A – DALLA SOCIETÀ CLASSISTA ALLA SOCIETÀ DI MASSA

annuncio pubblicitario
A – DALLA SOCIETÀ CLASSISTA ALLA SOCIETÀ DI MASSA (1880-1920)
1 - La II rivoluzione industriale e la formazione della società di massa
2 - Tra XIX e XX secolo: dallo stato liberale allo stato liberal-democratico
1 - La II rivoluzione industriale e la formazione della società di massa (18801920)
0. La società di massa come chiave di lettura del Novecento
0.1 I caratteri della società di massa
0.2 Società classista e società di massa
Una delle possibili chiavi di lettura della storia del Novecento è sicuramente
rappresentata dal seguire i processi che hanno portato all’affermazione della
società di massa.
Infatti, a
partire
dalla
fine dell'Ottocento, col
diffondersi
dell'industrializzazione e dei connessi fenomeni di urbanizzazione, e solo nei
paesi economicamente più avanzati dell'Europa occidentale e del Nord America, si vengono delineando i contorni di quella che oggi chiamiamo
«società di massa».
Nella società di massa la maggioranza dei cittadini vive in grandi e medi
agglomerati urbani; gli uomini sono quindi a più stretto contatto gli uni con gli
altri; entrato in rapporto fra loro con maggiore frequenza e facilità che in
passato - grazie anche alla disponibilità di mezzi di trasporto, di comunicazione
e di informazione -, ma questi rapporti hanno spesso un carattere anonimo e
impersonale. Il sistema delle relazioni sociali non passa più attraverso le
piccole comunità tradizionali - locali, religiose, di mestiere -, ma fa capo alle
grandi istituzioni nazionali: agli apparati statali, ai partiti e in genere alle
organizzazioni «di massa», che esercitano un peso crescente sulle decisioni
pubbliche e sulle stesse scelte individuali. Il grosso della popolazione è
uscito dalla dimensione dell'autoconsumo e quasi tutti sono entrati, come
produttori o come consumatori di beni e di servizi, nel circolo dell'economia
di mercato. I comportamenti e le mentalità tendono a uniformarsi secondo
nuovi modelli generali, svincolati dagli schemi e dalle consuetudini delle
società tradizionali. Consumi e stili di vita un tempo appannaggio di
un'esigua minoranza si diffondono tra strati sociali sempre più larghi.
La società di massa è una realtà complessa risultante dall'intreccio di una
serie di processi economici, di trasformazioni politiche e di mutamenti
culturali. In essa vengono capovolti gerarchie, valori condivisi, punti di
riferimento delle società tradizionali. Ciò che emerge con forza è la
dimensione collettiva e di massa di esperienze che nella società classista
dell’Ottocento erano state appannaggio di pochi gruppi ristretti: dalla
partecipazione politica all'accesso ai consumi non di prima necessità,
dall'alfabetizzazione all'estensione del suffragio elettorale, dalla diffusione
della letteratura e delle arti allo sport.
Di questo fenomeno cercheremo ora di cogliere le componenti principali e le
manifestazioni più importanti sul piano economico e sociale, così come si
presentavano nella loro fase iniziale, cioè negli anni a cavallo fra '800 e '900.
LA SOCIETÀ DI MASSA COME
CHIAVE DI LETTURA DEL
NOVECENTO
Novecento e ______________________
I CARATTERI DELLA SOCIETÀ DI
MASSA
1 - _______________________________
a-
_____________________________
b-
_____________________________
2 – sistema relazione sociali dipende non
più ___________________________ ma
_________________________________
3 - _______________________________
4 - _______________________________
5 - ________________________________
___________________________________
1
Nel corso del XIX secolo, e in special modo nella seconda metà, il sistema
produttivo industriale, dopo essersi diffuso dapprima in Europa e quindi anche
in America del nord e in Giappone, ha trasformato in maniera definitiva la
società dell’ancien régime.
Così, per restare sul piano economico, si affermava un’economia volta non più,
come lo era quella pre-industriale, a garantire i beni primari per la
maggioranza e il lusso di pochi, bensì il profitto dei capitali privati investiti in
attività produttivi (industrie) ma anche, e sempre più, in attività finanziarie
(borsa) che tendono a controllare quelle produttive.
Per tutto l’Ottocento il mercato prevalente di destinazione dei prodotti
industriale rimase quello dei beni produttivi, quindi destinati ad altre aziende,
reggendosi lo sviluppo industriale sullo sfruttamento della manodopera il che
ne comportava l’esclusione dal mercato. Il potenziamento delle capacità
produttive e organizzative (II Rivoluzione industriale fine ‘800-inizio ‘900)
richiese, a partire dai primi del Novecento, un graduale allargamento del
mercato destinato ad assorbire i beni di massa che caratterizzeranno la
produzione industriale del XX secolo. Infatti, la rigidità sociale, tipica delle
società ottocentesca, si esprimeva anche nella marcata differenza nei
comportamenti tra la borghesia ottocentesca e le classi lavoratrici subalterne.
Lo stile di vita, il modo di vestirsi, di mangiare, di utilizzare il tempo libero, lo
stesso portamento manifestavano chiaramente queste differenze dovute
all’impossibilità per le classi lavoratrice di accedere ai beni di consumo non
essenziali o all’istruzione, a causa dei bassi livelli salariali, nonché della totale
mancanza dei servizi sociali offerti dallo stato. Il classismo della società
ottocentesca si manifestava, oltre che sul piano socioeconomico, anche sul
piano politico, in quanto nello stato liberale i diritti politici (voto ed
eleggibilità) erano riservati esclusivamente a coloro che avevano un certo
reddito.
Il classismo tipico della società ottocentesca cominciò ad attenuarsi con il
sorgere della società di massa, consentendo un allargamento del mercato ai
ceti medi impiegatizi che cominciavano a diventare numericamente
significativi, e l’estensione dei diritti politici. Solo nei decenni attorno alla metà
del ‘900 con la definitiva affermazione del mercato di massa e dello Welfare
State (Stato sociale), in grado di offrire ai cittadini i servizi sociali
fondamentali (scuola, assistenza sanitaria, pensioni), è avvenuta anche la
completa integrazione delle classi lavoratrici.
SOCIETÀ CLASSISTA E SOCIETÀ DI
MASSA
Ottocento: società ___________________________
prevalere mercato _______________________ (_________________
bassi ______________
_________________)
mancanza _______________(stato __________)
stato liberal-borghese
mercato ___________________________ elitario
differenze ________________________________
diritti ________________( _______________________________________) riservati all'élite
Novecento: società _____________________
prevalere mercato ___________________________
prima metà ‘900: allargamento del mercato ai ____________________
seconda metà ‘900: allargamento del mercato alle ___________________
stato _____________________ (estensione dei ____________________________)
2
Il passaggio dal sistema produttivo ottocentesco a quello novecentesco
finalizzato, come si è detto, il primo alla produzione di beni produttivi e il
secondo dei beni di consumo, come del resto anche il passaggio dalla società
classista e dallo stato liberal-boghese alla società di massa e allo stato
democratico, non è avvenuta in maniera indolore tant’è che a segnarne lo
sviluppo sono state una serie di crisi quali: la crisi di fine Ottocento, la Prima
guerra mondiale, la crisi del ’29, l’ascesa dei regimi totalitari negli anni ’20 e
’30, nonché la Seconda guerra mondiale.
1. La crisi economica di fine Ottocento
1.1 La crisi industriale
1.2 La crisi agraria
Nel 1873 il fallimento di una grande banca newyorkese, uno dei pilastri della
finanza statunitense, diede il via a un'ondata di panico che si diffuse
nell'economia americana e poi in tutti gli altri paesi sviluppati. Nel giro di pochi mesi negli Stati Uniti la produzione di beni durevoli cadde di un terzo
per mancanza di acquirenti, mentre la disoccupazione tra gli operai
dell'industria e delle costruzioni ferroviarie raggiungeva livelli elevatissimi.
Anche in Gran Bretagna, Francia e Germania si apriva una duratura fase di
caduta della produzione industriale. Nella sola Germania la produzione di
ferro diminuì di oltre il 50 per cento nel giro di pochi anni; nei paesi
industrializzati d'Europa la disoccupazione toccò livelli senza precedenti in
tutto il secolo. La crisi si manifestava come una forte eccedenza dell'offerta
sulla domanda, ovvero una disponibilità di merci sul mercato superiore alla
richiesta, cioè alla quantità che questo era in grado di assorbire: era la prima
manifestazione del meccanismo caratteristico delle crisi economiche moderne.
Mentre le cosiddette crisi d'ancien régime (le crisi cioè di società
precapitalistiche e prevalentemente agrarie) erano in generale causate da
carestie, spesso prodotte da eventi naturali come siccità e pestilenze e si
manifestavano con fenomeni anche drammatici di carenza di beni (erano
quindi "crisi di sottoproduzione"), il nuovo tipo di crisi che il mondo
industrializzato andava sperimentando era prodotto da un eccesso di merci
sul mercato: si trattava, cioè, di una "crisi di sovrapproduzione", o, se si
preferisce, di "sottoconsumo".
L'indice più vistoso della crisi economica fu la caduta dei prezzi che venne a
interrompere la fase di quasi continua crescita del venticinquennio
precedente. La tendenza al ribasso dei prezzi si dimostrò peraltro duratura:
non solo negli anni settanta, ma per tutti gli anni ottanta i prezzi dei
prodotti industriali subirono un netto declino, mentre quelli dei prodotti
agricolo-alimentari registrarono una caduta ancor più accentuata. Attorno al
1895 i prezzi medi risultarono del 40 per cento circa inferiori rispetto al
livello del 1875. Fu proprio tale continuità nella caduta dei prezzi uno dei
principali fattori che indussero i contemporanei a vedere, nel periodo che
va dal 1873 al 1895, un'unica grande fase di crisi economica, definita appunto "Grande depressione".
L'aumento più che proporzionale della produzione rispetto alle capacità di
assorbimento del mercato derivava da tre ordini di fattori: il progresso
tecnico, l'ampliamento del numero dei paesi industriali e l'imposizione di
bassi salari. Si erano affiancate ai paesi tradizionalmente sviluppati (Gran
Bretagna, Belgio, Francia) nuove potenze industriali dalle straordinarie
capacità produttive: la Germania e gli Stati Uniti, innanzitutto, ma anche
quei paesi a industrializzazione più lenta e tardiva, e pur tuttavia significativi,
come l'Italia, la Russia, il Giappone. Il loro ingresso nel campo della
Le __________________________
LA CRISI ECONOMICA DI FINE
OTTOCENTO
LA CRISI INDUSTRIALE
Gli indici della crisi:
1 – caduta ______________________
2 - _____________________________
3 - ______________________________
dalle crisi di ______________________
alle crisi di ________________________
4 - _______________________________
La crisi di _________________________
1 - ____________________________
a - __________________________
b - sviluppo trasporti  + ____________
___________________________________
3
concorrenza internazionale, unito allo sviluppo dei trasporti, che permetteva
alle merci straniere di raggiungere in breve tempo qualunque mercato, aveva
elevato di colpo il volume di beni disponibili e posto un limite alle capacità
di espansione delle economie più mature. D'altra parte, la capacità d'acquisto
del mercato era rimasta limitata a causa delle politiche dominanti di bassi
salari, favorite dalla debole forza contrattuale delle nascenti organizzazioni
sindacali. La situazione peggiorò ulteriormente allorché si decise, in quasi
tutti i paesi colpiti dalla crisi, di rispondere alla caduta dei prezzi con
ulteriori, nette riduzioni salariali: queste, infatti, anziché migliorare le
condizioni economiche, provocarono nuove, più gravi riduzioni dei
consumi e della domanda, aprendo una vera e propria spirale di crisi.
A tutto ciò si aggiunga il fatto che, nello stesso periodo, in quasi tutti i paesi
dell'Europa occidentale si andava esaurendo la forte spinta alle costruzioni
ferroviarie, che avevano costituito per alcuni decenni uno dei principali
motori dello sviluppo, mentre nei paesi meno sviluppati e nelle aree
colonizzate stentavano ancora ad avviarsi i lavori di costruzione delle grandi
reti ferroviarie che avrebbero rappresentato in seguito uno dei fattori
fondamentali della ripresa.
Alla crisi di sovrapproduzione industriale che caratterizzò l’ultimo quarto
dell’Ottocento s’intrecciò anche una grave crisi agraria, dal momento che il
settore economico in cui la caduta dei prezzi si fece sentire con maggiore
intensità fu senza dubbio quello agricolo. Alle origini della crisi agraria, alla
metà degli anni settanta, sta un fenomeno per certi versi simile a quello che
aveva provocato la crisi industriale: la crescente unità del mercato mondiale
e l'emergere di nuove potenze nella produzione agricola, come gli Stati Uniti e
l'Argentina. Fu appunto la concorrenza del grano americano il fattore che
scatenò la crisi agraria in Europa, determinando una brusca caduta dei prezzi. I
coltivatori americani - grazie anche a una disponibilità di terre vergini
assolutamente eccezionale - avevano a disposizione margini di sviluppo
incomparabilmente superiori a quelli europei ed erano destinati a imporsi sul
mercato. Se si pensa che nel 1887 la produzione di un bushel di grano
(equivalente a poco più di 36 litri) costava negli Stati Uniti 40 centesimi, mentre in Europa il costo medio era esattamente il doppio (benché il costo
della manodopera in Usa fosse più di quattro volte quello europeo), si può
capire come la produttività straordinariamente più elevata dell'agricoltura
statunitense fosse a questo punto in grado di dominare il mercato mondiale
dei cereali. Né gli Stati Uniti erano i soli concorrenti temibili: anche Argentina
e Australia dimostrarono negli stessi anni la propria superiore produttività e
infersero all'economia europea un colpo durissimo.
La caduta dei prezzi e la concorrenza ridussero in rovina migliaia di piccole
aziende agricole; non solo, ma si accrebbe in misura preoccupante la
dipendenza dell'Europa dalla produzione agricola d'oltreoceano. Basti
pensare che mentre nel periodo 1811-30 il grano importato dalla Gran Bretagna si aggirava sul 3 per cento circa del fabbisogno annuo e nel 1831-51
raggiungeva appena il 13 per cento, nel 1851-60 la dipendenza inglese
dalle importazioni superava il 30 per cento e nel periodo tra il 1891 e il 1895
si attestava sul 79 per cento.
L'agricoltura ne risultò trasformata in modo permanente. In primo luogo
l'esodo dalle campagne provocato dalla crisi segnò l'avvio di un processo di
riduzione dell'occupazione in agricoltura di carattere strutturale: da quel
momento in poi la popolazione agricola calò costantemente, alimentando sia
la massa di popolazione urbana, sia il circuito dell'emigrazione.
In Gran Bretagna, per esempio, l'agricoltura, che nel 1855-59 assorbiva il 20
per cento del prodotto nazionale, nel 1895-99 era giunta al livello, quasi
2 – bassi salari  ____________________
___________________________________
3 - ________________________________
4 - ________________________________
__________ (vedi pag. 6)
LA CRISI AGRARIA
Cause:
mercato + _______________________
+ concorrenza _______e _____________
+ _________________________
- _________________________
Conseguenze:
A - Europa ____________(paesi
___________ _______________)
1- + dipendenza _____________________
2 - ____________________ strutturale
dell’occupazione ____________________
4
insignificante, del 6 per cento. Anche in Francia, dove pure l'agricoltura era
assai più stabile, l'esodo dalle campagne fu notevole: le aree rurali, che nel
1872 assorbivano quasi il 70 per cento della popolazione, nel 1911 ne
ospitavano solo il 55 per cento.
In secondo luogo, in molte zone, come l'Inghilterra, ma anche come molte
regioni tedesche e francesi, venne abbandona la coltivazione dei terreni
meno produttivi e si accelerò, laddove essa non era ancora avvenuta, la
trasformazione in senso capitalistico delle aziende agricole, ovvero la loro
concentrazione e modernizzazione (processo che fu avviato anche nell'Italia
settentrionale, soprattutto nella pianura Padana) attraverso l’utilizzo di lavoro
salariato, l’intensificazione della meccanizzazione (mietitrici, falciatrici e
soprattutto trebbiatrici a vapore) e l’estensione dell’uso di concimi chimici.
Inoltre, poiché l'agricoltura mondiale incominciò a ristrutturarsi secondo
principi di divisione internazionale del lavoro, l’agricoltura europea si
specializzò per far fronte alla concorrenza americana e aumentare la produttività agricola. In alcune zone l'agricoltura si riorganizzò passando a produzioni più redditizie e che richiedevano un minor uso di manodopera: molte
aree dell'Europa settentrionale (tra cui la valle Padana), per esempio, si
specializzarono nell'allevamento e nella produzione di latticini o vennero
introdotte nuove colture industriali come la barbabietola da zucchero.
Nelle aree marginali dell'Europa orientale e meridionale, infine, dove latifondo
e piccola proprietà contadina (forme di produzione fortemente arretrate)
avevano trattenuto nelle campagne una quantità di popolazione eccessiva, la
crisi significò soprattutto abbandono della terra. Il processo d'industrializzazione in queste aree periferiche d'Europa non era infatti
assolutamente in grado di assorbire i contadini proletarizzati, dato anche l'alto
ritmo di crescita demografica. Per milioni di contadini poveri la sola via di
3 - ________________________________
4 – modernizzazione __________________
_________________ attraverso:
a - ________________________________
b – utilizzo lavoro salariato
c - ________________________________
d - ________________________________
e - ________________________________
5 - vedi sotto
B – Europa ________________________
________________(non industrializzata)
Crisi  _________________________
____________  ___________________
Su un numero de “Il Saviglianese” del 1885
si discute della crisi agraria.
(l’onorevole Buttini era il deputato espresso
dal collegio saviglianese)
sopravvivenza rimaneva perciò l'emigrazione in altri paesi europei, come la
Francia e la Germania, e, in misura più massiccia, verso i paesi d'oltreoceano.
Polacchi, slavi, spagnoli, italiani (soprattutto provenienti dalle regioni
meridionali) presero la via delle Americhe.
Fu anche per far fronte alle conseguenze della crisi agraria e per venire
incontro alle pressioni dei grandi proprietari, e degli agricoltori in genere, che i
5
governi europei finirono per imboccare la strada del protezionismo 1. Tutte le
nuove tariffe adottate dai vari Stati stabilivano dazi elevati per numerosi
prodotti agricoli, in particolare per i cereali. Questi interventi riuscirono a
tamponare parzialmente gli effetti della crisi, tenendo in vita molte aziende che
altrimenti sarebbero state inevitabilmente messe fuori mercato, ma ebbero
costi economici e sociali molto elevati. L'aumento dei prezzi dei cereali,
infatti, danneggiò la massa dei consumatori e rese meno impellenti
l'ammodernamento delle tecniche agricole e la diversificazione delle colture.
Comunque neanche i dazi doganali impedirono un generale declino del
settore agricolo nel complesso dell'economia europea: negli ultimi due
decenni del secolo la quota dell'agricoltura nella formazione del prodotto
interno diminuì, più o meno rapidamente, in tutti i paesi industrializzati e,
parallelamente, si ridusse la percentuale degli addetti all'agricoltura.
5 A - i dazi ________________________
(__________________________)
Effetti:
1 - ________________________________
________________  mancato ________
______________________
2 – aumento prezzi _____________ (pane)
peggioramento condizione di vita
masse __________________
2. Le nuove forme dell'economia
LE NUOVE FORME DELL'ECONOMIA
2.1 _________________________________________
2.2 _________________________________________
2.3 _________________________________________
2.4 _________________________________________
2.5 _________________________________________
2.6 _________________________________________
2. 1 - L'INTERVENTO ______________
2.7 _________________________________________
Le risposte che imprese e stati diedero allo squilibrio economico degli anni
settanta originarono una serie di processi che mutarono il volto
dell'economia, della società e della politica giungendo a caratterizzare un
lungo periodo storico, per lo meno fino alla prima guerra mondiale e alla
difficile crisi che seguì. Si apriva una nuova fase del capitalismo, il cosiddetto
"capitalismo organizzato"; cioè cosciente della necessità di superare il
carattere spontaneo dei fenomeni economici guidandoli e organizzandoli:
una necessità che contraddiceva esplicitamente il credo liberista in economia
(e liberale in politica) che aveva dominato la fase precedente, fondato sulla
fiducia nella capacità di autoregolazione del mercato. Capitalismo
organizzato significava dunque la fine del periodo aureo del laissez faire e
l'accettazione da parte imprenditoriale di un intervento economico dello stato. Prima attraverso misure contingenti e limitate ad alcuni settori
(protezionismo), poi in forma via via più massiccia, lo stato divenne un
protagonista di primo piano della crescita economica.
Di fronte alla caduta generalizzata dei prezzi, alla penetrazione su tutti i
mercati europei dei cereali americani, argentini e australiani, all'inasprirsi
della concorrenza internazionale, l'immediata, quasi istintiva risposta fu il
tentativo di "proteggere" i mercati nazionali attraverso l'elevamento di
barriere doganali che impedissero, o per lo meno rendessero molto costosa,
la penetrazione di merci estere. Cominciò il governo tedesco ad aumentare
Dal _____________________ (laissez
faire) all’ _________________________
economico ________________________
Le forme dell’______________________
_____________________:
1 - _______________________________
Effetti:
- commercio ___________________ 
aggravamento crisi (vedi pag.______)
1
Pratica che tende a «proteggere» la produzione nazionale imponendo sui prodotti di importazione dazi
doganali così elevati da scoraggiarne l'acquisto. II protezionismo è opposto al liberismo, la dottrina
economica che affida al mercato il compito di regolare l'attività economica. I liberisti sono contrari
all'intervento dello Stato nella produzione e nel commercio e sostengono il principio del libero scambio
nei traffici tra paese e paese.
6
le tariffe doganali, poi, a poco a poco, quasi tutti gli altri (con la significativa
eccezione del governo inglese, che si astenne a lungo dall'intervenire
nell'economia interna) ne seguirono l'esempio, adottando una serie di misure
protezionistiche che, se sul breve periodo parvero apportare un qualche
vantaggio alle singole economie nazionali, finirono però per aggravare
ulteriormente la situazione generale, provocando un esteso rallentamento nel
commercio internazionale.
Contemporaneamente lo stato andò assumendo sempre maggiori
responsabilità economiche all'interno dei singoli paesi, intervenendo come
acquirente dei prodotti nazionali (commesse pubbliche) e facendo dello
sviluppo industriale un compito politico di primaria importanza. Le
possibilità di sviluppo dei grandi gruppi industriali, soprattutto dell'industria
pesante (siderurgia, cemento, chimica di base), dipesero sempre più dalla
protezione e dalle commesse pubbliche, in particolare dalle spese militari.
Nello stesso tempo compiti crescenti di controllo sociale, di formazione del
personale e di assistenza vennero a gravare sui bilanci pubblici. Ancora una
volta fu la Germania il paese in cui la nuova tendenza si manifestò con
maggior evidenza, con la crescita imponente delle spese per l'istruzione e per
le assicurazioni sociali e con una legislazione orientata a favorire lo sviluppo
industriale in funzione dell'ampliamento della potenza nazionale.
L’identificazione della propria potenza con gli interessi economici dei
rispettivi capitalismi nazionali finì per tradursi nella tendenza a intervenire
militarmente per l'affermazione di tali interessi. Tendenza che si espresse,
almeno fino alla Prima guerra mondiale, non in scontri diretti quanto invece
in un rilancio della politica coloniale (imperialismo). Mentre le maggiori
innovazioni tecnologiche e organizzative avvennero, come diremo, in
Germania e U.S.A. l’espansione colonialista venne utilizzata soprattutto dalla
Gran Bretagna e dalla Francia, potenze che stavano perdendo competitività.
Questa politica si trasformò però in un ulteriore fattore di indebolimento in
quanto mantenne in vita aziende arretrate tecnologicamente che potevano
godere del controllo militare dei mercati asiatici e africani.
2 – commesse ____________________
3 – assunzione compiti di controllo
sociale attraverso: __________________
e ________________________________
4 - _______________________________
intervento __________________ a difesa
degli _____________________________
nazionali
2. 2 - LA _______________________
INDUSTRIALE
La seconda significativa conseguenza della Grande depressione, destinata a
prolungarsi nei decenni successivi, fu l'avvio di un intenso processo di
concentrazione industriale che si tradusse in una riorganizzazione delle
imprese.
Negli anni fra il 1873 e l'inizio del Novecento il controllo dell'economia venne
assunto da un numero sempre minore di imprese industriali e finanziarie di
dimensioni via via crescenti. Tale fenomeno fu generato da diverse cause.
In primo luogo, l'esigenza di forme di controllo del mercato che rendessero
meno violenta la concorrenza e che permettessero di frenare la caduta dei
prezzi attraverso accordi tra imprese industriali e fusioni tra grandi società
per azioni. In secondo luogo, il bisogno per le imprese di raccogliere e
mobilitare nuovi capitali per finanziare la ripresa. Infine, la stessa
"selezione naturale" che opera nell'economia durante i periodi di recessione,
favorendo le imprese più solide ed eliminando le più deboli. La
manifestazione più evidente di questa trasformazione fu la tendenza al
monopolio e all'oligopolio in un ventaglio crescente di settori produttivi:
all'inizio degli anni ottanta, per esempio, negli Stati Uniti il 90 per cento
della raffinazione del petrolio era sotto il controllo di un'unica impresa, la
Standard Oil; negli stessi anni il controllo sulla produzione e l'inscatolamento
della carne passò nelle mani di quattro sole aziende; nel 1901 l'US Steel,
massima azienda industriale del mondo, controllava due terzi della
produzione siderurgica americana. In Germania, nello stesso periodo, la
Siemens e l'Aeg concentravano la quasi totalità della produzione nel
7
settore elettromeccanico, mentre tre ditte (Hoechst, Basf, Bayer) avevano il
controllo totale della chimica di base.
La riorganizzazione delle imprese passò attraverso la creazione di trusts
(trust in inglese significa "fiducia"), ovvero concentrazioni di imprese che si
accordavano secondo obiettivi strategici comuni, e i cartelli, che consentivano
alle imprese più importanti di un settore di dividersi il mercato. I trusts
organizzavano le industrie in senso verticale, da quelle che lavoravano le
materie prime a quelle che producevano il bene finale; i cartelli, invece, univano
orizzontalmente le aziende che operavano nello stesso ambito (per esempio, le
industrie automobilistiche o quelle che si occupavano dell'estrazione del petrolio).
I primi cartelli organizzati in modo efficiente furono quelli adottati dalle società
ferroviarie americane intorno alla metà degli anni settanta dell'Ottocento. Gli
accordi stretti fra imprese della costa orientale degli Usa e perfezionati fra il 1874 e
il 1877 prevedevano una distribuzione degli utenti sulla base di quote
predeterminate, l'obbligo di non farsi concorrenza e la definizione di tariffe
concordate. I trusts, invece, erano forme meno frequenti di gigantismo industriale,
perché presupponevano la realizzazione non solo di accordi temporanei, sempre
revocabili, ma di una vera e propria fusione fra le diverse aziende, con scambi di
azioni e costituzioni di casseforti della ricchezza comune: le cosiddette holdings,
società che assumevano il controllo finanziario delle diverse imprese. Fra i
trusts più celebri va ricordato quello della Standard Oil, nato come cartello e poi
evolutosi fino a toccare non solo la raffinazione, ma i trasporti, gli oleodotti ecc.
Lo Standard Oil Trust nacque negli Usa, per impulso di John D. Rockefeller
(1839-1937), nel 1882 e coinvolse ben 40 società. All'inizio degli anni novanta
La _____________________________ industriale.
_________:
1 - ___________________________________________________________________________________________________
2 - ___________________________________________________________________________________________________
3 - ___________________________________________________________________________________________________
La _____________________________________________
1 - ___________________________________________________________
a - _________________________________: __________________________________________________________
__________________________________________________________
b - _________________________________: __________________________________________________________
__________________________________________________________
effetti: ________________________________________________________________________________________
2 - _______________________________________________________________________________________(vedi pag. 12)
la strategia della Standard Oil appariva completamente ribaltata rispetto alle
origini: dalla concentrazione orizzontale essa era passata, tramite la costituzione
giuridica dell’"impero" di società e la "centralizzazione organizzativa e
direzionale", all'integrazione verticale.
Le contraddizioni e le possibili distorsioni di questo sistema emersero negli Stati
Uniti prima che altrove. Fu qui che, nel 1890, furono votate le prime leggi antimonopolistiche che imponevano il frazionamento degli enormi colossi industrialifinanziari. D'altra parte, sia le condizioni generali del mercato, sia gli investimenti
profusi nei nuovi rami d'industria spingevano i principali produttori all'accordo.
8
L’oligopolio (concorrenza "imperfetta" tra pochi soggetti, propensi all'accordo)
sarebbe divenuto da allora, più che l'eccezione, una forma stabile e consueta
dell'articolazione del mercato, testimoniando che era ormai tramontata l'illusione
liberistica della concorrenza perfetta.
La crescita delle dimensioni e del potere delle imprese monopolistiche si
accompagnò alla crescita delle dimensioni delle fabbriche, del numero dei
dipendenti per azienda: le aziende più legate a forme di produzione
artigianali furono costrette a lasciare il posto a quelle capaci di forme di produzione più moderne, fondate su tecnologie più avanzate e dotate di
maggiori fondi di finanziamento. Negli Stati Uniti, il processo di progressiva
crescita delle dimensioni industriali si manifestò con grande intensità proprio
perché più recente era l'industrializzazione del paese: le economie di più
antico sviluppo apparivano infatti più legate all'organizzazione tradizionale
della produzione, mentre i cosiddetti "ultimi venuti" potevano assumere fin
dall'inizio strutture produttive moderne, adeguate alle più recenti innovazioni
tecniche e organizzative.
Il grande fabbisogno di capitali, indispensabile per far fronte alla
ristrutturazione tecnica e per sopravvivere in un mercato caratterizzato dalla
presenza di grandi azienda oligopoliste, mutò anche i rapporti tra l'industria
e le banche. Il rapporto tra industria e finanza si fece ovunque più stretto e la
tendenza delle banche a compenetrarsi col sistema industriale andò
rafforzandosi, costituendo un tratto caratteristico della fase che giunge fino
alla guerra mondiale e al decennio successivo. Fu questa più intensa
disponibilità di capitali al servizio di un apparato industriale sempre più costoso, per le accresciute dimensioni delle fabbriche e per il più massiccio
impiego della tecnologia nella produzione, che permise quel particolare tipo
di sviluppo economico e produttivo ancora fondato sull'industria pesante
caratteristico dell’età dell’imperialismo.
Solo le grandi banche potevano assicurare gli imponenti e costanti flussi di
denaro necessari alla nascita e alla crescita dei colossi industriali per i quali i
profitti, per quanto elevati, non erano sufficienti a ricostituire in tempi brevi il
capitale di investimento. Fra banche e imprese si venne così a realizzare
uno stretto rapporto di compenetrazione: le imprese dipendevano sempre più
dalle banche per il loro sviluppo e le banche legavano in misura crescente le
loro fortune a quelle delle imprese. Le banche controllavano quote rilevanti
dei pacchetti azionari delle industrie, ma d'altro canto i magnati dell'industria
sedevano spesso nei consigli di amministrazione delle banche. Questo
intreccio fra industria e finanza è stato definito col nome di «capitalismo
finanziario».
All'azionariato, costituito da grandi capitalisti e dalle banche che controllavano
quote significative di titoli (azioni), erano riservate le scelte finanziarie e le
indicazioni strategiche mentre la gestione operativa ( pianificazione e controllo
delle attività dell'impresa) era affidata ai manager, i quali agivano secondo gli
indirizzi formulati dagli azionisti di riferimento.
Quando l'azionariato era particolarmente diffuso, ed era difficile far emergere
un nucleo forte di capitalisti o di banche di riferimento con la capacità di orientare
la produzione, erano i manager, di fatto, ad assumere un ruolo di rilievo, non solo
nella conduzione, ma anche nella definizione della strategia dell'azienda in
precedenza di competenza della proprietà. In questo secondo caso, ovvero
quando esiste una separazione tra propriètà e attività direttiva, si parla di
“capitalismo manageriale”, ed esso, benché appaia negli Stati Uniti già a cavallo
fra Ottocento e Novecento, è tuttavia tipico della seconda metà del Novecento
in corrispondenza con la diffusione degli investimenti in borsa.
2. 3 - LA COMPENETRAZIONE TRA
_________________________________:
IL CAPITALISMO _________________
Banche e sistema ____________________
Il capitalismo _______________________
Scelte _________________  grande
azionariato
_______________________  manager
Il capitalismo _______________________
separazione tra ____________________
e ________________________________
9
All'origine dello straordinario aumento della produttività industriale stava
una rivoluzione tecnologica di ampia portata che in pochi decenni venne
cambiando il volto dell'industria mondiale.
Negli anni fra il 1870 e il 1900 fecero la loro prima apparizione una serie di
strumenti, di macchine, di oggetti d'uso domestico che sarebbero poi diventati
parte integrante della nostra vita quotidiana: la lampadina e l'ascensore
elettrico, il motore a scoppio e i pneumatici, il telefono e il grammofono, la
macchina per scrivere e la bicicletta, il tram elettrico e l'automobile, per
ricordare solo i più importanti. E stato soprattutto a questo proposito che si è
parlato di seconda rivoluzione industriale: una rivoluzione che certo fece
sentire i suoi effetti in modo più capillare della prima, mutando le abitudini,
i comportamenti, i modelli di consumo di centinaia di milioni di uomini. Alla
base di questa nuova rivoluzione c'erano i progressi realizzati dalle scienze
fisiche e chimiche lungo tutto il corso dell'800. Negli ultimi decenni del
secolo il flusso delle scoperte e delle invenzioni non accennò ad arrestarsi:
basterà ricordare le scoperte di H. R. Hertz sulle onde elettromagnetiche
(1885), da cui ebbero origine gli esperimenti di telegrafia senza fili di G.
Marconi, e quelle di W. C. Röntgen sui raggi X (1895).
Ma la vera novità di questo periodo non consistette tanto nelle conquiste della
scienza, quanto nell'applicazione su sempre più larga scala delle scoperte recenti o meno recenti- ai vari rami dell'industria, nel legame sempre più
stretto che si venne a creare fra scienza e tecnologia e fra tecnologia e mondo
della produzione. Mentre la prima rivoluzione industriale aveva avuto per
protagonisti imprenditori e dilettanti di genio, spiriti eminentemente pratici
spesso sprovvisti di una seria preparazione teorica, la seconda impegnò in larga
misura le energie del mondo scientifico. Scienziati di grande prestigio misero i
loro studi a disposizione dell'industria che applicò in modo sistematico i
risultati delle loro scoperte e ne moltiplicò immediatamente gli effetti pratici.
Ingegneri, biologi, chimici e fisici divennero titolari o contitolari di imprese:
nomi come Edison, Siemens, Dunlop, Bayer - nomi di scienziati e inventori
ancor oggi associati indissolubilmente a marchi industriali - bastano a
ricordarci quanto stretti fossero diventati alla fine dell'800 i rapporti fra scienza
ed economia.
Nessun settore produttivo rimase estraneo all'ondata di rinnovamento tecnologico degli ultimi decenni dell'800. Ma gli sviluppi più interessanti si
concentrarono in industrie relativamente «giovani», come quella chimica o
come quel particolare ramo della metallurgia dedito alla produzione
dell'acciaio. Furono questi settori - assieme a un altro completamente nuovo
come l'elettrico - a svolgere nella seconda rivoluzione industriale quel ruolo
trainante che cent'anni prima, in Inghilterra, era stato svolto dall'industria
del cotone e poi da quella meccanica.
A metà degli anni sessanta i fratelli Martin avevano inventato un nuovo
procedimento per la produzione dell'acciaio che gradualmente permise
l’abbattimento dei costi di oltre il 50 per cento e determinò un'espansione
su ampia scala della siderurgia. Quasi nello stesso periodo la chimica iniziava il suo impetuoso sviluppo: nel 1867 fu inventata la celluloide, nel
1884 fu la volta delle fibre tessili e artificiali; contemporaneamente
incominciò a diffondersi la produzione di massa di coloranti sintetici.
Accanto a questi settori venne profondamente rivoluzionato anche il
settore energetico. Se la prima rivoluzione industriale si era fondata
essenzialmente su un tipo di macchina, quella a vapore, e su una fonte di
energia, il carbon fossile, la seconda fu caratterizzata dall'invenzione del
motore a scoppio - o a combustione interna - e dall'utilizzazione sempre più
ampia dell'elettricità.
Il motore a combustione interna - quello in cui è lo stesso combustibile a
fornire la spinta motrice, bruciando ed espandendosi in uno spazio limitato
2. 4 - ____________________________
________________________ tecnologiche
e vita ____________________________
Il rapporto __________________ / ______
________________ e _________________
dai _______________________ agli
______________________________
A – I nuovi _________________________
L’___________________ e la _________ _
B – Le nuove ________________________
a – Motore _______________________ e
_________________________
(al posto di ________________________ e
____________________________)
10
- fu il risultato di una lunga serie di studi e di esperimenti che videro
impegnati, fin dagli anni '50, scienziati di diversi paesi. Furono due
ingegneri tedeschi, Gottlieb Daimler e Carl Friedrich Benz, a riuscire,
separatamente, a montare dei motori a scoppio - più potenti e meno
ingombranti di quelli a vapore - su autoveicoli a ruote, realizzando così, nel
1885, le prime automobili. Il combustibile usato era un distillato del
petrolio che prese poi il nome di benzina. Nel 1897, un altro ingegnere
tedesco, Rudolf Diesel, inventò il motore a nafta che porta ancora il suo
nome. Gli esordi dell'automobile furono lenti e avventurosi. Solo all'inizio
del '900 si cominciarono a produrre autovetture a motore sufficientemente
veloci e affidabili. E solo negli anni intorno alla prima guerra mondiale
fu compiuto - prima negli Stati Uniti, poi in Europa - il salto decisivo
verso la produzione in serie. Questo sviluppo limitato fu tuttavia sufficiente a
dare un impulso decisivo all'estrazione del petrolio, soprattutto nel Nord
America dove, alla fine dell'800, era concentrata la metà della produzione
mondiale. La diffusione dei prodotti petroliferi, usati anche come lubrificanti
e come combustibili da riscaldamento e da illuminazione, era però ostacolata
dagli alti costi di produzione: il prezzo del petrolio era dalle cinque alle
dieci volte più alto di quello del carbone che rimaneva - e sarebbe rimasto
per buona parte del '900 - il combustibile di gran lunga più diffuso 2.
Alla fine dell'800 molti pensarono che il primato del carbone e della
macchina a vapore sarebbe stato presto soppiantato da una nuova e
rivoluzionaria forma di energia: l'elettricità. Quest'ultima era oggetto di studio
da oltre un secolo. La prima applicazione su vasta scala si ebbe negli anni '40 e
'50 con lo sviluppo della telegrafia via filo. Fra il 1860 e il 1880, grazie alle
scoperte quasi contemporanee di numerosi scienziati, fu possibile realizzare
congegni in grado di trasformare il movimento di un corpo entro un campo
magnetico in corrente elettrica (dinamo e generatori), di immagazzinarla
(batterie o accumulatori), di trasmetterla e distribuirla a grandi distanze, di
utilizzarla per l'illuminazione o il riscaldamento o di ritrasformarla in
movimento (motori elettrici).
L'invenzione decisiva per lo sviluppo dell'industria elettrica fu la lampadina a
filamento incandescente, ideata da Thomas Alva Edison nel 1879. «Per la
prima volta - ha scritto lo storico americano David S. Landes - l'elettricità
forniva qualcosa di utile non solo all'industria o al commercio o al
palcoscenico, ma ad ogni famiglia. [...] Adesso esisteva una domanda di
dimensioni globali incalcolabili, e tuttavia atomizzata in una moltitudine di
bisogni individuali, che poteva essere soddisfatta soltanto da un sistema
centralizzato di generazione e distribuzione dell'energia». Nacquero così,
all'inizio degli anni '80, in Inghilterra, in Francia, in Germania, negli Stati
Uniti e anche in Italia le prime grandi centrali termiche - azionate cioè da
motori a vapore - capaci di fornire energia elettrica a interi quartieri urbani,
energia destinata soprattutto all'illuminazione privata. Più lenta fu
l'affermazione dell'elettricità come mezzo di illuminazione pubblica: ai
primi del '900 le principali città europee erano ancora illuminate con
lampade a gas. A partire dalla fine dell'800, comunque, l'energia elettrica
cominciò a essere usata anche per i mezzi di trasporto - tramvie e, più tardi,
ferrovie - e per gli usi industriali: essa fornì alle fabbriche una forza motrice
più comoda e flessibile di quante se ne conoscessero e rese possibili nuove
b - ________________________________
La _______________________________
La produzione:
dalle centrali ________________________
alle centrali _________________________
l’utilizzo:
illuminazione ______________________ e
________________________
mezzi di ____________________________
forza ______________________________
2
La disponibilità di petrolio a basso costo, che ha consentito una crescita dei livelli salariali senza
comprimere il profitto, ha permesso, nei decenni a cavallo della seconda metà del ‘900, la
generalizzazione del mercato di massa. Con l’accesso al mercato dei beni di consumo da parte della
massa dei lavoratori si è venuta realizzando la società consumistica tipica di un sistema industriale ad alto
livello tecnologico che riesce ad integrare al suo interno la maggior parte dei gruppi sociali che lo
compongono.
11
lavorazioni nella chimica e nella metallurgia.
Di fronte alla richiesta sempre crescente di energia elettrica si faceva strada
frattanto l'idea di ricorrere per la produzione di corrente, anziché alle
macchine a vapore, all'energia idraulica: cioè a quella forma di energia, ben
nota fin dagli albori della storia dell'industria, che sfrutta il movimento o la
caduta naturale o artificiale dei corsi d'acqua. La costruzione di centrali
idroelettriche ebbe impulso, nell'ultimo decennio del secolo, soprattutto in
quei paesi, come l'Italia del Nord, che erano poveri di carbone ma ricchi
di bacini idrici.
Sempre legate all'elettricità furono altre novità non meno rivoluzionarie: il
telefono, inventato nel 1871 dall'italiano Antonio Meucci e perfezionato
pochi anni dopo in Nord America dallo scozzese Alexander Graham Bell; il
grammofono, ideato da Edison nel 1876; e infine il cinematografo, sperimentato
in Francia nel 1895 dai fratelli Louis e Auguste Lumière. Queste invenzioni
erano destinate a produrre i loro effetti soprattutto nel '900. Ma, già al loro
apparire, fecero intravedere la possibilità di nuovi e fino allora imprevedibili
sviluppi nel campo delle comunicazioni e anche di nuovi linguaggi e di
nuove forme di espressione artistica.
C – Le comunicazioni:
________________________________
________________________________
________________________________
2. 5 - LA CRESCITA DELLE
FABBRICHE E ___________________
Ovunque il lavoro industriale divenne oggetto di studio scientifico e fu
organizzato secondo criteri di efficienza e di razionalità mai prima
immaginati. Quanto più gli apparati produttivi crescevano in dimensioni,
quanto più incorporavano scienza e tecnica, tanto più richiedevano adeguati
criteri di gestione e di organizzazione. Razionalizzare all’esterno
semplificando e controllando il mercato mediante i cartelli, i trust e le
holdings e, nel contempo, razionalizzare all’interno tramite l'applicazione della
scienza alla produzione e all'organizzazione del lavoro: queste divennero le
parole d'ordine del momento.
In Germania si registrò la più intensa, sistematica e organica applicazione del
progresso scientifico e tecnologico alla produzione industriale, infatti molte
delle invenzioni citate prima avvennero in Germania. Grazie al ritardo con cui
il paese era giunto all'industrializzazione (cosa che permise di applicare fin
dall'inizio le più moderne tecniche senza l'impaccio di un apparato
produttivo superato) e grazie soprattutto a un perfetto sistema d'istruzione
tecnica, finalizzato espressamente all'impiego produttivo, l'industria tedesca
poté svilupparsi con rapidità e dimensioni eccezionali in base ai più razionali
criteri di efficienza, affidati a un numero crescente di scienziati e di tecnici.
Queste particolari condizioni determinarono la progressiva specializzazione
nelle produzioni ad alta composizione tecnologica, come la chimica, l'elettromeccanica, la meccanica di precisione e l'ottica, e permisero in pochi
decenni ai tedeschi di affiancare, se non superare, la consolidata potenza
industriale inglese.
Fu però negli Stati Uniti che si compì il progresso più significativo nella
razionalizzazione del lavoro industriale. Anche qui, come in Germania, a
partire dagli anni sessanta si era verificato l'ingresso massiccio degli
ingegneri in fabbrica. La produttività del lavoro, grazie all'innovazione tecnologica, era salita enormemente in alcuni settori guida come quello siderurgico e
meccanico. Ma, a differenza della Germania, il movimento per la
razionalizzazione della produzione si era ben presto orientato non solo verso
l'innovazione tecnologica (cioè verso il più razionale e scientifico impiego
delle macchine), ma soprattutto verso l'innovazione organizzativa (cioè
verso il più razionale e scientifico impiego degli uomini).
Proprio la tendenza a estendere al lavoro umano il principio di efficienza
dell'ingegneria meccanica rappresenta il fattore qualificante del movimento
per l’organizzazione scientifica del lavoro di cui l'opera di Frederick
_____________________________
La razionalizzazione:
A - ____________________________
(trust, cartelle – vedi pag. _____)
B – delle attività _____________________
attraverso l’applicazione della __________
a – alla produzione
primato ____________________________
settori altamente tecnologizzati: _________
___________________________________
b – all’organizzazione del ______________
primato ___________________________
12
Winslow Taylor costituisce la sintesi più sistematica. La novità consisteva
nello studio sistematico dei movimenti e delle operazioni lavorative, al fine di
scomporre il lavoro nei suoi movimenti più semplici e misurare esattamente il
tempo necessario a compierli, affidando a ciascun operaio una singola
operazione. Per questa via si riteneva di poter stabilire a priori l'unico modo
migliore per compiere un'operazione lavorativa e il tempo ottimale a essa
necessario. Così frammentato in piccole operazioni il lavoro diventava
naturalmente ripetitivo e spersonalizzato, ma consentiva l’aumento della
produttività e la standardizzazione dei prodotti, poiché la loro qualità non
dipendeva più dall’abilità dell’operaio, fattori che risulteranno decisivi, come
diremo, per l’affermazione del mercato di massa.
Il taylorismo, inoltre, aspirava a presentarsi come una proposta di riforma
complessiva del mondo industriale: si riteneva che l'applicazione della scienza
avrebbe liquidato il conflitto di classe, realizzando l'armonia e il benessere
generali attraverso l'aumento della produttività (e quindi della ricchezza
sociale) e la fissazione di criteri scientifici (quindi indiscutibili) di ripartizione
del reddito legati alla produttività.
Con l'uso sistematico delle macchine e la standardizzazione della produzione,
la fabbrica da unità produttiva semplice venne sempre più a rassomigliare a un
sistema complesso formato da un gran numero di "processi meccanici
interconnessi", ognuno dei quali doveva essere sincronizzato e reso funzionale
agli altri. Naturalmente esso non poteva essere conosciuto, controllato e diretto
da singoli uomini. Queste funzioni dovevano essere svolte da un'organizzazione impersonale formata da un gran numero di tecnici, rigorosamente selezionati
e con competenze limitate e precise, e da una massa crescente di impiegati, con
compiti non produttivi, ma strettamente organizzativi e burocratici. Spersonalizzazione e burocratizzazione, accompagnati da un’esasperata separazione
tra lavoro intellettuale (pianificazione, amministrazione, progettazione) e
manuale divennero in tal modo caratteristiche specifiche della produzione di
massa.
Il _________________________________
- L’organizzazione ___________________
del lavoro
1 - ________________________________
2 - ________________________________
3 - ________________________________
- Teoria ____________________________
applicazione __________ al ___________
= + __________________________ 
+ __________________________
Applicazione __________ alla __________
del __________________:
_________________  _______________
=
minor ______________________ sociale
Conseguenze introduzione _____________________________________________
1 - ______________________________________________________________________
2 - ______________________________________________________________________
3 - _______________________________________________________________________
4 - _______________________________________________________________________
5 - _______________________________________________________________________
6 - _______________________________________________________________________
2. 6 - _____________________________
L'insieme di queste innovazioni, tecniche e organizzative, generò non soltanto
un balzo in avanti clamoroso della produttività del lavoro e del volume
complessivo di prodotti industriali, ma anche la definizione di una nuova
gerarchia internazionale tra i paesi industrializzati.
Da un lato, emersero prepotentemente sulla scena due nuove potenze, la
Germania e gli Stati Uniti; questi ultimi acquisirono già intorno al 1914 il
primato mondiale della produzione industriale. Il vantaggio conquistato
dall'industria americana e tedesca durante la "seconda rivoluzione
industriale" sarebbe perdurato (insieme a quello di un paese sopraggiunto
ancora più tardi tra le potenze industriali, il Giappone) per tutto il
Novecento.
POTENZE INDUSTRIALI
I nuovi leader: ______________________
13
Tra i fattori che permisero un tale primato è in primo luogo, come abbiamo
già osservato, proprio il relativo ritardo con cui questi stati si erano avviati
all'industrializzazione: meno vincolati alla tradizione, più disposti a
innovazioni tecnologiche e gestionali, gli imprenditori americani e tedeschi
poterono dedicare le proprie energie a settori e processi produttivi nuovi e
attirare anzi finanziamenti dall'estero per le proprie attività.
Di fronte all'aggressività industriale della Germania e degli Stati Uniti, le
tradizionali potenze europee, Francia e Gran Bretagna, apparivano destinate
a un relativo declino. Benché netto, il mutamento nei rapporti di forza
economici internazionali verificatosi tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del
nuovo secolo non fu tuttavia evidente alla coscienza dei contemporanei:
ancora per molto tempo la Gran Bretagna fu percepita generalmente come la
prima potenza mondiale e la Francia come potenza in posizione almeno
paritaria rispetto agli Usa e alla rivale Germania.
Lo svantaggio produttivo della Francia e della Gran Bretagna trovava un
contrappeso, infatti, nella più grande estensione e ricchezza dei loro imperi
coloniali, nella loro maggiore presenza complessiva sui mercati
extraeuropei e soprattutto nella loro potenza finanziaria. Gli investimenti britannici negli altri paesi europei, che all'inizio della Grande depressione
erano di oltre 61 milioni di sterline annui, attorno al 1910 risultavano più
che triplicati.
Complessivamente si produsse, all'inizio del nuovo secolo, una "divisione del
lavoro" tra potenze industriali che esportavano capitali, la Gran Bretagna e la
Francia, e altre che ne importavano, gli Stati Uniti, mentre la Germania era
un paese sostanzialmente autosufficiente.
Questa potenza finanziaria costituiva sì un fattore di riequilibrio rispetto ai
divari che si stavano producendo in campo industriale, ma il flusso di
capitali all'estero contribuì alla lunga anch’essa a indebolire ulteriormente
l'industria francese e inglese, perché si preferì finanziare l'innovazione
altrove piuttosto che in patria.
Se la gerarchia dei paesi industrializzati risultò cambiata dalla crisi di fine
Ottocento e dalle modificazione da essa causate, la ripresa che segnò l’inizio
del Novecento consentì il definitivo decollo dell’industrializzazione in nuove
aree come alcune regioni della Russia e dell’Italia, dove essa si concentrò
soprattutto nel cosiddetto triangolo industriale costituito dall’area compresa
tra Torino, Milano e Genova.
Dagli ultimi anni dell'800 allo scoppio della prima guerra mondiale (1914)
l'economia dei paesi industrializzati conobbe una fase di espansione intensa e
prolungata, interrotta solo da una breve crisi nel 1907-8. In questo periodo
l'indice della produzione industriale e quello del commercio mondiale
risultarono più o meno raddoppiati. I prezzi, che erano stati sempre calanti a
partire dal 1873, crebbero costantemente, anche se lentamente, dopo il 1896.
Ma crebbe anche, e in misura più consistente, il livello medio dei salari e il
reddito pro-capite dei paesi industrializzati aumentò nonostante il
contemporaneo, cospicuo aumento della popolazione.
La crescita dei redditi determinò a sua volta l'ampliamento del mercato. Le
industrie produttrici di beni di consumo e di servizi si trovarono per la prima
volta a dover soddisfare una domanda che sempre più assumeva dimensioni di
massa. Beni la cui produzione era stata fino allora assicurata solo dal piccolo
artigianato o dall'industria domestica - abiti e calzature, utensili e mobili cominciarono a essere prodotti in serie e venduti attraverso una rete
commerciale sempre più estesa e ramificata: nelle città, ma anche nei piccoli
centri, si moltiplicarono i negozi; i grandi magazzini crebbero in numero e in
dimensioni; si aprirono nuovi canali di vendita a domicilio e per
avvantaggiati dal ____________________
Le vecchie potenze: __________________
potenze ________________________ e
_____________________________
la mancata __________________________
___________________________________
I nuovi paesi industrializzati:
_______________(triangolo industriale)
__________________
2. 7 - ___________________________ E
LA NUOVA ______________________
_______________________
1896 - _____________: la nuova fase di
___________________
La produzione di nuovi ________________
e il nuovo __________________________
14
corrispondenza, con forme di pagamento rateale che rendevano gli acquisti più
accessibili ai ceti meno abbienti; i muri dei palazzi e le pagine dei giornali si
riempirono di annunci e cartelloni pubblicitari.
Inserti pubblicitari apparsi sul n. 34 de
“Il Saviglianese” del 1908
L’innovazione tecnologica e le trasformazioni organizzative dei processi
produttivi (catena di montaggio), che costituiscono il fulcro della seconda
rivoluzione industriale, generarono quella grande trasformazione sociale,
caratteristica del Novecento, che è costituita dal mercato di massa.
Il bene simbolo di questo mercato era già all’inizio del Novecento costituto
dall’automobile che, come del resto lo stesso mercato di massa, si impose
negli Stati Uniti fin dai primi anni del secolo con il lancio del primo modello
di utilitaria3 da parte della Ford che fu anche, nel 1913, la prima a introdurre
nelle sue officine la catena di montaggio. L’industria di Detroit, proprio
perchè fu la prima a produrre automobili in grande serie, legò il suo nome alla
una nuova filosofia imprenditoriale – identificata come il fordismo4 - basata sui
consumi di massa, sui prezzi competitivi e sugli alti salari.
Fino al primo dopoguerra gli Stati Uniti restarono l'unico paese dove la
massificazione della società si era manifestata a pieno, mentre l'Europa si trovava in
una fase intermedia nella quale l'economia di massa non aveva ancora comportato
una significativa crescita dei consumi e soprattutto di quelli automobilistici, anche
se non bisogna dimenticare che la Fiat lanciò la sua "utilitaria", la Zero, nel 1912.
Questo scarto era dovuto principalmente al differente modello di sviluppo che in
Europa era fondato più sul nesso tra la grande impresa e l'intervento dello stato
Il bene simbolo:___________________
Modelli di sviluppo:
americano:
incremento _________________________
europeo:
incremento _________________________
3
Modello di vettura caratterizzato da un basso costo d'acquisto e dalla semplicità e affidabilità della
costruzione che la distingue nettamente dalle automobili concepite come bene di lusso. Ai modelli di
utilitaria si è legata, nel corso del XX secolo, la motorizzazione di massa. Come equivalenti del Modello T
americano si possono ricordare vetture europee prodotte nel secondo dopoguerra in un elevatissimo
numero di esemplari, come la Volkswagen in Germania e le Fiat Seicento e Cinquecento in Italia.
4
I termini fordismo e taylorismo fanno entrambi riferimento all’organizzazione scientifica del lavoro di
cui abbiamo parlato in precedenza.
15
che su quello tra produzione e mercato. Un gran numero di grandi imprese
europee erano infatti legate più alla spesa statale, fatta di navi, armamenti,
ferrovie, che ai consumi dei cittadini. Ciò non toglie che anche in Europa alla fine
dell'Ottocento la piccola borghesia, da un lato, e gli strati più agiati della classe
operaia soprattutto urbana, dall'altro, riuscirono ad accedere all'universo dei beni
prodotti in serie dall'industria moderna, rompendo una tradizione che li aveva legati
per secoli a livelli di consumo bassissimi, in grado di garantire la semplice
riproduzione "fisica" delle persone.
Grazie a una nuova stagione di scoperte scientifiche nel campo della medicina e
dell'igiene, della conservazione dei cibi e della coltivazione delle derrate agricole
non solo alcune grandi malattie come il colera, la malaria o la tubercolosi poterono
essere curate se non interamente debellate, ma gli standard alimentari della popolazione del mondo occidentale migliorarono notevolmente. La vita media
cominciò ad allungarsi e la mortalità, soprattutto quella infantile, a scendere considerevolmente, con il risultato che fra il 1871 e il 1914 la popolazione europea aumentò
da 300 a 450 milioni. La crescita della popolazione costituiva il segnale di un
progressivo miglioramento delle condizioni di vita, in larga misura dipendente
dall'industrializzazione, che era in grado da un lato di garantire a costi sempre più
accessibili cure e medicine, prodotti alimentari e acqua potabile, dall'altro di
permettere un aumento del tenore di vita delle classi lavoratrici5.
I consumi di massa si inseriscono in questo processo di relativa diffusione del
benessere che consentiva a quote crescenti della popolazione di disporre di
risorse maggiori di quelle strettamente necessarie alla sopravvivenza che
potevano essere orientate all'acquisto di una bicicletta, di un abito o più
semplicemente di un biglietto per il cinematografo o per una partita di calcio.
Questa nuova dinamica sociale fu resa possibile dall'azione convergente di due
fenomeni: la riduzione dei prezzi dei beni di consumo, consentita a sua volta dalle
L’allargamento del mercato a ___________
___________________________________
___________________________________
Gli effetti di + ____________________:
+ qualità della _________________
+ _______________ della vita  aumento
_________________________
(vedi nota n. 5)
Innovazione _____________________________________________________________
- ________________________
ALLARGAMENTO MERCATO
+ __________________
+ ________________________ (terziario)
____________________________________________________________________________________
innovazione tecnologiche e organizzative e che rese possibile anche alle classi
intermedie l'accesso a consumi prima riservati ai ceti più abbienti (proprietari
fondiari, imprenditori e commercianti, professionisti), e l'elevazione dei redditi,
5
Questo vistoso aumento della popolazione - fondato su incrementi annui non particolarmente elevati,
ma costanti e protratti nel tempo - fu tanto più notevole in quanto era dovuto essenzialmente alla
caduta della mortalità ed era accompagnato da una progressiva riduzione della natalità. . La vita media
dell'uomo europeo, che era di 30-35 anni prima della rivoluzione industriale e di circa 40 verso la metà
dell'800, poté quindi salire a 50 anni alla fine del secolo. La tendenza al calo delle nascite, per effetto del
controllo della fecondità e della diffusione di metodi contraccettivi, si era manifestata precocemente in
Francia alla fine del XVIII secolo si diffuse in seguito in tutto l'Occidente. Questo comportamento
demografico, proprio dei paesi economicamente più avanzati, esprimeva un nuovo atteggiamento nei
confronti della vita dei figli: un atteggiamento svincolato da presunte «leggi naturali», meno soggetto al
tradizionale controllo delle norme religiose, reso possibile dal fatto che il lavoro dei figli non era più
necessario per integrare il reddito famigliare . Agli inizi dell'età industriale i principali paesi europei
avevano un tasso di natalità medio che si aggirava intorno al 35 per mille- ossia 35 nati per anno su
mille abitanti. Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, in Inghilterra, in Germania e negli Stati Uniti, il
tasso scese sotto il 30 per mille. In Francia la natalità era inferiore al 30 per mille già nel decennio 183039. In Italia e in altri paesi mediterranei, ancora alla fine dell'800, il tasso si manteneva invece ben al di
sopra del 35 per mille: sarebbe sceso sotto il 30 solo negli anni '20 del '900.
16
determinata dall'aumento degli stipendi e dei salari combinato con l'aumento delle
occasioni di lavoro. Infatti, più le società occidentali si industrializzavano, più
aumentavano i posti di lavoro, non solo nell'industria, ma soprattutto nel terziario.
La diffusione dei consumi non era solo un fenomeno economico e commerciale.
Sottintendeva una mutazione profonda delle aspettative e degli stili di vita delle
persone, combinata con una complessa riorganizzazione del tempo quotidiano. Man
mano che il "progresso" liberava gli uomini da una vita di stenti e di fatica, quale era
stata la condizione umana per la maggioranza della popolazione europea per secoli,
la percezione collettiva del futuro si modificò radicalmente rendendo il “benessere”
un'aspirazione plausibile. Certo ci volle quasi tutta la prima metà del Novecento
perché questa prospettiva diventasse effettivamente alla portata di tutta, o quasi
tutta, la minoranza della popolazione terrestre che viveva nell'Occidente; ma già
agli inizi del nuovo secolo la modernità appariva agli occhi di masse sempre più
larghe col volto di una prosperità accessibile, garantita dalla scienza e dall'industria.
Una prosperità che comportava il superamento di una morale pubblica fondata sulla
rinuncia e sul risparmio, sull'accettazione delle ristrettezze e sulla procrastinazione
della felicità nell'aldilà, sostituita da un'altra che poneva il miglioramento delle
condizioni di vita come scopo principale dell'esistenza, fino al punto da ritenerlo un
“diritto”.
In questo quadro lo svago divenne una componente fondamentale del nuovo
sistema di consumi. Se nel passato nei villaggi la popolazione rurale si divertiva
durante il Carnevale o nel corso delle feste religiose, nelle città di fine Ottocento le
tradizioni cambiarono. Le feste rituali vennero sostituite dagli spettacoli teatrali e poi
cinematografici, dalle gite in bicicletta o in automobile, dal turismo e soprattutto
dagli sport all'aria aperta, dove la competizione si univa alla cura del fisico e
all'esaltazione patriottica e poi nazionalistica. La Gran Bretagna, primo paese
industriale, fu anche il primo a sperimentare i divertimenti di massa, dal rugby al
calcio: l'istituzione della coppa della Lega di calcio risale al 1871. La nazionale del
Regno Unito fu costituita durante gli anni settanta; il primo match fra nazionali si
tenne nel 1902 fra l'Austria e l'Ungheria; la Fifa (federazione internazionale del
calcio) sorse nel 1904. Alla passione tutta inglese per il calcio, Francia e Italia
opposero quella per il ciclismo. Il Tour de France è del 1903, il Giro d'Italia del 1909.
Anche l'automobile fu al centro di nuove attività sportive motoristiche con le gare di
durata e i “gran premi” nazionali. Ma un'idea precisa della funzione dolo sport
nei paesi moderni è offerta dalla reinvenzione delle Olimpiadi, nel 1896, a opera di
Pierre de Coubertin. Lo spirito dell'iniziativa era chiaro: dirottare il confronto e la
competizione fra i paesi sul terreno simbolico dello sport.
Lo spettacolo divenne show business, un'attività economica a cui bisognava
applicare le regole del commercio moderno: costi accessibili, vendita del
"prodotto" attraverso la pubblicità, superamento della concorrenza con numeri
sempre più mirabolanti. Il business riguardava essenzialmente la capacità di
occupare una dimensione del tutto nuova della vita, vale a dire il "tempo libero".
Nelle società preindustriali non esisteva il tempo libero, perché per la quasi totalità
della popolazione il lavoro occupava l'intero spazio dell'esistenza, salvo il tempo
dedicato al sacro, mentre per la nobiltà, esentata dal lavoro, tutto il tempo era di
fatto libero. La definizione di tempo libero presuppone invece una netta
distinzione sociale tra il tempo dedicato al lavoro e un tempo privato, familiare, che
ognuno decide di dedicare a una molteplicità di attività tra cui anche quella di
manifestare la propria fede religiosa o il proprio credo politico. Il tempo libero trova
la sua origine nella città industriale ed è soprattutto il risultato del lungo conflitto tra
capitale e lavoro per l'accorciamento della giornata lavorativa. In questo quadro si
iscrivono non soltanto la progressiva riduzione delle ore lavorate giornalmente,
fino alla fatidica conquista delle "otto ore" quotidiane, ma anche la diffusione
contrattuale delle ferie estive, cui seguirà dopo il primo dopoguerra e soprattutto
per gli impiegati il sabato festivo. Questo tempo libero definì uno spazio di esistenza
MERCATO DI ___________________ E
OMOGENEIZZAZIONE DEI ________________
I nuovi _____________________________
A – il ______________________________
B – dalla festa ___________________allo
___________________
- lo _____________________
- lo _________________________
- il tempo _______________________
società preindustriale:
tempo ______________ / ______________
società industriale:
tempo ________________ / ____________
17
dedicato prevalentemente allo svago, che modificò profondamente gli stili di vita
della maggior parte dei ceti sociali. Organizzare il tempo libero divenne non solo un
impegno delle famiglie e degli individui, ma soprattutto un nuovo campo di
iniziative imprenditoriali e di investimenti che fecero nascere un'industria dello
spettacolo e dello svago. La massima opportunità delle offerte si tradusse in un
sistema livellatore che standardizzava il consumo di tempo libero come quello di
tutti gli altri beni di consumo. Rapidamente si imposero modelli di consumo del
tempo libero omogenei: gli sport di massa come il calcio e il ciclismo, o il rugby o il
baseball, il cinematografo e il teatro popolare, il turismo.
L’industria dello svago ebbe un solo vero concorrente: la politica. La comparsa
delle masse sulla scena economica come consumatori si combinò con la loro
irruzione sulla scena politica, facendole diventare referenti principali e base
elettorale dei nascenti partiti politici. Erano nuovi soggetti che cominciavano a
occupare uno spazio che era stato esclusivo appannaggio delle classi proprietarie,
mettendo in campo nuove forme di partecipazione collettiva: oltre alle tradizionali
forme di protesta sindacale, il comizio, la manifestazione di piazza, la riunione di
partito, la campagna elettorale. Si trattava di iniziative che si svolgevano in larga
misura nel tempo libero, senza il quale sarebbe stato impossibile concepire e attuare
la mobilitazione di massa come elemento costitutivo della politica moderna.
Gli esordi della società di massa, se da un lato tendevano a creare
uniformità nei comportamenti e nei modelli culturali di una parte crescente della popolazione, dall'altro rendevano più mobile e più complessa
la stratificazione sociale. Nella classe operaia si veniva accentuando la
distinzione fra la manodopera generica e i lavoratori qualificati, fra il grosso del
proletariato e le cosiddette «aristocrazie operaie», che partecipavano in
misura maggiore ai vantaggi dello sviluppo capitalistico.
Contemporaneamente, l'espansione del settore terziario e la crescita degli
apparati burocratici facevano aumentare la consistenza di un ceto medio
urbano che andava sempre più distinguendosi dagli strati superiori della
borghesia. A ingrossare le file di questo ceto medio contribuivano sia il settore
del lavoro autonomo sia quello del lavoro dipendente. La crescita dei
lavoratori autonomi fu dovuta in parte alla moltiplicazione degli esercizi
commerciali, in parte all'emergere di nuove attività - il fotografo, il,
meccanico, il dattilografo - che compensava ampiamente il declino delle
botteghe artigiane e la progressiva scomparsa di alcuni vecchi mestieri lo scrivano, il maniscalco, l'acquaiolo.
La categoria dei dipendenti pubblici si allargava di pari passo con
l'aumento delle competenze dello Stato e delle amministrazioni locali in
materia di sanità, di istruzione, di trasporti e di altri servizi. Ancora più
rapidamente cresceva la massa degli addetti al settore privato - tecnici,
impiegati, commessi - che svolgevano mansioni non manuali quelli che più
tardi sarebbero stati chiamati «colletti bianchi» - per sottolineare il contrasto
con i “colletti blu” delle tute degli operai. In Germania, per esempio, in poco
più di quaranta anni (tra 1883 e 1921 il numero dei colletti bianchi aumentò
di circa cinque volte, mentre quello degli operai si limitò a raddoppiare). Già
alla vigili della prima guerra mondiale, nei paesi più industrializzati e più
toccati dai processi di modernizzazione produttiva, colletti bianchi e
impiegati statali costituivano una massa abbastanza omogenea e numerosa
anche se non paragonabile per consistenza (come sarebbe avvenuto in
tempi più recenti) a quella dei lavoratori manuali.
Nella scala dei redditi i ceti medi impiegatizi occupavano una posizione
molto distante da quella dell'alta borghesia e tendenzialmente più vicina a
quella degli strati «privilegiati» della classe operaia. Dal punto di vista della
cultura, della mentalità, dei comportamenti sociali, la distinzione fra piccola
borghesia e proletariato era però molto netta. I ceti medi rifiutavano ogni
la lotta per __________________________
___________________________________
L’impiego del ___________________:
a - ________________________________
b - ________________________________
___________________________________
A – classe _______________________
operai _______________________ e
__________________
B – classe _____________________
composizione:
a - ________________________________
b – ceti ___________________________
- dipendenti ________________________
- dipendenti _________________________
I ceti ____________________________:
- _______________________________
18
identificazione con le masse lavoratrici, erano per lo più refrattari a
inquadrarsi nelle organizzazioni sindacali e puntavano sul merito
- __________________________________
individuale per progredire nella scala sociale. Agli ideali tipici della
tradizione operaia - la solidarietà, lo spirito di classe, l'internazionalismo contrapponevano i valori storici della borghesia: l'individualismo e la
rispettabilità, la proprietà privata e il risparmio, il senso della gerarchia e il
patriottismo. Anzi, si atteggiavano a difensori di questi valori in polemica con
l'alta borghesia industriale e bancaria, che tendeva a diventare cosmopolita e
ad assumere modelli di comportamento tipici delle classi aristocratiche (si
pensi alla “belle epoque”).
Nonostante fosse un ceto «di confine», privo di una originale identità culturale e
di una propria autonoma rappresentanza politica, la piccola borghesia - __________________________________
impiegatizia era tuttavia destinata, man mano che cresceva in consistenza
numerica, a svolgere un ruolo di primo piano: sia nel campo economico, in
quanto principale destinataria. di una serie di beni di consumo prodotti
dall'industria, sia in quello politico, come elettorato di massa, capace, a
seconda delle sue oscillazioni, di far pendere la bilancia dalla parte delle forze
conservatrici o di quelle progressiste.
19
2 - Tra XIX e XX secolo: dallo stato liberale allo stato liberal-democratico
1 La società di massa e le modalità della vita politica
2 Le ideologie politiche
3 Lo scontro tra conservatori e progressisti: l’affermazione dello stato liberaldemocratico
4 Il caso italiano
1 La società di massa e le modalità della vita politica
1.1 Il nuovo ruolo della comunità nazionale
1.2 I partiti e la partecipazione alla vita politica
Il modo di vivere la politica del Novecento è stato profondamente segnato dal
passaggio da una società elitaria, tipica dell’Ottocento, alla società di massa che
ha caratterizzato invece il Novecento.
Tale passaggio ha, tra il resto, comportato l’assunzione di un ruolo di primaria
importanza della comunità nazionale nella vita degli individui 6. In una società
non di massa l’orizzonte in cui si colloca l’individuo è determinato dalla
comunità locale di appartenenza che media le sue relazioni sociali e regola i suoi
comportamenti. In una società di massa l’orizzonte in cui si colloca l’individuo è
sempre più mediato dalla comunità nazionale all’interno della quale agiscono lo
stato, i grandi gruppi economici, le organizzazioni di massa quali i partiti, i
sindacati e le associazioni. In questa maggior presenza della vita nazionale nella
vita dell’individuo hanno un grosso ruolo i mezzi di comunicazione di massa che
consentono di raggiungere le masse con messaggi emessi dal centro.
Nella vita di un contadino o di un operaio ottocentesco la presenza dello stato si
concretizzava esclusivamente nel momento in cui occorreva pagare le tasse o in
relazione a motivi di ordine pubblico, quando veniva arrestato per ubriachezza,
per liti o piccoli furti; dallo stato essi non aveva alcun tipo di servizio né di
soccorso in caso di necessità, essendo questi ultimi assicurati dalle vecchie
strutture socio-sanitarie, spesso ancora legate alla chiesa e gestite dalle comunità
locale o dalle nuove società di mutuo soccorso, sorte proprio a questo scopo
laddove si erano manifestate le prime forme di sviluppo industriale con il
conseguente incremento della manodopera industriale.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento la presenza dello stato si è andata via via
allargandosi, grazie al fatto che lo stato ha assunto un nuovo ruolo nella
formazione degli individui (istruzione e addestramento militare)
o
nell’assistenza sociale, fornendo una serie di servizi che prima erano a carico
della comunità locale.
Le prime forme di assistenza (assicurazione obbligatorie per la vecchiaia, per gli
infortuni e per la malattia), garantite all’inizio del Novecento a una fascia
privilegiata di lavoratori, consentivano allo stato di assumere un importante
ruolo di regolazione delle condizioni di vita delle classi subalterne e,
contemporaneamente, di integrare una parte della classe lavoratrice
indebolendone la forza eversiva.
La formazione di un sistema di istruzione obbligatorio gratuito per tutti, insieme
con il servizio militare obbligatorio, ha consentito allo stato di svolgere un ruolo
importante nel processo di formazione dei cittadini, condizionando i modi di
pensare e i comportamenti utilizzando a tal fine ideologie patriottiche, nei regimi
democratici, e nazionaliste, nei regimi totalitari.
LA SOCIETÀ DI MASSA E LE
MODALITÀ DELLA VITA POLITICA
Dalla società di ____________________
alla di ____________________________
Le nuove modalità della vita politica
1- IL NUOVO RUOLO _________________
__________________________________
dalla comunità ______________________
alla comunità _______________________
ruolo dei ___________________________
stato e ___________________________
nel ______________________________
Novecento: il ______________________
dello ________________
A – forme di ________________________
finalità:
a - ________________________________
___________________________________
b -_________________________________
___________________________________
B - _______________________________
Finalità:
___________________________________
insieme con _________________________
6
Sulla società di massa vedi anche la dispensa “La seconda rivoluzione industriale e la società di massa”.
Per la definizione di società di massa pag. 1e 2.
20
La maggior presenza dello stato nella vita dell’individuo si attua anche attraverso
una maggior ingerenza dello stato nella società. Infatti, mentre nell’Ottocento lo
stato si limitava a garantire la libertà di mercato, nel corso del secolo scorso esso
ha assunto sempre di più il ruolo di regolatore delle dinamiche economiche. Allo
stesso modo per quel che riguarda i conflitti sociali, mentre nell’Ottocento lo
stato interveniva per reprimere le manifestazioni dei lavoratori in quanto
turbavano l’ordine pubblico, nel Novecento in relazione alla normalizzazione del
conflitto sociale lo stato tende ad assumere il ruolo di mediatore dei conflitti
sociali.
C – maggior ingerenza ________________
___________________________________
a – regolazione dinamiche _____________
b – regolazione dinamiche _____________
2 – LA PARTECIPAZIONE ________________
ALLA VITA __________________________
Il fenomeno che più di ogni altro incise sulla forma stessa della politica e
sull'assetto delle istituzioni si definisce, anche in questo campo,
"massificazione": nel giro di pochi decenni la partecipazione di massa, cioè di
gruppi sempre più estesi di popolazione, alla vita politica divenne un fatto permanente in Europa. E vero che, fin dalla rivoluzione francese le masse
avevano fatto, in qualche modo, irruzione sulla scena della storia, ma il loro
protagonismo era rimasto un fatto episodico, confinato alle grandi occasioni,
alle "giornate rivoluzionarie" Dagli ultimi decenni dell'Ottocento, invece, con
l'estensione del suffragio, con la nascita dei grandi partiti di massa e con la
diffusione di ideologie di mobilitazione forti, il fenomeno divenne quotidiano e
normale.
Nel periodo che va dall'inizio della Grande depressione ai primi anni venti del
Novecento, pressoché tutti i paesi europei giunsero alla "democrazia di
massa" con la diffusione del suffragio universale maschile a scrutinio segreto:
molti milioni di persone fino ad allora escluse dalla cittadinanza politica
acquistarono il diritto di partecipare alla formazione e alla selezione della
classe politica. Già alla vigilia del conflitto mondiale, almeno cinque paesi
europei erano giunti al suffragio universale maschile a voto segreto e uguale
(Francia, Danimarca, Norvegia, Svezia e Italia). Negli anni immediatamente
successivi alla guerra, e comunque prima del 1920, altri tre se ne aggiunsero
(Belgio, Germania, Austria). La questione divenne allora non più se far
intervenire nel dibattito politico la totalità della popolazione (questione tipica
del modello liberale ottocentesco), ma "come" farla partecipare (problema
peculiare di una "democrazia di massa") e in quali forme "organizzare"
l'espressione politica delle masse. Non si trattava più di optare pro o contro la
democrazia, ma di stabilire per quale tipo di democrazia optare: quale forma
di "rappresentanza" costruire.
Quel processo di brusco ampliamento della cittadinanza politica finiva tuttavia
per produrre profonde delusioni. Il modello di democrazia rappresentativa, che
si affermava con il diritto di voto a tutti, solo in minima parte rispondeva, infatti, al progetto di concedere a tutti il diritto di "decidere" delle cose pubbliche e di
partecipare alla vita delle nazioni. In primo luogo, esso faceva emergere
piuttosto delle nuove élite (le "classi politiche" che nei diversi paesi trovavano
nel voto di massa una legittimazione), spesso altrettanto esclusive e
autoritarie delle precedenti aristocrazie. Infatti, la partecipazione di masse
crescenti alla vita politica non poteva più avvenire secondo processi spontanei
di partecipazione e neppure nell'ambito delle semplici e limitate norme
organizzative che la politica aveva assunto nell'Ottocento (i club, le associazioni
a base notabilare ecc.), ma presupponeva la costruzione di apparati capaci di
inquadrare le masse, di capillari strutture organizzative capaci di convogliare e
disciplinare l'espressione popolare: i partiti politici, su cui si scaricava in
buona parte questa funzione di organizzazione della partecipazione massificata
alla politica, si trasformarono ben presto in grandi macchine burocratiche
destinate a favorire un vertice di funzionari e gruppi di potere permanenti,
che finivano per concentrare in sé ampi poteri di decisione, esautorando
dalla partecipazione __________________
alla _______________________________
LE MODALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE
A - _______________________________
La democrazia _____________________
= il diritto di ________________________
___________________________________
da _________________________________
a __________________________________
B - ______________________ e la
partecipazione alla vita politica
la nuova ___________________________
la _______________________________
della vita politica
21
quelle stesse masse per dar voce alle quali l'organizzazione era nata.
La trasformazione del modello democratico ottocentesco trovò espressione
teorica nell'opera di Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels,
fondatori della cosiddetta "teoria dell'élite"; che affermava l'impossibilità della
democrazia integrale e l'inevitabile tendenza dei moderni sistemi politici verso
1’oligarchia; cioè verso la formazione di una minoranza di governo che
avrebbe finito per dominare sulla maggioranza.
Nella vita politica l'ampliamento della base elettorale e i limiti della
democrazia indiretta trovarono espressione, sul piano ideologico, nella
crescente antitesi tra parlamentarismo e antiparlamentarismo: nella
contrapposizione cioè, nell'ambito degli schieramenti politici, a destra come a
sinistra, di correnti che facevano dell'azione parlamentare il proprio scopo
principale e di correnti che, al contrario, intendevano contrapporre alla "falsa
democrazia" rappresentativa parlamentare forme più autentiche e radicali di
partecipazione, a base nazionalista, corporativa o classista.
I tradizionali partiti europei di tipo liberale, i cosiddetti "partiti di notabili"'
espressione di ristretti gruppi di interesse, erano per la maggior parte nati in
epoca di suffragio ristretto, rigorosamente basato sulla proprietà; essi erano poco
inclini alle grandi contrapposizioni ideologiche e, privi di forme permanenti di
organizzazione, in quanto sorti solitamente intorno a singoli personaggi di
prestigio, e tendevano a fare del parlamento il luogo principale, se non l'unico
della propria attività.
La trasformazione del modello democratico impose con urgenza a questi
partiti tradizionali, pena l'estinzione, la necessità di una organizzazione interna.
Primo obiettivo fu la creazione di strutture solide, durature: era, infatti,
indispensabile radicare l'organizzazione politica nelle realtà urbane, laddove
non ci si poteva affidare a quella società tradizionale caratteristica delle aree
rurali che era stata, nei decenni precedenti, la forza principale del ceto dei
notabili. In secondo luogo, s'imponeva un altro grande mutamento, riguardante i
rapporti con le classi sociali. Nati come partiti della proprietà, i movimenti
politici tradizionali avevano bisogno per sopravvivere di estendere la loro
influenza anche ai ceti non possidenti, che accedevano in quegli anni al diritto di
voto, e di strappare quindi l'egemonia politica al movimento socialista attraverso
una sorta di coalizione di interessi diversi. Solo pochi partiti tradizionali, in
Europa riuscirono a compiere questa trasformazione e a mantenere così
l'egemonia. Gli altri entrarono in crisi, creando profondi vuoti di potere e
situazioni più o meno drammatiche di instabilità.
All'opposto del partito di notabili era il modello di partito americano. Carattere
peculiare del sistema politico statunitense era il fatto che nessuno dei due grandi
partiti dominanti rappresentava un unico gruppo o strato sociale o un unico
interesse economico, ma costituiva il punto d'incontro e di mediazione tra
settori sociali differenti: così il Partito repubblicano era, insieme, il partito dei
settori capitalistici avanzati e degli agricoltori del Midwest e dell'ovest e godette
a lungo anche dell'appoggio di un settore considerevole della classe operaia.
D'altra parte il Partito democratico, "partito degli esclusi" negli anni
successivi alla guerra civile, raccoglieva sia i voti dei tradizionali ceti dominanti
del sud, sia quelli della massa dei lavoratori immigrati, e aveva l'appoggio di un
settore capitalistico che era rimasto legato al libero scambismo. Questo
caratteristico rapporto tra organizzazione politica e società era favorito dal
sistema bipartitico, che rendeva impossibile una rappresentanza politica
separata per tutti gli interessi e i settori sociali significativi, e dal mancato
sviluppo politico del movimento operaio. Si trattava di un modello di partito
nato direttamente sul terreno del suffragio universale, capace di dare una valida risposta organizzativa ai problemi posti dalla democrazia di massa, ma
nello stesso tempo troppo legato al sistema costituzionale americano,
rigorosamente bipartitico, per poter costituire un esempio generalizzabile
la teoria _________________________
Parlamentarismo e ___________________
__________________________________
I MODELLI DI ______________________
Le nuove caratteristiche _______________
a - ________________________________
___________________________________
b - ________________________________
___________________________________
22
all'Europa. Forse il solo caso europeo che si avvicina, sia pur parzialmente, al
modello americano è quello della Gran Bretagna, dove il bipartitismo ritardò a
lungo la nascita di nuovi partiti e favorì l'assorbimento dei movimenti sociali
e politici emergenti da parte delle organizzazioni tradizionali. Tanto i liberali
whig (che si proponevano come partito aperto alle istanze popolari e
riassorbivano nelle proprie idee le stesse tendenze che si erano raccolte nel
cartismo) quanto il partito tory (che con il suo leader Benjamin Disraeli seppe
crearsi un seguito non indifferente tra le masse popolari urbane), furono
capaci, infatti, di uscire dalla dimensione "notabilare" e di competere
efficacemente per il consenso di massa.
Le vere alternative, tanto al partito di notabili quanto al partito di massa
interclassista americano, furono i modelli di partito nati sul continente
europeo dall'esperienza del movimento operaio. Erano stati, in ultima istanza,
la nascita e i successi di quest'ultimo la causa principale dell'estensione della
partecipazione politica e della sua massificazione. E inevitabile che fosse
l'esperienza del movimento operaio quella da cui, soprattutto, emersero
"nuovi" partiti. In particolare, a un primo modello di partito classista, a forte
struttura burocratica, incarnato dalla socialdemocrazia tedesca, andò
contrapponendosi un altro grande modello generato dal movimento socialista
e rivoluzionario, il "partito di quadri" di tipo leninista (da Lenin, promotore del
nucleo originario del Partito socialdemocratico russo): una macchina
centralizzata diretta non a organizzare la massa, ma a formare i pochi ed
efficientissimi "rivoluzionari di professione"; in possesso di una straordinaria
capacità organizzativa.
Sul fronte opposto, per altro verso, si sarebbero delineati due altri modelli
antagonisti: i partiti di massa di ispirazione religiosa, che fondarono la propria
capacità di attrazione interclassista sull'elemento identificante della fede e
sulla struttura capillare del clero, e i movimenti reazionari di massa a base
nazionalista e irrazionalista, destinati ad alimentare il fenomeno dei fascismi.
I MODELLI DI ______________________
1 __________________________________________: __________________________________________________________________
2 __________________________________________: __________________________________________________________________
__________________________________________________________________
3 - ______________________________________:
__________________________________________________________________
4 __________________________________________: __________________________________________________________________
5 __________________________________________: __________________________________________________________________
C- I SINDACATI
Un altro segno delle nuove dimensioni assunte dalla lotta politica e sociale - e
un altro canale efficacissimo di «socializzazione» delle masse -fu costituito
la diffusione
dalla rapida crescita delle organizzazioni sindacali. Sino alla fine dell'800 il
sindacalismo operaio era una realtà solida e consistente solo in Gran Bretagna,
dove le Trade Unions, intorno al 1890, contavano già un milione e mezzo di
iscritti. Negli ultimi anni dell'800, grazie all'impulso decisivo del movimento
socialista, le organizzazioni dei lavoratori crebbero in numero e in
consistenza in tutti i paesi europei, ma anche negli Stati Uniti, in Australia e il diritto _______________________
in America Latina: quasi ovunque riuscirono a far valere il proprio diritto
all'esistenza contro le resistenze degli imprenditori e delle classi dirigenti
conservatrici e contro i pregiudizi della dottrina liberista, che vedeva nei
sindacati niente altro che un ostacolo al libero gioco della contrattazione.
23
Nati e sviluppatisi in forme diverse a seconda dei paesi, i sindacati si federarono,
sull'esempio delle Trade Unions inglesi, in grandi organismi nazionali. I più
importanti furono quelli di ispirazione socialista, come la Commissione
centrale dei sindacati liberi tedeschi, fondata nel 1890, la francese
Confederation generale du travail (Cgt), nata nel 1895, o 1a Confederazione
generale del lavoro (Cgl), costituita in Italia nel 1906 Ma un notevole sviluppo
ebbero anche le associazioni sindacali cattoliche e, in Germania e in Francia,
non mancarono nemmeno le organizzazioni a guida liberale o conservatrice.
Alla vigilia della prima guerra mondiale, i lavoratori iscritti ai sindacati erano 4
milioni in Gran Bretagna, quasi 3 milioni in Germania, oltre 2 milioni in
Francia, poco più di 500.000 in Italia: si trattava del più vasto fenomeno di
associazionismo popolare cui mai si fosse assistito nella storia d'Europa.
2. Le ideologie politiche
2.1 Socialdemocrazia, laburismo e sindacalismo
2.2 Il nazionalismo
2.3 I cattolici
3 Lo scontro tra conservatori e progressisti: l’affermazione dello stato liberaldemocratico
4 Il caso italiano
Le novità ideologiche più importanti nei decenni a cavallo tra i due secoli
riguardarono non tanto l’area liberaldemocratica quanto invece l’area socialista,
la destra reazionaria e il mondo cattolico.
Dopo la fine della I Internazionale l’orientamento socialista, nelle sue diverse
correnti, rimase sicuramente prioritario all’interno dei partiti che si
ripromettevano di organizzare il movimento operaio, anche se al suo interno
ebbero un peso importanti altri orientamenti quali quelli espressi dal
sindacalismo inglese, che all’inizio del Novecento diede vita al partito laburista,
e dal sindacalismo rivoluzionario.
Al di là delle diversità organizzative, delle divergenze ideologiche e delle
inevitabili peculiarità nazionali, i partiti operai europei, compresi i laburisti
inglesi, si muovevano, all'inizio del '900, su una piattaforma in larga parte
comune: tutti si proponevano il superamento del sistema capitalistico e la
gestione sociale dell'economia; tutti si ispiravano a ideali internazionalisti e
pacifisti; tutti tendevano a crearsi una base di massa tra i lavoratori e a
partecipare attivamente alla lotta politica nel proprio paese; tutti, infine,
facevano capo a un'organizzazione socialista internazionale, erede di quella
che si era dissolta all'inizio degli anni '70.
La nascita della Seconda Internazionale risale al 1889, quando i rappresentanti
di numerosi partiti europei, per lo più di ispirazione marxista, si riunirono a
Parigi e approvarono alcune importanti deliberazioni, fra cui quella che
fissava come obiettivo primario del movimento operaio la giornata lavorativa di
otto ore e proclamava a tale scopo una giornata mondiale di lotta per il primo
maggio di ogni anno. Nel 1891, inoltre, vennero esclusi dall'organizzazione gli
anarchici e quanti rifiutavano pregiudizialmente la partecipazione all'attività
politico-parlamentare. Diversamente dalla Prima Internazionale, che aveva
avuto l'ambizione di costituire una specie di centro dirigente della classe
lavoratrice di tutto il mondo, la Seconda Internazionale fu più che altro una
federazione di partiti nazionali autonomi e sovrani. Essa svolse tuttavia
un'importante funzione di coordinamento e i suoi congressi costituirono un
fondamentale luogo di incontro e di discussione sui grandi problemi di
interesse comune a tutti i partiti - lo sciopero generale, la lotta contro la guerra,
la questione coloniale -, la sede naturale dei grandi dibattiti ideologici che
La nascita delle ______________________
___________________________________
sindacalismo ________________________
e sindacalismo _______________________
LE IDEOLOGIE POLITICHE
1 SOCIALDEMOCRAZIA, LABURISMO
E SINDACALISMO
Le componenti __ ___________________
___________________________________
Obiettivi _________________________:
a - ________________________________
___________________________________
b - ________________________________
c .- ________________________________
___________________________________
d -_________________________________
La ________________________________
La lotta per ________________________
e il ____________________________
l’espulsione ________________________
non _______________________________
_____________________(I Internazionale)
ma ________________________________
___________________________________
con funzioni di ______________________
___________________________________
il prevalere del marxismo ______________
___________________________________
(Engels e _________________________)
24
animarono il movimento operaio europeo all'inizio del '900. Dibattiti che
confermarono il marxismo, nella versione che era stata elaborata e divulgata da
Friedrich Engels e che aveva trovato i suoi interpreti più autorevoli nei
leader della socialdemocrazia tedesca, in particolare, in Karl Kautsky, di fatto
A
come la dottrina ufficiale della Seconda Internazionale .
Per tutti gli anni ottanta, i socialisti costituirono dappertutto delle piccole
minoranze emarginate e spesso perseguitate, la cui azione era sorretta dalla
prospettiva di un radicale sconvolgimento rivoluzionario. La situazione cambiò
radicalmente con la fine dell’Ottocento, quando in tutti i paesi europei sorsero
partiti nazionali che affiancavano – e gradualmente sostituivano – alla
prospettiva rivoluzionaria un’azione legale all’interno delle istituzioni, che
partecipavano alle elezioni per riuscire a mandare loro rappresentanti in
parlamento. Furono proprio i partiti del movimento operaio a proporre per primi
il modello di partito di massa che sarebbe poi diventata la forma di
organizzazione politica più diffusa.
All’interno dell’area socialista emersero, come abbiamo già visto, due
tipologie di partito: il Partito socialdemocratico tedesco che fu, fino al 1914
il maggior partito operaio del mondo, sia per l’alto numero di iscritti e il
peso politico esercitato in Germania, sia per l'influenza internazionale
progressivamente acquisita. E che costituì a lungo il modello puro di partito
classista di massa; radicalmente diverso era, invece, il ""partito di quadri" di
stampo leninista, legato alle vicende dei movimenti populisti russi degli
anni 1860-70. Esso divenne ben presto l'alternativa più importante
all’interno del movimento operaio internazionale.
L'esperienza socialista tedesca era stata dominata fin dalle origini, intorno al 1860,
dalle figure di Karl Marx e di Ferdinand Lassalle.
Quest'ultimo, un intellettuale socialista convinto del carattere decisamente
secondario della lotta sindacale nel capitalismo, sosteneva la priorità della lotta
per il potere politico. Complementare all'azione politica era per lui, semmai,
un'intensa attività di propaganda, una vera e propria azione educativa nei
confronti delle masse lavoratrici, la cui coscienza doveva essere conquistata al
socialismo secondo modalità quasi religiose. Inoltre Lassalle e i lassalliani vedevano nella borghesia emergente il nemico principale, mentre consideravano le
antiche classi dominanti, da cui Bismarck proveniva e di cui l'aristocrazia feudale
prussiana era la massima espressione, come possibili alleati nella lotta
anticapitalista. A questi principi essi avevano orientato l'organizzazione cui
avevano dato vita, la "Lega generale degli operai tedeschi", che tra il 1864 e il
1875 era cresciuta fino a raggiungere il 3 per cento dei voti nelle elezioni
nazionali.
Karl Marx e Friedrich Engels, invece, decisamente ostili a molti aspetti del
pensiero di Lassalle (in particolare la disponibilità all'alleanza con i ceti feudali, lo
statalismo di ispirazione hegeliana e l'atteggiamento sprezzante e strumentale
verso la lotta sindacale), avevano influenzato un altro partito, il Partito popolare,
sorto nel 1866, che si proponeva di favorire lo sviluppo e l'azione dei sindacati e
di battersi per la democrazia politica. Anche questo, tra il 1866 e il 1875, era
cresciuto fino a raggiungere all'incirca la stessa quantità di voti del partito
rivale. Nel 1875, con il congresso di Gotha, si giunse alla fusione dei due partiti:
nacque così la moderna socialdemocrazia tedesca (la Spd, Sozialdemocratische
Partei Deutschlands), che conservava parte di entrambe le impostazioni: in essa si
attribuiva all'azione politica un ruolo nettamente prevalente su quella sindacale,
ma si escludeva ogni ipotesi di alleanza con l'aristocrazia prussiana.
Ne emerse un partito profondamente radicato nella società, in particolare nelle
comunità degli operai qualificati, che ne costituivano la spina dorsale attraverso
i sindacati e una miriade di leghe, cooperative, associazioni culturali, circoli di
partito. Esso tendeva a organizzare in forma permanente amplissime masse di
LA SOCIALDEMOCRAZIA
Dalla prospettiva _____________________
all’ ________________________________
___________________________________
I modelli di partito:
a - ________________________________
(__________________________________)
b - ________________________________
(______________________________)
La nascita del _______________________
___________________________________
Le due anime:
a - ______________________________
priorità _____________________________
___________________________________
b - _______________ - ________________
priorità _____________________________
Il Congresso di ___________________:
la fondazione ________________________
LE CARATTERISTICHE __________________
___________________________________
__________________________________
funzioni del partito:
a – politica: _________________________
___________________________________
b - ___________________: formazione e
identità collettiva
25
proletariato e di ceto medio, costituendo per esse non solo il canale di
comunicazione con le istituzioni, ma anche uno strumento di formazione
culturale e di produzione d'identità collettiva.
Proprio per la sua tendenza a organizzare direttamente le masse "fuori dello
stato" e di negoziarne l'ingresso nell'area della cittadinanza, la
socialdemocrazia tedesca venne definita "partito di integrazione di massa";
molti storici d'altronde parlano delle organizzazioni di massa socialdemocratiche come di istituzioni di "contro-società"; sulle quali la Spd fondava la
propria opposizione al potere politico e su cui in seguito, dopo la presa del
potere, contava di basare la nuova società. D'altra parte le particolarità del
sistema elettorale tedesco (estremamente ampio, fino al suffragio universale
maschile a voto segreto, ma irrilevante ai fini della gestione del potere politico,
dati gli scarsissimi poteri attribuiti al parlamento) non facevano che accentuare
l'immagine di "società alternativa" della Spd: un partito di maggioranza
relativa totalmente escluso da ogni influenza sul governo.
Se il radicamento nella società era la prima caratteristica di questo modello di
partito, la seconda era la burocratizzazione. L'immensa struttura del partito e delle
organizzazioni di massa a esso legate, se si basava soprattutto sul volontariato e
sulla massiccia partecipazione popolare, era però inevitabilmente caratterizzata
dalla formazione di un vasto strato di funzionari, politici e sindacali, senza
dubbio di grande competenza, ma attenti soprattutto alle esigenze di buon
funzionamento e continuità delle strutture organizzative piuttosto che alla
mobilitazione popolare.
Inizialmente la posizione di Engels e Kautsky - che non mettevano in
discussione le finalità rivoluzionarie della lotta di classe, ma ponevano
l'accento soprattutto sulle esigenze concrete e sulle battaglie quotidiane del
movimento operaio in attesa che maturasse le condizioni per la rivoluzione
- fu grosso modo fatta propria dalla maggioranza dei socialisti europei. Col
passare del tempo, però, presero corpo due diverse e opposte tendenze: da un
lato quella a prendere atto dei mutamenti intervenuti nella situazione politica e
sociale per valorizzare l'aspetto democratico-riformistico dell'azione socialista;
dall'altro il tentativo di bloccare le tentazioni legalitarie e parlamentaristiche
recuperando l'originaria impostazione rivoluzionario del marxismo.
Fin dall'ultimo decennio del secolo, infatti, venne a formarsi nel partito una
destra (che ebbe come teorico Eduard Bernstein), secondo la quale
occorreva rinunciare all'idea di una trasformazione radicale, di tipo
rivoluzionario, dell'organizzazione sociale e piuttosto intraprendere la via dei
mutamenti graduali e progressivi dei rapporti tra le classi e dell’organizzazione statale, seguendo la teoria di Marx e di Engels in modo meno
"dogmatico"; di qui il termine "revisionista" applicato a Bernstein e ai suoi
sostenitori. A essa si contrappose la corrente "ortodossa"; capeggiata da Karl
Kautsky, che assumeva invece il marxismo come dottrina-chiave del partito e
come strumento che si rivelò spesso straordinariamente efficace: attraverso di esso
la Spd diffuse tra i suoi seguaci e tra i socialisti di tutto il mondo, che la
riconobbero come teoria-guida nella seconda Internazionale, la convinzione
dell'ineluttabilità di un rovesciamento del capitalismo e dell'affermarsi del
socialismo. Il marxismo di Engels e Kautsky fu uno dei maggiori punti di forza
della socialdemocrazia tedesca e incarnò un altro elemento tipico di questo
modello di partito: il suo carattere fortemente ideologizzato7, la sua natura di
a + b  ___________________________
____________(operai qualificati)
La “______________________________”
socialdemocratica:
a - ________________________________
_________________________________
b- _________________________________
___________________________________
volontari e __________________________
funzionari e prevalere _________________
___________________________________
7
Il termine venne introdotto nel Settecento e ripreso da Marx e Engels nell'opera L’ideologia tedesca
alla metà dell'Ottocento in chiave critica, intendendo con tale termine ogni rappresentazione che ricopra la
realtà con immagini false o illusorie. In seguito Marx ampliò il significato di ideologia, intendendo con
tale termine l'insieme dei fenomeni "sovrastrutturali" (tutte le scienze umane, i programmi e le
dichiarazioni dei differenti partiti politici, e, infine, le rappresentazioni, opinioni, relazioni psicologiche
e aspirazioni di differenti classi sociali), contrapponendovi la vera scienza della società: il materialismo
storico. Più recentemente l'ideologia è stata considerata dal punto di vista strumentale come quell'apparato
26
"corpo organizzato" dotato di una teoria identificante capace di offrire ai propri
appartenenti una vera e propria "visione del mondo".
Ciò non tolse che, sul piano sostanziale, la vittoria degli "ortodossi" nella
controversia sul revisionismo sia rimasta sempre parziale: il riconoscimento
generalizzato di Kautsky come massimo teorico del partito e dell'intero
movimento socialista mondiale, assieme alla sconfitta di Bernstein, non impedì
infatti agli esponenti più pragmatici della destra di continuare a dominare la
condotta politica quotidiana della socialdemocrazia.
Negli stessi anni in cui si sviluppava il dibattito sulle tesi di Bernstein, il movimento operaio vide emergere nelle sue file nuove correnti di estrema sinistra che
contestavano la politica «centrista» dei dirigenti socialdemocratici tedeschi ed
europei, accusati di mascherare, dietro un'apparente fedeltà agli ideali
rivoluzionari, una pratica riformista e legalitaria. A questa pratiche riformiste
____________________  ___________
_____________________________
_____________________  ___________
________________________________
LE CARATTERISTICHE DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO TEDESCO
1 - _____________________________________________________________________________________
2 - _____________________________________________________________________________________
3 - _____________________________________________________________________________________
LE CORRENTI IDEOLOGICHE
e legalitarie, fondate sul rifiuto della rivoluzione (Bernstein) o sull’idea che
occorresse attendere che l’esplodere delle contraddizioni del capitalismo ne
creasse le condizioni (ortodossi), la sinistra estrema opponeva una linea
d’azione che rifiutava ogni compromesso con il sistema, perché intendeva
lavorare per creare subito le condizioni per una rivoluzione destinata a dar
vita al comunismo. In Germania un'agguerrita minoranza di sinistra si
formò attorno a Karl Liebknecht e a Rosa Luxemburg. Gruppi analoghi, seppur
variamente ispirati, si formarono in tutti i più importanti partiti europei,
giungendo in qualche caso a minacciare l'egemonia delle correnti centriste.
Una dissidenza tutta particolare fu quella che si sviluppò nella socialdemocrazia
russa e che ebbe per protagonista Nikolaj Lenin. Il modello di organizzazione
politica a cui s'ispirò Lenin, allorché costituì, nel 1898, il Partito operaio
______________________________
________: il partito _______________
di idee che esprime, interpreta e giustifica i bisogni e le aspirazioni di un gruppo, ai fini di istituire o
mantenere o modificare un certo sistema di rapporti (economici, sociali o politici). Norberto Bobbio,
filosofo del diritto, ha qualificato le ideologie come un sistema di credenze o di valori utilizzato per fondare la legittimità del potere.
27
socialdemocratico russo, fu invece quello della componente terroristica del
populismo russo8: rispetto all'azione di massa, assoluta priorità della
distruzione del potere statale e dell'iniziativa volontaria di una minoranza
attiva e capace di "disorganizzare" (era questo il termine applicato agli atti
terroristici) l'avversario, formata da rivoluzionari di professione, che, abbandonata ogni altra attività, si dedicavano esclusivamente all'azione politica.
Il modello politico-organizzativo del partito leninista (la più compiuta
formulazione del quale rimane il testo di Lenin del 1902 “Che fare?”) si
basava sull'idea che, da sola, la classe operaia non potesse elaborare un livello
di coscienza superiore a quella meramente sindacale, fondata sul proposito di
attenuare il proprio sfruttamento, non però sulla volontà o capacità di
abolire l'intero sistema di sfruttamento capitalista e lo stato che lo
sosteneva. Lenin riteneva che per passare da questo livello "primitivo" alla piena
coscienza rivoluzionaria (alla consapevolezza cioè dell'universalità dello
sfruttamento e della natura di classe dello stato, di "ogni" stato), fosse
necessario l'intervento di un'avanguardia cosciente, formatasi alla scuola della
teoria marxista e titolare della "scienza della rivoluzione" («La coscienza politica di classe, scrisse Lenin, può essere portata all'operaio solo dall'esterno,
cioè dall'esterno della lotta economica, dall'esterno della sfera dei rapporti tra
operai e padroni»). In questa visione, la sola vera azione rivoluzionaria doveva mirare all'abbattimento dello stato e alla presa del potere: ciò sarebbe servito a
creare le premesse per il superamento definitivo non solo del capitalismo, ma
di ogni organizzazione politica comportante il "dominio dell'uomo sull'uomo".
Lo strumento principale dell'azione politica era il partito, che doveva avere i
caratteri di un'organizzazione di combattimento, quindi rigidamente regolata e
gerarchica ("centralismo democratico"), alla cui attività doveva partecipare una
ristretta élite (i "quadri") capace di agire dal punto di vista di tutti gli sfruttati e
non di singole categorie particolari. Un partito, dunque che, in
contrapposizione al modello di partito di massa tipico della socialdemocrazia
tedesca, non si proponeva affatto di inquadrare nelle proprie file la totalità e
neppure la maggioranza del proletariato, ma solo un'avanguardia selezionata,
il cui connotato di "professionalità" consisteva nel dedicarsi in maniera
esclusiva, permanente e stabile all'attività politica rivoluzionaria.
Lo scontro tra spinte alla rivoluzione e tendenze mediatrici segnò a lungo la
storia dei partiti socialisti europee e le diverse componenti convissero, vedendo
di volta in volta prevalere ora l’una ora l’altra, fino agli inizi degli anni venti,
quando dopo la Rivoluzione russa finirono per dividersi definitivamente 9.
dalla tradizione ______________________
a - priorità: _________________________
b - ________________________________
___________________________________
Le caratteristiche del partito leninista:
a – dalla coscienza __________________
alla coscienza ____________________: il
ruolo delle _________________________
b – obiettivo dell’avanguardia cosciente:
___________________________________
e la _______________________________
c – il _____________ come organizzazione
per abbattere ____________________:
1 - ________________________________
___________________________________
2 - ________________________________
___________________________________
La ____________________________ delle
correnti ideologiche fino ______________
Una delle caratteristiche dello sviluppo del movimento operaio in gran parte
8
Storicamente il termine popolo ha a lungo oscillato tra due significati diversi: da un lato la collettività dei
cittadini, dall'altro quella parte degli abitanti di uno stato che non occupa posizioni dominanti né di potere, né
di status. In realtà negli usi correnti i due significati hanno finito spesso con il sovrapporsi.
L’ambiguità semantica del termine ha sempre condizionato i movimenti democratici che si proponevano,
contemporaneamente, come i rappresentanti degli interessi di un'area specifica (sebbene maggioritaria) della
società e come autentici rappresentanti della totalità della popolazione. La stessa ambiguità segna la storia
dei movimenti detti populisti: i maggiori sono il movimento russo, che conobbe il massimo sviluppo negli
anni settanta dell'Ottocento, e il movimento americano che raggiunse il culmine nell'ultimo decennio del
secolo. I populisti erano i sostenitori di un'ascesa al potere delle classi oppresse in nome non del conflitto di
classe, ma della piena affermazione dei valori collettivi dei quali il popolo, e in particolare i ceti rurali,
costituirebbe l'incarnazione. Il concetto di popolo, pur nella sua vaghezza o forse proprio a causa di essa, è
uno dei termini fondanti dei sistemi politici moderni.
9
A partire dagli anni venti si affermarono, infatti, i partiti comunisti che vedevano nell’esperienza
sovietica la realizzazione della rivoluzione comunista, mentre all’interno della socialdemocrazia si
affermarono definitivamente le tendenze riformiste che spinsero il partito, ad esempio, in Germania ad
assumere un ruolo governativo e, infine, i partiti socialisti che rifiutavano la leadership del partito
comunista sovietico e in cui continuarono sostanzialmente a convivere la prospettiva parlamentarelegalitaria e quella rivoluzionaria.
28
dei paesi dell'Europa continentale, in Germania come in Austria, in Russia,
in Polonia o in Italia, e in generale in tutti i paesi a industrializzazione
tardiva, è rappresentata dal fatto che la nascita dei partiti socialisti era stata
contemporanea, o addirittura precedente, allo sviluppo dei movimenti
sindacali e di resistenza. Le organizzazioni politiche furono così in grado, fin
dalle origini, di condizionare il movimento sindacale e di influenzarne
l'ideologia. Nei paesi anglosassoni, invece, le organizzazioni sindacali, di
mutuo soccorso e di resistenza, che risalivano alla prima metà dell'Ottocento o
addirittura agli ultimi decenni del Settecento, precedettero di gran lunga lo
sviluppo internazionale e interno di movimenti politici socialisti e furono
quindi in grado di condizionarne la crescita. Questo è uno dei motivi per cui
nella storia internazionale del movimento operaio la Gran Bretagna e gli Stati
Uniti costituiscono due casi particolari: l'uno caratterizzato da un sostanziale
predominio dell'organizzazione sindacale sull'organizzazione politica; l'altro
dal mancato sviluppo di un movimento socialista di massa.
In Gran Bretagna, dopo il declino del movimento cartista10, il movimento
sindacale rimase a lungo privo di diretta e autonoma espressione politica.
Formati essenzialmente da operai qualificati e "di mestiere" (mentre la massa dei
lavoratori dequalificati restava ai margini di ogni tipo di organizzazione), i
sindacati cercavano la propria rappresentanza nei partiti dominanti. Furono i
liberali ad attrarre la maggior parte dei sindacalisti e degli operai da loro
egemonizzati. Né la situazione mutò nel 1868 con la nascita del Tue (Trade
Union Congress, Consiglio dei sindacati), che costituiva per la prima volta un
superamento della fase di totale autonomia delle diverse organizzazioni di
mestiere e uno strumento di coordinamento e di centralizzazione.
I rapporti tra movimento sindacale e sistema politico cominciarono a
modificarsi davvero nell'ultimo decennio dell'Ottocento sotto la spinta delle
trasformazioni delle organizzazioni sindacali e la nascita dei primi partiti e
movimenti socialisti.
I mutamenti dell'organizzazione produttiva introdotti (sia pure più lentamente
che altrove) dalla Grande depressione, e in particolare lo sviluppo dei servizi
pubblici, crearono una grande massa di operai dequalificati, sottopagati, diversi
per cultura e mentalità dai tradizionali operai di mestiere. Nonostante
incertezze e talvolta dure discriminazioni da parte dei vecchi sindacati di
mestiere, anche questa nuova massa di lavoratori incominciò a organizzarsi,
trasformando per molti versi natura e volto del movimento sindacale inglese:
le grandi lotte dei lavoratori del gas e dei portuali, attorno al 1895, portarono alla
nascita di sindacati di massa di tipo nuovo; una quindicina di anni dopo,
un'altra ondata di lotta degli operai non di mestiere avrebbe determinato la
formazione delle cosiddette "General Unions", giganteschi e potentissimi
sindacati che univano insieme operai qualificati e dequalificati di diversi rami
dell'industria. La trasformazione del movimento sindacale ebbe, fin dagli anni
novanta, anche un effetto politico, in quanto gli scioperi di massa dei servizi
pubblici incidevano profondamente su tutta la vita del paese. Le pressioni
perché il movimento sindacale usasse la sua nuova forza per darsi un'organizzazione politica autonoma, in grado di trattare alla pari con il governo e di
mirare al potere politico, cominciarono a farsi sentire da parte della base e
di settori rilevanti della dirigenza sindacale. Nacque così, nel 1900, un Labour
Representation Committee (Comitato di rappresentanza operaia). Esso segnò
la fine dell'egemonia liberale sul movimento operaio. Prima nel parlamento, poi
nella propaganda elettorale, il Lrc cominciò a proporsi come nucleo di un autonomo partito del lavoro, il Labour Party, destinato i a sostituire il Partito
liberale nel ruolo di secondo grande partito britannico.
B IL _____________________________
Europa continentale:
______________________________ 
________________________________
Gran Bretagna:
______________________________ 
________________________________
USA: ______________________________
___________________________________
Gran Bretagna:
a – Seconda metà Ottocento
la guida politica del sindacato:
dai ________________________________
ai ________________________________
sindacati : operai _________________ +
___________________________________
b – Fine Ottocento
la nuova organizzazione produttiva: ______
___________________________________
la nuova organizzazione sindacale: ______
___________________________________
la guida politica dei sindacati: la nascita
___________________________________
10
Vedi dispensa “G - Le origini della politica contemporanea 2 –L’Ottocento: l’affermazione dello stato liberale”, pag.
34
29
Accanto all'organizzazione politica partitica, spesso in forte concorrenza,
talvolta in esplicito antagonismo con questa, si manifestarono sotto forma di
"movimenti" ampie tendenze alla mobilitazione politica. Tra questi il più noto
all'interno della classe operaia fu il cosiddetto "sindacalismo rivoluzionario", il
quale appare, in effetti, come l'antitesi totale del modello organizzativo
partitico di stampo socialista, poiché privilegiava rigorosamente l'azione
sociale su quella politica, il movimento spontaneo proveniente dal basso sulla
mediazione organizzata del partito. Con il termine "sindacalismo
rivoluzionario" si definiscono sia gruppi contrari a qualunque azione politica,
sostenitori della sola "azione diretta" sul terreno della fabbrica, sia gruppi
semplicemente favorevoli al primato dell'azione sindacale sull'azione politica;
gruppi di ispirazione anarchica e anche gruppi legati alla specifica teorizzazione
di Georges Sorel.
Tra sindacalisti rivoluzionari e anarchici vi furono spesso rapporti di
cooperazione, che portarono a volte (come avvenne in Spagna) alla fusione
organizzativa; ma non vi fu mai un'unità totale (come sembrava implicare
l'etichetta spregiativa "anarcosindacalismo"; forgiata dai settori socialisti del
movimento sindacale). Il carattere distintivo che unificò queste diverse
tendenze fu comunque la profonda diffidenza verso l'azione politica, in
particolare sul terreno parlamentare: considerata in primo luogo un cedimento
allo stato borghese e alla sua pretesa di rappresentare tutta la società,
indipendentemente dalle classi sociali, in secondo luogo uno strumento di
egemonia sul proletariato da parte di un ceto politico di intellettuali.
Nell'azione sindacale, viceversa, in quanto "azione diretta", non mediata da
nessuna istanza partitica o parlamentare, i sindacalisti rivoluzionari vedevano
uno strumento di irriducibile contrapposizione tra le classi e una possibilità di
autonoma organizzazione e direzione della lotta da parte dei proletari stessi.
Nato nell'ambito della fabbrica, il sindacato operaio rappresentava l'unico
strumento per una radicale trasformazione dell'ordinamento sociale e dei
rapporti economici. Il sindacato, secondo alcuni teorici di questo movimento,
era infatti organo, oltre che di lotta, anche di autogoverno, nucleo della futura
società dentro la società capitalista. Lo strumento principale invocato dai
sindacalisti rivoluzionari era lo sciopero generale, il grande e definitivo
scontro fra le classi che, dimostrando le capacità del proletariato di mettere in
ginocchio (col semplice rifiuto organizzato del lavoro) lo stato capitalista,
avrebbe aperto la via alla società socialista.
Culla del sindacalismo rivoluzionario fu la Francia ed esso conobbe una
notevole diffusione in Svezia, in Italia (dove nacque l'USI, Unione sindacale
italiana), in Spagna, ma anche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Negli anni
tra il 1906 e il 1914 i sindacalisti rivoluzionari acquisirono comunque un ruolo
notevolissimo nel movimento operaio europeo, in particolare nei paesi
mediterranei. Tuttavia, i successi ottenuti non furono sufficienti a garantire
l'assunzione di una linea chiara e univoca da parte dei sindacalisti rivoluzionari
dei diversi paesi. Infatti, nel periodo del loro massimo successo gli esponenti
del movimento si trovarono a oscillare a lungo fra la tendenza rivoluzionaria,
che li portava a convergere con i settori più intransigenti del movimento
socialista internazionale, e la tendenza ad aggregarsi con i settori
antidemocratici dell'intellettualità, ai quali li accomunavano l'odio per il
parlamento e la convinzione fondamentale che la storia fosse mossa da
minoranze attive, capaci di mobilitare le masse. Questa contraddizione, nel giro
di pochi anni, avrebbe portato i sindacalisti rivoluzionari a scindersi in un
settore seguace delle idee di Lenin, il leader indiscusso della socialdemocrazia
russa, e un settore ultrapatriottico e antidemocratico che finì per confluire nei
movimenti nazionalisti di destra.
C - IL _____________________________
Il rifiuto del modello __________________
e la priorità dell’azione ________________
Le ___________________ del
sindacalismo
il motivo _________________________:
il rifiuto ____________________________
perché:
a - ________________________________
___________________________________
b - ________________________________
___________________________________
Sindacato e azione sindacale come:
A – strumento _______________________
B – strumento _______________________
___________________________________
C- strumento _______________________
Lo sciopero generale come _____________
________________________________
Ambiguità ____________________ del
sindacalismo rivoluzionario
tendenze _________________________
convergenza con ____________________
tendenze _________________________
convergenze con movimenti ____________
__________________ per:
a - ________________________________
b -_________________________________
30
Nel corso degli anni ottanta e novanta apparvero contemporaneamente in
diversi paesi europei nuovi movimenti politici, poggianti su una base di
massa, ma espressione di ideologie radicalmente diverse, e spesso
contrapposte, a quelle del movimento operaio, questi movimenti erano
radicati per lo più nelle diverse componenti della piccola borghesia (impiegati,
commercianti) ma anche del sottoproletariato urbano, sebbene non fossero privi
di appoggi tra gli stessi lavoratori dell'industria11.
Ciò che univa l'insieme di questi movimenti e ne faceva un modello nuovo di
organizzazione di massa era innanzitutto il nazionalismo esasperato (e
generalmente fondato sul richiamo a un passato mitico, a carattere razziale).
Nell'Europa di fine '800 la nazione, intesa come insieme di valori politici e
culturali, costituiva ancora un fattore centrale, sia nei rapporti fra gli Stati, sia
nelle vicende interne dei singoli paesi. Ma gli ideali nazionali venivano
modificandosi profondamente, soprattutto in quei paesi che avevano già
realizzato la loro unificazione statale. Fra il 1815 e il 1870 il nazionalismo si
era collegato all'idea di sovranità popolare e si era alleato col liberalismo e con
la democrazia. Le cose cambiarono già con l'unificazione tedesca, realizzata da
Bismarck «col ferro e col sangue», dall’alto, e più ancora con l'imperialismo
coloniale, che legava la grandezza nazionale alle guerre di conquista a danno
di altri popoli ritenuti inferiori. Infine, la crescita dei movimenti socialisti, che
si ispiravano a ideali internazionalisti e pacifisti, suscitò per reazione un
ritorno di spiriti patriottici e guerrieri in seno alla borghesia conservatrice. La
battaglia per i valori nazionali o per gli interessi del proprio paese finì spesso col
legarsi alla lotta contro il socialismo, alla difesa dell'ordine sociale esistente,
quando non al sogno di restaurazione di un ordine passato. In altri termini, il
nazionalismo tendeva a spostarsi a destra, si sganciava dalle sue matrici
illuministiche e democratiche per riscoprire quelle romantiche e tradizionaliste,
si collegava spesso alle teorie razziste allora in voga, che pretendevano di
stabilire una gerarchia fra «razze superiori» e «razze inferiori» e di affermare
su questa base la superiorità di un popolo, o di un gruppo di popoli, su tutti gli
altri.
Infatti, a caratterizzare il nuovo nazionalismo vi era, in primo luogo, il
carattere razziale che veniva attribuito all'identità nazionale. Carattere razziale
che andava oltre i confini degli stati emersi dalle rivoluzioni nazionali dei
decenni precedenti e che portava questi movimenti alla rivendicazione di
un'unificazione totale dei gruppi etnici (così il nazionalismo tedesco diveniva
"pangermanesimo" e il nazionalismo russo "panslavismo") e quindi tendeva a
unire tra loro diverse nazionalità che si supponevano congiunte in un'unica
stirpe. Infine, sempre di più in quegli stessi gruppi si sottolineava il peso di
una comune identità europea, o bianca o (con termine razzista
pseudoscientifico) caucasica, contro gli ebrei e i popoli asiatici e africani oggetto della colonizzazione.
Sviluppo estremo del nazionalismo, questi movimenti sciovinisti ne
segnavano in un certo senso anche la fine, in quanto indicavano come
sbocco del movimento nazionale non più lo stato-nazione ottocentesco, ma
una sorta di grande comunità di stirpe, unita più dall'odio per gli estranei alla
stirpe stessa (gli ebrei nel suo seno, i popoli colonizzati all'esterno) che da una
reale identità comune. In questa versione del nazionalismo la storia cessava
di essere centro unificante della nazione e cedeva il posto al "sangue";
un'impalpabile unità biologica che poi, paradossalmente, coincideva sempre
con il ceppo linguistico. Pangermanesimo e panslavismo trovavano d'altra
parte la loro massima base propagandistica nel progressivo disfacimento dei due
2 IL NAZIONALISMO
__________________________________
e movimenti politici di massa ___________
L’idea di _________________________
nell’Ottocento
dalla concezione _____________________
(nazione = ________________________)
alla concezione ____________________
( nazione = ________________________)
cause:
a - ________________________________
b - ________________________________
c - ________________________________
___________________________________
d - ________________________________
_________________________ (vedi oltre)
LE CARATTERISTICHE DEL NAZIONALISMO
11
Sul ruolo politico del ceto medio vedi anche: “La seconda rivoluzione industriale - Le nuove forme
dell'economia: Il mercato di massa e la nuova stratificazione sociale
31
grandi imperi che assoggettavano gran parte dell'Europa orientale, l'austroungarico e l'ottomano, e nella crisi politica ormai decennale dell'Impero russo.
Accanto al nazionalismo, un altro importante tratto comune dei movimenti
reazionari era l'autoritarismo e l'odio per le istituzioni democratiche. In una
società dove il tradizionale sistema gerarchico stava franando, la richiesta di
un'autorità forte, di un capo, si presentava come strumento per un ritorno a
un passato perduto di ordine e di tranquillità, collocato nel Medioevo dai
movimenti di ispirazione religiosa (come la destra cattolica francese) o
addirittura nella mitica età dei Nibelunghi (come in Germania). Tutti i
movimenti ultranazionalisti, del resto, si rifacevano all'autorità di uno stato
forte, che era rappresentata dalla Russia zarista per i panslavisti e dalla
Germania bismarckiana per i pangermanisti.
Risvolto dell'autoritarismo e dell'odio antidemocratico era il rifiuto del
conflitto sociale e politico teorizzato dai socialisti. Scopo della destra
emergente era la restaurazione dello "spirito comunitario" nell'impresa come
nella città e nel sistema politico, concepito come l’opposto del conflitto di
classe.
Questi movimenti si proclamavano come rappresentanti non di specifici
interessi, ma dell’intera nazione, identificando gli interessi della nazione con
quello dei grandi gruppi economici nazionali in grado di consentire alla
nazione di ottenere, grazie allo sviluppo economico, un peso militare
maggiore in grado, a su volta, di garantire una posizione dominante.
Compito dell’azione politica era, dunque, innanzitutto quello di identificare i
nemici interni, ovvero coloro che fomentavano le divisioni interne (socialisti e
democratici) o che costituivano una minoranza etnica (ebrei), destinati a
minacciare la purezza della razza.
Probabilmente il più forte elemento unificante dei movimenti reazionari di
massa nati tra fine Ottocento e primo Novecento fu, in effetti, l'odio
antiebraico, in quel periodo ribattezzato con il termine di "antisemitismo" Le
radici di questo atteggiamento sono da rintracciare nell'identificazione, da
parte dei settori più retrivi dell'opinione pubblica, del processo di
emancipazione ebraico successivo alla rivoluzione francese con la caduta
dell'ordine precapitalista e l'affermazione del capitalismo; nell'importanza
crescente del capitale finanziario, in cui la presenza ebraica era particolarmente forte per ragioni storiche (l'esclusione degli ebrei dalle regole che
vietavano ai cristiani l'intermediazione monetaria), e nell'identificazione
dell'ebreo con lo sradicamento, la mobilità, di contro ai valori tradizionali di
stabilità; infine, nel risentimento, l'invidia sociale, il rancore da parte di quegli
strati della media borghesia, insidiati dallo sviluppo della grande impresa e del
capitale finanziario, che vedevano nell'ebreo il privilegiato, l'intellettuale, il
"diverso"
L'antisemitismo nasceva così in collegamento con una forma tutto sommato
nostalgica di reazione anticapitalista, che cercava di attribuire a un gruppo
specifico le responsabilità di mutamenti sociali vissuti come catastrofici.
Una reazione all’antisemitismo, ma anche una manifestazioni fra le più
caratteristiche di quel fenomeno di risveglio del nazionalismo che attraversò
tutta l’Europa di fine '800, fu la nascita del sionismo, un movimento fondato nel
1896, che si proponeva di restituire un'identità nazionale alle popolazioni
israelite sparse per il mondo e di promuovere la costituzione di uno Stato ebraico
in Palestina, di qui il nome sionismo, dalla collina di Sion su cui sorge l'antica
Gerusalemme. Movimento complesso e atipico, ai confini fra il politico, il
religioso e il sociale - non senza una componente di stampo colonialistico -, il
sionismo stentò all'inizio ad affermarsi, anche perché l'alta e media borghesia
ebraica era prevalentemente «assimilazionista»: tendeva cioè, pur senza
rinnegare le sue origini, a integrarsi, ove possibile, nelle società dei paesi
d'appartenenza: All'inizio del '900, tuttavia, grazie all'attività instancabile dei suoi
Le radici dell’_______________________
a - ________________________________
___________________________________
b - ________________________________
___________________________________
c - ________________________________
d _________________________________
Il _________________________________
32
sostenitori, il movimento riuscì a imporsi all'attenzione dell'opinione pubblica e a
trovare qualche autorevole appoggio nelle classi dirigenti dell'Europa
occidentale.
LE CARATTERISTICHE DEL NAZIONALISMO
1 _________________________________________________________
che si esprimeva come: a - _____________________________________________________________________________________
b - ______________________________________________________________________________________
2 ___________________________________________________________
un capo per ____________________________________________________________________________________________________
3 - ___________________________________________________________________________________________________________
4 - ___________________________________________________________________________________________________________
costituita da: a - ________________________________________________________________________________________________
b - ________________________________________________________________________________________________
3 I CATTOLICI
Accanto ai lavoratori delle città, l'altra essenziale componente delle masse
popolari europee restava la popolazione contadina. Benché fortemente
intaccata, sul piano numerico, dal fenomeno dell'emigrazione, essa costituiva la
grande maggioranza delle classi popolari in moltissimi paesi europei. Era sulle
masse contadine che contavano i governanti europei per contrastare, con l'allargamento del suffragio, la preoccupante crescita del movimento socialista. La
fiducia in un ruolo conservatore dei contadini si basava su diversi elementi,
tra i quali la continuità, nelle campagne, dei secolari rapporti di deferenza nei
confronti dei ceti possidenti, che permetteva a questi ultimi di divenire leader
politici delle loro comunità; la maggior resistenza dei contadini, rispetto agli
operai, alle idee nuove e il loro più forte e radicato attaccamento alla religione
tradizionale; infine, lo spirito nazionalista caratteristico dei contadini divenuti
proprietari della loro terra. L'accesso al voto dei contadini europei non
comportò la nascita di specifici partiti agrari, cioè di organizzazioni che si
dedicassero esclusivamente, o prevalentemente, alla rappresentanza dei loro
interessi. Uno degli scopi dell'allargamento del suffragio era, infatti,
convogliare le masse rurali verso i partiti tradizionali, conferendo una nuova
forza elettorale ai notabili conservatori liberali, che vedevano la loro egemonia
sul parlamento minacciata dalla superiore organizzazione e dalla base di massa
dei partiti operai. Molti notabili che governavano i partiti tradizionali erano essi
stessi legati ad ambienti rurali, in quanto possidenti o professionisti di provincia:
si trattava dunque di allargare il seguito di questi notabili ai ceti che fino a
poco prima erano stati loro soggetti in condizione servile o come clienti.
Fino all'inizio del nuovo secolo il dominio dei notabili sul voto rurale fu
quasi incontrastato in tutta Europa. A partire dalla fine dell'Ottocento alle
masse contadine si rivolsero però con interesse anche le forze cattoliche. Tale
linea cominciò a imporsi con il pontificato di Leone XIII (1878-1903),
durante il quale fu messa in discussione l'intransigenza della Chiesa verso lo
stato moderno e le sue istituzioni politiche: la crescente laicizzazione della
società e soprattutto l'emergere di idee e visioni del mondo, che intendevano
porsi come alternative a quelle fino allora fornite dalla religione (prima di tutto
il marxismo), posero la Chiesa di fronte alla difficile scelta se continuare nella
propria coerente lotta contro il mondo moderno, rischiando la sostanziale
Le masse __________________________
ruolo conservatore per:
1 - ________________________________
___________________________________
2 - ________________________________
___________________________________
3 - ________________________________
___________________________________
Masse contadine e ____________________
___________________________________
Masse contadine e ____________________
Leone XIII e ________________________
___________________________________
la Chiesa da _________________________
a ________________________________
33
emarginazione, soprattutto dalle masse proletarie urbane, o favorire propri
movimenti politici e sindacali, che portassero la parola della Chiesa nel
mondo laicizzato, accettando di ridursi da organo di verità al di sopra delle
parti a forza particolare, partito tra gli altri.
Un primo passo verso la creazione di una forza politica cattolica fu l'avallo dato
dalla Santa Sede alla nascita, nei tardi anni settanta, di partiti cattolici in
Germania (Zentrum) e in Belgio: partiti a larga base rurale, che si schierarono
su posizioni conservatrici. Nel 1891 l'uscita dell'enciclica "Sulla condizione
degli operai"; più nota come "Rerum novarum", segnò un ulteriore passo verso
la creazione di movimenti politici e sindacali cattolici.
Emanata da Leone XIII nel maggio 1891, l'enciclica non conteneva novità
rilevanti sul piano dottrinario: ribadiva la condanna del socialismo e riaffermava l'ideale della concordia fra le classi. Indicava anche, come condizione
di questa concordia, il rispetto dei doveri spettanti alle parti sociali: e, se i
doveri degli operai erano la laboriosità, la frugalità e il rispetto delle gerarchie, il
dovere degli imprenditori stava nel retribuire i lavoratori con la «giusta
mercede», nel rispettarne la dignità umana, nel non considerare la loro fatica
alla stregua di una merce da pagare al minor prezzo possibile. La parte più
interessante dell'enciclica, tuttavia, era quella che riguardava il movimento
associativo fra i lavoratori. Veniva apertamente incoraggiata la creazione di
società operaie e artigiane ispirate ai principi cristiani e tutti i cattolici erano
invitati a impegnarsi su questo terreno. Neanche questa poteva considerarsi
una novità assoluta, visto che l'associazionismo cattolico fra i lavoratori era già
una realtà abbastanza diffusa e, in ogni caso, si muoveva all'interno di una
concezione tradizionalista, venata di nostalgia per la società pre-industriale, e
vedeva nelle associazioni cattoliche uno strumento di collaborazione fra le
classi, qualcosa di simile alle antiche corporazioni di arti e mestieri. Nella pratica,
però, questi ideali si rivelarono di difficile attuazione: i sindacati cattolici si
svilupparono soprattutto su basi di classe - cioè raccogliendo solo i lavoratori
dipendenti - e in seguito avrebbero adottato metodi di lotta non troppo diversi
da quelli dei sindacati socialisti.
Nel giro di pochi anni, comunque, movimenti sindacali di ispirazione
cattolica sorsero in quasi tutti i paesi industrializzati dell'Europa centrale e
meridionale, mentre sempre più ampia si faceva la spinta all'organizzazione di
partiti cattolici a carattere democratico. In particolare in Italia e in Francia,
emerse una nuova tendenza politica che fu definita democrazia cristiana e che
mirava, infatti, a conciliare la dottrina cattolica non solo con l'impegno sociale, ma
anche con la prassi e gli istituti della democrazia.
In Italia, guidato da Romolo Murri un giovane sacerdote marchigiano, il
movimento democratico-cristiano sviluppò un'ampia rete di Fasci e di Uffici del
lavoro, che svolgevano un'attività capillare di organizzazione sociale. La
posizione assunta dal movimento nel 1899 contro la politica repressiva attuata
dal governo segnò una prima frattura con l'atteggiamento ufficiale della
Chiesa, improntato a un assoluto "interclassismo". In seguito Murri accentuò la
propria posizione favorevole alla lotta per le libertà fondamentali delle classi
subalterne, sia appoggiando alcune battaglie dell'estrema sinistra, sia puntando
alla costituzione di un partito politico autonomo. Al contrario, nei primi anni del
Novecento il Vaticano andò assumendo posizioni sempre più caute nel campo
della politica sociale: nel 1901 Murri, che nel frattempo aveva fondato la "Lega
democratica nazionale", venne sospeso "a divinis", punizione inflitta ai sacerdoti
indisciplinati. Nel 1909, dopo la sua elezione a deputato con l'appoggio radicale e
socialista, Murri fu scomunicato.
Gli spazi di tolleranza per la democrazia cristiana si chiusero definitivamente
quando nel 1903 salì al soglio pontificio il nuovo papa Pio X, legato a una
visione più tradizionale dei compiti della Chiesa e del laicato cattolico; venne
allora vietata ogni possibilità di espressione ai movimenti critici. I democratico-
i partiti cattolici in ____________________
e ___________________
La _______________________________
1- Condanna socialismo
_________________________________
ctr
__________________________________
2 - i doveri __________________________
e la _______________________________
3 - ________________________________
la _________________________tra le
classi
la pratica:___________________________
___________________________________
La _______________________________
_______________________________ e il
movimento _________________________
la condanna
Pio X: _____________________________
34
cristiani vennero richiamati all'ordine e si videro proibita ogni azione politica
indipendente dalle gerarchie ecclesiastiche.
La crescita del Partito socialista indusse comunque le gerarchie ecclesiastiche
a favorire, anche in Italia, il ritorno dei cattolici ad un ruolo politico attivo,
dapprima, grazie ad un accordo dell'unione elettorale cattolica con i liberali di
Giolitti (1913) e, infine, autorizzando i cattolici a costituire un loro partito politico,
il Partito popolare italiano fondato da Don Sturzo nel 1919.
Il fatto che la nuova forza politica volesse oggettivamente contrapporsi ai
socialisti non significava che il PPI fosse destinato ad una politica conservatrice o
reazionaria. Anzi, nelle intenzioni di don Sturzo la strategia del partito doveva
orientarsi in una direzione sinceramente democratica, cioè preoccuparsi delle
esigenze dei ceti deboli del paese, distinguendosi nettamente dai vari orientamenti
del liberalismo. A differenza dei socialisti, però, gli obiettivi ultimi di una simile
politica democratica non sarebbero mai stati l'abolizione della proprietà privata e
la dittatura di una classe (il proletariato) sull'altra (la borghesia), bensì la pacifica
composizione degli interessi delle varie classi sociali, nel rispetto dei diritti e della
libertà di ognuno.
Il PPI si proponeva in sintesi, almeno nelle intenzioni di don Sturzo, come partito
ispirato a principi e ideali cristiani e interclassista; sinceramente rispettoso
dell'ordinamento parlamentare chiedeva però (in polemica a un tempo con i
liberali e con i socialisti) che lo stato fosse una sorta di motore che, ispirato da
principi di giustizia sociale, promuovesse il bene comune, cioè l'ordinato e
dignitoso sviluppo della società civile in tutte le sue componenti.
L’appoggio del Vaticano al nuovo partito dei cattolici venne meno già nel 1923,
quando Mussolini, da poco salito al potere, ottenne che Don Sturzo
abbandonasse la direzione politica del partito, avviando quel processo di
avvicinamento tra lo stato fascista e le istituzioni ecclesiastiche che porterà ai
Patti del Laterano del 1929.
3 Lo scontro tra conservatori e progressisti: l’affermazione dello stato liberaldemocratico
3.0 Lo scontro tra progressisti e conservatori
3.1 Il caso tedesco
3.2 Il caso inglese
3.3 Il caso francese
4. Il caso italiano
l’accordo elettorale con _______________
Anni ’20:
la fondazione del _____________________
_________________ di _______________:
democrazia + giustizia ( _______________
______________________________) +
__________________________________
Il Vaticano da _______________________
a ________________________________
LO SCONTRO TRA CONSERVATORI E
PROGRESSISTI: L’AFFERMAZIONE
DELLO STATO LIBERALDEMOCRATICO
LO SCONTRO TRA PROGRESSISTI E
CONSERVATORI
Maggior partecipazione  stato + _______
Negli ultimi decenni dell’Ottocento la vita politica dei paesi europei fu caratterizzata
dal fatto che mentre
andavano maturando le condizioni di una maggior
partecipazione delle masse alla vita politica, attraverso l’estensione del suffragio, si
andava contemporaneamente rafforzando l'autorità dello Stato.
Quasi tutti gli Stati europei, infatti, accrebbero in questi anni il potere dei
propri governi a discapito degli organi rappresentativi (la cui rappresentatività
andava estendendosi), aumentarono l'efficienza dei propri organismi
amministrativi, favorirono lo sviluppo di una polizia professionale, potenziarono i propri eserciti, si servirono delle accresciute possibilità di controllo
per vigilare sulla vita politica, sociale e civile del Paese. In tal modo gli Stati
europei intendevano garantire la stabilità politica interna, mantenere l'ordine
pubblico, realizzare un efficace controllo del territorio.
Tale tendenza si espresse in una politica decisamente autoritaria che fini per
provocare, negli anni a cavallo dei due secoli, uno scontro tra forze
conservatrici, che difendevano il vecchio modello di stato liberale e autoritario,
e le forze progressiste, che spingevano verso la sostituzione del regime liberale
con forme più avanzate di democrazia.
_________________________________
le forme del rafforzamento _____________
1 - + potere ___________________
- al ___________________________
2 _________________________________
3 _________________________________
4 _________________________________
5 _________________________________
___________________________________
Lo scontro tra _______________________
__________________________________
35
Gli anni che precedettero la prima guerra mondiale sarebbero stati ricordati
come la «belle époque», l'epoca «bella» per eccellenza, paragonata non senza
rimpianto alle tragedie della prima guerra mondiale e agli anni agitati del
dopoguerra. Si trattava, anche in questo caso, di un'immagine eccessivamente
semplificata. La belle époque fu in realtà un periodo di crescita complessiva
della società europea, di forte ottimismo giustificato dal rinnovato slancio
dell'economia e da un progresso materiale che mai come allora era parso alla
portata di tutti, ma anche di forti contrasti politici e di grandi conflitti sociali. I
miglioramenti - che indubbiamente vi furono - nella condizione di vita dei ceti
popolari furono conquistati a prezzo di lotte aspre e prolungate. Anche le spinte
alla democratizzazione incontrarono dappertutto la resistenza ostinata dei
gruppi conservatori. Se in alcuni paesi, quali la Gran Bretagna, la Francia e
l’Italia le tendenze liberaldemocratiche finirono col prevalere più o meno
largamente, altrove furono duramente represse, come in Russia, o bloccate
entro le vecchie strutture autoritarie, come in Germania e nell'Impero
asburgico.
Laddove lo scontro che caratterizzò la vita istituzionale degli stati europei vide
il prevalere delle forze progressiste più moderate si impose il modello di stato
liberaldemocratico caratterizzati dal suffragio universale, dal rafforzamento del
regime parlamentare e al suo interno del ruolo dei partiti, nonché del ruolo dello
stato nella società.
I limiti dell’azione dello stato liberaldemocratico dei primi decenni del
Novecento sono resi evidenti, ad esempio, dal fatto che se la durata del
lavoro fu limitata per legge non si arrivò, però, mai al di sotto delle dieci ore
giornaliere contro le richieste avanzate dal movimento operaio della
riduzione a otto ore.
Un altro limite fu costituito sicuramente dal fatto che praticamente in nessun
paese venne adottata una politica fiscale che non colpisse le classi popolari
privilegiando le imposte progressive sul reddito. La proposta, sconfitta, delle
forze politiche più avanzate fu quella di aumentare il peso delle imposte
dirette - ossia sul reddito o sul patrimonio di persone o società - a scapito di
quelle indirette - cioè di quelle che colpiscono i consumi e, in genere, le
attività economiche e che gravano soprattutto sui ceti popolari -,
introducendo anche il principio della progressività del carico fiscale - ossia
dell'aumento delle aliquote in relazione all'aumento del reddito. Si sarebbe
così affermata l'idea che compito dello Stato fosse non solo quello di garantire
i meccanismi di formazione della ricchezza, ma anche quello di assicurarne
una più equa distribuzione all'interno della popolazione.
La Belle ______________________
e tragedia ___________________________
________________________________ e
___________________________________
Regimi ___________________________
(_________________________________)
e regimi ____________________________
(__________________________________)
Lo stato ___________________________
caratteristiche (1-2-3-4)
I limiti dello ________________________
1 _________________________________
2 _________________________________
Imposte ___________________ su _____
_________ e _____________________ 
___________________________________
Imposte ___________________ su ______
_______  + colpite _________________
IL CASO TEDESCO
Lo Stato nel quale più evidente fu la svolta in senso autoritario del governo fu la
Germania. Per quasi vent'anni – e più precisamente dal 11871 il 1890 - vera
guida dell'Impero tedesco fu il cancelliere Otto Von Bismarck, artefice
dell'unificazione tedesca e della nascita del Reich. La costituzione del Reich
attribuiva infatti al cancelliere ampi poteri e una certa autonomia dal parlamento:
nominato dal Kaiser e responsabile della propria attività di governo solo di
fronte a lui, il cancelliere era titolare, insieme all'imperatore, del potere
esecutivo. Il parlamento federale (il Reichstag), eletto a suffragio universale,
aveva quindi scarsa possibilità di condizionare l’esecutivo e, inoltre, il suo
potere legislativo era limitato dal fatto che poteva discutere esclusivamente le
leggi proposte da un consiglio di nomina regia. Grazie alla relativa autonomia
dal parlamento Bismarck riuscì a muoversi liberamente, senza piegare, se non
quando lo ritenne necessario, le sue scelte politiche al consenso del parlamento.
Proprio in Germania, però, si svilupparono, accanto ai partiti tradizionali liberali e conservatori -, forti movimenti politici di massa. Nel 1871 fu fondato
il Partito del centro, di dichiarata ispirazione cattolica, che esprimeva le
Lo stato autoritario:
1 - _____________________________
potere esecutivo: cancelliere nominata da
___________________
Parlamento: eletto a __________________
poteri: no __________________________
__________________ + discutere le leggi
__________________________________
36
esigenze autonomistiche degli Stati del Sud. Per questo motivo, fra il '72 e il
'75, Bismarck emanò una serie di misure contro i cattolici (si parlò di
Kulturkampf, ossia «battaglia per la civiltà»), volte non solo ad affermare il
carattere laico dello Stato, ma anche a porre sotto sorveglianza l'attività del
clero. Questa battaglia ebbe però l'effetto di stimolare l'orgoglio dei
cattolici tedeschi che, nel giro di pochi anni, raddoppiarono la loro
rappresentanza parlamentare.
Le misure anticattoliche furono allora attenuate anche per fronteggiare la
nuova minaccia che veniva da sinistra. Nel 1875, infatti, era nato il Partito
socialdemocratico tedesco, verso il quale si orientò la classe operaia. Nei
confronti dei socialdemocratici, Bismarck scatenò dapprima una dura
repressione facendo varare, nel 1878, una serie di provvedimenti eccezionali
che costrinsero la socialdemocrazia a una condizione di semiclandestinità.
Successivamente (a partire dal 1883) fece emanare alcune importanti leggi di
tutela delle classi lavoratrici - assicurazioni obbligatorie per gli infortuni sul
lavoro, le malattie, la vecchiaia - molto avanzate per l'epoca. In realtà le leggi
sociali bismarckiane si inquadravano nello stesso disegno autoritario che aveva
partorito qualche anno prima le leggi eccezionali. Venendo incontro ad alcune
delle esigenze più sentite della classe operaia e al tempo stesso rifiutando di
riconoscere legittimità alla sua rappresentanza organizzata, Bismarck mirava a
integrare le masse lavoratrici nello Stato in una posizione subalterna.
Comunque, la crescita elettorale della socialdemocrazia fu continua e sancì il
fallimento della politica di Bismarck nei confronti del movimento operaio.
La fine del lunghissimo cancellierato di Bismarck, nel 1890, parve dover
segnare una svolta anche nella politica interna tedesca. Erano stati infatti
soprattutto motivi di politica interna a determinare la caduta del «cancelliere
di ferro». Lo stesso imperatore Guglielmo II aveva annunciato di voler
inaugurare un «nuovo-corso» (Neue Kurs) nella vita del paese e aveva
apertamente criticato le leggi eccezionali contro i socialisti - che in effetti non
furono più rinnovate dopo il 1890. Il «nuovo corso» di Guglielmo II non
segnò, però, un effettivo mutamento di indirizzi: le speranze, di un'evoluzione
liberale del sistema, suscitate da talune aperture iniziali dell'imperatore, andarono
presto deluse, lasciando il posto alla tendenza del nuovo Kaiser all'esercizio
personale e autoritario del potere. Anche i nuovi orientamenti di politica estera,
affermatisi soprattutto a partire dagli ultimi anni dell'800 - quando la Germania
imboccò la via della «Weltpolitik» (politica mondiale) e diede il via al riarmo
navale - contribuirono a rinsaldare l'alleanza fra la casta agraria e militare degli
junker e gli ambienti della grande industria. Un'industria che era sempre più
dominata dai cartelli o dalle imprese giganti e che vantava ritmi di sviluppo
tecnologico e di crescita produttiva paragonabili solo ai contemporanei progressi dell'industria statunitense. La coscienza di questa superiorità accentuò
nella classe dirigente, ma anche nel popolo, le tendenze nazionaliste e
imperialiste. Pur essendo un paese ricco di risorse naturali, la Germania,
priva com'era di un grande impero coloniale, non aveva una disponibilità di
materie prime paragonabile a quella dell'Impero britannico, degli Stati Uniti o
dello stesso Impero russo. Di qui la volontà di modificare a proprio vantaggio la
distribuzione mondiale delle risorse e gli equilibri sullo scacchiere planetario:
un'ambizione che, essendo ormai compiuta la spartizione dei continenti
extraeuropei, portava fatalmente la Germania ad assumere una posizione
antagonistica rispetto alle altre potenze imperialiste. Questa politica finì con l'ottenere l'appoggio di tutte le forze politiche, socialdemocratici esclusi. A lungo
andare però - nonostante la riaffermata fedeltà ai principi della dottrina
marxista - anche la socialdemocrazia finì con l'ammorbidire i toni e le forme
della sua opposizione e col venire tacitamente a patti con le ideologie
nazional-imperialistiche cui nemmeno la classe operaia era del tutto
insensibile
2 - ________________________________
a – i partiti cattolici
b - ______________________________
dapprima: _________________________
3 ________________________________
dopo il 1883: _______________________
__________________________________
scopo: _____________________________
___________________________________
La fine del cancellierato di _____________
e il __________________________
__________________________________
__________________________________
La nuova ___________________________
il _____________________________
e le tendenze _______________________ e
___________________________________
37
Negli ultimi anni dell'Ottocento e nei primi del Novecento , la Francia, con il
duro scontro intorno al caso Dreyfus, l'Inghilterra, con lo scontro fra Lords e
Camera dei Comuni, e anche l'Italia, con gli avvenimenti che portarono al
governo Giolitti, furono teatro di una crisi politico-istituzionale che ebbe
sviluppi diversi da quelli autoritari-costituzionali degli imperi del centro Europa
(Germania, ma anche l’Impero austro-ungarico e la Russia in cui il carattere
autoritario era ancora più marcato). Se diverso era nei vari casi il contesto
politico-sociale e diverse furono le modalità del conflitto, uguale nella sostanza
era la posta in gioco: l'evoluzione del regime liberale verso forme di più avanzata
democrazia
Durante il lungo regno della regina Vittoria (1837-1901) l'Inghilterra aveva visto
rafforzarsi il sistema bipolare che opponeva tra loro conservatori (tories), fautori di
una politica di prestigio e conquiste, ma cauti sulle riforme sociali, e liberali
(whigs), piú attenti ai problemi della società inglese. Sotto i governi liberali, il cui
leader era William Gladstone, vennero attuate importanti riforme sociali: il
riconoscimento dei sindacati (1871), l'introduzione dell'istruzione elementare
obbligatoria (1880), l'estensione del suffragio ai cittadini maschi intestatari di
alloggi il cui canone d'affitto era superiore a dieci sterline (l'elettorato passò così da
tre a cinque milioni di cittadini, comprendendo un ampio numero di lavoratori)
(1884). I governi conservatori, guidati da Benjamin Disraeli, mirarono invece a
rafforzare il prestigio internazionale dell'Inghilterra dando impulso alla politica
imperialistica.
Negli anni a cavallo fra i due secoli - gli anni dell'esaltazione imperialistica,
della guerra contro i boeri e della fine dell'età vittoriana: la regina morì nel
1901, lasciando il trono al figlio, l'ormai sessantenne Edoardo VII - la Gran
Bretagna fu governata dalla coalizione fra i conservatori e i liberali «unionisti»
di Joseph Chamberlain (così detti perché contrari, come i conservatori,
all’autonomia irlandese). Fra il 1897 e il 1905 furono varate leggi che stabilivano
la responsabilità degli imprenditori in materia di infortuni sul lavoro, aumentavano i finanziamenti per le scuole elementari e medie, favorivano il
collocamento dei lavoratori disoccupati. Chamberlain, sotto la pressione di una
parte degli industriali, presentò inoltre un progetto che prevedeva di
introdurre anche in Gran Bretagna il protezionismo doganale, sconvolgendo così
una tradizione liberoscambista che durava ormai da più di mezzo secolo. Nelle
elezioni del 1906, i liberali - che si erano opposti al progetto - conquistarono
un'ampia maggioranza, mentre per la prima volta faceva il suo ingresso alla
Camera un gruppo di trenta deputati laburisti, espressione del movimento
operaio. L'emergere del Partito laburista, che ben presto divenne il terzo partito
del Regno, finì per rompere il tradizionale equilibrio tra forze liberali e
conservatrici
Sensibili alle rivendicazioni del mondo operaio, cui non volevano però dare
uno sbocco rivoluzionario, i laburisti - durante il regno di Edoardo VII (19011910) e Giorgio V (1910-1936) - sostennero le importanti iniziative dei
liberali, tornati al governo nel 1906, tese a colpire i grandi patrimoni, porre a
carico dello Stato le pensioni di vecchiaia, introdurre l'assicurazione sanitaria
obbligatoria, garantire salari minimi e fissare a otto ore la giornata lavorativa
per alcune categorie di lavoratori, come i minatori, allargare ulteriormente
l'elettorato, limitare poteri e privilegi dei lords, concedere l'autonomia agli
irlandesi.
Ma l'aspetto più nuovo e coraggioso dell’azione dei governi liberali fu la proposta
di introdurre una politica fiscale fortemente progressiva, mirante a colpire
soprattutto i grandi patrimoni. Il tentativo si scontrò con la reazione della
Camera dei Lords, roccaforte dell'aristocrazia, che respinse il bilancio
preventivo presentato dal governo liberale. I liberali presentarono allora un
«progetto di legge parlamentare» (Parliamentary Bill), che negava ai Lords il
diritto di respingere leggi di bilancio. Nel 1911, dopo un braccio di ferro durato
IL CASO INGLESE
Gli stati ____________________________
Il sistema ___________________________
inglese:
___________________/_______________
i governi ___________________________
i governi ___________________________
il governo di coalizione ______________
___________________________________
la proposta _________________________
elezioni _________:
la vittoria dei ______________________
l’entrata in parlamento dei _____________
Le iniziative del governo ______________
con l’appoggio dei ___________________
Lo scontro sulla____________________
_________________________________
l’opposizione _______________________
la proposta di ________________________
___________________________________
38
due anni e dopo due successive elezioni anticipate vinte (sia pure di stretta misura) dai liberali, i Lords, grazie anche alle pressioni del nuovo re Giorgio V, si
La limitazione _______________________
piegarono ad accettare la legge che limitava i loro privilegi e che rappresentava
un'indiscutibile vittoria per le forze progressiste.
__________ e la vittoria dei progressisti
Nello stesso anno il governo presentò un nuovo progetto di Home Rule, che
prevedeva un'Irlanda autonoma, con un proprio governo e un proprio parlamento,
ma pur sempre legata alla corona britannica. Dopo un lungo e tormentato L’autonomia ________________________
dibattito, nonostante l'opposizione dei nazionalisti irlandesi che reclamavano il pieno
autogoverno e della minoranza protestante dell'Ulster che chiedeva l'autonomia dai
cattolici irlandesi, il progetto liberale fu approvato nel maggio 1914. Il
sopraggiungere della guerra mondiale imporrà una sospensione della Home Rule,
che entrerà in vigore solo nel 1918.
Negli ultimi decenni dell'Ottocento la Francia aveva compiuto progressi
sostanziali sulla strada della democrazia. Eppure le istituzioni repubblicane
continuavano a essere oggetto di una insidiosa contestazione, che ora prendeva
le forme di un esasperato nazionalismo, ora quelle della reazione clericale, ora
quelle di un antisemitismo non privo di componenti demagogiche. Alla fine
dell'800 queste correnti si coagularono, facendo blocco con una parte delle forze
moderate e mettendo a serio repentaglio la vita stessa della Terza Repubblica.
L'alleanza tra nazionalisti e clericali fu evidente in occasione di un clamoroso caso
giudiziario: quello di Alfred Dreyfus, un ufficiale ebreo ingiustamente
condannato ai lavori forzati nel 1894 sotto l'accusa di aver fornito documenti
riservati all'ambasciata tedesca. Quando cominciarono a emergere i primi dubbi
sulla colpevolezza del condannato, le alte sfere militari si rifiutarono di procedere
a una revisione del processo. Socialisti, radicali e una parte dei repubblicani
moderati si batterono perché venisse riconosciuta l'innocenza dell'ufficiale.
Clericali, monarchici, nazionalisti di destra e non pochi repubblicani moderati
insistettero sulla tesi della colpevolezza.
Il contrasto travalicò ben presto i confini del caso giudiziario per trasformarsi
in uno scontro politico che aveva per oggetto le stesse istituzioni repubblicane.
Dreyfus fu infine graziato dal presidente della Repubblica e poi ufficialmente
riabilitato nel 1906. I sostenitori di Dreyfus ebbero partita vinta anche sul terreno
politico. L'esito delle elezioni del 1899, favorevole alle forze progressiste,
consentì la formazione di un governo di coalizione repubblicana appoggiato
anche dai socialisti - un esponente socialista entrò addirittura a far parte del
ministero. Con questo e con i successivi governi a direzione radicale, la Francia
laica e repubblicana si prese le sue rivincite su nazionalisti e clericali. Alcune
associazioni di estrema destra vennero sciolte e i loro capi arrestati. Fu avviata
un'epurazione negli alti gradi dell'esercito e, soprattutto, riprese con rinnovato
vigore la battaglia contro le posizioni di potere ancora detenute dal clero
cattolico.
I governi che si succedettero fra il 1906 e il 1910, sotto la guida di Georges
Clemenceau e poi di Aristide Briand, condussero in porto alcune importanti
riforme sociali - limitazione dell'orario di lavoro, legge sul riposo settimanale,
pensioni di vecchiaia -, ma non riuscirono a varare un progetto di imposta
generale sul reddito e dovettero scontrarsi, anche duramente, con la protesta di
una classe lavoratrice che aveva beneficiato solo marginalmente dei progressi
economici compiuti dal paese. Lo spostamento a sinistra del movimento
sindacale provocò la rottura dell'alleanza fra socialisti e radicali e, alla lunga,
ridiede spazio alle correnti repubblicano-moderate che riuscirono a tornare al
potere fra il 1912 e il 1914 portando alla guida del governo - e poi alla
presidenza della Repubblica - il loro leader più prestigioso, Raymond
Poincaré. In questi anni il dibattito politico, accantonati i temi delle riforme, si
sarebbe concentrato sul problema delle spese militari e del rafforzamento
IL CASO FRANCESE
L’alleanza tra moderati, _______________
e clericali
Il caso _______________________
L’alleanza tra _______________________
___________________________________
Le elezioni del ________: la vittoria dei
____________________________
le _________________________________
Il fallimento del progetto ______________
___________________________________
La rottura tra ________________________
___________________________________
il ritorno al governo __________________
__________________________________
39
dell'esercito.
4. Il caso italiano
4.1 L’involuzione conservatrice della Sinistra storica
4.2 La svolta autoritaria: i governi Crispi
4.3 La crisi di fine secolo
4.4 La svolta liberaldemocratica: i governi Giolitti
Anche in Italia lo scontro tra conservatori e forze politiche progressiste si
concluse con un'affermazione delle forze progressiste: un'affermazione non
completa né definitiva, ma sufficiente a far evolvere la vita del paese, che
conosceva allora una fase di intenso sviluppo industriale, secondo modelli più
vicini a quelli delle democrazie liberali occidentali che non a quelli autoritariocostituzionali degli imperi del Centro Europa.
Salita al potere all’inizio degli anni settanta (1871), la Sinistra esaurì ben presto
la sua spinta innovativa, finendo per deludere le aspettative di quanti avevano
visto nella vittoria elettorale della Sinistra «una rivoluzione parlamentare». La
legge Coppino sull'istruzione (1877), che innalzava l'obbligo scolare sino ai nove anni e prevedeva un'ammenda per i genitori inadempienti, venne solo
parzialmente applicata per la mancanza di fondi dei Comuni, cui era delegata
l'attuazione della legge; la riforma elettorale (1882), che abbassava l'età e il
censo (portati rispettivamente da 25 a 21 anni e da 40 a 20 lire) e
riconosceva il diritto di voto a chi sapeva leggere e scrivere indipendentemente
dal censo, produsse un modesto allargamento dell'elettorato che passò dal 2 al
6,9% della popolazione; l'imposta sul macinato venne abolita (1880), sostituita però da imposte, non meno impopolari, su altri generi di largo
consumo; la riforma amministrativa venne accantonata, e nessun significativo
provvedimento per attenuare l'accentramento e il potere dei prefetti venne
approvato dalla Sinistra. Già indebolito dai risultati delle elezioni del 1880, il
governo Depretis accentuò dal 1882 la sua involuzione conservatrice e
trasformistica12, assecondando gli interessi dei ceti dominanti: proprietari
agrari meridionali, industriali del Nord, forze militari, alto clero,
aristocratici e dignitari di corte.
Per difendere la produzione agricola e le prime forme di produzione industriale dalla
crisi che dal 1873 investì tutta l'Europa e colpì con particolare durezza l'Italia, il
governo della Sinistra abbandonò il tradizionale liberismo per una «svolta
protezionistica». Nel 1887 il parlamento approvò una nuove tariffe doganali sui
cereali, sullo zucchero, sui prodotti dell'industria meccanica, tessile e siderurgica al
IL CASO ITALIANO
L’INVOLUZIONE CONSERVATRICE DELLA
SINISTRA STORICA
Lo scontro tra _______________________
e ________________________ in Italia
II governo _______________________
Le mezze riforme:
1 - ________________________________
__________________________________
2 - ________________________________
___________________________________
3 - ________________________________
___________________________________
l’accantonamento del _________________
l’involuzione _______________________
e _________________________________
vedi nota
la politica __________________________
l’abbandono ________________________:
12
La politica trasformistica venne inaugurato con l’accordo elettorale tra le due correnti parlamentari che
avevano fino ad allora dominato la scena politica, la Sinistra storica e la Destra storica, per far fronte a
una temuta avanzata delle forze democratiche in seguito alla nuova legge elettorale. La sostanza del trasformismo stava nel venir meno delle tradizionali distinzioni ideologiche fra Destra e Sinistra e
nella rinuncia, da parte di quest’ultima, a una precisa caratterizzazione programmatica. A un
modello «bipartitico» di stampo inglese (destra contro sinistra, maggioranza contro opposizione,
conservatori contro progressisti) se ne sostituiva un altro basato su un grande centro che tendeva a
inglobare le opposizioni moderate e a emarginare le ali estreme (i conservatori più intransigenti da un
lato, l'estrema sinistra dall'altro). La maggioranza non era più definita sulla base di precise
discriminanti programmatiche, ma veniva «costruita» giorno per giorno a forza di compromessi e
patteggiamenti: il che provocava un sostanziale immobilismo nel1’azione di governo, oltre che un
netto scadimento nel tono della vita politica. All’esterno del grande centro svolsero un ruolo
politico dapprima l'ala radicale della Sinistra (detta anche l'«Estrema») che sin dal 1877, guidata da Felice
Cavallotti, cui il trasformismo di Depretis toglieva ogni speranza di vedere introdotto il suffragio universale e
approvate leggi in difesa dei lavoratori, abbandonò la maggioranza di governo per presentarsi alle elezioni del
1882 con una lista autonoma e, in seguito, sempre più i partiti del movimento operaio.
40
fine di proteggere l'economia italiana dalla concorrenza dei prodotti esteri. Questi
provvedimenti difendevano le produzioni tipiche dei latifondi meridionali e delle
aziende settentrionali favorendo gli agrari del Sud e gli imprenditori del Nord,
saldando i loro interessi in una sorta di «blocco agrario-industriale». Si assistette
cosí da un lato al rafforzarsi dei legami, spesso basati su favori, tra membri del
governo o parlamentari della maggioranza e le élite industriali e latifondiste, e
dall'altro, al sacrificio delle classi popolari, in particolare del mondo contadino
meridionale. Non solo, infatti, le nuove tariffe doganali non proteggevano tipiche colture del Mezzogiorno, come la vite, l'olio, gli agrumi, ma provocarono ritorsioni
da parte di nazioni straniere come la Francia che, vedendo danneggiate le loro
esportazioni verso l'Italia, reagirono ostacolando l'importazione dei prodotti italiani. I
dazi sui cereali, introdotti dalle tariffe del 1887, provocarono inoltre il rincaro di
generi di prima necessità come il pane e la pasta, gravando iniquamente sulle classi
piú deboli.
Anche la tanto attesa abolizione del corso forzoso della lira, introdotto nel 1883, non
diede all'economia italiana i benefici sperati. La decisione di reintrodurre la
convertibilità dei biglietti di banca in moneta metallica restituì fiducia nella lira
e favorì l'afflusso di capitali stranieri; ma questi investimenti si concentrano
nelle regioni settentrionali o si rivelarono pure speculazioni che non diedero reali
profitti all'economia. E tuttavia nel corso degli anni ottanta, l'Italia conobbe le sue
prime forme di industrializzazione, anche se esclusivamente concentrate nel
Nord. Nei dintorni di Milano, Torino, Genova, infatti, grazie ai finanziamenti e
alle commesse statali si sviluppano importanti industrie: Ansaldo e Orlando nel
settore cantieristico, Breda e Fiat in quello meccanico, Pirelli in quello chimico,
Colombo nel settore elettrico. Mentre in alcuni centri del triangolo industriale
sorgevano fabbriche e imprese, nella gran parte delle regioni italiane la crisi
agraria e la conseguente caduta dei prezzi dei prodotti agricoli generarono nuove
difficoltà. Indice inequivocabile dell'impoverimento generale del Paese è il flusso
migratorio di contadini che assunse dalla fine degli anni Settanta dimensioni
imponenti, spingendo oltreoceano, migliaia di italiani in cerca di lavoro.
la svolta ____________________________
Esponente di spicco della Sinistra parlamentare, Francesco Crispi divenne nel 1887
presidente del Consiglio, succedendo al governo di Agostino Depretis, del quale
era stato ministro degli Interni. I governi Crispi rappresentarono sicuramente per
l’Italia una svolta autoritaria. Crispi, nonostante il suo passato di mazziniano e
garibaldino, godeva della stima dei conservatori per il suo apprezzamento nei
confronti del sistema bismarckiano; infatti, come Bismarck, egli aspirava a
rafforzare l'autorità dello Stato per difenderla dalle minacce che provenivano dal
crescente malcontento popolare e dall'organizzarsi dei primi partiti di orientamento
socialista, e a fare del suo Paese una grande potenza militare e coloniale. Capo del
governo dal 1887 al 1891 e dal 1893 al 1896, Crispi si impegnò a rafforzare il potere
esecutivo in modo da ridurne la dipendenza dal parlamento e aumentare il
controllo del governo sulla vita civile e sull'ordine pubblico. A tal fine accentrò
nella sua persona le cariche di presidente del Consiglio, di ministro degli Interni e di
ministro degli Esteri.
Per razionalizzare la legislazione e riordinare la pubblica amministrazione, Crispi sostenne importanti riforme che rivelano il suo contraddittorio progetto di
democrazia autoritaria: il Codice penale Zanardelli (1890), riconosceva il diritto
di sciopero e sopprimeva la pena di morte, ma la nuova legge sulla pubblica
sicurezza (dell'anno precedente) limitava fortemente le garanzie di libertà dei
cittadini, ampliando il potere discrezionale della polizia; la riforma degli enti
locali del 1888 rendeva elettiva la carica di sindaco, ma aumentava il controllo
dei prefetti sulle autorità e sulle attività comunali.
L'autoritarismo di Crispi si manifesto in modo assai evidente durante la sua
seconda presidenza del Consiglio, quando, dopo la breve parentesi dei governi di
Crispi da __________________________
il blocco ___________________________
Effetti:
1 la crisi ___________________________
___________________________________
2 _________________________________
L’abolizione ________________________
3 _________________________________
a - grazie a __________________________
b - la concentrazione nel _______________
_________________________
La crisi agraria e _____________________
LA SVOLTA AUTORITARIA: I
GOVERNI CRISPI
a _______________________________
_________________________________ e
__________________________________
L’autoritarismo di Crispi:
L’autoritarismo di Crispi:
la democrazia _______________________
a – ________________________________
___________________________________
b – _______________________________
___________________________________
c - _______________________________
___________________________________
d - ________________________________
___________________________________
41
Rudiní (1891-1892) e Giolitti (1892-1893), si trovò a dover far fronte alle
rivolte popolari delle leghe di lavoratori (i cosiddetti Fasci) siciliani e della
Lunigiana (1891-1894). Di fronte ai moti di protesta dei contadini e degli operai
delle zolfatare siciliane e delle cave di marmo apuane e lunigiane, Crispi assume
un atteggiamento fermo e intransigente: si oppose alle rivendicazioni dei
lavoratori, che sollecitavano alcune modifiche dei pesanti patti agrari e la
concessione di qualche miglioramento salariale, e proclamò lo stato
d'assedio, facendo intervenire le forze militari. Preoccupato dell'ordine pubblico,
nel 1894, Crispi faceva approvare in parlamento una serie di leggi - le
cosiddette leggi “ anti-anarchiche” che restringevano la libertà di stampa, di
riunione, di associazione, colpendo leghe, circoli, giornali. Nell'ottobre dello
stesso anno sciolse d'autorità il Partito dei lavoratori, di ispirazione socialista,
ritenuto a torto responsabile dei disordini. In realtà i dirigenti socialisti non
avevano appoggiato il movimento dei Fasci - nel quale vedevano piú una
«rivolta della fame» che una forma cosciente di lotta di classe - limitandosi a
esprimere le loro solidarietà ai contadini durante la repressione governativa.
Lo scioglimento del Partito dei lavoratori italiani non produsse gli effetti
sperati da Crispi. Non solo infatti la rete organizzativa del partito non venne
indebolita, ma anzi aumentarono le simpatie verso il socialismo da parte di molti
intellettuali, come Giovanni Pascoli e Edmondo De Amicis, e si intensificarono i
contatti tra socialisti e altri partiti di opposizione, come i radicali e i
repubblicani. Saranno queste forze, insieme a una parte di quelle della
maggioranza, in dissenso con la politica coloniale governativa, a favorire le
dimissioni di Crispi, quando la sconfitta italiana di Adua (1896) gli alienerà
anche la simpatia di gran parte dell'opinione pubblica e persino della Corona13.
Le gravi difficoltà economiche che colpirono l'Italia acuirono il malessere sociale.
Paese ancora prevalentemente agricolo, ma investito, in alcune aree, dalle prime
forme di industrializzazione, l'Italia vide diffondersi, negli ultimi decenni del secolo,
nuove forme di associazione dei lavoratori: società di mutuo soccorso per scopi di
previdenza e di solidarietà, leghe di resistenza tra braccianti in lotta per il rinnovo
dei contratti agrari, cooperative di lavoratori per l'appalto di opere pubbliche,
federazioni di mestiere per la tutela delle diverse categorie, Camere del lavoro per
I _______________________________
le leggi ____________________________
l’alleanza ___________________________
___________________________________
la sconfitta di ______________________
e __________________________________
vedi nota
LO SVILUPPO _________________________
___________________________________
Società di _______________________,
________________________, __________
______________,____________________
13
È verso l'Africa orientale e successivamente verso la Libia e le isole greche che si orienta il colonialismo
italiano. Il suo esordio risale al 1882, quando il governo, in seguito all'occupazione francese della Tunisia, dove
risiedeva una numerosa comunità di emigrati italiani, decise di concludere la Triplice Alleanza con Germania e
Austria e trattò l'acquisto della la baia di Assab, sul mar Rosso, prima base coloniale in Africa orientale, dalla
compagnia di navigazione Rubattino; tre anni dopo, invocando a pretesto il massacro di una spedizione di
italiani, ordinò l'occupazione del porto di Massaua. Pervenuta assai tardi all'unità territoriale e ancora gravata
dai problemi politici ed economici conseguenti all'unificazione, l'Italia della Destra e dei primi anni di governo
della Sinistra aveva seguito una politica estera assai prudente, evitando sia impegni diplomatici con altre
potenze che avventure coloniali.
Le prime iniziative coloniali dell'Italia furono fortemente contrastate da una parte dell'opinione pubblica che
riteneva insufficienti le motivazioni portate a loro legittimazione: acquistare prestigio internazionale, civilizzare
le popolazioni africane, offrire terre agli emigranti. Il coro di proteste e polemiche che seguì all'eccidio di una
colonna di soldati italiani da parte di truppe etiopi, avvenuto a Dogali, indusse cosí il governo a
interrompere, nel 1887, la campagna africana.
Questa venne ripresa due anni dopo da Francesco Crispi che impose il protettorato italiano sulla Somalia
orientale e meridionale e ottenne dal negus d'Etiopia Menelik il riconoscimento della colonia Eritrea (trattato di
Uccialli del 1889). Richiamandosi a una clausola del trattato di Uccialli, che nel testo italiano implicava
l'accettazione da parte di Menelik di un protettorato dell'Italia sull'Eritrea, l'esercito italiano, nel 1895,
riprese la marcia verso l'Etiopia. Poiché tale clausola non era stata riportata nel testo aramaico sottoscritto
da Menelik, gli etiopi si opposero alla spedizione italiana cui inflissero, nel marzo 1896, una pesante sconfitta nella conca di Adua. II contraccolpo sul piano politico fu immediato e Crispi, attaccato dall'opinione
pubblica, fu costretto a dimettersi. Il trattato di Addis Abeba, stipulato dal negus e dal successore di
Crispi, Antonio di Rudiní, riportò la pace tra le due nazioni riconoscendo all'Italia il possesso della sola
Eritrea, mentre l’Etiopia verrà sottomessa a metà degli anni trenta da Mussolini, ma una ripresa della
politica coloniale avvenne, già con Giolitti, nel 1911con l'occupazione della Libia .
42
il collocamento dei disoccupati e per la composizione delle liti tra proprietari di
fabbrica e operai.
Distribuite in modo irregolare sul territorio e spesso prive di un coordinamento
nazionale, queste organizzazioni avevano diverse matrici ideologiche: alcune di
Le matrici ideologiche:
esse si ispiravano alla dottrina socialista e facevano propri i principi della lotta
di classe e dello sciopero; altre, come le associazioni di mutuo soccorso, 1 ________________________________
rifiutavano gli ideali di classe e si rifacevano al solidarismo mazziniano o a
quello del cattolicesimo liberale. Non
meno temute dal governo e dalle forze
sociali che vedevano in esse una minaccia
all'ordine e alla stabilità erano le
organizzazioni che si richiamavano
all'internazionalismo anarchico e quelle
che si rifacevano al cattolicesimo
intransigente. Entrambe, ma per motivi e
in
modi
diversi,
rifiutavano
e
combattevano lo Stato italiano: le prime,
assai diffuse tra il proletariato agricolo
grazie all'opera di propaganda dello
stesso Bakunin (1814-1876) e di agitatori
come Enrico Malatesta (1854-1932),
progettavano scioperi e moti contadini;
le seconde, continuavano nel loro
atteggiamento di rifiuto dello Stato
«usurpatore»,
appoggiandosi
alle
parrocchie
e
alle
diocesi
per
dare
vita
a
Alla presenza del re, Umberto I, il 15
circoli
e
associazioni
per
la
gioventú,
gli
orottobre 1899 a Savigliano nell’attuale
piazza del Popolo si inaugura il fani, i lavoratori.
L'esigenza di un coordinamento delle
monumento al generale Arimondi
Il generale Arimondi, “l’eroe di Adua” diverse forze già attive nella difesa e
per la retorica ufficiale, era il nell'assistenza dei lavoratori condusse alla
comandante dell’esercito
italiano fondazione dei primi partiti di ispirazione
pesantemente sconfitto nella battaglia socialista. Il primo di essi fu il Partito
di Adua che frenò le ambizioni socialista rivoluzionario di Romagna,
colonialistiche dell’Italia e portò alle nato nel 1881 per iniziativa di Andrea
dimissioni del governo Crispi.
Costa (1851-1910) che, critico nei
confronti dello spontaneismo anarchico,
lasciava i circoli bakuniniani per dare vita a un partito organizzato e impegnato
nella preparazione della rivoluzione socialista. L'anno successivo, associazioni
operaie di mestiere confluivano nel Partito operaio italiano, che all'affermazione politica anteponeva le lotte economiche e sociali. Solo nel 1892 nacque il
Partito dei lavoratori italiani che nel 1895 assumerà la denominazione di Partito
socialista italiano. Fondato a Genova durante un congresso dei rappresentanti di
trecento società operaie, leghe contadine, circoli politici, il partito era guidato
dall'avvocato milanese Filippo Turati (1857-1932), fondatore insieme alla sua
compagna, l'esule russa Anna Kuliscioff (1857-1925), della Lega socialista
milanese (1889) e della rivista «Critica sociale» (1891). Come fine dell'azione
del Psi, Turati e la Kuliscioff ponevano la socializzazione dei mezzi di produzione,
come strumento per realizzare questo fine, la lotta del proletariato.
Negli anni successivi, Turati andrà precisando le sue posizioni, distaccandosi
sempre piú nettamente dalla strategia antilegalitaria e violenta rivendicata dall'ala
massimalista del socialismo. Il Psi sarà, infatti, a lungo travagliato dall'acceso
confronto e scontro tra riformisti e massimalisti. I primi sono i sostenitori del
programma minimo di riforme, che Turati si prefiggeva di realizzare mediante
le battaglie parlamentari e non con una rivoluzione violenta. I secondi erano
2 ________________________________
3 _________________________________
4 _________________________________
5 _________________________________
I primi partiti _____________________
La fondazione del ____________________
___________________________________
(______________________)
__________________________________e
__________________________________
Lo scontro tra _______________________
___________________________________
43
sindacalisti rivoluzionari che rifiutavano ogni dialogo o collaborazione con le
forze liberali conservatrici, puntando al programma massimo - il crollo del
sistema economico sociale capitalista - con dure iniziative come lo sciopero e la
rivoluzione. Nei successivi congressi (tenuti a Roma nel 1900, a Bologna nel
1904, a Reggio Emilia nel 1912) le diverse anime continuarono a scontrarsi
prevalendo ora l'una ora l'altra, e indebolendo la forza del socialismo italiano,
sino a quando, nel primo dopoguerra, la minoranza rivoluzionaria non si
staccherà dal Psi per fondare il Partito comunista italiano (Congresso di
Livorno, 1921).
I CATTOLICI
A partire dai primi del Novecento anche le forze cattoliche, incoraggiate dall'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891), accentuarono il loro impegno sociale
Dalla _________________________
operando nelle parrocchie, nelle associazioni caritative e nei sindacati, a difesa dei
lavoratori e degli strati piú deboli della popolazione. In questi cattolici, più all’accordo elettorale con ______________
aperti e attivi, si diffondeva il desiderio di partecipare anche alla vita politica dello
Stato, sia per arginare il diffondersi degli ideali laici e socialisti, sia per contribuire al ___________________________________
rinnovamento della legislazione e delle istituzioni italiane anche se, come abbiamo
già visto, le gerarchie andavano ormai favorendo un accordo con le forze più
conservatrici.
LA CRISI DI FINE SECOLO
Negli ultimi anni del secolo, l'Italia attraversò una crisi politico-istituzionale che mise a
nudo le debolezze dello Stato liberale. Più volte sull'orlo di un'involuzione autoritaria, lo
Stato italiano riuscirà tuttavia a far fronte alle tentazioni illiberali di una parte della sua
classe politica e, anzi, farà emergere dalla crisi nuove forze e prospettive di progresso.
Già negli anni immediatamente precedenti, quando Crispi aveva opposto alle richieste di innovazioni democratiche e di riforme sociali la linea ferma e
intransigente dello stato d'assedio e della soppressione delle libertà civili, il
regime liberale italiano aveva dimostrato di avere fragili basi. Nuove prove di
questa debolezza giunsero nel 1898, durante il governo del successore di
Crispi, Antonio di Rudiní (1896-1898), quando alcune spontanee manifestazioni
popolari contro l'aumento del prezzo del pane vennero represse con l'intervento
della polizia e la dichiarazione dello stato d'assedio. A Milano, il generale Bava
Beccaris ordinò addirittura alle sue truppe di puntare i cannoni sui dimostranti,
provocando un centinaio di morti (e per questa sua iniziativa sarà di insignito
un'alta onorificenza militare). Militanti socialisti, radicali, cattolici vennero
arrestati e condannati a pene severissime; circoli, giornali e associazioni furono
d'autorità chiusi e sciolti; le città poste in stato d'assedio.
Mentre i liberali progressisti, i socialisti, i cattolici piú aperti, i radicali denunciavano l'involuzione illiberale del governo, l'ala piú conservatrice dell'opinione
pubblica e del parlamento valutava positivamente la provocatoria proposta
dell'ex ministro Sidney Sonnino. In un articolo del 1897 intitolato «Torniamo
allo Statuto»
Sonnino, infatti, proponeva di abbandonare il regime
parlamentare, introdotto da Cavour, e di ripristinare quello costituzionale puro,
previsto dallo Statuto Albertino; in tal modo il governo sarebbe tornato a
rispondere del proprio operato non dinanzi al parlamento, ma al sovrano in
persona.
Come successore di Antonio di Rudiní venne designato un generale piemontese,
legato agli ambienti di corte, Luigi Pelloux (1898-1900), che, per far fronte ai
gravi problemi di ordine pubblico e ristabilire la pace sociale, presentò in
parlamento un pacchetto di proposte di legge anticostituzionali, tese a limitare
il diritto di sciopero, la libertà di stampa e di associazione. Compatta contro
questi «provvedimenti liberticidi», l'opposizione parlamentare costituita da
liberali, socialisti, radicali, repubblicani ricorse a espedienti ostruzionistici, prolungando le discussioni, moltiplicando gli interventi per impedire l'approvazione
delle leggi illiberali.
Lo scontro __________________________
___________________________________
L’involuzione _______________________:
- i governi ___________________
- il governo ___________________
La repressione _______________________
__________________________________
La proposta _________________________
Il governo _____________________ e i
“provvedimenti _____________________”
44
Da “Il Saviglianese” n. 22 del 1898, in seguito ai
moti per l’aumento del prezzo del pane si esegue lo
scioglimento del Circolo socialista di Savigliano
A
dare
forza
all'opposizione giunse il
risultato elettorale del
giugno 1900 che indebolì
i partiti di governo e
rafforzò le opposizioni, in
particolare i socialisti che
ottennero 33 seggi.
Dopo il breve governo di
Saracco (1900-1901) che dovette far fronte
all'assassinio
del
re
Umberto I (1878-1900), a
opera
dell'anarchico L’uccisione di ____________________
Gaetano Bresci rientrato
dagli Stati Uniti per Il governo _______________________
vendicare
le
vittime
dell'eccidio di Milano del
1898 - il nuovo re Vittorio
Emanuele III (19001946) affidò l'incarico di
governo a politici della
Sinistra
liberale:
Giuseppe Zanardelli che
governerà dal 1901 al
1903 e Giovanni Giolitti
che,
con
brevi
interruzioni, ricoprirà la
carica di presidente del
Consiglio dal 1903 al
1914.
LA SVOLTA LIBERALDEMOCRATICA:
I GOVERNI GIOLITTI
Ministro degli Interni nel governo Zanardelli, Giolitti (1903-1905; 1906-1909;
19111914) aveva dimostrato la sua convinta adesione ai principi liberaldemocratici
in precedenti e significative occasioni: come presidente del Consiglio, nel 1892-1893,
non aveva ostacolato il primo organizzarsi dei movimento operaio e del partito dei
lavoratori, né aveva preso iniziative repressive nei confronti della protesta dei Fasci
siciliani, allora appena sorti. Proprio per questa cautela le forze piú conservatrici, che
volevano al governo un "uomo forte", avevano approfittato dello scandalo della
Banca romana, nel quale Giolitti era coinvolto, per liberarsi di lui. Dimostrando,
infatti, che il capo del governo era al corrente dei finanziamenti concessi
dall'istituto di credito ad alcuni politici, tra cui lo stesso Giolitti, l'opposizione
aveva ottenuto le sue dimissioni; al suo posto era poi stato chiamato Crispi che in
questo scandalo non era meno coinvolto, avendo ricevuto anch'egli dalla Banca
finanziamenti per la sua campagna elettorale.
Una seconda occasione per dimostrare la sua fedeltà ai principi liberali si era offerta a Giolitti durante il dibattito parlamentare sui provvedimenti liberticidi di
Pelloux (1899): per impedirne l'approvazione Giolitti si era posto alla testa
dell'opposizione liberale, dando un significativo contributo all'ostruzionismo
avviato dai socialisti. Nel febbraio del 1901, all'indomani di un grande sciopero
tenutosi a Genova, Giolitti, in quel momento ministro degli Interni, riaffermava la
sua apertura liberale nei confronti delle rivendicazioni dei lavoratori. In un celebre
discorso parlamentare affermava la legittimità delle organizzazioni dei lavoratori,
ricordando che lo Stato non doveva vedere in esse un nemico, né doveva schierarsi,
nella dialettica tra datori di lavoro e operai da una parte dei contendenti. In quanto gli
Giolitti e il riconoscimento _____________
___________________________________
1 – Primo governo Giolitti
__________________________________
__________________________________ e
___________________________________
2 - ________________________________
___________________________________
3 - lo sciopero ______________________
45
competeva di pacificare e rappresentare tutte le forze sociali, lo Stato doveva tenersi
fuori dai conflitti e doveva semmai lavorare in vista dell'eliminazione delle cause di
ogni contesa.
A fondamento della sua azione di governo, che con qualche interruzione si prolunga sino al 1914, Giolitti pose l'idea della funzione unificante dello
Stato, della sua neutralità nelle lotte sociali. Se sino ad allora le forze di
governo avevano messo la polizia dello Stato
al servizio degli interessi padronali, ora
l'intervento delle forze dell'ordine durante
scioperi e manifestazioni popolari doveva
limitarsi alle eventuali violazioni delle norme
penali. L'ascesa delle classi lavoratrici e i
miglioramenti salariali erano del resto
legittimi e necessari allo sviluppo economico
della nazione; impedirne il corso con la
repressione degli scioperi, lo scioglimento
dei partiti, il rifiuto di riconoscere le
organizzazioni
sindacali
significava
ostacolare il progresso economico e sociale
della nazione.
Grazie a queste sue aperture, Giolitti ottenne un
decisivo sostegno dalle forze di sinistra, grazie al
Giovanni Giolitti (18421928), qui in un ritratto di
quale compensava la perdita dell'appoggio della
inizio Novecento, era un
Destra. Entrarono cosí nella maggioranza di
liberale di sinistra, nato a
governo i radicali - eredi della sinistra
Mondovì e sempre rieletto
risorgimentale - costituitisi in partito nel 1904,
nel collegio elettorale di
mentre restavano al di fuori della maggioranza i
Dronero.
socialisti, al cui leader, Filippo Turati, Giolitti
aveva offerto un ministero. Il rifiuto di entrare
nel governo era dipeso, in parte,dal timore che quest'ultimo si rivelasse piú
cauto e moderato di quanto dichiarato nel programma di riforme e, in parte,
dall'opposizione delle ali sindacaliste rivoluzionarie del partito. Ciò, tuttavia, non
impedirà ai socialisti di seguire con fiducia le iniziative di Giolitti approvandone
molte riforme sociali.
Fedele a una linea liberale e riformista, Giolitti creò nel Paese un clima che attrasse i
capitali stranieri in cerca di nuove aree e forme di investimento e stimolò gli
industriali italiani, più aperti alle innovazioni e sensibili alle richieste del mercato, a
innovare le loro produzioni, lanciandosi in settori dalle grandi potenzialità,
come quelli dell'automobile, della chimica, dell'energia elettrica, della siderurgia,
della cantieristica. Un sostegno e uno stimolo essenziali al decollo delle industrie italiane provenne da importanti innovazioni nel sistema creditizio, nelle infrastrutture
e nella politica economica già avviate nei decenni precedenti. Nel 1894 erano
state create due "banche miste" - il Credito italiano e la Banca commerciale - in
grado di fare da cerniera tra redditi, risparmi e investimenti. Ugualmente
indispensabile allo sviluppo industriale era la rete ferroviaria creata dai precedenti
governi, quasi completata e nazionalizzata intorno al 1905. Nello stesso anno vennero
nazionalizzati da Giolitti altri servizi pubblici, come quello telefonico, essenziale
allo sviluppo industriale oltre che all'innalzamento del tenore di vita dei cittadini,
mentre due anni prima erano stati municipalizzati (cioè affidati ai Comuni) i
trasporti cittadini, l'elettricità, il gas. Un forte incentivo alle imprese italiane era
venuto, infine, dalle misure protezionistiche adottate da tempo a sostegno della
produzione siderurgica, saccarifera e tessile e dai finanziamenti e dalle forti
commesse statali in settori come l'edilizia, la cantieristica, la meccanica.
Grazie al concorso di questi fattori la produzione industriale italiana aumentò in
modo netto e continuo, con tassi di incremento che in alcuni settori superarono il
300%. Nella ripartizione del prodotto lordo privato la quota dell'industria
Le direttive dell’azione dei governi
Giolitti:
1 – la neutralità _____________________
__________________________________
2 - ________________________________
___________________________________
L’appoggio della _____________________
Il rifiuto di ________________________
IL DECOLLO _________________________
condizioni che lo favoriscono:
1 - _______________________________
___________________________________
2 – innovazioni ______________________
___________________________________
3 – realizzazione e ___________________
_______________________________
4 – adozione ________________________
___________________________________
5 - ________________________________
I dati
46
passò dal 19,4% al 25%; l'agricoltura restò prevalente, ma diminuì in termini
percentuali rispetto all'industria e al terziario. Allo stesso modo il reddito nazionale
aumentò di un terzo negli anni tra il 1897 e il 1914, e il reddito pro capite nello
stesso periodo salì da 1.823 lire a 2258 lire.
Questo forte incremento della produttività e della ricchezza nazionale non aveva
tuttavia solide basi. Esso era infatti concentrato nelle regioni settentrionali,
intorno ai grandi poli industriali di Milano, Torino e Genova. Il Mezzogiorno,
invece, non era che marginalmente investito dallo sviluppo delle imprese tanto
che lo stesso Giolitti, consapevole del crescente squilibrio tra Nord e Sud, varò
provvedimenti straordinari (le «leggi speciali» per la Basilicata, Napoli, la
Calabria e le isole) volti a incoraggiare lo sviluppo industriale meridionale.
Queste soluzioni, parziali o temporanee, non intervennero sulle carenze strutturali
del Meridione che permase arretrato economicamente e socialmente.
L'industrializzazione italiana era, inoltre, fortemente dipendente dalle commesse
statali. Infatti, a stimolare e ad assorbire la produzione era spesso lo Stato che teneva
alti i livelli produttivi di settori come quello meccanico, siderurgico, edile,
cantieristico con la sua domanda di locomotive, macchine motrici, cemento, navi
ecc.
La neutralità dello Stato nei confronti delle rivendicazioni dei lavoratori provocò
poi un aumento degli scioperi delle manifestazioni operaie: le astensioni degli
operai dal lavoro passarono da 40-50 all'anno nell'ultimo decennio dell'Ottocento a
ben 1670 nel 1901; quelle dei braccianti, dei contadini nello stesso arco di tempo
passarono da 20-30 a 629. Effetto positivo degli scioperi furono significativi
miglioramenti salariali, che nei primi quindici anni del secolo aumentarono del
35% circa per i lavoratori dell'industria e del 50% per quelli agricoli.
Un'importante serie di provvedimenti legislativi in materia sociale migliorò
anche le condizioni di lavoro dei minori e delle donne e introdusse forme di
tutela per i lavoratori infortunati.
Lo sviluppo economico dell'Italia giolittiana si tradusse anche in un innalza mento della qualità della vita: si diffuse l'acqua corrente nelle case, vennero
migliorate le reti fognarie, si svilupparono nelle città i servizi pubblici. Diminuì la
mortalità infantile e arretrarono le malattie infettive, come il colera e il tifo, legate
alla mancanza di igiene e alla povertà alimentare; anche l'analfabetismo scese al di
sotto del 50% in tutte le regioni del Nord e l'uso della lingua italiana venne
soppiantando, in molte città, i dialetti. Questi miglioramenti non colmarono
tuttavia il divario tra le condizioni di vita degli italiani e quelle degli abitanti di
altre nazioni come la Germania, la Francia, l'Inghilterra: il reddito pro capite degli
italiani era assai piú basso che in quegli Stati, cosí come la percentuale di persone
impiegate nell'industria; l'analfabetismo era piú diffuso, l'emigrazione più alta.
Quest'ultima colpiva ora la popolazione meridionale le cui difficoltà
aumentarono dopo la svolta protezionistica e la crisi dell'economia di
sussistenza: circa mezzo milioni di italiani lasciava ogni anno la nazione alla volta
dei Paesi d'oltreoceano, con la speranza di trovare un lavoro e sfuggire alla
miseria. Il loro sacrificio offriva un momentaneo sollievo all'economia italiana:
attenuava la disoccupazione e la tensione sociale, faceva affluire denaro, in forma
di rimessa dei risparmi.
Negli ultimi anni di governo, Giolitti si trovò a dover far fronte alle difficoltà
finanziarie prodotte dalla fine della congiuntura economica favorevole. Per
mantenere l'appoggio dei socialisti, rafforzatisi nelle elezioni del 1909, accentuò il
carattere progressista della sua linea politica, sostenendo una riforma
scolastica, che attribuiva allo Stato le spese per la scuola elementare (1911),
l'istituzione del monopolio statale sulle assicurazioni sulla vita, i cui proventi erano
destinati a un fondo per le pensioni di invalidità e vecchiaia (1912), la riforma
elettorale che introduceva il suffragio universale maschile (1912).
Pressioni ancora piú forti giunsero a Giolitti da un composito fronte sociale e politico favorevole alla ripresa della politica coloniale, abbandonata dopo la sconfitta di
I _______________________________
economici
1 - _______________________________
2 - ________________________________
___________________________________
___________________________________
______________________ e miglioramenti
___________________________________
a – miglioramenti ____________________
b - ________________________________
Il miglioramento ____________________
_________________________________
_________________________ italiana
_________________________________
vantaggi (1-2-3)
Le elezioni del 1909 e il rafforzamento
________________________________:
a – l’accentuazione della politica _______
____________________ ( 1-2-3)
b – la ripresa della ___________________
___________________________________
47
Adua (governo Crispi). A chiedere questo impegno erano, oltre che il mondo
dell'industria e delle banche, che vedevano nell'impresa coloniale una fonte di
investimenti e profitti, anche cattolici e socialisti che speravano di dare sbocco in
questo modo alla crescente disoccupazione. Piú determinato e insistente nel chiedere la
ripresa della politica coloniale era il movimento dei nazionalisti; in origine
prevalentemente letterario e circoscritto a pochi intellettuali raccolti intorno alle
riviste «Leonardo» e «Il Regno», questo movimento antisocialista e
antidemocratico trovava crescente seguito in quanti erano scontenti della «mediocre»
politica giolittiana e volevano un rilancio sul piano internazionale dell'Italia.
Costituiti in Associazione nel 1910, grazie all'iniziativa di Enrico Corradini (18651931), i nazionalisti premevano ora per la conquista della Libia, cosí come
sosterranno con forza nel 1914-1915 l'ingresso dell'Italia nella Prima guerra
mondiale.
Iniziata nel 1911 con la dichiarazione di guerra alla Turchia, che dominava
sui territori libici, la guerra contro la Libia si rivelerà piú lunga, costosa in
denaro e perdite umane del previsto. L'Italia ne uscirà tuttavia vincitrice e, con la
pace di Losanna (1912 ), si vedrà riconosciuto dalla Turchia il possesso della
Libia. La vittoria rafforzava i movimenti nazionalisti e antidemocratici,
spingendo per reazione l'anima rivoluzionaria del partito socialista, guidata
dal direttore dell'«Avanti» Benito Mussolini, a prevalere nel Congresso di
Reggio Emilia del 1912 su quella riformista di Turati e su quella moderata di
Bissolati e di Bonomi, entrambi espulsi dal partito.
La crescita del Partito socialista e di quello nazionalista indebolì Giolitti,
spingendolo verso nuove alleanze, come quella con i cattolici che si realizzava nel
1913 grazie all'accordo con il presidente dell'unione elettorale cattolica Gentiloni.
Con questo accordo i cattolici dell'ala non intransigente, sempre piú convinti
della necessità di partecipare alla vita politica per arginare la crescita delle
forze socialiste, si disponevano a dare il proprio voto, nelle imminenti elezioni
politiche, ai candidati liberali che si erano impegnati a salvaguardare gli interessi e i
valori del cattolicesimo: la scuola privata, il matrimonio, le organizzazioni
sindacali cattoliche. A favorire l'avvicinamento dei cattolici alla politica era, come
abbiamo visto, l'apertura del pontefice Pio X, che nel 1904 aveva "attenuato" il
divieto imposto dal “non expedit” (1874), rimettendosi in tema di elezioni alla
coscienza dei cattolici italiani.
Nelle elezioni del 1913, le prime a suffragio universale maschile, il voto dei
cattolici consentì l'elezione di piú di duecento deputati liberali e di una ventina di
cattolici, contenendo il successo dei socialisti che ottennero 79 seggi. La maggioranza parlamentare che sosteneva Giolitti era tuttavia sempre piú divisa e una parte
dell'opinione pubblica si mostrava delusa dalla politica del governo, come dimostrava
una dura campagna di stampa condotta, tra il 1913 e il 1914, sia dagli intellettuali
meridionali che imputavano a Giolitti, definito da Salvemini «ministro della
malavita», la corruzione radicata nelle amministrazioni del Sud e l'approfondirsi
del dislivello economico e sociale con il Settentrione, sia dai giornali del Nord - con
in testa il «Corriere della Sera» - che opponevano al clientelismo e alla linea del
compromesso parlamentare perseguita da Giolitti il rigore morale e politico della
vecchia Destra storica.
A queste difficoltà si aggiunse il passaggio all'opposizione dei democratici
radicali, che facevano cosí venire meno al governo la maggioranza, e
l'approfondirsi della distanza tra governo e Partito socialista, nel quale prevaleva
ora l'ala rivoluzionaria.
L'insieme di questi processi accentuò la tendenza conservatrice giolittiana a
rafforzare l'egemonia liberale sullo stato mediante la contrattazione con i
grandi gruppi di potere della società civile: i trust industriali, in primo
luogo, ma anche gli apparati sindacali (Cgil, cooperative ecc.) e politici. Ne
risultò un modello politico incentrato sulla funzione burocraticoamministrativa dello stato e sull'accordo tra i gruppi di pressione, privo
i ________________________________
La guerra contro _____________________
1913: l’accordo elettorale con i _________
_________________________________
il patto _______________________
Le elezioni del ______________
l’ostilità _______________________:
a - ______________________________
b - ________________________________
L’opposizione ____________________ e
dei _____________________________
Giolitti e l’accordo diretto con __________
___________________________________
48
ormai di quella carica di democratizzazione che la partecipazione del
movimento operaio e l'attivazione del parlamento gli avevano conferito in precedenza. Nella nuova congiuntura politica, infatti, l'esaltazione giolittiana dello
stato finiva per identificarsi sempre più con il primato dell'esecutivo su
qualsiasi altro potere: il governo tendeva cioè a gestire in prima persona, senza
la mediazione parlamentare, i "patti" conclusi direttamente con i centri di potere
economico e sociale. Ciò implicava la svalutazione del ruolo del parlamento,
ridotto a pura sede di formazione della maggioranza (sovente legata a pratiche
clientelari). Tale politica presupponeva anche il crescente uso politico della
burocrazia e dei canali amministrativi, rappresentati soprattutto dai prefetti,
come strumento privilegiato di rapporto tra governo e società civile, con la
conseguente crescente interferenza politica nelle questioni amministrative
come nei peggiori periodi del trasformismo.
Di fronte a queste difficoltà Giolitti rassegnava, nel marzo 1914, le dimissioni,
convinto che il successore da lui indicato, il conservatore Antonio Salandra, avesse
poche possibilità di dare vita a un governo duraturo. Egli si attendeva, dopo questa
breve parentesi conservatrice, di essere richiamato alla presidenza del Consiglio.
Il sopraggiungere dello scoppio del conflitto mondiale e le polemiche
sull'intervento o la neutralità dell'Italia non favorirono il realizzarsi della
speranza di Giolitti, che alla direzione -del governo tornerà solo nel 1921,
quando l'acuirsi delle tensioni sociali successive alla guerra indurrà a riesumare la linea del compromesso e della mediazione di Giolitti.
a – svalutazione ______________________
b – uso politico ______________________
___________________________________
1914: le dimissioni di _________________
lo scoppio della _____________________
49
Scarica