2000 fino al 20012. La ricerca è stata articolata in tre parti ed ha interessato i seguenti reati: art. 50 c.p. (consenso dell’avente diritto), art. 54 c.p. (stato di necessità), art. 326 c.p. (rivelazione e utilizzazione del segreto d’ufficio), art. 584 c.p. (omicidio preterintenzionale), art. 589 c.p. (omicidio colposo), art. 590 c.p. (lesioni personali colpose), art. 622 c.p. (rivelazione del segreto professionale). Nella prima parte è stata costruita una tabella che fa riferimento ai dibattimenti instaurati a partire dall’anno 2000 fino al 2012 suddivisi per capi di imputazione e distinguendo all’interno di essi tra procedimenti sopravvenuti e sentenze depositate. Nella seconda parte è stata costruita una tabella che analizza lo stato del contenzioso in materia di malpractice esistente presso la cancelleria del Gip Noti del Tribunale di Roma nel periodo che va dal 2000 al 2012 suddivisi per capi di imputazione distinguendo al suo interno i procedimenti sopravvenuti e le sentenze emesse. 81 Nella terza parte è stata costruita una tabella che si riferisce al contenzioso negli ultimi tre anni (2009-2012) e misura per ogni reato il numero delle sentenze irrevocabili. 9.2 I principali risultati Come possiamo vedere dal Grafico 12, il numero di processi instaurati per responsabilità professionale medica è molto alto e la durata dei processi è estremamente lunga. Nello specifico: i procedimenti sopravvenuti nel periodo che va dal 2000 al 2012 per omicidio preterintenzionale sono stati 13 di cui 12 si sono conclusi con sentenza definitiva, per omicidio colposo sono stati 1.964 di cui 1.596 si sono conclusi, per lesioni personali colpose i dibattimenti instaurati sono stati ben 4.820 di cui 3.969 si sono conclusi con sentenza definitiva. I processi instaurati e conclusi per consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p. sono stati 2, per stato di necessità sono stati 6 di cui solo 4 si sono conclusi con sentenza definitiva, per rivelazione e utilizzazione del segreto di ufficio ex art. 326 c.p. sono stati instaurati 89 dibattimenti di cui 58 si sono conclusi con sentenza definitiva, per rivelazione del segreto professionale sono stati instaurati 8 giudizi e conclusi 7 con sentenza definitiva. 6902 5648 4820 1964 2 2 6 4 89 58 13 12 3969 1596 8 7 art. 50 art. 54 art. 326 art. 584 art. 589 art. 590 art. 622 totale totale procedimenti sopravvenuti totale sentenze depositate Grafico 12. Dibattimento – Procedimenti sopravvenuti e sentenze emesse nel periodo 2000 – 2012. Fonte Tribunale di Roma 82 Nel grafico 13, si sono considerati i procedimenti per responsabilità medica sopravvenuti presso la cancelleria del Gip Noti del Tribunale di Roma nel periodo che va dal 2000 al 2012, i dibattimenti instaurati per omicidio preterintenzionale sono stati 102 di cui 25 si sono conclusi con sentenza definitiva; per omicidio colposo sono stati 4.957 di cui 1.325 si sono conclusi con sentenza definitiva; per lesioni personali colpose sono stati 6.667 di cui 322 sono arrivati a sentenza. Invece, i processi instaurati e conclusi per consenso dell’avente diritto ex art.50 c.p. sono stati 2, per stato di necessità ex art. 54 c.p. sono pendenti 3 procedimenti, per rivelazione e utilizzazione del segreto di ufficio ex art. 326 c.p. sono stati instaurati 359 processi di cui 71 si sono conclusi, per rivelazione del segreto professionale ex art. 622 c.p. i dibattimenti instaurati sono stati 34 di cui solo 1 si è concluso con sentenza definitiva. 12124 6667 4957 2 2 3 0 359 71 1325 102 25 1756 332 34 1 art. 50 art. 54 art. 326 art. 584 art. 589 art. 590 art. 622 totale totale procedimenti sopravvenuti totale sentenze depositate Grafico 13. GIP Noti – Procedimenti sopravvenuti e sentenze emesse nel periodo 2000 – 2012. Fonte Tribunale di Roma Nel grafico 14, si sono considerati solo gli ultimi tre anni che vanno dal 2009 al 2012 e possiamo notare che i procedimenti conclusi con sentenza definitiva per omicidio preterintenzionale sono stati solo 3, per omicidio colposo 390, per lesioni personali colpose 590. Invece i processi instaurati per consenso dell’avente diritto sono ancora pendenti solo per 1 si è arrivato a sentenza, risultano essere ancora pendenti tutti i procedimenti instaurati per stato di necessità, per rivelazione e utilizzazione del segreto di ufficio 137 sono i procedimenti conclusi infine, per rivelazione del segreto professionale tutti i processi sono ancora in corso. 83 355 203 192 134 125 114 00 1 0 art. 50 39 46 17 3 0 00 00 0 0 art. 54 165 30 17 000 0 art. 326 art. 584 art. 589 art. 590 art. 622 2009 2010 2011 2012 Grafico 14. Dibattimento – Procedimenti con sentenza irrevocabile. Periodo 2009 – 2012. Fonte Tribunale di Roma 9.3 Considerazioni conclusive Questa ricerca ha evidenziato il numero crescente dei procedimenti penali contro i medici per fenomeni di malpractice. Dal 2000 al 2012 il 69,8% dei medici è stato processato per lesioni personali colpose e il 28,4% per omicidio colposo. 0,029 0,087 1,289 0,188 0,116 art. 50 c.p. consenso dell'avente diritto art. 54 c.p. stato di necessità 28,4 art. 326 c.p. rivelazione e utilizzo segreto d'uffico 69,8 art. 584 c.p. omicidio preterintenzionale art. 622 c.p. rivelazione del segreto professionale art 589 c.p. omicidio colposo art. 590 c.p. lesioni personali colpose Grafico 15. Dibattimenti – Procedimenti sopravvenuti anni 2000-2012. Fonte Tribunale di Roma 84 Il solo Gip Noti del Tribunale di Roma, dal 2000 al 2012, ha instaurato contro il 54,99% dei medici procedimenti per lesioni personali colpose, e contro il 40,88% dei medici, procedimenti per omicidio colposo. 0,025 0,016 0,841 2,961 0,28 40,88 54,99 art. 50 c.p. consenso dell'avente diritto art. 54 c.p. stato di necessità art. 326 c.p. rivelazione e utilizzo segreto d'uffico art. 584 c.p. omicidio preterintenzionale art. 622 c.p. rivelazione del segreto professionale art 589 c.p. omicidio colposo art. 590 c.p. lesioni personali colpose Grafico 16. Dibattimenti- Procedimenti sopravvenuti presso Gip Noti anni 2000-2012. Fonte Tribunale di Roma Negli ultimi 3 anni (dal 2009 al 2012) sono state pronunciate dal Tribunale di Roma in materia di malpractice 590 sentenze per lesioni personali colpose, 39 sentenze per omicidio colposo, 3 sentenze per omicidio preterintenzionale. art. 50 c.p. consenso dell'avente diritto 590 art. 54 c.p. stato di necessità art. 326 c.p. rivelazione e utilizzo segreto d'uffico art. 584 c.p. omicidio preterintenzionale art. 622 c.p. rivelazione del segreto professionale 137 1 0 3 art. 589 c.p. omicidio colposo 39 art. 590 c.p. lesioni personali colpose 0 Grafico 17. Totale sentenze definitive Tribunale di Roma anni 2009- 2012. Fonte Tribunale di Roma 85 Le connesse richieste di risarcimento dei pazienti aumentano i costi della Sanità pubblica e privata, senza che a ciò corrisponda un aumento di qualità e di sicurezza del Servizio Sanitario nazionale. Si è orientati più alla ricerca del colpevole che non a ricercare le criticità che hanno favorito l’errore medico. Il nostro sistema trascura l’organizzazione, la dotazione e la funzionalità degli strumenti, analizzare il contesto è essenziale perché permette di capire cosa non ha funzionato, permette di approntare un sistema adeguato di prevenzione evitando in tal modo che in futuro possano ripetersi gli stessi errori. La sanzione penale sembra non essere un valida soluzione per impedire gli errori in medicina che sono di natura tecnica e favorisce soltanto il diffondersi di comportamenti difensivi. Il continuo aumento delle denunce ha segnalato anche il rifiuto da parte di alcune compagnie assicurative di proporre offerte adeguate ai medici le quali sono portate a ridurre sempre più l’ampiezza della copertura in caso di un’azione legale. Il business è in perdita, le compagnie assicurative si sono trovate a rimborsare, nei risarcimenti danni derivanti da malpractice, il 50% in più dei premi incassati. 224 La legge n.189/2012225 per 224 Dal 13 agosto 2013, l’assicurazione professionale diventerà un obbligo per i medici. Secondo i dati forniti dall’ANIA, l’associazione che riunisce le imprese assicuratrici, il numero degli episodi denunciati nel 2010 si è attestato poco lontano dai massimi storici registrati l’anno precedente. E nonostante anche i premi siano in costante crescita (oltre il 10% in più ogni anno per i professionisti), alcune associazioni di medici hanno segnalato il rifiuto da parte di alcune compagnie di proporre un’offerta ai propri iscritti. Il motivo è che il settore assicurativo per ogni 100 euro di premi incassati ne spende 152 nei risarcimenti dei danni. Prevedibile quindi, che nei prossimi anni si assisterà non solo a continui ritocchi dei costi per gli assicurati, ma anche a modifiche contrattuali che riducono l’ampiezza della copertura assicurativa in caso di un’azione legale. Il regime attualmente più comune nel campo delle assicurazioni sanitarie è il CLAIMS MADE, la copertura riguarda le richieste di risarcimento che si presentano durante il periodo di “validità contrattuale”, indipendentemente dal fatto che l’assicurato fosse o meno coperto nel momento della prestazione professionale a cui si riferisce la denuncia. Nel contratto può essere richiesta la clausola della garanzia pregressa cioè che limita la copertura solo a prestazioni professionali fornite in un lasso di tempo definito (da 1 a 5 anni) prima della stipula del contratto, ovvero può essere inserita la garanzia postuma cioè che amplia la copertura a richieste di risarcimento presentate in un lasso di tempo definito dopo la scadenza del contratto, ma solo se riferite a prestazioni avvenuti durante il periodo di validità contrattuale. Le leve indicate dall’ANIA sono le franchigie (la quota fissa di rimborso del danno che rimane a carico dell’assicurato) e gli scoperti assicurativi (a carico dell’assicurato verrà assegnata una percentuale del risarcimento complessivo e non una quota fissa. In tal modo l’assicurato non sa in anticipo a quanto ammonta la sua quota), ma gli osservatori ipotizzano anche un possibile intervento legislativo per regolare il settore: sia fissando criteri per determinare i risarcimenti, sia riducendo l’incertezza nel procedimento legale, denunciata dalle compagnie come prima causa di una vera e propria fuga dalle assicurazioni professionali in campo sanitario. Nel 2009 sono stati denunciati 34.035 casi di malpractice, 27.689 euro è stato il rimborso medio per ogni causa vinta nel 2010, 500 milioni di euro sono stati i premi pagati nel 2010 (58% da strutture 42% dai medici), 800 milioni di euro sono stati i rimborsi a carico delle assicurazioni nel 2010. Quindi +10,5% tasso annuo di crescita dei premi per i professionisti, +6,2% tasso annuo di crescita dei premi per le strutture sanitarie. Fonte: Rapporto ANIA-L’assicurazione italiana 2011-12 Rivista Previdenza anno VI- 2012 86 facilitare l’accesso alla copertura assicurativa dei medici prevede i criteri a cui devono conformarsi i contratti in modo da assicurare che gli stessi presentino requisiti minimi di idoneità. Viene inoltre costituito un fondo per garantire idonee coperture assicurative finanziato con i contributi dei professionisti e delle assicurazioni, in misura percentuale sui premi incassati, comunque non superiore al 4%. Secondo noi, l’obbligo di assicurazione per i medici non è una misura efficace per tutelare i pazienti anzi si risolve in un deficit per le finanze statali 226. Di fronte al rifiuto delle assicurazioni una strada percorribile dalle strutture e ospedali potrebbe essere l’autoassicurazione cioè l’accantonamento in bilancio di una cifra per affrontare le spese relative a sinistri227. C’è da dire poi, che sembra contraddittorio 225 Art. 3 co.2 legge di conversione 8 novembre 2012 n. 189. Con decreto del Presidente della Repubblica, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, da emanare entro il 30 giugno 2013 , su proposta del Ministro della salute, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, sentite l'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, nonchè le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie professionali interessate, anche in attuazione dell'articolo 3, comma 5, lettera e), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, al fine di agevolare l'accesso alla copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie, sono disciplinati le procedure e i requisiti minimi e uniformi per l'idoneità dei relativi contratti, in conformità ai seguenti criteri: a) determinare i casi nei quali, sulla base di definite categorie di rischio professionale, prevedere l'obbligo, in capo ad un fondo appositamente costituito, di garantire idonea copertura assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie. Il fondo viene finanziato dal contributo dei professionisti che ne facciano espressa richiesta, in misura definita in sede di contrattazione collettiva, e da un ulteriore contributo a carico delle imprese autorizzate all'esercizio dell'assicurazione per danni derivanti dall'attività medicoprofessionale, determinato in misura percentuale ai premi incassati nel precedente esercizio, comunque non superiore al 4 per cento del premio stesso, con provvedimento adottato dal Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute e il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, nonchè le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie; b) determinare il soggetto gestore del Fondo di cui alla lettera a) e le sue competenze senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica; c) prevedere che i contratti di assicurazione debbano essere stipulati anche in base a condizioni che dispongano alla scadenza la variazione in aumento o in diminuzione del premio in relazione al verificarsi o meno di sinistri e subordinare comunque la disdetta della polizza alla reiterazione di una condotta colposa da parte del sanitario accertata con sentenza definitiva. 226 Un emendamento del D.L 69/2013, cosiddetto decreto del fare, ha introdotto una proroga che ha posticipato al 13 agosto 2014 l’obbligo per gli “esercenti le professioni sanitarie” di dotarsi di un’assicurazione contro la responsabilità civile. Tale differimento dell’obbligo è stato voluto “al fine agevolare l’accesso alla copertura assicurativa anche per i giovani esercenti le professioni sanitarie, incentivandone l’occupazione, nonché di consentire alle imprese assicuratrici e agli esercenti stessi di adeguarsi alla predetta disciplina”. L’Art. 5 del DPR (Obbligo di Assicurazione) recita quanto segue: il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall’esercizio dell’attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza professionale, il relativo massimale e ogni variazione successiva. De Sio S., Rinaldi G., Slitta l’obbligo di assicurazione contro la responsabilità civile dei medici. Fonte www.camera.it Prevention&Research News del 26.09.2013 227 In merito alla responsabilità civile delle strutture sanitarie, il numero dei sinistri nel 2010 ha subito un incremento del 31%; sempre secondo le stime, il totale dei danni provocati da malpractice medica 87 prevedere un obbligo di assicurazione per i medici se poi le assicurazioni non assicurano, dovrebbe allora essere previsto analogo obbligo anche per loro. L’unico modo per far fronte al problema è ridurre il contenzioso legale in sanità, serve una normativa ad hoc che introduca una definizione chiara di colpa grave nonché tabelle univoche del danno biologico. Necessario è anche rendere effettiva e competente la figura del risk manager negli organigrammi degli ospedali, tale specialista è previsto dal Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro che dal 15 maggio 2008 ne ha reso obbligatoria la presenza anche in ospedale, in quanto azienda soggetta a rischio 228. Tale obbligo sinora è stato osservato solo da poche strutture, si auspica che in futuro le strutture possano investire in tale direzione, il risk manager con la predisposizione di piani di monitoraggio e controllo potrebbe portare a una concreta riduzione dei sinistri nelle strutture229. è di circa 260 milioni di euro, e 500 milioni di euro risulta essere l’importo corrisposto dalle Regioni per garantire le proprie strutture per la responsabilità civile degli operatori sanitari; le specialità più colpite dalle denunce dei pazienti sono: ortopedia e traumatologia (15,1%), pronto soccorso (14,7%), chirurgia generale (9,6%), ostetricia e ginecologia (8,8%), medicina generale (4,3%), oculistica (3,5%) ed otorinolaringoiatria (2,9%). La quota maggiore di importi liquidati negli ospedali riguarda errori chirurgici (36%), diagnostici (25%), terapeutici (11%), di prevenzione (7%) e in procedure invasive (5%); gli errori avvengono più spesso durante un intervento chirurgico, meno nella preparazione della diagnosi, durante la riabilitazione di un paziente o la terapia farmacologica; per quanto riguarda l’esito delle denunce, nel 63% dei procedimenti viene riconosciuta la responsabilità del medico, il 37% si conclude senza addebiti. W. Giacardi, La responsabilità civile del medico e della struttura sanitaria www.diritto.it, con riferimento a Fonte dei dati: Editoriale di Paolo Vinci sul Giornale delle Assicurazioni, marzo 2010 cit. ivi 228 La legge Balduzzi all’art. 3-bis prevede la gestione e il monitoraggio dei rischi sanitari. Recita l’articolo: “Al fine di ridurre i costi connessi al complesso dei rischi relativi alla propria attività, le aziende sanitarie, nell'ambito della loro organizzazione e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ne curano l'analisi, studiano e adottano le necessarie soluzioni per la gestione dei rischi medesimi, per la prevenzione del contenzioso e la riduzione degli oneri assicurativi. Il Ministero della salute e le regioni monitorano, a livello nazionale e a livello regionale, i dati relativi al rischio clinico”. 229 Le Pera A., Polizze, obbligo inutile se non diminuiscono gli incidenti. Il Giornale della Previdenza, anno XVIII, n. 8- 2013, p. 41 88 PARTE III Relazione di presentazione del progetto 10. Premessa........................................................................................... >> 90 11. Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale........... >> 91 12. L’importanza della perizia medico- legale nel processo.................. >> 92 13. Proposta di integrazione della disciplina della perizia.................... >> 93 Bozza del disegno di legge..................................................................... >> 95 Modifiche in tema di perizia.................................................................. >> 98 89 10. Premessa L’obiettivo principale di questa ultima parte del lavoro è stato quello di realizzare un ipotesi possibile di riforma della materia riscrivendo le norme codicistiche idonee a garantire un livello sempre più elevato della tutela della salute e cercando di porre un freno alla prassi diffusa nel settore medico della c.d. “medicina difensiva”, unico apparente rimedio, per evitare il pericolo di contenziosi. I ricercatori sostengono che il timore di essere chiamati a rispondere giudizialmente di comportamenti di malpractice influenza fortemente le decisioni cliniche dei sanitari, mettendo in crisi il rapporto medico-paziente, determinando una tutela meno efficace della salute oltre che comportare costi gravosi sul Servizio Sanitario Nazionale. Anche se di recente è intervenuta la legge che ha depenalizzato, a determinate condizioni, la colpa lieve del medico noi riteniamo che le nuove norme non siano formulate giuridicamente in modo corretto e che la riforma della materia debba avvenire in modo diverso attraverso la modifica delle norme contenute nel codice penale e procedura penale. Per tali motivi, abbiamo elaborato quello che secondo noi potrebbe essere un ipotesi di riforma possibile della responsabilità professionale. Siamo partiti con l’analisi dello stato dell’arte della giurisprudenza penale, abbiamo considerato, inoltre, anche i diversi progetti di riforma del codice penale, in tema di reato colposo, elaborati dalle diverse commissioni di studio succedutesi nelle passate Legislature e vari contributi230 discussi in Conferenze e Congressi, si è altresì considerata la legge 8 novembre 2012 n. 189 che all’art. 3 prevede la depenalizzazione, a determinate condizioni, della colpa lieve dell’esercente la professione sanitaria, determinando la parziale abrogazione delle fattispecie colpose. La nostra proposta è quella di considerare la responsabilità penale del medico, in aderenza al principio costituzionale, una extrema ratio, riservando l’intervento giudiziario ai soli casi di “grave” errore medico e prevedendo al contempo, strumenti di tutela extrapenali. 230 Castaldo, A., Confortini, M., Iadecola, G.: La responsabilità professionale nell’attività sanitaria: linee guida per una riforma possibile. 1° Conferenza nazionale della professione medica, Fiuggi 13-14 giugno 2008. La professione medicina, scienza, etica e società 3/2008. Forti, G., Catino, D’Alessando, Centonze, Varraso, Mazzucato, Mancuso, Cattorini, Locatelli, Della Torre, Astorina, Provera, Materni. Progetto di riforma in materia di responsabilità penale nell’ambito dell’attività sanitaria e gestione del contenzioso legato al rischio clinico. Centro studi Federico Stella sulla Giustizia penale e la politica criminale dell’Università Cattolica del S.C. di Milano. 90 11. Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale La nostra bozza di disegno di legge va a incidere direttamente sulle norme del codice penale e precisamente si è introdotto dopo l’art. 590 bis c.p. una nuova fattispecie di reato, l’art. 590 ter, che disciplina la responsabilità per colpa nell’esercizio dell’attività medica. Innanzitutto è stata prevista l’introduzione della “colpa grave”, in tal modo si sono esclusi i casi connotati da “colpa lieve”, non punibili per l’esiguità offensiva della condotta. Per definire cosa si intende per “colpa grave” cui ancorare la responsabilità penale, si fa riferimento solo alla divergenza della condotta tenuta in concreto rispetto a quella che invece prescriveva la regola cautelare violata. Si è ritenuto di non ancorare la valutazione della colpa al solo rispetto delle linee guide accreditate dalla comunità scientifica come invece ritiene l’art. 3 della legge cit. E’ stata poi prevista la perseguibilità a querela della persona offesa del nuovo reato. Armonizzando il settore penale con quello civile 231, è stata prevista l’ipotesi 231 La Corte Costituzionale, con sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, ha dichiarato l’illegittimità, per eccesso di delega legislativa, dell’art. 5, primo comma, del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, istitutivo della mediazione nelle controversie civili e commerciali, laddove si prevede il carattere obbligatorio della stessa. Il D.Lgs. 28/2010 aveva introdotto, nell’ambito di particolari materie, la conciliazione come una condizione di procedibilità dell’azione, con la conseguenza che l’azione non poteva essere iniziata se le parti interessate non si fossero rivolte ad un Organismo di mediazione. A seguito della pronuncia del giudice delle leggi le cose cambiano: la conciliazione torna facoltativa nelle materie per le quali, prima dell’intervento del giudice delle legge, era prevista come obbligatoria, ovvero: a) condominio; b) diritti reali; c) divisione; d) successioni ereditarie; e) patti di famiglia, f) locazione; g) comodato; h) affitto di aziende; i) risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti; l) risarcimento del danno da responsabilità medica; m) diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità; n) contratti assicurativi, bancari e finanziari. Fonte Altamediazione.it, 27.10.2012 Articolo di Simone Marani http://www.altalex.com/index.php?idnot=59662. Il D.lgs. n. 28/2010 è stato, in seguito alla censura della Corte Cost. modificato con il D.l. 21 giugno 2013, n.69, convertito dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98. Viene reintrodotta l’obbligatorietà della mediazione, prevista come condizione di procedibilità, insieme ad altre materie, per l’azione di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria. (Art. 1-bis d.lgs. cit., così come modificato). Dal 21 settembre 2013, sono entrate in vigore le nuove disposizioni in materia di mediazione. Tra le principali novità vanno segnalate oltre alla reintroduzione dell’obbligatorietà sia pur per un periodo di 4 anni e per un catalogo di materie parzialmente differente, la previsione di un incontro preliminare come unica condizione di procedibilità, l'introduzione di un criterio di competenza territoriale per l'esperimento del procedimento, l’assistenza tecnica garantita, l'esecutività dell'accordo raggiunto senza necessità dell'omologazione giudiziale nel caso in cui gli avvocati di parte sottoscrivano il verbale. 91 del tentativo obbligatorio di conciliazione 232 in sede di processo penale. I vantaggi della procedura di conciliazione consistono nella sua maggiore flessibilità in quanto, permette di tener conto delle necessità e volontà delle parti, è più economica e più rapida233. Se la conciliazione non avesse gli esiti sperati, si prosegue nella via giudiziale, certamente più lunga con l’aggiunta del periodo impiegato per la mediazione234. Nel caso in cui la conciliazione ha avuto esito positivo il reato si estingue. Sarà il Giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero ove non ritenga di procedere ad archiviazione, ad espletare il tentativo obbligatorio di conciliazione tra le parti, che può avvalersi degli organismi pubblici o privati iscritti nel Registro istituto con decreto del Ministro della giustizia. L’ente, riferisce senza ritardo all’autorità giudiziaria penale il risultato della procedura conciliativa. La conciliazione ha effetto tra le parti anche ai fini civilistici. 12. L’importanza della perizia medico- legale nel processo Il settore della responsabilità penale medica come abbiamo visto è quello in cui maggiormente è entrato in crisi il modello nomologico-deduttivo cioè quel modello che ricostruisce il nesso di causalità facendo ricorso a leggi universali e consente conclusioni deduttive di sostanziale certezza. Tale modello è stato utilizzato fino agli anni novanta per poi essere sostituito con un modello di tipo probalistico e statisticoinduttivo che utilizza leggi statistiche e massime di esperienza e consente di giungere a pareri di probabilità. L’evoluzione della giurisprudenza di legittimità ha avuto per oggetto il mutamento nel tempo, della regola probatoria per accertare il nesso di 232 D.lgs. 14 marzo 2010, n. 28. (Testo consolidato con le modifiche risultanti dalla L. 98/2013 di conversione del D.L. 6972013). Definisce la conciliazione come: “la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione, intendendo per tale l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”. Il mediatore è: “la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo”. Art. 1 D. Lgs. cit. 233 In armonia con il sistema civile (art. 6 D. Lgs. 14 marzo 2010, n. 28. Testo consolidato con le modifiche risultanti dalla L. 98/2013 di conversione del D.L. 6972013) abbiamo ritenuto di prevedere la durata del procedimento di mediazione anche in sede penale di tre mesi. 234 Angioni, C., Giannace, C., Mele, A., Ciancolini, G., Frati, P.: L’istituto della mediazione/conciliazione fra luci ed ombre. Alcune riflessioni medico-legali. Zacchia, Anno 95 vol. XXX Gen. - Marzo 2012, F. I, pp. 19-20 92 causalità, con specifico riferimento alla condotta omissiva determinando negli ultimi anni un evidente contrasto interpretativo risolto dall’intervento della Cassazione Penale Sezioni Unite, 10 luglio 2002, n. 30328, Franzese, che afferma la necessità di un approdo valutativo ancorato a criteri di affidabile certezza, elevato grado di credibilità razionale, o quantomeno ad una solida probabilità logica. Da tale pronuncia, emergono importanti passaggi la cui ricaduta operativa medico-legale sono di fondamentale rilievo per un corretto agire peritale. Il perito deve essere a conoscenza dei concetti giuridici e dell’evoluzione giurisprudenziale in materia per poter rispondere correttamente ai quesiti del giudice. Ne deriva, la necessità da parte degli operatori della medicina legale di redigere protocolli e linee guida che siano di ausilio per l’adozione di una terminologia giuridica esatta al fine di elaborare prodotti peritali adeguati all’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza avvenuta nell’ultimo periodo. La terminologia medico-legale deve essere la stessa di quella usata dai giuristi che deve essere solo tradotta nel linguaggio medico forense. Nella prassi sovente si incontrano perizie che utilizzano concetti e formule sbagliate e che causano rilevanti difficoltà di comunicazione con i giudici e gli avvocati, e non raramente distorsioni nei processi235. 13. Proposta di integrazione della disciplina della perizia Punto problematico, nell’accertamento della responsabilità del sanitario, è quello relativo all’ingresso, nel contesto del processo penale, delle indispensabili conoscenze tecnico-scientifiche, mediante gli strumenti della consulenza tecnica e della perizia. Anche su questo tema si è ritenuto introdurre delle modifiche. La proposta di riforma nasce dalla consapevolezza che la prova scientifica assume un ruolo sempre crescente, in dipendenza del carattere specialistico del sapere cui il giudice attinge nella ricostruzione del fatto236. Il giudice infatti, non può prescindere 235 Fiori, A.: Ipotesi di linee guida per l’accertamento medico-legale del nesso causale. Rivista Italiana di Medicina Legale 3/2010, 405 pp. 405- 414 236 Il giudice penale forma il proprio convincimento in ordine ai fatti di causa sulla base delle emergenze probatorie disponibili e delle consulenze e perizie disposte su istanza di parte o d’ufficio. Quando gli apporti dei consulenti e dei periti conducano a risultati contrastanti, onere del giudice di merito è ricostruire i fatti e rispondere alle deduzioni delle parti attraverso un’argomentazione logica 93 dal contributo di esperti per risolvere le questioni che si pongono nell’accertare la colpa o il nesso di causalità. Proprio la difficoltà delle indagini rende necessario una adeguata qualificazione scientifica dei professionisti che forniscono la loro collaborazione nonché l’opportunità che la perizia venga affidata ad un collegio di esperti. Il nostro progetto di riforma accogliendo queste esigenze prevede una modifica delle norme vigenti prevedendo sia criteri di selezione più rigorosi nella scelta dei tecnici, sia la collegialità dell’incarico peritale che dovrebbe essere costituito da un medico legale e uno o più specialisti del settore della medicina che riguarda il caso concreto. La nuova legge 237 sulla sanità cit., prevede accanto alla figura del medico legale, la presenza di esperti delle discipline specialistiche dell’area sanitaria anche con coinvolgimento delle società scientifiche. La normativa in esame fa esclusivo riferimento alle modifiche che dovrebbero introdursi alle norme sulla revisione degli albi dei consulenti tecnici contenute nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile invece, noi riteniamo auspicabile l’estensione di tale previsione anche nelle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale con l’introduzione di una specifica norma. che leghi in modo coerente le risultanze probatorie disponibili, anche attraverso il motivato riferimento ad una fra le consulenze effettuate, ritenuta maggiormente confacente alle peculiarità del caso concreto. Fattispecie in tema di responsabilità dell’èquipe medico-chirurgica ortopedica: i giudici di merito hanno ritenuto che, sulla scorta delle evidenze disponibili, tra cui consulenze di parte e perizie collegiali d’ufficio, la lesione al nervo sciatico sofferta dalla paziente non dovesse essere ricollegata all’intervento di osteosintesi praticato dalla predetta èquipe ma ad una neuropatia diabetica o alla terapia per una neoplasia al collo dell’utero consistente nell’irradiazione da cobalto. Cass. Pen. Sez. IV, 8 luglio 2009, dep.25 settembre 2009, n. 37845, Casablanca. 237 Art. 3 co.5 l. 189 cit. Gli albi dei consulenti tecnici d'ufficio di cui all'articolo 13 del regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, recante disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, devono essere aggiornati con cadenza almeno quinquennale, al fine di garantire, oltre a quella medico legale, una idonea e qualificata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche dell'area sanitaria anche con il coinvolgimento delle società scientifiche, tra i quali scegliere per la nomina tenendo conto della disciplina interessata nel procedimento. 94 BOZZA DEL DISEGNO DI LEGGE Art. 1 Modifiche al codice penale. Introduzione di una nuova fattispecie di reato. 1 Nel codice penale dopo l’art. 590 bis è inserito: “art. 590 ter – Morte o lesioni personali colpose derivanti dall’esercizio dell’attività medico-chirurgica”. 1 – Il sanitario che per colpa grave, causa nell’esercizio dell’attività medicochirurgica la morte o lesioni personali è punito, a querela della persona offesa, con le pene previste dagli artt. 589 e 590 c.p. 2 – La colpa è grave quando il fatto è commesso in violazione delle norme che disciplinano lo state dell’arte e la violazione sia di immediata evidenza. 3 – nei casi previsti al comma 1, l’accordo con la persona offesa relativo al risarcimento del danno, intervenuto in seguito all’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’art. 407 bis c.p.p., estingue il reato. Art. 2 Modifiche al codice di procedura penale Nel codice di procedura penale l’art. 411 “Altri casi di archiviazione” è riformulato nel seguente modo238: “Le disposizioni degli articoli 408, 409 e 410 si applicano anche quando risulta che manca una condizione di procedibilità [345], che il reato è estinto [150 s. c.p.], che il fatto non è previsto dalla legge come reato, e nei casi previsti dall’ultimo comma dell’art. 590 ter c.p.” 238 Testo vigente. Art. 411 c.p.p. Altri casi di archiviazione. 1. Le disposizioni degli articoli 408, 409 e 410 si applicano anche quando risulta che manca una condizione di procedibilità, che il reato è estinto o che il fatto non è previsto dalla legge come reato. 95 Nel codice di procedura penale, dopo l’art.407 è inserito: “art. 407 bis – Tentativo obbligatorio di conciliazione nei casi di cui all’art.590 ter c.p. 1. – Qualora si proceda per il reato di cui all’art.590 ter c.p., il pubblico ministero, quando non deve richiedere l’archiviazione trasmette gli atti al giudice delle indagini preliminari per l’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione. 2. – L’avviso è notificato, a cura del giudice, all’imputato e alla persona offesa. Nell’avviso è indicata la data di udienza, l’esposizione degli elementi essenziali del fatto, le norme di legge che si assumono violate, le fonti di prova già note, l’invito rivolto alle parti di formulare una proposta di risarcimento del danno. L’avviso è notificato e comunicato almeno dieci giorni prima della data dell’udienza. 3. – Il procedimento penale e il decorso dei termini di prescrizione restano sospesi, dalla notifica dell’avviso sino al definitivo espletamento del tentativo di conciliazione. 4. – Il tentativo di conciliazione deve essere espletato entro 3 mesi dalla notifica. 5. – Qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare l’udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può avvalersi anche dell’attività di mediazione degli organismi di conciliazione presenti sul territorio, iscritti nel Registro istituito con decreto del Ministero della giustizia ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010, modificato dalla L. n. 98 del 9 agosto 2013, di conversione del D.L. n. 69 del 21 giugno 2013. In tal caso, l’ente informa senza ritardo l’autorità giudiziaria penale dell’esito dell’attività conciliativa. 6. - In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell’attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della deliberazione. 96 2. nel codice di procedura penale, dopo l’art.407 bis è inserito: art. 407 ter – Modalità di svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al giudice per le indagini preliminari. 1. – L’udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e dei difensori delle parti. 2. – Il giudice dopo aver proceduto agli accertamenti relativi alla presenza delle parti, della regolarità degli avvisi e comunicazioni, promuove la conciliazione tra le parti. 3. – In caso di avvenuta conciliazione relativa al risarcimento del danno, è redatto processo verbale attestante la remissione di querela e il giudice trasmette gli atti al pm ai sensi dell’art. 411 c.p.p. 5. – Qualora tra le parti non sia raggiunta la conciliazione il giudice dispone con ordinanza la restituzione degli atti al pubblico ministero. 97 MODIFICHE IN MATERIA DI PERIZIA Art. 221 c.p.p. Nomina del perito239. Aggiungere dopo il secondo comma all’art. 221 c.p.p. un terzo comma del seguente tenore: Nei procedimenti in materia di responsabilità medica di cui all’art. 590 ter c.p. il giudice, a pena di nullità, nomina con ordinanza motivata, per l’espletamento della perizia un collegio di esperti composto da uno specializzato in medicina legale e da uno o più specialisti nelle materie oggetto dell’indagine, da scegliersi negli elenchi e secondo le modalità previste dall’art. 67 bis disp. att. c.p.p.. Inserire tra le norme di attuazione del c.p.p. dopo l’art. 67 240 una nuova disposizione art. 67- bis “Albo dei periti per i procedimenti di responsabilità medica” del seguente contenuto: Per i procedimenti di responsabilità medica di cui all’art. 590 ter c.p., presso ogni Tribunale è istituito un separato albo dei periti la cui formazione e aggiornamento è assegnata ad una commissione nominata con decreto del Ministro della salute. La commissione è costituita da quattro membri, scelti dagli elenchi forniti dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, secondo le modalità previste dal decreto del Ministero della salute. 239 Testo vigente. Art. 221 c.p.p. Nomina del perito. 1. Il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina. Quando la perizia è dichiarata nulla, il giudice cura, ove possibile, che il nuovo incarico sia affidato ad altro perito. 2. Il giudice affida l'espletamento della perizia a più persone quando le indagini e le valutazioni risultano di notevole complessità ovvero richiedono distinte conoscenze in differenti discipline. 3. Il perito ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, salvo che ricorra uno dei motivi di astensione previsti dall'articolo 36. 240 Testo vigente. Art. 67 c.p.p. Albo dei periti presso il tribunale. 1. Presso ogni tribunale è istituito un albo dei periti, diviso in categorie. 2. Nell'albo sono sempre previste le categorie di esperti in medicina legale, psichiatria, contabilità, ingegneria e relative specialità, infortunistica del traffico e della circolazione stradale, balistica, chimica, analisi e comparazione della grafia.3. Quando il giudice nomina come perito un esperto non iscritto negli albi, designa, se possibile, una persona che svolge la propria attività professionale presso un ente pubblico.4. Nel caso previsto dal comma 3, il giudice indica specificamente nell'ordinanza di nomina le ragioni della scelta.5. In ogni caso il giudice evita di designare quale perito le persone che svolgano o abbiano svolto attività di consulenti di parte in procedimenti collegati a norma dell'articolo 371 comma 2 del codice. 98 Indice grafici e tabelle Grafico 1. Campione anagrafico distinto per sesso.................................................. Pag.73 Grafico 2. Campione anagrafico distinto per sesso e per fasce di età.......................... >> 73 Grafico 3. Campione anagrafico distinto per sesso e per anzianità professionale.......>> 74 Grafico 4. Campione anagrafico distinto per sesso e per qualifica professionale........>> 74 Grafico 5. Campione anagrafico distinto per sesso e per ruolo ricoperto.................... >> 74 Grafico 6. Campione anagrafico distinto per sesso e per tipo di struttura...................>> 75 Grafico 7. Comportamenti difensivi dei medici negli ultimi tre anni di lavoro............>> 75 Grafico 8. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per età..................>>76 Grafico 9. Comportamenti difensivi per sesso............................................................... >> 76 Grafico 10. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per anzianità professionale................................................................................................................... >> 77 Grafico11. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per tipo di struttura.....................................................................................................................>> 77 Grafico 12. Dibattimento – Procedimenti sopravvenuti e sentenze emesse nel periodo 2000 – 2012. Fonte Tribunale di Roma.................................................................................>> 82 Grafico 13. GIP Noti – Procedimenti sopravvenuti e sentenze emesse nel periodo 2000 – 2012. Fonte Tribunale di Roma...................................................................................... >> 83 Grafico 14. Dibattimento – Procedimenti con sentenza irrevocabile. Periodo 2009 – 2012 Fonte Tribunale di Roma........................................................... >> 84 Grafico 15. Dibattimenti – Procedimenti sopravvenuti anni 2000-2012. Fonte Tribunale di Roma................................................................................................>> 84 Grafico 16. Dibattimenti- Procedimenti sopravvenuti presso Gip Noti anni 2000-2012. Fonte Tribunale di Roma................................................................................................ >> 85 Grafico 17. Totale sentenze definitive Tribunale di Roma anni 2009- 2012. Fonte Tribunale di Roma............................................................................................... >> 85 Tabella 1. Comportamenti di medicina difensiva più diffusi tra i medici.................... >> 78 Tabella 2. Fattori che maggiormente conducono ad assumere atteggiamenti di medicina difensiva ......................................................................................................................... >> 79 Tabella 3. Fattori che inducono i medici ad assumere atteggiamenti difensivi verso il paziente........................................................................................................................... >> 80 99 Bibliografia Mantovani F., Diritto Penale. Cedam, 1994 Amato G., Per l’attribuzione della colpa professionale considerati gli elementi del caso concreto (nota a Cass. Pen. Sez. IV, 23/1/2002, dep. 10/6/2002, Orlando), in Guida al diritto, n. 39, 2002, pp. 91-95 Angioni F., Il nuovo codice di deontologia medica, Criminalia 2007, p. 277 ss. 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