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GLI INEDITI SARDI
DI ALDO CAPITINI
FILOSOFO MORALE
(1956-1964)
a cura di
Giuliana Mannu
FrancoAngeli
La pubblicazione di questo volume ha ricevuto il contributo finanziario della Regione
Autonoma della Sardegna:
ASSESSORATO DELLA PROGRAMMAZIONE,
BILANCIO, CREDITO E ASSETTO DEL TERRITORIO
CENTRO REGIONALE DI PROGRAMMAZIONE
PO SARDEGNA FSE 2007-2013 sulla L.R.7/2007 “Promozione della ricerca scientifica
e dell’innovazione tecnologica in Sardegna”
FONDAZIONE CENTRO STUDI ALDO CAPITINI
Dipartimento Di Teorie E Ricerche Dei Sistemi Culturali
Università degli Studi di Sassari
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Educare non è coltivare una facoltà o
l’altra ma sforzarsi di realizzare la coscienza di uomo, il suo carattere intellettuale e morale. L’educazione diventa
qualche cosa di interiore che nessuno ci
può rubare.
A. Capitini
Indice
Gli inediti sardi di Aldo Capitini filosofo morale (1956-1964),
di Giuliana Mannu
pag. 9
Parte prima: Corso di pedagogia (1956-1957), Filosofia, etica e
pedagogia del Dewey
»
51
Parte seconda: Corso di pedagogia (1958-59), Il pensiero pedagogico di Giuseppe Lombardo Radice - Commento del libro “Educazione e autorità nell’Italia moderna” di Lamberto Borghi
»
77
Parte terza: Corso di pedagogia (1959-60 - parte prima), Il metodo Montessori
»
107
Parte quarta: Corso di pedagogia (1959-60 - parte seconda),
Aspetti del problema dell’educazione civica
»
125
Parte quinta: Corso di pedagogia (1961-62), Problemi della formazione degli insegnanti
»
137
Parte sesta: Corso di pedagogia (1963-64 - parte prima), Problemi dell’educazione civica
»
151
Parte settima: Corso di pedagogia (1963-64 - parte seconda),
Problemi dell’educazione civica
»
183
Riferimenti bibliografici
»
190
7
Ringraziamenti
Desidero, innanzitutto, ringraziare il mio maestro, Prof. Antonio Delogu,
per i suoi preziosi insegnamenti, per avermi avvicinato al pensiero di Aldo
Capitini e per avermi seguito, in maniera ineccepibile, nella stesura del presente lavoro.
Ringrazio il Presidente della Fondazione Centro Studi Aldo Capitini,
Dott. Luciano Capuccelli, per il suo atteggiamento di “apertura”, tipicamente capitiniano, per l’umanità, la fiducia e la disponibilità accordatemi per
l’espletamento del presente lavoro.
Un ringraziamento doveroso all’Archivio di Stato di Perugia, in particolare alla Dott.ssa Costanza Maria Del Giudice, alla Dott.ssa Anna Alberti,
alla Dott.ssa Maria Serena San Paolo, che mi hanno consentito, con grande
professionalità e cortesia, di svolgere la mia ricerca per la raccolta di questi scritti inediti.
8
Gli inediti sardi di Aldo Capitini filosofo morale
(1956-1964)
di Giuliana Mannu
Un momento particolarmente significativo della storia culturale nella
Sardegna del Novecento è quello della incisiva presenza di Aldo Capitini,
docente di Filosofia morale e Pedagogia nell’Università di Cagliari tra gli
anni ’50 e gli anni ’60; presenza anche testimoniata dalle lezioni inedite tenute presso l’Ateneo cagliaritano tra il 1956 e il 1964.
Il lavoro qui presentato si proietta verso una ricostruzione della storia di
quella che può definirsi a pieno titolo La scuola capitiniana sarda. Capitini è stato il promotore di un forte rinnovamento della cultura filosofica (etica, pedagogica e politica) nella Sardegna del ventennio 1950-70 attraverso la
formazione di allievi che ne hanno svolto, promosso e diffuso il pensiero nel
mondo della scuola e dell’Università. In questo contesto, il pensiero di Aldo
Capitini è stato estremamente prezioso. Tra la prima e la seconda metà del
’900, infatti, Capitini si è dedicato al problema della formazione dell’individuo e del cittadino, enucleando concetti chiave quali quelli di realtà liberata,
compresenza, libera religione, nonviolenza, omnicrazia, apertura.
Il lavoro proposto intende descrivere e comprendere criticamente uno
spazio culturale scarsamente, sino ad oggi, preso in considerazione al fine
sia di illuminare un periodo cruciale della storia culturale dell’isola, quale è quello tra la prima e la seconda metà del secolo XX, sia di riproporre le linee essenziali di una prospettiva filosofica (anche attraverso l’eredità
ripresa e valorizzata dagli allievi del filosofo) che, per i temi e le soluzioni
proposte, può essere strumento di attivazione di nuove energie intellettuali e di nuove aperture pratico-teoretiche nel contesto socio-culturale isolano contemporaneo.
L’obiettivo è quello di un puntuale scandaglio del pensiero filosofico e pedagogico capitiniano, con l’intento di evidenziarne sia l’importanza a livello nazionale sia l’impatto che ha avuto nella cultura sarda. Emerge come, anche attraverso Capitini, questa si sprovincializzi e si colleghi ai
grandi movimenti di pensiero emergenti nella Penisola.
9
Dalle lezioni inedite che pubblichiamo affiora l’attualità del suo pensiero
sulle questioni pedagogiche. Educazione significa, nel linguaggio capitiniano, cambiamento, rivoluzione, accrescimento intellettuale e morale di tutti
gli individui1. Educazione è, per Aldo Capitini, anche educazione alla cittadinanza. La pedagogia di Capitini si pone, dunque, come alta formazione
morale, culturale, sociale. Potremo definirla una pedagogia della emancipazione, fondata su tre principi che ricorrono costantemente nel suo pensiero:
l’apertura, la teoria della compresenza, la liberazione. Le lezioni di pedagogia dimostrano che tali idee costituiscono l’originalità del pensiero capitiniano rispetto ai movimenti culturali emergenti in Italia e nella realtà sarda.
Per una fruizione delle lezioni inedite qui esposte è opportuno soffermarsi sul pensiero di alcuni filosofi a cui Capitini dedica ampio spazio nei
corsi di Pedagogia svolti presso l’Università di Cagliari.
Nell’anno accademico 1959-60, Capitini dedica una parte del Corso di
pedagogia al metodo educativo di Maria Montessori. Scrive che il primo
decennio del secolo è stato il periodo in cui si cercavano nuovi metodi per
l’educazione e per l’istruzio­ne; nasceva così l’esigenza di una nuova pedagogia scientifica, basata sulle “indagini positive dell’esperienza”. Per­ciò al
posto dell’antica psicologia che stava alla base della pedagogia filosofica, vi
erano due scienze su cui doveva sorgere la pedagogia scientifica: la psicologia sperimentale o fisiologica, e l’antropologia morfologica; l’una e l’altra
dovevano guidare lo studio metodico dell’educando. L’interrogativo che Capitini si pone è: “Ma l’educando in quale situazione?” Qui si afferma l’esigenza della Montessori: non basta preparare i maestri, ma bi­sogna che sia
trasformata la scuola, progetto che sta alla base del rinnovamento dell’individuo, della scuola, della università nel percorso capitiniano in Sardegna.
Secondo la Montessori, nella relazione educativa si possono os­servare bambini liberi, nelle loro manifestazioni spontanee e individuali, in movimento,
in sviluppo. Non basta preparare all’esperienza i maestri2, ma essi debbono
1. Sulla educazione aperta di Capitini, scrive Giacchè: “Il fatto è che l’educazione aperta non è un’invenzione di Capitini ma una sua scoperta: educazione ed apertura sono in
pratica sinonimi, o almeno così stretti complementi da rendere senza significato e senza utilità quell’apertura che non fosse educante e quell’educazione che rifiutasse di aprirsi. […] Ma l’educazione aperta non vuole essere dilatata e onnivora ma elevata e selettiva,
giacché non si tratta di informare e al limite nemmeno di formare, ma appunto di “aprire”.
Indefinitamente”. P. Giacchè, La religione della educazione, Scritti pedagogici di Aldo Capitini, La Meridiana, Molfetta, 2008, p. 18.
2. Riguardo al metodo di apprendimento del bambino e al ruolo del maestro, scrive la
Montessori: “Il bambino impara veramente solo quando può sollecitare le sue proprie energie secondo procedimenti mentali della natura, che agiscono qualche volta in modo assai diverso da quello che si suppone comunemente. E perciò falliscono o si nascondono coi
procedimenti in uso nelle scuole comuni. L’allievo può dare i suoi sorprendenti risultati solo se il maestro applica la tecnica scientifica di un «intervento indiretto» nell’aiutare lo svi-
10
crescere senza preconcetti, senza idee prestabilite sulla psicologia infantile;
un metodo, dunque, che raggiunga la libertà del bambino, un metodo speciale.
Scrive Capitini, a proposito del metodo montessoriano del fanciullo:
La Montessori riprende il vecchio detto che il bambino è il padre dell’uomo e l’intende come segue. Noi dobbiamo osservare nel bambino gli istinti sottili che lo
guidano a costruire attivamente la personalità dell’uomo e riconoscere lì il segreto
della nostra origine, le leggi che conducono l’uomo alla normalità; e dobbiamo in
questo senso trasformare il nostro atteggiamento di adulti, preparandogli un ambiente adatto alla sue esigenze vitali e alla sua liberazione spirituale3.
Uno degli elementi fondamentali che caratterizza la figura dei maestri, nel metodo montessoriano, è, osserva Capitini nel Corso di pedagogia,
normalizzare i bambini, avvicinare la propria anima alla loro, offrire loro
mezzi scientifici per lo sviluppo. La scien­za adoperata non è solo per osservare, ma per trasformare la scuola e dare una nuova vita agli scolari.
Al tale proposito afferma la Montessori: “Evidentemente è nello studio che bisogna cambiare i principi educativi. È nello studio che deve svilupparsi l’individualità. Ed a queste esperienze ha pure contribuito il mio
lavoro di trent’anni sull’educazione dei bambini normali4”. Il programma che la Montessori propone per un buon metodo educativo del bambino, deriva dall’esperienza che dimostra il livello a cui arrivano i fanciulli quando l’istruzione è conforme alla loro attività naturale. I programmi
nella scuola
più ricchi e sostanziali, più interessanti […] rappresentano una guida e non una
imposizione […]. L’importante è che il programma non diventi una imposizione.
La scuola deve essere un luogo dove l’istruzione è in ogni senso facilitata ed i programmi devono rappresentare una facilitazione per orientarsi. […] Ora l’esperienza insegna e dice che non solo il bambino non soffre nello studiare, ma anzi è appunto l’esercizio mentale che rinforza la sua intelligenza 5.
Per osservare i bambini liberi è necessario trasformare la scuola in modo che essi possano esplicarsi, mostrare il loro sviluppo e osservarli senza
costringerli a rispo­ste, ma in libertà.
luppo naturale del bambino”. M. Montessori, La formazione dell’uomo, Garzanti Editore,
Milano, 1993, pp. 53-54.
3. A. Capitini, Sul concetto di liberazione nel pensiero di Maria Montessori, Pacini
Mariotti, Pisa, 1955, p. 2.
4. M. Montessori, Il metodo del bambino e la formazione dell’uomo, Edizioni Opera
Nazionale Montessori, Roma, 2002, p. 116.
5. Ibidem.
11
Due cose possono turbare lo sviluppo della psiche del bambino: l’ambiente e l’azione dell’adulto.
I bambini hanno bisogno di due condizioni essenziali per istruirsi spontaneamente: una è di avere nell’adulto una guida dirigente e non solo, ma anche un vero rianimatore che sappia suscitare il primo entusiasmo e sappia presentare la cultura in
un modo elevato. Anche l’adulto-educatore deve essere una vera personalità umana sensibile e interessata agli allievi, dove questi sentano di poter trovare un vero
appoggio e una sorgente di ispirazione. L’educatore che si associa anche alla famiglia, e che si interessa agli allievi come un vero amico è un aiuto inestimabile al
progresso degli allievi6.
Sotto questo aspetto il richiamo di Capitini alla Montessori è d’obbligo.
Le due posizioni, per quanto attiene alla figura dell’educatore, sono comuni. Entrambi esaltano il ruolo dell’educatore nella relazione educativa; come guida, sostegno, maestro per l’allievo.
Per la Montessori come per Capitini, il ruolo del maestro si configura
come un compito di partecipazione attiva nella relazione educativa. In Educazione per un mondo nuovo, Maria Montessori scrive:
La maestra montessoriana deve essere creata ex novo, dopo che si sia liberata da
ogni pregiudizio pedagogico. Il primo passo è l’auto-preparazione dell’immaginazione, perché la maestra montessoriana deve vedere un bambino che non esiste ancora, materialmente parlando, deve aver fede nel bambino che si rivelerà
per mezzo del lavoro […] Dobbiamo aiutare il bambino ad agire da sé, a volere da
sé, a pensare da sé: questo è il sistema di quelli che aspirano a servire lo spirito.
La gioia più grande della maestra sarà quella di assistere alle manifestazioni dello spirito, che vengono a compensare la sua fede. Ecco il bambino quale dovrebbe
essere: il lavoratore infaticabile, l’alunno tranquillo che si impegna volentieri con
tutte le sue forze, che cerca di aiutare il debole, mentre sa come rispettare l’indipendenza degli altri: insomma, il bambino autentico7.
Nella prima parte delle lezioni di pedagogia Capitini si sofferma sugli
elementi fondamentali affinché il bambino cresca, secondo l’ideale montessoriano, “normale”. Per normalizzare il bambino sono necessari: un
ambiente adatto, piacevole; un maestro calmo, comprensivo, limpido interiormente; un materiale scientifico per perfezionare l’educazione sensoriale mediante la concentrazione dell’attenzione e il perfezionamento dei
movimenti.
La seconda parte del Corso di pedagogia è dedicato all’attività di lavoro
nel bambino.
6. Ibidem.
7. M. Montessori, Educazione per un mondo nuovo, Garzanti, Milano, 2000, pp. 143-146.
12
La Montessori dichiara che l’attività del bambino è attività di lavoro, e
che il lavoro è un’attività sociale: esso rappresenta la caratteristica dell’uomo in tutte le età, perché è un bisogno profondo. La differenza è che mentre l’uomo con il lavoro costruisce un ambiente supernaturale che si aggiunge all’ambiente naturale, il bambino “costruisce” l’uomo, coordinando
i movimenti, dominando le emozioni, perfezionando le proprie attività. La
Montessori, nella vita infantile, dà più importanza al lavoro piuttosto che
al gioco. Il lavoro serve ad un fine: lo sviluppo, il crescere, che si configura come uno scopo interno del suo metodo educativo. Esso rappresenta, però, un lavoro diverso da quello degli adulti. Il lavoro del bambino aiuta il suo sviluppo psicofisico, ha un valore esercitativo. La caratterizzazione
del lavoro deriva anche dal fatto che la Montessori vede il lavoro dell’uomo come l’elemento che trasforma la natura, che instaura, baconianamente, il “regnum hominis” (anche il lavoro del bambino è fisico e manuale, e
con­tribuisce allo sviluppo sensoriale). Ma nel lavoro vede anche un significato spirituale: il lavoro deve produrre una tendenza ad un valore di verità,
di razionalità, di bellezza, di liberazione, di ordine e di coerenza spirituale.
Il merito storico di Maria Montessori, che emerge dalle lezioni capitiniane, è rappresentato, certamente, dalla importanza che viene attribuita alle
esperienze del fanciullo nel processo educativo, fatto che ha lasciato un’impronta nel tempo e che oggi ha ancora carattere di viva attualità.
Il Corso di pedagogia dell’anno accademico 1958-59 riguarda il pensiero
pedagogico di Giuseppe Lombardo Radice.
Capitini si sofferma sul concetto di educazione del filosofo siciliano, richiamandone alcuni aspetti comuni alla pedagogia di Giovanni Gentile.
Scrive: “Noi siamo uomini in quanto ci facciamo uomini; pensare è concretarsi, svolgere se stessi, valutandosi continuamente; l’uomo si riconosce
uno ed ha una molteplicità in se stesso di istinti affettivi, pensieri, che con
la coscienza fa propri, sintetizza”8.
Lombardo Radice introduce all’interno del metodo educativo il momento della autoeducazione, stabilendo un circolo dello spirito: “Educati se
vuoi educare, educa se vuoi educarti; facendo migliori noi stessi, educheremo9”. Educare gli altri è, per Lombardo Radice, promuovere l’autoeducazione dell’educando.
L’autoeducazione diviene
unificazione di maestro e scolaro, nel loro farsi, nella loro processualità, nel loro
atto. Se non esiste questa fusione, identificazione, se il soggetto non si fa a se stes8. Corso di pedagogia, Il pensiero pedagogico di Giuseppe Lombardo Radice, Cagliari, 1957-1958.
9. Ibidem.
13
so maestro e se, d’altronde, l’atto di insegnare non è insieme cercare, apprendere,
farsi insegnante, se non esiste questa tensione nell’apprendere a costruire il proprio modo di sapere, e nell’insegnare a rivivere le tappe dell’apprendimento nuovo e costruttivo, vi sarà estraneità irriducibile, vi sarà un sapere rigido, trasmesso
meccanicamente e meccanicamente recepito, non vi sarà costruzione personale e
originalità: non vi sarà dunque né vero sapere, né vita spirituale10.
Mentre Gentile si sofferma sull’unità dello spirito nella relazione maestro-allievo, Lombardo Radice sottolinea la importanza della pluralità del
rapporto educativo: la scuola come casa, come incontro di due spontaneità
(del maestro e dello scolaro). L’educazione vera, per Lombardo Radice diversamente da Gentile, genera autoeducazione; elevarsi, nell’atto educativo,
è aprirsi.
Il concetto di autoeducazione si rivela come l’identificazione dialettica
maestro-scolaro: “Educazione è compenetrazione di anime: l’educando vero è quello che sente nel maestro se stesso, ciò che egli, guardando dentro di
sé e scontento di sé, vuol divenire. Ma lo scolaro sente in sé il maestro, così
il maestro sente in sé lo scolaro, che non esiste l’uomo estraneo all’uomo”11.
Capitini evidenzia nelle lezioni come Lombardo Radice prestasse molta
attenzione, nella educazione, al particolare, all’individuale e come per questo
fosse un instancabile critico della didattica, studioso e visitatore di scuole.
Alla base della pedagogia di Lombardo Radice vi è un modello di scuola nella quale il maestro si incontra con le anime degli scolari, porta nella
scuola la vita, cioè i fanciulli con le loro esperienze. A scuola si comprende la vita, prendendo possesso sempre più del proprio mondo, acquistando
fiducia in se stessi.
“Attuare nella classe attività per gruppi di capacità e individualizzate, in
modo da attuare la scuola della espressione e del lavoro individuale, laboratori dei fanciulli, piuttosto che classi”12.
Nella seconda parte del corso del 1957-58 tratta anche dell’opera di
Lamberto Borghi Educazione e autorità nell’Italia moderna. La stima e la
vicinanza del pensiero di Borghi e Capitini è anche testimoniata da una lettera inedita del 29 Settembre 1966, nella quale Borghi apprezzerà molto la
summa filosofica di Capitini: La compresenza dei morti e dei viventi. Scriverà, infatti:
Caro Aldo, ti ringrazio molto di avermi mandato Severità religiosa per il concilio e la più recente La compresenza dei morti e dei viventi. Spero di poter scrivere
10. G. Cives, Giuseppe Lombardo Radice, didattica e pedagogia della collaborazione,
La Nuova Italia, Firenze, 1970, p. 97.
11. Ibidem, pp. 107-108.
12. G. Lombardo Radice, Lezioni di pedagogia generale, Sandron, Palermo, 1948, p. 115.
14
di entrambi in Scuola e città. Ti ringrazio davvero per tutti gli stimoli di pensiero
che essi trasmettono. Ho letto con molto consenso Tra il meglio nel numero quinto di Azione Nonviolenta.
Nel libro di Borghi, osserva Capitini, si vive il dramma della scuola italiana, che egli sente intensamente e talvolta con vero sdegno. Quella di
Lamberto Borghi è una denuncia di un male dal quale, anche per Capitini,
l’Italia doveva liberarsi per realizzare una scuola adeguata alle esigenze di
una società “aperta”.
L’educazione attiva, nel pensiero di Borghi, è alla base di questo nuovo
modello di scuola. Essa presuppone che nella relazione educativa si sviluppi una partecipazione che impegni tutta la personalità dell’individuo, per la
quale l’alunno è al centro della relazione e il maestro è un compagno e una
guida.
Nelle lezioni Capitini, infatti, evidenzia la importanza della condotta morale nel rapporto educativo, su cui si sofferma Borghi: “A contatto
con l’insegnante, l’alunno non soltanto impara o meno l’oggetto di studio,
non soltanto sviluppa o meno pensieri, ma nella situazione vitale della classe sviluppa un atteggiamento nei confronti del maestro, dei compagni, della vita circostante”13.
Come per Capitini anche per Borghi, il metodo dell’educazione attiva
non si costituisce come un mero atto di trasmissione del sapere, ma come
formazione morale e intellettuale del fanciullo. È per questo che nel progetto di scuola attiva di Borghi centrale è la relazione tra cultura e vita morale. A tal proposito scrive:
Mentre studieranno e attenderanno al compimento dei loro progetti, insegnanti e alunni svilupperanno una fortissima vita di relazione fondata sul rispetto reciproco, sull’amore dell’uno per gli altri, sulla solidarietà attiva; e in tal modo la tradizionale scissura
tra cultura e vita morale si sanerà, e si porranno praticamente le basi per la soluzione
dell’annoso problema di come l’apprendimento possa formare non soltanto individui
che sanno leggere e scrivere, ma anche uomini che sanno rispettarsi ed amarsi14.
Il metodo attivo di Capitini e Borghi si configura come un processo autonomo del pensare e dell’agire. Affiora dalle lezioni cagliaritane che la
centralità della educazione attiva di Borghi è rappresentata dalla valorizzazione degli interessi e delle potenzialità dell’educando. Si tratta di una forma di educazione che sollecita l’anima del fanciullo, liberandolo da ogni tipo di pressione esterna. In questo processo, fondamentale è il richiamo alla
interiorità, alla tensione morale.
13. L. Borghi, Il metodo dei progetti, La Nuova Italia, Firenze, 1983, p. 13.
14. Ibidem, pp. 41-43.
15
L’educazione borghiana alla libertà e alla socialità è fondata sulla collaborazione tra coloro che si incontrano nella relazione educativa (maestroallievo) e si pone come fine per l’instaurazione di una realtà nuova, autentica, di puro valore.
È imprescindibile, all’interno delle lezioni presso l’Ateneo cagliaritano
del corso del 1961-62, “Problemi della formazione degli insegnanti”, il richiamo di Capitini a Giovanni Gentile in cui troviamo gli aspetti fondamentali della pedagogia gentiliana.
Nel Sommario di pedagogia come scienza filosofica (1913-14) Gentile risponde a interrogativi politicamente e pedagogicamente rilevanti:
Come si forma l’uomo? Come si sviluppa lo spirito umano? Quali sono le leggi
della formazione umana? Come si deve formare l’uomo? Qual è l’uomo che dobbiamo formare? In tutti i tempi, scrive Gentile, la filosofia s’è trovata ad avere nel
suo seno il problema dell’educazione. Il quale si presenta sempre sotto due aspetti fondamentali, che danno luogo a due forme principali della pedagogia; ma così per l’uno come per l’altro rientra di pieno diritto nel dominio della speculazione filosofica15.
Gentile identifica la pedagogia con la filosofia, o meglio, definisce la
pedagogia come scienza filosofica. Non c’è una psicologia che non sia
etica e viceversa16. Il problema della formazione dell’uomo è il problema della educazione, del processo di sviluppo della personalità dell’individuo.
L’attenzione di Capitini, che nell’Università di Cagliari teneva la cattedra di Filosofia morale e di pedagogia, ai problemi pedagogici deriva sicuramente dall’influsso che su di lui ha avuto anche il pensiero di Giovanni Gentile.
Il concetto più importante che egli riprende da Gentile è quello di atto,
attraverso il quale il soggetto si differenzia e si pone come Spirito. Come ha inteso Bobbio, Capitini prende le mosse dall’atto anziché dall’evento o dai fatti, dall’atto inteso, gentilianamente, come principio ed iniziativa assoluti. Il concetto capitiniano di atto ha una valenza di carattere
etico rispetto a quello di Gentile. Esso diventa prassi religiosa, finalizza15. G. Gentile, L’attualismo, a cura di G. Brianese, La Nuova Italia, Firenze, 1995,
pp. 82-85.
16. Scrive Gentile: “Se si dice psicologia la scienza dello sviluppo naturale dello spirito, ed etica la scienza dei fini a cui deve mirare questo sviluppo, il problema pedagogico ora apparirà come psicologia, ora come etica: ma, ripeto, non mai tanto psicologia, che
questa psicologia non implichi un’etica; né, per converso, mai tanto etica, che questa non
implichi una psicologia. (….) E così, d’altra parte, l’etica, supponendo sempre un certo concetto dell’anima proporzionato ai fini che essa teorizza, coincide anch’essa interamente con
la pedagogia etica”, ibidem.
16
ta all’attuazione del valore, alla realizzazione della libertà e alla responsabilizzazione dell’individuo. Nel Saggio sul soggetto della storia (1947),
scrive:
Mettere in crisi il Dio trascendente ed ogni realismo extrasoggettivo, portar tutto dalla parte del Soggetto, non era atto che potesse arrestarsi lì. L’assoluto, l’eterno, una volta posto di qua e non di là, doveva assumere tutto. E questa è la speculazione romantico-idealistica, fino all’Atto gentiliano, che porta il Tutto a gravitare
sull’atto del Soggetto, ad essere questo Atto17.
Nel pensiero capitiniano l’individuo, agendo nel mondo attraverso “l’intervento attuale […] infinitamente libero pone la propria aggiunta tendente
al meglio: la conseguente valorizzazione del singolo, che diviene compartecipe dei progetti della divinità, è nel solco dell’insegnamento del soggettivismo gentiliano, anche se mutato di segno, da momento di orgogliosa “divinizzazione” a principio di apertura infinita agli altri, compartecipi, allo
stesso titolo, alla realizzazione dei valori”18.
In questa visione del mondo e della storia, così lontana da quella di Gentile, è centrale, nel pensiero capitiniano, il concetto di apertura. Apertura
significa: consapevolezza che per nessuna ragione la realtà debba in assoluto essere sempre come è ora19:
In un’epoca come la nostra, ove ogni problema serio assume proporzioni interplanetarie, dissentire significa scegliere; e così si potrebbe tranquillamente asserire
che la salvezza del piccolo uomo nel suo vasto mondo è affidata a chi ha il coraggio di non essere realista, a chi sa mantenere il proprio equilibrio psico-emotivo
pur sentendosi, ed essendo insoddisfatto, a chi sa anti vedere il futuro e prepararlo, pagando con la dissociazione (che non è fuga nel futuro, ma impegno presente) al fine di dare la disdetta alla realtà20.
Apertura è anche guardare al “tu”:
Apertura significa vedere in un essere singolo qualsiasi, umano o subumano, qualche cosa di più di ciò che si vede ordinariamente: una interiorità, una capacità di
dare e di fare, una possibilità per oggi e per il futuro, una forza di miglioramento
e di rinnovamento, di integrazione di ciò che già è, di partecipazione con gli altri.
Se questo qualche cosa di più per un singolo essere è fatto valere sistematicamen17. A. Capitini, Saggio sul soggetto della storia, La Nuova Italia, Firenze, 1947, pp. 49-50.
18. Cit. A. Capitini, Apertura e dialogo, «La Cultura», 1963, pp. 10-11.
19. Le aperture, ribadisce Capitini, tendono a dare “la disdetta dalla realtà” attuale, “pur
operandovi dentro”, e per questo attivo non conformismo risultano “sommamente educative, stimolanti, produttive”. V. Zangrilli, Aldo Capitini, o le ragioni del dissenso, in «Rivista Trimestre», a. I, n. 2, dicembre 1967, p. 180.
20. Ibidem, p. 181.
17
te e religiosamente per tutti gli esseri, l’apertura è alla compresenza di tutti, un’espressione tra le più sacre che noi possiamo pronunciare21.
Per leggere e comprendere il messaggio pedagogico capitiniano, fondato sulle categorie di apertura e liberazione, e così percepirne la lontananza
dall’immanentismo dell’atto gentiliano, suggerisce Giacchè:
Dunque l’apertura è atto e la liberazione è il senso di una esperienza religiosa che, proprio come un voto, aspira al suo scioglimento. In questo quadro o in
questo cielo, si può collocare – per il persuaso – soltanto il modo di vivere e di
operare: l’opposizione sarà la sua scelta cosciente e l’educazione il suo compito
e la sua attività costante. Educare, cioè “portar fuori”, verso l’alto e soprattutto
verso l’altro. Verso tutti gli altri, tutti gli infiniti Tu della compresenza. Non c’è
niente di più necessario e urgente da fare. Anzi da vivere22.
Capitini riconosce il suo debito nei confronti della filosofia che domina
l’ambiente italiano degli anni ’20 e ’30, il neoidealismo gentiliano23.
In uno dei suoi lavori filosoficamente più impegnati chiarisce il suo collocarsi dalla parte della filosofia del soggetto, dell’idealismo soggettivo,
contro l’oggettivismo classico; afferma chiaramente di aver tratto proprio
da Gentile lo stimolo ad approfondire il tema dell’atto, dell’iniziativa spirituale, intesa come principio assoluto. Ma l’idealismo gentiliano, tuttavia, gli
sembra poi venir meno alle proprie premesse, nel momento in cui diventa
esaltazione del fatto, anziché richiamo al valore, momento centrale della filosofia capitiniana; esso gli appare perciò divenire un falso idealismo, che
esalta lo spirito, in quanto lo concepisce come realtà, come fatto. Scrive,
soffermandosi sulla distinzione tra atto ascetico e atto etico:
Essere soggetto è portarsi qua dalla morte. Anche nel vivere va generata una crisi,
per cui c’è la vita vista come esistenza e la vita vista come presenza. La fondazione di questa presenza è grandemente aiutata dall’amore verso una persona; il quale è, nel suo culmine, portarla al proprio fianco. Nel mondo degli oggetti ad essere, insieme con noi, soggetto. Mentre l’atto di crisi del proprio io, dilemma tra il
risolvimento totale nella vita e l’ascesi della presenza, è, come tutti gli atti asceti21. Cfr. A. Capitini, Lettere di religione, n. 62, in Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze, 1969, p. 500.
22. P. Giacchè, La religione della educazione, Scritti pedagogici di Aldo Capitini, cit.,
p. 16.
23. Nel Corso di pedagogia tenuto all’Università di Cagliari nel 1961-62 Capitini scrive: Due opere sono fondamentali del Gentile “Sommario di pedagogia” e “Teoria generale
dello spirito come atto puro”. Sono note le sue idee: richiamo alla originalità dello spirito;
alla infinità del suo generarsi; all’interiorità senza residuo; all’unità della molteplicità, che
si ha della parte del soggetto. La pedagogia e la filosofia sono identiche perché sono costruzioni di sé, io come autoctisi.
18
ci, difficile a concretare e a mantenere; l’atto del portare amando un’altra persona
dalla parte nostra come soggetto, è atto etico. Io supero la mia individualità isolata
e limitata, che cadrebbe come oggetto, nel portarmi ad essere soggetto, cioè presenza eterna di qua dal mondo; sento anche altre persone individuate dalla parte
del soggetto, mediante l’amore che volgo ad esse come singole: nel tu le faccio io,
le aggiungo al mio io24.
Nel saggio Il rapporto fra azione e valore Capitini distingue, fermamente, tra l’azione, che si riferisce alla trasformazione della realtà che l’individuo fa di sua iniziativa e l’atto, considerato come “ciò che fa essere”25. Egli
privilegia il mondo dei valori, del rispetto e della responsabilità nei confronti del singolo.
Per individuare la natura dei valori nell’atto educativo capitiniano è
utile richiamare la riflessione di Mancini sul metodo capitiniano della
aggiunta:
Capitini sta attento a non fare del tu un semplice gradino ulteriore che sopraggiunge in maniera automatica. La sua riflessione, in questo passaggio, riprende dicendo: “se aggiungo il tu”, ossia: se nella corrente del valore io riconosco l’unicità
personale dell’altro, allora mi accorgo di come egli o lei sia a sua volta un mondo
originale di valore. “Io aggiungo” non significa affatto che io produco il tu, lo decido, lo valorizzo. Significa invece che nell’approfondirsi dei gradi del valore, irrompe un dono vivente che è la presenza dell’altro. Qui il mio aggiungere non è di
per sé un donare, ma un aprirmi al dono. Si manifesta chiaramente in Capitini ciò
su cui insisterà Levinas: il tu è altezza26.
Nelle categorie capitiniane di apertura, aggiunta nell’atto educativo si
esperisce qualcosa di “nuovo”, conducendoci così a definire la filosofia di
Capitini come una filosofia della interiorità: profondo avvicinamento, appassionamento27 per l’altro. Il punto su cui occorre riflettere è che nell’aggiunta religiosa si percepisce quel di più che contraddistingue la religiosità del Nostro come incessante partecipazione alla produzione corale dei
valori.
24. A. Capitini, Saggio sul soggetto della storia, La Nuova Italia, Firenze, 1947, pp. 51-52.
25. Cit. in A. Capitini, Il rapporto tra azione e atto, a cura di E. Mirri, L. Conti, Filosofi del dissenso. Il Reale di Studi Filosofici a Perugia dal 1941 al 1943, Editoriale UmbraIstituto per la storia dell’Umbria contemporanea, Foligno-Perugia, 1986, p. 108.
26. R. Mancini, L’amore politico. Sulla via della nonviolenza con Gandhi, Capitini e
Levinas, Cittadella, Assisi, 2004, pp. 188-189.
27. “Se io mi apro ad un essere vivente volgendogli rispetto e affetto, e così ad un altro,
e nell’animo sarei disposto a farlo verso tutti, arrivando all’orizzonte di tutti, non posso più
accettare la natura e i suoi fatti che, senza capire, mi sottraggono una parte degli esseri. Se
arrivo all’orizzonte di tutti, se mi interessa la realtà di tutti, capisco la realtà della vicinanza di tutti fra tutti, capisco la loro compresenza”. A. Capitini, Ominicrazia, in Il potere di
tutti, La Nuova Italia, Firenze, 1969, p. 86.
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