I RAPPORTI TRA GIURISDIZIONE SPORTIVA E STATALE: È POSSIBILE UN RITORNO AL PRIVATO? Foro amm. CDS, 2010, 10, 2257 Agatino Cariola 1. Formazioni sociali e ruolo del giudice. — 2. La creazione dell'ordinamento sportivo nella legislazione del 1942 ed in quella degli anni '90 dello scorso secolo. — 3. Il vincolo di giustizia a favore dell'ordinamento sportivo. — 4. Le risposte della giurisprudenza prima del d.l. n. 220 del 2003. — 5. Il d.l. 19 agosto 2003, n. 220. — 6. I dubbi di taluna giurisprudenza: il recupero di cognizione ad opera del giudice amministrativo. — 7. La natura pubblicistica della « parte alta » dell'ordinamento sportivo in contrasto con gli artt. 2 e 18 Cost. Il giudice ordinario quale giudice di ed in ogni formazione sociale. 1. Formazioni sociali e ruolo del giudice. Il pluralismo sociale è considerato uno dei caratteri qualificanti un ordinamento democratico: è da tempo abbandonata l'idea che a fronte del potere sovrano dello Stato vi siano solo le situazioni giuridiche individuali, di modo che il primo sia libero di dare « fondamento » e « forma » alle seconde; al contrario si ammette che la libertà individuale non è « vuota », ma si esercita e si svolge nelle relazioni personali e sociali, cosicché i gruppi sociali che si formano in via spontanea non sono altro che aspetti e profili della libertà unitariamente intesa. Se prius della medesima riflessione giuridica diviene la persona attuale e concreta nella dinamica delle sue relazioni, lo Stato assume un ruolo posterius e servente rispetto alla stessa persona. Le formazioni sociali ricevono necessaria legittimazione dal basso — per così dire — della realtà esistenziale che vede le persone collegarsi tra loro e perseguire interessi in varie forme associate. Al tempo stesso, tali formazioni « ripetono » la loro legittimazione dal riconoscimento del valore e della dignità della persona, id est dei suoi diritti. Si spiega, allora, che l'art. 2 Cost. ponga assieme riconoscimento dei diritti dei singoli e dei gruppi sociali, in una formulazione piuttosto sincretica che, per un verso, a mezzo dell'utilizzazione del verbo « riconoscere », ammette che persone e formazioni sociali e relativi diritti preesistono allo Stato; per altro verso, impegna l'insieme dei soggetti governanti a tutelare i diritti dei singoli anche all'interno dei gruppi, laddove questi possono divenire particolarmente assorbenti. 1 In altri termini, l'art. 2 Cost. constata l'esistenza di un potere sociale, anzi di poteri sociali, di modo che il principio costituzionale si fa formula ma anche « misura » del pluralismo, che è da valorizzare e, talvolta, persino, da promuovere, specie nei campi in cui i rapporti di forza sociale possono alterare le condizioni di eguaglianza e vanificare la logica stessa di « mercati » liberi e concorrenziali anche nei settori delle opinioni e delle idee, oltre che delle appartenenze. L'art. 2 Cost. è da questo punto di vista norma quasi « ricognitiva » di un carattere necessario di ogni ordinamento democratico; essa si lega all'ispirazione ideale del costituzionalismo, di modo che per definizione la norma è « aperta » al riconoscimento ed all'affermazione di nuove situazioni soggettive e/o di profili nuovi di diritti già sanciti, ma avvertiti quali bisognosi di tutela nella realtà sociale. Come da tempo è stato notato a proposito del principio di eguaglianza di cui al successivo art. 3, la constatazione dell'esistente nell'art. 2 Cost. si coniuga pure con una nota « polemica » nei confronti di realtà avvertite come potenziali pericoli per la tutela individuale. Da ciò ulteriori conseguenze, tra le quali — per riprendere un tema diffuso decenni addietro circa la c.d. Drittwirkung — che la Costituzione è legge della società e non solo dei pubblici poteri: la distinzione tra Stato-ordinamento e Stato apparato comporta, del resto, un asservimento di quest'ultimo alle esigenze espresse dalla comunità, mentre l'attenzione al campo valoriale, tipico della dimensione costituzionale, discende anche dalla considerazione che a taluni interessi presta per l'appunto la comunità sociale complessivamente considerata. La seconda deduzione — anch'essa da tempo rilevata — è che gli stessi organi pubblici traggono legittimazione dalla società e non dall'appartenenza allo Stato-apparato: ciò vale anche per il giudice che da sempre è chiamato a dirimere i conflitti interpersonali anche sulla base dei valori accolti dall'ordinamento sociale; per questo il giudice è non solo e non tanto « bocca della legge » statale, ma è tutore dei diritti degli individui e dei gruppi ed in qualche modo esprime la sensibilità della cultura contemporanea. In altri termini, il giudice è a tutto tondo organo dello Stato-ordinamento. La preoccupazione di aprire in tal modo la porta ad una sorta di « diritto libero », anticamera di nuove tirannie (di maggioranza e/o di poteri forti) è superata dalla circostanza che i valori di tolleranza e rispetto delle minoranze, di laicità, di tutela dei diritti individuali, sono fatti propri al più alto livello costituzionale e sono pertanto divenuti veri e propri, anzi i più importanti, segmenti normativi. Il giudice-tutore dei diritti applica assieme tutti tali valori-norme e sotto 2 questo profilo le preoccupazioni che si realizzino « nuovi » assolutismi in nome di istanze assiologiche paiono doversi superare in considerazione, per l'appunto, del grado complessivo di pluralismo (altri direbbero politeismo) sociale. L'idea del giudice quale soggetto-organo dello Statoordinamento non è senza riflessi applicativi in ordine alla conformazione medesima del suo intervento nelle formazioni sociali, perché comporta che i limiti eventualmente posti alle decisioni di queste ultime sono « interni », esprimono valenze sociali diffuse, sono vincoli « autonomi » ed hanno un carattere di indirizzo ed orientamento per l'attività successiva, laddove l'immagine del giudice-strumento dell'apparato statale implica un modello in cui i limiti all'autonomia privata sono (intesi quali) esterni e costrittivi, veri e propri confini e/o barriere, all'interno dei quali sia possibile esercitare qualsiasi « dominio ». 2. La creazione dell'ordinamento sportivo nella legislazione del 1942 ed in quella degli anni '90 dello scorso secolo. Le notazioni precedenti non sono senza significato a proposito dell'ordinamento sportivo, che nasce per definizione dall'iniziativa spontanea di atleti, organizzatori e tifosi. Il fenomeno sportivo è sotto questo aspetto particolarmente interessante, perché esso prende le mosse dall'attività individuale, che in alcuni sport si esaurisce in se stessa ed, invece, in altri si sviluppa in forme aggregative dalle più spontanee ed occasionali a quelle più strutturate ed istituzionalizzate, sino ad arrivare alla regolazione di campionati, l'ammissione ovvero l'esclusione dai quali assume oggi carattere pubblicistico. Questo è il punto che si dà per assodato e che pure medita di ulteriore riflessione: un fenomeno che sorge e si sviluppa dall'iniziativa privata ed assolutamente spontanea, persino occasionale, diventa un fatto di organizzazione pubblicistica nella sua fase alta, e ciò comporta la trasformazione del potere esercitato, che da privato si trasforma in pubblico a tutti gli effetti ed addirittura investe il riparto di giurisdizione, giacché competente a decidere sul fascio di rapporti inerente a tale fase non è più la giurisdizione ordinaria che (per definizione, cfr. Corte costituzionale, n. 204 del 2004) afferma l'esistenza e la « misura » dei diritti, ma quella — per l'appunto — amministrativa, competente a sindacare lo svolgimento del potere pubblico ed a conoscere delle situazioni giuridiche ricomprese nell'ambigua nozione di interesse legittimo. Ciò avviene in nome degli interessi pubblici che sarebbero propri di tale fase, ma in fondo e più in generale è in applicazione della tesi 3 secondo la quale tutto quello che lo Stato tocca è per definizione pubblico. Così, la l. 16 febbraio 1942, n. 426, ha istituito il Comitato olimpico nazionale italiano (C.O.N.I.), (addirittura a quel tempo « alle dipendenze del Partito Nazionale Fascista »), con i « compiti ... [del]l'organizzazione ed il potenziamento dello sport nazionale e l'indirizzo di esso verso il perfezionamento atletico, con particolare riguardo al miglioramento fisico e morale della razza ». Al Comitato è stato attribuito, tra l'altro, di « coordina[re] e disciplina[re] l'attività sportiva comunque e da chiunque esercitata », oltre il « potere di sorveglianza e di tutela su tutte le organizzazioni che si dedicano allo sport ». Ne è risultato conseguente configurare le Federazioni dei singoli sport quali « organi del Comitato olimpico nazionale italiano », in una visione per l'appunto organicistica abbastanza compiuta. L'ordinamento sportivo è stato in tal modo fatto diventare parte dell'ordinamento generale dello Stato-apparato, perdendo la sua originaria connotazione privatistica, o almeno concretizzando la tesi che lo Stato possa far diventare pubblici segmenti e/o profili di attività e di organizzazione tutte le volte che vuole. La l. 23 marzo 1981, n. 91, inizia sì con il riconoscimento che « l'esercizio dell'attività sportiva, sia essa svolta in forma individuale o collettiva, sia in forma professionistica o dilettantistica, è libero », ma disciplina assieme il rapporto di lavoro degli atleti, assicurando loro determinate e fondamentali garanzie; la struttura delle società sportive; i controlli sulle società ed i conseguenti provvedimenti sul regolare svolgimento dei campionati sportivi da parte delle « federazioni sportive, per delega del C.O.N.I., secondo modalità e princìpi da questo approvati ». In un certo senso, potrebbe dirsi che il livello professionistico dello sport e la gestione dei campionati sono stati individuati quali fasi e/o settori per definizione pubblici, assoggettati alla disciplina amministrativa a fini di garanzia dei lavoratori-atleti, ma anche per il regolare svolgimento di quel servizio pubblico che è lo sport. Il d.lg. 23 luglio 1999, n. 242, ha riordinato il C.O.N.I., ne ha conservato la « personalità giuridica di diritto pubblico », ed ha specificato che esso « è la Confederazione delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate e [che] si conforma ai principi dell'ordinamento sportivo internazionale, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal Comitato olimpico internazionale ». L'attività dell'ente è stata in tal modo fortemente legata all'organizzazione delle olimpiadi, ma il C.O.N.I. rimane un soggetto pubblico che esercita poteri 4 amministrativi assai forti, quali stabilire « i princìpi fondamentali ai quali devono uniformarsi, allo scopo del riconoscimento ai fini sportivi, gli statuti delle federazioni sportive nazionali delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva e delle associazioni e società sportive », adottare i « provvedimenti di riconoscimento, ai fini sportivi, delle federazioni sportive nazionali, delle società ed associazioni sportive, degli enti di promozione sportiva, delle associazioni benemerite e di altre discipline sportive associate »; stabilire « in armonia con l'ordinamento sportivo internazionale e nell'ambito di ciascuna federazione sportiva nazionale o della disciplina sportiva associata, criteri per la distinzione dell'attività sportiva dilettantistica da quella professionistica »; fissare « i criteri e le modalità per l'esercizio dei controlli sulle federazioni sportive nazionali, sulle discipline sportive associate e sugli enti di promozione sportiva riconosciuti »; determinare « i criteri e le modalità di esercizio dei controlli da parte delle federazioni sportive nazionali sulle società sportive », addirittura sostituendosi alle prime o commissariandole. La riforma del 1999 ha restituito natura privatistica alle « federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate [che] hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione », anche se debbono svolgere « l'attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle federazioni internazionali e del C.O.N.I., anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello statuto del C.O.N.I. ». Le medesime « federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate sono rette da norme statutarie e regolamentari sulla base del principio di democrazia interna, del principio di partecipazione all'attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di parità e in armonia con l'ordinamento sportivo nazionale ed internazionale », ma la legge si è spinta sino a prevedere il divieto di rielezione del Presidente per il terzo mandato consecutivo e la presenza di atleti professionisti e dilettanti negli organi direttivi nazionali, oltre la pari rappresentanza tra uomini e donne. Ne è derivata una complicata disciplina, ogni frammento della quale è assoggettato ad un regime particolare la cui cognizione è di volta in volta attribuita ad un giudice o ad un altro: così il giudice del lavoro è competente a conoscere del rapporto che lega le società ai professionisti; quello civile ordinario a giudicare sulle società sportive; quello 5 amministrativo a sindacare il corretto esercizio dei poteri amministrativi esercitati dal Coni o, su sua delega, dalle federazioni. Ancora: il giudice civile rimane il generale attributario della cognizione sulle vicende di responsabilità, quello penale delle fattispecie di illecito. Deroghe alle discipline generali sono diffusamente previste, ad esempio sull'applicazione dello Statuto dei lavoratori ai contratti dei professionisti; clausole arbitrali sono ampiamente contemplate sia in ordine alle controversie concernenti l'attuazione del contratto di lavoro insorte fra la società sportiva e lo sportivo, sia riguardo i rapporti tra le società e le federazioni, il c.d. vincolo di giustizia. Il fatto è che pubblico e privato sono astretti in una commistione particolarmente forte: un'esperienza che sorge in maniera spontanea e per definizione libera, diviene istituzionalizzata e « pubblicizzata » nelle parti « alte », con l'attribuzione a soggetti pubblici (e addirittura su delega di questi ultimi a soggetti privati) di consistenti poteri amministrativi. Questo rimane il punto di interesse, giacché a proposito dell'ordinamento sportivo si adoperano e si intrecciano strumenti di diritto privato, id est di diritto comune ispirati all'idea dell'autonomia contrattuale e della parità delle parti, ed istituti di diritto pubblico, id est di carattere autoritativo e unilaterale propri della p.a. Talune contraddizioni della giurisprudenza sembrano dimostrare l'ambiguità della commistione realizzata. A nulla varrebbe opporre che vicende simili si ritrovano anche in altri ordinamenti c.d. settoriali, ad esempio in quello bancario: a tale obiezione potrebbe agevolmente replicarsi — su diversi piani — che siffatta commistione di istituti non è nella stessa misura, che l'appartenenza all'ordinamento bancario riguarda imprese e non semplici individuisportivi e relative formazioni sociali, e che in ogni caso anche per altre esperienze potrebbero ripensarsi molte soluzioni date per scontate ed immutabili. 3. Il vincolo di giustizia a favore dell'ordinamento sportivo. Sull'obbligo delle società ed in genere di coloro i quali operano nell'ambito delle federazioni sportive di adire gli organi della c.d. giustizia sportiva e di accettarne le decisioni, con preclusione del ricorso alle comuni autorità giurisdizionali, si è dibattuto e discusso così tanto che ogni osservazione ulteriore sembra persino superflua. Sembra quasi che il problema dell'ordinamento sportivo sia costituito dalla riserva di giurisdizione da riconoscere a suo favore con esclusione di ogni intervento dei comuni giudici statali: cioè a dire, dallo spazio di decisione vincolante assegnato agli organi sportivi (variamente denominati 6 tribunali, corti, commissioni, ecc.). È da riconoscere che la più recente esperienza ha visto il c.d. ordinamento sportivo affinare gli strumenti, gli organi e le procedure della c.d. giustizia sportiva sino a porre un problema di « giusto processo » al suo interno: ne è prova la decisione dell'Alta Corte di giustizia sportiva sulla legittimità della sanzione inflitta a carico di una società di calcio, i cui sostenitori avevano ripetutamente intonato cori discriminatori a sfondo razziale durante lo svolgimento di una partita (1): decisione che dà conto dell'importanza che l'ordinamento sportivo annette ai valori generali dello Stato-comunità, quasi un'« apertura » del mondo dello sport alla cultura sociale generale, superando ogni pretesa di distinzione, al limite di isolamento. Ciò nonostante, le risposte date per giustificare la giustizia sportiva appaiono contraddittorie ed inappaganti perché mettono assieme fondamenti di ordine diverso. In realtà, la corrente spiegazione secondo cui l'ordinamento sportivo e la « sua » giustizia si poggerebbero sulla libertà associativa sancita negli artt. 2 e 18 Cost., e quindi sull'autonomia privata, risulta incongrua con la qualificazione tutta pubblicistica dei poteri esercitati dagli organi del medesimo ordinamento. Il d.l. 19 agosto 2003, n. 220, conv. in l. 17 ottobre 2003, n. 280, ha complicato ulteriormente la vicenda, giacché la legge si è attribuita il compito di delimitare gli ambiti medesimi, rispettivamente, assegnati alla giustizia sportiva ed alla giurisdizione statale, in un'operazione di ritaglio piuttosto delicata. Invero, la previsione di una riserva di giurisdizione sportiva idonea ad escludere l'intervento del giudice comune intercetta pressoché per intero non solo il complesso delle garanzie processuali di cui agli artt. 24, 25, 103, 111, 113 Cost. e 6 Cedu, ma anche il profilo sostanziale degli artt. 2, 3, 18, 35, 41 Cost., giacché ne risultano coinvolti il diritto di azione e difesa, la precostituzione del giudice naturale, le competenze della Cassazione, la tutela avverso gli atti della p.a., il giusto processo, ed ancora la garanzia dei diritti individuali all'interno delle formazioni sociali, il principio di eguaglianza, la libertà associativa, la tutela del lavoro, il diritto di intrapresa. 4. Le risposte della giurisprudenza prima del d.l. n. 220 del 2003. Invero, prima dell'intervento del d.l. n. 220 del 2003, la giurisprudenza si era da tempo posta il problema circa il c.d. vincolo di giustizia interna e lo aveva affrontato sulla base dello strumento per eccellenza del diritto comune, quale è per definizione l'autonomia contrattuale delle parti. A tale presupposto è stato riportato il fondamento delle clausole arbitrali contenute negli statuti delle federazioni sportive, che obbligano ad adire 7 gli organi interni di risoluzione delle controversie. Il modello dell'arbitrato irrituale è stato quello che più si è prestato ad avvicinarsi all'organizzazione delle federazioni, ed a nulla è servito obiettare che il vincolo arbitrale obbligatorio discende dall'adesione anch'essa obbligatoria alla federazione nazionale, « con la conseguenza che l'attuazione del diritto primario ad una manifestazione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. comporterebbe la obbligatoria rinuncia alla tutela giurisdizionale garantita dagli artt. 24 e 102 della Costituzione ». La Cassazione ha ricordato come « la giurisprudenza di legittimità ha già chiarito la natura negoziale del c.d. vincolo di giustizia (v. Cass., n. 4351 del 1993), che costituisce un momento fondamentale dell'ordinamento sportivo, essendo ontologicamente finalizzato a garantirne l'autonomia, quanto alla gestione degli interessi settoriali, da quello statuale, autonomia ritenuta generalmente necessaria per assicurare sia la competenza tecnica dei giudici sportivi, sia, in correlazione con lo svolgimento dei campionati sportivi, la rapidità della soluzione delle controversie agli stessi sottoposte. D'altra parte, depone nel senso della dimensione privatistica della giustizia sportiva, e, quindi, della origine contrattuale, e non autoritativa, dell'accettazione dei regolamenti federali, quale portato di un atto di adesione spontanea alla comunità sportiva, la natura ormai prevalentemente privatistica delle federazioni sportive. ... La rinunzia preventiva alla tutela giurisdizionale statuale ... si fonda dunque sul consenso delle parti, le quali, aderendo in piena autonomia e consapevolezza agli statuti federali, accettano anche la soggezione agli organi interni di giustizia » (2). La posizione risente di una finzione giuridica: non solo l'adesione della società alla federazione è necessaria, di modo che l'accettazione della clausola compromissoria non è affatto libera, ma si è trascurato anche il fatto che la clausola arbitrale era tanto poco contrattuale da essere contenuta in uno statuto adottato (all'epoca) da un ente pubblico quale la federazione nazionale. Insomma, l'individuazione del fenomeno sportivo negli artt. 2 e 18 Cost., e di conseguenza la valorizzazione delle posizioni di libertà e della dimensione associativa, mal si conciliava con il carattere vistosamente « eteronomo » della clausola arbitrale. E ciò a parte la circostanza che nessuna clausola arbitrale potrebbe mai escludere la possibilità (vero e proprio diritto inviolabile ex art. 24 Cost. e 6 Cedu) di rivolgersi all'autorità giurisdizionale (per così dire) generale circa i vizi del medesimo procedimento arbitrale, ad iniziare dai profili di 8 composizione dell'organo (3). Inoltre, l'accentuazione sul fenomeno sociale — come quello sportivo — all'interno del quale insistono taluni arbitrati, non esime dall'intervento giurisdizionale volto ad assicurare in ogni caso garanzia ai diritti fondamentali. Insomma, proprio l'efficacia a pieno raggio della Costituzione nei rapporti sociali importa che la tutela giurisdizionale dei diritti dei singoli vada assicurata anche all'interno dei gruppi e ciò richiede di poter sempre « misurare » il corretto esercizio dell'autonomia negoziale, compresa quella che si esercita e si esprime nella clausola compromissoria e nel suo svolgimento in concreto (4). Non è infrequente, infatti, che l'ordinamento generale prescriva determinate forme a garanzia dei diritti più « deboli » (si pensi all'art. 2113 c.c.) o escluda puramente e semplicemente la compromittibilità in arbitrati dei diritti indisponibili (art. 806 c.p.c.). Invero, al di là delle soluzioni normative di volta in volta predisposte, la distinzione pubblico-privato a proposito delle dinamiche di accertamento ed attuazione dei diritti va superata in considerazione del carattere sociale dell'attività giurisdizionale come di quella arbitrale: giudici ed arbitri sono soggetti dello Stato-comunità, di modo che è del tutto comune il quadro assiologico e normativo da applicare, così come dovrebbe risultare chiaro che la « chiusura » del sistema arbitrale non può mai essere totale e pervenire al carattere di esclusività. 5. Il d.l. 19 agosto 2003, n. 220. Rispetto alle posizioni della giurisprudenza appena riportate, il d.l. 19 agosto 2003, n. 220, conv. poi in l. 17 ottobre 2003, n. 280, appare foriero di una logica diversa, anche perché mosso da motivazioni piuttosto contingenti. Si ricorderà che l'estate 2003 fu segnata dalle pronunce di taluni tar che ritennero invalidi provvedimenti applicati dalla Federazione italiana gioco calcio a carico di talune squadre e disposero, pertanto, misure cautelari a favore delle squadre ricorrenti. Il decreto legge intervenne a reazione: si sancì in via generale il principio dell'autonomia dell'ordinamento sportivo rispetto all'ordinamento della Repubblica, anche perché il primo sarebbe « articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale ». Si stabilì che i rapporti tra i due ordinamenti siano « regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo ». Si riservò « all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l'osservanza e 9 l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive ». Si stabilì che in tali materie « gli affiliati ed i tesserati hanno l'onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ». Si devolvette alla giurisdizione amministrativa esclusiva ogni controversia su atti del Coni o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo, sempre una volta « esauriti i gradi della giustizia sportiva » e « fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive », nonché da quelle inserite nei contratti tra squadre e lavoratori sportivi. Si fissò la competenza inderogabile del Tar Lazio, anche per i processi in corso e la sospensione di efficacia delle misure cautelari sino ad allora emanate. In contraddizione con l'asserita autonomia dell'ordinamento sportivo si dispose anche che il Coni adottasse provvedimenti straordinari e transitori per assicurare l'avvio dei campionati 2003-2004, atteso che si era raggiunto nel frattempo l'accordo sull'aumento delle squadre partecipanti. In fondo, l'esigenza di salvaguardare i provvedimenti della Federazione calcio rispetto alle misure cautelari dei giudici amministrativi regionali ha segnato il decreto legge non a caso definito « blocca-tar » oltre che « salva-calcio » per la possibilità di iniziare data al campionato di calcio. Il riconoscimento dell'autonomia dell'ordinamento sportivo risulta fondato sull'appartenenza all'ordinamento sportivo internazionale, che è — per così dire — una giustificazione troppo forte per fondare la riserva di giustizia sportiva nelle materie indicate: intesa alla lettera, una tale giustificazione dovrebbe portare ad escludere la cognizione giurisdizionale sui rapporti all'interno di ogni formazione sociale (religiosa, politica, sindacale, culturale, ecc.) che abbia una qualche forma di presenza internazionale. Soprattutto, mal si concilia l'affermata autonomia dell'ordinamento sportivo con la pubblicizzazione a tutto tondo del Coni e dei relativi poteri delegati a Federazioni (che sarebbero solo) associazioni di diritto privato (5). 10 6. I dubbi di taluna giurisprudenza: il recupero di cognizione ad opera del giudice amministrativo. Invero, la commistione privato-pubblico dell'ordinamento sportivo continua a suscitare perplessità. La riserva di giustizia sportiva non risolve tutti i problemi e se all'inizio è prevalsa una lettura orientata a non contestare la scelta del legislatore del 2003 (6), la più recente giurisprudenza amministrativa avverte la necessità di riconsiderare l'assetto dei rapporti tra la giustizia sportiva e quella statale. Così, si sono talvolta riportate nell'alveo della giurisdizione amministrativa le questioni concernenti le sanzioni disciplinari comportanti penalizzazioni in classifica e conseguente retrocessione nella categoria inferiore, sulla base della rilevanza esterna della sanzione, che inciderebbe sullo status della società in termini non solo economici, ma anche di onorabilità, ed in considerazione dei dubbi di legittimità costituzionale della normativa comportante l'esclusione della giurisdizione, e « pur nella difficoltà della individuazione di un sicuro discrimine tra atti a rilevanza meramente interna ed atti incidenti su posizioni giuridiche rilevanti nell'ordinamento generale » (7). Si è precisato che « la giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive, mentre la giustizia statale è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi. Alla luce di tale principio sono riservate alla giustizia sportiva le c.d. controversie tecniche, quelle cioè che riguardano il corretto svolgimento della prestazione sportiva, ovvero la regolarità della competizione sportiva, ed è ormai pacifico che siano riservate alla giurisdizione amministrativa le questioni concernenti l'ammissione e l'affiliazione alle federazioni di società, associazioni sportive e di singoli tesserati, e i provvedimenti di ammissione ai campionati, ... trattandosi di provvedimenti di natura amministrativa in cui le Federazioni esercitano poteri di carattere pubblicistico in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del C.O.N.I. » (8). Alla stregua di tale impostazione sembrerebbe di poter desumere che anche i provvedimenti afflittivi incidenti sullo status di tesserato e/o di affiliato alla Federazione sarebbero conoscibili dal giudice amministrativo le volte in cui incidessero « su situazioni giuridiche soggettive protette dall'ordinamento generale in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo ». Addirittura, è stato necessario prospettare una interpretazione 11 costituzionalmente orientata del tessuto normativo risultante dal d.l. n. 220 del 2003, giacché le norme, pur « nate con il preciso intento di arginare l'intervento della giustizia statale sull'autonomia dell'ordinamento sportivo », e di « tracciare una linea di confine netta tra i territori rispettivamente riservati all'ordinamento sportivo, e ai suoi organi di giustizia, e quelli nei quali è possibile l'intervento della giurisdizione statale, e del giudice amministrativo in particolare », non sono, tuttavia, pienamente riuscite nel loro scopo chiarificatore (9). Infatti, si è rilevato come il legislatore non abbia prestato attenzione alle conseguenze patrimoniali indirette dei provvedimenti adottati dalle Federazioni a mezzo dei propri organi di giustizia sportiva. Per questo « il d.l. n. 220/2003 (conv. in l. n. 280/2003), dà luogo ad alcune perplessità in ordine alla legittimità costituzionale della riserva a favore della “giustizia sportiva”: in particolare, non risultano manifestamente infondati quei dubbi di costituzionalità, ... che evocano un possibile contrasto col principio della generale tutela statuale dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi (art. 24 Cost.), e con la previsione costituzionale che consente sempre l'impugnativa di atti e provvedimenti amministrativi dinnanzi agli organi di giustizia amministrativa (art. 103 e 113 Cost.) » (10). La preliminare considerazione ha consentito al giudice amministrativo di riqualificare come atto amministrativo la decisione dell'organo arbitrale del Coni (11) e di concludere pertanto che la disciplina posta dal decreto legge del 2003 debba essere interpretata, « in un'ottica costituzionalmente orientata, nel senso che laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal C.O.N.I. abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l'ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell'atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere ». Insomma, sembra assistere — e quasi di necessità — ad una progressiva riconsiderazione dei rapporti tra giustizia sportiva e giustizia statale alla luce delle esigenze di tutela di taluni diritti, ma anche della grande varietà di domande formulabili ai fini dell'accesso ad istanze giurisdizionali. 7. La natura pubblicistica della « parte alta » dell'ordinamento sportivo in contrasto con gli artt. 2 e 18 Cost. Il giudice ordinario quale giudice di ed 12 in ogni formazione sociale. A questo punto emergono anche talune incongruenze dell'assetto realizzato ed, in particolare, rileva l'inconsistenza delle giustificazioni addotte per fondare la riserva di giustizia sportiva. A presupposto di questa non può essere posto l'ordinamento internazionale, come pure ha indicato il d.l. n. 220, sia perché in punto di fatto l'ordinamento sportivo internazionale non coinvolge tutti i segmenti del fenomeno sportivo, ad iniziare dai campionati c.d. minori di calcio, ed allora si tratterebbe di un fondamento a tutta evidenza sproporzionato; sia, soprattutto, perché tale base non esclude affatto il controllo giurisdizionale sulla compatibilità del diritto internazionale con l'ordinamento italiano — come pure è stato richiesto a proposito delle norme della Convenzione europea dei diritti dell'uomo da una nota giurisprudenza costituzionale (12). Fondamento della giustizia sportiva non può essere inteso nemmeno il riconoscimento dell'autonomia dei soggetti che ne fanno parte in svolgimento delle libertà sancite dagli artt. 2 e 18 Cost., come pure si ripete. Malgrado le ricostruzioni volte a socializzare, per così dire, il potere pubblico ed a legittimare in tale contesto taluni soggetti pubblici, specie in una visione pluralista che valorizza le comunità intermedie, l'autonomia delle formazioni sociali sembra inconciliabile sia con un apparato pubblicistico dotato di poteri tanto penetranti, sia con la riserva di giurisdizione interna, che significhi puramente e semplicemente l'irrilevanza per l'ordinamento generale di quanto avviene all'interno dei gruppi. Detto in altri termini, l'« errore » del d.l. n. 220 è la pretesa del legislatore ordinario di poter definire a mezzo di una tecnica di ritaglio i limiti della giurisdizione e di voler contemporaneamente qualificare gli ambiti di interesse dell'ordinamento generale, ossia a dire le domande proponibili da chi sente lese le proprie situazioni giuridiche all'interno dei (molteplici) gruppi di cui fa parte e per questo richiede tutela al giudice. Ora, sotto un primo profilo, può sì ammettersi che non tutto quanto avviene all'interno dei gruppi è di interesse generale; può anche accettarsi l'idea che, in nome dell'autonomia loro riconosciuta, le decisioni delle formazioni sociali possano essere « riviste » e « riconsiderate » in sede giurisdizionale solo se ed in quanto si provi la loro illogicità ovvero la scorrettezza oppure la contrarietà a norme imperative; ma deve pure riconoscersi che la distinzione tra gli ambiti 13 e/o i profili suscettibili di cognizione giurisdizionale (lo spazio dello justiciable) non è di competenza del legislatore ordinario, nell'espressione di una decisione di maggioranza; al contrario, tale distinzione è inevitabile competenza della giurisprudenza cui è riservato di tutelare le situazioni giuridiche individuali, valutare la correttezza dei comportamenti tenuti, bilanciare caso per caso tra esigenze dei singoli e del gruppo, indicare criteri di attività per il futuro, ecc. L'intervento del giudice è quello di un soggetto dello Stato-comunità che non sostituisce la sua volontà a quella del gruppo, ma assicura l'osmosi tra i valori dell'ordinamento generale per definizione pluralista. Gli interessi sovraindividuali non sono per definizione sic et simpliciter pubblici: esiste una vasta area di interessi sociali che prendono le mosse dall'attività individuale e che sono riferibili ai gruppi ed alle formazioni sociali, in relazioni ai quali nemmeno il legislatore può stabilire pubblicizzazioni forzose, in violazione per l'appunto dell'art. 2 Cost. giacché la riconduzione di tali interessi allo Stato-persona contraddirebbe il riconoscimento operato dalla norma costituzionale di fenomeni sociali « preesistenti » ed indipendenti dall'apparato pubblico, cui questo addirittura rivolge prestazioni in nome della sussidiarietà orizzontale (art. 118, u.c., Cost.). Sotto altro collegato profilo, appare ingenua l'idea di poter limitare l'ambito di intervento della giurisdizione e di circoscrivere le azioni esercitabili, trascurando ciò che già A. de Tocqueville avvertiva (a proposito dell'ordinamento americano, ma con notazione di carattere generale) circa il fatto che ogni questione politico-sociale tende a divenire controversia giurisdizionale. Non pare, allora, peregrina l'idea che la giustizia sportiva riposi sulla volontà negoziale delle parti, ma ciò comporta che sia da smantellare l'impianto pubblicistico creato sulle parti « alte » dell'ordinamento sportivo, in maniera incompatibile con il riconoscimento del fenomeno sportivo quale attività tipica di formazioni sociali. Competente a definire di volta in volta i confini della c.d. giustizia sportiva (id est: interna), per così dire a « misurarne » la tenuta rispetto a tutti i valori coinvolti, è il giudice ordinario, soggetto dell'ordinamento sociale e degli interessi individuali e sociali che si svolgono su quel piano, mentre non vi è spazio per un giudice amministrativo attratto nella funzione pubblica e nel suo esercizio (13). La qualificazione privatistica del fenomeno sportivo proprio sulla base ed in svolgimento degli artt. 2 e 18 Cost. esige che l'intero ordinamento sia configurato in questa prospettiva e che, allora, 14 l'assetto giurisdizionale segua coerentemente tale impostazione. (1) Alta Corte di giustizia sportiva, 9 giugno 2009, in Foro it., 2009, III, 656 ss. (2) Cassazione, I, 28 settembre 2005, n. 18919, e negli stessi termini la successiva Cassazione, I, 27 settembre 2006, n. 21006. Si è aggiunto, anzi, che « la questione di legittimità costituzionale delle predette norme [sul vincolo di giustizia] in riferimento al diritto di azione e di difesa riconosciuto dall'art. 24 della Costituzione ed al principio del monopolio statale della giurisdizione, di cui all'art. 102 Cost. è manifestamente infondata. Ed infatti, premesso che il fondamento dell'autonomia dell'ordinamento sportivo è da rinvenire nella norma costituzionale di cui all'art. 18 Cost., concernente la tutela della libertà associativa, nonché nell'art. 2 Cost., relativo al riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità del singolo, deve rilevarsi che il vincolo di giustizia non comporta rinuncia a qualunque tutela, in quanto l'ordinamento pone in essere un sistema, nella forma appunto dell'arbitrato irrituale ex art. 806 cod. proc. civ., che costituisce espressione dell'autonomia privata costituzionalmente garantita (v. Corte cost., n. 127 del 1977). Tale istituto ricorre allorché le parti abbiano inteso non già, come nell'arbitrato rituale, demandare agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, ma demandare ad essi la soluzione di determinate controversie in via negoziale, mediante un negozio d'accertamento, ovvero strumenti conciliativi o transattivi (v. Cass., n. 1398 del 2005). L'istituto arbitrale, ove costituisca un atto derivante dalla libera volontà delle parti, come è, per quanto si è chiarito, nel caso dell'arbitrato irrituale, non si pone in contrasto con il principio di unicità e statualità della giurisdizione, come, del resto, ripetutamente riconosciuto dal giudice delle leggi (v. Corte cost., n. 488 del 1991; n. 127 del 1977, cit.), che ha sottolineato che solo le parti, sempre che si versi in materia non attinente ai diritti fondamentali, possono scegliere altri soggetti, quali gli arbitri, per la tutela dei loro diritti in luogo dei giudici ordinari, ai quali è demandata la funzione giurisdizionale ai sensi dell'art. 102 Cost., risultando detta scelta una modalità di esercizio del diritto di difesa ex art. 24 Cost ». (3) Si accenna qui ad un profilo di interesse, perché se è vero che prima Cass., S.U., 3 agosto 2000, n. 527, e poi la riforma apportata dal d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, hanno « spostato » l'istituto arbitrale più verso la dimensione contrattuale che non verso la tradizionale configurazione pubblicistica assimilabile a tutto tondo alla giurisdizione, è pure vero che proprio l'accentuazione del presupposto negoziale porta a tutelare sia la libera volontà delle parti (argomento ex art. 1321 ss. c.c.), sia la correttezza dell'intero procedimento arbitrale (ex art. 1375 c.c.), cui può essere ricondotto il principio del giusto processo, di modo che appaiono costituzionalmente necessarie talune disposizioni, quali quelle che esigono il rispetto del contraddittorio ovvero che importano la nullità dell'arbitrato e del suo esito per i vizi di costituzione o per il dolo dell'arbitro. (4) In questa chiave trova ulteriore giustificazione l'ammissibilità degli arbitri a sollevare questioni di legittimità costituzionale, riconosciuta da Corte costituzionale, 28 novembre 2001, n. 376, malgrado l'argomentazione allora accolta fosse tutta nel senso di ritenere « che l'arbitrato costituisce un procedimento previsto e disciplinato dal codice di procedura civile per l'applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordinaria. Sotto l'aspetto considerato, il giudizio arbitrale non si differenzia da quello che si svolge davanti agli organi statali della giurisdizione, anche per quanto riguarda la ricerca e l'interpretazione delle norme applicabili alla fattispecie ». (5) Così, poco prima dell'adozione del d.l. n. 220 del 2003, poteva esprimersi il TAR Reggio Calabria: « la materia delle ammissioni ed esclusioni delle Società sportive da determinati campionati in base ai criteri gestionali di carattere patrimoniale od economico15 finanziario, prescritte dalle varie normative delle Federazioni sportive, rientra pacificamente nella giurisdizione del Giudice amministrativo, tenuto conto che la fase di iscrizione ai campionati, in relazione alle regole attinenti al controllo gestionale ed economico-finanziario delle Società, è disciplinata da norme che perseguono finalità di interesse pubblico, e che, a norma dell'art. 12 della legge n. 91/1981, novellato dalla legge n. 586/1996, in tale materia le Federazioni sportive esercitano il potere di controllo « per delega del C.O.N.I. », e quindi quali organi di tale Ente Pubblico nell'esplicazione dei suoi fini istituzionali di organizzazione e potenziamento dello sport (cfr. soprattutto, tra le tante, Cons. Stato VI 30/9/1995 n. 1050, punto 2/b della motivazione, TAR Lazio sez. III 24/9/1998, n. 2394. punto 2 della motivazione, Cassazione sez. III 5 aprile 1993 n. 4063, Cassazione SS.UU. 26 ottobre 1989, n. 4399) », D.P. n. 471 del 14 agosto 2003. (6) Ne è prova Consiglio di giustizia amministrativa, 8 novembre 2007, n. 1048, secondo cui « l'insussistenza della giurisdizione amministrativa, e al contempo di ogni altra giurisdizione, deriva dalla corretta esegesi degli artt. 1, 2 e 3 del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 17 ottobre 2003, n. 280. Tale fonte primaria, nel pieno rispetto dei principi costituzionali, “riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale”. Conseguentemente, ispira al “principio di autonomia” “i rapporti tra l'ordinamento sportivo” e il diritto statuale, con l'unica eccezione dei “casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo”. L'art. 2 del decreto in esame fissa positivamente alcuni casi in cui tale rilevanza, per definizione dello stesso legislatore, senz'altro non ricorre. È dunque riservata all'ordinamento sportivo, in forza di tale norma di legge (con il corollario che ogni giudice statuale difetta in radice di giurisdizione in proposito), ogni questione avente ad oggetto: ... Lo Stato, dunque, ha dichiarato apertamente il proprio disinteresse per ogni questione concernente “l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale” in ogni sua articolazione; ed altrettanto è a dirsi per ogni questione che concerna “i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive”. Il corollario è che nessuna violazione di tali norme sportive potrà considerarsi di alcun rilievo per l'ordinamento giuridico dello Stato ». (7) TAR Lazio, III, 22 agosto 2006, n. 7331. (8) Cons. St., sez. VI, 17 aprile 2009, n. 2333. (9) Cons. St., sez. VI, 25 novembre 2008, n. 5782: « anche dopo il d.l. n. 220/2003, la linea di confine tra giustizia sportiva e giurisdizione amministrativa è rimasta spesso incerta, come dimostrano le numerose divergenze interpretative che si riscontrano anche all'interno della giurisprudenza amministrativa. Si tratta di difficoltà ermeneutiche che riflettono, del resto, la stessa complessità che si incontra nel tentativo di conciliare due principi che mostrano diversi momenti di potenziale conflitto: il principio dell'autonomia dell'ordinamento sportivo (che trova il suo fondamento costituzionale negli artt. 2 e 18 della Costituzione) e il principio del diritto di azione e di difesa, espressamente qualificato come inviolabile dall'art. 24 Cost. In questa indagine sui rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale si deve partire da una considerazione di fondo: quella secondo cui la “giustizia sportiva” costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive, mentre la giustizia statale è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi. Proprio alla luce di tale principio, oggi c'è sostanziale concordia sul fatto che siano riservate giustizia sportiva le c.d. controversie 16 tecniche, (quelle cioè che riguardano il corretto svolgimento della prestazione sportiva, ovvero la regolarità della competizione sportiva) in quanto non vi è lesione né di diritti soggettivi, né di interessi legittimi ». (10) Sempre Cons. St., sez. VI, n. 5782 del 2008. (11) « Il Collegio non ignora, ma anzi condivide, l'orientamento giurisprudenziale proprio di questa Sezione, secondo cui la decisione della camera di conciliazione e arbitrato per lo sport del C.O.N.I. non costituisce un vero e proprio lodo arbitrale, ma rappresenta la decisione di ultimo grado della giustizia sportiva, avente quindi il carattere sostanziale di provvedimento amministrativo, benché emesso con le forme e le garanzie tratte dal giudizio arbitrale. Si tratta, come specificato da Cons. Stato, sez. VI, 9 luglio 2004, n. 3917, di una decisione emessa dal supremo organo della giustizia sportiva sulla base di principi e garanzie tipiche del giudizio arbitrale, ma che resta soggetta agli ordinari strumenti di tutela giurisdizionale per le fattispecie non riservate all'ordinamento sportivo ». (12) Il riferimento è a Corte costituzionale, 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349. (13) La connotazione riferita al giudice amministrativo è tratta a tutta evidenza da Corte cost., 5 luglio 2004, n. 204, e 11 maggio 2006, n. 191. 17