facolta`di farmaciae medicina dottorato di ricerca - Padis

FACOLTA’ DI FARMACIA E MEDICINA
DOTTORATO DI RICERCA
SCIENZE DI SANITÀ PUBBLICA E MICROBIOLOGIA
Coordinatore: Prof. G. Tarsitani
CICLO XXVI
CURRICULUM IN MEDICINA SOCIALE E LEGALE
Responsabile: Prof. S. Ricci
LA RESPONSABILITÀ PENALE DEL MEDICO E LE
PROBLEMATICHE CONNESSE AL RISCHIO CLINICO.
UNA PROPOSTA DI RIFORMA
Relatore
Dottoranda
Prof. Serafino Ricci
Dott.ssa Domenica Pugliese
Triennio 2010/2013
INDICE
PARTE I Il nesso di causalità....................................................................... Pag. 4
1. Introduzione...................................................................................... >> 5
2. Il nesso di causalità nel diritto penale............................................
>>
3. Obbligo di impedire l’evento. I soggetti obbligati.........................
>>
4. Il nesso di causalità nel reato omissivo..........................................
>>
6
12
16
5. Il nesso di causalità in ambito medico. Evoluzione giurisprudenziale
.......................................................................................................... >> 17
6. La colpa penale medica.................................................................... >>31
6.1 La colpa penale medica nelle fasi del suo intervento...............
>>
49
7. Il consenso del paziente all’atto medico......................................... >>54
PARTE II La medicina difensiva....................................................................Pag.69
8. Ricerca empirica sulla medicina difensiva....................................... >> 70
8.1 Premessa...................................................................................
>>
70
8.2 Il campione anagrafico.............................................................
>>
73
8.3 I comportamenti adottati dai medici.........................................
>>
75
8.4 I fattori che hanno influenzato i comportamenti difensivi......... >> 79
8.5 Conclusioni................................................................................ >> 80
9. La ricerca presso il Tribunale di Roma........................................... >>81
9.1 Premessa.................................................................................. >>81
9.2 I principali risultati................................................................... >> 82
9.3 Considerazioni conclusive........................................................ >> 84
2
PARTE III Relazione di presentazione del progetto...................................... Pag.89
10. Premessa........................................................................................... >> 90
11. Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale........... >> 91
12. L’importanza della perizia medico- legale nel processo.................. >>92
13. Proposta di integrazione della disciplina della perizia.................... >>93
Bozza del disegno di legge..................................................................... >>95
Modifiche in tema di perizia.................................................................. >>98
GRAFICI E TABELLE..................................................................................... >> 99
BIBLIOGRAFIA............................................................................................... >> 100
GIURISPRUDENZA........................................................................................ >> 108
SITOGRAFIA................................................................................................... >> 117
3
PARTE I
Il nesso di causalità
1. Introduzione....................................................................................Pag. 5
2. Il nesso di causalità nel diritto penale............................................ . >> 6
3. Obbligo di impedire l’evento. I soggetti obbligati........................... >> 12
4. Il nesso di causalità nel reato omissivo..........................................
>>
16
5. Il nesso di causalità in ambito medico. Evoluzione giurisprudenziale
..........................................................................................................>> 17
6. La colpa penale medica.................................................................. ..>> 31
6.1 La colpa penale medica nelle fasi del suo intervento............... >> 49
7. Il consenso del paziente all’atto medico........................................>> 54
4
1. Introduzione
Il presente lavoro vuole esplorare più da vicino la responsabilità penale del medico e
le problematiche ad essa connesse. Il tema nel corsi degli anni è stato ampiamente
studiato dove è stato registrato una molteplicità di impostazioni dottrinali e
giurisprudenziali, sintomo di incertezza degli operatori del diritto. La prima parte del
nostro lavoro è dedicata a delineare nelle sue linee generali e istituzionali la figura
del reato e dei suoi elementi costitutivi così come viene presentato nel diritto penale
e nel nostro codice. Questa parte descrittiva è essenziale per comprendere come
questi contenuti si declinano in ambito sanitario. Infatti, gli elementi del reato più
discussi in ambito medico sono stati il nesso di causalità, soprattutto nelle fattispecie
omissive improprie, e la colpa e ad essi verrà dedicata un’attenzione particolare. Il
sistema legislativo reagisce all’errore medico con un modello accusatorio che ricerca
il colpevole e non si preoccupa di predisporre un sistema preventivo agli errori
tecnologici. I medici si sentono a rischio continuo di contenziosi penali e ciò li porta
ad adottare comportamenti difensivi con pregiudizio della tutela della salute del
paziente. Nella seconda parte si è proceduto ad analizzare il fenomeno della medicina
difensiva e le principali motivazioni che inducono i medici a modificare la propria
condotta con tali atteggiamenti e in che misura viene attuato. Per definire le
dimensioni del fenomeno della medicina difensiva, abbiamo analizzato altresì lo
stato del contenzioso giudiziario in materia di malpractice medica esistente presso il
Tribunale di Roma. L’obiettivo principale della terza parte del lavoro è stato quello
di realizzare un ipotesi possibile di riforma della materia riscrivendo le norme
codicistiche idonee a garantire un livello sempre più elevato della tutela della salute
al fine di porre un freno alla prassi diffusa nel settore medico della “medicina
difensiva”, unico apparente rimedio, per evitare il pericolo di contenziosi. Di recente
è intervenuta la legge 8 novembre 2012 n. 189, di conversione del D.L. 158/2012,
dove all’art. 3 prevede la depenalizzazione, a determinate condizioni, della colpa
lieve dell’esercente la professione sanitaria. La giurisprudenza ha ritenuto che la
novella legislativa abbia introdotto una abolitio criminis, ex art. 2 c.p., con
applicazione della norma più favorevole al reo, ravvisando, nell’art. 3 l. cit. la
parziale abrogazione delle fattispecie colpose commessi dagli esercenti le professioni
sanitarie connotate da colpa lieve che si collocano all’interno di linee guida o
5
pratiche mediche virtuose accreditate dalla comunità scientifica. Se la colpa lieve
esclude la responsabilità penale, resta ferma la responsabilità civile ex art. 2043 c.c.,
da far valere esclusivamente in sede civile. Secondo noi, questa novità legislativa
salutata con favore dalla magistratura non elimina la necessità di un intervento
normativo. Riteniamo che le nuove norme non siano formulate giuridicamente in
modo corretto e che la riforma della materia debba avvenire in modo diverso
attraverso la modifica delle norme contenute nel codice penale e procedura penale.
Per tali motivi, abbiamo elaborato quello che secondo noi potrebbe essere un ipotesi
di riforma possibile della responsabilità professionale. La nostra proposta è quella di
considerare la responsabilità penale del medico, in aderenza al principio
costituzionale, una extrema ratio, riservando l’intervento giudiziario ai soli casi di
“grave” errore medico e prevedendo al contempo, strumenti di tutela extrapenali.
2. Il nesso di causalità nel diritto penale
Per poter arrivare a definire un ipotesi di intervento di riforma legislativa in ambito
penale, che è lo scopo del nostro lavoro, è necessario preliminarmente effettuare un
approfondimento su alcuni istituti e categorie del diritto penale. L’indagine
penalistica ha finalità di esplicazione iniziale della materia necessaria, per il
successivo studio in ambito clinico e sanitario. Possiamo definire il reato come un
“atto giuridico illecito” che consiste in una condotta umana contrastante con una
determinata norma al quale l’ordinamento ricollega come conseguenza una sanzione
penale1. Due sono gli elementi fondamentali del reato2: l’elemento oggettivo (fatto
1
Tale definizione è di natura formale poiché si basa sulle conseguenze giuridiche, la pena, che il
legislatore riconnette ai fatti. Sotto un profilo astratto il reato è “il fatto tipico o fattispecie legale” cioè
il comportamento vietato descritto dalla norma; in concreto, come fatto storico che si verifica nella
realtà è “il fatto conforme alla fattispecie legale”. Mantovani, F.: Diritto Penale. Cedam, Padova,
1994, p.50. Parte della dottrina penalistica ha elaborato una concezione sostanziale del reato. Si è
ritenuto che il reato è “un fatto che offende gravemente l’ordine etico e per tale ragione non può essere
tollerato dallo Stato”. Maggiore, Diritto penale, v. I. Bologna, 1951, p. 189. Il Garofolo ne dette
questa definizione: “il reato è la violazione dei sentimenti altruistici fondamentali della pietà e della
probità, secondo la misura media in cui si trovano nell’umanità civile, per mezzo di azioni nocive alla
collettività”. Garofalo, Criminologia. II ed. Torino 1891, p. 2. Per Ferri-Berenini “Sono azioni punibili
(delitti) quelle determinate da moventi individuali (egoistici) antisociali, che turbano le condizioni di
vita e contravvengono alla moralità media di un popolo in un dato momento”. Ferri, Principi di dir.
Criminale.Torino 1928, p. 383. Berenini, Offese e difese. Parma 1884, p. 148. Per Crispigni sono
6
materiale): costituito dall’azione3 od omissione4 del soggetto5, dall’evento6 e dal
nesso di causalità che deve intercorrere tra condotta ed evento; l’elemento soggettivo
(colpevolezza): costituito dall’atteggiamento psichico del soggetto richiesto dalla
legge per la commissione di un dato reato ai fini dell’imputazione soggettiva del fatto
reati: “quelle azioni che, a giudizio delle persone autorizzate a porre le norme giuridiche, rendono
impossibile o mettono in grave pericolo l’esistenza e la conservazione della società. Crispigni, Diritto
penale Italiano, v. I, p. 144. Per Antolisei il reato è: “quel comportamento umano che, a giudizio del
legislatore, contrasta coi fini dello Stato ed esige come sanzione una pena criminale”. Antolisei,
Manuale di Diritto Penale. Parte Generale. Giuffrè, Milano 1997 p. 168. La concezione formalesostanziale: “il reato è un fatto umano che aggredisce un bene giuridico ritenuto meritevole di tutela
da un legislatore che si muove nel quadro dei valori costituzionali; sempreché la misura
dell’aggressione sia tale da far apparire inevitabile il ricorso alla pena e le sanzioni di tipo non penale
non siano sufficienti a garantire una efficace tutela”. Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte Generale.
Bologna, 1994, p.132
2
Nel testo viene fatto riferimento alla teoria della bipartizione. Secondo questa teoria l’antigiuridicità,
e cioè il contrasto tra il fatto e la norma, non costituirebbe un terzo, autonomo elemento essenziale del
reato ma, sarebbe “l’essenza”, la “natura intrinseca del reato”. In tale prospettiva, la presenza di una
causa di giustificazione (es. legittima difesa), non esclude semplicemente l’antigiuridicità ma esclude
l’esistenza del fatto tipico (reato). Dunque, le cause di giustificazione sono elementi negativi del fatto,
cioè elementi che devono mancare affinchè un fatto possa costituire reato. La teoria della tripartizione
invece ritiene che gli elementi del reato siano tre: il fatto, l’antigiuridicità e la colpevolezza.
L’antigiuridicità si desume da due note: una positiva (la conformità del fatto concreto al modello
astratto di reato configurato dal legislatore) e l’altra negativa (la mancanza di cause di giustificazione).
Gli oppositori ritengono che il difetto di tale tripartizione consiste nel degradare l’antigiuridicità ad
elemento costitutivo del reato, mentre ne costituisce la natura intrinseca, il carattere essenziale.
Antolisei, F., op. cit. p. 289
3
L’azione è il movimento del corpo idoneo ad offendere l’interesse protetto dalla norma o l’interesse
statuale perseguito dal legislatore attraverso l’incriminazione. Mantovani, F., op. cit. p. 164
4
La dottrina ha elaborato la teoria dell’aliud agere, enunciata per la prima volta dal criminalista
tedesco Luden: l’omissione, come comportamento di un soggetto non è un quid vacui, non è il nulla.
L’omittente non rimane inerte, ma fa qualche altra cosa; se non compie l’azione che da lui si
aspettava, ne compie un’altra. Luden, Abhandlungem aus dem gemeinen deutschen Strafretcht. V. II,
1840, pp. 250 ss.Tale tesi non può accettarsi perchè chi omette di agire non sempre compie un’altra
azione, continuando a rimanere inerte. La dottrina dominante riconosce all’omissione una natura non
fisica ma normativa. L’omissione non è altro che: “il mancato compimento dell’azione che si
attendeva da un uomo”. Antolisei, F., op. cit., p. 223.
5
Nella dogmatica del reato si distinguono reati di azione e reati di omissione. L’azione è un
comportamento attivo, un movimento del corpo che incide nel mondo esteriore idoneo ad offendere o
ad esporre a pericolo l’interesse protetto dalla norma. I reati di azione consistono nel compimento
dell’azione vietata. L’omissione è un comportamento passivo, inattivo che consiste nel non compiere
l’azione che si aveva l’obbligo giuridico di compiere. L’azione è dunque un quid naturalistico perchè
può essere osservata nella sua realtà fattuale, l’omissione è invece un quid normativo perché si può
solo pensare la condotta che doveva tenersi e che non è stata tenuta. Fiandaca, G., Musco, E.: Diritto
penale. Parte generale. Bologna 2007, p. 209 Mantovani, F.: Diritto penale. Parte generale. Padova,
2007, p. 124. Antolisei, F.: Manuale di diritto penale. Parte generale. Giuffrè, Milano, 2003, p. 225
Ramacci, F.: Corso di diritto penale. Torino 2005, p. 286
6
L’evento, secondo la concezione naturalistica, è l’effetto naturale della condotta che il diritto prende
in considerazione, in quanto connette al suo verificarsi conseguenze di carattere penale. Secondo la
concezione giuridica l’evento consiste nell’offesa (lesione o messa in pericolo) dell’interesse protetto
dal diritto. Se nella concezione naturalistica l’evento può mancare, in quella giuridica è elemento
essenziale. Antolisei, F.: Manuale di diritto penale. Parte generale. XIII ed. Giuffrè, Milano, 1997 p.
224
7
criminoso (dolo, colpa, preterintenzione) 7. In tale sede, si analizza in particolar modo
il nesso di causalità nei suoi aspetti generali e nello specifico in ambito medico, dove
i criteri per l’accertamento del nesso eziologico sono stati oggetto di una vivace
evoluzione giurisprudenziale. Come avremo modo di vedere in tale materia, la regola
probatoria per la ricostruzione del rapporto di causalità è mutata nel tempo
soprattutto con riferimento alla causalità omissiva cioè nei reati omissivi impropri 8.
La ricerca del nesso di causalità assume rilievo nel diritto penale, in considerazione
del principio di responsabilità personale sancito dalla Costituzione all’art. 27 Cost.9
e delle conseguenze che la sanzione penale comporta per l’autore del fatto di reato. Il
nesso o rapporto di causalità può essere definito come il rapporto che unisce il
comportamento (condotta) assunto dal colpevole nel commettere un reato alla
conseguenza dannosa (evento). Si pone quindi il problema di stabilire quando, ai
sensi e per gli effetti dell'ordinamento penale, un evento possa dirsi conseguenza di
una determinata condotta. Le norme del codice penale dedicate al nesso di causalità
sono gli artt. 40 e 41 c.p. L’art. 40 c.p. stabilisce che un evento, per essere ascrivibile
all'imputato, deve essere “conseguenza” della sua azione od omissione e specifica
che non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo.10 In primo luogo bisogna accertare se una data condotta è
scientificamente causa di un dato evento per poi poter oggettivamente imputare
l’evento di modo che la condotta sia anche penalmente rilevante. Il nesso di causalità
7
Art. 43 c.p. Elemento psicologico del reato. Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando
l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa
dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria
azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione
deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente; è colposo, o contro
l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di
negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline. La distinzione tra reato doloso e colposo, stabilita da questo articolo per i delitti, si applica
altresì alle contravvenzioni, ogni qualvolta per queste la legge penale faccia dipendere da tale
distinzione un qualsiasi effetto giuridico.
8
Sono reati omissivi impropri (o reati commissivi mediante omissione), quei reati nei quali il soggetto
deve aver causato, con la propria omissione, un dato evento affinchè possa sussistere il reato. Delpino,
L.: Diritto Penale. Parte Generale. XII ed. Simone 1998, p. 144
9
Art. 27 Cost. La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla
condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi
previsti dalle leggi militari di guerra.
10
Art. 40 c.p. Rapporto di causalità. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge
come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’ esistenza del reato, non è conseguenza
della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire,
equivale a cagionarlo.
8
tra la condotta e l’evento si accerta stabilendo se in base al procedimento logico
controfattuale la condotta non possa essere eliminata mentalmente senza che l’evento
venga meno, la condotta è cioè “condicio sine qua non” dell’evento.11 Si adotta il
procedimento di eliminazione mentale o giudizio controfattuale, se si elimina
mentalmente la condotta e l’evento viene meno, la condotta è causa dell’evento. E’
sufficiente che l’agente abbia posto in essere una condizione qualsiasi dell’evento
lesivo. Il concetto di causa è diverso dalla semplice occasione perché solo la causa
rappresenta una delle condizioni per la verificazione dell’evento, senza l’intervento
della quale non si sarebbe verificato; l’occasione si individua in una circostanza di
fatto indifferente ai fini dell’eziologia dell’evento12. Nel sistema vigente è accolto il
principio dell’equivalenza di cause: in base a tale principio non è possibile graduare
l’intensità causale o l’efficacia di ogni singola condizione; tutte le condizioni
indispensabili sono equivalenti fra loro ed egualmente causali. 13L'evento deve
11
Nel disciplinare il rapporto di causalità il vigente codice penale ha accolto la teoria condizionale
(c.d. teoria dell’equivalenza causale): la causa di un fenomeno è il complesso delle sue condizioni; gli
antecedenti senza i quali l’evento non si sarebbe verificato. La condotta umana è causa se rappresenta
un antecedente senza il quale l’evento non si sarebbe realizzato (condicio sine qua non): una fra le
tante condizioni necessarie dell’evento. De Simone Palatucci, M.: La responsabilità penale del
medico. La scuola di Pitagora, Napoli, 2010. Concetto riconfermato dalla giurisprudenza la quale
ribadisce che per causa penalmente rilevante si deve intendere “la condotta umana, attiva o omissiva,
che si pone come condizione «necessaria» — condicio sine qua non — nella catena degli antecedenti
che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l’evento da cui dipende l’esistenza del reato
non si sarebbe verificato”. Cass. Sez. Unite, 10 luglio 2002, dep. 11 settembre 2002, n. 30328.
12
Quando una situazione di pericolo è di tale evidenza da potere essere agevolmente superata con
l’uso della normale diligenza, non può essere ritenuto responsabile degli incidenti che, ciò nonostante,
ne derivano, colui che ha posto in essere siffatta situazione, poiché essa costituisce solo l’occasione
dell’incidente medesimo, dovendosi di questo ricercare la causa nella negligenza della vittima. Cass.
Pen. 21giugno 1961, Fornaro e altro, CPMA 62, 26. In senso analogo Cass. Pen. 20 aprile 1970,
Atzeni, ivi, 71, 1101. Cass. Pen.16 maggio 1989, Esposito, CP. 91, 1961.
13
Art. 41 c.p. Concorso di cause. Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche
se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra
l’azione od omissione e l’evento. Sul punto la Cassazione afferma che “Il vigente codice penale, nel
regolare il rapporto di causalità, ha accolto il principio dell’equivalenza delle cause, secondo cui le
cause concorrenti che siano da sole sufficienti a determinare l’evento sono, tutte e ciascuna, causa
dell’evento stesso. Ne consegue che il nesso di causalità può escludersi solo se si verifichi una causa
autonoma, rispetto alla quale la precedente sia da considerare tanquam non esset e trovi, nell’attività
dell’imputato, soltanto l’occasione per svilupparsi; cioè quando detta causa si trovi nella serie causale
in modo eccezionale, atipico e imprevedibile; mentre il medesimo nesso non può escludersi allorchè la
condotta posta in essere dall’imputato abbia soltanto accelerato la produzione dell’evento destinato
comunque a compiersi”. Cass. Pen. Sez. V n. 5249/91 rv. 187142. In aderenza a tale principio la
Corte, in tema di suicidio di un paziente, ha ritenuto che correttamente i giudici di merito, sulla base di
un ragionamento probatorio esente da vizi logici e che aveva escluso ogni interferenza di fattori
alternativi, avessero affermato l’efficacia causale della condotta del medico psichiatra che aveva
autorizzato l’uscita dalla struttura sanitaria di una paziente malata di mente e con forti istinti suicidiari,
affidandola ad una accompagnatrice volontaria priva di specializzazione adeguata, alla quale non
aveva fornito qualsivoglia informazione sullo stato mentale della malata e sui precedenti tentativi di
9
costituire una conseguenza della condotta secondo una legge scientifica, secondo la
migliore scienza ed esperienza del momento: che consente di affermare che l’evento
è conseguenza certa o altamente probabile dell’azione. Per spiegare le ragioni per cui
l’evento non si sarebbe con certezza o probabilmente verificato se l’azione non vi
fosse stata, si ricorrere al modello di spiegazione generalizzante: ricorso a leggi di
copertura o generalizzazioni causali14. Il “perché” dell’evento si identifica con “un
insieme di condizioni empiriche antecedenti, dalle quali dipende il susseguirsi
dell’evento stesso secondo un’uniformità regolare, rilevata in precedenza ed
enunciata in una legge” 15. Con il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche
si procede dal concreto all’astratto. La legge dice che nella generalità dei casi al
verificarsi di una condotta del tipo di quella che si è verificata, in base ad una
successione regolare di eventi conforme alla legge, si producono eventi del tipo di
quello che si è verificato. Prima viene in considerazione una legge costruita su
generalizzazioni, comportamenti-tipo o conseguenze-tipo, poi si controlla se il
singolo comportamento “storico” può essere inserito nello schema generale. Le leggi
scientifiche universali e statistiche, devono essere dotate di alto grado di credibilità
razionale affinchè si possa giungere ad affermare che una condotta è causa di un
evento.16Secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, si dirà che è
probabile che la condotta dell’agente costituisca una condizione necessaria
dell’evento; probabilità che significa probabilità logica o credibilità razionale di alto
suicidio dalla stessa attuati. Cass. Pen. Sez. IV, 6 novembre 2003, dep. 4 marzo 2004, n. 10430,
Guida. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C.: Il diritto penale della
medicina nella giurisprudenza di legittimità. Ed. Scientifiche Italiane, Napoli, 2011 p. 124
14
Il modello nomologico-deduttivo (elaborato per la prima volta da Hempel nel 1948) si basa sulla
riconosciuta veridicità di enunciati nomologici costituiti da leggi scientifiche che si considerano
universali quando sono in grado di affermare che il verificarsi di un evento è inevitabilmente
accompagnato dalla verificazione di un altro evento. Hempel, C.G.: Come lavora uno storico, 1953,
trad. it. Antiseri, D., Armando Editore, Roma, 1977, p. 77
15
Delpino, L., op. cit., p. 155
16
Secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, un antecedente può essere configurato
come condizione necessaria solo a patto che esso rientri nel novero di quegli antecedenti che, sulla
base di una successione regolare conforme ad una legge dotata di validità scientifica – la cosiddetta
legge generale di copertura – portano ad eventi del tipo di quello verificatosi in concreto. Le leggi
generali di copertura accessibili ai giudici sono sia le leggi “universali”, che sono in grado di
affermare che la verificazione di un evento è invariabilmente accompagnata dalla verificazione di un
altro evento, sia le leggi “statistiche”, che si limitano, invece, ad affermare che il verificarsi di un
evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento soltanto in una certa percentuale di casi, con
la conseguenza che queste ultime sono tanto più dotate di validità scientifica quanto più possono
trovare applicazione in un numero sufficientemente alto di casi e sono suscettive di ricevere conferma
mediante il ricorso a metodi di prova razionali e controllabili. Cass. Pen. Sez. IV, 6 dicembre 1990
dep. 29 aprile 1991, n. 4793, CP 92, II, 36.
10
grado. La legge scientifica deve consentire di poter descrivere un accadimento
ripetibile tenendo conto di tutti gli aspetti della vicenda suscettibili di ripetersi in
assenza dei quali l’evento non si sarebbe verificato. Accertato che una certa condotta
è scientificamente causa di un dato evento non basta per dire che essa è anche
penalmente rilevante ma è necessario poter imputare oggettivamente l’evento alla
condotta del soggetto. La norma che stabilisce se il nesso di causalità è penalmente
rilevante è l’art. 41 co.2 c.p.: “le cause sopravvenute escludono il rapporto di
causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento”.
L’interpretazione di questa norma ha dato luogo a contrastanti teorie in dottrina e
giurisprudenza. 17La giurisprudenza ritiene che le cause sopravvenute da sole
sufficienti a causare l’evento, idonee ad escludere il nesso causale tra la condotta del
soggetto e l’evento, sono sia quelle che costituiscono serie causali autonome 18,
rispetto alle quali la precedente causa è da considerarsi inesistente, sia quelle che
costituiscono un processo causale atipico di carattere eccezionale e anomalo, ossia di
un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della
causa presupposta.19 Nel campo medico, la causa sopravvenuta, da sola sufficiente a
17
A tal fine la teoria della causalità umana esclude il nesso di causalità laddove siano intervenuti
fattori eccezionali, non prevedibili cioè quel fatto che ha una probabilità minima di verificarsi e che
perciò sfuggono alla sfera di signoria dell’uomo. Si ritiene infatti, che esiste una sfera d’azione che
l’uomo può dominare con i suoi poteri volitivi e conoscitivi: solo i risultati che entrano in questa sfera
sono causati da lui, perché anche se non li ha voluti poteva impedirli. Antolisei F., op. cit., p. 241.
Teoria accettata spesso dalla giurisprudenza (sentenza Bonetti). Le critiche a tale teoria hanno
riguardato l’ambiguità della nozione di eccezionalità, il rischio di confondere il nesso di causalità con
l’elemento soggettivo del reato. Infatti, quando l’autore parla di astratta prevedibilità dell’evento lo fa
rientrare nella sfera di signoria dell’uomo e quindi nell’ambito della sua dominabilità. In conclusione
per tale teoria la causa sopravvenuta da sola a determinare l’evento è il fatto eccezionale, avvenimento
anormale. Delpino, L., op. cit., p. 159.
18
La serie causale autonoma si verifica quando all’azione diretta a produrre l’evento, ne subentra
un’altra che determina l’evento anche se non ci fosse stata l’azione del soggetto. Delpino L., op. cit. p.
163.
19
Ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento, il
concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisce solo al caso
di un processo causale del tutto autonomo, giacchè allora, la disposizione sarebbe pressoché inutile, in
quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe comunque sulla base del principio
condizionalistico o dell’equivalenza delle cause di cui all’art. 41, co.1 c.p. La norma invece si applica
anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, ma caratterizzato da un
percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di
un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta.
Da queste premesse la Corte ha escluso l'applicabilità dell'articolo 41 co. 2 c.p. in relazione ad un
infortunio sul lavoro addebitato alla condotta colpevole dell'imputato e l'evento morte provocata da
una broncopolmonite massiva bilaterale contratto dall’infortunato durante il ricovero in ospedale per
la cura degli esiti dell'infortunio, ciò sul rilievo che, secondo quanto ricostruito in sede di merito, la
broncopolmonite era risultata essere una complicanza non eccezionale delle gravi lesioni subite
dall’infortunato, che ne avevano provocato l’allettamento prolungato con la conseguente
11
determinare l’evento, è quella che innesta un processo causale ricollegato alla
condotta dell’agente, ma completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo
ed eccezionale e che produce un evento che non si sarebbe verificato se non in casi
del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta20.
3. Obbligo di impedire l’evento. I soggetti obbligati
Il nostro ordinamento parifica la causalità dell’azione alla causalità dell’omissione 21
e stabilisce che non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire,
equivale a cagionarlo 22. Deve trattarsi di un “obbligo giuridico” generale, valevole
per tutti i cittadini, professionale o d’ufficio, valevole per una classe o categoria d i
persone, oppure speciale valevole per una determinata persona; imposto dal diritto
penale o da altri rami del diritto pubblico e privato, da un ordine legittimo
dell’autorità, da un provvedimento del magistrato, da una precedente attività propria
quando può ledere interessi di terzi o derivante da una posizione di garanzia. Per
quanto riguarda l’ambito medico, la fonte della posizione di garanzia assunta dal
medico nei confronti del paziente risiede nella relazione terapeutica instaurata su
fonte privatistica, contratto, o pubblicistica, ricovero ospedaliero, da cui deriva
l’obbligo di agire a tutela della salute e della vita 23. Nello specifico, gli operatori di
una struttura sanitaria, medici e paramedici, sono tutti ex lege portatori di una
posizione di garanzia, espressione dell’obbligo di solidarietà costituzionalmente
imposto ex artt. 2 e 32 cost. nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare
disventilazione polmonare che, a sua volta aveva provocato la patologia rivelatesi letale. Cass. Pen.
Sez. IV, 13 gennaio 2006, n.1214 rv. 233173
20
Non interrompe il nesso causale l’eventuale comportamento imperito di un medico intervenuto
successivamente, in quanto fattore prevedibile e non eccezionale. La Corte, in tema di morte per shock
emorragico, successivo ad incidente stradale non tempestivamente trattato, ha disatteso le doglianze
difensive circa l’applicabilità dell’art. 41 co.2 c.p., poiché l’imperita condotta del secondo medico
intervenuto non aveva rappresentato un nuovo rischio prima inesistente, ma solo lo sviluppo ulteriore
dell’originario iter eziologico. Cass. Pen. Sez. IV, 16 giugno 2010, dep. 20 agosto 2010, n. 32121,
Chiodo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 116
21
L’omissione consiste nella violazione di un comando, oppure non arrestando, avendone l’obbligo
giuridico, un decorso eziologico in atto. Cass. Pen. Sez. IV, 12 novembre 2008, dep. 28 gennaio 2009,
n. 4107, Calabrò. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 65
22
Art. 40 co. 2. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo.
23
Ritenuta assunta la posizione di garanzia per la scelta della terapia farmacologica, per i colloqui con
il paziente e per la richiesta di intervento alla manifestazione dello scompenso psicotico. Cass. Pen.
Sez. IV, 14 novembre 2007, dep. 11 marzo 2008, n. 10795, Pozzi. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti,
D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 33
12
contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l’integrità. L’obbligo di protezione dura
per tutto il turno di lavoro e non è delegabile ad altri24. La giurisprudenza ha avuto
modo di discutere sulla posizione di garanzia assunta dalle diverse figure mediche.
L’aiuto primario, che non condivide le scelte del primario, è tenuto ad esprimere il
proprio dissenso se sussiste il rischio per il paziente diversamente sussiste la sua
responsabilità per non aver impedito l’evento25. Il medico di turno che subentra al
collega negligente è gravato di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, e
ha l’obbligo di effettuare una diligente attività ricognitiva e diagnostica, sulla scorta
dei dati già acquisiti26, e di informarsi dal medico che lo ha preceduto nel turno sulle
condizioni di salute dei pazienti e delle particolari cure di cui necessitano 27.
Un’ampia posizione di garanzia riveste il capo équipe operatoria che si estende alla
fase postoperatoria che lo stesso ha il dovere di controllare anche per interposta
persona28. Il primario ospedaliero è gravato da una posizione di garanzia poiché a lui
24
Fattispecie in cui è stato escluso che fosse giustificato il comportamento di un infermiere che, in
prossimità della fine del turno di lavoro, delegava un collega per eseguire l’ordine impartitogli da un
medico di chiamare un altro medico, ordine facilmente e rapidamente eseguibile attraverso un
citofono. Cass. Pen. Sez. IV n. 9638/2000 rv. 217477
25
L’aiuto primario che non condivide le scelte terapeutiche del primario è tenuto ad esprimere il
proprio dissenso quando ha motivo di ritenere che queste comportino un rischio per il paziente.
Diversamente egli potrà essere ritenuto responsabile dell’esito negativo del trattamento terapeutico
non avendo compiuto quanto in suo potere per impedire l’evento. Cass. Pen. Sez. IV, 3 novembre
2004, dep. 4 maggio 2005, n. 16658, Capitani. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P.,
Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 36
26
E’ immune da vizi logici la sentenza con cui i giudici di merito ritengano che l’anestesista di turno,
intervenuto in una situazione di crisi al capezzale di un paziente già sottoposto ad anestesia totale, pur
a fronte di una negligenza del collega, specialista anestesiologico, che ha in precedenza effettuato la
prevista visita preoperatoria, sia comunque gravato di una posizione di garanzia. Nella fattispecie, in
considerazione del blocco di branca sinistro già rilevato nella fase preoperatoria, e della successiva
crisi lipotimica, verificatesi non appena il paziente ha assunto la posizione eretta, s’imponeva al
successivo garante di procedere ai più penetranti accertamenti diagnostici ed all’approntamento dei
presidi terapeutici del caso. Cass. Pen. Sez. IV, 2 marzo 2004, dep. 7 maggio 2004, n. 21732, Bocca.
Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 36
27
Fattispecie relativa alla riconosciuta responsabilità per omicidio colposo del medico, che in
mancanza di ragguagli in merito da parte del collega smontante, non si era informato presso il
medesimo circa le necessarie modalità di somministrazione di una trasfusione di sangue disposta in
precedenza e la cui errata esecuzione aveva in seguito cagionato la morte del paziente. Cass. Pen. Sez.
IV, 30 gennaio 2008, n. 8615.
28
Decesso della vittima nella fase successiva all’intervento chirurgico, il medico è stato ritenuto
responsabile, insieme agli altri operatori sanitari imputati, del decesso in quanto, nella sua qualità,
avrebbe dovuto assicurarsi che la vittima fosse adeguatamente assistita dopo l’operazione da personale
idoneo e presente in numero adeguato, cui egli avrebbe dovuto anche fornire tutte le indicazioni
terapeutiche necessarie: a maggior ragione per il fatto che il chirurgo stesso aveva imprudentemente
deciso di praticare un intervento altamente specialistico nell’ultimo turno pomeridiano così
precostituendo le condizioni di quella prevedibile carenza di assistenza notturna successiva che
avrebbe determinato la morte del paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 1 dicembre 2004, dep. 11 marzo 2005,
13
spetta impartire al personale delegato direttive e istruzioni, verificandone l’esatta
attuazione. Può perciò rispondere della condotta colposa dei suoi collaboratori se
viene meno ai suoi obblighi di controllo e sorveglianza 29. Il medico specializzando
assume autonoma posizione di garanzia nei confronti del paziente, perché anche se
vincolato alle direttive del tutore, partecipa alle attività e responsabilità della
disciplina che si svolgono nella struttura in cui opera. 30 Il soggetto dismette la sua
posizione originaria verificando che il successore abbia preso in carico
effettivamente il bene da tutelare 31 in tal modo, si libera da ogni responsabilità
imputabile esclusivamente al medico subentrante configurando, in tale ultimo caso,
la condotta causa sopravvenuta da sola idonea a determinare l’evento in modo
eccezionale e atipico 32 ex art. 41 co.2 c.p. Diversamente, sussiste la responsabilità di
entrambi gli operatori33. Nel caso di cooperazione multidisciplinare ogni sanitario è
n. 9739, Di Lonardo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p.
36
29
Morte per peritonite diffusa successiva ad intervento di anastomosi: estesa al primario la scelta,
gravemente imprudente, dei due medici partecipanti all’equipe, di praticare l’anastomosi anziché
l’ileostomia, poiché sul primario incombeva l’obbligo di controllare l’attività dei suoi collaboratori.
Cass. Pen. Sez. IV, 26 maggio 2010, dep. 23 settembre 2010, n. 34521, Huscher e altri. Giunta, F.,
Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit. p. 43
30
Respinta la censura del medico specializzando secondo cui la stessa era presente in reparto
esclusivamente per finalità formative, per cui non poteva ritenersi da lei esigibile una conoscenza in
materia cardiologica quale quella ipotizzata nella sentenza impugnata, che sembra richiedere una
diligenza addirittura superiore a quella dello specialista cardiologo. Cass. Pen. Sez. IV, 10 dicembre
2009, dep. 16 febbraio 2010, n. 6215 Pappadà et altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli,
P., Piras, P., Sale, C., op. cit. p. 46. In tema di colpa professionale, risponde del reato commesso dal
medico specializzando, materiale esecutore dell’intervento chirurgico anche il primario, cui lo
specializzando è affidato, il quale allontanandosi durante l’operazione, viene meno all’obbligo di
diretta partecipazione agli atti medici posti in essere dal sanitario affidatogli. Cass. Pen. Sez. IV, 02
aprile 2007, n. 21594
31
Fattispecie in cui un medico cardiologo si è limitato ad avvisare un medico chirurgo circa la
presenza di un paziente di competenza di quest’ultimo, senza peraltro verificare che il c.d. passaggio
delle consegne fosse effettivamente avvenuto e, quindi, dismettendo anzitempo la propria posizione di
garanzia in capo al paziente. Cass. Pen. Sez IV, 15 dicembre 2005, dep. 18 maggio 2006, n. 16991,
Mastropasqua. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit. p. 48
32
Morte di un paziente per insufficienza respiratoria dovuta a frattura cervicale non diagnosticata né
dal pronto soccorso, né dall’ortopedico visitante il paziente il giorno dopo: ritenuta non eccezionale la
condotta dell’ortopedico. Cass. Pen. Sez. IV, 5 novembre 2009, dep. 17 novembre 2009, n. 43958,
Feminella. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 47
33
Chi riveste la posizione di garanzia e con la sua condotta colposa ha creato una situazione di
pericolo, non può fare legittimo affidamento nell’eliminazione di quella situazione da parte del
garante successivo; qualora anche il successore sia in colpa e l’evento si verifichi, questo avrà due
antecedenti causali: la condotta colposa del primo e del secondo garante. Nel caso di specie ipotizzate
scorrette manovre rianimatorie da parte del medico successore: negata l’applicazione del principio di
affidamento al medico predecessore che non aveva trattenuto un piccolo paziente presso il pronto
soccorso e ne aveva disposto il trasferimento presso un ospedale accompagnato dai genitori. Cass.
Pen. Sez. IV, 17 aprile 2007, dep. 1 giugno 2007, n. 21602, Ventola. Giunta, F., Lubinu, G.,
Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 48
14
tenuto a valutare e controllare la correttezza dell’attività precedente di altro collega,
anche se specialista in altra disciplina, se del caso ponendo rimedio all’errore altrui
che sia evidente e non settoriale, rilevabile con l’ausilio delle conoscenze del
professionista medio 34. La giurisprudenza, per l’ipotesi di successione di soggetti
nella stessa posizione di garanzia ha elaborato il principio di affidamento. Il medico
che subentra dopo l’intervento di un collega deve poter confidare nel fatto che questi
abbia agito secondo scienza e coscienza. Tale principio non può essere invocato da
colui che versa in colpa e quindi confidare che altri, che gli succedano pongano
rimedio alla sua negligenza 35. Il principio di affidamento ha avuto ampia
applicazione nell’attività medica di èquipe dove, la cooperazione tra medici si fonda
sul principio della divisione del lavoro, in base al quale ciascun operatore risponde
delle decisioni che afferiscono alla propria branca di specializzazione professionale e
potendo confidare che gli altri specialisti esplicheranno il proprio apporto
professionale conformemente alle legis artis del proprio settore disciplinare. Il
principio di affidamento non opera quando colui che si affida sia in colpa confidando
che altri pongano riparo alla violazione di norme precauzionali o all’omissione di
condotte36. Non opera inoltre, con riferimento alle attività di controllo non settoriali e
strumentali alla buona riuscita dell’intervento chirurgico nella sua globalità 37. Il
34
Morte di un paziente per shock anafilattico da anestesia: ritenuto responsabile dell’omessa
tempestiva tracheotomia, oltre che l’anestesista anche il chirurgo. Cass. Pen. Sez. IV, 18 febbraio
2010, dep. 16 marzo 2010, n. 10454, Corcione. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P.,
Piras, P., Sale, C., op. cit. p. 51
35
Sintomi neurologici suggestivi di origine vascolare, interpretati invece di origine psicotica con
trasferimento della paziente ad altro ospedale: ritenuta colposa la condotta del medico e negato rilievo
all’omessa corretta diagnosi da parte anche dei medici riceventi la paziente nell’ospedale dove la
stessa era stata trasferita. Cass. Pen. Sez. IV, 20 novembre 2009, dep. 14 gennaio 2010, n. 1489,
Brenna. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 58
36
Si è imputato all’anestesista ed ai chirurghi che hanno effettuato l’intervento da cui sono derivate le
complicanze che hanno condotto al decesso del paziente, asportazione di una formazione neoplastica,
di non aver preventivamente accertato, attraverso l’effettuazione di una TAC, le effettive condizioni
cliniche del paziente. L’anestesista versa in colpa, pur avendo correttamente accertato il rischio
anestesiologico del paziente, per non aver effettuato la TAC e non essersi accertato che questa fosse
eseguita dai chirurghi, subentrati successivamente nella posizione di garanzia, prima del predetto
intervento chirurgico. L’affidamento dell’anestesista verso la corretta condotta dei chirurghi non elide
l’efficienza eziologica della propria colpa rispetto all’evento. Cass. Pen. Sez. IV, 23 settembre 2010,
dep. 2 novembre 2010, n. 38592, De Filippi. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras,
P., Sale, C., op. cit., p. 57
37
Tutti i soggetti intervenuti all’atto operatorio devono partecipare ai controlli per evitare il rischio di
lasciare nel corpo del paziente oggetti estranei. Fattispecie in tema di lesioni personali derivanti dalla
dimenticanza nell’addome di un paziente di garza laparotomica. Cass. Pen. Sez. IV, 18 giugno 2009,
dep. 21 settembre 2009, n. 36580, Cazzato. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras,
P., Sale, C., op. cit., p. 58. In altra fattispecie la Corte ha ritenuto l’intera èquipe operatoria colpevole
15
medico facente parte dell’èquipe deve conoscere e valutare anche l’attività degli altri
componenti in modo da porre rimedio ad eventuali errori altrui sempreché siano
evidenti e non settoriali per un professionista medio 38.
4. Il nesso di causalità nel reato omissivo
Il problema della causalità non si pone nei reati omissivi propri caratterizzati dalla
mancanza di un evento naturalistico 39. Si presenta invece per i reati omissivi
impropri nei quali il soggetto causa con la propria omissione un dato evento.
L’omissione è un concetto normativo e non materiale e il giudizio sul nesso causale
non può essere identico a quello dei reati di azione 40. La stessa formulazione dell’art.
40 c.p. postula espressamente un diverso criterio di imputazione dell’evento: evento
che l’omissione non può aver causato perché si tratta di un processo causativo su cui
l’autore non è intervenuto. Il giudizio di equivalenza causale è costituito dall’azione
dovuta che il soggetto ha omesso. Occorre formulare un giudizio ipotetico o
prognostico, verificare in che modo l’eventuale compimento dell’azione doverosa
delle lesioni provocate al paziente nel cui addome era stata lasciata la pinza. Cass. Pen. Sez. IV, 2
febbraio 2005, dep. 4 maggio 2005, n. 16695, CED 231542.
38
In tema di colpa professionale, nel caso di èquipes chirurgiche e, più in generale, in quello in cui ci
si trovi di fronte ad ipotesi di cooperazione multidisciplinare nell’attività medicochirurgica, sia pure
svolta non contestualmente, ogni sanitario, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza
connessi alle specifiche mansioni svolte, è tenuto ad osservare gli obblighi ad ognuno derivanti dalla
convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ne consegue che ogni sanitario non può
esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure
specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio o facendo
in modo che si ponga opportunamente rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, e
come tali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del
professionista medio. Cass. Pen. Sez. IV, 2 marzo 2004, dep. 26 maggio 2004, n. 24036, Sarteanesi.
Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 55. In tema di colpa
medica nell’attività di èquipe, ciascuno dei soggetti che si dividono il lavoro risponde dell’evento
illecito, non solo per non aver osservato le regole di diligenza, prudenza e perizia connesse alle
specifiche ed effettive mansioni svolte, ma altresì per non essersi fatto carico dei rischi connessi agli
errori riconoscibili commessi nelle fasi antecedenti o contestuali al suo specifico intervento. Cass.
Pen. Sez. IV, 11 ottobre 2007, n. 41317.
39
Sono reati omissivi propri (o reati di pura condotta) quelli per la cui sussistenza è necessaria e
sufficiente la semplice condotta omissiva del soggetto non essendo quindi richiesto anche un ulteriore
effetto di tale condotta (evento naturalistico) per integrare il reato. Delpino, L., op. cit., p. 144
40
Nei reati omissivi impropri, la causalità, in quanto costruita secondo un percorso logico e non in
base ad una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà, è una causalità ipotetica, normativa.
Essa si fonda, come quella commissiva, su un giudizio controfattuale, al quale si fa ricorso per
ricostruire una sequenza che, però, a differenza di quest’ultima, non potrà mai essere empiricamente
verificabile. Cass. Pen. Sez. IV, 14 luglio 2010, dep. 27 settembre 2010, n. 34846, Solerte. Giunta, F.,
Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 71
16
avrebbe modificato il corso degli eventi e avrebbe fatto venir meno l’evento. Non si
tratta di spiegare l’evento come avviene nei casi di azione o prognosi postuma dove
viene effettuata una ricostruzione del passato dato che il soggetto ha agito 41. Nei reati
omissivi impropri la modalità di accertamento del nesso di causalità è lo stesso dei
reati di azioni e cioè, il giudizio controfattuale con l’adozione della formula della
condicio sine qua non utilizzando il procedimento di eliminazione mentale, la cui
formula dovrà rispondere al quesito se, mentalmente eliminato il mancato
compimento dell’azione doverosa, supposta come realizzata, il singolo evento lesivo,
verificatosi, sarebbe o non, venuto meno, mediante un enunciato esplicativo coperto
dal sapere scientifico del tempo. In definitiva, il nesso di causalità sussiste ogni volta
che si accerti che se l’azione doverosa omessa fosse stata realizzata, si sarebbe
impedito la verificazione dell’evento con certezza o alto grado di probabilità.
Trattandosi di prognosi non si potranno fornire certezze per cui il nesso causale si
configura secondo una struttura probabilistica. Queste caratteristiche della causalità
omissiva giustificano la difficoltà della giurisprudenza di accertare il nesso di
causalità nel reato omissivo e inducono a delle proposte alternative al modello del
reato causale laddove si tratta di tutelare beni fondamentali come l’incolumità fisica
rispetto all’attività medica.
5. Il nesso di causalità in ambito medico. Evoluzione giurisprudenziale
Il settore della responsabilità medica è quello in cui maggiormente è entrato in crisi il
modello nomologico-deduttivo cioè quel modello che ricostruisce il nesso di
causalità facendo ricorso a leggi scientifiche di copertura. Tale modello è stato
utilizzato fino agli anni novanta per poi essere sostituito con un modello di tipo
41
La distinzione attiene alla necessità, in caso di comportamento omissivo, di fare ricorso, per
verificare la causalità, ad un giudizio controfattuale meramente ipotetico, anziché fondato sui dati
della realtà; infatti nel caso di comportamento omissivo, è solo con riferimento alle regole cautelari
inosservate che può formularsi un concreto rimprovero e verificarsi, con giudizio controfattuale
ipotetico la causalità. Nella specie decesso del paziente per lesione della via biliare nel corso di un
intervento di colecistectomia, non rilevata né durante l’intervento, né nel postoperatorio. Cass. Pen.
Sez. IV, 14 novembre 2008, dep. 22 dicembre 2008, Calzini, n. 47490. Giunta, F., Lubinu, G.,
Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 65
17
probabilistico e statistico-induttivo42. Appare perciò, a tal fine necessario soffermarsi
preliminarmente sull’evoluzione della giurisprudenza di legittimità che ha avuto per
oggetto il mutamento nel tempo, della regola probatoria per accertare il nesso di
causalità, con specifico riferimento alla condotta omissiva dell’esercente la
professione sanitaria. Gli orientamenti della Suprema Corte di Cassazione sulle
modalità di accertamento del nesso causale tra condotta ed evento possono essere
distinti in: volatilizzazione del nesso causale, criterio della probabilità e criterio della
certezza.
Volatilizzazione del nesso causale: nella giurisprudenza più remota, si prescinde
dall’accertamento del nesso causale, la sua valutazione si disperde nel giudizio sulla
colpevolezza. La responsabilità del medico veniva fondata sull’inosservanza dei
doveri funzionali in relazione alla posizione di garanzia rivestita; il giudizio
sull’idoneità della condotta doverosa, omessa, di impedire il verificarsi dell’evento
lesivo veniva compiuto a prescindere dalla causalità43. La colpevolezza circoscriveva
la rilevanza penale. In tali casi era certo che l’evento fosse il risultato dell’agire
umano, ma non sussistevano i presupposti per l’imputazione perché difettava
42
Il modello statistico-induttivo (elaborato da Hempel) si basa sul fatto che anche le leggi statistiche
(per le quali il verificarsi di un evento è accompagnato dal verificarsi di un altro evento soltanto in una
percentuale di casi) sono in grado di spiegare perché un evento si è verificato, a patto che la frequenza
tra eventi consenta di spiegarli con quasi certezza. In base a questo modello, il giudice, servendosi di
una fonte probabilistica come la legge statistica ed attivando un giudizio di probabilità logica, deve
giungere ad affermare che una determinata condotta è causa di un preciso evento, fatta salva una
verifica aggiuntiva circa la credibilità dell’impiego della legge statistica nel caso concreto. La legge
statistica, dotata di alto grado di credibilità razionale, indica che nella generalità dei casi al verificarsi
di una condotta del tipo di quella che si è verificata, in base ad una successione regolare di eventi
conforme alla legge, si producono effetti del tipo di quello che si è verificato. Quindi, prima viene in
considerazione una legge, come tale costruita su generalizzazioni (comportamenti-tipo, situazionitipo, conseguenze-tipo), poi si controlla se il singolo comportamento, la singola situazione, la
specifica conseguenza possano essere inseriti nello schema generale previamente delineato. Si può
dire che le leggi statistiche si considerano dotate di validità scientifica quando possono trovare
applicazione in un numero abbastanza elevato di ipotesi. Si considera sufficiente per ritenere
sussistente il nesso di causalità, quindi, che l’azione doverosa omessa, ove compiuta, sarebbe valsa ad
impedire l’evento con un apprezzabile probabilità di tipo statistico, anche se non prossima alla
certezza. Hempel,C.G., op. cit., p. 80. Hempel C.G. Oppen-Heim, P.: Studies in the Logic of
Explanation. Philosophy of Science, ed. XV, 1948, pag. 135 ss. Hempel, C.G.: Filosofia delle scienze
naturali, 1966. Trad. it. Il Mulino, Bologna, 1968
43
La colpa del medico nell’esercizio della sua professione può ravvisarsi quando la condotta riveli
elementi di grave violazione dei principi di diligenza e di prudenza dalla quale possa derivare un
errore di diagnosi ovvero una somministrazione di terapie contrarie alle più elementari norme
mediche, ciò in quanto la malattia può talvolta manifestarsi in modo non chiaro con sintomi equivoci
che possono determinare un errore di apprezzamento e, perciò di diagnosi. Cass. Pen. Sez. VI, 15
febbraio 1978, dep. 13 maggio 1978, Violante, in Cass. Pen. 1980, 1565, pag. 1560. Aleo, S.,
Centonze, A., Lanza, E.: La responsabilità penale del medico. Giuffrè, Milano 2007 p. 110
18
l’elemento soggettivo del reato. Si riteneva sufficiente la violazione di una regola
cautelare per attribuire la responsabilità, l’indagine si limitava alla sola verifica
dell’ottemperanza ai doveri professionali44. In sostanza, il medico veniva ritenuto
responsabile per la sua posizione di garanzia e per la violazione degli obblighi
connessi. In alcune decisioni poi, la sussistenza del nesso causale veniva per lo più
affermata che dimostrata45.
Orientamento probabilistico46: secondo tale orientamento ai fini dell’accertamento
del nesso di causalità era sufficiente la probabilità circa l’efficacia salvifica della
44
In linea con questo orientamento, non è stato ritenuto responsabile il medico che prestava la sua
opera presso il Servizio di Igiene mentale, per l’omicidio commesso da un malato di mente sottoposto
a TSO, perché non aveva il dovere di intervenire e non si riscontrava, quindi il nesso causale tra
condotta ed evento. Si è rilevato che il provvedimento per disporre il TSO è adottato dal sindaco su
proposta motivata di un medico ed è convalidato da uno specialista della struttura sanitaria pubblica.
L’esclusione della responsabilità del medico è stata fondata sulla formale insussistenza della posizione
di garanzia. Non si è proceduto invece, a valutare una eventuale negligenza del medico del servizio di
Igiene Mentale. Cass. Pen. Sez. IV, Bondioli, in Cass. Pen. 1988, 710, pp. 839 ss. De Simone
Palatucci, M., op. cit., pp. 63-65
45
Il caso riguardava la rilevazione della responsabilità per lesioni personali colpose di un ginecologo,
che aveva in cura una paziente affetta da disturbi adenosici ad una mammella con sospetto rischio di
degenerazione e che aveva omesso di prescrivere tempestivamente ed urgentemente un esame
mammografico, con il quale si sarebbe potuto prevenire l’aggravamento del carcinoma ad esito letale
da cui la donna era affetta. Esaminando la sussistenza del nesso di causalità fra l’intempestività della
diagnosi da parte del medico e l’aggravamento delle condizioni della persona offesa, il pretore,
richiamando gli esiti peritali, ha evidenziato come fosse indubbio che una valutazione più accurata e
precoce delle condizioni della paziente avrebbe avuto un’influenza determinante sullo svolgimento del
processo morboso, visto che è noto come la sopravvivenza dei malati di carcinoma sia inversamente
correlata con il diametro e la progressione del tumore. Pertanto, esiste un evidente nesso di causalità
tra la mancata diagnosi precoce e l’evoluzione del tumore. Pretura di Ivrea, 5 giugno 1989, Alongi,
Foro it. II,1989, c.c. 601 ss. Aleo, S., Centonze, A., Lanza, E., op. cit., p. 112. In senso analogo in
tempi più recenti la Corte ha così affermato: “Sussiste la responsabilità per colpa professionale del
personale medico e paramedico, qualora si ometta di assicurare la dovuta protezione nei confronti di
un paziente nella fase post-operatoria, indipendentemente dal fatto che siano stati rispettati il proprio
turno di lavoro e le regole che presiedono agli obblighi contrattuali, in quanto ogni operatore di una
struttura sanitaria è portatore di una posizione di garanzia verso il paziente, la cui salute va tutelata
contro un qualunque pericolo che ne minacci l’integrità. Ne consegue la responsabilità per la morte
del paziente sia del medico-chirurgo che, dopo avere eseguito un’operazione chirurgica, pur
perfettamente riuscita, lo abbia affidato nelle mani di personale paramedico non in grado di fornire
idonea assistenza post-operatoria, sia del medico di guardia che, pur rimanendo a disposizione nella
propria stanza durante il turno di servizio, abbia omesso di informarsi sulla presenza di pazienti in
situazioni di emergenza, sia del personale infermieristico per non aver raccolto durante la notte le
richieste allarmate di intervento da parte dei familiari del paziente”. Cass. Pen. Sez. IV, 1 dicembre
2004, dep. 11 marzo 2005, n. 9739, D.A. ed altri, Riv. Pen. 2005, n.7-8, pag. 828. Aleo, S., Centonze,
A., Lanza, E., op. cit., p. 114
46
Le ragioni che hanno favorito questa prassi giurisprudenziale risiedono nella limitatezza delle
conoscenze umane circa le variabili che interferiscono sui decorsi delle patologie, che costituisce un
limite generale in relazione all’accertamento del nesso causale, nei margini di rischio sempre presenti
in ogni intervento terapeutico, anche se eseguito col massimo rispetto delle regole professionali, a
causa della possibilità di incidenza di fattori non prevedibili, nella rilevanza dei beni da proteggere,
costituiti dalla vita umana, integrità fisica, salute, e dalla natura ipotetica del nesso di causalità nel
reato omissivo. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp. 69-70
19
condotta doverosa omessa da parte del sanitario 47. In sostanza per poter attribuire al
medico l’evento bastava la sola possibilità che la condotta omessa avrebbe salvato il
bene protetto cioè “serie ed apprezzabili possibilità di successo” 48. Si è proceduto
pertanto, alla quantificazione aritmetica dell’idoneità salvifica della condotta
omessa49 specificando che pur in un contesto di una probabilità anche limitata, la
sussistenza del nesso di causalità richiedeva comunque “serie ed apprezzabili
possibilità di successo”, alla stregua di tale parametro venne considerata rilevante
una possibilità di successo pari al 30%. Si fece riferimento alle leggi elaborate dalla
statistica sanitaria e si ritenne esistente il nesso di causalità qualora l’intervento
immediato del sanitario avesse avuto anche sole poche possibilità di successo. Venne
precisato poi, che seppur consentito il ricorso a un giudizio di probabilità, in ordine
alla prognosi sugli effetti che avrebbe potuto avere se fosse stata tenuta la condotta
dovuta, era necessario che il nesso causale venisse riscontrato con sufficiente grado
di certezza, se non assoluta almeno con un grado tale da fondare su basi solide
un'affermazione di responsabilità non essendo sufficiente un giudizio di mera
47
Certa dottrina ha evidenziato che tale indirizzo abbandoni di fatto, anche se in modo inespresso, lo
schema causale condizionalistico per adottare il criterio della diminuzione del rischio. Si rientrerebbe
perciò, nell’ambito della teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento, secondo il criterio
dell’aumento o della mancata diminuzione del rischio. Bisogna considerare però che tale teoria nasce
sempre con funzione di restrizione della punibilità, per fatti rispetto ai quali l’efficacia condizionante
della condotta umana appare certa. Blaiotta, R.: Sulla causalità nell’ambito della professione medica:
una pronunzia di legittimità contro tendenza, in Cass. Pen. 2001, p. 129
48
Il rapporto causale sussiste anche quando l’opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente
intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza quanto soltanto serie ed apprezzabili possibilità di
successo, tali che la vita del paziente sarebbe stata probabilmente salvata. Nella ricerca del nesso
causale al criterio della certezza degli effetti della condotta si possa sostituire quello della probabilità
di tali effetti. E’ da aggiungere, altresì, che, quando è in gioco la vita umana, anche solo poche
probabilità di successo di un immediato o sollecito intervento chirurgico sono sufficienti, talchè
sussiste il nesso causale quando un siffatto intervento non sia stato possibile a causa dell’incuria
colpevole del sanitario che ha visitato il paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 7 gennaio 1983, dep. 12 maggio
1983, Melis, in Cass. Pen. 1984, 820, p. 1142 ss. In senso adesivo anche Cass. Pen. Sez. IV, 22 aprile
1987, dep. 10 luglio 1987, Ziliotto, in Riv. It. Med. Leg. 1989, p. 668 ss. Aleo, S., Centonze, A.,
Lanza, E., op. cit., pp. 117-119. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 68
49
Con la sentenza Silvestri si è proceduto alla quantificazione del livello di probabilità sufficiente ai
fini della responsabilizzazione dell’autore della condotta nella misura del trenta per cento delle
probabilità di salvezza del bene protetto. “Nella ricerca del nesso causale tra la condotta dell’imputato
e l’evento, al criterio della certezza degli effetti della condotta, si può sostituire quello della
probabilità di tali effetti – anche limitata (nel caso di specie, il 30%) - e della idoneità della condotta a
produrli; quindi il rapporto causale sussiste anche quando l’opera del sanitario, se correttamente e
tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza, bensì soltanto serie ed apprezzabili
possibilità di successo, tali che la vita del paziente sarebbe stata, con un certa probabilità, salvata, nel
caso di specie tali probabilità erano rafforzate dalla giovane età della paziente e dalla sua forte fibra,
dato che era sopravvissuta per tre giorni dopo le cure ospedaliere”. Cass. Pen. Sez. IV, 12 luglio 1991,
dep. 17 gennaio 1992, n. 1846, Silvestri e Leone in Cass. Pen. 1992, 1115, p. 2104. Aleo, S.,
Centonze, A., Lanza, E., op. cit., p. 124
20
verosimiglianza.
50
In tempi meno remoti la prevalente giurisprudenza pose l'accento
sulle “serie e rilevanti o apprezzabili possibilità di successo”; “sull'altro grado di
possibilità” ed espressioni simili, a tal fine venne apprezzata una percentuale del 75%
di probabilità di sopravvivenza della vittima ove fosse intervenuta una diagnosi
corretta e cure tempestive. 51Il criterio della certezza degli effetti della condotta venne
sostituito con quello della probabilità nel senso che il nesso causale era ritenuto
sussistente quando l’opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente
intervenuta, avrebbe avuto non già la certezza, ma solo serie ed apprezzabili
possibilità di successo, tali da far ritenere che la vita del paziente sarebbe stata
probabilmente salvata.52 Tale orientamento venne criticato da altra parte della
giurisprudenza che ravvisava una violazione delle fondamentali garanzie poste
dall’ordinamento penale a tutela dell’imputato riducendo l’accertamento del nesso
eziologico ad un giudizio meramente ipotetico e non provato, con la conseguenza del
pericolo di un’imputazione oggettiva del reato, fondata non tanto sul rapporto di
causalità tra condotta ed evento, ma sull’aumento del rischio che una determinata
condotta avrebbe apportato al verificarsi di un dato evento.
Orientamento della certezza o quasi certezza 53: secondo questo orientamento la
condotta omissiva era causa dell’evento qualora si riuscisse a dimostrare, con un
50
Cass. Pen. Sez. IV, n. 10437/93.
In tema di responsabilità per colpa professionale del medico, nella ricerca del nesso di causalità tra
la condotta dell'imputato e l'evento, al criterio della certezza degli effetti della condotta, si può
sostituire quello della probabilità di tali effetti e dell'idoneità della condotta a produrli, probabilità che
deve essere seria ed apprezzabile ed avere alto grado di possibilità di successo.(Fattispecie in cui i
giudici di merito avevano apprezzato una probabilità di sopravvivenza del 75% ove fossero
intervenuti una diagnosi corretta e cure tempestive). Cass. Pen. Sez. IV, 7 dicembre 1999, dep. 1
febbraio 2000, n.126, CED 215659. Conforme Cass. Pen. sez. IV, n.1126/2000.
52
In tema di responsabilità penale per colpa professionale del sanitario, nella ricerca del nesso di
causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento, al criterio della certezza degli effetti della condotta
può sostituirsi quello della probabilità e della idoneità della condotta a produrre tali effetti, nel senso
che il rapporto causale sussiste anche quando l'opera del sanitario se correttamente e tempestivamente
intervenuta avrebbe avuto non già la certezza ma solo serie ed apprezzabili possibilità di successo tali
da far ritenere che la vita del paziente sarebbe stata probabilmente salvata. Invero, quando è in gioco
la vita umana, anche limitate probabilità di successo di un immediato intervento chirurgico sono
sufficienti a configurare la necessità di operare. Pertanto, sussiste sempre il nesso di causalità tra la
condotta negligente del sanitario, che non si sia adoperato per un urgentissimo intervento chirurgico,
in ordine al quale spettava di provvedere, e l'evento mortale che ne è seguito, quando tale intervento,
anche se non fosse valso con ogni certezza a salvaguardare la vita del paziente, avrebbe avuto notevoli
probabilità di raggiungere il detto scopo. Cass. Pen. Sez. IV, 7 marzo 1989, dep. 12 maggio 1999, n.
7118, CP 90, 1278.
53
La corte di cassazione ha ad un certo punto deciso di abbandonare il criterio probalistico di
accertamento del nesso causale in ragione dell’eccesso di responsabilizzazione cui poteva dare
origine, anche richiamando le conclusioni del progetto di riforma del codice penale elaborato dalla
51
21
grado di approssimazione confinante con l’intero, che il compimento dell’azione
doverosa avrebbe impedito la produzione dell’evento. Ovviamente non era possibile
pretendere la certezza assoluta di connessione fra gli avvenimenti perché esisteva
sempre un margine di alea impossibile da controllare, coincidente con l’ambito del
fortuito. Il livello di certezza auspicabile era quello umanamente ottenibile con gli
strumenti a disposizione nel momento considerato. Il nesso di causalità poteva essere
accertato in presenza di leggi di copertura che affermavano la regolarità della
successione in un numero di casi prossimo all’intero54. Ciò cui si poteva tendere era
l’alta probabilità logica o credibilità razionale, il convincimento che l’evento avesse
una certa spiegazione e non vi fosse il concorso di fattori da soli idonei a produrlo.
L’elevata probabilità che un fatto si fosse verificato implicava un giudizio di
prossimità alla certezza, di vicinanza al cento per cento delle probabilità 55. In altre
parole, il significato da attribuire all'espressione “con alto grado di probabilità” era
commissione Grossi. Il criterio probalistico appare infatti in contrasto con i principi costituzionali di
legalità, tassatività e colpevolezza del sistema penale. Poneva in termini errati un approccio diverso
sull’accertamento del nesso causale in ambito medico-legale ed in quello giuridico. I margini di
incertezza, nell’ambito medico, dell’efficacia eziologica di dati comportamenti sono considerati
satisfattivi, però poi, nel contesto penalistico, non sono tali perché rimane valido il principio della
presunzione di non colpevolezza ogni qual volta sussistono dubbi, posto che si controverte in materia
di libertà personale. La responsabilità penale del medico. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp. 73-74
54
Con la sentenza Baltrocchi si è espresso l’orientamento circa la necessità che il nesso causale fra
condotta ed evento venga espresso in termini di certezza. La cassazione ha condiviso la posizione
dottrinaria sull’accertamento del nesso di causalità che si basa sul modello della sussunzione sotto
leggi scientifiche, in ragione del quale un evento può essere legato ad un altro solo qualora esista una
legge di copertura di valore universale o statistico che affermi la regolarità della relazione di causa ed
effetto. Nel caso in cui si ricorra a proposizioni statistiche il livello di verificazione del fatto in
presenza di determinati antecedenti, deve essere prossimo all’intero infatti, solo in tali casi il giudizio
di responsabilità penale non risulta in contrasto con il principio di tassatività della norma penale e con
quello di colpevolezza. Nel caso di specie, l’imputato era stato accusato, come medico del pronto
soccorso, di omicidio colposo per non aver disposto il ricovero di un paziente nonostante gli esiti
dell’emogasanalisi fossero tali da far prevedere la crisi cardio-respiratoria, poi verificatasi. Non si era
riusciti a dimostrare che il compimento della terapia doverosa avrebbe salvato o posticipato il decesso
del paziente in modo altamente probabile, sostanzialmente certo. I periti avevano individuato nella
misura del 50% le chances di sopravvivenza del malato. A queste condizioni la morte non poteva
essere ascritto, con il livello di sicurezza necessario all’omissione del sanitario. Cass. Pen. Sez. IV, 28
settembre 2000, dep. 9 marzo 2001, n.1688, Baltrocchi, in Riv. It. Med. Leg. 2001, pp. 805 ss. Aleo,
S., Centonze, A., Lanza, E., op. cit., pp. 137-139. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 75
55
Il giudizio sul rapporto di causalità tra condotta ed evento deve essere formulato secondo regole
giuridiche e non naturalistiche nel senso che su quel giudizio deve fondarsi la individuazione di una
regola di consequenzialità necessaria o anche solo ricorrente in grado elevato, che sia conoscibile dal
soggetto agente, giudizio quindi, da formulare secondo la regola, quantomeno, dell’id quod plerumque
accidit, nella quale è compresa la prevedibilità implicante la prevedibilità con la conseguenza che il
giudice, nel formulare il giudizio di condizionamento, deve rispondere alla domanda sul se, al
momento della condotta, si poteva ritenere conseguenza necessaria o probabile l’effetto che poi dalla
condotta ne è scaturito. Cass. Pen. Sez. IV, 11 gennaio 1999, Traballi, in Cass. Pen. 2001, 21, pp.125
ss. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 78
22
quello che la scienza e il diritto gli attribuivano e cioè dire “alto grado di probabilità”
“altissima percentuale di numero sufficientemente alto di casi” voleva dire che il
giudice poteva affermare che un'azione o un omissione erano stati causa di un evento
in quanto poteva effettuarsi il giudizio controfattuale avvalendosi di una legge
scientifica che enunciava una connessione tra eventi in una percentuale vicino a
cento, questa in sostanza realizzando quella probabilità vicino alla certezza. 56
Successivamente57, venne sottolineata la distinzione tra probabilità statistica e
probabilità logica, facendo notare come una percentuale statistica anche alta poteva
non avere nessun valore causale effettivo nel caso in cui venisse accertato che in
realtà l’evento era stato causato da una diversa condizione; allo stesso modo poteva
accadere che una percentuale statistica medio-bassa potesse risultare positivamente
suffragata in concreto qualora si fosse accertata l’inesistenza di altre possibili cause
esclusive dell'evento che ne escludessero l'interferenza. Venne richiesto l'intervento
delle Sezioni Unite per dirimere il contrasto che nel tempo si era determinato
all'interno della giurisprudenza di legittimità tra i due contrapposti indirizzi
interpretativi in ordine alla ricostruzione del nesso causale. Il primo, delineatosi più
recentemente, come abbiamo visto, riteneva per la sussistenza del nesso causale la
prova che un diverso comportamento del medico avrebbe impedito l'evento con “un
elevato grado di probabilità prossimo alla certezza e cioè in una percentuale di casi
quasi prossima a cento”; per il secondo orientamento, per la sussistenza del nesso di
causalità sarebbero sufficienti “serie ed apprezzabili probabilità di successo” per
l'impedimento dell'evento. Le sezioni unite della Cassazione, per dirimere il
56
In tema di causalità omissiva è possibile ravvisare il nesso causale se l'azione doverosa omessa
avrebbe impedito l'evento con alto grado di probabilità logica ovvero con elevata credibilità nazionale,
cioè con una probabilità vicino alla certezza che può ritenersi raggiunta quando, sulla base di una
legge universale o di una legge statistica, sia possibile effettuare un giudizio controfattuale
(supponendo realizzata l'azione doverosa omessa e chiedendosi se in tal caso l'evento sarebbe venuto
meno con percentuale vicino a cento). Cass. Pen. Sez. IV, 28 settembre 2000, dep. 9 marzo 2001, n.
9780, CP 02,159, nt. Iadecola. In senso conforme. In tema di responsabilità medica il rapporto di
causalità deve essere accertato avvalendosi di una legge di copertura, scientifica o statistica, che
consenta di ritenere che la condotta omissiva, con una probabilità vicina alla certezza, sia stata causa
di un determinato evento. (Fattispecie nella quale si è accertato che un tempestivo ricovero in ospedale
di un paziente colpito da infarto acuto del miocardio avrebbe consentito un adeguato trattamento
terapeutico che, con un alto grado di probabilità in termini di elevati coefficienti percentualistici
vicino a cento o quasi cento, avrebbe migliorato notevolmente la prognosi del paziente ed evitato
l'evento letale verificatosi solo dopo pochi giorni. Cass. Pen. 28 novembre 2000, Di Cintio, CED
218727.
57
Cass. Pen. sez V, 23 gennaio 2002, dep.10 giugno 2002, Orlando. Tale sentenza è stata richiamata
successivamente dalla IV sezione (12/12/2012-14/1/2013 n. 1716)
23
contrasto, si sono pronunciate con la sentenza del 10 luglio 2002, n. 30328, Franzese,
con la quale vennero individuati i criteri da seguire affinchè potesse ritenersi
sussistente il nesso causale. In sintesi, appare opportuno ricordare tali principi: 1) il
nesso causale può essere ravvisato quando alla stregua del giudizio controfattuale
condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza 58 o di una legge
scientifica universale o statistica 59 si accerti che ipotizzandosi come realizzata dal
medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento questo non si sarebbe verificato
ovvero si sarebbe verificato ma in un'epoca significativamente posteriore o con
minore intensità lesiva60;
2) non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso
dalla legge statistica la conferma o meno dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del
nesso causale poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto61 sulla
58
Laddove alcuni elementi non siano spiegabili tramite la riconduzione ad una legge di copertura, si
farà ricorso, alle generalizzazioni del senso comune, ad una regola di esperienza generalizzata, non
espressiva cioè del punto di vista del singolo interprete. In ogni caso, vista l’impossibilità di conoscere
tutti gli antecedenti che espletano efficacia eziologica sulla produzione dell’evento, il giudice deve
avvalersi, necessariamente, di alcune assunzioni tacite, deve cioè ritenere sussistenti determinate
condizioni, ignote o solo ipotizzate, sulla base delle quali, ceteris paribus, la legge di copertura
utilizzata mantiene la propria validità. Aleo, S., Centonze, A., Lanza, E., op. cit., p. 158
59
La gran parte delle leggi di copertura non può che essere di tipo statistico. In questo caso la validità
scientifica della legge è tanto maggiore quanto più elevato è il numero di casi in cui risulta applicabile
(criterio quantitativo), nonché quanto più razionali ed empiricamente controllabili siano gli strumenti
di conferma delle asserzioni (criterio qualitativo: alto grado di credibilità razionale o probabilità
logica). Aleo S., Centonze A., Lanza, E., op. cit., p. 157
60
Il metodo di verifica della causalità viene identificato dalla Suprema Corte nel giudizio
controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica,
universale o statistica. In altre parole un antecedente può essere considerato condizione necessaria di
un evento se e quando esso rientri nell’insieme di quelli che conducono ad eventi del “tipo” di quello
verificatosi nel caso di specie, sulla base di una successione regolare, conforme ad una generalizzata
regola di esperienza o ad una legge dotata di validità scientifica (c.d. legge di copertura), frutto della
migliore scienza ed esperienza di quel momento storico. Tale metodo deve essere utilizzato anche nei
reati omissivi impropri, nel qual caso si dovrà verificare se, eliminata mentalmente l’omissione della
condotta doverosa e sostituita a detto mancato adempimento un ipotetico facere corrispondente al
comportamento doveroso, il singolo evento lesivo, hic et nunc avvenuto, si sarebbe, o non, verificato
ovvero si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. La
S.C. ha ritenuto la responsabilità di un medico dermatologo per aver diagnosticato ed escisso
tardivamente un melanoma a diffusione superficiale: un tempestivo intervento chirurgico avrebbe
garantito al paziente una significativa sopravvivenza. Cass. Pen. Sez. IV, 26 ottobre 2010, dep. 24
novembre 2010, n. 41563, Giordano. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P.,
Sale, C., op. cit., p. 67
61
Ben potrebbe accadere, cioè, che, pur in presenza dell’elevatissima probabilità statistica di
produzione dell’evento in concomitanza di una data condotta, esistano elementi utili ad affermare una
spiegazione causale diversa con riferimento al singolo fatto storico. Così come, pur in presenza di un
coefficiente statistico medio o basso di connessione fra accadimenti, può dimostrarsi l’attendibilità del
nesso di condizionamento, sempre che la ricostruzione della vicenda sia razionalmente credibile. Per
una analisi critica Cfr. Stella, F.: Verità, scienza e giustizia: le frequenze medio-basse nella
successione di eventi. Riv.it. Dir. e Proc. Pen. 2002, p. 1242. Nella sentenza Franzese però non si fa
24
base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile così che all'esito del
ragionamento probatorio che abbia altresì escluso l'interferenza dei fattori alternativi,
risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva
del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo “con alto o elevato grado
di credibilità razionale o probabilità logica”, 62
3) l’insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla
ricostruzione del nesso causale quindi il ragionevole dubbio sulla reale efficacia
condizionante della condotta omissiva del medico rispetto ad altri fattori interagenti
nella produzione dell'evento lesivo comportano la neutralizzazione dell'ipotesi
prospettata dall'accusa e l’esito assolutorio del giudizio 63. Le Sezioni Unite hanno
ripudiato qualsiasi interpretazione che faccia leva, ai fini dell'individuazione del
nesso causale, esclusivamente o prevalentemente su dati statistici ovvero su criteri
valutativi probabilistici mostrando di propendere tra i due indirizzi interpretativi
sopra ricordati, per quello delineatosi in tempi più recente. La necessità di
individuare il nesso di causalità in termini di certezza è riferita non alla certezza
oggettiva storica e scientifica, risultante da elementi probatori inconfutabili sul piano
riferimento al quantum di probabilità necessario perché la connessione possa dirsi accertata. Aleo S.,
Centonze A., Lanza, E., op. cit., p. 165
62
Peraltro, si osserva, non si può pretendere che la spiegazione causale sia data solo dalle leggi
scientifiche universali e da quelle statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico prossimo ad
uno e cioè alla certezza, in quanto vi sono settori, in primis quello medico, sprovvisti o quasi di tali
leggi. Una tale pretesa quindi finirebbe “col frustrare gli scopi preventivo repressivi del diritto e del
processo penale in settori nevralgici per la tutela di beni primari”. Tuttavia le difficoltà (anche
probatorie) ed i limiti della ricostruzione processuale del reato, sottolinea la Cassazione, non possono
volgersi in danno dell’imputato, che altrimenti rischierebbe di essere condannato sulla base del
richiamo a meri dati statistici ed avulsi dalla realtà dei fatti, con grave violazione dei principi di
legalità, tassatività e tipicità della fattispecie penale e di personalità della pena, poiché verrebbe
attribuito all’agente come fatto proprio un evento forse, ma non certamente, cagionato dal suo
comportamento. In aderenza al principio della probabilità logica e l’alto grado di credibilità razionale
la Corte ha annullato, in una fattispecie di lesioni personali colpose, una sentenza di assoluzione di un
medico che, in presenza di quadro diagnostico equivoco, non ha proceduto ad intervento chirurgico
esplorativo che avrebbe permesso di diagnosticare tempestivamente la torsione del funicolo testicolare
in atto ed evitare lo stato necrotico che ne ha reso doverosa l’asportazione. Cass. Pen. Sez. IV, 19
ottobre 2010, dep. 31 dicembre 2010, n. 45871, Pecori. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D.,
Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 85
63
Addebitato a un ginecologo un disturbo depressivo di una paziente per il compimento della
gestazione nonostante gravi malformazioni del feto non rilevate e non segnalate alla gestante: ritenuto
non provato il nesso di causalità fra l’omissione del ginecologo e la depressione, atteso che si trattava
di paziente fragile e che comunque l’interruzione di gravidanza si sarebbe in ipotesi praticata fra il
quarto e quinto mese, quando l’attaccamento fra madre e bambino è già raggiunto. Cass. Pen. Sez. IV,
5 marzo 2009, dep. 24 aprile 2009, n. 17619, Piga. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P.,
Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 76
25
della oggettività bensì alla certezza processuale64 che deve essere raggiunta dal
giudice valorizzando tutte le circostanze del caso concreto secondo un procedimento
logico analogo alla valutazione della prova indiziaria ex art.192 co. 2 c.p.p. e che
consente di ricollegare un evento ad una condotta omissiva al di là di ogni
ragionevole dubbio vale a dire con alto o elevato grado di credibilità razionale o
probabilità logica. Le pronunce successive alla sentenza Franzese 65 mostrano la
necessità di conoscere tutti gli elementi della fattispecie. La giurisprudenza
consolidata ritiene pacifico che nella ricostruzione del nesso di causalità non si può
prescindere dall'individuazione di tutti gli elementi riguardanti la causa dell’evento.
In campo medico, solo conoscendo in tutti i suoi aspetti fattuali e scientifici il
momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia sarà possibile analizzare
la condotta omissiva addebitabile al sanitario, attraverso il giudizio controfattuale
verificando, avvalendosi di leggi statistiche o scientifiche e massime di esperienza
che si attagliano al caso concreto, se, ipotizzandosi come realizzata la condotta
dovuta (ma omessa), l'evento lesivo “al di là di ogni ragionevole dubbio” sarebbe
stato evitato o si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con
minore intensità lesiva. 66 L’elemento innovativo ricavabile dalla sentenza Franzese
consiste nel superamento del concetto di alta probabilità statistica sostituito da quello
64
La certezza processuale sulla sussistenza del nesso di causalità si sostanzia in un alto grado di
credibilità razionale. Mortale scompenso diabetico per inadeguata terapia insulinica: ritenuto
processualmente certo che lo scompenso sarebbe stato evitato da un attento monitoraggio glicemico e
dalla conseguente corretta gestione farmacologica. Cass. Pen. Sez. IV, 22 gennaio 2007, dep. 5 aprile
2007, n. 14130, Pastorelli. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op.
cit., p. 101
65
La struttura sanitaria ed i medici ivi operanti, rispondono a titolo di colpa, dell’evento
pregiudizievole cagionato alla paziente quale conseguenza del comportamento omissivo, negligente
ed imperito dagli stessi assunto in occasione delle errate prestazioni terapeutiche e chirurgiche messe
in atto. In tema di responsabilità medica, il nesso causale tra il danno subito e il comportamento
omissivo dei sanitari, va individuato alla stregua di un giudizio comparativo in forza del quale,
ipotizzandosi come realizzata la condotta doverosa del medico, l'evento lesivo non si sarebbe
verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca notevolmente posteriore o con minore intensità”. Trib.
Campobasso, 3 marzo 2011
66
Nella specie, è stata annullata con rinvio la sentenza di condanna per omicidio colposo pronunciata
nei confronti del primario di un reparto nel quale si erano verificati i plurimi decessi di pazienti per
epatite fulminante, sul rilievo che il giudice di merito aveva mancato di individuare con certezza la
modalità di trasmissione del virus e di insorgenza della malattia risultata letale, cosicché non aveva
saputo motivare in modo convincente l’addebito colposo omissivo, articolato nella decisione di
condanna, sulla pretesa omissione, riconducibile all’imputato, della condotta di vigilanza e del
controllo sull'osservanza, da parte del personale del reparto, delle precauzioni universali atte a
prevenire il contagio durante lo svolgimento delle pratiche assistenziali e terapeutiche. Cass. Pen. Sez.
IV, 25 maggio 2005, n. 25233. Conforme: Cass. Pen. Sez. IV, 11 marzo 2009 n. 10819.
26
della certezza processuale. La legge scientifica di copertura in precedenza
individuata deve essere validata e riscontrata ex post 67. Non sono mancate pronunce
che hanno riproposto le ambiguità antecedenti alla sentenza Franzese68. Altre hanno
seguito solo in maniera formale ed apparente, in ordine al percorso probatorio, i
principi affermati69. In una recente pronuncia la Corte rileva come la sentenza
impugnata, osservava i principi della sentenza Franzese solo formalmente ma in
concreto li disattendeva70. Altrove, la Corte annullava la sentenza facendo notare che
i giudici dell’impugnazione non avevano condotto nessun giudizio controfattuale,
sostituendo il concetto di “alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità
logica” con la “possibilità” 71. In tempi recenti, si ritiene che nella valutazione del
nesso di causalità bisogna considerare anche la natura e i tempi dell’offesa in
67
La Corte, in un caso relativo di omessa diagnosi di un’opacità oculare la quale è stata ritenuta essere
l’antecedente causale di un arresto cardiaco, conferma la sentenza di condanna e ritiene soddisfatti i
requisiti della “alta credibilità razionale e della attendibilità del giudizio controfattuale” similari alla
dicitura più di frequente utilizzata “assai probabilmente”. Cass. Pen. Sez. IV, 15 dicembre 2002,
n.38334, Abissini. Riv. Pen. 2003, p. 1119. Nella sentenza in esame il concetto di alta probabilità ex
post non risulta verificato e si sovrappongono i piani della causalità e della colpa. De Simone
Palatucci, M., op. cit., pp. 88-89
68
In questa decisione la Corte riprende il concetto di “probabilità statistica” ed essenzialmente
l’analisi si limita a quanto riscontrato senza procedere ad un giudizio ex post sulla base delle
circostanze fattuali all’evidenza riscontrabili e non si procede, nemmeno ad escludere eventuali fattori
alternativi che abbiano, eventualmente, potuto determinare l’evento. Cass. Pen. Sez. IV, 21 gennaio
2003, n.17379 De Paula. Giust. Pen. 2004, II, 67. De Simone Palatucci, M., op. cit., pag. 89
69
La decisione affronta il caso di un chirurgo vascolare condannato in secondo grado per omicidio
colposo per non aver impedito la morte della sua paziente deceduta a causa di una tromboembolia
polmonare. La Corte annulla la sentenza di secondo grado perché ritiene che la spiegazione causale ex
ante, a conferma dell’utilità dell’esame diagnostico, è esaustiva, ma è carente la verifica fenomenica
ex post. Cass. Pen. Sez. IV, 25 novembre 2004, n.11977, Nobili. De Simone Palatucci, M., op. cit., p.
91
70
La Corte ha annullato senza rinvio perché ha ritenuto che il fatto non sussiste. Si controverteva in
merito alla vicenda di un chirurgo condannato per non essersi attivato ad impedire la morte di un
paziente sottoposto ad un intervento di colicistectomia laparoscopica e poi deceduto per un’imponente
emorragia. L’addebito mosso al medico era di non aver proceduto tempestivamente ad una ecografia
post-operatoria di controllo per la verifica del decorso patologico. Appare carente, in sede di
impugnazione, la verifica della effettiva attualizzazione dell’azione doverosa omessa per valutare se il
decesso sarebbe stato scongiurato “con alto o elevato grado di credibilità razionale” o “probabilità
logica”. La Corte ha censurato la sentenza nel punto in cui il giudizio di probabilità logica veniva
riferito non alla capacità impeditiva della condotta omessa, ma alle opzioni che, al momento si
ponevano all’imputato. Cass. Pen. n.19334, 2007 R.B. La responsabilità penale del medico. De
Simone Palatucci, M., op. cit. p. 91
71
La Corte annulla la condanna inflitta ad un chirurgo per omicidio colposo emessa dalla Corte di
Appello di Genova. La condanna si fondava sul presupposto che l’imputato, per negligenza,
imprudenza, imperizia non aveva prevenuto adeguatamente e fattivamente il decesso del paziente
causato da setticemia da “stafilococco aureo”. La Corte ha rilevato che per l’individuazione del nesso
causale, non si può far, esclusivamente, riferimento a dati statistici o a criteri probalistici ed, inoltre,
ha sottolineato che l’identificazione del nesso causale non può avvenire in termini di certezza
oggettiva ma processuale. Cass. Pen. Sez. IV, 3 ottobre 2007, n. 36162, Isola. De Simone Palatucci,
M., op. cit., pp. 92-93
27
concreto cagionata e quindi ritenere sussistente il nesso eziologico qualora l’evento si
sarebbe verificato in tempi significativamente, non minuti o ore, più lontani ovvero
anche quando alla condotta colposa omissiva o attiva, sia ricollegabile
un’accelerazione dei tempi di latenza di una malattia provocata da altra causa 72.
Dopo questo excursus giurisprudenziale, si ritiene opportuno esaminare in maniera
più chiaro e concreto il procedimento per giungere ad una “probabilità logica” sul
nesso di causalità, con riferimento ai casi di responsabilità medica 73.
Il punto di partenza dell’indagine sul nesso di causalità sarà la legge di copertura, se
esistente, scientifica74 o statistica75, verificata nella sua attendibilità e fondatezza
valutandone il grado di conferma empirica e il consenso di cui goda nella comunità
scientifica. Occorrerà verificare poi, se la legge di copertura sia utilizzabile nel caso
esaminato perché compatibile con le specifiche caratteristiche di quest’ultimo. 76Altre
caratteristiche del caso concreto da tenere in considerazione ai fini del giudizio di
probabilità logica possono essere il livello di gravità della patologia, la tempestività
dell’accertamento della malattia, l’interazione con altri farmaci somministrati. Si
72
Fattispecie in tema di omicidio colposo, imputato ad un medico radiologo, in posizione funzionale
apicale, per aver controfirmato, in esito ad un esame radiologico da cui è risultata una formazione
neoplastica polmonare, un referto radiologico negativo. Il ritardo diagnostico che ne è derivato
avrebbe, secondo l’accusa, concausato l’exitus. La S.C. ha annullato con rinvio l’impugnata sentenza
di non luogo a procedere non essendo stato adeguatamente approfondito il tema del nesso di causalità;
in particolare non è stato chiarito se un tempestivo intervento chirurgico e una tempestiva terapia
chemioterapica e radioterapica avrebbero consentito di dilazionare significativamente il decesso del
paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 23 settembre 2010, dep. 2 novembre 2010, n. 38586, Montrasio. Giunta,
F., Lubinu G., Micheletti D., Piccialli P., Piras P., Sale C., op. cit., p. 67
73
La probabilità logica, richiamata dalla Sezioni Unite nella sentenza Franzese, è una categoria
concettuale radicalmente distinta da quella della probabilità statistica. Le leggi statistiche ed i correlati
studi costituiscono uno strumento revisionale utile ai fini della prevenzione dei rischi ed ipotizzano un
rapporto causale tra fenomeni senza che provino di per sé un nesso di causalità cioè costituiscono un
indizio da poter valorizzare, insieme ad altri, nell’accertamento di detto rapporto ex post.
74
Ritenuto sussistente il rapporto di causalità fra la mancata diagnosi di microsomia fetale e il mancato
intervento di taglio cesareo con produzione di paresi brachiale alla neonata. Cass. Pen. Sez. IV, 2
aprile 2008, dep. 11 giugno 2008, n. 23507, Martino. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli,
P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 83
75
Morte del paziente per polmonite da inalazione di cibo nell’albero respiratorio: ritenuto accertato il
nesso causale con la mancata diagnosi per un dato statistico: su 38 pazienti affetti da malattia solo 2
sono deceduti e per l’età giovane del paziente e l’assenza di concomitante malattie. Cass. Pen. Sez.
IV, 2 aprile 2007, dep. 1 giugno 2007, n. 21597, Pecchioli. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D.,
Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 83
76
Il giudice dovrà verificare, altresì, se queste leggi siano compatibili con l’età, il sesso, le condizioni
generali del paziente, con la presenza o l’assenza di altri fenomeni morbosi interagenti, con la
sensibilità individuale ad un determinato trattamento farmacologico e con tutte le altre condizioni,
presenti nella persona nei cui confronti è stato omesso il trattamento richiesto, che appaiono idonee ad
influenzare il giudizio di probabilità logica. Cass. Pen. 14 dicembre 2006, dep.2 febbraio 2007, n.
4177.
28
dovranno quindi comparare le peculiarità del caso77 con le condizioni in cui è stata
sviluppata l'indagine scientifica e/o statistica. In casi siffatti, secondo la citata
sentenza Franzese, l’esistenza del nesso causale dovrà essere valutata sulla base delle
massime di esperienza o delle generalizzazioni del senso comune, purché le stesse
abbiano un solido fondamento scientifico che confermi la valutazione che ricollega la
condotta all’evento78. Infine, per concludere sull’argomento ai fini dell’accertamento
del nesso causale bisogna tener conto anche dell’esistenza di eventuali fattori causali
alternativi. 79Questo modus operandi appare come una trasposizione in sede
giudiziaria del metodo della c.d. falsificazione, sostenuto in primis da K. Popper. In
base a tale metodo, per verificare la validità di una legge scientifica il metodo
migliore non è quello di cercare conferme alla sua validità, ma di individuare
elementi che possano smentirla. Infatti per quante conferme positive una legge possa
ricevere, è sufficiente una sola smentita per invalidarla. La ricerca di fattori causali
alternativi diventa quindi fondamentale per ritenere processualmente certo il rapporto
di causalità. Infatti, anche solo il ragionevole dubbio sull’esistenza di una singola
77
Il giudizio sulla sussistenza del nesso di causalità deve essere effettuato non solo sulla base dei dati
statistici evincibili dalle leggi scientifiche di copertura ma anche sulla base delle circostanze del caso
concreto emergenti dal quadro probatorio disponibile agli atti, in modo da ottenere una ragionevole
certezza processuale circa la effettiva derivazione dell’evento concreto dalla specifica condotta
contestata. La Corte, in tema di omicidio colposo, ha confermato la sentenza assolutoria nei confronti
degli imputati medici cardiologi relativamente all’omesso trasferimento del paziente, affetto da infarto
del miocardio, in un centro specializzato in emodinamica. Sulla base del quadro clinico del paziente,
non avrebbe potuto affermarsi con certezza che l’omesso trasferimento dello stesso e le cure che
avrebbe potuto ricevere ne avrebbero ragionevolmente evitato il decesso. Cass. Pen. Sez. IV, 23
giugno 2010, dep. 12 ottobre 2010, n. 36353, Caiazza e altro. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D.,
Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 85
78
Ritenuta insufficientemente motivata l’affermazione di sussistenza del nesso causale basata sulla
norma di comune esperienza che il monitoraggio glicemico impedisce l’insorgere del coma diabetico
e quindi la morte del paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 8 novembre 2006, dep. 25 gennaio 2007, n. 2619
Dumitrescu. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 84
79
L’indagine del p.m. prima e l’attività istruttoria del giudice poi devono essere dirette non soltanto ad
ottenere la conferma dell’ipotesi formulata ma devono riguardare anche la conferma, o meno,
dell’esistenza di fattori causali alternativi che possano costituire elementi di smentita della
ricostruzione ipotizzata”. Cass. Pen. 6 novembre 2007, dep. 10 gennaio 2008, n.840. In senso
conforme: in tema di lesioni colpose gravi in cui sono stati tratti a giudizio un medico radiologo e i
medici rianimatori per non aver tempestivamente rilevato un errore nell’intubazione oro tracheale del
paziente che ha provocato la formazione di una fistola esofago-tracheale e disfagia del paziente. Il
giudizio sul nesso di causalità fra tali comportamenti colposi e l’evento si è appuntato anche
sull’esclusione di fattori causali alternativi che potessero aver provocato l’evento, in particolare: a)
complicanze legate al trauma cranico subito dal paziente nell’incidente stradale che ha occasionato il
ricovero; b) l’abitudine al fumo del paziente stesso. Cass. Pen. Sez. IV, 19 gennaio 2010, dep. 8 aprile
2010, n. 13237, Leonetti ed altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale,
C., op. cit., p. 73
29
ipotesi alternativa non consentirebbe di arrivare alla richiesta “probabilità logica”
circa la sussistenza del nesso di causalità. Tale modo di procedere assumerà tanto
più importanza nel caso in cui non esistano leggi scientifiche applicabili al caso
concreto e quindi il nesso di causalità viene accertato in base a massime d’esperienza
generalmente riconosciute, oppure nel caso in cui le leggi statistiche forniscano
percentuali probabilistiche medio-basse. E’ovvio che il procedimento per giungere
alla richiesta “probabilità logica” non è semplice, soprattutto in ipotesi di causalità
omissiva, ma in tale compito il giudice può essere senz’altro aiutato dall’attività
processuale delle parti. E’ infatti evidente che sarà interesse della difesa, ad esempio,
indicare al giudice i fattori causali alternativi e valorizzare le caratteristiche del caso
concreto che potrebbero portare ad un ragionevole dubbio circa la sussistenza del
nesso di causalità80. Occorre precisare però, che la difesa non ha l’onere di provare
l’esclusione di processi causali alternativi81. Nel campo medico il ragionamento da
seguire per accertare il nesso di causalità non è più il modello nomologico-deduttivo
ma quello statistico-induttivo. Si tratta di un metodo diverso da quello seguito dal
giurista perché il penalista ragiona ispirandosi al modello nomologico-deduttivo che
parte da premesse certe e richiede risposte sicure. Tale metodo non può essere
seguito dal medico legale perché in campo medico esistono vaste informazioni
scientifiche e non è riscontrabile un apparato nomologico che si può porre come
premessa per un ragionamento deduttivo. Il medico legale adotterà invece un metodo
di ragionamento di tipo induttivo basato su fatti caratteristici di ogni singola vicenda
considerata irripetibile e caratterizzata da molti fattori causali. Non potrà dedurre da
premesse certe conclusioni rigorose ma si dovrà basare su osservazioni statistiche e
probalistiche raccogliendo tutti i dati biologici e risalendo ad ogni antecedente
80
La mancanza di prova certa e rigorosa sul nesso di causalità importa l’esito assolutorio del processo.
La Corte, in tema di morte per ustioni da incendio autoprovocato, dalla paziente, ha escluso il nesso
causale ritenendo che la presenza di più personale non avrebbe impedito l’evento e che comunque vi
fu un tempestivo, ma inutile intervento di soccorso. Cass. Pen. Sez. IV, 11 novembre 2009, dep. 17
dicembre 2009, n. 48313, Cellerino. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale,
C., op. cit., p. 91
81
La difesa non ha l’onere di provare che l’evento è stato causato da un processo causale diverso da
quello indicato in imputazione. La Corte, in un caso di dissezione aortica prodotta durante un
intervento di angioplastica, ha annullato con rinvio la condanna basata sull’affermazione che era onere
della difesa provare che le lesioni al paziente erano derivate da causa diversa da un errata manovra
d’introduzione del catetere. Cass. Pen. Sez. IV, 18 ottobre 2008, dep. 4 luglio 2008, n. 27398, Nigri.
Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 113
30
causale di un evento sottolineandone i caratteri e modalità di azione e interazione nel
processo che conduce all’evento. Il medico legale partendo dall’evento concreto
risale induttivamente alla causa che lo ha determinato utilizzando il metodo
criteriologico elaborato dalla dottrina medico-legale, fondato su osservazioni di
valore statistico e di alta probabilità.
6. La colpa penale medica
La condotta colposa82, è caratterizzata, dalla “non volontà” dell’evento, dall’assenza
di dolo e quindi l’evento si verifica per negligenza 83, imprudenza84 o imperizia85
(colpa generica) ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline 86
82
Art. 43 c.p. co.3. Il delitto è colposo o contro l'intenzione quando l'evento, anche se preveduto, non
è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
83
La colpa per negligenza, concerne una condotta di disaccortezza e di disattenzione; il soggetto cioè
assume, per errore ed ignoranza da lui ineccepibili, un comportamento omissivo e volontario diverso,
da quello che una norma di qualsiasi natura impone. Cass. Pen. 16 maggio 1952, Gozzi, GCCP 52, II,
306.
84
L’essenza della nozione di imprudenza consiste nella realizzazione di una attività positiva che non
si accompagni, nelle speciali circostanze del caso, a quelle cautele che la ordinaria esperienza
suggerisce di impiegare a tutela della incolumità e degli interessi propri ed altrui. Cass. Pen. Sez. IV,
21 maggio 1985, dep. 5 giugno 1985, n. 5576, GP 87, II, 56. In tema di responsabilità per delitto
colposo (nella specie interruzione della gravidanza di una paziente) posto in essere nell’esercizio della
professione medica, la scelta compiuta dal sanitario il quale, tra due possibili decisioni, abbia adottato
quella più agevole, ma poco sicura, invece dell’altra, più accurata e meno rischiosa per la salute del
nascituro, integra una ipotesi di condotta imprudente. (Fattispecie nella quale il medico, a cui erano
ben presenti le risultanze di un esame cardiotocografico, indicativo di una probabile sofferenza fetale,
riscontrando un elemento rassicurante costituito dal movimento del feto, aveva rinviato il controllo al
giorno successivo, invece di procedere all’immediato ricovero del paziente, sottoponendola a
monitoraggio e a pronto intervento). Cass. Pen. Sez. V, 9 luglio 2001, dep. 10 ottobre 2001, n. 36590
rv. 219654.
85
L’imperizia è un concetto che si riferisce alla violazione di regole tecniche attinenti all’esercizio di
una determinata professione. Presuppone quindi, che l’agente, consapevole della propria carente
abilità professionale, agisce pur sapendo di non essere in grado di operare. In sostanza si traduce nella
violazione delle c.d. legis artis ovvero quel complesso di regole tecnico-scientifiche, scritte o non
scritte, universalmente riconosciute in ambito sanitario e nelle singole specialità. Cass. Pen. Sez. IV, 2
luglio 2002, n.31452, Cass. Pen. n. 3409/2003. Si ha imperizia quando la condotta del medico è
incompatibile con quel livello minimo di cognizione tecnica, di cultura, di esperienza e di capacità
professionale, che costituiscono il presupposto necessario per l'esercizio della professione medica.
Cass. Pen. Sez. IV, 16 febbraio 1987.
86
Indica un contrasto tra comportamento e regole di condotta le quali presentano la particolarità di
essere direttamente dettate dall’ordinamento giuridico, e trattasi di ipotesi di colpa specifica da fonte
giuridica. In tema di colpa specifica, ad integrare la colpa medesima basta l’inosservanza della regola
cautelare imposta dalla legge, regolamento, ordine o disciplina, purchè beninteso, l’evento verificatosi
sia riconducibile al tipo di evento che tale regola intende prevenire, per cui non vale invocare la
mancanza del requisito della prevedibilità, essendo questa insita nello stesso precetto normativo
violato, nel senso che è stato l’autore di questo a prefigurarsi una volta per tutte la pericolosità di una
certa situazione. Cass. Pen. Sez. IV, 1 dicembre 1989, dep. 2 febbraio 1990, n. 1501 rv. 183204
31
(colpa specifica). La colpa professionale è ravvisabile nell’errore inescusabile cioè in
carenza della necessaria abilità tecnica o nella omessa applicazione delle cognizioni
fondamentali che regolano la professione 87. L’attività medica per sua natura è
rischiosa per cui, la colpa medica ha come caratteristica l’inosservanza di regole di
condotta, le leges artis, che tendono a prevenire il rischio non consentito.
Considerando che l’ambito medico è caratterizzato in prevalenza da regole tecniche
non scritte, per accertare la colpa 88 la dottrina e la giurisprudenza utilizzano i criteri
della prevedibilità89 ed evitabilità90 dell’evento in concreto91, cioè tenendo presente
87
E' stato sostenuto che la misura della perizia oggettivamente richiesta nell'espletamento dell'attività
sanitaria è graduabile a seconda che il medico appartenga alla cerchia dei cattedratici, degli specialisti
o dei semplici generici. Fiandaca – Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 1995, p. 496. Ai
fini della colpa professionale dell'esercente un'attività sanitaria non si richiede una grande perizia, ma
quel minimo che si deve attendere dall'esercente la professione medica. Cass. Pen. Sez. IV, 18
febbraio 1983, dep. 21 ottobre 1983, n. 8784, CP 84, 81. Di fronte all'errore del medico specialista,
invece, è necessario un atteggiamento di maggiore severità, poiché, in tali ipotesi, non si richiede al
sanitario solo quel minimo di cognizioni e l'abilità sopra indicate, ma quella conoscenza e quella
particolare abilità e perizia proprie di chi ha acquisito un titolo specialistico. Cass. Pen. 11 marzo 1983
e in Giustizia Penale, 1984, II, p. 227. Nel caso di prestazioni mediche di natura specialistica,
effettuate da chi sia in possesso del diploma di specializzazione, non può prescindersi dalla
considerazione delle cognizioni generali e fondamentali proprie di un medico specialista nel relativo
campo, non essendo sufficiente il riferimento alle cognizioni fondamentali di un medico generico.
Cass. Pen. Sez. IV, 2 ottobre 1990, dep. 6 novembre 1990, n. 14446, cit. La condotta del medico
specialista (a fortiori se tra i migliori del settore) va esaminata non già con minore ma al contrario
semmai con maggior rigore ai fini della responsabilità professionale, dovendo aversi riguardo alla
peculiare specializzazione e alla necessità di adeguare la condotta alla natura e al livello di
pericolosità della prestazione (cfr., con riferimento al medico sportivo, Cass., 8/1/2003, n. 85),
implicante scrupolosa attenzione e adeguata preparazione professionale (cfr. Cass., 13/1/2005, n. 583).
Cfr. Cass. civ. sez. III, 9/10/2012 n. 17143. Ciò comporta che l’impegno dal medesimo dovuto, se si
profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza
normale in relazione alla specifica attività professionale esercitata, giacchè il professionista deve
impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale della sua categoria, tale
standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e
la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di
responsabilità. Cfr. Cass. civ. n. 17143 cit. testo integrale e nota disponibile su www.neldiritto.it
88
Risponde a titolo di colpa il sanitario quando non valuti le possibili conseguenze di ogni suo atto e
non riduca al minimo i rischi di ogni terapia e dei possibili interventi. Cass. Pen. Sez. IV, 26 ottobre
1983, n. 8917
89
Consiste nella possibilità di prevedere l’evento che conseguirebbe al rischio non consentito
riferendosi sempre al “modello di agente”, arricchito dalle eventuali maggiori conoscenze dell’agente
in concreto. Cass. Pen. Sez. IV, 28 aprile 1994, n. 11007. Nel reato colposo, l’essenza della
colpevolezza è la prevedibilità dell’evento, definita anche come motivabilità. Essa si configura nella
discrepanza tra il processo motivazionale reale del soggetto, che lo ha condotto a compiere il fatto
antigiuridico, ed il processo motivazionale ipotetico che l’agente modello, in determinate circostanze
di fatto, avrebbe potuto compiere in modo conforme alle richieste di liceità dell’ordinamento. (Morte
per trombosi venosa cerebrale non correttamente trattata: negato rilievo ad invocate modalità colpose
dei sanitari poiché, a fronte dei limitati dati scientifici disponibili all’epoca dei fatti, non era possibile
prevedere il rischio trombotico che aveva colpito la paziente). Cass. Pen. Sez. IV, 16 giugno 2010,
dep. 20 agosto 2010, n. 32125, Bacci ed altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P.,
Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 129
32
tutte le circostanze oggettive e soggettive in cui il medico si è trovato ad operare92,
rapportati al parametro oggettivo dell’agente modello 93. Praticamente, secondo il
parametro dell’agente modello la prevedibilità dell’evento 94, che conseguirebbe al
rischio non consentito, va determinato dal giudice con criterio ex ante95, cioè
collocandosi mentalmente nel momento in cui il medico è intervenuto; il medico ha
l’onere di fornire la corretta diagnosi della malattia corredata da tutte le indicazioni e
90
Il giudice deve valutare l’evitabilità dell’evento, cioè è necessario individuare la condotta il c.d.
comportamento alternativo lecito, ossia verificare se qualora il medico si fosse comportato in maniera
osservante della regola cautelare, l’evento stesso si sarebbe verificato ugualmente oppure no. In altre
parole non sussiste l’evitabilità (e quindi la colpa) qualora l’evento si sarebbe verificato anche se il
soggetto avesse agito con diligenza. L’evento mortale deve, dunque, rappresentare la concretizzazione
del rischio che le regole di diligenza violate miravano a prevenire. Cass. Pen. Sez. IV, 26 maggio
2010, dep. 23 settembre 2010, n. 34521, Huscher e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D.,
Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 139
91
Merita annullamento con rinvio la sentenza del giudice di merito che prescinde dalla considerazione
approfondita delle circostanze del caso concreto che avrebbero potuto incidere sul decorso causaleattraverso la possibile interferenza di fattori causali alternativi- e sull’esigibilità nei confronti
dell’imputato del comportamento alternativo rispettoso delle regole professionali. (Fattispecie in tema
di omicidio colposo. La S.C. ha annullato con rinvio la sentenza di merito che ricostruiva la
responsabilità del medico-chirurgo - per ritardata diagnosi di una complicanza postoperatoria e
conseguente omesso tempestivo intervento chirurgico correttivo idoneo- senza valutare in modo
sufficientemente approfondito l’incidenza del quadro patologico che il paziente presentava già al
momento del ricovero-particolarmente grave- sul decorso causale che ha condotto all’exitus e sulle
scelte terapeutiche fruttuosamente praticabili dell’imputato, conseguentemente è stata ritenuta la
violazione delle regole poste dagli artt. 40 e 43 c.p. in tema di accertamento del nesso di causalità e
della colpa). Cass. Pen. Sez. IV, 24 settembre 2009, dep. 11 febbraio 2010, n. 5574 Alquati. Giunta,
F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., pp. 130-131
92
L’agente modello cui fare riferimento e ai fini della prevedibilità di un evento e ai fini della colpa o,
meglio, ai fini della esigibilità dell’osservanza delle regole di condotta sia generiche, dettate dalla
comune prudenza, sia specifiche, dettate dal legislatore, è l’agente del momento in cui è stata posta in
essere la condotta che ha infranto la regola cautelare e, quindi, l’agente modello che tenga conto dello
stato della scienza e della tecnica in quel determinato settore e in quel determinato momento storico.
Cass. Pen. Sez. IV, 30 marzo 2000, dep. 6 febbraio 2001, n.5037.
93
Chi pone in essere una condotta attiva od omissiva per individuare il comportamento diligente
doveroso si deve interrogare su quale tipo di azione, nella situazione concreta, avrebbe posto in essere
l’agente modello svolgendo il suo stesso tipo di attività. Il parametro dell’agente modello si riferisce
all’uomo medio ragionevole con la sua capacità di prevedere i rischi e di evitarne la realizzazione. E’
possibile enucleare una pluralità di figure modello a seconda della disciplina specialistica considerata.
De Simone Palatucci, M., op. cit., pp.164-165
94
Omissis…Ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della
condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante
dell’evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione. Cass.
Pen. Sez. IV, 17 maggio 2006, dep. 6 febbraio 2007, n. 4675 rv. 235660
95
In tema di delitti colposi, la prevedibilità dell’evento dannoso va accertata con criteri ex ante e va
valutata dal punto di vista dell’agente (non di quello che ha concretamente agito, ma dell’agente
modello) per verificare se era prevedibile che la sua condotta avrebbe potuto provocare quell’evento;
il criterio della concretizzazione del rischio, invece, è una valutazione ex post che consente di avere
conferma, o meno, che quel tipo di evento effettivamente verificatosi rientrasse tra quelli che la regola
cautelare mirava a prevenire, tenendo conto che esistono regole cautelari per così dire aperte, nelle
quali la regola è dettata sul presupposto che esistano o possano esistere conseguenze dannose non
ancora conosciute, ed altre cd. rigide, che prendono in considerazione solo uno specifico e
determinato evento. Cass. Pen. Sez. IV, 17 maggio 2006, dep. 6 febbraio 2007, n. 4675 rv. 235662
33
dalla terapia adeguata, le eventuali complicazioni che rientrano nelle evenienze
probabili secondo i dettami della scienza medica. Bisogna considerare le difficoltà
tecniche in concreto96, la sua complessità, il tipo di patologia, le condizioni generali
del paziente, le conoscenze acquisite dalla scienza medica tenendo conto di eventuali
margini di opinabilità che il caso presenta97. La regola cautelare violata deve essere
individuata su base scientifica e fondata su credibilità razionale 98 e non frutto di
congetture o supposizioni del giudice. Le regole cautelari non consentono di
eliminare dall’ origine il rischio 99 né offrono la certezza di un esito positivo. Si è
avvertita perciò la necessità di formalizzare le regole dell’arte individuando delle c.d.
“linee guida”100 codificate sulla base dell’evidenza scientifica con l’intento di
96
La difficoltà dell’intervento e la diligenza del professionista vanno valutate in concreto,
rapportandole al livello di specializzazione del professionista e alle strutture tecniche a sua
disposizione, sicchè il medesimo deve, da un canto, valutare con prudenza e scrupolo i limiti della
propria adeguatezza professionale, ricorrendo anche all’ausilio di un consulto (se la situazione non è
così urgente da sconsigliarlo); e, d’altro canto, deve adottare tutte le misure volte ad ovviare alle
carenze strutturali ed organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e sui risultati
dell’intervento, e laddove ciò non sia possibile, deve informare il paziente, financo consigliandoli, se
manca l’urgenza di intervenire, il ricovero in una struttura più idonea. Cass. 13/4/2007, n. 8826, Cass.
5/7/2004 n. 12273, Cass. 21/7/2003 n. 11316, Cass., 16/5/2000 n. 6318, Cass. 9/10/2012 n. 17143
97
Cass. Civ. Sez. III, 9/10/2012 n. 17143
98
In mancanza di predeterminazione legislativa delle regole cautelari la misura del rischio consentito
resta affidata al potere discrezionale del giudice: il quale dovrà tenere conto che la prevedibilità e la
prevenibilità vanno determinate in concreto, avendo presenti tutte le circostanze in cui il soggetto si
trova ad operare ed in base al parametro relativistico dell’homo eiusdem condicionis et professionis,
parametro che, specialmente nella professione medica, è variegato, dovendo tenersi conto delle
specializzazioni e del livello di conoscenze raggiunto nelle varie specializzazioni. Ne consegue, che se
l’agente è un medico che ha una specializzazione, la responsabilità da rischio non consentito dovrà
essere valutata avuto riguardo ai rischi che le conoscenze certe, raggiunte in quel determinato settore,
consentono o impongono di evitare. Cass. Pen. Sez. IV, 2 marzo 2007, dep. 18 maggio 2007, n.
19354, Duce. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., pp. 135136
99
In tema di responsabilità per colpa medica rischio consentito non significa esonero dall’obbligo di
osservanza delle regole di cautela, ma rafforzamento di tale obbligo in relazione alla gravità del
rischio, che solo in caso di rigorosa osservanza di tali regole potrà effettivamente ritenersi consentito
per quella parte che non può essere eliminata”. Cass. Pen. Sez. IV, 12 novembre 2008, dep. 28
gennaio 2009, n. 4107, Calabrò. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C.,
op. cit., p. 133
100
La natura e l’efficacia giuridica delle linee guida hanno generato un acceso dibattito. Se le si
considera annoverabili nella nozione di discipline di cui all’art. 43 c.p. allora costituiscono il
presupposto per un addebito di colpa specifica, altrimenti, volendole considerare inquadrabili nella
situazione opposta di esclusione ci troveremmo di fronte ad un criterio per valutare l’esistenza o meno
della colpa generica. La giurisprudenza di legittimità, aderendo alla concezione che la colpa va sempre
accertata al momento in cui l’agente ha posto in essere la condotta in base alle conoscenze acquisite,
ritiene condivisibile la seconda impostazione. L’inosservanza delle linee guida, isolatamente
considerata, non è sintomo di colpa perché, ad esempio, un quadro diagnostico diverso può far
propendere per una patologia non contemplata. Cass. Pen. Sez. IV, 24 febbraio 2000, Minella. Cass.
Pen. 2001, 2696. La dottrina interpreta le linee guida e i protocolli non come norme vincolanti, ma in
qualità di indicazioni o suggerimenti per orientare il medico. Lionetto, R., Mazzotta, G.: Le linee
guida: alcune considerazioni su uno degli strumenti culturali su cui si potrebbe fondare la svolta del
34
guidare il medico nelle scelte e ridurre al minimo i rischi clinici. 101 La definizione
ufficiale delle linee guida è stata data nel 1992 dall’Institute of Medicine
statunitense, qualificandole come: “raccomandazioni di comportamento clinico,
prodotte attraverso un processo sistematico allo scopo di assistere i medici e pazienti
nel decidere quali siano le modalità di assistenza più appropriate in specifiche
circostanze cliniche”102. Questa definizione tuttavia, riguarda solo le direttive di
contenuto medico e non tiene conto di quelle dettate da esigenze di risparmio
economico, che tengono conto del rapporto costi-benefici. Ne deriva la prassi di linee
guida aziendali che sono in parte condizionate dall’esigenza di correlare la qualità e
Sistema Sanitario Nazionale. Italian Heart J. Suppl. 2000, I, 617-631; Fiori, A.: Medicina legale della
responsabilità medica, Milano, 1999, 515; Ronchi, E., Compari, O.: Il ruolo di linee guida e protocolli
nella valutazione della colpa medica. Problemi di responsabilità sanitaria, Medicina e diritto, Milano,
123 ss. Una recente pronuncia giurisprudenziale ribadisce che le linee guida e i protocolli, proprio in
ragione delle peculiarità della attività del medico, che sfugge a regole rigorose e predeterminate, non
possono assumere il rango di fonti di regole cautelari codificate, rientranti nel paradigma normativo
dell’art. 43 c.p. “leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Ciò risulta evidente dal carattere non
tassativo (in quanto è la situazione individuale del paziente il punto di partenza della valutazione
clinica) e non vincolante (in quanto non possono prevalere sulla libertà del medico nelle scelte
terapeutiche) sia delle linee guida che dei protocolli. Tale assunto è inoltre confermato dal rilevato
rapporto tra il medico e i pazienti, laddove il medico è sempre tenuto a prescegliere la migliore
soluzione curativa per il paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 19 settembre 2012, (u. p. 11 luglio 2012), n.
35922, Brusco. Corriere giuridico 4/2013, p. 479
101
E’ ritenuto in colpa, per imperizia e negligenza il medico che adotti una terapia non conforme ai
protocolli diagnostici, senza peraltro fondare la propria scelta operativa su sicuri dati anamnestici e
diagnostici per aver inescusabilmente omesso opportuni accertamenti e rilevamenti che avrebbero
permesso di calibrare la risposta terapeutica al quadro sintomatologico del paziente. (Fattispecie in
tema di omicidio colposo. Un bambino, afflitto da vomiti e diarrea da quattro giorni, è stato curato
senza preventivamente valutare l’entità dei liquidi persi ed il suo peso, dati in relazione ai quali i
protocolli terapeutici in uso stabiliscono la corretta posologia del trattamento farmacologico che
avrebbe dovuto essere somministrato.) Cass. Pen. Sez. IV, 18 febbraio 2010, dep. 8 marzo 2010, n.
9199, De Lorenzo. Versa in colpa il medico che opera in contrasto con le regole cautelari contenute
nelle linee guida (Riduzione e sospensione di farmaco con modalità contrastanti con le guide lines
dell’American Psychiatric Association). Cass. Pen. Sez. IV, 14 novembre 2007, dep. 11 marzo 2008,
n. 10795, Pozzi. E’ priva di ogni profilo colposo la condotta del medico che, dovendo effettuare un
intervento di colecistectomia su una paziente ad alto rischio tromboembolitico, per essere la stessa
portatrice di valvola protesica, associata a terapia anticoagulante, abbia affrontato e risolto il problema
del bilanciamento tra il rischio emorragico in soggetto sottoposto a terapia anticoagulante e quello
tromboembolico, derivante dalla sospensione di quel trattamento, conformandosi alle linee guida
dettate dal Trattato di cardiologia di E. Braunwald. Cass. Pen. Sez. IV, 2 marzo 2007, dep. 18 maggio
2007, n. 19354, Duce. Ancorchè le linee guida (nella fattispecie quelle edite a cura della Società
Italiana di neurochirurgia) siano da considerare solo suggerimenti atti a orientare i sanitari nei
comportamenti che devono porre in essere in relazione ai casi concreti, qualora il medico si sia
attenuto alle indicazioni ivi suggerite, l’affermazione di una sua responsabilità colposa impone al
giudice la necessità di spiegare puntualmente quali siano i particolari sintomi sottovalutati
dall’imputato e gli specifici profili di inadeguatezza della terapia attuata. Cass. Pen. Sez. IV, 8 giugno
2006, dep. 14 luglio 2006, n. 24400, Cardillo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P.,
Piras, P., Sale, C., op. cit., pp. 130-136
102
Field, M.J - Lohr, K.N.: Guidelines for clinical practice: from development to use. Washington,
Institute of Medicine, National Academy Press, 1992, 35
35
l’efficienza del servizio prestato con quella di razionalizzare la spesa sanitaria e
contenere i costi. A tal fine è stata individuata una nuova definizione di linee guide:
“raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo
sistematico, coerenti con le conoscenze sul rapporto costo-beneficio degli interventi
sanitari, per assistere medici e pazienti nella scelta delle modalità di assistenza più
appropriate in specifiche circostanze cliniche”103. I Piani Sanitari Nazionali
prevedono ex art. 155 d.lgs n. 12/1998, l’elaborazione di linee guida per la
definizione di criteri di riferimento per l’esercizio delle attività sanitarie. La stessa
normativa ha previsto poi, l’adozione di un piano nazionale per le linee guida
(PNLG), in coordinamento con l’AGE.N.A.S e l’ISS, che hanno prodotto numerose
linee guida nazionali offerte agli operatori sanitari come strumento nella scelta delle
alternative possibili. Diversamente dalle linee guida i protocolli prevedono percorsi
diagnostici ed operativi, quindi vanno intesi come regolamenti la cui vincolatività e
inderogabilità deriva da una fonte normativa di rango superiore, quale la legge 104
oppure da regolamenti delle strutture ospedaliere. Giuridicamente, rientrerebbero
nell’art. 43 c.p. nel novero delle leggi, regolamenti, ordini o discipline. Tuttavia, sia
la giurisprudenza105 che la normativa106 tende a confondere i due piani di efficacia e
di applicazione. Discussa è stata la questione dell’applicabilità in sede penale
dell’art. 2236 c.c.107 che si trova nella normativa civilistica dell’esercizio della
professione intellettuale, e che limita la responsabilità del professionista 108 al dolo e
103
Cartabellotta, Potena: Sanità e management. Il Sole 24 Ore, aprile 2001, 35-41
D.lgs. n. 281/1997. Art. 2, n. 8 prevede l’adozione da parte della Conferenza Stato-Regioni, di:
“indirizzi per l’uniforme applicazione dei percorsi diagnostici e terapeutici in ambito locale e le
misure da adottare in caso di mancato rispetto dei protocolli relativi, ivi comprese le sanzioni a carico
del sanitario che si discosti dal percorso diagnostico senza giustificato motivo”.
105
Cfr. Cass. Pen. Sez. IV, 19 settembre 2012, u. p. 11 luglio 2012, n. 35922, Brusco cit., nota 98,
che considera linee guida e protocolli alla stessa stregua affermandone il carattere non tassativo e non
vincolante.
106
L. 40/2004 e regolamento attuativo D.M. 21 luglio 2004: Linee guida in materia di procreazione
medicalmente assistita. L’art. 7 D.M. cit., definisce le linee guida: “vincolanti per tutte le strutture
autorizzata”. Dunque, le linee guide hanno efficacia di protocolli.
107
Art. 2236 c.c. Responsabilità del prestatore d’opera. Se la prestazione implica la soluzione di
problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di
dolo o di colpa grave. [1176, 1218]
108
Poiché, in base all'articolo 1176 codice civile, la diligenza richiesta nell'adempimento della
prestazione – che solitamente è quella del “buon padre di famiglia” nel caso di obbligazioni inerenti
all'esercizio di un'attività professionale deve essere valutata avendo riguardo alla “natura dell'attività
esercitata”. Nuvolone, P.: Colpa civile e colpa penale. Trent'anni di diritto e procedura penale,
Padova, 1969, p. 696.
Caputo, A.: La responsabilità penale del medico: unicità del concetto di colpa. Filodiritto. Articolo
del 17.09.2011 http://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=2435
104
36
alla colpa grave109 nell’ipotesi in cui la prestazione implichi la soluzione di problemi
tecnici di speciale difficoltà110. Inizialmente la giurisprudenza applicò il concetto di
colpa grave sia nei casi di condotte del medico connotate da imperizia che da
negligenza e imprudenza. Dopo la pronuncia della Corte Costituzionale 111 che ha
avallato tale orientamento, si è cominciato a distinguere i casi in cui la condotta si
concretizzava in comportamenti negligenti o imprudenti da quelli in cui si
concretizzava in un comportamento imperito. E, quindi, nei casi di condotte
negligenti o imprudenti la sussistenza della colpa veniva accertata secondo le regole
generali dettate dall'art. 43 codice penale, con la conseguente rilevanza penale anche
della colpa lieve112, mentre nelle ipotesi di imperizia la condotta del medico aveva
109
Versa in colpa grave il medico specialista, la cui condotta è in contrasto con i canoni fondamentali
della disciplina della sua specializzazione. Cass. Pen. Sez. IV, 6 novembre 2008, dep. 4 dicembre
2008, n. 45126, Ghisellini. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op.
cit., p. 143
110
La giurisprudenza, infatti, afferma che la norma di cui all’art. 2236 c.c. costituisce espressione
della necessità di rapportare alla fattispecie concreta il giudizio di prevedibilità e prevenibilità
dell’evento. Cass. Pen. Sez. IV, 21 aprile 2006, n. 21473, CED 2006, 234414. L’errore medico,
conducente a morte o lesione personale del paziente, può essere valutato sulla base del parametro di
cui all’art. 2236 c.c., vale a dire della colpa grave, solo se il caso imponga la soluzione di particolari
problemi diagnostici e terapeutici in presenza di quadro patologico complesso e passibile di
diversificati esiti terapeutici e quando tanto l’agire urga da escludere alternative d’attesa
(convocazione a consulto di esperti specialisti, trasferimento presso luogo di cura più attrezzato e
similmente). Diversamente, quando non sia presente una situazione emergenziale, o quando il caso
non implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, così come quando venga in rilievo
e sia contestata negligenze e/o imprudenza, i canoni valutativi della condotta colposa non possono
essere che quelli ordinariamente adottati nel campo della responsabilità penale per danni cagionati alla
vita o all’integrità dell’uomo ex art. 43 c.p. Cass. Pen. 23 marzo 1995, Salvati, CP 96, 1835
111
La Corte Costituzionale con sentenza del 28 novembre 1973, n. 166, ha dichiarato non fondata la
questione di legittimità costituzionale degli artt. 42 e 589 c.p. in relazione all'art. 3 Cost. nella parte in
cui consentono che nella valutazione della colpa professionale il giudice attribuisca rilevanza penale
soltanto a gradi di colpa di tipo particolare. Tali norme avrebbero realizzato, secondo il Tribunale di
Varese, una indebita disparità di trattamento tra chi era medico e chi non lo era, essendo il primo
chiamato a rispondere solo per colpa grave a differenza di qualunque cittadino che avrebbe dovuto
risponderne anche per colpa lieve. La Corte ha osservato che l'esenzione o limitazione di
responsabilità di cui all'art. 2236 c.c. trova giustificazione nei caratteri oggettivi dell'attività svolta dal
professionista, nei confronti del quale la responsabilità colposa derivante da imperizia viene limitata,
in relazione alle prestazioni comportanti problemi tecnici di speciale difficoltà, alle sole ipotesi di
colpa grave; mentre le condotte colpose negligenti o imprudenti rimangono ancorate a criteri di
normale severità. Longo, O.: L’evoluzione giurisprudenziale in materia di colpa medica. Filodiritto.
http://filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=1539
112
In materia di colpa professionale, se la contestazione riguarda una condotta imprudente o
negligente del medico, la valutazione del giudice deve essere effettuata nell’ambito della colpa
generica, secondo i criteri normali e di comune applicazione, validi per qualsiasi condotta colposa. In
applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta l’affermazione della responsabilità colposa
del medico il quale, dinanzi ad una sintomatologia equivoca esibita dalla paziente, non aveva atteso
l’esito delle indagini di laboratorio, procedendo, senza che sussistessero ragioni di urgenza, al
raschiamento dell’utero, cui era seguita una malattia della paziente nonché la perdita del feto. Cass.
Pen. Sez. IV, 10 luglio 2001, dep. 16 gennaio 2002, n. 1583, CP 03,877
37
rilevanza penale solo se riconducibile nell'ambito della colpa grave113. La tesi
prevalente, in dottrina e giurisprudenza, è contraria, in sede penale, alla limitazione
della responsabilità per quanto concerne la colpa dovuta ad imperizia. Si argomenta
che l’art.2236 c.c. riguarda solo il settore civilistico nella prospettiva del risarcimento
del danno e si ritiene l’inapplicabilità nel valutare la colpa penale, senza affrontare la
questione se si tratta o meno di problema di speciale difficoltà. 114 Applicare, anche in
sede penale, il parametro dell’art. 2236 c.c. significherebbe violare il principio di
analogia data la natura eccezionale della norma de qua che, pertanto, non
permetterebbe un interpretazione estensiva. L’ordinamento penale, distingue, tra i
vari gradi della colpa, solo ai fini della misura della pena ex art. 133 c.p. e l’art. 43
c.p. non ammette restrizioni nell’accertamento dell’elemento psicologico 115.
113
Il carattere colposo della condotta del sanitario, quando l’addebito sia mosso sotto il profilo
dell’imperizia, deve essere valutato nel ristretto ambito della colpa grave, stabilito dall’art. 2236 c.c.
La gravità è ravvisabile soltanto quando il comportamento del medico sia incompatibile con il livello
minimo di cultura e di esperienza, indispensabile per l’esercizio della professione sanitaria. Cass. Pen.
Sez. IV, 19 febbraio 1981, dep. 15 giugno 1981, n. 5860, CP 82, II, 99. In senso conforme Cass. Pen.
19 febbraio 1981 Desiato, CP 82, 99; Cass. Pen. 13 dicembre 1977, Mongrovejo, CPMA 80, 1561; RP
78, 765; Cass. Pen. 27 giugno 1979, Ghisotti e altro, GP 80, III, 73; RIML 81, 856; Cass. Pen. 19
novembre 1979, Rocco, GP 81, III, 83; A Perugia, 26 marzo 1980, Fini e altro, RIML 80, 890; A
Venezia, 29 aprile 1981, De Vido e altro, ivi 82, 249.
114
Il giudizio di colpa in diritto penale non può essere svolto in base all’art. 2236 c.c., perché,
trattandosi di disposizione eccezionale, opera il divieto di applicazione analogica. (Omesso
approfondimento diagnostico per neoplasia maligna al colon, non riferendo il paziente perdite
ematiche nelle feci: esclusa la colpa del medico, indipendentemente dall’applicazione dell’art. 2236
c.c., senza quindi affrontare la questione se si trattasse di problema di speciale difficoltà). Cass. Pen.
Sez. IV, 14 ottobre 2009, dep. 13 novembre 2009, n. 43446, Dell’Orso. Giunta, F., Lubinu, G.,
Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 142
115
L’art. 2236 c.c. è inapplicabile nell’accertamento della colpa penale, non ammettendo l’art. 43 c.p.
restrizioni nell’accertamento dell’elemento psicologico del reato e rilevando il grado di colpa soltanto
sulla commisurazione della pena. (Negata l’applicazione dell’art. 2236 c.c. riguardo alle regole
cautelari da seguire in ipotesi di parto con distocia di spalla). Cass. Pen. Sez. IV, 27 novembre 2008,
n. 1236, Labriola. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p.
142. La valutazione della colpa professionale in sede penale non è limitata all’ipotesi di colpa grave,
posto che a differenza di ciò che avviene nel processo civile in ragione dell’art. 2236 c.c. ai fini del
risarcimento del danno, l’accertamento dell’elemento psicologico ai sensi dell’art. 43 c.p. non
ammette restrizioni. Cass. Pen. Sez. IV, 16 giugno 2005, dep. 29 luglio 2005, n. 28617 rv. 232447. La
norma dell’art. 2236 c.c., secondo cui il prestatore d’opera è esonerato dall’obbligo del risarcimento
del danno quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, salvo
che il fatto sia stato commesso con dolo o colpa grave, è diretta unicamente a disciplinare l’obbligo
del risarcimento nel rapporto contrattuale citato, nonché in caso di responsabilità aquiliana, ma in
nessun caso può essere estesa all’ordinamento penale al fine di determinare un’ipotesi di non
punibilità per fatti commessi con grado di colpa non grave. Cass. Pen. Sez. IV, 18 dicembre 1989,
dep. 13 luglio 1990, n. 10289 rv. 184881. L’accertamento della colpa professionale del sanitario deve
essere valutata con larghezza di comprensione per la peculiarità dell’esercizio dell’arte medica e per la
difficoltà dei casi particolari, ma pur sempre nell’ambito dei criteri dettati per l’individuazione della
colpa medesima dall’art. 43 c.p. Tale accertamento non può essere effettuato in base al disposto
dell’art. 2236 c.c., secondo cui il prestatore d’opera è esonerato dall’obbligo del risarcimento dei
danni, quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, tranne che
38
Tuttavia, la norma civilistica potrebbe valere come regola di esperienza nel valutare
l’imperizia nei casi complessi116. Da ultimo in ambito della colpa professionale è
intervenuta la legge 8 novembre 2012 n. 189 (di conversione del D.L. 158/2012 117)
pubblicata sulla G.U. del 10 novembre 2012, n. 263, entrata in vigore in data 11
novembre, che all’art. 3118 prevede la depenalizzazione a determinate condizioni,
della colpa lieve dell’esercente la professione sanitaria 119. In parole semplici la
novità introdotta nel diritto penale consiste nel fatto che il medico che si attiene alle
nell’ipotesi di commissione del fatto con dolo o colpa grave. L’applicabilità di tale norma è esclusa
dalla sistematica disciplina del dolo e della colpa in diritto penale per la quale il grado della colpa è
previsto solo come criterio per la determinazione della pena, o come circostanza aggravante, e mai per
determinare la stessa sussistenza dell’elemento psicologico del reato, sicchè il minor grado della colpa
non può avere in alcun caso efficacia scriminante. Cass. Pen. Sez. IV, 22 febbraio 1991, dep. 12 aprile
1991, n. 4028 del 12.4.91 rv. 187774
116
“…...omissis…...tuttavia, detta norma civilistica può trovare considerazione anche in tema di colpa
professionale del medico quando il caso specifico sottoposto al suo esame imponga la soluzione di
problemi di specifica difficoltà, non per effetto di diretta applicazione nel campo penale, ma come
regola di esperienza cui il giudice possa attenersi nel valutare l’addebito di imperizia. Cass. Pen. Sez.
IV, 21 giugno 2007, dep. 26 ottobre 2007, n. 39592, Buggè. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D.,
Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 144
117
L’art. 3 del decreto legge Balduzzi 13 settembre 2012, n. 158, disponeva che: “fermo restando il
disposto dell'articolo 2236 del codice civile, nell'accertamento della colpa lieve nell'attività
dell'esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell'articolo 1176 del codice civile, tiene
conto in particolare dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche
accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Con tale disposizione si recepiva, sul
piano normativo l’orientamento giurisprudenziale secondo cui: si configura la responsabilità
professionale del medico, anche per colpa lieve, ai sensi dell’art. 1176, co.2, c.c., ove, di fronte ad un
caso ordinario, non abbia osservato, per inadeguatezza o incompletezza della preparazione
professionale, ovvero per omissione della media diligenza, quelle regole precise che siano acquisite,
per comune consenso e consolidata sperimentazione, alla scienza ed alla pratica, e quindi,
costituiscano il necessario corredo del professionista che si dedichi ad un determinato settore della
medicina. Cass. 22 febbraio 1998,n. 1847, Giust. Civ. Mass., fasc. 2, 1998. Tale disposizione non
innovava particolarmente la materia ed, anzi, è stata ritenuta inutile. Infatti, il potersi limitare a tenere
conto dell’osservanza delle linee guida lasciava pressoché immutata quella discrezionalità del giudice
che, in particolare negli ultimi quindici anni, ha portato a un notevole aumento delle possibilità dei
pazienti di ottenere risarcimenti da parte di medici, strutture sanitarie e relative assicurazioni.
Montanari Vergallo, G., Frati, P., Zaami, S., Ciancolini, G., Correnti, FR., Di Luca, N.M.: La Riforma
della responsabilità medica in Italia e la depenalizzazione della colpa lieve: criticità. Dipartimento
di Scienze Anatomiche, Istologiche, Medico Legali e dell’Apparato Locomotore, Sapienza Università
di Roma. Rivista Prevention&Research vol. 3 n. 2
118
L’art. 3 mira a contenere il fenomeno della c.d. medicina difensiva, che determina la prescrizione
di esami diagnostici inappropriati, con gravi conseguenze sia sulla salute dei cittadini, sia
sull’aumento delle liste di attesa e dei costi a carico delle aziende sanitarie. Relazione illustrativa al
D.L. n. 158/2012
119
Legge 8 novembre 2012 n. 189. Art. 3: l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento
della propria attività si attiene alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica
non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art.
2043 c.c. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto
della condotta di cui al primo periodo.
39
linee guida può essere penalmente responsabile solo se versa in colpa grave 120. E’
esclusa quindi una sua responsabilità penale se versa in colpa lieve. La prima
osservazione che si può fare è che anziché inserire una specifica norma nel codice
penale si è preferito regolare la materia in un unico testo legislativo che accorpa
argomenti diversi. A mero titolo esemplificativo ricordiamo che la legge citata, tocca
molti aspetti della sanità: riorganizzazione della medicina territoriale, nuove norme
per la nomina dei direttori generali e dei primari, l’attività intramuraria,
aggiornamento dei Lea e delle malattie croniche e rare, nuove regole per prevenire la
ludopatia e scoraggiare il gioco di azzardo, nuove disposizioni in materia di
emergenze veterinarie, farmaci e innovatività terapeutica e prontuario. La nuova
normativa ha sollevato dubbi di legittimità costituzionali 121 anche perché ha
utilizzato la decretazione d’urgenza ex art. 77 cost. anziché, l’ordinario esercizio del
120
Il legislatore ha introdotto una causa di giustificazione, ovvero una situazione in presenza della
quale un fatto che altrimenti costituirebbe reato, non lo è. Mantovani, Diritto penale. Parte generale,
2011, p. 250. Altri sostengono che si tratti di un esimente ovvero una causa di non punibilità.
121
Si veda sul punto S. Breda, Sollevata la prima questione di legittimità costituzionale della legge
Balduzzi, http://www.lider-lab.sssup.it/lider/it/ricerca/in-evidenza/436-sollevata-la-prima-questionedi-legittimità-costituzionale-della-legge-balduzzi.html, con particolare riferimento all’ordinanza
attraverso la quale il Tribunale di Milano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della
legge Balduzzi, qualificata come norma “(…) ad personam che delinea un’area di non punibilità
riservata esclusivamente a tutti gli operatori sanitari che commettono un qualsiasi reato lievemente
colposo nel rispetto delle linee guida e delle buone prassi (…)”, e che come tale si pone in contrasto
con i principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24, 25, 27, 28, 32, 33, 111 cost. La Corte Costituzionale
ha deciso per la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale. Al centro della
pronuncia i Supremi giudici rilevano un difetto di forma “macroscopico” nell’ordinanza del giudice
remittente: “conformemente a quanto eccepito dall’Avvocatura dello Stato”, sostiene la Corte, “il
giudice a quo ha omesso di descrivere la fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio e,
conseguentemente, di fornire un adeguata motivazione in ordine alla rilevanza della questione”. Il
Tribunale di Milano ha, difatti, esclusivamente riferito “di essere investito del processo penale nei
confronti di alcuni operatori sanitari, imputati del reato di lesioni personali colpose gravi, cagionate ad
un paziente con colpa generica e per violazione dell’arte medica”; non precisando “la natura
dell’evento lesivo, le modalità con le quali esso sarebbe stato causato e il grado della colpa ascrivibile
agli imputati; ma soprattutto non precisa se, nell’occasione, i medici si siano attenuti – o, quantomeno,
se sia sorta questione in ordine al fatto che essi si siano attenuti – a “‘linee guida e buone pratiche
accreditate dalla comunità scientifica” proprie del contesto di riferimento, così che possa venire
effettivamente in discussione l’applicabilità della norma censurata”. Tale insufficiente descrizione
della fattispecie concreta, esposta dal remittente in termini “meramente astratti ed apodittici”, secondo
la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale comporta sol per questo la manifesta
inammissibilità della questione. Ciò comporta l’impossibilità e l’inutilità per la Consulta di procedere
ad un analisi delle ragioni di diritto. Dall’ordinanza della Corte emerge un'unica motivazione di natura
strettamente giuridica utile a suffragare la scelta di rigetto. Nella pronuncia si legge come non possa
dimenticarsi che, tanto la giurisprudenza di legittimità che la dottrina maggioritaria, abbiano ritenuto
che “la limitazione di responsabilità prevista dalla norma censurata venga in rilievo solo in rapporto
all’addebito di imperizia, giacché le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole
di perizia: non, dunque, quando all’esercente la professione sanitaria sia ascrivibile, sul piano della
colpa, un comportamento negligente o imprudente”. Corte Costituzionale, ordinanza del 06/12/2013 n.
295. Telesca E., Responsabilità medica: la legge Balduzzi supera l’esame della Consulta. Quotidiano
giuridico Altalex http://www.altalex.com/index.php?idnot=66036
40
potere di iniziativa legislativa ex art. 71 cost. qualora si tratti di disciplinare materie o
settori di materie122. L’art. 3, ridefinisce la disciplina della responsabilità
professionale e rinvia per attuare le norme in ambito assicurativo a successivi
provvedimenti, e ciò appare in contrasto con la pretesa sussistenza dei presupposti di
necessità e urgenza ex art. 77 cost. Inoltre, la norma sarebbe incostituzionale perché
in sede di conversione si è operato uno stravolgimento normativo passando dal
settore civile a quello penale, contrariamente agli insegnamenti della Corte Cost. che
ribadisce l’omogeneità di disciplina nell’iter di conversione dei decreti legge 123. E’
stato fatto notare come il neonato art. 3 della legge citata sia una contraddizione in
termini definendola in culpa sine culpa perché ipotizza la colpa nonostante il rispetto
delle linee guida124. Ciò si pone in netta contraddizione di quanto si afferma in
giurisprudenza che ritiene perito e senza colpa il medico che si attiene alle linee
guida con un limite, perché le stesse non possono escludere la responsabilità penale a
fronte di un quadro clinico che ne impone il discostamento e quindi una condotta
diversa125.
122
La disciplina a regime di materie o settori di materie deve essere oggetto del normale esercizio del
potere di iniziativa legislativa, di cui all’art. 71 cost. Corte Cost. 16 febbraio 2012, n. 22
123
Cfr. Corte cost. cit. (nota 118)
124
La norma suona così al suo destinatario: “Se ti attieni alle linee guida, non rispondi se la tua colpa
è lieve ma solo se è grave”. Come è possibile che sia in colpa il medico che si attiene a linee guida?
Piras, P.: In culpa sine culpa. Commento dell’art. 3 1 co. L. 8 novembre 2012 n. 189. Diritto penale
contemporaneo http://www.penalecontemporaneo.it/upload/1353763675PIRASculpa.pdf
125
A tale logica si è sostanzialmente ispirata la decisione della Corte di Cassazione, laddove ha
considerato comunque colpevole il medico che si era attenuto alle linee guida in uso nella propria
struttura sanitaria, non esercitando la propria autonomia culturale su un paziente considerato
“particolare”, omettendo cioè la verifica della rispondenza delle dimissioni alle specifiche condizioni
di salute del paziente tali da configurarlo come soggetto a rischio. Per il giudicante, infatti,
l’osservanza delle linee guida nulla può aggiungere o togliere al diritto del malato di ottenere le
prestazioni mediche più appropriate né all’autonomia e alla responsabilità del medico nella cura del
paziente soprattutto se esse rappresentino uno strumento improntato a criteri di economicità di
gestione e non alle effettive esigenze del singolo paziente. Cass. Pen. n. 8254/2011. Angioni,
Montanari Vergallo G., Catarinozzi, Iovenitti, Frati. Valore giuridico e medico-legale delle linee
guida. Sapienza Università di Roma Scuola di specializzazione in Medicina Legale. Rivista
Prevention&Research. www.prevention&research.com. Ancora sul punto: L'adeguamento o il
mancato adeguamento del medico alle linee guida non esclude né determina di per se la colpa dello
stesso. Tali linee guida, infatti, contengono valide indicazioni generali riferibili al caso astratto, ma è
altrettanto evidente che il medico è sempre tenuto ad esercitare le proprie scelte considerando le
circostanze peculiari che caratterizzano il caso concreto e la specifica situazione del paziente, nel
rispetto della volontà di quest'ultimo, al di là delle regole previste nei protocolli medici. La verifica
circa il rispetto delle linee guida va, pertanto, sempre affiancata ad un'analisi - svolta eventualmente
attraverso perizia - della correttezza delle scelte terapeutiche alla luce della concreta situazione in cui
il medico si è trovato ad intervenire. Cass. Pen. Sez. IV, 19 settembre 2012, n.35922. Risponde di
omicidio colposo per imperizia, nell'accertamento della malattia, e per negligenza, per l'omissione
delle indagini necessarie, il primario ospedaliero che, in presenza di sintomatologia idonea a porre una
diagnosi differenziale, scostandosi dalle linee guida rimanga arroccato su diagnosi inesatta, benché
41
Volendo ripercorrere brevemente il copioso quadro giurisprudenziale in materia di
linee guida possiamo sintetizzarli in quattro orientamenti: secondo il primo si
riconosce la responsabilità penale del medico che si è discostato negligentemente
dalle linee guida126, altre pronunce hanno escluso la responsabilità penale del medico
che si è attenuto scrupolosamente alle linee guida dettate per la diagnosi o per il
trattamento di una determinata situazione clinica127, un terzo ordine di pronunce
riconosce la responsabilità del medico che si è conformato alle linee guida, senza
praticare trattamenti terapeutici alternativi imposti dalle particolarità della patologia
o dalle condizioni del paziente128, un quarto orientamento perviene ad esenzione di
responsabilità anche in casi in cui il medico non ha osservato le indicazioni contenute
nelle linee guida in considerazione delle circostanze di fatto che suggerivano un
diverso iter comportamentale 129. Alla luce di quanto sin qui esposto, secondo la
nuova norma, se il medico ha erroneamente valutato il quadro clinico e quindi si è
posta in forte dubbio dalla sintomatologia, dalla anamnesi e dalle altre notizie comunque pervenutegli,
omettendo così di porre in essere la terapia più profittevole per la salute del paziente. Cass. Pen. Sez.
IV, 12 luglio 2011, n. 34729. Nel caso di attività, quale quella medica, che comportano una misura di
pericolosità in tutto o in parte ineliminabile e che, tuttavia, si accetta che vengano esercitate per la loro
intrinseca rilevanza (la cura del paziente), il rischio (per la salvezza del paziente) non può essere
certamente evitato, ma deve essere governato e mantenuto entro determinati limiti (cosiddetto rischio
consentito). A tal fine, per stabilire la linea di confine che segna il passaggio dal lecito all'illecito, non
avendovi provveduto né il legislatore, né l'autorità amministrativa, il relativo compito è attribuito al
giudice, con l'aiuto, nella maggior parte dei casi degli esperti. In tale opera di ricostruzione un
importante ausilio può essere trovato nelle cosiddette linee-guida e nei protocolli, che, in talune
situazioni, sono in grado di offrire delle indicazioni e dei punti di riferimenti anche per i medici
chiamati a operare. Tuttavia, in proposito, onde valutare il comportamento del medico, non potrà
tenersi efficacemente conto né delle linee-guida frutto di scelte totalmente economicistiche, né di
quelle obsolete o inefficaci, non potendosi accettare che in tal modo venga attribuito una patente di
legittimità a comportamenti sciatti o disattenti, occorrendo invece avere riguardo alle linee guida
virtuose e scientificamente accreditate. Cass. Pen. Sez. IV, 22 novembre 2011, n. 34402. In una
situazione di particolare difficoltà (shock anafilattico) non esenta da responsabilità il fatto che siano
state seguite le linee guida o siano stati osservati protocolli per una scelta alternativa all’unica scelta
che in concreto si rendeva, nell’evidenza, chiaramente risolutiva (la tracheotocomia). Cass. Pen. Sez.
IV, 18 febbraio 2010, n. 10454. In tema di colpa medica il giudice, nel valutare la correttezza della
scelta operata dal professionista e quindi giudicare della sussistenza o meno del profilo di colpa (in
particolare, nella componente della imperizia), deve effettuare un giudizio "ex ante" collocandosi
mentalmente nel momento in cui il medico fu chiamato ad operare la sua scelta, valutando tutti gli
elementi che consigliarono di adottare una soluzione piuttosto che un'altra e considerando la
consistenza scientifica della scelta con esclusivo riferimento alle "leges artis". Non è pertanto
censurabile la condotta del medico che, fra varie soluzioni terapeutiche prospettabili, tutte ugualmente
foriere di rischi per la vita del paziente, scelga quella meno invasiva, a nulla rilevando la circostanza
che l'intervento terapeutico prescelto si dimostri, solo "ex post", come non indicato. Cass. Pen. Sez.
IV, 25 gennaio 2002, n. 2865.
126
Cass. Pen. Sez. IV, 12 luglio 2011, n. 34729; Cass. Pen. Sez. IV, 11 marzo 2008, 10795
127
Cass. Pen. Sez. IV, 12 giugno 2012, n. 23146
128
Cass. Pen. Sez. IV, 22 novembre 2011, n. 34402
129
Cass. Pen. Sez. IV, 25gennaio2002, n. 2865
42
attenuto alle linee guide risponde penalmente solo se l’errore è dovuto a colpa grave.
I principi giurisprudenziali citati vanno allora reinterpretati perché, per affermare la
responsabilità penale dovrà trattarsi di un quadro clinico che con immediata
evidenza, in maniera macroscopica, impone di discostarsi dalle linee guida. La
verifica della colpa grave o della colpa lieve si dovrà effettuare solo nei casi in cui il
medico si è attenuto alle linee guida, la violazione costituisce colpa grave 130. In
realtà, sembra improbabile riscontrare una colpa grave per aver osservato le linee
guida che contengono norme specialistiche, le regole base dell’arte medica e rari in
giurisprudenza sono i casi in cui si è ravvisata una colpa del medico per essersi
attenuto alle linee guida quando invece avrebbe dovuto discostarsene. L’applicazione
di una linea guida finalizzata anche a ridurre la spesa sanitaria potrebbe essere
valutata come colpa grave perché la Suprema Corte afferma che la prevalenza
dell’interesse del paziente sulle esigenze economiche è una regola basilare. All’art. 3
l. cit. si parla di linee guida accreditate dalla comunità scientifica 131, se si
considerano le numerose linee guida esistenti in materia, per arginare il fenomeno
della medicina difensiva e la c.d. scelta postuma delle stesse a danno avvenuto per
giustificare la condotta del medico, il legislatore dovrebbe indicare con più certezza
quelle idonee allo scopo, magari prevedendone un recepimento con decreto del
ministero della salute. All’indomani dell’entrata in vigore della legge de quo, la
130
La Suprema Corte ha osservato che nel caso di colpa per negligenza ed imprudenza, non può
trovare applicazione la disciplina più favorevole al medico introdotta con la Legge n. 189 del 2012
che limita la responsabilità in caso di colpa lieve. La disposizione obbliga, infatti, a distinguere fra
colpa lieve e colpa grave solo limitatamente ai casi nei quali si faccia questione di essersi attenuti a
linee guida e solo limitatamente a questi casi è possibile escludere la responsabilità penale laddove
venga accertato il rispetto delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
Tale norma tuttavia non può riguardare ipotesi di colpa per negligenza o imprudenza in quanto le linee
guida contengono solo regole di perizia. Cass. Pen. Sez. IV, 11/3/2013, n. 11493. In senso analogo si è
ritenuto che il terapeuta potrà invocare la nuova normativa solo se si sia attenuto a direttive
solidamente fondate e riconosciute. Nel caso di specie non era stato dimostrato che la condotta avesse
osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, per giunta accreditate dalla comunità
scientifica. Pertanto, l'imputato è incorso in quella colpa grave tutt'ora rilevante nell'ambito della
professione medica è rinvenibile "nell'errore inescusabile, che trova origine o nella mancata
applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel
minimo di abilità e perizia tecnica nell'uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell'atto
operatorio e che il medico deve essere sicuro di poter gestire correttamente o, infine, nella mancanza
di prudenza o di diligenza, che non devono mai difettare in chi esercita la professione sanitaria. Cass.
Pen. Sez. IV, 20 gennaio 2014 n. 2347. Altalex http://www.altalex.com/index.php?idnot=22701
131
Si è conferito pieno riconoscimento normativo alle cc.dd. guide lines che l'Institute of Medicine
(IOM) definisce “…statements that include recommendations, intended to optimize patient care, that
are informed by a systematic review of evidence and an assessment of the benefits and harms of
alternative care options”.
43
Cassazione ha affrontato l’analisi della nuova norma in relazione alla successione
delle norme integratrici della legge penale. La Corte ha ritenuto che la novella
legislativa ha introdotto una abolitio criminis ex art. 2 c.p., con applicazione della
norma più favorevole al reo, ravvisando nell’art. 3 l. cit. la parziale abrogazione delle
fattispecie colpose commessi dagli esercenti le professioni sanitarie connotate da
colpa lieve che si collocano all’interno di linee guida o pratiche mediche virtuose
accreditate dalla comunità scientifica 132. In base all’art. 2 c.p., nessuno può essere
punito per un fatto che, secondo una legge intervenuta successivamente, non è reato.
E se vi è stata sentenza di condanna, ne cessano gli effetti e l’esecuzione. Inoltre, se
vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede solo la pena
pecuniaria, la pena detentiva si converte in pena pecuniaria. Se la legge del tempo in
cui è stato commesso il reato è diversa da quella posteriore, si applica la legge più
favorevole al reo, sempre che la sentenza non sia passata in giudicato. In
quest’ultimo caso, infatti, la sentenza non può essere più impugnata, o per decorrenza
dei termini o perché sono stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione previsti.
Dunque, dopo l’entrata in vigore dell’art. 3 l. cit., nei processi penali in corso,
incardinati prima dell’intervento normativo, su presunti illeciti dovuti a colpa lieve,
sarà possibile avvalersi della depenalizzazione. Si applica il principio tempus regit
actum, la controversia giudiziale è regolata dal tempo della norma in vigore al
momento dell’adozione del provvedimento, anche se successiva alla commissione
del fatto133. Prosegue la norma che se la colpa lieve esclude la responsabilità penale,
resta ferma la responsabilità civile ex art. 2043 c.c., da far valere esclusivamente in
sede civile. Lascia perplessi la formulazione della norma nel punto in cui dice che la
colpa lieve perde rilevanza penale, l’imputato viene assolto perché il fatto non
costituisce reato, per poi riacquisirla in sede civile come parametro per determinare il
132
La condotta medica connotata da colpa lieve che si collochi all’interno dell’area segnata da linee
guide o da virtuose pratiche mediche, purchè accreditate dalla comunità scientifica non ha più
rilevanza penale. Cass. Pen. Sez. IV del 29 gennaio 2013, dep. 30 gennaio 2013 n. 268, Brusco. La
Corte ha annullato con rinvio una sentenza di condanna per omicidio colposo nei confronti di un
medico chirurgo che, nella esecuzione di un intervento di ernia discale recidivante, aveva leso vasi
sanguigni con conseguente emorragia letale. Il giudice del rinvio, chiamato a riesaminare il caso, ai
fini dell'eventuale applicazione della norma sopravvenuta più favorevole ex art. 2 cpv. cod. pen. dovrà
ora verificare se esistano linee guida o pratiche mediche accreditate afferenti all'esecuzione di
quell'intervento chirurgico, e se esso sia stato condotto entro i confini segnati da tali direttive, per
valutare, in caso di positivo riscontro, se ricorrano profili di colpa lieve o grave.
133
Benevento, A.: Il decreto Balduzzi salva anche in caso di processo in corso. Il giornale della
Previdenza dei medici e degli odontoiatri. Enpam Anno XVIII, n. 2-2013 pp. 46-47.
44
danno. Inoltre, viene previsto che il danno biologico verrà risarcito sulla base delle
tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del D. Lgs 209 del 7 settembre 2005. Dunque,
vengono accantonate le c.d. tabelle milanesi134. Una recente pronuncia di merito135 in
tema di risarcimento del danno biologico per lesioni micropermanenti, ha però
disapplicato la legge in questione, utilizzando i parametri da essa prevista solo come
base di partenza chiarendo che il risarcimento va riconosciuto anche al di là della
mera quantificazione tabellare operata ex lege. Questa normativa così come è stata
formulata lascia spazio a una serie di considerazioni. Per quanto riguarda il
riferimento all’art. 2043 c.c., il sistema civile tende a risarcire il danno subito e non a
punire il colpevole, inoltre il mancato guadagno e la perdita subita non possono
essere determinati in base alla colpa del soggetto, né il danno biologico. Potrebbero
essere graduate in base alla colpa del soggetto i danni esistenziali e il danno morale
poiché, le sofferenze subite dalla vittima possono essere più o meno gravi se chi le ha
causate ha agito con colpa grave o lieve 136. Il legislatore sembra non aver tenuto
conto del consolidato sistema bipolare: all’interno del quale l’art. 2043 c.c. si
riferisce solo al danno patrimoniale mentre, è l’art. 2059 c.c. che si riferisce al danno
non patrimoniale. E’ questa infatti, la ricostruzione operata dal 2003 in poi, ovvero
dalle “sentenze gemelle”137 della Cassazione e confermate dalle sentenze di “San
Martino”138. La norma formulata in questo modo è contraddittoria perché, da un lato
134
Art. 3 co.3 legge cit.: Il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente della professione
sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7
settembre 2005, n. 209, eventualmente integrate con la procedura di cui al comma 1 del predetto
articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non
previste, afferenti all'attività di cui al presente articolo.
135
Tribunale di Torino, 16 gennaio 2013, P.M., Storani.
136
Riverso, R.: Colpa medica: danni e legislatore da bocciare. Altalex www.altalex.com Articolo del
13.11.2012 http://www.altalex.com/index.php?idnot=59943
137
Cass. 31 maggio 2003 n. 8827, in Giur. It. 2004, 1129; Cass. 31 maggio 2003, n. 8828 in Foro It.
2003, 2272. Forniscono un interpretazione ampia e costituzionalmente garantita dell’art. 2059 c.c. in
collegamento con l’art. 2 della cost. che riconosce i diritti inviolabili dell’uomo e che quindi il danno
non patrimoniale va inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia stato leso un
valore inerente la persona. Questa interpretazione era stata avallata dalla già citata Corte
Costituzionale che ribadiva la necessità di dare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059
c.c. in modo da tutelare tutti i diritti che la costituzione riconosce agli individui, effettuando una
tripartizione interna allo stesso articolo tra danno morale soggettivo inteso quale patema d’animo e
turbamento psichico, danno biologico inteso come danno alla salute psico-fisica, danno esistenziale
inteso quale danno ad ogni altro interesse costituzionalmente garantito. Tucci, C., E.: La valutazione
del danno non patrimoniale alla luce delle innovazioni biotecnologiche. Tesi di Dottorato di Ricerca,
2008-2011, pp. 16-20 e 29
138
Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008 nn. 26972, 26973, 26974, 26975, in Resp. Civ. e Prev., 2009 1,
38. Si è statuito che il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in
45
il giudice non potrebbe condannare il medico che ha agito per colpa lieve e dall’altro
non potrebbe liquidare il danno non patrimoniale (danno biologico, morale,
esistenziale) perché la norma fa espresso riferimento solo all’art. 2043 c.c. che
riguarda il danno patrimoniale 139. Inoltre il riferimento all’art. 2043 c.c. appare
ulteriormente discutibile se si considera che a partire dalla sentenza n.589/99 la
responsabilità sanitaria si inquadra nella responsabilità contrattuale con tutto ciò che
ne segue in sede probatoria e in tema di prescrizione140. Dunque, se le norme civili
sottocategorie variamente etichettate. Quindi, non si sono cancellate le tre categorie di danno ma se ne
è affermato la sola valenza descrittiva. La corte afferma che ai fini della risarcibilità del danno non
patrimoniale per lesioni di diritti costituzionalmente garantiti è necessario oltre l’inviolabilità del
diritto anche la gravità dell’offesa. Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il
parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico. Ulteriore novità
introdotta dalle sentenze di san Martino è stata quella di fornire una nuova chiave di lettura dell’art.
2059 c.c. includendo tra i casi previsti dalla Legge quelli di lesione di valori della persona protetti a
livello costituzionale. Viene ribadita così la bipolarità danno patrimoniale- danno non patrimoniale
ritenendo in quest’ultimo compreso anche il danno biologico e quello esistenziale riconoscendone la
risarcibilità. Risulta in tal modo riconosciuta una sola voce di danno non patrimoniale con una
valutazione onnicomprensiva di tutte le alterazioni aredittuali alla totalità dei pregiudizi non
patrimoniali. Tucci, C., E., op. cit., pp. 16-20 e 29
139
Riverso, R., op. cit.
140
La Corte, infatti, ha costantemente inquadrato la responsabilità dell'ente ospedaliero nella
responsabilità contrattuale, sul rilievo che l'accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o
di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto. Cass. Sez. III, 22 gennaio 1999,
n. 589 ha definito di natura contrattuale la responsabilità del sanitario medico dipendente del Servizio
Sanitario Nazionale ancorchè non fondata su contratto ma sul contatto sociale connotato
dall'affidamento che il malato pone nella professionalità dell'esercente una professione protetta. Anche
recentemente, Cass. Civ. Sez. III, n. 2042/05, ha affermato che la responsabilità dell'ente ospedaliero
ha dunque natura contrattuale e può conseguire, a norma dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento di
quelle obbligazioni che sono direttamente a carico dell'ente debitore. E può anche conseguire, a norma
dell'art. 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal
sanitario, che assume la veste di ausiliario necessario del debitore. Ulteriori sentenze della suprema
Corte dello stesso tenore sono le sentenze: n. 6141/1978; n. 1716/1979; n. 2144/1998; n. 6707/1988;
n. 5939/1993; n. 4152/1995; n. 7336/1998; n. 12233/1998; n. 9198/1999; n. 3492/2002; n.
11001/2003; n. 11316/2003. Cass. 1 marzo 1988 n. 2144, non fa alcuna distinzione tra la
responsabilità dell'ente pubblico ospedaliero e del medico dipendente: in ogni caso di natura
contrattuale di tipo professionale. Le decisioni ispirate a tale principio si basano sul disposto dell'art.
28 Cost. e su tale presupposto l'ente e il sanitario risponderebbero ugualmente per responsabilità
contrattuale. Cass. 11 aprile 1995 n. 9152; Cass. 27 maggio 1993 n. 5939; Cass. 1 febbraio 1991 n.
977. L’assenza di un contratto diretto tra il paziente danneggiato e il medico, non vale a mettere in
discussione la natura contrattuale della sua responsabilità, veicolata dal contatto sociale, in cui il
rapporto tra le parti si identifica. Il fondamento di tali obbligazioni è stato altresì individuato nell’art.
1173 c.c., quale clausola generale aperta, che consente di inserire tra le fonti delle obbligazioni
qualsiasi altro “atto o fatto idoneo a produrle secondo l’ordinamento giuridico”. L’inquadramento in
tale categoria evidenzia una duplice caratteristica del fenomeno: 1) la fonte dell’obbligazione ex art.
1173 c.c. (nel caso di specie, è un fatto, il contatto sociale); 2) la disciplina, mutuata dallo schema
contrattuale del quale il rapporto presenta le caratteristiche funzionali. R. Vaccaro, La responsabilità
professionale medica e quella della struttura sanitaria pubblica e privata: natura giuridica, nesso di
causalità e onus probandi (tratto da Tracce, nel diritto, 2007) disponibile su www.neldiritto.it. La
giurisprudenza fornisce una chiave di lettura autonoma delle due responsabilità infatti, la
responsabilità della struttura ospedaliera non è necessariamente connessa alla sussistenza di profili di
colpa professionale in capo al medico. Conseguentemente, si può avere una responsabilità della
46
restano invariate, il medico ospedaliero che venisse condannato a risarcire i danni in
sede civile per colpa lieve, potrebbe esercitare azione di rivalsa nei confronti
dell’ospedale, nel caso in cui quest’ultimo fosse privo di assicurazione 141. La colpa
lieve non dà diritto ad azione di rivalsa da parte della struttura sanitaria, che in
ipotesi avesse risarcito il danno, nei confronti del medico, prevista solo in caso di
dolo o colpa grave di quest’ultimo 142. Secondo la giurisprudenza l’imperizia, sia
nella scelta del metodo di intervento che nella sua esecuzione, rientra nei casi di
colpa grave. Spetta alla corte dei Conti definire se un indennizzo è dovuto a titolo di
colpa grave. Dal 2000 al 2010 le sentenze della corte dei conti in caso di colpa grave
struttura non solo per il fatto del medico dipendente, ma anche del personale ausiliario o della struttura
stessa, in entrambi i casi, a nulla rileva la natura pubblica o privata dell’ente. Cass. Sez. Un. 1.7.2002,
n. 9556, Cass. n. 571/2005, Cass. n. 1698/2006
141
Le Asl e gli ospedali sono tenuti ad assicurare i medici propri dipendenti. L’assicurazione fornita
nella gran parte dei casi non fornisce una copertura nei casi di colpa grave. Secondo i dati pubblicati
dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori sanitari, oltre il 60% non fornisce una
copertura ominicomprensiva. Anzi, l’azienda è obbligata a rivalersi nei confronti dei dipendenti che
hanno provocato un danno economico per colpa grave. Dopo la finanziaria del 2008 l’azienda non può
più tutelare se stessa e i suoi dipendenti in caso di colpa grave, i dipendenti possono essere tutelati da
una polizza convenzionata solo se gli oneri supplementari restano a proprio carico. La Pera A., Colpa
grave senza tutele. Il Giornale della previdenza 6-2013, pp. 50-51
142
Art. 28 cost. I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente
responsabili secondo le leggi penali, civili, amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti.
In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. Art. 1228 c.c.
Responsabilità per fatto degli ausiliari. Salva diversa volontà delle parti, il debitore che
nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o
colposi di costoro. Art. 2055 c.c. Responsabilità solidale. Se il fatto dannoso è imputabile a più
persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha
regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dalla
entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali.
Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 Testo unico delle disposizioni
concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato. Art. 22 D.P.R. cit.: Responsabilità verso i
terzi. L'impiegato che, nell'esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti,
cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell'art. 23 è personalmente obbligato a risarcirlo. L'azione
di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei
confronti dell'Amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell'ordinamento
giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato. L'amministrazione che abbia risarcito il terzo
del danno cagionato dal dipendente si rivale agendo contro quest'ultimo a norma degli articoli 18 e 19.
Contro l'impiegato addetto alla conduzione di autoveicoli o di altri mezzi meccanici l'azione
dell'Amministrazione è ammessa solo nel caso di danni arrecati per dolo o colpa grave. Art. 23 D.P.R
cit.: Danno ingiusto. È danno ingiusto, agli effetti previsti dall'art. 22, quello derivante da ogni
violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave; restano
salve le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti. La responsabilità personale dell'impiegato
sussiste tanto se la violazione del diritto del terzo sia cagionata dal compimento di atti od operazioni,
quanto se la detta violazione consista nell'omissione o nel ritardo ingiustificato di atti od operazioni al
cui compimento l'impiegato sia obbligato per legge o per regolamento. Benevento, A., op. cit., p. 47
47
medica sono state 66, di cui 39 di condanna. Nel solo 2011 le vertenze aperte sono
state 41, salite a 90 l’anno successivo 143.
E’ stato ritenuto, anche in seguito ad una pronuncia della Cassazione civile 144 che,
sebbene l’art. 2043 codice civile riguardi soltanto il danno patrimoniale e la
responsabilità extra-contrattuale, la riforma non sembra poter modificare la natura
contrattuale della responsabilità medica e l’obbligo di risarcire anche il danno
biologico e il danno morale. Infatti, la legge n. 189/2012 richiama soltanto l’obbligo
previsto dall’art. 2043 codice civile, ossia l’obbligo di risarcire il danno ingiusto e
non anche il tipo di responsabilità, se contrattuale o extra-contrattuale145. La
giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi in questo acceso dibattito dove sembra
prevalere la tesi che nulla sia cambiato in tema di qualificazione contrattuale della
responsabilità medica. Secondo il Tribunale di Varese, il legislatore sembra suggerire
l’adesione al modello di responsabilità civile anteriore al 1999 con conseguente
alleggerimento dell’onere probatorio del medico 146. Il tribunale di Arezzo ritiene
invece, che il nuovo art. 3 l. cit. non impone nessun ripensamento dell’attuale
inquadramento contrattuale della responsabilità medica, limitandosi solo a
determinare un esimente in ambito penale 147. Argomentando in maniera diversa si
143
La Pera A., op. cit. p. 51
Cass. Civ. Sez. III, 10 gennaio 2013, dep. 18 gennaio 2013, n. 4030
145
Montanari Vergallo G., Frati P., Zaami S., Ciancolini G., Correnti FR., Di Luca, N.M., op. cit.
146
La struttura della disposizione legislativa…sembra abbastanza logica…:in sede penale, la
responsabilità sanitaria è esclusa per colpa lieve (se rispettate le linee guida/prassi); in sede civile,
invece, anche in caso di colpa lieve, è ammessa l’azione ex art. 2043 c.c. Così facendo il legislatore
sembra (consapevolmente e non per dimenticanza) suggerire l’adesione al modello di responsabilità
civile medica come disegnato anteriormente al 1999, in cui, come noto, in assenza di contratto, il
paziente poteva richiedere il danno iatrogeno esercitando l’azione aquiliana. È evidente che l’adesione
ad un modulo siffatto contribuisce a realizzare la finalità perseguita dal legislatore (contrasto alla
medicina difensiva) in quanto viene alleggerito l’onere probatorio del medico e viene fatto gravare sul
paziente anche l’onere di offrire dimostrazione giudiziale dell’elemento soggettivo di imputazione
della responsabilità. Tribunale di Varese, 26 novembre 2012, Buffone. Corriere giuridico 4/2013, p.
494. In senso conforme il Tribunale di Enna (sent. n. 252, del 18.5.2013) ha osservato che
l’interpretazione della innovativa disposizione condurrebbe a delineare la sussistenza di un titolo di
responsabilità duplice: a) contrattuale per la struttura sanitaria (ne deriva un termine prescrizionale più
lungo e un onere della prova più leggero per il paziente; b) extracontrattuale per il medico (ne deriva
un termine prescrizionale abbreviato a cinque anni e un onere della prova aggravato per il paziente).
147
La norma del secondo periodo ha la funzione di chiarire che l’esclusione della responsabilità
penale non fa venire meno l’obbligo di risarcire il danno (in ciò sostanziandosi l’obbligo di cui all’art.
2043 c.c.). Atteso che il richiamo all’art. 2043 c.c. è limitato all’individuazione di un obbligo, senza
alcuna indicazione in merito ai criteri da applicare nell’accertamento della responsabilità risarcitoria
(se non che deve tenersi debitamente conto del rispetto delle linee guida e buone pratiche) non
sussistono ragioni per ritenere che la novella legislativa incida direttamente sull’attuale costruzione
della responsabilità medica (diritto vivente) e che imponga un revirement giurisprudenziale nel senso
del ritorno ad un’impostazione aquiliana, con le consequenziali ricadute in punto al riparto degli oneri
144
48
rischierebbe anche una disparità di trattamento con gli altri professionisti con
conseguente violazione dell’art. 3 cost.
La lettura costituzionalmente orientata delle norme porta a concludere che il
legislatore non abbia voluto privare il paziente della maggior tutela risarcitoria
offerta dall’ art. 1218 c. c.148Anche la Suprema Corte persevera nel ritenere che la
materia della responsabilità civile segue le sue regole consolidate, e non solo per la
responsabilità aquiliana del medico, ma anche per la c.d. responsabilità contrattuale
del medico e della struttura sanitaria da contatto sociale.149Secondo noi, questo
spiraglio aperto dal combinato disposto di un articolo di legge e dalle interpretazioni
della magistratura, non elimina la necessità di una introduzione specifica nel codice
penale di una fattispecie che disciplini la responsabilità professionale del medico.
6.1 La colpa del medico nelle fasi del suo intervento
La colpa del sanitario può essere ascritta nelle varie fasi del suo operare cioè nella
fase diagnostica, terapeutica, dell’intervento, assistenziale e di controllo 150. Nella
fase diagnostica, sulla base della sintomatologia rilevata, il medico deve procedere
alla completa e corretta analisi del quadro clinico del paziente. Diversamente, può
essere ritenuto in colpa per aver sottovalutato la sintomatologia 151 del paziente,
ovvero per diagnosi omessa 152 o incompleta153/, tardiva154 o errata155 compresa la
probatori e di durata del termine di prescrizione. Tribunale di Arezzo, 14 febbraio 2013. Corriere
giuridico 4/2013, p. 495
148
Bona: La R.C. medica dopo il decreto legge n. 158/2012: indicazioni per la corretta interpretazione
e per la (dis)applicazione delle nuove disposizioni, p. 51. La valutazione della colpa medica e la sua
tutela assicurativa. Martini, F., Genovese, U., Rimini 2012. Il Corriere giuridico 4/2013, p. 496
149
Punto fermo gli arresti delle sentenze delle Sezioni Unite nel novembre 2008, e tra queste la n.
26973, ed in particolare nel punto 4.3 del c.d. preambolo sistematico, che attiene ai c.d. contratti di
protezione conclusi nel settore sanitario, ed agli incipit giurisprudenziali ivi richiamati, e seguiti da
decisioni di consolidamento. Cassazione Civile, sez. III del 19/2/2013 n. 4030, con nota di B. Guidi,
Dopo la c.d. legge Balduzzi la responsabilità sanitaria ha ancora natura contrattuale http://www.liderlab.sssup.it/lider/it/ricerca/in-evidenza/433-dopo-la-cd-legge-balduzzi-la-responsabilita-sanitaria-haancora-natura-contrattuale.html.
150
Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p.164
151
Versa in colpa il medico che, a fronte di un determinato quadro clinico, sottovaluta i sintomi
manifestati dal paziente nei giorni successivi all’intervento. Cass. Pen. Sez. IV, 26 maggio 2010, dep.
23 settembre 2010, n. 34521, Huscher e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras,
P., Sale, C., op. cit., p. 150
152
Versa in colpa il medico che, a fronte di una sintomatologia grave, omette l’esecuzione di un esame
fondamentale per la formulazione di un’esatta diagnosi. (Perforazione della parte esofagea e mancata
49
valutazione di diagnosi differenziale 156, per la presenza di quadro clinico
suggestivo157, per mancato approfondimento in presenza di dubbi diagnostici158, per
l’ambiguità del quadro clinico 159 o per la presenza di condizioni di rischio 160. Nella
esecuzione di esame con mezzo di contrasto: ritenuta immune da censure la sentenza impugnata, che
evidenzia come una valutazione più approfondita del quadro clinico, mediante mezzo di contrasto,
avrebbe immediatamente rivelato non solo la presenza di una perforazione, ma anche dell’entità della
stessa). Cass. Pen. Sez. IV, 7 luglio 2010, dep. 20 agosto 2010, n. 32175, Casetti e altro. Giunta, F.,
Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 151
153
Versa in colpa il medico che, sulla base della sintomatologia rilevata, non proceda ad una corretta e
completa analisi del quadro clinico del paziente. (Morte per occlusione intestinale successiva ad
intervento chirurgico affrettato e incompleto: ritenuta la colpa dell’imputato che, limitando
l’intervento ad un settore soltanto dell’intestino, aveva trascurato di valutare l’esistenza e la
potenzialità occlusiva di altre aderenze). Cass. Pen. Sez. IV, 25 maggio 2010, dep. 5 luglio 2010, n.
25548, Voltattorni. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p.
151
154
E’ ritenuta la colpa per negligenza, imprudenza, imperizia nell’esercizio dell’attività professionale
del medico ginecologo che abbia erroneamente eseguito e valutato un esame ecografico e,
conseguentemente, sia pervenuto tardivamente a diagnosticare un ritardo di crescita fetale intrauterino
(c.d. IUGR). Da tali errori diagnostici è derivata la morte del nascituro in quanto non è stato possibile
approntare tempestivamente il salvifico parto tramite taglio cesareo. Cass. Pen. Sez. IV, 18 dicembre
2009, dep. 19 marzo 2010, n. 10821, Di Filippo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P.,
Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 152
155
Versa in colpa lo psichiatra che dispone le dimissioni del paziente ritenendo un mero disagio
psicologico sia pure a fronte di un quadro clinico da indagare per malattia organica. (Morte per
complicanze performative da morbo di Crohn non diagnosticato in paziente con disturbi gastrici,
febbre, diarrea, astenia e rilevante calo ponderale). Cass. Pen. Sez. IV, 10 luglio 2009, dep. 16
febbraio 2010, n. 6197, D’Agostino. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P.,
Sale, C., op. cit., p. 153
156
E’ obbligo del medico cui sia sottoposto il caso, a fronte della possibilità di una diagnosi
differenziale non ancora risolta, compiere gli approfondimenti diagnostici necessari per accertare
quale sia l’effettiva patologia che affligge il paziente e adeguare le terapie in corso a queste plurime
possibilità. (Morte per infarto del miocardio non adeguatamente trattato: ritenuta colposa la scelta di
escludere la patologia cardiaca, data anche la sua maggiore gravità rispetto alle altre ipotizzate). Cass.
Pen. Sez. IV, 10 dicembre 2009, dep. 16 febbraio 2010, n. 6215, Pappadà e altri. Giunta, F., Lubinu,
G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., pp. 152-153
157
Versa in colpa il medico che, a fronte di un quadro suggestivo di un’emorragia interna in atto, non
procede a laparatomia e infusioni di sangue, ma somministra eparina, aggravando il quadro. (Morte
per emorragia post-cesareo non diagnosticata). Cass. Pen. sez. IV, 15 ottobre 2009, dep. 2 febbraio
2010, n. 4156, Lagna e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op.
cit., p. 153
158
Versa in colpa il medico che, in caso di dubbio sulla diagnosi, non sottopone il paziente ad ulteriori
controlli. (Morte per infezione non trattata, manifestatasi dopo un intervento di taglio cesareo con
sintomatologia da indagare). Cass. Pen. Sez. IV, 21 giugno 2007, dep. 20 luglio 2007, n. 29211,
Martinelli. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 157
159
L’ambiguità del quadro clinico non giustifica l’inerzia, ma al contrario impone i necessari
approfondimenti diagnostici, con configurabilità di colpa in ipotesi di mancata esecuzione. (Febbre,
trattata con antipiretico, sintomo di una peritonite evolutasi in un fatale shock settico di una
piccolissima paziente). Cass. Pen. Sez. IV, 12 ottobre 2006, dep. 7 dicembre 2006, n. 40289, Ciardini.
Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 158
160
Versa in colpa il medico che, apprezzando una determinata condizione di rischio e attivandosi per i
necessari conseguenti accertamenti diagnostici, non ne segua l’immediata esecuzione ai fini di
ulteriori approfondimenti, che in ipotesi possono e debbono farsi. (Morte per shock ipovolemico da
anemizzazione per perdite ematiche, il medico aveva disposto un prelievo sulla paziente per indagare
un’eventuale emorragia, senza poi verificarne gli esiti e disporre ulteriori esami e in presenza di un
50
fase terapeutica il sanitario per un corretto agire che vale ad escludere una sua
responsabilità colposa deve sempre procedere alla valutazione delle alternative
terapeutiche, quando più alternative sono possibili, il medico deve orientare le
proprie scelte alla massima prudenza per evitare di mettere a rischio la salute del
paziente161. Deve poi valutare l’idoneità della terapia162, nel somministrare i farmaci
bisogna sempre valutare e comparare i possibili benefici e rischi, controllando
costantemente nel corso della cura, le condizioni del paziente 163. Infine, è necessario
sempre attenersi ai protocolli scientifici in caso di terapia sperimentale164. Nella fase
dell’intervento, la colpa del medico sussiste, ad esempio, quando opta per un
determinato intervento quando le caratteristiche del caso lo rendono del tutto
sconsigliabile165. Prima dell’intervento il medico deve sempre procedere, sulla base
dei dati clinici a sua disposizione, a ulteriori accertamenti onde intervenire
quadro suggestivo della malattia in atto. Cass. Pen. Sez. IV, 19 giugno 2006, dep. 22 novembre 2006,
n. 38424, Di Salvo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p.
158
161
Morte per shock ipovolemico successiva a parto: ritenuta colposa la scelta di non praticare gli
adeguati e necessari presidi terapeutici, nonché di trattenere la paziente in una struttura non attrezzata,
una volta accertata l’inutilità delle mere suture vaginali per fermare l’emorragia in corso. Cass.
Feriale, 27 luglio 2010, dep. 23 settembre 2010, n. 34537, Martino e altro. Giunta, F., Lubinu, G.,
Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 161
162
E’ ritenuta la colpa del medico cardiologo che, in fase successiva alle dimissioni del paziente, pur
conoscendo la sintomatologia da cui questi è affetto, nella specie lesione femorale, abbia approvato
una terapia anticoaugulante, inidonea ad influire sulla patologia in atto, anziché, come il rispetto delle
leges artis avrebbe imposto, suggerire il ricovero ospedaliero o l’effettuazione di esami strumentali.
La condotta diligente omessa dall’imputato avrebbe, con alto grado di probabilità logica, evitato
l’evento lesivo in concreto prodottosi. Cass. Pen. Sez. IV, 17 giugno 2009, dep. 6 agosto 2009, n.
32255, Montenero. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p.
162
163
Fattispecie in tema di omicidio colposo nella quale l’imputato aveva prescritto alla vittima,
adolescente affetta da sintomatologia lieve, ovaio policistico con alterazioni di tipo estetico quali acne,
caduta di capelli ed irsutismo, un farmaco adottato per la cura delle neoplasie della prostata su
pazienti maschili, comportante gravi effetti collaterali, senza previ esami ematochimici e della
funzionalità epatica, ed aveva omesso di controllare le sue condizioni di salute, nel corso
dell’assunzione del farmaco, attraverso analoghi esami. Cass. Pen. Sez. IV, 13 marzo 2008, dep. 30
aprile 2008, n. 17499, Remorgida. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale,
C., op. cit., p. 163
164
E’ da considerarsi imprudente ed imperita la condotta del medico che sottoponga un paziente
affetto da una malattia cronica-dermatologica a una terapia in fase sperimentale (ozonoterapia), non
consigliata per la patologia della vittima, praticando il trattamento per un numero di giorni e di sedute
superiori rispetto a quelli indicati nel protocollo stilato dalla Società Scientifica Italiana Ossigeno
Ozono Terapia (S.I.O.T.). Cass. Pen. Sez. IV, 14 aprile 2005, dep. 10 giugno 2005, n. 22034, Agosta.
Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 164
165
Morte per una peritonite diffusa successiva ad intervento di colecistectomia per via laparoscopica:
ritenute colpose le condotte dei medici che avevano effettuato l’intervento con la metodica
laporoscopica anziché laparotomia, nonostante la presenza di massive aderenze causate da pregressi
gravi interventi all’addome, lo rendesse difficile se non impossibile esecuzione. Cass. Pen. Sez. IV, 26
maggio 2010, dep. 23 settembre 2010, n. 34521, Huscher e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti,
D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 164
51
chirurgicamente in situazione di sicurezza 166. Le tardive manovre risolutive durante
l’intervento possono essere fonte di responsabilità colposa in caso di prevedibile
emergenza in relazione alla posizione di garanzia rivestita167. Condotte colpose
possono concretizzarsi per aver effettuato manovre errate 168 oppure perché il
sanitario ha scelto la tecnica operatoria più rischiosa 169 ovvero per violazione
dell’obbligo di astensione dal praticare un intervento estremamente rischioso e di non
certa utilità170. Ancora, genera responsabilità durante la fase dell’intervento la
mancata osservanza della regola c.d. “del conteggio dei ferri” 171. Infine, si può
riscontrare una condotta colposa nella fase assistenziale e di controllo. Ad esempio le
omesse visite per controllare la regolarità del decorso postoperatorio dei pazienti 172
166
Morte per AIDS slatentizzata da un intervento di protesi all’anca destra non preceduto da
approfondimenti, in presenza di alterazioni immunologiche evidenziate da anemia, leucopenia,
piastrinopenia, pergammaglobulinemia e accelerazione della VES: ritenuta la colpa. Cass. Pen. Sez.
IV, 14 luglio 2009, dep. 25 settembre 2009, n. 37880, Wolfram. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D.,
Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 165
167
E’ ritenuto in colpa il medico ginecologo che, nonostante la concreta prevedibilità dell’emergenza
ostetrica e la successiva insorgenza di una situazione di reale pericolo per l’incolumità del nascituro,
nella specie, incagliamento della spalla di feto megalosoma durante la manovra espulsiva, abbia
ritardato il proprio personale intervento, avendo delegato all’ostetrica il ricorso a quelle misure di
particolare emergenza che la disciplina vigente riconduce invece alla propria primaria responsabilità
proprio in ragione della presumibile maggiore capacità tecnica e del più elevato profilo professionale.
Cass. Pen. Sez. IV, 19 maggio 2009, dep. 5 agosto 2009, n. 31968, Raso. Giunta, F., Lubinu, G.,
Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 165
168
Versa in colpa il ginecologo che in caso di parto distocico opera una manovra di trazione anziché
di rotazione, con successive lesioni paralizzanti il braccio del nascituro. Cass. Pen. Sez., IV, 27
novembre 2008, dep. 14 gennaio 2009, n. 1236, Labriola. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D.,
Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 166
169
La scelta compiuta dal sanitario il quale, tra due possibili decisioni, abbia adottato quella ritenuta
più rischiosa, integra una ipotesi di condotta imprudente. Cass. Pen. Sez. IV, 6 novembre 2008, dep. 4
dicembre 2008, n. 45126, Ghisellini. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P.,
Sale, C., op. cit., p. 166
170
L’obbligo del sanitario di astenersi dall’intervento chirurgico presuppone che si versi in ipotesi di
intervento estremamente rischioso e di non certa utilità. (Annullamento con rinvio di una condanna,
della quale una delle ragioni era stata individuata nel non essere necessario e urgente l’intervento
praticato). Cass. Pen. Sez. IV, 12 aprile 2007, dep. 26 giugno 2007, n. 24859, Comitini. Giunta, F.,
Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 166
171
In materia di colpa medica, la rottura durante un operazione chirurgica all’addome, del margine
della pinza e il suo scivolamento nell’addome del paziente, costituiscono condotta colpevole da parte
dei sanitari sotto il profilo dell’omesso conteggio dei ferri dopo la sutura della ferita e della
conseguente omessa rimozione del corpo estraneo: regole semplici di diligenza, di prudenza e di
perizia impongono infatti che quel controllo (mancato nella fattispecie) sia effettuato anche dopo la
sutura in modo tale da poter porre rimedio immediatamente all’eventuale errore. (La Corte ha
ulteriormente specificato che il controllo della rimozione dei ferri spetta all’intera èquipe operatoria,
cioè ai medici, che hanno la responsabilità del buon esito dell’operazione anche con riferimento a tutti
gli adempimenti connessi, e non può essere delegato al personale paramedico, avendo gli infermieri
funzioni di assistenza ma non di verifica). Cass. Pen. Sez. IV, 26 maggio 2004, dep. 6 ottobre 2004, n.
39062, Picciurro. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 169
172
Versa in colpa il medico che, essendo a disposizione del reparto, non effettua ripetute visite in sala
degenza per controllare la regolarità del decorso postoperatorio dei pazienti. Cass. Pen. Sez. IV, 14
52
ovvero la sottovalutazione del quadro sintomatico generano una responsabilità per
colpa del medico173. Il chirurgo capo dell’èquipe operatoria, nel trasferire la sua
posizione di garanzia, deve fornire le necessarie indicazioni terapeutiche e dei
controlli dei parametri vitali del paziente appena operato e deve seguire direttamente,
anche per interposta persona, il decorso post-operatorio; a tal fine, egli ha l’obbligo
di individuare i soggetti che dovranno seguire il decorso post-operatorio del paziente
fino al suo ritorno in reparto; in caso di omissione è da ritenersi
consapevolmente abbandonato il paziente a se stesso
174
che abbia
. Comportamenti negligenti
del medico possono ravvisarsi anche nel caso disponga le dimissioni anticipate di un
paziente ancora a rischio 175 allo stesso modo, nel valutare l’ospedalizzazione del
paziente, si deve sempre operare un bilanciamento di interessi tra la tutela del malato
e l’economicità pubblica per stabilire nel caso concreto se debba o meno prevalere la
tutela della salute.176
luglio 2010, dep. 27 settembre 2010, n. 34845, Amella e altro. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D.,
Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 169
173
Versa in colpa, il medico in servizio presso il pronto soccorso che non abbia proceduto
all’immediato ricovero del paziente pur in presenza di sintomi che, complessivamente considerati,
indicavano una ischemia miocardica in atto. Il ricovero e gli approfondimenti diagnostici che
avrebbero dovuto essere compiuti avrebbero permesso di evitare le prevedibili complicanze cardiache
che hanno condotto a morte il paziente. Cass. Pen. Sez. IV, 11 febbraio 2010, dep. 18 marzo 2010, n.
10680, Bonatesta. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p.
171
174
Nella specie il chirurgo, in vista della fase postoperatoria, aveva trasferito la posizione di garanzia
ad un reparto che sapeva, o avrebbe dovuto sapere, affidato solo a personale paramedico –
indipendentemente dalla competenza, diligenza e scrupolo che costoro possedessero – certamente non
in grado di far fronte all’assistenza di pazienti appena sottoposti a interventi di alta chirurgia, e ad un
medico di guardia per contratto disponibile solo dietro chiamata o a richiesta. Cass. Pen. Sez. IV, 1
dicembre 2004, dep. 11 marzo 2005, n. 9739, Di Lonardo. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D.,
Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 175
175
In tema di responsabilità per colpa professionale medica, correttamente viene affermata una tale
responsabilità nel caso di evento che risulti causalmente riconducibile alla dimissione del paziente da
una struttura ospedaliera, in presenza di condizioni nelle quali sarebbe stato invece necessario
mantenere la degenza, come si verifica allorchè il paziente presenti uno stato patologico produttivo di
un pericolo attuale fronteggiabile esclusivamente, in caso di necessità, con un intervento immediato
che solo l’ambiente ospedaliero possa garantire. Cass. Pen. Sez. IV, 7 aprile 2004, dep. 7 giugno
2004, n. 25310, Ardovino. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti, D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op.
cit., p. 176
176
Il problema dell’ospedalizzazione del paziente continuata deve essere risolto in generale, dai
medici che trattano il caso, nel senso di contemperare le esigenze terapeutiche con quelle di efficienza
ed economicità dell’organizzazione sanitaria pubblica. Quando infatti una patologia può essere
adeguatamente trattata presso l’abitazione del paziente, la continuazione dell’ospedalizzazione non
solo ha carattere di antieconomicità ma è addirittura inutile o dannosa. Se invece la terapia può essere
più utilmente praticata in ambiente ospedaliero va operato un bilanciamento tra la tutela del malato e
l’interesse pubblico a non protrarre i ricoveri oltre un certo limite. E il contemperamento può essere
trovato in un rapporto costi benefici che prenda però in adeguata considerazione la gravità della
53
7. Il consenso del paziente all’atto medico
L’attività medica presuppone la volontà del paziente a sottoporsi alle cure. La
necessità del consenso 177 del paziente al trattamento medico-chirurgico costituisce un
principio giuridico e deontologico. Il medico, prima di avviare qualsiasi attività, dalla
semplice visita ad interventi sul corpo del paziente, deve richiedere il suo consenso,
salvo il caso di pericolo di vita o danno grave alla persona. La regola del consenso è
enunciato in primis nella Costituzione secondo cui, ogni individuo ha diritto
all’autodeterminazione in ordine alla tutela della salute, della libertà e dell’integrità
fisica e psichica178. Infatti, nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario
se non per disposizione di legge. (art. 13179 e 32 cost.)180. Viene poi ribadita, nell’art.
malattia e il pericolo per la salute del paziente che devono, per ovvie ragioni, essere privilegiati. (Cfr.
Cass. Pen. n. 25310/04)
177
Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario:
senza il consenso informato l'intervento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario per
legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità, sicuramente illecito, anche quando è
nell'interesse del paziente; la pratica del consenso libero e informato rappresenta una forma di rispetto
per la libertà dell'individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi. Il consenso
informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento
medico, ma - atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione (la quale vede nella
persona umana un valore etico in sé e guarda al limite del "rispetto della persona umana" in
riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua
persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che
orientano le sue determinazioni volitive) e la nuova dimensione che ha assunto la salute (non più
intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e
quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sé, anche gli aspetti interiori della
vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza) - altresì di eventualmente rifiutare la
terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella
terminale. Cass. Civ. Sez. I , 16 ottobre 2007, n. 21748
178
Art. 32 Cost. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso
violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
179
Art. 13 Cost. La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di
ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per
atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di
necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare
provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria
e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di
ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di
libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
180
A meno che siano obbligatori per legge o che ricorrano gli estremi dello stato di necessità e il
paziente non possa per le sue condizioni prestare il proprio consenso, i trattamenti sanitari sono di
norma volontari (artt. 13 e 32, 2 co., cost.) e la validità del consenso è condizionata all’informazione,
da parte del professionista al quale è richiesto, sui benefici, sulle modalità e in genere sulla scelta tra
54
33, 1° e 5° comma, della legge 23 dicembre 1978 n.833 secondo cui, gli accertamenti
ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari, prevedendosi, in caso di
accertamenti obbligatori, che questi debbano essere comunque accompagnati da
iniziative volte ad assicurare il consenso e la partecipazione di chi vi è obbligato 181.
Nell’art. 1, 1° co. della legge 13 maggio 1978 n.180 è previsto che, anche in ipotesi
di trattamento sanitario obbligatorio della persona affetta da malattia mentale, il
medico deve preventivamente impegnarsi per ottenere il consenso del soggetto.
Anche a livello internazionale, ed in particolare nella Convenzione europea dei diritti
dell’uomo, ratificata in Italia con legge n. 848/1955, all’art. 8, il principio è posto
implicitamente, dove si limita l’ingerenza della pubblica autorità nella vita privata di
una persona per esigenze di tutela della salute collettiva 182. Analoga previsione si ha
diverse modalità operative e sui rischi specifici prevedibili (anche ridotti che possano incidere
gravemente sulle condizioni fisiche o sul bene della vita) dell’intervento terapeutico, informazione che
deve essere effettiva e corretta, e, nel caso che sia lo stesso paziente a richiedere un intervento
chirurgico, per sua natura complesso e svolto in èquipe, la presunzione di un implicito consenso a
tutte le operazioni preparatorie e successive connesse all’intervento vero e proprio, non esime il
personale medico responsabile dal dovere di informarlo anche su queste fasi operative, nel caso di
specie in relazione ai diversi metodi anestesiologici utilizzabili, alle loro modalità di esecuzione e al
loro grado di rischio, in modo che la scelta tecnica dell’operatore avvenga dopo un’adeguata
informazione e con il consenso specifico dell’interessato. Cass. 15 gennaio 1997, n. 364
181
Legge 23 dicembre 1978, n. 833. Norme per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari volontari e
obbligatori. Art. 33 l. cit. “Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi
di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti
dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, secondo l'articolo 32 della
Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto
possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura. Gli accertamenti ed i trattamenti
sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria,
su proposta motivata di un medico. Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono attuati dai
presidi e servizi sanitari pubblici territoriali e, ove necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere
pubbliche o convenzionate. Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori di cui ai precedenti
commi devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione
da parte di chi vi è obbligato. L'unita' sanitaria locale opera per ridurre il ricorso ai suddetti trattamenti
sanitari obbligatori, sviluppando le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed i rapporti
organici tra servizi e comunità. Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio, l'infermo ha diritto di
comunicare con chi ritenga opportuno. Chiunque può rivolgere al sindaco richiesta di revoca o di
modifica del provvedimento con il quale è stato disposto o prolungato il trattamento sanitario
obbligatorio. Sulle richieste di revoca o di modifica il sindaco decide entro dieci giorni. I
provvedimenti di revoca o di modifica sono adottati con lo stesso procedimento del provvedimento
revocato o modificato.
182
C.E.D.U. Art. 8 - Diritto al rispetto della vita privata e familiare.1. Ogni persona ha diritto al
rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. 2. Non può
esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia
prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la
sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa
dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la
protezione dei diritti e delle libertà altrui.
55
nella Convenzione di Oviedo, del 4 aprile 1997, sui diritti dell’uomo e sulla
biomedicina183, ratificata in Italia con legge n.145/2001 (seppure ancora non risulta
depositato lo strumento di ratifica). Inoltre, la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, sancisce all’art. 3 che
ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica e che nell’ambito della
medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, il consenso
libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge
(Vedi Corte Cost. 438/2008). L’art. 5 c.c.184 sancisce il divieto degli atti di
disposizione del proprio corpo che causano una diminuzione permanente
dell’integrità fisica, ma riconosce il diritto di disporne nei limiti in cui sia funzionale
a finalità terapeutiche185. In ambito deontologico, il principio del consenso del
183
Convenzione di Oviedo. Capitolo II: Consenso. Art. 5 Regola generale. Un intervento nel campo
della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso
libero e informato. Questa persona riceve innanzitutto una informazione adeguata sullo scopo e sulla
natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi
momento, liberamente ritirare il proprio consenso. Art. 6 Protezione delle persone che non hanno la
capacità di dare consenso. (1) Sotto riserva degli articoli 17 e 20, un intervento non può essere
effettuato su una persona che non ha capacità di dare consenso, se non per un diretto beneficio della
stessa. (2) Quando, secondo la legge, un minore non ha la capacità di dare consenso a un intervento,
questo non può essere effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una
persona o di un organo designato dalla legge. Il parere di un minore è preso in considerazione come
un fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del suo grado di maturità. (3)
Allorquando, secondo la legge, un maggiorenne, a causa di un handicap mentale, di una malattia o per
un motivo similare, non ha la capacità di dare consenso ad un intervento, questo non può essere
effettuato senza l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di una persona o di un organo
designato dalla legge. La persona interessata deve nei limiti del possibile essere associata alla
procedura di autorizzazione. (4) Il rappresentante, l’autorità, la persona o l’organo menzionati ai
paragrafi 2 e 3 ricevono, alle stesse condizioni, l’informazione menzionata all’articolo 5. (5)
L’autorizzazione menzionata ai paragrafi 2 e 3 può, in qualsiasi momento, essere ritirata nell’interesse
della persona interessata. Art. 7 Tutela delle persone che soffrono di un disturbo mentale. La persona
che soffre di un disturbo mentale grave non può essere sottoposta, senza il proprio consenso, a un
intervento avente per oggetto il trattamento di questo disturbo se non quando l’assenza di un tale
trattamento rischia di essere gravemente pregiudizievole alla sua salute e sotto riserva delle condizioni
di protezione previste dalla legge comprendenti le procedure di sorveglianza e di controllo e le vie di
ricorso. Art. 8 Situazioni d’urgenza. Allorquando in ragione di una situazione d’urgenza, il consenso
appropriato non può essere ottenuto, si potrà procedere immediatamente a qualsiasi intervento medico
indispensabile per il beneficio della salute della persona interessata. Art. 9 Desideri precedentemente
espressi. I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un
paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in
considerazione.
184
Art. 5 c.c. Atti di disposizione del proprio corpo. Gli atti di disposizione del proprio corpo sono
vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti
contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. [c.c., art. 1343, 1418].
185
Questo divieto non deve essere inteso come principio assoluto perché, essendo la salute
costituzionalmente tutelata come bene primario, il paziente deve potersi sottoporre a trattamenti
sanitari ritenuti più efficaci per salvaguardarlo. Il soggetto interessato, dunque, se può disporre del
diritto all’integrità fisica nei limiti in cui sia funzionale a finalità terapeutiche la ratio dell’art. 5 c.c.
circoscrive gli atti non consentiti a quelli che non sono tesi alla tutela della propria salute come ad
56
paziente incontra riconoscimento e disciplina negli artt. 33-38 del Nuovo codice di
deontologia medica approvato il 16 dicembre 2006 che riflette le linee di
regolamentazione del precedente codice deontologico del 1998 186. Il fondamento
esempio, il prelievo di organi ai fini di trapianto a favore di altri, a seguito del quale risultino
irrimediabilmente pregiudicate le funzioni vitali. Il disposto dell’art. 5 c.c. non mortifica quindi, la
libertà di autodeterminarsi, anzi, la protegge in quanto vieta esclusivamente l’abuso, non l’atto
dispositivo del proprio corpo. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 101. Per giurisprudenza costante
“gli atti dispositivi del proprio corpo, quando rivolti alla tutela della salute, anche psichica devono
ritenersi leciti. La natura terapeutica che la scienza assegna all’intervento chirurgico, e che la legge
riconosce ne esclude la illiceità”. Corte costituzionale 25 maggio 1985, n. 161, For. It, 985, I, p.21. La
Corte di Assise di Firenze con sentenza n. 13/90 confermata da Cass. n. 5639/92 ha collocato l’art. 5
c.c. nell'ambito degli articoli 13 e 32 della Costituzione puntualizzando che quest'ultimo (art. 32) è
una norma di rango primario che, tutelando la salute come fondamentale diritto dell'individuo, pone
un principio all'interno del quale si colloca il disposto del articolo 5 del Codice Civile. Ciò comporta
che il limite della diminuzione permanente dell'integrità fisica in relazione agli atti di disposizione del
proprio corpo è necessariamente "inoperante" in caso di atti (medico chirurgici) volti alla tutela della
salute della persona ovviamente consenziente. Va precisato, per completezza di informazione, che, in
realtà, alcuni particolari settori dell’attività medica trovano, quanto al consenso del malato, una
qualche più puntuale regolamentazione giuridica (con la previsione della necessaria previa
informazione del paziente e, talvolta, della forma scritta della raccolta del consenso), come la materia
della trasfusione di sangue (D.M. del 1 settembre 1995 e, poi, del 26 gennaio 2001) e dei trapianti
d’organo (legge 26 giugno 1967, n. 458, in tema di trapianto del rene tra viventi), la sperimentazione
dei farmaci (D.M. del 27 aprile 1992), gli accertamenti circa l’infezione da Hiv (legge 5 giugno 1990,
n.135) ed i trattamenti radiologici mediante radiazioni ionizzanti (D. Lgs n.230 del 17 marzo 1995).
186
Art. 33 Informazione al cittadino. Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione
sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e
sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate. Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo
conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte
decisionali e l’adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche. Ogni ulteriore richiesta di
informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. Il medico deve, altresì, soddisfare le
richieste di informazione del cittadino in tema di prevenzione. Le informazioni riguardanti prognosi
gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere
fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza.
La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto
l’informazione deve essere rispettata. Art. 34 Informazione a terzi. L'informazione a terzi presuppone
il consenso esplicitamente espresso dal paziente, fatto salvo quanto previsto all’art. 10 e all’art. 12,
allorché sia in grave pericolo la salute o la vita del soggetto stesso o di altri. In caso di paziente
ricoverato, il medico deve raccogliere gli eventuali nominativi delle persone preliminarmente indicate
dallo stesso a ricevere la comunicazione dei dati sensibili. Art. 35 Acquisizione del consenso. Il
medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso
esplicito e informato del paziente. Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e
nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili
conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata
della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all'art. 33. Il
procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per
l'incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa
informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito una opportuna documentazione del
consenso. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere
dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro
la volontà della persona. Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente
57
della liceità penale dell’attività medica consiste nella sua vantaggiosità sociale, nella
sua utilità per la collettività perché tutela un interesse costituzionalmente protetto
quale quello della salute187. Il consenso del paziente è requisito di validità
dell’attività del medico, del trattamento sanitario e non del contratto d’opera
professionale e, in particolare alla diagnosi della situazione del paziente ed alla scelta
della terapia188. La libertà del soggetto si sostanzia nel diritto di rifiutare e
interrompere le cure189. Lo stesso art. 34 IV co. del codice di deontologia medica
incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento
terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente. Art.36 Assistenza di urgenza.
Allorché sussistano condizioni di urgenza, tenendo conto delle volontà della persona se espresse, il
medico deve attivarsi per assicurare l’assistenza indispensabile. Art. 37 Consenso del legale
rappresentante. Allorché si tratti di minore o di interdetto il consenso agli interventi diagnostici e
terapeutici, nonché al trattamento dei dati sensibili, deve essere espresso dal rappresentante legale. Il
medico, nel caso in cui sia stato nominato dal giudice tutelare un amministratore di sostegno deve
debitamente informarlo e tenere nel massimo conto le sue istanze. In caso di opposizione da parte del
rappresentante legale al trattamento necessario e indifferibile a favore di minori o di incapaci, il
medico è tenuto a informare l'autorità giudiziaria; se vi è pericolo per la vita o grave rischio per la
salute del minore e dell’incapace, il medico deve comunque procedere senza ritardo e secondo
necessità alle cure indispensabili. Art. 38 Autonomia del cittadino e direttive anticipate. Il medico
deve attenersi, nell’ambito della autonomia e indipendenza che caratterizza la professione, alla volontà
liberamente espressa della persona di curarsi e deve agire nel rispetto della dignità, della libertà e
autonomia della stessa. Il medico, compatibilmente con l’età, con la capacità di comprensione e con la
maturità del soggetto, ha l’obbligo di dare adeguate informazioni al minore e di tenere conto della sua
volontà. In caso di divergenze insanabili rispetto alle richieste del legale rappresentante deve segnalare
il caso all’autorità giudiziaria; analogamente deve comportarsi di fronte a un maggiorenne infermo di
mente. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle
proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato.
187
La liceità dell'attività medica trova fondamento e giustificazione non tanto nel consenso dell'avente
diritto (art. 51 c.p.), che incontrerebbe spesso l'ostacolo di cui all'art. 5 c.c., quanto nelle sua intrinseca
legittimità, quale strumento di tutela di un bene, come la salute, costituzionalmente garantito. Cass.
Civ. Sez. III, 15 gennaio 1997, n. 364. L’autolegittimazione dell’attività medica, anche aldilà dei
limiti dell’art. 5 c.c., non importa che il medico, al di fuori di casi eccezionali, esempio paziente privo
della possibilità di consentire o di dissentire; presenza delle condizioni previste dall’art. 54 c.p., possa
intervenire senza il consenso o malgrado il dissenso del paziente. Cass. 15 gennaio 1997, n. 364, Foro
it., I, f. 3; Giust. Civ. 1997, I, 1586; Foro amm. 1998, 18; Riv. It. med. Legale 1998, 345.
188
La mancanza del consenso informato non rende nullo il contratto tra il medico e il
paziente. L’inosservanza dell’obbligo di ottenere il consenso, trova la sua sola sanzione in una
responsabilità contrattuale del sanitario anche nel caso in cui, a prescindere da una sua colpa
professionale, il trattamento praticato abbia comportato un aggravamento delle condizioni di salute, il
cui rischio il paziente non era stato messo in condizione di valutare. La Corte di Cassazione ha
enunciato il principio a seguito di una azione giudiziaria intrapresa da un odontoiatra per ottenere il
pagamento delle proprie competenze. La paziente ingiunta a sua difesa aveva opposto che la
mancanza del consenso informato determinava in ogni caso la nullità del contratto con conseguente
infondatezza della pretesa avanzata nei suoi confronti. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso
proposto dalla paziente. Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net- Cass. Civ. Sez. II del
08.04.2013, n. 8527
189
La questione del dissenso del paziente è stata affrontata specificamente dalla Corte di Assise in
primo grado laddove è stata affermato che “salvi i casi di necessità e di rappresentanza legale, non può
58
impone al medico di desistere dalla terapia di fronte al documentato rifiuto del
paziente, capace di intendere e volere 190. In caso di pericolo di vita, solo la certezza
sulla volontà di morire del paziente può consentire al medico di astenersi dalle cure,
in tutti gli altri casi, vale il principio in dubbio pro vita191. Evidente, la difficoltà del
medico nella scelta tra l’obbligo di curare e la volontà di morire del paziente
suscitando dubbi di natura non solo giuridica, ma anche etico-morali. In definitiva,
anche se l’art. 32 cost. sancisce il diritto del paziente di rifiutare i trattamenti non
voluti, il dissenso deve essere manifestato in maniera chiara, non potendo essere
sufficiente né la volontà presunta espressa tramite i parenti né la medaglietta ritrovata
addosso recante la dicitura “niente sangue”192. Il dissenso deve essere contenuto in
eseguirsi qualsiasi attività medico-chirurgica, né attuarsi alcuna modificazione al tipo di intervento
concordato senza il consenso reale, e non solo presunto del paziente. Corte di Assise di Firenze, 1810-8/11/90 Giur. Merito 1991, 1119. In senso analogo “Il consenso informato ha, come contenuto
concreto, la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di
eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della
vita, anche in quella terminale”. Cass. Civ. Sez. III, 4 Ottobre 2007, n. 21748. “Tale conclusione,
fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall’art. 32 cost., per il quale i
trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla legge, sta a significare
che il criterio di disciplina della relazione medico malato è quella della libera disponibilità del bene
salute da parte del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale
autonomia di scelte che può comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere
sempre rispettata dal sanitario. E però dal rilievo così attribuito al consenso del paziente non può farsi
discendere la conseguenza che dall’intervento effettuato in assenza di consenso o con un consenso
prestato in modo invalido si possa sempre profilare la responsabilità a titolo di omicidio
preterintenzionale, in caso di esito letale, ovvero a titolo di lesioni volontarie”. Cass. Sez. IV, 16
gennaio 2008, n. 11335.
190
Fra i casi più noti e dibattuti va menzionato il rifiuto all’emotrasfusione da parte del paziente
testimone di Geova. E’ opinione dominante che la volontà espressa del paziente appartenente a questo
credo religioso sia vincolante per il medico. Secondo la giurisprudenza il medico deve rispettare la
volontà del paziente in precedenza espressa in modo inequivoco anche se l’omissione dello specifico
trattamento non voluto può condurre alla morte. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 102. Altrove è
stato ritenuto legittimo l’intervento coercitivo del sanitario responsabile di una struttura pubblica nei
confronti di un paziente in pericolo di vita, che rifiuti una terapia trasfusionale, siccome contraria al
suo credo religioso. Pret. Modica, 13 agosto 1990, Giur. Merito 1993, 1314 nota Dogliotti.
191
Nella specie il paziente era stato ricoverato in ospedale, a seguito di un incidente stradale, con
fratture multiple e con lesione dell’arteria principale e sottoposto ad intervento chirurgico nel corso
del quale gli era stata praticata una trasfusione nonostante avesse dichiarato che, in ossequio al suo
credo religioso, non voleva gli si praticasse. Il paziente citava in giudizio i medici per il risarcimento
dei danni morali per essere stato costretto a subire il trattamento rifiutato di trasfusione sanguigna. In
questa decisione la Corte ribadisce che, nel caso sia in pericolo la vita e sussista anche un minimo
dubbio sulla validità o attualità del dissenso alle cure, il medico ha il dovere di agire e non gli si può
attribuire alcuna responsabilità se il suo intervento, determinante ed adeguatamente eseguito, risulti
poi, essere ex post non voluto dal paziente. Cass. Sez. III, 15 gennaio 2007, n.4211, Guida al diritto, Il
sole 24 ore. De Simone Palatucci, M., op. cit. pp. 102-103
192
Nel medesimo alveo interpretativo è stata ritenuta non sussistente la responsabilità della struttura
sanitaria presso cui era stato effettuato un intervento chirurgico per una grave affezione epatica nel
59
una espressa dichiarazione dalla quale, inequivocabilmente, emerge la volontà di non
volersi sottoporre a cure193. L’uso del termine “informato” indica un diverso modo di
impostare il rapporto tra medico e paziente superando una concezione paternalistica,
in cui il medico aveva un potere incondizionato sulla scelta terapeutica e sulle
modalità di attuazione. Il paziente quale soggetto decidente, non è più oggetto della
prestazione medica, ma è titolare del diritto di essere informato al fine di scegliere
consapevolmente tra le possibili alternative terapeutiche, di consentire o di rifiutare
l’opera medica194. Il consenso poi deve essere personale, salvo i casi di incapacità di
intendere e volere del soggetto, specifico ed esplicito, reale ed effettivo cioè non può
essere presunto195. La violazione da parte del medico, dell’obbligo di informazione 196
configura inadempimento contrattuale dell’obbligazione assunta197. Il contenuto
corso del quale si era resa necessaria una ematotrasfusione senza la previa acquisizione del consenso
del paziente impossibilitato a farlo perché sottoposto a narcosi in anestesia generale essendoci, però, il
consenso informato iniziale alla attività chirurgica in corso. Il chirurgo aveva praticato la trasfusione
in presenza di una situazione più grave rispetto a quella inizialmente riscontrata e con una incombente
conclusione letale a cui il paziente, in seguito ad emorragia, era esposto. Il professionista si è trovato
di fronte alla necessità di salvare una vita e, valutando un quadro clinico più grave e diverso rispetto
alla situazione patologica pregressa, ha agito lecitamente ai sensi dell’art. 54 c.p., scriminante dello
stato di necessità, in quanto non si presentavano alternative. Cass. Sez. III, 26 settembre 2006, n.
20832, Guid. Al dir. Il Sole 24 ore, Responsabilità e risarcimento, 10, 2006, 36. De Simone Palatucci,
M., op. cit., p. 103-104
193
La Corte ha rigettato la richiesta di risarcimento per danni morali avanzata da un testimone di
Geova che, trasportato in stato di incoscienza ed in pericolo di vita presso una struttura ospedaliera,
era stato sottoposto ad una serie di trasfusioni, nonostante portasse con sé un cartellino recante la
dicitura “niente sangue”. Cass. sez. III, 15.09.2008, Dir. Giust. 2008. De Simone Palatucci, M., op.
cit., p. 104
194
Si veda anche Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847. Il consenso informato, inteso come espressione della
consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio
diritto inviolabile della persona. Corte costituzionale sent. n. 438 del 2008. Come tale trova
fondamento nei principi espressi dall’art. 2 della cost. oltre che negli artt. 13 e 32 cost., in base ai quali
la libertà personale è inviolabile e nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento
sanitario se non per disposizione di legge. Cass. 28 luglio 2011, n. 16543
195
Cass. 23 maggio 2001, n. 7027
196
La violazione dell’obbligo informativo del medico integra di per sé sola il parametro della
negligenza. Cass. civ. sez. III 8/7/1994 n. 6464. Secondo altre pronunce grave. Cass. civ. sez. III,
16/5/2000, n. 6318 o quantomeno dell’imperizia Cass. civ. sez. IV, 5/11/2002 n. 1240, ascrivibile ad
autonomo profilo di responsabilità contrattuale rispetto al quale ogni indagine circa la correttezza o
meno dell’atto medico sarebbe del tutto superflua. Trib. Brescia sez. III 31712/2003
197
La responsabilità del medico per violazione dell’obbligo contrattuale di porre il paziente nella
condizione di esprimere un valido ed effettivo consenso informato è ravvisabile sia quando le
informazioni siano assenti od insufficienti, sia quando vengano fornite assicurazioni errate in ordine
all’assenza di rischi o complicazioni derivanti da un intervento chirurgico necessariamente da
eseguire, estendendosi l’inadempimento contrattuale anche alle informazioni non veritiere. Cass. Civ.
Sez. III, 28 novembre 2007, n. 24742. Sulla natura contrattuale di siffatta responsabilità si veda anche
Trib. Venezia sez. III, 4/10/2004, Trib. Forlì, sez. dist. Cesena, 21/6/2007 n. 209, Cass. civ. sez. III
19/10/2006, n. 22390, Cass. civ. sez. III 28/11/2007, n. 24742, Cass. civ. sez. III 23/9/2009 n. 20806,
Cass. civ. sez. III 28/7/2011 n. 16543. In senso contrario, si verterebbe in tema di responsabilità
precontrattuale, id est extracontrattuale, nel senso che la violazione degli obblighi informativi equivale
60
dell’informazione comprende i rischi oggettivi e tecnici prevedibili dell’intervento198
compresi i rischi specifici derivanti da una determinata scelta 199. L’obbligo di
informazione si estende altresì alla situazione ospedaliera del momento considerando
le dotazioni e le attrezzature di modo che il paziente possa scegliere se sottoporsi ad
intervento in una data struttura200. La qualità del malato, chi è e quale professione fa,
può solo influire sul modo in cui viene presentata l’informazione, ovvero
determinare il tipo di linguaggio con il quale vengono date le informazioni, che deve
essere più o meno tecnico in considerazione del grado di conoscenze specifiche e del
livello culturale del paziente, ma non cambia l’assetto delle norme e condotte che
regolano il consenso informato. Qualsiasi paziente ha diritto ad acquisire una reale
consapevolezza prima di un trattamento sanitario, anche se il paziente è un
alla violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella
formazione del contratto ex art. 1337 c.c. Cass. civ. sez. III, 30/7/2004, n. 14638. La violazione
dell’obbligo informativo si estende di riflesso alla struttura sanitaria per cui agisce, anche nelle ipotesi
in cui non sia stato individuato il sanitario sul quale incombeva tale obbligo. Cass. civ. sez. III,
24/9/1997 n. 9374.
198
Il consenso informato, personale del paziente o di un proprio familiare, in vista di un intervento
chirurgico o di altra terapia specialistica o accertamento diagnostico invasivo, non riguarda soltanto i
rischi oggettivi e tecnici in relazione alla situazione soggettiva e allo stato dell’arte della disciplina,
ma riguardano anche la concreta, magari momentaneamente carente situazione ospedaliera, in
rapporto alle dotazioni e alle attrezzature, e al loro regolare funzionamento, in modo che il paziente
possa non soltanto decidere se sottoporsi o meno all’intervento, ma anche se farlo in quella struttura
ovvero chiedere di trasferirsi in un’altra. Cass. Sez. III, 30.07.2004 n. 14638; Cass. Sez. III,
21.07.2003, n. 11386; 16.05.2000, n. 6318. L’omessa informazione sulla carente situazione
ospedaliera, in rapporto alle dotazioni, alle attrezzature e al loro regolare funzionamento […] può
configurare una negligenza grave, della quale il medico risponderà in concorso con l’ospedale. Cass.
civ. sez. III, 16/10/2000, n. 6318, www.enpam.it, cfr nota di G. Cassano, obbligo di informazione,
relazione medico-paziente, difficoltà della prestazione e concorso di responsabilità, Danno e
responsabilità, 2001, n. 1, IPSOA, p. 159; in tal senso anche Cass. civ. sez. III, 30/7/2004, n. 14638,
Cass. civ. sez. III, 19/10/2006, n. 22390 con nota di A. Spirito, A. Batà, Responsabilità del medico,
Danno e responsabilità, 2007, n. 1, IPSOA, p. 103
199
L’obbligo di informazione si estende, inoltre, ai rischi specifici rispetto a determinate scelte
alternative, in modo che il paziente, con l’ausilio tecnico-scientifico del sanitario, possa determinarsi
verso l’una o l’altra delle scelte possibili, attraverso una cosciente valutazione dei rischi relativi e dei
corrispondenti vantaggi. Cass. Sez. III, 30.07.2004 n. 14638; Trib. Milano Sez. V, 29.03.2005 n.
3520. L’obbligo si estende ai rischi prevedibili e non anche agli esiti anomali, al limite del fortuito,
che non assumono rilievo secondo l’id quod plerumque accidit, non potendosi disconoscere che
l’operatore sanitario deve contemperare l’esigenza di informazione con la necessità di evitare che il
paziente, per una qualsiasi remota eventualità, eviti di sottoporsi anche ad un banale intervento,
evitando quindi quella che la giurisprudenza francese definisce una reaction dangereuse del paziente.
Assume rilevanza, in proposito, l’importanza degli interessi e dei beni in gioco, non potendosi
consentire tuttavia, in forza di un mero calcolo statistico, che il paziente non venga edotto di rischi,
anche ridotti, che incidano gravemente sulle sue condizioni fisiche o, addirittura, sul bene supremo
della vita. Cass. Sez. III, 30.07.2004 n. 14638
200
Cfr. Cass. Civ. n. 6318/2000 cit. e Cass. 2/2/2010 n. 2354 con nota di R. Simone, Nascite dannose:
tra inadempimento (contrattuale) e nesso causale (extracontrattuale) Danno e responsabilità, 2011, n.
4, IPSOA, p. 387
61
medico201. Nella legislazione italiana il consenso manca di una disciplina organica e
si fa riferimento a fonti diverse legislative e regolamentari ed al codice di
deontologia medica. Il trattamento medico è arbitrario quando viene eseguito senza
consenso o risulta viziato da errore essenziale. Passando ad analizzare le
conseguenze penali del trattamento sanitario senza consenso o viziato, occorre
precisare che non esiste nel codice penale una autonoma fattispecie di reato che
prevede la responsabilità del medico che agisce senza consenso. La disciplina si
ricava dai principi generali, cosa che ha determinato contrasti interpretativi in
dottrina e giurisprudenza. Quindi nel caso in cui manca il consenso del paziente
all’atto medico si prospettano ipotesi diverse. Se l’attività medica arbitraria viene
considerata come lesione alla libertà di autodeterminazione, il consenso attiene alla
libertà morale del soggetto. Il reato ipotizzabile sarebbe, sempre che ne risultano
integrati i presupposti, la violenza privata ex art.610 c.p. oppure il sequestro di
persona ex art. 605 c.p. Se poi seguissero le lesioni o la morte del paziente, senza
attribuzione di colpa al medico, si configurerebbe il reato ex art.586 c.p., morte o
lesioni come conseguenza di altro delitto. Questa tesi è applicabile in un numero
ristretto di casi o comunque inverosimili casi di scuola perché riguarda il caso del
paziente dissenziente che subisca coattivamente, con violenza o minaccia, un
trattamento. Quindi, in assenza di consenso, l’atto medico arbitrario resterebbe
impunito. Se invece si ritiene che il consenso tutela l’integrità fisica del soggetto
allora, l’atto medico arbitrario configura il reato di lesioni personali. Questa tesi
equipara, in mancanza di consenso, l’uso del bisturi al colpo di pugnale e considera il
reato di lesioni personali un’offesa all’integrità fisica e la “malattia”, evento del reato
di lesioni, una mera alterazione anatomica. La giurisprudenza ritiene invece che la
malattia è ogni alterazione anatomica e funzionale dell’organismo 202. Seguendo
quest’ultima tesi bisognava poi distinguere se l’atto medico senza consenso avesse
avuto esisto fausto o infausto. Infatti, l’esito favorevole non determinava la malattia e
201
Cass. 27 novembre 2012, n. 20984
Il concetto clinico di malattia richiede il concorso del requisito essenziale di una riduzione
apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e di quello di
un fatto morboso in evoluzione, a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la
guarigione perfetta, l’adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte. Ne deriva che non
costituiscono malattia, e quindi non possono integrare il reato di lesioni personali, le alterazioni
anatomiche, a cui non si accompagni una riduzione apprezzabile della funzionalità. Cass. Sez. IV, 14
novembre 1996, dep. 9 dicembre 1996, n. 10643, rv. 207339.
202
62
non configurava il delitto di lesioni non essendoci stata compromissione funzionale
dell’organismo così come richiede l’art.582 c.p. Nel caso di esito infausto bisognava
considerare se la condotta del medico fosse stata perita e senza colpa in tal caso,
veniva meno la condotta tipica dei reati ex artt. 582 e 583 c.p.: l’esito infausto si
sarebbe verificato lo stesso a causa del preesistente stato morboso del paziente non
arrestabile. Alla base di questa tesi vi era la convinzione che il consenso del paziente
si identificasse con il “consenso dell’avente diritto”, cioè con la causa di
giustificazione ex art. 50 c.p., costituendo il fondamento della liceità penale
dell’attività medica, il motivo per cui il chirurgo che incideva l’integrità fisica del
malato non commetteva reato203. Per tale motivo, l’atto medico senza consenso
configurava un reato contro la vita e l’incolumità della persona. Il medico che
interveniva sul paziente senza consenso commetteva il reato di lesioni personali
dolose e, se ne derivava la morte rispondeva di omicidio preterintenzionale ex art.
584 c.p.204, salvo la ricorrenza dello stato di necessità ex art. 54 c.p., nelle ipotesi
203
Appare dubbio che l’art. 50 c.p. di per sé solo, possa legittimare lesioni all’integrità fisica, stante il
divieto sancito dall’art. 5 c.c. e quindi è opinabile che fintanto che si permea nell’idea della natura in
re ipsa lesiva dell’attività medica, che il consenso ex art. 50 sia adeguato a valicare gli atti di
disposizione del proprio corpo ex art. 5 c.c. Il legislatore ha inteso tutelare l’uomo prima da stesso e
poi dalla collettività cosicchè egli non può definirsi sic et simpliciter dominus membro rum suorum,
posto che l’integrità fisica è presupposto indefettibile per l’adempimento dei suoi doveri familiari e
sociali. La scriminante opererebbe allora solo per gli atti medici che causano una diminuzione
dell’integrità fisica non permanente. In tale prospettiva resta intatto il problema della legittimazione
dell’atto medico che operi fuori del perimetro scriminato. A confutare l’inidoneità dell’art 50 c.p. a
legittimare una diminuzione permanente dell’integrità fisica basti considerare che quando il legislatore
è intervenuto per disciplinare i casi in cui poteva derogarsi all’art. 5 c.c., il consenso rilevava solo in
un momento successivo e a diverso titolo, giacchè coinvolge l’autodeterminazione dell’individuo e
non anche la legittimazione ad una attività medica considerata aprioristicamente illecita. L. Eusebi,
Verso una recuperata determinatezza in ambito penale? Criminalia 2009, sarebbe del tutto fuorviante
identificare l’atto medico posto in essere leges artis come una condotta in sé illecita, ma scriminata
dal consenso: il quale, del resto, non rappresenta né una condizione sempre necessaria all’esercizio di
un’attività medica (si pensi ai casi di urgenza), né una condizione da sola sufficiente a garantirne la
liceità (si pensi ad una richiesta di mutilazione genitale femminile), p. 427, con riferimento a tale
indirizzo dottrinario G. Martiello, La responsabilità penale del medico, tra punti (quasi) fermi,
questioni aperte e nuove frontiere, Criminalia 2007, op. cit. pp. 332, 333
204
Di tale reato il chirurgo Massimo venne ritenuto responsabile, avendo consapevolmente e
volontariamente, eseguito un intervento chirurgico diverso da quello consentito e senza consenso. Il
caso riguardava il decesso di una anziana paziente a due mesi di distanza dall’asportazione totale
addomino-peritoneale del retto, intervento demolitivo e diverso rispetto a quello programmato ed
accettato. L’informazione venne data tramite le figlie e quindi per interposta persona senza che nessun
medico avesse reso edotta la paziente della modifica della tecnica operatoria. Dopo alcuni giorni la
paziente venne sottoposta a nuovo intervento chirurgico per eliminare una sopraggiunta occlusione
intestinale, ma ebbe un esito infausto conducendola alla morte. Le figlie dell’anziana paziente
denunciarono il prof. Massimo, esecutore dell’intervento, per omicidio colposo ma il giudice istruttore
chiese l’incriminazione per omicidio preterintenzionale. De Simone Palatucci, M., op. cit., p. 145
Argomenta la Corte che “ogni intervento medico necessita del preventivo consenso del paziente e non
63
nelle quali l’atto medico doveva essere eseguito con urgenza e il paziente non era in
grado di manifestare il proprio consenso 205. Parte della dottrina invocò anche l’art. 51
c.p., individuando nell’esercizio di un diritto 206 e nell’adempimento di un dovere207
l’humus giustificativo dell’atto medico. La dottrina prevalente si espresse
può legittimare ad eseguirne un altro di natura diversa non prospettato e non acconsentito. Se nel
corso di un intervento il medico non può più procedere come programmato e ravvisi l’opportunità di
ricorrere ad un intervento diverso più traumatizzante e demolitivo di quanto previsto, deve sospendere
la sua attività ed acquisire preventivamente il consenso necessario. L’unica deroga prefigurabile a
detto principio ricorre se, nel corso dell’intervento, si manifesti una situazione di necessità e urgenza
e, onde tutelare la vita del paziente, si rende indispensabile l’esecuzione di un intervento diverso
rispetto a quello previsto. L’esecuzione di un intervento invalidante e cruento, senza consenso e al di
fuori di una situazione di assoluta necessità, configura la fattispecie di lesioni personali volontarie
evidenziando sia gli estremi dell’offesa all’integrità fisica sia il dolo generico. L’intervento arbitrario
del medico che fa seguire il decesso del paziente integra il delitto di omicidio preterintenzionale”.
Cass. Sez. V, 21 aprile 1992 n. 5639. Prosegue la Corte: “Soltanto il libero consenso del paziente,
quale manifestazione di volontà di disporre del proprio corpo, può escludere in concreto, in assenza di
altre cause di giustificazione codificate, l’antigiuridicità della lesione procurata mediante trattamento
medico chirurgico. Sussiste pertanto il delitto di omicidio preterintenzionale ove, in seguito
all’intervento chirurgico illecito e in conseguenza delle lesioni personali da esso derivate, si verifichi
la morte del paziente. Cass. Sez. V, 21aprile 1992, dep. 13 maggio, 1992, n. 5639, CP 93, 63, nt.
Melillo.
205
Parimenti confutabile è la scriminante dell’art. 54 c.p. Nel caso di trattamento sanitario l’art. 54
c.p. dovrebbe misurarsi con l’identità del soggetto passivo, titolare del bene giuridico al contempo
sacrificato e salvaguardato. In tali casi, il medico interviene sul paziente provocando un’alterazione
anatomica o funzionale, ergo una malattia, esimendosi al contempo dal reato di lesioni personali per
esservi stato costretto dalla necessità di salvare, non se stesso o altri, ma proprio lo stesso paziente, da
un danno grave alla persona. Si rende superflua anche la proporzionalità tra l’offesa e il benefici o
perché fanno capo allo stesso bene giuridico e allo stesso unico titolare configurandosi l’una
strumentale all’altra (salvo colpa professionale per imperizia, negligenza). Infine, posto che l’art. 54
c.p. prevede una facoltà e non un obbligo, in campo medico si perverrebbe al paradosso secondo cui il
medico a fronte di un paziente in stato di incoscienza e pericolo di vita potrebbe intervenire come
astenersi dal farlo. In tale ultimo caso il medico sarebbe responsabile per omissione. Ma anche nel
caso in cui l’intervento comportasse per lo stesso medico un pericolo grave e attuale non potrebbe
invocare l’art. 54 c.p. perché tale articolo non può essere invocato da chi, come lui, ha un particolare
dovere giuridico di esporsi a pericolo. Cfr. sul punto F. Angioni, Il nuovo codice di deontologia
medica, Criminalia 2007, p. 282, tale tesi viene formulata in senso critico alla sentenza Volterrani. A.
Fiorella, Questioni fondamentali della parte speciale del diritto penale, Giappichelli editore-Torino
2012, p. 26 ss. Iadecola G., potestà di curare e consenso del paziente, cedam, Padova, 1998, p. 17. F.
Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, XVI ed. aggiornata e integrata da L. Conti,
Giuffrè editore 2003.
206
Secondo parte della dottrina l’art. 51 c.p. legittimerebbe il medico ad agire qualificando il
trattamento sanitario come un diritto che l’autorità statale gli attribuisce subordinandolo al consenso
del paziente titolare del diritto sacrificato. Appare dubbio che l’attività medica possa qualificarsi come
diritto, infatti il titolare del diritto può anche decidere di non avvalersene, mentre l’attività medica è
connotata da un’obbligatorietà ex lege o ex contracto. A. Fiorella, Questioni fondamentali della parte
speciale del diritto penale. Giappichelli editore Torino 2012, p. 26 ss.
207
Sostenere che l’operato del medico equivale a un adempimento di un dovere posto a suo carico
dall’autorità statale induce a sorvolare ogni valutazione circa il consenso libero e consapevole del
paziente facendo ricadere il rapporto medico paziente in quella concezione paternalistica superata in
cui il paziente era succube dell’atto medico. In tal modo, alla violazione del dovere conseguirebbe una
responsabilità ex art. 328 c.p. Verrebbe in tal modo ignorata a fronte del dovere di agire la volontà del
paziente cosciente e capace con violazione dell’art. 32 cost. D. Pulitanò Esercizio di un diritto e
adempimento di un dovere, in Dig. Disc. Pen. IV, Torino, 1990, p. 320. G. Martiello op. cit. pp. 335,
336
64
criticamente evidenziando la mancanza dell’elemento soggettivo del reato di lesioni,
perchè l’agire medico tende ad apportare un miglioramento allo stato di salute e
ribadendo che la “malattia” è un processo patologico non identificabile con
l’incisione procurata dal bisturi208. Questo orientamento rigoroso non è stato seguito
dalla giurisprudenza successiva la quale, anche se continuava a ritenere il consenso
condizione di liceità dell’atto medico, escludeva che l’evento fosse imputabile a
titolo di dolo privilegiando la tesi della responsabilità per lesioni colpose 209. Quindi,
ha ritenuto configurabile, nel caso di atto medico senza consenso, il reato di lesioni
colpose210. Allo stesso tempo continuavano ancora ad incontrarsi pronunce in
adesione al caso “Massimo” ravvisando il reato di lesioni dolose anche se il medico
avesse agito con finalità terapeutiche. 211 Tali orientamenti sono stati superati dalla
208
La nozione di malattia, rilevante ex art. 582 c.p., non può consistere nella mera alterazione
anatomica del corpo del paziente (ecchimosi, arrossamento, escoriazione, ecc.), ma è necessario che,
all’esito del trattamento, residui un’alterazione funzionale o un significativo processo patologico che
non può concretizzarsi nella semplice incisione chirurgica propedeutica all’intervento. Cass. IV, 26
maggio 2010, dep. 23 settembre 2010, n. 34521, Huscher e altri. Giunta, F., Lubinu, G., Micheletti,
D., Piccialli, P., Piras, P., Sale, C., op. cit., p. 137
209
In tema di lesioni personali colpose, il consenso del paziente, richiesto quale presupposto per la
valida e concreta liceità dell’attività medica, non si identifica con quello previsto dall’art. 50 c.p. ne
consegue che il consenso dell’avente diritto, ancorchè prestato nella piena consapevolezza delle
conseguenze lesive all’integrità personale derivanti dal trattamento medico, perde efficacia
scriminante se le stesse si risolvono in una menomazione permanente che incide negativamente sul
valore sociale della persona umana. Fattispecie concernente un intervento odontoiatrico che aveva
provocato l’indebolimento della funzione masticatoria del paziente. Cass. Sez. VI, 14.02.2006, n.
11640.
210
La mancanza di adeguata informazione è stata ricondotta ad una espressione di negligenza o di
trascuratezza originando solo una responsabilità per colpa senza sconfinare in una dolosa coazione del
paziente. Corte Appello di Firenze, 11.07.1995, Foro it. 1996, I, 188 con nota di Polvani. In senso
conforme è altra decisione che ha valutato la condotta del medico colposa, avendo questi ritenuto di
agire nella erronea convinzione, dovuta a colpa, di intervenire su paziente consenziente. Il caso
riguardava la condotta di un chirurgo che aveva proceduto senza consenso alla xeresi di un polipo e ci
si chiedeva se si potesse ipotizzare il consenso presunto del paziente o una errata percezione della
realtà, viziando in tal modo il processo volitivo che portò alla condotta errata. I giudici, hanno ritenuto
che il chirurgo per colpa era caduto in errore sul fatto integrante il reato. Il suo comportamento è stato
ritenuto negligente non avendo proceduto scrupolosamente ad accertarsi dell’effettiva adesione alla
scelta terapeutica messa in atto. Tribunale di Venezia, Sez. II, 4 febbraio 1998. Riv.it. Med. Leg.1999,
965. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp.148-149
211
Sussiste il reato di lesioni dolose nel caso di trattamento medico-chirurgo prestato senza il valido
consenso del paziente e il correlativo diritto al risarcimento del danno morale ex art.2059 c.p. e del
danno biologico ed eventualmente patrimoniale, trasmissibile agli eredi iure hereditatis”. Tribunale di
Milano, sez. IV civile, 4.12.1997, Riv.it. Med. Leg. 1998, 1224 Iadecola. In senso conforme si ritiene
configurabile “il delitto di lesioni personali volontarie, poiché per ritenere dimostrata l’esistenza di
tale reato occorre che sia raggiunta la prova non soltanto dell’intento doloso dell’autore della
condotta, ma anche dell’omessa informazione del paziente circa la sua situazione clinica e la
convenienza del trattamento operatorio, o del dissenso implicitamente o espressamente manifestato
dal medesimo”. Tribunale di Torino, 2.2.2000, Giur. Di merito 2001, 1079. In senso conforme “il
medico il quale, senza valido consenso del paziente, procura una malattia, in seguito al proprio
intervento, risponde di lesioni dolose anche se ha agito con finalità terapeutiche”. Tribunale di
65
giurisprudenza successiva allorchè si è ritenuto che il fondamento della liceità penale
dell’attività medica risieda nella sua intrinseca utilità e vantaggiosità sociale, per cui
è di per sé penalmente lecita, l’attività medica si autolegittima e non configura,
sempre che correttamente eseguita, nessun reato contro la vita e l’incolumità
individuale, assegnando al consenso il ruolo di tutela della libertà di
autodeterminazione del soggetto212. Concludendo, la giurisprudenza maggioritaria
ritiene che l’intervento medico correttamente eseguito imposto al paziente, può
essere penalmente rilevante solo come violazione dell’art. 610 c.p., cioè violenza
privata. Il reato si configura solo quando c’è il dissenso del paziente, cioè il rifiuto
manifestato al medico e non se manca il consenso non richiesto. Nel caso in cui,
l’intervento non sia eseguito correttamente, secondo le leggi dell’arte o criteri di
diligenza e prudenza, si configura il reato di lesioni colpose o in caso di morte di
omicidio colposo. Solo se l’atto medico non è posto in essere con finalità terapeutica
costituisce un reato contro la vita e la incolumità individuale cioè lesione personale e
in caso di morte omicidio preterintenzionale 213. Allo stesso modo l’atto medico,
senza consenso, correttamente eseguito non ha rilevanza penale, anche se l’esito è
infausto, perché il consenso è condizione di legittimità e non di liceità penale
dell’attività medica. Sarebbe contraddittorio ravvisare il delitto di lesioni personali
per l’assenza del consenso del paziente che ne beneficia 214. La violazione
Torino, 2.10.2006, Dir. e Giur.12, 2006,25, con nota di Marra “Medici, manca il consenso informato e
l’intervento fallisce: lesione dolosa”. De Simone Palatucci, M., op. cit. pp. 149-150
212
Nel caso in cui sopravvenga la morte del malato, l’intervento chirurgico eseguito senza il consenso
del paziente, ed in assenza di ragioni di urgenza, integra a carico del medico, se ne ricorrono le
condizioni, il delitto di omicidio colposo e non quello di omicidio preterintenzionale, e ciò perché
nella condotta del sanitario mancano gli estremi degli atti diretti a commettere il delitto di lesioni
personali volontarie a danno del paziente. Nella stessa decisione la Corte ha affrontato la problematica
del consenso informato circoscrivendone la portata e disconoscendogli il ruolo di condizione di liceità
dell’attività medico-chirurgica, che, invece si autolegittima, ed escludendo che la sua carenza possa
avere valenza di “atto lesivo” ai sensi dell’art. 582 c.p. La condotta medica assume rilevanza penale
nel caso di una manifestazione esplicita contraria all’intervento cioè nel caso di espresso dissenso. In
presenza di disapprovazione del paziente e fuori dai casi in cui ricorra lo stato di necessità, l’attività
medica diventa una indebita violazione dell’autodeterminazione del paziente e dell’integrità fisica
perdendo il carattere terapeutico. Cass. Sez. IV, 9 marzo 2001, n. 585, Barese, Cass. Pen. 2002, 517
con nota di Iadecola. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp. 153-154
213
Cass. Pen. Sez. IV, 30/9/2008, n. 37077
214
Nella specie la decisione della Corte riguarda il caso di un paziente sottoposto ad un intervento per
un’ernia ombelicale, ma all’atto dell’esplorazione addominale, viene riscontrato un tumore maligno ed
il chirurgo effettua un intervento demolitivo cui segue il decesso per complicanze di varia natura. In
nessun caso, afferma la Corte eseguendo un trattamento, in assenza del consenso del paziente, ma
conforme alle leges artis anche se l’intervento ha avuto esito infausto, potrebbe discendere una
66
dell’obbligo di informazione del medico configura solo un illecito civile nel caso in
cui dall’intervento derivano danni, a prescindere se sia stato o meno correttamente
eseguito215. Si discute, sul piano risarcitorio, se tale violazione costituisca autonoma
fonte di responsabilità216 o è necessario la sussistenza di un rapporto di causalità tra
l’intervento e le condizioni del paziente, sempre in connessione con la violazione
degli obblighi informativi217. Dalla violazione del diritto all’autodeterminazione
scaturisce l’obbligo di risarcire il danno biologico anche se nessun rimprovero possa
responsabilità del medico per lesioni personali o, in caso di decesso, per omicidio preterintenzionale.
Cass. sez. IV, 29.5.2002 n. 26446 Volterrani. De Simone Palatucci, M., op. cit., pp. 156-157
215
Ferma restando la sicura illiceità anche penale, della condotta del medico che abbia operato in
corpore vili “contro” la volontà del paziente […], l’eventuale mancato consenso del paziente al
diverso tipo di intervento praticato dal chirurgo, rispetto a quello originariamente assentito, potrà
rilevare su altri piani, ma non su quello penale. Cass. Pen. Sez. Un. 18/12/2008. 21/01/2009 n. 2437.
[..] Tant’è che per converso, sul piano del danno conseguenza, venendo in considerazione il mero
peggioramento della salute e dell’integrità fisica del paziente, rimane del tutto indifferente che la sua
verificazione sia dovuta ad un’esecuzione del trattamento corretta o scorretta. Cass. civ. sez. III, 14
marzo 2006, n. 5444 in Guida al diritto, n. 24/2006, 59
216
La violazione dell’obbligo di informazione costituisce autonoma fonte di responsabilità in tutti i
casi in cui dall’intervento scaturiscano effetti lesivi, indipendentemente dal fatto che l’intervento sia
stato eseguito correttamente e diligentemente. In altri termini, il diritto ad essere informati è risarcibile
in sé, perché incide sul diritto del paziente di autodeterminazione, nelle proprie scelte. Trib. Roma, 30
giugno 2003, Giur. Romana 2004, 12. In senso conforme Cass. civ. sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444 in
Guida al diritto, n. 24/2006, 59, cit.; Trib. Genova 18 gennaio 2006, Foro it. 2006, I, 100. Secondo
Tribunale Terni, 26 giugno 2002, Rass. Giur. Umbra 2002, 536, solo in presenza di conseguenze del
tutto anomale ed imprevedibili, rispetto all’intervento eseguito avrebbe potuto parlarsi di irrilevanza
della prestazione o meno del consenso; in tutti gli altri casi grava sul debitore l’onere di fornire la
prova dell’adempimento dell’obbligo di informazione del medico.
217
Perché l’inadempimento dell’obbligo di informazione dia luogo a risarcimento, occorre che sussista
un rapporto di causalità tra l’intervento chirurgico e l’aggravamento delle condizioni del paziente o
l’insorgenza di nuove patologie. Cass. Civ. Sez. III, 3 luglio 2004, n. 14638. In senso conforme.
Sebbene la violazione dell’obbligo di informazione da parte del medico incida in via diretta sul diritto
di rango costituzionale del paziente all’autodeterminazione in ordine alle scelte terapeutiche che
attengano alla propria salute, tuttavia a tale lesione non consegue ipso iure un danno risarcibile,
essendo necessaria l’allegazione e la prova dell’entità dello stesso che deve essere apprezzabile per
poter dar luogo a risarcimento. Trib. Milano, 24 marzo 2005. Quindi, nelle ipotesi di esito infausto,
ancorchè l’intervento sia eseguito nel pieno rispetto delle leges artis, occorre domandarsi se la
condotta omessa avrebbe evitato l’evento ove fosse stata tenuta: se, cioè, l’adempimento da parte del
medico dei suoi doveri informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento
chirurgico dal quale, senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato. E poiché l’intervento
chirurgico non sarebbe stato eseguito solo se il paziente lo avesse rifiutato, per ravvisare la sussistenza
di nesso causale tra lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente (realizzatosi mediante
l’omessa informazione da parte del medico) e lesione della salute per le, pure incolpevoli,
conseguenze negative dell’intervento (tuttavia non anomale in relazione allo sviluppo del processo
causale: Cass. Civ. n. 14638/2004 cit.), deve potersi affermare che il paziente avrebbe rifiutato
l’intervento ove fosse stato compiutamente informato, giacchè altrimenti la condotta positiva omessa
dal medico (informazione, ai fini dell’acquisizione di un consapevole consenso) non avrebbe
comunque evitato l’evento (lesione alla salute). Cass. civ. sez. III, 9/2/2010, n. 2847 con nota di Di
Majo A., La responsabilità da violazione del consenso informato, Corriere giuridico (II), 2010, n. 9,
IPSOA, p. 1204; Cacace S., I danni da (mancato) consenso informato, Nuova giurisprudenza civile
commentata (La), 2010, n. 7/8, CEDAM, parte I, p. 790; Chiarini G., Il medico (ir)responsabile e il
paziente (dis)informato. Note in tema di danno risarcibile per intervento terapeutico eseguito in difetto
di consenso, Giurisprudenza italiana, 2011, n.4, UTET, p. 818.
67
essere mosso al medico per aver seguito correttamente l’intervento, quando dallo
stesso consegue una lesione della salute, sempre che il paziente dimostri che ove
fosse stato informato, non avrebbe acconsentito all’intervento.218Non può trascurarsi
che ricorrente giurisprudenza di merito, discostandosi da tale orientamento, ritiene
configurabile il delitto di violenza privata anche nell’atto medico correttamente
eseguito ma in assenza di consenso del paziente a cui non è stato richiesto 219. Così
come si continuano ad incontrare casi in cui, seguendo i criteri del caso Massimo,
contestano al medico che esegue un trattamento senza consenso ovvero ne esegua
uno diverso da quello consentito, indipendentemente dall’esito fausto o meno, il
delitto di lesioni personali. Questo quadro giurisprudenziale, non è affatto
tranquillizzante e postula un intervento del legislatore che dovrebbe provvedere a
qualificare la natura giuridica del consenso del paziente al trattamento medico 220.
218
Con riferimento al danno morale, la giurisprudenza di legittimità sembra riservare uno spazio
risarcitorio anche in caso di sola violazione del diritto all’autodeterminazione, pur senza correlativa
lesione del diritto alla salute ricollegabile a quella violazione per essere stato l’intervento terapeutico
necessario e correttamente eseguito, a patto che esso varchi la soglia della gravità dell’offesa secondo
i canoni delineati dalle sentenze delle Sezioni unite nn. da 26972 a 26974 del 2008, con le quali si è
stabilito che il diritto deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi
dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza, secondo il parametro costituto
dalla coscienza sociale in un determinato momento storico. Cass. civ. sez. III, 9/2/2010 n. 2847 con
nota di Di Majo A., La responsabilità da violazione del consenso informato, op. cit.
219
Cass. Pen. Sez. Un. 18/12/2008-21/1/2009 n. 243
220
Il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o
no il consenso informato del paziente, con la precisazione che non è di regola possibile fondare la
colpa sulla mancanza di consenso, perchè l'obbligo di acquisire il consenso informato non integra una
regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza, essendo l'acquisizione del consenso
preordinata a evitare non già fatti dannosi prevedibili (ed evitabili), bensì a tutelare il diritto alla salute
e, soprattutto, il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare
dalla scelta terapeutica in attuazione dell’art. 32 della Costituzione. E ciò salvo che la mancata
sollecitazione di un consenso informato abbia finito con il determinare, mediatamente, l'impossibilità
per il medico di conoscere le reali condizioni del paziente e di acquisire un'anamnesi completa; in
questo caso, il mancato consenso rileva come elemento della colpa non direttamente, ma come riflesso
del superficiale approccio del medico all'acquisizione delle informazioni necessarie per il corretto
approccio terapeutico. Cass. Pen. 13/2/2013Avv. Ennio Grassini www.dirittosanitario.net. Pubblicata
su www preventionandresearch.com/fatti-e-senten.html
68
PARTE II
La medicina difensiva
8. Ricerca empirica sulla medicina difensiva.....................................Pag.70
8.1 Premessa................................................................................... >> 70
8.2 Il campione anagrafico.............................................................
>>
73
8.3 I comportamenti adottati dai medici.........................................
>>
75
8.4 I fattori che hanno influenzato i comportamenti difensivi......... >> 79
8.5 Conclusioni................................................................................ >> 80
9. La ricerca presso il Tribunale di Roma............................................
>>
81
9.1 Premessa.................................................................................. >>81
9.2 I principali risultati................................................................... >> 82
9.3 Considerazioni conclusive........................................................ >> 84
69
8. Ricerca empirica sulla medicina difensiva
8.1 Premessa
Per medicina difensiva si intendono una serie di comportamenti posti in essere dalla
classe medica che hanno come fine ultimo quello di porsi al riparo da eventuali
contenziosi giudiziari a cui possono essere chiamati ex post a causa del loro operato.
La teoria tradizionale ravvisa la medicina difensiva nei comportamenti della prassi
medica volti ad adottare o evitare determinate misure e decisioni diagnostiche e
terapeutiche, per allontanare il rischio di responsabilità per risarcimento danni e non
per tutelare la salute del paziente.221 Quando il medico pone in essere una attività di
natura commissiva avremo manifestazioni di medicina difensiva attiva o positiva
consistenti nella prescrizione di test, accertamenti diagnostici, prestazioni e atti
burocratici o di cura non necessari. Parliamo, invece, di medicina difensiva passiva o
negativa quando il medico si astiene da atti, pratiche e interventi su pazienti dai
quali, direttamente o indirettamente, possa derivare il rischio di ricadute
giudiziarie.222 Le cause del fenomeno sono di diversa natura; in primis è dovuto a
ragioni di natura socio-culturale che hanno cambiato il rapporto medico paziente
facendo venir meno l’insindacabilità dell’atto medico. Si è passati da un rapporto di
tipo paternalistico con il paziente, in posizione di inferiorità culturale rispetto al
medico, ad un rapporto di codecisione delle cure riducendo il divario di
conoscenze223. Altra causa si ravvisa nel progresso scientifico: l’aumento del livello
numerico degli interventi medici, il perfezionamento di tecniche e trattamenti
precedentemente scoperti riducono i rischi ma aprono le porte a nuovi scenari e
221
La Medicina difensiva è identificabile in una serie di decisioni attive od omissive, consapevoli ma
non di rado inconsapevoli o non specificamente meditate, che non obbediscono al criterio essenziale
del bene del malato nel rispetto di un equilibrato rapporto costo/beneficio, bensì all’intento di evitare
accuse per non avere effettuato tutte le indagini o tutte le cure conosciute o al contrario per avere
effettuato trattamenti gravati da alto rischio di insuccesso o di complicanze. Fiori, A.: La Medicina
Legale difensiva. Riv. It. Med. Leg. 18, 899, 1996
222
La medicina difensiva si verifica quando i medici prescrivono test, procedure diagnostiche o visite,
oppure evitano pazienti o trattamenti ad alto rischio, principalmente (ma non esclusivamente) per
ridurre la loro esposizione ad un giudizio di responsabilità per malpractice. Quando i medici
prescrivono extra test o procedure, essi praticano medicina difensiva positiva; quando evitano certi
pazienti o trattamenti praticano una medicina difensiva negativa. OTA (Office of Technology
Assessment, U.S. Congress, 1994
223
Ricci, S. Miglino, A.: Atto medico e consenso informato. Società Editrice Universo, Roma, 2009
70
scoperte in cui il progresso deve ancora formarsi. Il fenomeno si aggrava anche
perché sono sempre di più i pazienti che avanzano richieste di risarcimento danni
verso i medici e le strutture sanitarie, raggiungendo dimensioni da costringere molte
compagnie di assicurazioni a rifiutare di sottoscrivere polizze adeguate agli iscritti
medici. Secondo il rapporto Ania nel 2009 sono stati denunciati 34.035 casi di
malpractice, 27.689 euro è stato il rimborso medio per ogni causa vinta nel 2010,
500 milioni di euro sono stati i premi pagati nel 2010 (58% da strutture 42% dai
medici), 800 milioni di euro sono stati i rimborsi a carico delle assicurazioni nel
2010. Le denunce nel 2010 sono state 33.682. Quindi +10,5% tasso annuo di crescita
dei premi per i professionisti, +6,2% tasso annuo di crescita dei premi per le strutture
sanitarie.
Fonte: Rapporto ANIA - L’assicurazione italiana 2011-12. La
conseguenza che deriva da questi dati è la rottura del rapporto tra le assicurazioni e le
strutture sanitarie, molte assicurazioni potrebbero essere indotte a lasciare il mercato
a causa delle perdite crescenti. Sempre l’Ania mette in evidenza che i rimborsi
superano del 50% i premi incassati dalle compagnie (l’intero settore per ogni 100
euro di premi incassati ne spende 152 nei risarcimenti dei danni). Altra conseguenza
della medicina difensiva, è quella dell’aumento dei costi dell’offerta sanitaria. Da
un’indagine dell’Ordine dei medici di Roma, si stima che la spesa annua per la sola
medicina difensiva ammonta all’11,8 % della spesa complessiva, dovuta all’aumento
della prescrizione di farmaci, visite, esami e ricoveri. Anche il modo in cui il sistema
legislativo reagisce all’errore medico non facilita le cose. L’ordinamento è di natura
accusatoria, tende a cercare il colpevole dell’errore non preoccupandosi di
predisporre un sistema di prevenzione adeguato per prevenire la natura tecnologica
degli errori medici. Il sistema, incentrato sulla responsabilità personale, non tiene
conto dei fattori organizzativi e strutturali che potrebbero aver avuto un ruolo
decisivo nel predisporre le condizioni che hanno favorito l’errore. Recenti studi
hanno evidenziato che molti errori in ambito sanitario sono da ascrivere al deficit
organizzativo-gestionale
della
struttura
che
dovrebbe
approntare
adeguate
contromisure attraverso un idonea riorganizzazione interna. Nella prima fase della
ricerca abbiamo analizzato le principali motivazioni che inducono i medici a
modificare la propria condotta con atteggiamenti di medicina difensiva e in che
misura viene attuato. Il questionario, composto da 17 domande tratte dai
71
comportamenti più citati in letteratura, è stato somministrato di persona a 100 medici
appartenenti alle specializzazioni di medicina del lavoro, neurofisiopatologia,
ginecologia, radiologia, urologia, chirurgia, neurologia, nefrologia, ortopedia. La
distinzione è operata per età, professione, ruolo, reparto di appartenenza, anzianità di
servizio, tipo di struttura; tipi e motivazione dei comportamenti adottati. Le interviste
sono state condotte nel mese di ottobre 2012, hanno risposto tutti i medici generando
un tasso di risposta pari al 100%.
72
8.2 Il campione anagrafico
Il campione anagrafico analizzato è giovane, la maggior parte dei medici sono donne
(53%) medici strutturati (56,6%) con un’età che va dai 32 ai 42 anni (71,7%) e tra 43
a 52 anni (20,8%); gli uomini (47%) hanno un’età che va dai 32 ai 42 anni (57,7%) e
tra i 53 ai 62 anni (19,2%) e sono medici strutturati (64%). Entrambi lavorano in una
struttura pubblica (l’83% delle donne e l’85% dei maschi). L’anzianità di servizio sia
degli uomini che delle donne è bassa da 1 a 5 anni (36,2 % maschi e 37,7% donne)
da 6 a 10 anni (21,3% maschi e 13,2% donne), da 21 a 30 anni (17% maschi e 15%
donne). Gli uomini sono dirigenti medici (il 53,2%), medici specialisti (42,6%),
direttori di presidio (4,2%), le donne sono dirigenti medici (47,1%), specialisti
(51%), direttori di presidio (1,9%)
0%
0%
47
53
maschi
femmine
Grafico 1. Campione anagrafico distinto per sesso
71,7
57,7
17
19,2
20,8
7,5
32-42
43-52
maschi
53-62
femmine
Grafico 2. Campione anagrafico distinto per sesso e per fasce di età
73
6,1
0
63-72
36,2 37,7
20,8
21,3
17
13,2
11,3
15
15
7,5
2,2
2
fino a 1
anno
da 1 a 5 anni
da 6 a 10
anni
da 11 a 20
anni
maschi
da 21 a 30
anni
più di 30
anni
femmine
Grafico 3. Campione anagrafico distinto per sesso e per anzianità professionale
80
60
64
56,6
43,4
40
36
20
0
maschi
medico strutturatto
femmine
medico specializzando
Grafico 4. Campione anagrafico distinto per sesso e per qualifica professionale
60
50
40
30
20
10
0
53,2
47,1
42,6
maschi
dirigente medico
altro
51
1,9
4,2
femmine
direttore presidio/dipartimento/struttura
Grafico 5. Campione anagrafico distinto per sesso e per ruolo ricoperto
74
100
80
85
83
60
17
15
40
20
0
maschi
pubblica
femmine
privata accreditata
Grafico 6. Campione anagrafico distinto per sesso e per tipo di struttura
8.3 I comportamenti adottati dai medici
I medici intervistati dichiarano di aver adottato comportamenti di medicina difensiva
almeno una volta negli ultimi tre anni di lavoro (16,5%). Dalla nostra inchiesta
emerge l’attenuazione della medicina difensiva nei campi specialistici osservati: il
76% dei medici dichiara che negli ultimi 3 anni di lavoro non hanno mai adottato
comportamenti difensivi.
76
16,5
5
mai
da 1 a 3
volte
da 4 a 6
volte
1,4
da 7 a 9
volte
1,1
più di 10
volte
Grafico 7. Comportamenti difensivi dei medici negli ultimi tre anni di lavoro
75
Nel dettaglio vediamo che questi comportamenti sono tenuti da medici molto giovani
con età dai 32 ai 42 anni (18,6%) e da medici ricompresi nella fascia di età elevata
che va dai 63 – 72 anni (18,2%), nella fascia di età intermedia tendono a diminuire.
100
81,2
73,8
80,4
75,8
80
60
40
20
18,6
4,8
12 4,8
1,3 1,5
1 1
10 6,2
3,4
0
18,2
6
0 0
0
mai
30-42
da 1 a 3 volte
43-52
da 4 a 6 volte
53-62
da 7 a 9 volte
63-72
più di 10 volte
Grafico 8. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per età
Tali comportamenti, sono posti in essere più dai maschi (18,3%) che dalle donne
(14,7%)
80
77
74
60
40
18,3
5
20
1
14,7 4,6
1,5
2,2 1,2
0
maschi
mai
da 1 a 3 volte
femmine
da 4 a 6 volte
Grafico 9. Comportamenti difensivi per sesso
76
da 7 a 9 volte
più di 10 volte
Sia i maschi che le donne che pongono in essere atteggiamenti difensivi hanno
un’anzianità professionale molto bassa, da 1 a 5 anni (21,6%).
100
83
72,2
82
82,4
74,7
72,2
80
60
40
20
14,3
11,3
1,30
21,6
3,4 1,6
1,2
16
7,5
1,62,7
14,5
63
10,2
4 3,4
1,8
0
11 7
00
0
mai
fino a 1
da 1 a 5
da 6 a 10 da 11 a 20 da 21 a 30 più di 30
anno
da 1 a 3 volte
da 4 a 6 volte
da 7 a 9 volte
più di 10 volte
Grafico 10. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per anzianità professionale
E il fenomeno difensivo si riscontra di più nelle strutture private accreditate (31,2%)
rispetto a quelle pubbliche (15%).
78,1
57,3
80
60
40
20
31,2
15
7
4,2 1,6 1,1
1,7 2,8
0
mai
pubblica
da 1 a 3 volte
da 4 a 6 volte
privata accreditata
da 7 a 9 volte
più di 10 volte
Grafico11. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per tipo di struttura
I comportamenti difensivi più diffusi, consistono nella prescrizione di esami
diagnostici non necessari (27%), nel disporre consulenze specialistiche non
necessarie (22%), inserire in cartella clinica annotazioni ulteriori per evitare
77
conseguenze legali (22%), richiedere esami diagnostici complessi o invasivi pur non
condividendone l'utilità su pressione del paziente e/o famiglia (21%)
Negli ultimi tre anni, quali tipi di comportamento tra quelli indicati di seguito ha
assunto?
Tabella 1. Comportamenti di medicina difensiva più diffusi tra i medici
78
8.4 I fattori che influenzano i comportamenti difensivi
I fattori principali che inducono i medici ad adottare comportamenti difensivi
durante l’esercizio della loro professione, consistono nel timore di un contenzioso
penale in caso di complicanze/eventi negativi (51,6%) e richiesta di risarcimento
danni da parte del paziente (36,6%). Influiscono anche le esperienze di contenziosi
da parte di altri colleghi (43,3%). I medici intervistati non sembrano preoccupati di
una pubblicità negativa o perdita di immagine a seguito di una denuncia di
malpractice: si dichiarano per nulla (il 43%) o poco (il 36,6%) preoccupati.
Quali fattori hanno influito sui comportamenti sopra indicati?
Tabella 2. Fattori che maggiormente conducono ad assumere atteggiamenti di medicina difensiva
Dichiarano i medici intervistati che l’origine dei comportamenti difensivi della classe
medica siano da rinvenire nella organizzazione poco soddisfacente del sistema
sanitario (82%), lamentano i medici che molto spesso gli errori sono favoriti da
deficit strutturali; dalla trasformazione del rapporto medico-paziente (76%) si
riscontra sempre di più la perdita di fiducia del paziente nelle capacità del medico
mettendo in moto la macchina giudiziaria con estrema facilità se il risultato ottenuto
79
non lo appaga completamente, quasi a pretendere l’onnipotenza della medicina
(54%).
Ritiene che ci siano ragioni di “sistema” che spingono i medici ad assumere
atteggiamenti di “difesa” verso il paziente?
Tabella 3. Fattori che inducono i medici ad assumere atteggiamenti difensivi verso il paziente
8.5 Conclusioni
Riassumendo le principali conclusioni che possiamo trarre dalla nostra ricerca sono:
1) Diminuzione dei comportamenti di Medicina difensiva: il 76% dei medici
intervistati dichiara di non aver adottato mai un comportamento di medicina
difensiva negli ultimi 3 anni di lavoro. Solo il 16,5% dei medici afferma di
aver tenuto almeno una condotta difensiva negli ultimi 3 anni. Tra questi il
27% ha prescritto esami diagnostici non necessari, disposto consulenze
specialistiche non necessarie il 22%, inserito in cartella clinica annotazioni
ulteriori al solo fine di evitare conseguenze legali il 22%, richiesto esami
diagnostici complessi o invasivi pur non condividendone l'utilità su pressione
del paziente e/o famiglia il 21%.
2) Diffusione della Medicina Difensiva tra i medici molto giovani con età dai
32 ai 42 anni (18,6%) e tra i medici ricompresi nella fascia di età elevata che
80
va dai 63 – 72 anni (18,2%), quindi nella fascia di età intermedia i
comportamenti difensivi tendono a diminuire.
3) Preoccupazione di conseguenze legali e influenza di esperienze di
contenziosi da parte di altri colleghi. Il timore di un contenzioso penale
(51%), di una richiesta di risarcimento danni (36,6%), l’influenza di
esperienze di contenziosi da parte di altri colleghi (43,3%).
4) Poco o nulla timore di pubblicità negativa. Si dichiara per nulla preoccupato
(il 43,3%) o poco (36,6%) degli intervistati. Maggiore preoccupazione risulta
essere il timore di sanzioni disciplinari (30%).
9. La ricerca presso il Tribunale di Roma
9.1 Premessa
Per definire le dimensioni del fenomeno preoccupante della medicina difensiva,
abbiamo analizzato lo stato del contenzioso giudiziario in materia di malpractice
medica esistente presso il Tribunale di Roma. I contenuti di questa seconda fase della
ricerca vengono presentati qui di seguito, l’obiettivo è stato quello di misurare il
contenzioso esistente presso il Tribunale di Roma, nel periodo ricompreso tra il 2000
fino al 20012. La ricerca è stata articolata in tre parti ed ha interessato i seguenti
reati: art. 50 c.p. (consenso dell’avente diritto), art. 54 c.p. (stato di necessità), art.
326 c.p. (rivelazione e utilizzazione del segreto d’ufficio), art. 584 c.p. (omicidio
preterintenzionale), art. 589 c.p. (omicidio colposo), art. 590 c.p. (lesioni personali
colpose), art. 622 c.p. (rivelazione del segreto professionale).
Nella prima parte è stata costruita una tabella che fa riferimento ai dibattimenti
instaurati a partire dall’anno 2000 fino al 2012 suddivisi per capi di imputazione e
distinguendo all’interno di essi tra procedimenti sopravvenuti e sentenze depositate.
Nella seconda parte è stata costruita una tabella che analizza lo stato del contenzioso
in materia di malpractice esistente presso la cancelleria del Gip Noti del Tribunale di
Roma nel periodo che va dal 2000 al 2012 suddivisi per capi di imputazione
distinguendo al suo interno i procedimenti sopravvenuti e le sentenze emesse.
81
Nella terza parte è stata costruita una tabella che si riferisce al contenzioso negli
ultimi tre anni (2009-2012) e misura per ogni reato il numero delle sentenze
irrevocabili.
9.2 I principali risultati
Come possiamo vedere dal Grafico 12, il numero di processi instaurati per
responsabilità professionale medica è molto alto e la durata dei processi è
estremamente lunga.
Nello specifico: i procedimenti sopravvenuti nel periodo che va dal 2000 al 2012
per omicidio preterintenzionale sono stati 13 di cui 12 si sono conclusi con sentenza
definitiva, per omicidio colposo sono stati 1.964 di cui 1.596 si sono conclusi, per
lesioni personali colpose i dibattimenti instaurati sono stati ben 4.820 di cui 3.969 si
sono conclusi con sentenza definitiva. I processi instaurati e conclusi per consenso
dell’avente diritto ex art. 50 c.p. sono stati 2, per stato di necessità sono stati 6 di cui
solo 4 si sono conclusi con sentenza definitiva, per rivelazione e utilizzazione del
segreto di ufficio ex art. 326 c.p. sono stati instaurati 89 dibattimenti di cui 58 si
sono conclusi con sentenza definitiva, per rivelazione del segreto professionale sono
stati instaurati 8 giudizi e conclusi 7 con sentenza definitiva.
6902
5648
4820
1964
2 2
6 4
89 58
13 12
3969
1596
8 7
art. 50 art. 54 art. 326 art. 584 art. 589 art. 590 art. 622 totale
totale procedimenti sopravvenuti
totale sentenze depositate
Grafico 12. Dibattimento – Procedimenti sopravvenuti e sentenze emesse nel periodo 2000 – 2012.
Fonte Tribunale di Roma
82
Nel grafico 13, si sono considerati i procedimenti per responsabilità medica
sopravvenuti presso la cancelleria del Gip Noti del Tribunale di Roma nel periodo
che va dal 2000 al 2012, i dibattimenti instaurati per omicidio preterintenzionale
sono stati 102 di cui 25 si sono conclusi con sentenza definitiva; per omicidio
colposo sono stati 4.957 di cui 1.325 si sono conclusi con sentenza definitiva; per
lesioni personali colpose sono stati 6.667 di cui 322 sono arrivati a sentenza. Invece,
i processi instaurati e conclusi per consenso dell’avente diritto ex art.50 c.p. sono
stati 2, per stato di necessità ex art. 54 c.p. sono pendenti 3 procedimenti, per
rivelazione e utilizzazione del segreto di ufficio ex art. 326 c.p. sono stati instaurati
359 processi di cui 71 si sono conclusi, per rivelazione del segreto professionale ex
art. 622 c.p. i dibattimenti instaurati sono stati 34 di cui solo 1 si è concluso con
sentenza definitiva.
12124
6667
4957
2 2
3 0
359 71
1325
102 25
1756
332
34 1
art. 50 art. 54 art. 326 art. 584 art. 589 art. 590 art. 622 totale
totale procedimenti sopravvenuti
totale sentenze depositate
Grafico 13. GIP Noti – Procedimenti sopravvenuti e sentenze emesse nel periodo 2000 – 2012. Fonte
Tribunale di Roma
Nel grafico 14, si sono considerati solo gli ultimi tre anni che vanno dal 2009 al 2012
e possiamo notare che i procedimenti conclusi con sentenza definitiva per omicidio
preterintenzionale sono stati solo 3, per omicidio colposo 390, per lesioni personali
colpose 590. Invece i processi instaurati per consenso dell’avente diritto sono ancora
pendenti solo per 1 si è arrivato a sentenza, risultano essere ancora pendenti tutti i
procedimenti instaurati per stato di necessità, per rivelazione e utilizzazione del
segreto di ufficio 137 sono i procedimenti conclusi infine, per rivelazione del segreto
professionale tutti i processi sono ancora in corso.
83
355
203
192
134
125
114
00 1 0
art. 50
39 46
17
3 0 00
00 0 0
art. 54
165
30
17
000 0
art. 326 art. 584 art. 589 art. 590 art. 622
2009
2010
2011
2012
Grafico 14. Dibattimento – Procedimenti con sentenza irrevocabile.
Periodo 2009 – 2012. Fonte Tribunale di Roma
9.3 Considerazioni conclusive
Questa ricerca ha evidenziato il numero crescente dei procedimenti penali contro i
medici per fenomeni di malpractice. Dal 2000 al 2012 il 69,8% dei medici è stato
processato per lesioni personali colpose e il 28,4% per omicidio colposo.
0,029
0,087
1,289
0,188
0,116
art. 50 c.p. consenso
dell'avente diritto
art. 54 c.p. stato di necessità
28,4
art. 326 c.p. rivelazione e
utilizzo segreto d'uffico
69,8
art. 584 c.p. omicidio
preterintenzionale
art. 622 c.p. rivelazione del
segreto professionale
art 589 c.p. omicidio colposo
art. 590 c.p. lesioni personali
colpose
Grafico 15. Dibattimenti – Procedimenti sopravvenuti anni 2000-2012. Fonte Tribunale di Roma
84
Il solo Gip Noti del Tribunale di Roma, dal 2000 al 2012, ha instaurato contro il
54,99% dei medici procedimenti per lesioni personali colpose, e contro il 40,88%
dei medici, procedimenti per omicidio colposo.
0,025
0,016
0,841
2,961
0,28
40,88
54,99
art. 50 c.p. consenso
dell'avente diritto
art. 54 c.p. stato di
necessità
art. 326 c.p. rivelazione e
utilizzo segreto d'uffico
art. 584 c.p. omicidio
preterintenzionale
art. 622 c.p. rivelazione
del segreto professionale
art 589 c.p. omicidio
colposo
art. 590 c.p. lesioni
personali colpose
Grafico 16. Dibattimenti- Procedimenti sopravvenuti presso Gip Noti anni 2000-2012.
Fonte Tribunale di Roma
Negli ultimi 3 anni (dal 2009 al 2012) sono state pronunciate dal Tribunale di Roma
in materia di malpractice 590 sentenze per lesioni personali colpose, 39 sentenze per
omicidio colposo, 3 sentenze per omicidio preterintenzionale.
art. 50 c.p. consenso
dell'avente diritto
590
art. 54 c.p. stato di
necessità
art. 326 c.p. rivelazione e
utilizzo segreto d'uffico
art. 584 c.p. omicidio
preterintenzionale
art. 622 c.p. rivelazione del
segreto professionale
137
1
0
3
art. 589 c.p. omicidio
colposo
39
art. 590 c.p. lesioni personali
colpose
0
Grafico 17. Totale sentenze definitive Tribunale di Roma anni 2009- 2012. Fonte Tribunale di Roma
85
Le connesse richieste di risarcimento dei pazienti aumentano i costi della Sanità
pubblica e privata, senza che a ciò corrisponda un aumento di qualità e di sicurezza
del Servizio Sanitario nazionale. Si è orientati più alla ricerca del colpevole che non a
ricercare le criticità che hanno favorito l’errore medico. Il nostro sistema trascura
l’organizzazione, la dotazione e la funzionalità degli strumenti, analizzare il contesto
è essenziale perché permette di capire cosa non ha funzionato, permette di approntare
un sistema adeguato di prevenzione evitando in tal modo che in futuro possano
ripetersi gli stessi errori. La sanzione penale sembra non essere un valida soluzione
per impedire gli errori in medicina che sono di natura tecnica e favorisce soltanto il
diffondersi di comportamenti difensivi. Il continuo aumento delle denunce ha
segnalato anche il rifiuto da parte di alcune compagnie assicurative di proporre
offerte adeguate ai medici le quali sono portate a ridurre sempre più l’ampiezza della
copertura in caso di un’azione legale. Il business è in perdita, le compagnie
assicurative si sono trovate a rimborsare, nei risarcimenti danni derivanti da
malpractice, il 50% in più dei premi incassati. 224 La legge n.189/2012225 per
224
Dal 13 agosto 2013, l’assicurazione professionale diventerà un obbligo per i medici. Secondo i dati
forniti dall’ANIA, l’associazione che riunisce le imprese assicuratrici, il numero degli episodi
denunciati nel 2010 si è attestato poco lontano dai massimi storici registrati l’anno precedente. E
nonostante anche i premi siano in costante crescita (oltre il 10% in più ogni anno per i professionisti),
alcune associazioni di medici hanno segnalato il rifiuto da parte di alcune compagnie di proporre
un’offerta ai propri iscritti. Il motivo è che il settore assicurativo per ogni 100 euro di premi incassati
ne spende 152 nei risarcimenti dei danni. Prevedibile quindi, che nei prossimi anni si assisterà non
solo a continui ritocchi dei costi per gli assicurati, ma anche a modifiche contrattuali che riducono
l’ampiezza della copertura assicurativa in caso di un’azione legale. Il regime attualmente più comune
nel campo delle assicurazioni sanitarie è il CLAIMS MADE, la copertura riguarda le richieste di
risarcimento che si presentano durante il periodo di “validità contrattuale”, indipendentemente dal
fatto che l’assicurato fosse o meno coperto nel momento della prestazione professionale a cui si
riferisce la denuncia. Nel contratto può essere richiesta la clausola della garanzia pregressa cioè che
limita la copertura solo a prestazioni professionali fornite in un lasso di tempo definito (da 1 a 5 anni)
prima della stipula del contratto, ovvero può essere inserita la garanzia postuma cioè che amplia la
copertura a richieste di risarcimento presentate in un lasso di tempo definito dopo la scadenza del
contratto, ma solo se riferite a prestazioni avvenuti durante il periodo di validità contrattuale. Le leve
indicate dall’ANIA sono le franchigie (la quota fissa di rimborso del danno che rimane a carico
dell’assicurato) e gli scoperti assicurativi (a carico dell’assicurato verrà assegnata una percentuale del
risarcimento complessivo e non una quota fissa. In tal modo l’assicurato non sa in anticipo a quanto
ammonta la sua quota), ma gli osservatori ipotizzano anche un possibile intervento legislativo per
regolare il settore: sia fissando criteri per determinare i risarcimenti, sia riducendo l’incertezza nel
procedimento legale, denunciata dalle compagnie come prima causa di una vera e propria fuga dalle
assicurazioni professionali in campo sanitario. Nel 2009 sono stati denunciati 34.035 casi di
malpractice, 27.689 euro è stato il rimborso medio per ogni causa vinta nel 2010, 500 milioni di euro
sono stati i premi pagati nel 2010 (58% da strutture 42% dai medici), 800 milioni di euro sono stati i
rimborsi a carico delle assicurazioni nel 2010. Quindi +10,5% tasso annuo di crescita dei premi per i
professionisti, +6,2% tasso annuo di crescita dei premi per le strutture sanitarie. Fonte: Rapporto
ANIA-L’assicurazione italiana 2011-12 Rivista Previdenza anno VI- 2012
86
facilitare l’accesso alla copertura assicurativa dei medici prevede i criteri a cui
devono conformarsi i contratti in modo da assicurare che gli stessi presentino
requisiti minimi di idoneità. Viene inoltre costituito un fondo per garantire idonee
coperture assicurative finanziato con i contributi dei professionisti e delle
assicurazioni, in misura percentuale sui premi incassati, comunque non superiore al
4%. Secondo noi, l’obbligo di assicurazione per i medici non è una misura efficace
per tutelare i pazienti anzi si risolve in un deficit per le finanze statali 226. Di fronte al
rifiuto delle assicurazioni una strada percorribile dalle strutture e ospedali potrebbe
essere l’autoassicurazione cioè l’accantonamento in bilancio di una cifra per
affrontare le spese relative a sinistri227. C’è da dire poi, che sembra contraddittorio
225
Art. 3 co.2 legge di conversione 8 novembre 2012 n. 189. Con decreto del Presidente della
Repubblica, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, da
emanare entro il 30 giugno 2013 , su proposta del Ministro della salute, di concerto con i Ministri
dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze, sentite l'Associazione nazionale fra le
imprese assicuratrici (ANIA), la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli
odontoiatri, nonchè le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie e le
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative delle categorie professionali interessate, anche
in attuazione dell'articolo 3, comma 5, lettera e), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito,
con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, al fine di agevolare l'accesso alla copertura
assicurativa agli esercenti le professioni sanitarie, sono disciplinati le procedure e i requisiti minimi e
uniformi per l'idoneità dei relativi contratti, in conformità ai seguenti criteri: a) determinare i casi nei
quali, sulla base di definite categorie di rischio professionale, prevedere l'obbligo, in capo ad un fondo
appositamente costituito, di garantire idonea copertura assicurativa agli esercenti le professioni
sanitarie. Il fondo viene finanziato dal contributo dei professionisti che ne facciano espressa richiesta,
in misura definita in sede di contrattazione collettiva, e da un ulteriore contributo a carico delle
imprese autorizzate all'esercizio dell'assicurazione per danni derivanti dall'attività medicoprofessionale, determinato in misura percentuale ai premi incassati nel precedente esercizio,
comunque non superiore al 4 per cento del premio stesso, con provvedimento adottato dal Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della salute e il Ministro dell'economia e delle
finanze, sentite la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, nonchè
le Federazioni nazionali degli ordini e dei collegi delle professioni sanitarie; b) determinare il soggetto
gestore del Fondo di cui alla lettera a) e le sue competenze senza nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica; c) prevedere che i contratti di assicurazione debbano essere stipulati anche in base a
condizioni che dispongano alla scadenza la variazione in aumento o in diminuzione del premio in
relazione al verificarsi o meno di sinistri e subordinare comunque la disdetta della polizza alla
reiterazione di una condotta colposa da parte del sanitario accertata con sentenza definitiva.
226
Un emendamento del D.L 69/2013, cosiddetto decreto del fare, ha introdotto una proroga che ha
posticipato al 13 agosto 2014 l’obbligo per gli “esercenti le professioni sanitarie” di dotarsi di
un’assicurazione contro la responsabilità civile. Tale differimento dell’obbligo è stato voluto “al fine
agevolare l’accesso alla copertura assicurativa anche per i giovani esercenti le professioni sanitarie,
incentivandone l’occupazione, nonché di consentire alle imprese assicuratrici e agli esercenti stessi di
adeguarsi alla predetta disciplina”. L’Art. 5 del DPR (Obbligo di Assicurazione) recita quanto segue:
il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i danni derivanti al cliente dall’esercizio
dell’attività professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione
dell’incarico, gli estremi della polizza professionale, il relativo massimale e ogni variazione
successiva. De Sio S., Rinaldi G., Slitta l’obbligo di assicurazione contro la responsabilità civile dei
medici. Fonte www.camera.it Prevention&Research News del 26.09.2013
227
In merito alla responsabilità civile delle strutture sanitarie, il numero dei sinistri nel 2010 ha subito
un incremento del 31%; sempre secondo le stime, il totale dei danni provocati da malpractice medica
87
prevedere un obbligo di assicurazione per i medici se poi le assicurazioni non
assicurano, dovrebbe allora essere previsto analogo obbligo anche per loro. L’unico
modo per far fronte al problema è ridurre il contenzioso legale in sanità, serve una
normativa ad hoc che introduca una definizione chiara di colpa grave nonché tabelle
univoche del danno biologico. Necessario è anche rendere effettiva e competente la
figura del risk manager negli organigrammi degli ospedali, tale specialista è previsto
dal Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro che dal 15 maggio 2008 ne ha reso
obbligatoria la presenza anche in ospedale, in quanto azienda soggetta a rischio 228.
Tale obbligo sinora è stato osservato solo da poche strutture, si auspica che in futuro
le strutture possano investire in tale direzione, il risk manager con la predisposizione
di piani di monitoraggio e controllo potrebbe portare a una concreta riduzione dei
sinistri nelle strutture229.
è di circa 260 milioni di euro, e 500 milioni di euro risulta essere l’importo corrisposto dalle Regioni
per garantire le proprie strutture per la responsabilità civile degli operatori sanitari; le specialità più
colpite dalle denunce dei pazienti sono: ortopedia e traumatologia (15,1%), pronto soccorso (14,7%),
chirurgia generale (9,6%), ostetricia e ginecologia (8,8%), medicina generale (4,3%), oculistica
(3,5%) ed otorinolaringoiatria (2,9%). La quota maggiore di importi liquidati negli ospedali riguarda
errori chirurgici (36%), diagnostici (25%), terapeutici (11%), di prevenzione (7%) e in procedure
invasive (5%); gli errori avvengono più spesso durante un intervento chirurgico, meno nella
preparazione della diagnosi, durante la riabilitazione di un paziente o la terapia farmacologica; per
quanto riguarda l’esito delle denunce, nel 63% dei procedimenti viene riconosciuta la responsabilità
del medico, il 37% si conclude senza addebiti. W. Giacardi, La responsabilità civile del medico e della
struttura sanitaria www.diritto.it, con riferimento a Fonte dei dati: Editoriale di Paolo Vinci sul
Giornale delle Assicurazioni, marzo 2010 cit. ivi
228
La legge Balduzzi all’art. 3-bis prevede la gestione e il monitoraggio dei rischi sanitari. Recita
l’articolo: “Al fine di ridurre i costi connessi al complesso dei rischi relativi alla propria attività, le
aziende sanitarie, nell'ambito della loro organizzazione e senza nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica, ne curano l'analisi, studiano e adottano le necessarie soluzioni per la gestione dei
rischi medesimi, per la prevenzione del contenzioso e la riduzione degli oneri assicurativi. Il Ministero
della salute e le regioni monitorano, a livello nazionale e a livello regionale, i dati relativi al rischio
clinico”.
229
Le Pera A., Polizze, obbligo inutile se non diminuiscono gli incidenti. Il Giornale della Previdenza,
anno XVIII, n. 8- 2013, p. 41
88
PARTE III
Relazione di presentazione del progetto
10. Premessa........................................................................................... >> 90
11. Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale........... >> 91
12. L’importanza della perizia medico- legale nel processo.................. >> 92
13. Proposta di integrazione della disciplina della perizia.................... >> 93
Bozza del disegno di legge..................................................................... >> 95
Modifiche in tema di perizia.................................................................. >> 98
89
10. Premessa
L’obiettivo principale di questa ultima parte del lavoro è stato quello di realizzare un
ipotesi possibile di riforma della materia riscrivendo le norme codicistiche idonee a
garantire un livello sempre più elevato della tutela della salute e cercando di porre un
freno alla prassi diffusa nel settore medico della c.d. “medicina difensiva”, unico
apparente rimedio, per evitare il pericolo di contenziosi. I ricercatori sostengono che
il timore di essere chiamati a rispondere giudizialmente di comportamenti di
malpractice influenza fortemente le decisioni cliniche dei sanitari, mettendo in crisi
il rapporto medico-paziente, determinando una tutela meno efficace della salute oltre
che comportare costi gravosi sul Servizio Sanitario Nazionale. Anche se di recente è
intervenuta la legge che ha depenalizzato, a determinate condizioni, la colpa lieve del
medico noi riteniamo che le nuove norme non siano formulate giuridicamente in
modo corretto e che la riforma della materia debba avvenire in modo diverso
attraverso la modifica delle norme contenute nel codice penale e procedura penale.
Per tali motivi, abbiamo elaborato quello che secondo noi potrebbe essere un ipotesi
di riforma possibile della responsabilità professionale. Siamo partiti con l’analisi
dello stato dell’arte della giurisprudenza penale, abbiamo considerato, inoltre, anche i
diversi progetti di riforma del codice penale, in tema di reato colposo, elaborati dalle
diverse commissioni di studio succedutesi nelle passate Legislature e vari
contributi230 discussi in Conferenze e Congressi, si è altresì considerata la legge 8
novembre 2012 n. 189 che all’art. 3 prevede la depenalizzazione, a determinate
condizioni, della colpa lieve dell’esercente la professione sanitaria, determinando la
parziale abrogazione delle fattispecie colpose. La nostra proposta è quella di
considerare la responsabilità penale del medico, in aderenza al principio
costituzionale, una extrema ratio, riservando l’intervento giudiziario ai soli casi di
“grave” errore medico e prevedendo al contempo, strumenti di tutela extrapenali.
230
Castaldo, A., Confortini, M., Iadecola, G.: La responsabilità professionale nell’attività sanitaria:
linee guida per una riforma possibile. 1° Conferenza nazionale della professione medica, Fiuggi 13-14
giugno 2008. La professione medicina, scienza, etica e società 3/2008.
Forti, G., Catino, D’Alessando, Centonze, Varraso, Mazzucato, Mancuso, Cattorini, Locatelli, Della
Torre, Astorina, Provera, Materni. Progetto di riforma in materia di responsabilità penale nell’ambito
dell’attività sanitaria e gestione del contenzioso legato al rischio clinico. Centro studi Federico Stella
sulla Giustizia penale e la politica criminale dell’Università Cattolica del S.C. di Milano.
90
11. Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale
La nostra bozza di disegno di legge va a incidere direttamente sulle norme del codice
penale e precisamente si è introdotto dopo l’art. 590 bis c.p. una nuova fattispecie di
reato, l’art. 590 ter, che disciplina la responsabilità per colpa nell’esercizio
dell’attività medica. Innanzitutto è stata prevista l’introduzione della “colpa grave”,
in tal modo si sono esclusi i casi connotati da “colpa lieve”, non punibili per
l’esiguità offensiva della condotta. Per definire cosa si intende per “colpa grave” cui
ancorare la responsabilità penale, si fa riferimento solo alla divergenza della condotta
tenuta in concreto rispetto a quella che invece prescriveva la regola cautelare violata.
Si è ritenuto di non ancorare la valutazione della colpa al solo rispetto delle linee
guide accreditate dalla comunità scientifica come invece ritiene l’art. 3 della legge
cit. E’ stata poi prevista la perseguibilità a querela della persona offesa del nuovo
reato. Armonizzando il settore penale con quello civile 231, è stata prevista l’ipotesi
231
La Corte Costituzionale, con sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, ha dichiarato l’illegittimità, per
eccesso di delega legislativa, dell’art. 5, primo comma, del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, istitutivo della
mediazione nelle controversie civili e commerciali, laddove si prevede il carattere obbligatorio della
stessa. Il D.Lgs. 28/2010 aveva introdotto, nell’ambito di particolari materie, la conciliazione come
una condizione di procedibilità dell’azione, con la conseguenza che l’azione non poteva essere iniziata
se le parti interessate non si fossero rivolte ad un Organismo di mediazione. A seguito
della pronuncia del giudice delle leggi le cose cambiano: la conciliazione torna facoltativa nelle
materie per le quali, prima dell’intervento del giudice delle legge, era prevista come obbligatoria,
ovvero: a) condominio; b) diritti reali; c) divisione; d) successioni ereditarie; e) patti di famiglia, f)
locazione; g) comodato; h) affitto di aziende; i) risarcimento del danno derivante dalla circolazione di
veicoli e natanti; l) risarcimento del danno da responsabilità medica; m) diffamazione a mezzo stampa
o con altro mezzo di pubblicità; n) contratti assicurativi, bancari e finanziari. Fonte Altamediazione.it,
27.10.2012 Articolo di Simone Marani http://www.altalex.com/index.php?idnot=59662. Il D.lgs. n.
28/2010 è stato, in seguito alla censura della Corte Cost. modificato con il D.l. 21 giugno 2013, n.69,
convertito dalla Legge 9 agosto 2013, n. 98. Viene reintrodotta l’obbligatorietà della mediazione,
prevista come condizione di procedibilità, insieme ad altre materie, per l’azione di risarcimento del
danno derivante da responsabilità medica e sanitaria. (Art. 1-bis d.lgs. cit., così come modificato). Dal
21 settembre 2013, sono entrate in vigore le nuove disposizioni in materia di mediazione. Tra le
principali novità vanno segnalate oltre alla reintroduzione dell’obbligatorietà sia pur per un periodo di
4 anni e per un catalogo di materie parzialmente differente, la previsione di un incontro preliminare
come unica condizione di procedibilità, l'introduzione di un criterio di competenza territoriale per
l'esperimento del procedimento, l’assistenza tecnica garantita, l'esecutività dell'accordo raggiunto
senza necessità dell'omologazione giudiziale nel caso in cui gli avvocati di parte sottoscrivano il
verbale.
91
del tentativo obbligatorio di conciliazione 232 in sede di processo penale. I vantaggi
della procedura di conciliazione consistono nella sua maggiore flessibilità in quanto,
permette di tener conto delle necessità e volontà delle parti, è più economica e più
rapida233. Se la conciliazione non avesse gli esiti sperati, si prosegue nella via
giudiziale, certamente più lunga con l’aggiunta del periodo impiegato per la
mediazione234. Nel caso in cui la conciliazione ha avuto esito positivo il reato si
estingue. Sarà il Giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pubblico
ministero ove non ritenga di procedere ad archiviazione, ad espletare il tentativo
obbligatorio di conciliazione tra le parti, che può avvalersi degli organismi pubblici o
privati iscritti nel Registro istituto con decreto del Ministro della giustizia. L’ente,
riferisce senza ritardo all’autorità giudiziaria penale il risultato della procedura
conciliativa. La conciliazione ha effetto tra le parti anche ai fini civilistici.
12. L’importanza della perizia medico- legale nel processo
Il settore della responsabilità penale medica come abbiamo visto è quello in cui
maggiormente è entrato in crisi il modello nomologico-deduttivo cioè quel modello
che ricostruisce il nesso di causalità facendo ricorso a leggi universali e consente
conclusioni deduttive di sostanziale certezza. Tale modello è stato utilizzato fino agli
anni novanta per poi essere sostituito con un modello di tipo probalistico e statisticoinduttivo che utilizza leggi statistiche e massime di esperienza e consente di giungere
a pareri di probabilità. L’evoluzione della giurisprudenza di legittimità ha avuto per
oggetto il mutamento nel tempo, della regola probatoria per accertare il nesso di
232
D.lgs. 14 marzo 2010, n. 28. (Testo consolidato con le modifiche risultanti dalla L. 98/2013 di
conversione del D.L. 6972013). Definisce la conciliazione come: “la composizione di una
controversia a seguito dello svolgimento della mediazione, intendendo per tale l’attività, comunque
denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di
un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una
proposta per la risoluzione della stessa”. Il mediatore è: “la persona o le persone fisiche che,
individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di
rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo”. Art. 1 D. Lgs. cit.
233
In armonia con il sistema civile (art. 6 D. Lgs. 14 marzo 2010, n. 28. Testo consolidato con le
modifiche risultanti dalla L. 98/2013 di conversione del D.L. 6972013) abbiamo ritenuto di prevedere
la durata del procedimento di mediazione anche in sede penale di tre mesi.
234
Angioni, C., Giannace, C., Mele, A., Ciancolini, G., Frati, P.: L’istituto della
mediazione/conciliazione fra luci ed ombre. Alcune riflessioni medico-legali. Zacchia, Anno 95 vol.
XXX Gen. - Marzo 2012, F. I, pp. 19-20
92
causalità, con specifico riferimento alla condotta omissiva determinando negli ultimi
anni un evidente contrasto interpretativo risolto dall’intervento della Cassazione
Penale Sezioni Unite, 10 luglio 2002, n. 30328, Franzese, che afferma la necessità di
un approdo valutativo ancorato a criteri di affidabile certezza, elevato grado di
credibilità razionale, o quantomeno ad una solida probabilità logica. Da tale
pronuncia, emergono importanti passaggi la cui ricaduta operativa medico-legale
sono di fondamentale rilievo per un corretto agire peritale. Il perito deve essere a
conoscenza dei concetti giuridici e dell’evoluzione giurisprudenziale in materia per
poter rispondere correttamente ai quesiti del giudice. Ne deriva, la necessità da parte
degli operatori della medicina legale di redigere protocolli e linee guida che siano di
ausilio per l’adozione di una terminologia giuridica esatta al fine di elaborare
prodotti peritali adeguati all’evoluzione della dottrina e della giurisprudenza
avvenuta nell’ultimo periodo. La terminologia medico-legale deve essere la stessa di
quella usata dai giuristi che deve essere solo tradotta nel linguaggio medico forense.
Nella prassi sovente si incontrano perizie che utilizzano concetti e formule sbagliate
e che causano rilevanti difficoltà di comunicazione con i giudici e gli avvocati, e non
raramente distorsioni nei processi235.
13. Proposta di integrazione della disciplina della perizia
Punto problematico, nell’accertamento della responsabilità del sanitario, è quello
relativo all’ingresso, nel contesto del processo penale, delle indispensabili
conoscenze tecnico-scientifiche, mediante gli strumenti della consulenza tecnica e
della perizia. Anche su questo tema si è ritenuto introdurre delle modifiche. La
proposta di riforma nasce dalla consapevolezza che la prova scientifica assume un
ruolo sempre crescente, in dipendenza del carattere specialistico del sapere cui il
giudice attinge nella ricostruzione del fatto236. Il giudice infatti, non può prescindere
235
Fiori, A.: Ipotesi di linee guida per l’accertamento medico-legale del nesso causale. Rivista Italiana
di Medicina Legale 3/2010, 405 pp. 405- 414
236
Il giudice penale forma il proprio convincimento in ordine ai fatti di causa sulla base delle
emergenze probatorie disponibili e delle consulenze e perizie disposte su istanza di parte o d’ufficio.
Quando gli apporti dei consulenti e dei periti conducano a risultati contrastanti, onere del giudice di
merito è ricostruire i fatti e rispondere alle deduzioni delle parti attraverso un’argomentazione logica
93
dal contributo di esperti per risolvere le questioni che si pongono nell’accertare la
colpa o il nesso di causalità. Proprio la difficoltà delle indagini rende necessario una
adeguata qualificazione scientifica dei professionisti che forniscono la loro
collaborazione nonché l’opportunità che la perizia venga affidata ad un collegio di
esperti. Il nostro progetto di riforma accogliendo queste esigenze prevede una
modifica delle norme vigenti prevedendo sia criteri di selezione più rigorosi nella
scelta dei tecnici, sia la collegialità dell’incarico peritale che dovrebbe essere
costituito da un medico legale e uno o più specialisti del settore della medicina che
riguarda il caso concreto. La nuova legge 237 sulla sanità cit., prevede accanto alla
figura del medico legale, la presenza di esperti delle discipline specialistiche
dell’area sanitaria anche con coinvolgimento delle società scientifiche. La normativa
in esame fa esclusivo riferimento alle modifiche che dovrebbero introdursi alle
norme sulla revisione degli albi dei consulenti tecnici contenute nelle disposizioni di
attuazione del codice di procedura civile invece, noi riteniamo auspicabile
l’estensione di tale previsione anche nelle disposizioni di attuazione del codice di
procedura penale con l’introduzione di una specifica norma.
che leghi in modo coerente le risultanze probatorie disponibili, anche attraverso il motivato
riferimento ad una fra le consulenze effettuate, ritenuta maggiormente confacente alle peculiarità del
caso concreto. Fattispecie in tema di responsabilità dell’èquipe medico-chirurgica ortopedica: i giudici
di merito hanno ritenuto che, sulla scorta delle evidenze disponibili, tra cui consulenze di parte e
perizie collegiali d’ufficio, la lesione al nervo sciatico sofferta dalla paziente non dovesse essere
ricollegata all’intervento di osteosintesi praticato dalla predetta èquipe ma ad una neuropatia diabetica
o alla terapia per una neoplasia al collo dell’utero consistente nell’irradiazione da cobalto. Cass. Pen.
Sez. IV, 8 luglio 2009, dep.25 settembre 2009, n. 37845, Casablanca.
237
Art. 3 co.5 l. 189 cit. Gli albi dei consulenti tecnici d'ufficio di cui all'articolo 13 del regio decreto
18 dicembre 1941, n. 1368, recante disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, devono
essere aggiornati con cadenza almeno quinquennale, al fine di garantire, oltre a quella medico legale,
una idonea e qualificata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche dell'area sanitaria
anche con il coinvolgimento delle società scientifiche, tra i quali scegliere per la nomina tenendo
conto della disciplina interessata nel procedimento.
94
BOZZA DEL DISEGNO DI LEGGE
Art. 1
Modifiche al codice penale. Introduzione di una nuova fattispecie di reato.
1 Nel codice penale dopo l’art. 590 bis è inserito:
“art. 590 ter – Morte o lesioni personali colpose derivanti dall’esercizio dell’attività
medico-chirurgica”.
1 – Il sanitario che per colpa grave, causa nell’esercizio dell’attività medicochirurgica la morte o lesioni personali è punito, a querela della persona offesa, con
le pene previste dagli artt. 589 e 590 c.p.
2 – La colpa è grave quando il fatto è commesso in violazione delle norme che
disciplinano lo state dell’arte e la violazione sia di immediata evidenza.
3 – nei casi previsti al comma 1, l’accordo con la persona offesa relativo al
risarcimento del danno, intervenuto in seguito all’espletamento del tentativo
obbligatorio di conciliazione di cui all’art. 407 bis c.p.p., estingue il reato.
Art. 2
Modifiche al codice di procedura penale
Nel codice di procedura penale l’art. 411 “Altri casi di archiviazione” è riformulato
nel seguente modo238:
“Le disposizioni degli articoli 408, 409 e 410 si applicano anche quando risulta che
manca una condizione di procedibilità [345], che il reato è estinto [150 s. c.p.], che
il fatto non è previsto dalla legge come reato, e nei casi previsti dall’ultimo comma
dell’art. 590 ter c.p.”
238
Testo vigente. Art. 411 c.p.p. Altri casi di archiviazione. 1. Le disposizioni degli articoli 408, 409 e
410 si applicano anche quando risulta che manca una condizione di procedibilità, che il reato è estinto
o che il fatto non è previsto dalla legge come reato.
95
Nel codice di procedura penale, dopo l’art.407 è inserito:
“art. 407 bis – Tentativo obbligatorio di conciliazione nei casi di cui all’art.590 ter
c.p.
1. – Qualora si proceda per il reato di cui all’art.590 ter c.p., il pubblico
ministero, quando non deve richiedere l’archiviazione trasmette gli atti al
giudice delle indagini preliminari per l’espletamento del tentativo
obbligatorio di conciliazione.
2. – L’avviso è notificato, a cura del giudice, all’imputato e alla persona offesa.
Nell’avviso è indicata la data di udienza, l’esposizione degli elementi
essenziali del fatto, le norme di legge che si assumono violate, le fonti di
prova già note, l’invito rivolto alle parti di formulare una proposta di
risarcimento del danno. L’avviso è notificato e comunicato almeno dieci
giorni prima della data dell’udienza.
3. – Il procedimento penale e il decorso dei termini di prescrizione restano
sospesi, dalla notifica dell’avviso sino al definitivo espletamento del tentativo
di conciliazione.
4. – Il tentativo di conciliazione deve essere espletato entro 3 mesi dalla
notifica.
5. – Qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare
l’udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può
avvalersi anche dell’attività di mediazione degli organismi di conciliazione
presenti sul territorio, iscritti nel Registro istituito con decreto del Ministero
della giustizia ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 28 del 4 marzo 2010,
modificato dalla L. n. 98 del 9 agosto 2013, di conversione del D.L. n. 69 del
21 giugno 2013. In tal caso, l’ente informa senza ritardo l’autorità
giudiziaria penale dell’esito dell’attività conciliativa.
6. - In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell’attività di
conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della
deliberazione.
96
2. nel codice di procedura penale, dopo l’art.407 bis è inserito: art. 407 ter –
Modalità di svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al
giudice per le indagini preliminari.
1. – L’udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del
pubblico ministero e dei difensori delle parti.
2. – Il giudice dopo aver proceduto agli accertamenti relativi alla presenza delle
parti, della regolarità degli avvisi e comunicazioni, promuove la conciliazione tra le
parti.
3. – In caso di avvenuta conciliazione relativa al risarcimento del danno, è redatto
processo verbale attestante la remissione di querela e il giudice trasmette gli atti al
pm ai sensi dell’art. 411 c.p.p.
5. – Qualora tra le parti non sia raggiunta la conciliazione il giudice dispone con
ordinanza la restituzione degli atti al pubblico ministero.
97
MODIFICHE IN MATERIA DI PERIZIA
Art. 221 c.p.p. Nomina del perito239.
Aggiungere dopo il secondo comma all’art. 221 c.p.p. un terzo comma del
seguente tenore:
Nei procedimenti in materia di responsabilità medica di cui all’art. 590 ter c.p. il
giudice, a pena di nullità, nomina con ordinanza motivata, per l’espletamento della
perizia un collegio di esperti composto da uno specializzato in medicina legale e da
uno o più specialisti nelle materie oggetto dell’indagine, da scegliersi negli elenchi e
secondo le modalità previste dall’art. 67 bis disp. att. c.p.p..
Inserire tra le norme di attuazione del c.p.p. dopo l’art. 67 240 una nuova
disposizione art. 67- bis “Albo dei periti per i procedimenti di responsabilità
medica” del seguente contenuto:
Per i procedimenti di responsabilità medica di cui all’art. 590 ter c.p., presso ogni
Tribunale è istituito un separato albo dei periti la cui formazione e aggiornamento è
assegnata ad una commissione nominata con decreto del Ministro della salute. La
commissione è costituita da quattro membri, scelti dagli elenchi forniti dalle società
scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie,
secondo le modalità previste dal decreto del Ministero della salute.
239
Testo vigente. Art. 221 c.p.p. Nomina del perito.
1. Il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone fornite di
particolare competenza nella specifica disciplina. Quando la perizia è dichiarata nulla, il giudice cura,
ove possibile, che il nuovo incarico sia affidato ad altro perito.
2. Il giudice affida l'espletamento della perizia a più persone quando le indagini e le valutazioni
risultano di notevole complessità ovvero richiedono distinte conoscenze in differenti discipline.
3. Il perito ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, salvo che ricorra uno dei motivi di astensione previsti
dall'articolo 36.
240
Testo vigente. Art. 67 c.p.p. Albo dei periti presso il tribunale. 1. Presso ogni tribunale è istituito
un albo dei periti, diviso in categorie. 2. Nell'albo sono sempre previste le categorie di esperti in
medicina legale, psichiatria, contabilità, ingegneria e relative specialità, infortunistica del traffico e
della circolazione stradale, balistica, chimica, analisi e comparazione della grafia.3. Quando il giudice
nomina come perito un esperto non iscritto negli albi, designa, se possibile, una persona che svolge la
propria attività professionale presso un ente pubblico.4. Nel caso previsto dal comma 3, il giudice
indica specificamente nell'ordinanza di nomina le ragioni della scelta.5. In ogni caso il giudice evita di
designare quale perito le persone che svolgano o abbiano svolto attività di consulenti di parte in
procedimenti collegati a norma dell'articolo 371 comma 2 del codice.
98
Indice grafici e tabelle
Grafico 1. Campione anagrafico distinto per sesso.................................................. Pag.73
Grafico 2. Campione anagrafico distinto per sesso e per fasce di età.......................... >> 73
Grafico 3. Campione anagrafico distinto per sesso e per anzianità professionale.......>> 74
Grafico 4. Campione anagrafico distinto per sesso e per qualifica professionale........>> 74
Grafico 5. Campione anagrafico distinto per sesso e per ruolo ricoperto.................... >> 74
Grafico 6. Campione anagrafico distinto per sesso e per tipo di struttura...................>> 75
Grafico 7. Comportamenti difensivi dei medici negli ultimi tre anni di lavoro............>> 75
Grafico 8. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per età..................>>76
Grafico 9. Comportamenti difensivi per sesso............................................................... >> 76
Grafico 10. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per anzianità
professionale................................................................................................................... >> 77
Grafico11. Comportamenti difensivi negli ultimi tre anni di lavoro per tipo di
struttura.....................................................................................................................>> 77
Grafico 12. Dibattimento – Procedimenti sopravvenuti e sentenze emesse nel periodo 2000 –
2012. Fonte Tribunale di Roma.................................................................................>> 82
Grafico 13. GIP Noti – Procedimenti sopravvenuti e sentenze emesse nel periodo 2000 –
2012. Fonte Tribunale di Roma...................................................................................... >> 83
Grafico 14. Dibattimento – Procedimenti con sentenza irrevocabile.
Periodo 2009 – 2012 Fonte Tribunale di Roma........................................................... >> 84
Grafico 15. Dibattimenti – Procedimenti sopravvenuti anni 2000-2012.
Fonte Tribunale di Roma................................................................................................>> 84
Grafico 16. Dibattimenti- Procedimenti sopravvenuti presso Gip Noti anni 2000-2012.
Fonte Tribunale di Roma................................................................................................ >> 85
Grafico 17. Totale sentenze definitive Tribunale di Roma anni 2009- 2012.
Fonte Tribunale di Roma............................................................................................... >> 85
Tabella 1. Comportamenti di medicina difensiva più diffusi tra i medici.................... >> 78
Tabella 2. Fattori che maggiormente conducono ad assumere atteggiamenti di medicina
difensiva ......................................................................................................................... >> 79
Tabella 3. Fattori che inducono i medici ad assumere atteggiamenti difensivi verso il
paziente........................................................................................................................... >> 80
99
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