numero 40 - Associazione Pordenonese di Astronomia

MONTEREALE VALCELLINA
PORDENONE
LO SCOPO DI QUESTO NOTIZIARIO
IN QUESTO NUMERO
 La meteora ottocentesca e il meteorite di Renazzo.......................................pag. 1
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Cerchi di grano (come si fanno?)..................................................................pag. 4
Protuberanze solari .......................................................................................pag. 7
Perché il perielio della Terra nel 2006 sarà 2 giorni dopo del 2005 .............pag. 11
Un viaggio nel cuore del «Trapezio» in M42 ...............................................pag. 13
Il metodo della deriva in declinazione di Bigourdan ....................................pag. 14
Deep Sky dall’osservatorio di Tiezzo (PN) ..................................................pag. 16
Notiziario stampato in proprio e distribuito ai Soci
Comitato di redazione: Carrozzi Giampaolo – Bradaschia Filippo – Cauz Omar – De Giusti Luigi
LA METEORA OTTOCENTESCA DEL MANTICA
E LA METEORITE DI RENAZZO
Stefano Zanut
“Li 12 zennaro qui a Pordenon e luoghi circonvicini e lontani come anche Conegliano fu veduto circa alle ore 23, sua aria, essendo tutto il giorno sereno, un globo di nebbia dal quale scoppiò un ruggito che
durò circa un quarto d’ora et cadè essa nebbia come una fiamma di fuoco e si fece come una biscia torta
e sparì. Fu supposto questo segno preludio infausto”.
In questo breve resoconto di Sebastiano Mantica, nobile pordenonese dell’ottocento, non sfugge la descrizione del maestoso fenomeno di una grande meteora, che si manifesta “come una fiamma di fuoco e si fece come una biscia torta e sparì” ed a cui il cronista addirittura associa un fenomeno sonoro (“… scoppiò
un ruggito che durò circa un quarto d’ora …”).
Fin qui la descrizione di un evento eccezionale, che certamente avrebbe fatto sobbalzare anche i più disincantati osservatori del cielo dei giorni nostri, ma ciò che stupisce è la strana analogia con un altro fenomeno analogo e praticamente contemporaneo registrato a Renazzo, un paese dell’Emilia Romagna, il
15 gennaio 1824, alle ore 20.30; in tale circostanza fu visto un intenso bagliore e successivamente udite
tre detonazioni, seguite dalla caduta di molte pietre, tre delle quali successivamente raccolte per un peso
totale di circa 10 kg.
Di questi solo 720,7 g sono noti, perché conservati presso vari musei e università del mondo; il frammento più grosso è attualmente custodito presso il Museo “L. Bombici” di Mineralogia di Bologna e pesa 307
g, ma resta un mistero dove siano finiti gli altri, forse all’estero o in qualche collezione privata.
Ci piace quindi pensare che Sebastiano abbia trascritto male la data e che il fenomeno da lui descritto sia
lo stesso che ha turbato gli abitanti di Renazzo.
Ma la meteorite di Renazzo è importante non solo per le testimonianze storiche associate, ma anche per
essere stata molto studiata ed oggetto di accurate analisi, tanto da diventare una sorta di stele di Rosetta
per l’astrofisica.
I primi studi che la riguardano risalgono addirittura al 1827, quando un membro dell’Accademia delle
Scienze di Francia si recò a Renazzo per prelevarne un campione da studiare, gli ultimi al 2000, con un
articolo dedicato apparso su NEW SCIENTIST, dal titolo “Star dust”, in cui gli autori sostenevano che
“diamanti forgiati all'interno di stelle estinte da lungo tempo (giganti rosse) ci stanno fornendo importanti indicazioni sulle nostre origini”.
Si tratta di una meteorite brecciata, cioè una roccia composta da numerosi frammenti di diverse dimensioni (clasti) tenuti assieme da una matrice di materiale a grana fine. Questa meteorite che appartiene al
gruppo delle condriti carbonacee (o carboniose), contiene una grande quantità di fasi metalliche e presenta chiari segni di alterazione idrotermica. I dati sulla composizione isotopica dell'ossigeno e le caratteristiche dei clasti scuri presenti in abbondanza nella meteorite, fanno pensare ad un materiale precursore
diverso che ha subito una processo di accrezione (aggregazione di piccole particelle per formare masse
maggiori) e “alterazione acquosa” prima di assumere la struttura attuale (che è quella di una CR, “condrite carbonacea”, del tipo di Renazzo, appunto).
Evidenze spettroscopiche di “alterazione in presenza
d'acqua” sono state osservate in alcuni asteroidi nelle
zone più distanti dal Sole. Una delle caratteristiche più
interessanti di Renazzo è che come tutte le condriti CR,
contiene materiale organico interstellare arricchito di
deuterio e azoto pesante. Si è ipotizzato che il materiale
condritico ricco di carbonio e metallo, come in Renazzo,
possa essere stato il materiale sorgente che si è fuso per
formare un certo tipo di meteoriti metalliche. Dal confronto tra gli spettri di riflettività dell'asteroide Pallade e
delle meteoriti carbonacee, esistono molte similitudini
tra questo asteroide e Renazzo, principalmente nella
composizione mineralogica.
1
Le due foto si riferiscono al meteorite conservato a Bologna. Si noti nella parte esterna il colore scuro della meteorite dovuto alla crosta di fusione formatasi al passaggio
del corpo cosmico nell'atmosfera terrestre, che dopo lo
shock termico di parecchie migliaia di gradi si è poi raffreddato nella caduta. La parte frontale evidenzia la tipica
struttura interna delle condriti con la presenza di condruli
(da cui il nome condrite) che sono granelli di forma sferica non più grandi del millimetro.
L’importanza di questa meteorite per la comunità scientifica internazionale risulta ben evidente anche da un breve
articolo tratto dal quotidiano LA STAMPA di mercoledì
10 gennaio 2001, di seguito riproposto e scritto da Giuliano Cevolani, del CNR di Bologna, autore anche
di un volume particolarmente interessante dal titolo “RENAZZO. Un meteorite racconta la nostra storia”, edito dal Consiglio Nazionale delle Ricerche.
L’ORIGINE DEL SISTEMA SOLARE: una meteorite italiana racconta la nostra storia. In minuscoli diamanti una testimonianza della nebulosa primordiale.
Dopo la scoperta alla fine degli anni ottanta di grani presolari nelle meteoriti, c’è stata una vera e propria esplosione negli studi sull’evoluzione della nostra galassia e sulla conseguente formazione del sistema solare. Le prime indicazioni che le meteoriti potessero contenere “polvere di stelle” risalgono al
1964, quando due ricercatori, G.Turner e J.Reynolds, dell’Università della California a Berkeley, notarono alcune anomalie nel contenuto di xenon (Xe), un gas nobile intrappolato in una condrite carbonacea caduta il 15 gennaio 1824 a Renazzo, un villaggio vicino a Ferrara. Fin dalle prime analisi appariva
certo che la meteorite conteneva percentuali insolitamente alte degli isotopi più pesanti e leggeri di Xe,
che lasciano un’impronta oggi indicata come Xe-HL. A quel tempo si riteneva che le alte temperature del
sistema solare potessero cancellare ogni traccia chimica del suo passato, comprese le anomalie di Xe,
che viene oggi considerato un ottimo tracciante della presenza di grani presolari nella materia interplanetaria. Solo nel 1987, alcuni ricercatori dell’Università di Chicago, scoprirono che il gas Xe era intrappolato in minuscoli diamanti (di qualche milionesimo di millimetro), costituenti fondamentali di
quelli che di lì a poco si sarebbero chiamati grani presolari. Questi grani che pesano meno di un nanogrammo (un miliardesimo di grammo) e sono costituiti di diamanti, carburo di silicio (SiC), grafite e ossidi di alluminio, sono una traccia importante delle fasi finali della vita di alcune stelle - le giganti rosse, la cui atmosfera relativamente fredda e ricca di carbonio avrebbe permesso la formazione dei grani
prima della morte della stella avvenuta per esplosione. Solo un piccolo residuo di polvere e gas di queste
stelle è sopravvissuto incontaminato e ben protetto sotto forma di grani all’interno delle meteoriti, soprattutto nelle condriti carbonacee. Dopo quasi due secoli dalla sua scoperta, la meteorite Renazzo,
considerata il capofila di un intero gruppo di condriti carbonacee, continua a fornire preziose informazioni, come risulta dagli atti di una serie di congressi tenuti nel 2000 negli Stati Uniti. Innanzitutto, rispetto ad altre più celebri condriti carbonacee come Murchison e Allende ambedue rinvenute nel 1969,
Renazzo ha una maggior contenuto di diamanti e un minore apporto di carburo di silicio e grafite
all’interno dei grani presolari. Queste caratteristiche indicherebbero una travagliata storia termica del
corpo genitore (precursore) della meteorite che ha subìto un riscaldamento più severo di quello dei precursori delle condriti ordinarie. Renazzo appare particolarmente ricca di deuterio (un isotopo
dell’idrogeno), da associare alla presenza di molti composti organici e dell’acqua . Un aspetto, questo,
che è comune a molte meteoriti primitive e alle polveri interplanetarie (IDP), e che deriva dal frazionamento degli isotopi chimici all’interno di nubi molecolari interstellari.
Come se non bastasse, la meteorite contiene un numero notevole di fasi metalliche e presenta chiari segni
di alterazione dovuta alla presenza di acqua.
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Evidenze spettroscopiche di questo tipo di alterazione sono state osservate in alcuni asteroidi nelle zone
più distanti dal Sole. Dal confronto tra gli spettri di
riflettività di meteoriti carbonacee e loro possibili precursori, esistono molte similitudini soprattutto nella composizione mineralogica di Renazzo e quella di Pallade, un asteroide di circa 580 chilometri di diametro scoperto dall’astronomo Olbers nel marzo 1802 (il secondo dopo Cerere, scoperto da Piazzi nel
1801).
Curiosità: La meteorite per la sua particolarità è denominata "Tipo RENAZZO" è conosciuta in tutto il
mondo.
Per concludere non resta che un interrogativo: chissà cosa penserebbe oggi, il nostro Sebastiano, se venisse a conoscenza di essere stato potenziale testimone di un fenomeno tanto importante?
Per saperne qualche cosa di più sui bolidi dal sito: http://www.vialattea.net/libri/meteore.htm
Differenza fra meteoroide, meteora e meteorite (disegno di Roberto Baldini)
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CERCHI NEL GRANO
Nel quadro della completezza degli argomenti che trattiamo nel nostro notiziario considero utile riprendere saltuariamente notizie ed articoli che vengono approfonditi dal CICAP (Comitato Italiano per il
Controllo delle Affermazioni sul Paranormale)il cui sito è: http://www.cicap.org/
Siccome anche dalle nostre parti si sentì parlare non tanto tempo fa di questi famosi cerchi, inizioe proprio da questo argomento sviluppato, con la competenza ed obiettività che lo contraddistingue, da Massimo Polidoro.
A cura di Giampaolo Carrozzi
La vicenda dei cerchi nel grano comincia sulla fine degli anni 70 nell'Inghilterra meridionale. Grandi fino
a venticinque metri di diametro oppure piccoli come una ruota, questi misteriosi cerchi comparivano di
notte, durante l'estate, e al loro interno le spighe erano piegate a spirale e non spezzate. Ci si accorse della
loro presenza solo a partire dal 1980. Quando i giornali cominciarono a parlarne, i cerchi aumentarono
progressivamente di numero (da 3 nel 1980 a 700 nel 1990) e cominciarono a presentare forme sempre
più complesse. Non più semplici cerchi, ma cerchi collegati tra di loro, con tratti rettilinei, corone e appendici varie; triangoli, rettangoli e speroni combinati in modo da creare degli elaborati e spettacolari
"pittogrammi", come vennero definiti.
Immediatamente, furono avanzate ipotesi di ogni tipo dai "cereaologi" - così, infatti, si
facevano chiamare gli esperti nei cerchi di grano: "Campi di forza", "vortici di plasma"
e, naturalmente, "tracce di UFO". Due di questi esperti in particolare, Pat Delgado e Colin Andrew, sostenitori dell'ipotesi ufologica, divennero i più noti studiosi di cerchi e
pubblicarono una serie di libri che li resero ricchi.
Nel luglio 1990, diversi gruppi di volontari appartenenti al VECA (Voyage Etude Cercles Angles), un'associazione di ufologi francesi, si appostarono sulle colline di Westbury, uno dei luoghi a più alta concentrazione di cerchi, per vari giorni con la speranza
di essere testimoni della nascita di un cerchio. Una notte si notò del movimento e furono
effettuate delle riprese con una telecamera agli infrarossi. Il giorno dopo si scoprirono
nuovi cerchi, ma la telecamera rivelò che erano stati
presenti degli esseri umani nel campo.
L'ipotesi che si trattasse di una burla cominciò a circolare, ma fu costantemente respinta
da esperti come Delgado e Andrew come impossibile. Questo nonostante un gruppo del
VECA fosse riuscito a dimostrare come fosse possibile entrare in un campo di grano e
realizzare un cerchio con un rullo da giardiniere. Nel settembre 1991 Delgado fu invitato dal quotidiano inglese Today a ispezionare un nuovo cerchio misteriosamente comparso. L'esperto esaminò il grano con cura ed esclamò entusiasta: "Questo è senza dubbio il momento più bello della mia ricerca. Nessun essere umano può avere realizzato un'opera simile!"
A quel punto il colpo di scena: i giornalisti gli presentano due pensionati inglesi, David Chorley e Douglas Bower, che quella stessa mattina avevano realizzato il disegno, usando delle corde e un paio di bastoni, sotto gli occhi attenti dei giornalisti. Delgado resta senza parole.
I due pensionati, che sono riusciti nell'impresa di realizzare una delle più grandi beffe del secolo, si erano
recati il giorno prima negli uffici del Today per rivelare che gli autori della maggior parte dei
cerchi realizzati da dieci anni a quella parte erano stati loro.
Tutto era cominciato una sera d'estate, a metà degli anni settanta, a Cheesefoot Head, vicino a
Winchester. Doug Bower, da tempo interessato al fenomeno UFO, disse a Dave Chorley che mentre si
trovava in Australia aveva sentito una storia su un UFO che sarebbe disceso a Queensland e avrebbe lasciato un segno circolare nell'erba. Indicando un campo di grano adiacente, Bower chiese: "Cosa pensi
che succederebbe se creassimo un'impronta laggiù? Di sicuro qualcuno suggerirebbe che vi è atterrato un
disco volante". Subito dopo i due presero una barra d'acciaio ad L e, camminando lungo le tracce del trattore, si infilarono nel campo dove realizzarono il loro primo cerchio. Piantarono l'estremità più corta della
barra nel terreno e, usandola come perno, iniziarono a farla ruotare, avanzando carponi, finché, nel giro di
quaranta minuti, ottennero un cerchio di circa nove metri di diametro.
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La prima estate fecero una dozzina di cerchi e così fecero ancora le estati seguenti, ma nessuno sembrava
accorgersene.
Sul finire dell'estate del 1979, stavano quasi per abbandonare tutto. Vollero comunque tentare ancora una
volta, nell'estate del 1980, quando decisero di fare i cerchi solamente dove avrebbero potuto essere visti,
cioè sulle pendici di colline o in prossimità di strade sopraelevate. E così fu: i cerchi furono notati e attirarono l'attenzione dei vari esperti che cominciarono a formulare le loro ipotesi sempre più straordinarie.
Nel 1988 i cerchi furono più di 50, solo 30 nel 1989, ben 232 nel 1990 e 181 nel 1991, l'anno in cui
la beffa fu svelata.
Bower e Chorley furono imitati da altri buontemponi, che occasionalmente realizzarono dei cerchi anche
in altri paesi. Ma si trattò più che altro di imitazioni sporadiche. La patria dei cerchi resta la Gran Bretagna, dove questa pratica è continuata ed è diventata quasi una forma d'arte simile nella sua filosofia ai
graffiti. Uno dei più prolifici autori di cerchi, Jim Schnabel, ha scritto addirittura un libro sulla sua carriera "artistica"; mentre nel 1992 si è tenuto addirittura un concorso, a West Wycombe Bucks, per "creatori
di cerchi" capaci di realizzare le forme più intricate e incredibili.
Per un gruppo di artisti/burloni inglesi (vedi: http://www.circlemakers.org) realizzare disegni nel grano è
diventata addirittura una professione! Per questo motivo sono ingaggiati da aziende perché realizzino insoliti disegni al fine di pubblicizzare determinati prodotti. Altre volte sono giornali e tv a chiedere loro di
produrre disegni: il triangolo impossibile qui riprodotto fu realizzato dai Circlemakers il 29 luglio 1999
per conto del Daily Mail.
I circlemakers realizzano il disegno di un automobile in un campo di grano per una campagna pubblicitaria
L'ESPERIMENTO DEL CICAP
Eppure, fino a poco tempo fa, schiere di ufologi erano pronti a giurare che nessun uomo avrebbe potuto
realizzare simili disegni. Inoltre, costoro sostenevano che, anche se fosse possibile, realizzare tali disegni
ciò richiederebbe molto tempo; infine, dicevano, eventuali burloni non potrebbero non lasciare una traccia
evidente del loro passaggio nel grano, visto che le spighe crescono molto fitte e sembrerebbe impossibile
non schiacciarle camminandovi in mezzo. Per costoro, la spiegazione più probabile era quella extraterrestre: o tracce dell'atterraggio di astronavi aliene, oppure messaggi che gli alieni disegnerebbero nel grano
per comunicare con noi.
Ebbene, qualche tempo fa al CICAP abbiamo voluto verificare la cosa in prima persona grazie a un'occasione offertaci dal mensile Focus. Interessati quanto noi alla teoria dello scherzo, gli amici di Focus si sono offerti di sponsorizzare l'operazione e di rimborsare il proprietario del campo a cui
avremmo inevitabilmente danneggiato parte del raccolto.
Cominciammo dunque a guardarci intorno per cercare un campo adatto e furono Andrea e Marino Franzosi a trovarlo, nei pressi di Adria, in provincia di Rovigo, grazie alla disponibilità della Azienda agricola
Vendemmiati. Luigi Garlaschelli, che aveva già avuto un'esperienza di questo tipo realizzando un cerchio
nel grano diversi anni fa (Ibid.), si preoccupò di procurare tutto il materiale necessario e di coordinare i
lavori.
Innanzitutto, è stato fatto un disegno sulla carta dell'immagine che volevamo ottenere; quindi, ci siamo
messi al lavoro. La prima cosa che si scopre è che camminando lungo i solchi lasciati nei campi dal trattore è possibile inoltrarsi all'interno senza lasciare tracce. Per realizzare il disegno, è sufficiente piantare un
paletto nel terreno, legarvi una corda e girare in tondo per delimitare il perimetro del primo cerchio (che
misurava circa 20 metri). Poi, con un rastrello si abbassano le spighe all'interno del cerchio: anche qui,
abbiamo scoperto che le spighe non si spezzavano, ma si piegavano docilmente. Per le linee che collegano i cerchi, fu sufficiente tendere le corde e abbassare le spighe tenendosi
vicini alle corde. Nel giro di un'ora, avevamo terminato il nostro disegno nel grano (vedi
foto in bianco e nero - l'intera operazione è documentata sul numero di luglio 1999 di Focus). Non sono mancate le inevitabili proteste da parte degli ufologi più fanatici perché il nostro disegno
aveva qualche sbavatura qui e là: il fatto è che se anche noi avessimo la possibilità (e la voglia!) di realizzare 40/50 disegni ogni estate, come fanno gli artisti inglesi (alcuni dei quali sono addirittura nostri amici), questi piccoli difetti scomparirebbero rapidamente.
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Non volevamo certo dimostrare che tutti i cerchi che si manifestano sono fatti così, ma quello che è certo
è che abbiamo dimostrato per la prima volta, anche in Italia, che due persone, armate solo di una corda,
un piolo e un rastrello potevano realizzare, nel giro di un'ora, una figura complessa come quelle che si vedono nei tanti libri di "misteri". Con buona pace di tutti coloro che continuano a ritenere l'impresa impossibile...
LE ULTIME AFFERMAZIONI
Più recentemente, hanno avuto risonanza alcune affermazioni secondo cui i cerchi avrebbero presentato
caratteristiche insolite, non presenti in quelli realizzati "artigianalmente" dagli scettici. In particolare, un
fisico olandese, Eltjo Haseloff, avrebbe riscontrato anomalie nel campo magnetico e ritrovato ossido di
ferro.
Ancora una volta il mensile Focus ha voluto vederci chiaro e ha condotto un'indagine sul posto non appena si è avuta notizia della comparsa dei primi cerchi di grano in Inghilterra: sono così stati raccolti
campioni poi inviati ai laboratori delle università di Milano e Bologna. Obiettivo: ripetere proprio le osservazioni di Haslehoff e di un altro studioso, il biofisico William Levengood.
I risultati della ricerca sono stati pubblicati su Focus n. 106: anche nei cerchi esaminati sono state trovate
particelle di ferro con silicio, manganese, alluminio e altri elementi, anche di forma sferica, ma in una misura normale. La radioattività non era significativa, anzi in alcuni campioni addirittura al di sotto della
soglia normale. E perché le piante all'interno dei cerchi presentavano più vitalità rispetto a quelle esterne?
La ragione è che le piante piegate cercano di reagire e, oltretutto, ricevono più luce che stimola la fioritura. Per quanto riguarda i semi: sono stati analizzati a Milano, senza riscontrare differenze fra quelli delle
piante interne ai cerchi rispetto a quelle al di fuori.
E i famosi rigonfiamenti che Levengood ha riscontrato nelle piante colpite dal fenomeno? Sono presenti
anche nei campioni esaminati a Milano: il punto è che queste piante sono state "strapazzate", probabilmente, da qualcosa di meccanico.
Insomma, i cerchi nel grano sono ancora un fenomeno misterioso? E' stato dimostrato che li si può rifare
con poco sforzo da chiunque; esistono persone che lo fanno di mestiere e altre per diletto e lo hanno dimostrato più volte; non sono state rilevate differenze rilevanti tra i cerchi fatti da burloni dichiarati e quelli realizzati da "ignoti"; le ricerche sulle presunte anomalie non possono considerarsi probanti (anche perché non sono mai stati pubblicate su riviste scientifiche internazionali di chiara fama, quali Nature o la
Physical Review, ma solo su bollettini marginali)... Nonostante tutto ciò, c'è ancora chi si ostina ad accusare gli scettici di chiusura mentale. A questo punto, tutte le prove esaminate portano a concludere che i
cerchi sono esclusivamente opera umana; chi sostiene il contrario, è cioè che la loro origine sia paranormale, ufologica o dovuta a fenomeni naturali finora sconosciuti, se vuole essere creduto deve portare prove convincenti a sostegno delle proprie affermazioni .
Massimo Polidoro
PER SAPERNE DI PIÚ dal sito del CICAP: Lo studioso dello CSICOP Joe Nickell esamina in dettaglio
il lavoro di Levengood sui cerchi nel grano
Il filmato di Oliver's Castle mostra la formazione misteriosa di un cerchio? No, è una bufala.
6
PROTUBERANZE SOLARI DI DICEMBRE 2005
Dino Abate
10/12/2005 Coronado PST (Larghezza di Banda Nominale di Funzionamento < 1.0 A°), digicam Sony Cybershot
DSC-S90, metodo afocale:
7
18/12/2005 Coronado PST + T max 40 (Larghezza di Banda Nominale di Funzionamento < 0.6 A°), digicam Sony
Cybershot DSC-S90, metodo afocale:
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Smanettando sul sito: http://www.vialattea.net/esperti/settore.php?nomesezione=astronomia - che lo ritengo uno dei più completi e funzionali per la molteplicità di notizie riportate e per la chiarezza dei contenuti - mi sembra interessante per l’astrofilo riportare quanto è stato risposto alla domanda:
« Perchè nel 2006 il perielio della Terra sarà 2 giorni dopo quello del 2005, mentre l'afelio 2 giorni prima? » (Risponde Luigi Fontana)
a cura di Giampaolo Carrozzi
La distanza media Sole-Terra è di circa 147,9 milioni di km, e varia di circa del 2% tra il massimo ed il
minimo. L'orbita della Terra, se disegnata bene in scala, è difficilmente distinguibile da un cerchio.
Premettiamo che quanto segnalato dal lettore nella sua domanda è corretto. Gli istanti precisi (approssimati all'ora, ed espressi in TU, vedi nota) dei fenomeni citati sono i seguenti:
Perielio 2005: 2 gennaio h 01
Perielio 2006: 4 gennaio h 15 (due giorni e 14 ore DOPO che nel 2005)
Afelio 2005: 5 luglio h 05
Afelio 2006: 3 luglio h 23 (un giorno e 6 ore PRIMA che nel 2005)
Afelii e perieli oscillano attorno a queste date anche per la presenza degli anni bisestili, ma non è questo il
caso, in quanto né il 2005 né il 2006 sono anni bisestili. Quello che incuriosisce non è quindi il cambio di
data da un anno al successivo, ma il fatto che un fenomeno ritardi mentre l'altro anticipa.
Il "colpevole" di questo comportamento è la Luna. Spiegare il perché in termini di formule è assolutamente al di là dello scopo di questo sito, ma si può abbozzare anche una spiegazione puramente descrittiva.
Premettiamo che la distanza Terra-Sole va sempre calcolata da centro a centro. Questo perché, in prossimità di afelii e perieli, la distanza tra i due corpi varia MOLTO lentamente. La variazione tipica è dell'ordine di appena 2 km/h. Quindi la semplice rotazione della Terra (raggio oltre 6000 km) è dominante su
queste fini variazioni, se si considera un osservatore sulla superficie.
Ma la Terra ha un satellite importante, la Luna, che ha massa circa 1/81 di quella della Terra. Ed è il baricentro del sistema Terra-Luna (chiamiamolo BTL) ad orbitare intorno al Sole. La Luna e la Terra girano
attorno al BTL (che a causa del rapporto di masse è ancora dentro il nostro pianeta, ma scostato di circa
4700 km dal centro).
Ecco allora che quando la Luna è PIENA la distanza Sole-Terra è inferiore a quella che sarebbe in assenza della Luna (sono allineati Sole-Terra-BTL-Luna). La Terra è più vicina al Sole di circa 4700 km). Viceversa quando la Luna è NUOVA la Terrà è un po' più lontana che in assenza della Luna (sono allineati
Sole-Luna-BTL-Terra). Quindi la posizione della Luna (la sua fase) influisce i di alcune migliaia di km
sulla distanza Terra-Sole (non dimentichiamo che la distanza media Terra-Sole è di 149,7 MILIONI di
km). Ma quelle poche migliaia di km fanno ritardare o anticipare afeli e perieli, dato che vicino a questi
punti la velocità a cui varia la distanza Terra-Sole è molto modesta.
NOTA: Il TU (Tempo Universale) è sostanzialmente l'ora di Greenwich, e non è soggetto all'ora legale.
Per i calcoli citati è stato utilizzato il servizio on-line del JPL, punto di riferimento assoluto mondiale per
questo genere di informazioni, consultabile liberamente all'indirizzo:
http://ssd.jpl.nasa.gov/cgi-bin/eph
Se lo si utilizza per la ricerca di afeli/perieli è ESSENZIALE richiedere la distanza da centro del Sole a
centro della Terra (località "500") e NON quella fornita di default che prevede l'osservatore sulla SUPERFICIE della Terra, per quanto esposto nel testo.
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Ricordiamo brevemente quali sono gli elementi necessari per definire l’orbita di un pianeta, di un satellite
ecc.
A. Elementi atti a definire la dimensione e la forma dell’orbita:
1. Il semiasse maggiore a dell’orbita
2. L’ eccentricità numerica e data dalla formula:
a2 b2
a
Può anche essere usata l’ eccentricità angolare
e
, legata alla e dalla relazione sen
= e.
Specie per le comete si usa considerare la distanza q al perielio e la distanza Q all’afelio, in
unità astronomiche. Si ha:
q = a (1 – e)
Q = a (1 + e)
B. Elementi angolari che fissano la giacitura dell’orbita nello spazio:
3. L’ inclinazione i dell’orbita rispetto ad un piano di riferimento che, per i pianeti è l’eclittica,
mentre per i satelliti è il piano equatoriale del rispettivo pianeta.
4. La distanza del perielio P dal nodo ascendente, misurata sul piano dell’orbita del corpo in
esame. Può essere considerata anche la longitudine del perielio, che è uguale alla somma
+
5. La longitudine (celeste) del nodo ascendente, misurata sull’eclittica a partire dal primo
punto di Ariete
C. Elemento che consente di trovare la posizione del corpo lungo l’orbita in qualsiasi istante:
6. L’ epoca T del passaggio al perielio
ALTRI ELEMENTI RIPORTATI IN FIGURA
- Perielio: il punto dell’orbita più vicino al Sole
- Linea degli absidi: la linea che contiene l’asse maggiore dell’ellisse (perielio ed afelio)
- Nodo ascendente: il punto in direzione del quale il Pianeta è visto dal Sole quando attraversa il
piano dell’eclittica, passando dall’emisfero SUD a quello NORD.
- Nodo discendente: la direzione opposta quindi il Pianeta sarà visto passare da NORD a SUD
dell’eclittica.
- Linea dei nodi o Linea nodale: la retta sulla quale giacciono i nodi ed è l’intersezione del
piano dell’orbita del Corpo celeste con il piano dell’eclittica.
A cura di Giampaolo Carrozzi
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UN VIAGGIO NEL CUORE DEL «TRAPEZIO» IN M42
Sul sito: http://hubblesite.org/gallery/album/tour-orion.php è possibile accedere ad un interessante percorso interattivo che percorre, con dovizia di dettagliate spiegazioni, una accurata…esplorazione del «Trapezio»nel cuore della Nebulosa M42 in Orione.
Questa è la pagina di avvio del sito esplorativo:
e questa è la prima pagina che appare dopo il Play Movie
avviabile direttamente dal nostro sito…e Buona navigazione!!
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Giampaolo Carrozzi
Il metodo della deriva in declinazione o del Bigourdan
Giampaolo Carrozzi
In occasione dell’ultima assemblea è stato proposto di effettuare un controllo sull’orientamento al polo
della montatura: forse necessaria dopo quindici anni di funzionamento.
Ritengo quindi opportuno richiamare sommariamente la metodologia proposta nel 1893 dall’astronomo e
storico della scienza francese Camille Guillaume Bigourdan (n. 6.4.1851 e m. 28.2.1932)
Diversi sono i metodi che consentono il controllo del perfetto orientamento al polo della montatura, ma il
metodo della deriva è ancora considerato quello più efficace - e perciò più impegnativo - qualora si voglia raggiungere una notevole precisione nell'allineamento polare della montatura (equatoriale).
Il motivo di ciò risiede prima di tutto nel fatto che una volta eseguito può essere immediatamente perfezionato, in un numero praticamente infinito di volte, ma soprattutto perché si basa su presupposti di geometria sferica, che non è comunque necessario conoscere.
Tale metodo, anche noto come metodo di Bigourdan, necessita l'utilizzo di un oculare con reticolo, o
comunque ad alti ingrandimenti, e si può effettuare dopo un primo e grossolano allineamento polare. Se si
intende utilizzare un oculare con crocicchio bisognerà posizionare le due linee del reticolo in modo che
coincidano con gli spostamenti in AR e Declinazione della montatura, altrimenti usando un normale oculare si dovranno eseguire le procedure basandosi sulle proprie impressioni visive, non avendo a disposizione dei riferimenti nel campo inquadrato.
IL Procedimento
1^ Fase
Occorre inserire nello strumento un oculare con forti ingrandimenti e dotato quindi di reticolo, disponendolo in modo che le due linee del reticolo seguano i due movimenti dello strumento (Ascensione retta e
declinazione).
Si cerca una stella nella zona del meridiano locale (verso Sud) e il più possibile vicina all’equatore celeste, portandola al centro del reticolo.
Con la motorizzazione od inseguendo manualmente, esclusivamente con il movimento di A.R., si controlla che la stella rimanga al centro del reticolo.
Se, come nel disegno, la stella tende a spostarsi verso
Nord (in parole povere “per riportarla al centro occorre alzare lo strumento”), si dovrà ruotare il movimento dell’azimut in senso orario.
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Riportare la stella al centro del reticolo e controllare: se per cinque minuti la stella non denota spostamenti sensibili passare alla seconda fase.
2^ Fase
Per la seconda prova occorre trovare una stella situata verso Est ad una declinazione di circa 45°. Nel disegno si presume che l’asse polare dello strumento abbia una posizione che punta al polo reale (in parole
povere punta più in basso).
Naturalmente la correzione si farà agendo esclusivamente sulla “regolazione in altezza”.
Dopo ogni correzione occorre centrare nuovamente la stella nel reticolo ed attendere per almeno cinque
minuti.
Quando la stella non avrà più spostamenti verso uno dei due Poli, si ricomincia dalla prima fase, finché
non si noteranno spostamenti in nessuno dei due casi descritti.
Per esaminare verso quale polo tende a spostarsi la stella, senza avventurarsi in studi sulle riflessioni, basta premere delicatamente sul tubo ottico in uno dei sensi del movimento di declinazione.
Guardando nell’oculare sapremo da quale parte (dell’oculare) si trovano i poli.
Qualora si preferisca utilizzare una stella verso Ovest, esaminando il disegno, risulta chiaro che in questo
caso, i movimenti di correzione saranno opposti.
Per ulteriori notizie consiglio di visitare il sito: http://www.webalice.it/ugerco/ di Ugo Ercolani dal quale
ho tratto la parte descriva ed illustrata.
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DEEP SKY DA TIEZZO: IMMAGINI CON LA DIGICAM
Dino Abate
Nell’impossibilità di raggiungere il nostro Osservatorio per i ben noti problemi di percorribilità della strada durante la stagione invernale, nel mese di gennaio ho effettuato alcune riprese deep sky dalla pianura,
con una camera digitale Canon EOS 300, il rifrattore apocromatico TeleVue 85 con riduttore/spianatore
di focale 0.80 X (focale risultante al fuoco diretto F 5.6, pari a 480 mm).
L’apparecchiatura di ripresa è visibile nelle foto che seguono:
Pur con le difficoltà legate
alla massiccia presenza di
inquinamento luminoso, i
risultati ottenuti sono discreti, se si considera che si tratta dei primi tentativi.
Montatura equatoriale G 11
Le pose che seguono sono tutte di 30”, con sensibilità equivalente settata a 800 ASA, ottenute con la configurazione ottica sopra descritta.
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Le Pleiadi (M45) nel Toro
Cintura di Orione (M42)
h Persei, ovvero NGC 869 – 884)
Il Doppio Ammasso di Perseo (
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