A – DALLA SOCIETÀ CLASSISTA ALLA SOCIETÀ DI MASSA (1880-1920) 1 - La II rivoluzione industriale e la formazione della società di massa 2 - Tra XIX e XX secolo: dallo stato liberale allo stato liberal-democratico 1 - La II rivoluzione industriale e la formazione della società di massa (18801920) 0. La società di massa come chiave di lettura del Novecento 0.1 I caratteri della società di massa 0.2 Società classista e società di massa Una delle possibili chiavi di lettura della storia del Novecento è sicuramente rappresentata dal seguire i processi che hanno portato all’affermazione della società di massa. Infatti, a partire dalla fine dell'Ottocento, col diffondersi dell'industrializzazione e dei connessi fenomeni di urbanizzazione, e solo nei paesi economicamente più avanzati dell'Europa occidentale e del Nord America, si vengono delineando i contorni di quella che oggi chiamiamo «società di massa». Nella società di massa la maggioranza dei cittadini vive in grandi e medi agglomerati urbani; gli uomini sono quindi a più stretto contatto gli uni con gli altri; entrato in rapporto fra loro con maggiore frequenza e facilità che in passato - grazie anche alla disponibilità di mezzi di trasporto, di comunicazione e di informazione -, ma questi rapporti hanno spesso un carattere anonimo e impersonale. Il sistema delle relazioni sociali non passa più attraverso le piccole comunità tradizionali - locali, religiose, di mestiere -, ma fa capo alle grandi istituzioni nazionali: agli apparati statali, ai partiti e in genere alle organizzazioni «di massa», che esercitano un peso crescente sulle decisioni pubbliche e sulle stesse scelte individuali. Il grosso della popolazione è uscito dalla dimensione dell'autoconsumo e quasi tutti sono entrati, come produttori o come consumatori di beni e di servizi, nel circolo dell'economia di mercato. I comportamenti e le mentalità tendono a uniformarsi secondo nuovi modelli generali, svincolati dagli schemi e dalle consuetudini delle società tradizionali. Consumi e stili di vita un tempo appannaggio di un'esigua minoranza si diffondono tra strati sociali sempre più larghi. La società di massa è una realtà complessa risultante dall'intreccio di una serie di processi economici, di trasformazioni politiche e di mutamenti culturali. In essa vengono capovolti gerarchie, valori condivisi, punti di riferimento delle società tradizionali. Ciò che emerge con forza è la dimensione collettiva e di massa di esperienze che nella società classista dell’Ottocento erano state appannaggio di pochi gruppi ristretti: dalla partecipazione politica all'accesso ai consumi non di prima necessità, dall'alfabetizzazione all'estensione del suffragio elettorale, dalla diffusione della letteratura e delle arti allo sport. Di questo fenomeno cercheremo ora di cogliere le componenti principali e le manifestazioni più importanti sul piano economico e sociale, così come si presentavano nella loro fase iniziale, cioè negli anni a cavallo fra '800 e '900. LA SOCIETÀ DI MASSA COME CHIAVE DI LETTURA DEL NOVECENTO Novecento e ______________________ I CARATTERI DELLA SOCIETÀ DI MASSA 1 - _______________________________ a- _____________________________ b- _____________________________ 2 – sistema relazione sociali dipende non più ___________________________ ma _________________________________ 3 - _______________________________ 4 - _______________________________ 5 - ________________________________ ___________________________________ 1 Nel corso del XIX secolo, e in special modo nella seconda metà, il sistema produttivo industriale, dopo essersi diffuso dapprima in Europa e quindi anche in America del nord e in Giappone, ha trasformato in maniera definitiva la società dell’ancien régime. Così, per restare sul piano economico, si affermava un’economia volta non più, come lo era quella pre-industriale, a garantire i beni primari per la maggioranza e il lusso di pochi, bensì il profitto dei capitali privati investiti in attività produttivi (industrie) ma anche, e sempre più, in attività finanziarie (borsa) che tendono a controllare quelle produttive. Per tutto l’Ottocento il mercato prevalente di destinazione dei prodotti industriale rimase quello dei beni produttivi, quindi destinati ad altre aziende, reggendosi lo sviluppo industriale sullo sfruttamento della manodopera il che ne comportava l’esclusione dal mercato. Il potenziamento delle capacità produttive e organizzative (II Rivoluzione industriale fine ‘800-inizio ‘900) richiese, a partire dai primi del Novecento, un graduale allargamento del mercato destinato ad assorbire i beni di massa che caratterizzeranno la produzione industriale del XX secolo. Infatti, la rigidità sociale, tipica delle società ottocentesca, si esprimeva anche nella marcata differenza nei comportamenti tra la borghesia ottocentesca e le classi lavoratrici subalterne. Lo stile di vita, il modo di vestirsi, di mangiare, di utilizzare il tempo libero, lo stesso portamento manifestavano chiaramente queste differenze dovute all’impossibilità per le classi lavoratrice di accedere ai beni di consumo non essenziali o all’istruzione, a causa dei bassi livelli salariali, nonché della totale mancanza dei servizi sociali offerti dallo stato. Il classismo della società ottocentesca si manifestava, oltre che sul piano socioeconomico, anche sul piano politico, in quanto nello stato liberale i diritti politici (voto ed eleggibilità) erano riservati esclusivamente a coloro che avevano un certo reddito. Il classismo tipico della società ottocentesca cominciò ad attenuarsi con il sorgere della società di massa, consentendo un allargamento del mercato ai ceti medi impiegatizi che cominciavano a diventare numericamente significativi, e l’estensione dei diritti politici. Solo nei decenni attorno alla metà del ‘900 con la definitiva affermazione del mercato di massa e dello Welfare State (Stato sociale), in grado di offrire ai cittadini i servizi sociali fondamentali (scuola, assistenza sanitaria, pensioni), è avvenuta anche la completa integrazione delle classi lavoratrici. SOCIETÀ CLASSISTA E SOCIETÀ DI MASSA Ottocento: società ___________________________ prevalere mercato _______________________ (_________________ bassi ______________ _________________) mancanza _______________(stato __________) stato liberal-borghese mercato ___________________________ elitario differenze ________________________________ diritti ________________( _______________________________________) riservati all'élite Novecento: società _____________________ prevalere mercato ___________________________ prima metà ‘900: allargamento del mercato ai ____________________ seconda metà ‘900: allargamento del mercato alle ___________________ stato _____________________ (estensione dei ____________________________) 2 Il passaggio dal sistema produttivo ottocentesco a quello novecentesco finalizzato, come si è detto, il primo alla produzione di beni produttivi e il secondo dei beni di consumo, come del resto anche il passaggio dalla società classista e dallo stato liberal-boghese alla società di massa e allo stato democratico, non è avvenuta in maniera indolore tant’è che a segnarne lo sviluppo sono state una serie di crisi quali: la crisi di fine Ottocento, la Prima guerra mondiale, la crisi del ’29, l’ascesa dei regimi totalitari negli anni ’20 e ’30, nonché la Seconda guerra mondiale. 1. La crisi economica di fine Ottocento 1.1 La crisi industriale 1.2 La crisi agraria Nel 1873 il fallimento di una grande banca newyorkese, uno dei pilastri della finanza statunitense, diede il via a un'ondata di panico che si diffuse nell'economia americana e poi in tutti gli altri paesi sviluppati. Nel giro di pochi mesi negli Stati Uniti la produzione di beni durevoli cadde di un terzo per mancanza di acquirenti, mentre la disoccupazione tra gli operai dell'industria e delle costruzioni ferroviarie raggiungeva livelli elevatissimi. Anche in Gran Bretagna, Francia e Germania si apriva una duratura fase di caduta della produzione industriale. Nella sola Germania la produzione di ferro diminuì di oltre il 50 per cento nel giro di pochi anni; nei paesi industrializzati d'Europa la disoccupazione toccò livelli senza precedenti in tutto il secolo. La crisi si manifestava come una forte eccedenza dell'offerta sulla domanda, ovvero una disponibilità di merci sul mercato superiore alla richiesta, cioè alla quantità che questo era in grado di assorbire: era la prima manifestazione del meccanismo caratteristico delle crisi economiche moderne. Mentre le cosiddette crisi d'ancien régime (le crisi cioè di società precapitalistiche e prevalentemente agrarie) erano in generale causate da carestie, spesso prodotte da eventi naturali come siccità e pestilenze e si manifestavano con fenomeni anche drammatici di carenza di beni (erano quindi "crisi di sottoproduzione"), il nuovo tipo di crisi che il mondo industrializzato andava sperimentando era prodotto da un eccesso di merci sul mercato: si trattava, cioè, di una "crisi di sovrapproduzione", o, se si preferisce, di "sottoconsumo". L'indice più vistoso della crisi economica fu la caduta dei prezzi che venne a interrompere la fase di quasi continua crescita del venticinquennio precedente. La tendenza al ribasso dei prezzi si dimostrò peraltro duratura: non solo negli anni settanta, ma per tutti gli anni ottanta i prezzi dei prodotti industriali subirono un netto declino, mentre quelli dei prodotti agricolo-alimentari registrarono una caduta ancor più accentuata. Attorno al 1895 i prezzi medi risultarono del 40 per cento circa inferiori rispetto al livello del 1875. Fu proprio tale continuità nella caduta dei prezzi uno dei principali fattori che indussero i contemporanei a vedere, nel periodo che va dal 1873 al 1895, un'unica grande fase di crisi economica, definita appunto "Grande depressione". L'aumento più che proporzionale della produzione rispetto alle capacità di assorbimento del mercato derivava da tre ordini di fattori: il progresso tecnico, l'ampliamento del numero dei paesi industriali e l'imposizione di bassi salari. Si erano affiancate ai paesi tradizionalmente sviluppati (Gran Bretagna, Belgio, Francia) nuove potenze industriali dalle straordinarie capacità produttive: la Germania e gli Stati Uniti, innanzitutto, ma anche quei paesi a industrializzazione più lenta e tardiva, e pur tuttavia significativi, come l'Italia, la Russia, il Giappone. Il loro ingresso nel campo della Le __________________________ LA CRISI ECONOMICA DI FINE OTTOCENTO LA CRISI INDUSTRIALE Gli indici della crisi: 1 – caduta ______________________ 2 - _____________________________ 3 - ______________________________ dalle crisi di ______________________ alle crisi di ________________________ 4 - _______________________________ La crisi di _________________________ 1 - ____________________________ a - __________________________ b - sviluppo trasporti + ____________ ___________________________________ 3 concorrenza internazionale, unito allo sviluppo dei trasporti, che permetteva alle merci straniere di raggiungere in breve tempo qualunque mercato, aveva elevato di colpo il volume di beni disponibili e posto un limite alle capacità di espansione delle economie più mature. D'altra parte, la capacità d'acquisto del mercato era rimasta limitata a causa delle politiche dominanti di bassi salari, favorite dalla debole forza contrattuale delle nascenti organizzazioni sindacali. La situazione peggiorò ulteriormente allorché si decise, in quasi tutti i paesi colpiti dalla crisi, di rispondere alla caduta dei prezzi con ulteriori, nette riduzioni salariali: queste, infatti, anziché migliorare le condizioni economiche, provocarono nuove, più gravi riduzioni dei consumi e della domanda, aprendo una vera e propria spirale di crisi. A tutto ciò si aggiunga il fatto che, nello stesso periodo, in quasi tutti i paesi dell'Europa occidentale si andava esaurendo la forte spinta alle costruzioni ferroviarie, che avevano costituito per alcuni decenni uno dei principali motori dello sviluppo, mentre nei paesi meno sviluppati e nelle aree colonizzate stentavano ancora ad avviarsi i lavori di costruzione delle grandi reti ferroviarie che avrebbero rappresentato in seguito uno dei fattori fondamentali della ripresa. Alla crisi di sovrapproduzione industriale che caratterizzò l’ultimo quarto dell’Ottocento s’intrecciò anche una grave crisi agraria, dal momento che il settore economico in cui la caduta dei prezzi si fece sentire con maggiore intensità fu senza dubbio quello agricolo. Alle origini della crisi agraria, alla metà degli anni settanta, sta un fenomeno per certi versi simile a quello che aveva provocato la crisi industriale: la crescente unità del mercato mondiale e l'emergere di nuove potenze nella produzione agricola, come gli Stati Uniti e l'Argentina. Fu appunto la concorrenza del grano americano il fattore che scatenò la crisi agraria in Europa, determinando una brusca caduta dei prezzi. I coltivatori americani - grazie anche a una disponibilità di terre vergini assolutamente eccezionale - avevano a disposizione margini di sviluppo incomparabilmente superiori a quelli europei ed erano destinati a imporsi sul mercato. Se si pensa che nel 1887 la produzione di un bushel di grano (equivalente a poco più di 36 litri) costava negli Stati Uniti 40 centesimi, mentre in Europa il costo medio era esattamente il doppio (benché il costo della manodopera in Usa fosse più di quattro volte quello europeo), si può capire come la produttività straordinariamente più elevata dell'agricoltura statunitense fosse a questo punto in grado di dominare il mercato mondiale dei cereali. Né gli Stati Uniti erano i soli concorrenti temibili: anche Argentina e Australia dimostrarono negli stessi anni la propria superiore produttività e infersero all'economia europea un colpo durissimo. La caduta dei prezzi e la concorrenza ridussero in rovina migliaia di piccole aziende agricole; non solo, ma si accrebbe in misura preoccupante la dipendenza dell'Europa dalla produzione agricola d'oltreoceano. Basti pensare che mentre nel periodo 1811-30 il grano importato dalla Gran Bretagna si aggirava sul 3 per cento circa del fabbisogno annuo e nel 1831-51 raggiungeva appena il 13 per cento, nel 1851-60 la dipendenza inglese dalle importazioni superava il 30 per cento e nel periodo tra il 1891 e il 1895 si attestava sul 79 per cento. L'agricoltura ne risultò trasformata in modo permanente. In primo luogo l'esodo dalle campagne provocato dalla crisi segnò l'avvio di un processo di riduzione dell'occupazione in agricoltura di carattere strutturale: da quel momento in poi la popolazione agricola calò costantemente, alimentando sia la massa di popolazione urbana, sia il circuito dell'emigrazione. In Gran Bretagna, per esempio, l'agricoltura, che nel 1855-59 assorbiva il 20 per cento del prodotto nazionale, nel 1895-99 era giunta al livello, quasi 2 – bassi salari ____________________ ___________________________________ 3 - ________________________________ 4 - ________________________________ __________ (vedi pag. 6) LA CRISI AGRARIA Cause: mercato + _______________________ + concorrenza _______e _____________ + _________________________ - _________________________ Conseguenze: A - Europa ____________(paesi ___________ _______________) 1- + dipendenza _____________________ 2 - ____________________ strutturale dell’occupazione ____________________ 4 insignificante, del 6 per cento. Anche in Francia, dove pure l'agricoltura era assai più stabile, l'esodo dalle campagne fu notevole: le aree rurali, che nel 1872 assorbivano quasi il 70 per cento della popolazione, nel 1911 ne ospitavano solo il 55 per cento. In secondo luogo, in molte zone, come l'Inghilterra, ma anche come molte regioni tedesche e francesi, venne abbandona la coltivazione dei terreni meno produttivi e si accelerò, laddove essa non era ancora avvenuta, la trasformazione in senso capitalistico delle aziende agricole, ovvero la loro concentrazione e modernizzazione (processo che fu avviato anche nell'Italia settentrionale, soprattutto nella pianura Padana) attraverso l’utilizzo di lavoro salariato, l’intensificazione della meccanizzazione (mietitrici, falciatrici e soprattutto trebbiatrici a vapore) e l’estensione dell’uso di concimi chimici. Inoltre, poiché l'agricoltura mondiale incominciò a ristrutturarsi secondo principi di divisione internazionale del lavoro, l’agricoltura europea si specializzò per far fronte alla concorrenza americana e aumentare la produttività agricola. In alcune zone l'agricoltura si riorganizzò passando a produzioni più redditizie e che richiedevano un minor uso di manodopera: molte aree dell'Europa settentrionale (tra cui la valle Padana), per esempio, si specializzarono nell'allevamento e nella produzione di latticini o vennero introdotte nuove colture industriali come la barbabietola da zucchero. Nelle aree marginali dell'Europa orientale e meridionale, infine, dove latifondo e piccola proprietà contadina (forme di produzione fortemente arretrate) avevano trattenuto nelle campagne una quantità di popolazione eccessiva, la crisi significò soprattutto abbandono della terra. Il processo d'industrializzazione in queste aree periferiche d'Europa non era infatti assolutamente in grado di assorbire i contadini proletarizzati, dato anche l'alto ritmo di crescita demografica. Per milioni di contadini poveri la sola via di 3 - ________________________________ 4 – modernizzazione __________________ _________________ attraverso: a - ________________________________ b – utilizzo lavoro salariato c - ________________________________ d - ________________________________ e - ________________________________ 5 - vedi sotto B – Europa ________________________ ________________(non industrializzata) Crisi _________________________ ____________ ___________________ Su un numero de “Il Saviglianese” del 1885 si discute della crisi agraria. (l’onorevole Buttini era il deputato espresso dal collegio saviglianese) sopravvivenza rimaneva perciò l'emigrazione in altri paesi europei, come la Francia e la Germania, e, in misura più massiccia, verso i paesi d'oltreoceano. Polacchi, slavi, spagnoli, italiani (soprattutto provenienti dalle regioni meridionali) presero la via delle Americhe. Fu anche per far fronte alle conseguenze della crisi agraria e per venire incontro alle pressioni dei grandi proprietari, e degli agricoltori in genere, che i 5 governi europei finirono per imboccare la strada del protezionismo 1. Tutte le nuove tariffe adottate dai vari Stati stabilivano dazi elevati per numerosi prodotti agricoli, in particolare per i cereali. Questi interventi riuscirono a tamponare parzialmente gli effetti della crisi, tenendo in vita molte aziende che altrimenti sarebbero state inevitabilmente messe fuori mercato, ma ebbero costi economici e sociali molto elevati. L'aumento dei prezzi dei cereali, infatti, danneggiò la massa dei consumatori e rese meno impellenti l'ammodernamento delle tecniche agricole e la diversificazione delle colture. Comunque neanche i dazi doganali impedirono un generale declino del settore agricolo nel complesso dell'economia europea: negli ultimi due decenni del secolo la quota dell'agricoltura nella formazione del prodotto interno diminuì, più o meno rapidamente, in tutti i paesi industrializzati e, parallelamente, si ridusse la percentuale degli addetti all'agricoltura. 5 A - i dazi ________________________ (__________________________) Effetti: 1 - ________________________________ ________________ mancato ________ ______________________ 2 – aumento prezzi _____________ (pane) peggioramento condizione di vita masse __________________ 2. Le nuove forme dell'economia LE NUOVE FORME DELL'ECONOMIA 2.1 _________________________________________ 2.2 _________________________________________ 2.3 _________________________________________ 2.4 _________________________________________ 2.5 _________________________________________ 2.6 _________________________________________ 2. 1 - L'INTERVENTO ______________ 2.7 _________________________________________ Le risposte che imprese e stati diedero allo squilibrio economico degli anni settanta originarono una serie di processi che mutarono il volto dell'economia, della società e della politica giungendo a caratterizzare un lungo periodo storico, per lo meno fino alla prima guerra mondiale e alla difficile crisi che seguì. Si apriva una nuova fase del capitalismo, il cosiddetto "capitalismo organizzato"; cioè cosciente della necessità di superare il carattere spontaneo dei fenomeni economici guidandoli e organizzandoli: una necessità che contraddiceva esplicitamente il credo liberista in economia (e liberale in politica) che aveva dominato la fase precedente, fondato sulla fiducia nella capacità di autoregolazione del mercato. Capitalismo organizzato significava dunque la fine del periodo aureo del laissez faire e l'accettazione da parte imprenditoriale di un intervento economico dello stato. Prima attraverso misure contingenti e limitate ad alcuni settori (protezionismo), poi in forma via via più massiccia, lo stato divenne un protagonista di primo piano della crescita economica. Di fronte alla caduta generalizzata dei prezzi, alla penetrazione su tutti i mercati europei dei cereali americani, argentini e australiani, all'inasprirsi della concorrenza internazionale, l'immediata, quasi istintiva risposta fu il tentativo di "proteggere" i mercati nazionali attraverso l'elevamento di barriere doganali che impedissero, o per lo meno rendessero molto costosa, la penetrazione di merci estere. Cominciò il governo tedesco ad aumentare Dal _____________________ (laissez faire) all’ _________________________ economico ________________________ Le forme dell’______________________ _____________________: 1 - _______________________________ Effetti: - commercio ___________________ aggravamento crisi (vedi pag.______) 1 Pratica che tende a «proteggere» la produzione nazionale imponendo sui prodotti di importazione dazi doganali così elevati da scoraggiarne l'acquisto. II protezionismo è opposto al liberismo, la dottrina economica che affida al mercato il compito di regolare l'attività economica. I liberisti sono contrari all'intervento dello Stato nella produzione e nel commercio e sostengono il principio del libero scambio nei traffici tra paese e paese. 6 le tariffe doganali, poi, a poco a poco, quasi tutti gli altri (con la significativa eccezione del governo inglese, che si astenne a lungo dall'intervenire nell'economia interna) ne seguirono l'esempio, adottando una serie di misure protezionistiche che, se sul breve periodo parvero apportare un qualche vantaggio alle singole economie nazionali, finirono però per aggravare ulteriormente la situazione generale, provocando un esteso rallentamento nel commercio internazionale. Contemporaneamente lo stato andò assumendo sempre maggiori responsabilità economiche all'interno dei singoli paesi, intervenendo come acquirente dei prodotti nazionali (commesse pubbliche) e facendo dello sviluppo industriale un compito politico di primaria importanza. Le possibilità di sviluppo dei grandi gruppi industriali, soprattutto dell'industria pesante (siderurgia, cemento, chimica di base), dipesero sempre più dalla protezione e dalle commesse pubbliche, in particolare dalle spese militari. Nello stesso tempo compiti crescenti di controllo sociale, di formazione del personale e di assistenza vennero a gravare sui bilanci pubblici. Ancora una volta fu la Germania il paese in cui la nuova tendenza si manifestò con maggior evidenza, con la crescita imponente delle spese per l'istruzione e per le assicurazioni sociali e con una legislazione orientata a favorire lo sviluppo industriale in funzione dell'ampliamento della potenza nazionale. L’identificazione della propria potenza con gli interessi economici dei rispettivi capitalismi nazionali finì per tradursi nella tendenza a intervenire militarmente per l'affermazione di tali interessi. Tendenza che si espresse, almeno fino alla Prima guerra mondiale, non in scontri diretti quanto invece in un rilancio della politica coloniale (imperialismo). Mentre le maggiori innovazioni tecnologiche e organizzative avvennero, come diremo, in Germania e U.S.A. l’espansione colonialista venne utilizzata soprattutto dalla Gran Bretagna e dalla Francia, potenze che stavano perdendo competitività. Questa politica si trasformò però in un ulteriore fattore di indebolimento in quanto mantenne in vita aziende arretrate tecnologicamente che potevano godere del controllo militare dei mercati asiatici e africani. 2 – commesse ____________________ 3 – assunzione compiti di controllo sociale attraverso: __________________ e ________________________________ 4 - _______________________________ intervento __________________ a difesa degli _____________________________ nazionali 2. 2 - LA _______________________ INDUSTRIALE La seconda significativa conseguenza della Grande depressione, destinata a prolungarsi nei decenni successivi, fu l'avvio di un intenso processo di concentrazione industriale che si tradusse in una riorganizzazione delle imprese. Negli anni fra il 1873 e l'inizio del Novecento il controllo dell'economia venne assunto da un numero sempre minore di imprese industriali e finanziarie di dimensioni via via crescenti. Tale fenomeno fu generato da diverse cause. In primo luogo, l'esigenza di forme di controllo del mercato che rendessero meno violenta la concorrenza e che permettessero di frenare la caduta dei prezzi attraverso accordi tra imprese industriali e fusioni tra grandi società per azioni. In secondo luogo, il bisogno per le imprese di raccogliere e mobilitare nuovi capitali per finanziare la ripresa. Infine, la stessa "selezione naturale" che opera nell'economia durante i periodi di recessione, favorendo le imprese più solide ed eliminando le più deboli. La manifestazione più evidente di questa trasformazione fu la tendenza al monopolio e all'oligopolio in un ventaglio crescente di settori produttivi: all'inizio degli anni ottanta, per esempio, negli Stati Uniti il 90 per cento della raffinazione del petrolio era sotto il controllo di un'unica impresa, la Standard Oil; negli stessi anni il controllo sulla produzione e l'inscatolamento della carne passò nelle mani di quattro sole aziende; nel 1901 l'US Steel, massima azienda industriale del mondo, controllava due terzi della produzione siderurgica americana. In Germania, nello stesso periodo, la Siemens e l'Aeg concentravano la quasi totalità della produzione nel 7 settore elettromeccanico, mentre tre ditte (Hoechst, Basf, Bayer) avevano il controllo totale della chimica di base. La riorganizzazione delle imprese passò attraverso la creazione di trusts (trust in inglese significa "fiducia"), ovvero concentrazioni di imprese che si accordavano secondo obiettivi strategici comuni, e i cartelli, che consentivano alle imprese più importanti di un settore di dividersi il mercato. I trusts organizzavano le industrie in senso verticale, da quelle che lavoravano le materie prime a quelle che producevano il bene finale; i cartelli, invece, univano orizzontalmente le aziende che operavano nello stesso ambito (per esempio, le industrie automobilistiche o quelle che si occupavano dell'estrazione del petrolio). I primi cartelli organizzati in modo efficiente furono quelli adottati dalle società ferroviarie americane intorno alla metà degli anni settanta dell'Ottocento. Gli accordi stretti fra imprese della costa orientale degli Usa e perfezionati fra il 1874 e il 1877 prevedevano una distribuzione degli utenti sulla base di quote predeterminate, l'obbligo di non farsi concorrenza e la definizione di tariffe concordate. I trusts, invece, erano forme meno frequenti di gigantismo industriale, perché presupponevano la realizzazione non solo di accordi temporanei, sempre revocabili, ma di una vera e propria fusione fra le diverse aziende, con scambi di azioni e costituzioni di casseforti della ricchezza comune: le cosiddette holdings, società che assumevano il controllo finanziario delle diverse imprese. Fra i trusts più celebri va ricordato quello della Standard Oil, nato come cartello e poi evolutosi fino a toccare non solo la raffinazione, ma i trasporti, gli oleodotti ecc. Lo Standard Oil Trust nacque negli Usa, per impulso di John D. Rockefeller (1839-1937), nel 1882 e coinvolse ben 40 società. All'inizio degli anni novanta La _____________________________ industriale. _________: 1 - ___________________________________________________________________________________________________ 2 - ___________________________________________________________________________________________________ 3 - ___________________________________________________________________________________________________ La _____________________________________________ 1 - ___________________________________________________________ a - _________________________________: __________________________________________________________ __________________________________________________________ b - _________________________________: __________________________________________________________ __________________________________________________________ effetti: ________________________________________________________________________________________ 2 - _______________________________________________________________________________________(vedi pag. 12) la strategia della Standard Oil appariva completamente ribaltata rispetto alle origini: dalla concentrazione orizzontale essa era passata, tramite la costituzione giuridica dell’"impero" di società e la "centralizzazione organizzativa e direzionale", all'integrazione verticale. Le contraddizioni e le possibili distorsioni di questo sistema emersero negli Stati Uniti prima che altrove. Fu qui che, nel 1890, furono votate le prime leggi antimonopolistiche che imponevano il frazionamento degli enormi colossi industrialifinanziari. D'altra parte, sia le condizioni generali del mercato, sia gli investimenti profusi nei nuovi rami d'industria spingevano i principali produttori all'accordo. 8 L’oligopolio (concorrenza "imperfetta" tra pochi soggetti, propensi all'accordo) sarebbe divenuto da allora, più che l'eccezione, una forma stabile e consueta dell'articolazione del mercato, testimoniando che era ormai tramontata l'illusione liberistica della concorrenza perfetta. La crescita delle dimensioni e del potere delle imprese monopolistiche si accompagnò alla crescita delle dimensioni delle fabbriche, del numero dei dipendenti per azienda: le aziende più legate a forme di produzione artigianali furono costrette a lasciare il posto a quelle capaci di forme di produzione più moderne, fondate su tecnologie più avanzate e dotate di maggiori fondi di finanziamento. Negli Stati Uniti, il processo di progressiva crescita delle dimensioni industriali si manifestò con grande intensità proprio perché più recente era l'industrializzazione del paese: le economie di più antico sviluppo apparivano infatti più legate all'organizzazione tradizionale della produzione, mentre i cosiddetti "ultimi venuti" potevano assumere fin dall'inizio strutture produttive moderne, adeguate alle più recenti innovazioni tecniche e organizzative. Il grande fabbisogno di capitali, indispensabile per far fronte alla ristrutturazione tecnica e per sopravvivere in un mercato caratterizzato dalla presenza di grandi azienda oligopoliste, mutò anche i rapporti tra l'industria e le banche. Il rapporto tra industria e finanza si fece ovunque più stretto e la tendenza delle banche a compenetrarsi col sistema industriale andò rafforzandosi, costituendo un tratto caratteristico della fase che giunge fino alla guerra mondiale e al decennio successivo. Fu questa più intensa disponibilità di capitali al servizio di un apparato industriale sempre più costoso, per le accresciute dimensioni delle fabbriche e per il più massiccio impiego della tecnologia nella produzione, che permise quel particolare tipo di sviluppo economico e produttivo ancora fondato sull'industria pesante caratteristico dell’età dell’imperialismo. Solo le grandi banche potevano assicurare gli imponenti e costanti flussi di denaro necessari alla nascita e alla crescita dei colossi industriali per i quali i profitti, per quanto elevati, non erano sufficienti a ricostituire in tempi brevi il capitale di investimento. Fra banche e imprese si venne così a realizzare uno stretto rapporto di compenetrazione: le imprese dipendevano sempre più dalle banche per il loro sviluppo e le banche legavano in misura crescente le loro fortune a quelle delle imprese. Le banche controllavano quote rilevanti dei pacchetti azionari delle industrie, ma d'altro canto i magnati dell'industria sedevano spesso nei consigli di amministrazione delle banche. Questo intreccio fra industria e finanza è stato definito col nome di «capitalismo finanziario». All'azionariato, costituito da grandi capitalisti e dalle banche che controllavano quote significative di titoli (azioni), erano riservate le scelte finanziarie e le indicazioni strategiche mentre la gestione operativa ( pianificazione e controllo delle attività dell'impresa) era affidata ai manager, i quali agivano secondo gli indirizzi formulati dagli azionisti di riferimento. Quando l'azionariato era particolarmente diffuso, ed era difficile far emergere un nucleo forte di capitalisti o di banche di riferimento con la capacità di orientare la produzione, erano i manager, di fatto, ad assumere un ruolo di rilievo, non solo nella conduzione, ma anche nella definizione della strategia dell'azienda in precedenza di competenza della proprietà. In questo secondo caso, ovvero quando esiste una separazione tra propriètà e attività direttiva, si parla di “capitalismo manageriale”, ed esso, benché appaia negli Stati Uniti già a cavallo fra Ottocento e Novecento, è tuttavia tipico della seconda metà del Novecento in corrispondenza con la diffusione degli investimenti in borsa. 2. 3 - LA COMPENETRAZIONE TRA _________________________________: IL CAPITALISMO _________________ Banche e sistema ____________________ Il capitalismo _______________________ Scelte _________________ grande azionariato _______________________ manager Il capitalismo _______________________ separazione tra ____________________ e ________________________________ 9 All'origine dello straordinario aumento della produttività industriale stava una rivoluzione tecnologica di ampia portata che in pochi decenni venne cambiando il volto dell'industria mondiale. Negli anni fra il 1870 e il 1900 fecero la loro prima apparizione una serie di strumenti, di macchine, di oggetti d'uso domestico che sarebbero poi diventati parte integrante della nostra vita quotidiana: la lampadina e l'ascensore elettrico, il motore a scoppio e i pneumatici, il telefono e il grammofono, la macchina per scrivere e la bicicletta, il tram elettrico e l'automobile, per ricordare solo i più importanti. E stato soprattutto a questo proposito che si è parlato di seconda rivoluzione industriale: una rivoluzione che certo fece sentire i suoi effetti in modo più capillare della prima, mutando le abitudini, i comportamenti, i modelli di consumo di centinaia di milioni di uomini. Alla base di questa nuova rivoluzione c'erano i progressi realizzati dalle scienze fisiche e chimiche lungo tutto il corso dell'800. Negli ultimi decenni del secolo il flusso delle scoperte e delle invenzioni non accennò ad arrestarsi: basterà ricordare le scoperte di H. R. Hertz sulle onde elettromagnetiche (1885), da cui ebbero origine gli esperimenti di telegrafia senza fili di G. Marconi, e quelle di W. C. Röntgen sui raggi X (1895). Ma la vera novità di questo periodo non consistette tanto nelle conquiste della scienza, quanto nell'applicazione su sempre più larga scala delle scoperte recenti o meno recenti- ai vari rami dell'industria, nel legame sempre più stretto che si venne a creare fra scienza e tecnologia e fra tecnologia e mondo della produzione. Mentre la prima rivoluzione industriale aveva avuto per protagonisti imprenditori e dilettanti di genio, spiriti eminentemente pratici spesso sprovvisti di una seria preparazione teorica, la seconda impegnò in larga misura le energie del mondo scientifico. Scienziati di grande prestigio misero i loro studi a disposizione dell'industria che applicò in modo sistematico i risultati delle loro scoperte e ne moltiplicò immediatamente gli effetti pratici. Ingegneri, biologi, chimici e fisici divennero titolari o contitolari di imprese: nomi come Edison, Siemens, Dunlop, Bayer - nomi di scienziati e inventori ancor oggi associati indissolubilmente a marchi industriali - bastano a ricordarci quanto stretti fossero diventati alla fine dell'800 i rapporti fra scienza ed economia. Nessun settore produttivo rimase estraneo all'ondata di rinnovamento tecnologico degli ultimi decenni dell'800. Ma gli sviluppi più interessanti si concentrarono in industrie relativamente «giovani», come quella chimica o come quel particolare ramo della metallurgia dedito alla produzione dell'acciaio. Furono questi settori - assieme a un altro completamente nuovo come l'elettrico - a svolgere nella seconda rivoluzione industriale quel ruolo trainante che cent'anni prima, in Inghilterra, era stato svolto dall'industria del cotone e poi da quella meccanica. A metà degli anni sessanta i fratelli Martin avevano inventato un nuovo procedimento per la produzione dell'acciaio che gradualmente permise l’abbattimento dei costi di oltre il 50 per cento e determinò un'espansione su ampia scala della siderurgia. Quasi nello stesso periodo la chimica iniziava il suo impetuoso sviluppo: nel 1867 fu inventata la celluloide, nel 1884 fu la volta delle fibre tessili e artificiali; contemporaneamente incominciò a diffondersi la produzione di massa di coloranti sintetici. Accanto a questi settori venne profondamente rivoluzionato anche il settore energetico. Se la prima rivoluzione industriale si era fondata essenzialmente su un tipo di macchina, quella a vapore, e su una fonte di energia, il carbon fossile, la seconda fu caratterizzata dall'invenzione del motore a scoppio - o a combustione interna - e dall'utilizzazione sempre più ampia dell'elettricità. Il motore a combustione interna - quello in cui è lo stesso combustibile a fornire la spinta motrice, bruciando ed espandendosi in uno spazio limitato 2. 4 - ____________________________ ________________________ tecnologiche e vita ____________________________ Il rapporto __________________ / ______ ________________ e _________________ dai _______________________ agli ______________________________ A – I nuovi _________________________ L’___________________ e la _________ _ B – Le nuove ________________________ a – Motore _______________________ e _________________________ (al posto di ________________________ e ____________________________) 10 - fu il risultato di una lunga serie di studi e di esperimenti che videro impegnati, fin dagli anni '50, scienziati di diversi paesi. Furono due ingegneri tedeschi, Gottlieb Daimler e Carl Friedrich Benz, a riuscire, separatamente, a montare dei motori a scoppio - più potenti e meno ingombranti di quelli a vapore - su autoveicoli a ruote, realizzando così, nel 1885, le prime automobili. Il combustibile usato era un distillato del petrolio che prese poi il nome di benzina. Nel 1897, un altro ingegnere tedesco, Rudolf Diesel, inventò il motore a nafta che porta ancora il suo nome. Gli esordi dell'automobile furono lenti e avventurosi. Solo all'inizio del '900 si cominciarono a produrre autovetture a motore sufficientemente veloci e affidabili. E solo negli anni intorno alla prima guerra mondiale fu compiuto - prima negli Stati Uniti, poi in Europa - il salto decisivo verso la produzione in serie. Questo sviluppo limitato fu tuttavia sufficiente a dare un impulso decisivo all'estrazione del petrolio, soprattutto nel Nord America dove, alla fine dell'800, era concentrata la metà della produzione mondiale. La diffusione dei prodotti petroliferi, usati anche come lubrificanti e come combustibili da riscaldamento e da illuminazione, era però ostacolata dagli alti costi di produzione: il prezzo del petrolio era dalle cinque alle dieci volte più alto di quello del carbone che rimaneva - e sarebbe rimasto per buona parte del '900 - il combustibile di gran lunga più diffuso 2. Alla fine dell'800 molti pensarono che il primato del carbone e della macchina a vapore sarebbe stato presto soppiantato da una nuova e rivoluzionaria forma di energia: l'elettricità. Quest'ultima era oggetto di studio da oltre un secolo. La prima applicazione su vasta scala si ebbe negli anni '40 e '50 con lo sviluppo della telegrafia via filo. Fra il 1860 e il 1880, grazie alle scoperte quasi contemporanee di numerosi scienziati, fu possibile realizzare congegni in grado di trasformare il movimento di un corpo entro un campo magnetico in corrente elettrica (dinamo e generatori), di immagazzinarla (batterie o accumulatori), di trasmetterla e distribuirla a grandi distanze, di utilizzarla per l'illuminazione o il riscaldamento o di ritrasformarla in movimento (motori elettrici). L'invenzione decisiva per lo sviluppo dell'industria elettrica fu la lampadina a filamento incandescente, ideata da Thomas Alva Edison nel 1879. «Per la prima volta - ha scritto lo storico americano David S. Landes - l'elettricità forniva qualcosa di utile non solo all'industria o al commercio o al palcoscenico, ma ad ogni famiglia. [...] Adesso esisteva una domanda di dimensioni globali incalcolabili, e tuttavia atomizzata in una moltitudine di bisogni individuali, che poteva essere soddisfatta soltanto da un sistema centralizzato di generazione e distribuzione dell'energia». Nacquero così, all'inizio degli anni '80, in Inghilterra, in Francia, in Germania, negli Stati Uniti e anche in Italia le prime grandi centrali termiche - azionate cioè da motori a vapore - capaci di fornire energia elettrica a interi quartieri urbani, energia destinata soprattutto all'illuminazione privata. Più lenta fu l'affermazione dell'elettricità come mezzo di illuminazione pubblica: ai primi del '900 le principali città europee erano ancora illuminate con lampade a gas. A partire dalla fine dell'800, comunque, l'energia elettrica cominciò a essere usata anche per i mezzi di trasporto - tramvie e, più tardi, ferrovie - e per gli usi industriali: essa fornì alle fabbriche una forza motrice più comoda e flessibile di quante se ne conoscessero e rese possibili nuove b - ________________________________ La _______________________________ La produzione: dalle centrali ________________________ alle centrali _________________________ l’utilizzo: illuminazione ______________________ e ________________________ mezzi di ____________________________ forza ______________________________ 2 La disponibilità di petrolio a basso costo, che ha consentito una crescita dei livelli salariali senza comprimere il profitto, ha permesso, nei decenni a cavallo della seconda metà del ‘900, la generalizzazione del mercato di massa. Con l’accesso al mercato dei beni di consumo da parte della massa dei lavoratori si è venuta realizzando la società consumistica tipica di un sistema industriale ad alto livello tecnologico che riesce ad integrare al suo interno la maggior parte dei gruppi sociali che lo compongono. 11 lavorazioni nella chimica e nella metallurgia. Di fronte alla richiesta sempre crescente di energia elettrica si faceva strada frattanto l'idea di ricorrere per la produzione di corrente, anziché alle macchine a vapore, all'energia idraulica: cioè a quella forma di energia, ben nota fin dagli albori della storia dell'industria, che sfrutta il movimento o la caduta naturale o artificiale dei corsi d'acqua. La costruzione di centrali idroelettriche ebbe impulso, nell'ultimo decennio del secolo, soprattutto in quei paesi, come l'Italia del Nord, che erano poveri di carbone ma ricchi di bacini idrici. Sempre legate all'elettricità furono altre novità non meno rivoluzionarie: il telefono, inventato nel 1871 dall'italiano Antonio Meucci e perfezionato pochi anni dopo in Nord America dallo scozzese Alexander Graham Bell; il grammofono, ideato da Edison nel 1876; e infine il cinematografo, sperimentato in Francia nel 1895 dai fratelli Louis e Auguste Lumière. Queste invenzioni erano destinate a produrre i loro effetti soprattutto nel '900. Ma, già al loro apparire, fecero intravedere la possibilità di nuovi e fino allora imprevedibili sviluppi nel campo delle comunicazioni e anche di nuovi linguaggi e di nuove forme di espressione artistica. C – Le comunicazioni: ________________________________ ________________________________ ________________________________ 2. 5 - LA CRESCITA DELLE FABBRICHE E ___________________ Ovunque il lavoro industriale divenne oggetto di studio scientifico e fu organizzato secondo criteri di efficienza e di razionalità mai prima immaginati. Quanto più gli apparati produttivi crescevano in dimensioni, quanto più incorporavano scienza e tecnica, tanto più richiedevano adeguati criteri di gestione e di organizzazione. Razionalizzare all’esterno semplificando e controllando il mercato mediante i cartelli, i trust e le holdings e, nel contempo, razionalizzare all’interno tramite l'applicazione della scienza alla produzione e all'organizzazione del lavoro: queste divennero le parole d'ordine del momento. In Germania si registrò la più intensa, sistematica e organica applicazione del progresso scientifico e tecnologico alla produzione industriale, infatti molte delle invenzioni citate prima avvennero in Germania. Grazie al ritardo con cui il paese era giunto all'industrializzazione (cosa che permise di applicare fin dall'inizio le più moderne tecniche senza l'impaccio di un apparato produttivo superato) e grazie soprattutto a un perfetto sistema d'istruzione tecnica, finalizzato espressamente all'impiego produttivo, l'industria tedesca poté svilupparsi con rapidità e dimensioni eccezionali in base ai più razionali criteri di efficienza, affidati a un numero crescente di scienziati e di tecnici. Queste particolari condizioni determinarono la progressiva specializzazione nelle produzioni ad alta composizione tecnologica, come la chimica, l'elettromeccanica, la meccanica di precisione e l'ottica, e permisero in pochi decenni ai tedeschi di affiancare, se non superare, la consolidata potenza industriale inglese. Fu però negli Stati Uniti che si compì il progresso più significativo nella razionalizzazione del lavoro industriale. Anche qui, come in Germania, a partire dagli anni sessanta si era verificato l'ingresso massiccio degli ingegneri in fabbrica. La produttività del lavoro, grazie all'innovazione tecnologica, era salita enormemente in alcuni settori guida come quello siderurgico e meccanico. Ma, a differenza della Germania, il movimento per la razionalizzazione della produzione si era ben presto orientato non solo verso l'innovazione tecnologica (cioè verso il più razionale e scientifico impiego delle macchine), ma soprattutto verso l'innovazione organizzativa (cioè verso il più razionale e scientifico impiego degli uomini). Proprio la tendenza a estendere al lavoro umano il principio di efficienza dell'ingegneria meccanica rappresenta il fattore qualificante del movimento per l’organizzazione scientifica del lavoro di cui l'opera di Frederick _____________________________ La razionalizzazione: A - ____________________________ (trust, cartelle – vedi pag. _____) B – delle attività _____________________ attraverso l’applicazione della __________ a – alla produzione primato ____________________________ settori altamente tecnologizzati: _________ ___________________________________ b – all’organizzazione del ______________ primato ___________________________ 12 Winslow Taylor costituisce la sintesi più sistematica. La novità consisteva nello studio sistematico dei movimenti e delle operazioni lavorative, al fine di scomporre il lavoro nei suoi movimenti più semplici e misurare esattamente il tempo necessario a compierli, affidando a ciascun operaio una singola operazione. Per questa via si riteneva di poter stabilire a priori l'unico modo migliore per compiere un'operazione lavorativa e il tempo ottimale a essa necessario. Così frammentato in piccole operazioni il lavoro diventava naturalmente ripetitivo e spersonalizzato, ma consentiva l’aumento della produttività e la standardizzazione dei prodotti, poiché la loro qualità non dipendeva più dall’abilità dell’operaio, fattori che risulteranno decisivi, come diremo, per l’affermazione del mercato di massa. Il taylorismo, inoltre, aspirava a presentarsi come una proposta di riforma complessiva del mondo industriale: si riteneva che l'applicazione della scienza avrebbe liquidato il conflitto di classe, realizzando l'armonia e il benessere generali attraverso l'aumento della produttività (e quindi della ricchezza sociale) e la fissazione di criteri scientifici (quindi indiscutibili) di ripartizione del reddito legati alla produttività. Con l'uso sistematico delle macchine e la standardizzazione della produzione, la fabbrica da unità produttiva semplice venne sempre più a rassomigliare a un sistema complesso formato da un gran numero di "processi meccanici interconnessi", ognuno dei quali doveva essere sincronizzato e reso funzionale agli altri. Naturalmente esso non poteva essere conosciuto, controllato e diretto da singoli uomini. Queste funzioni dovevano essere svolte da un'organizzazione impersonale formata da un gran numero di tecnici, rigorosamente selezionati e con competenze limitate e precise, e da una massa crescente di impiegati, con compiti non produttivi, ma strettamente organizzativi e burocratici. Spersonalizzazione e burocratizzazione, accompagnati da un’esasperata separazione tra lavoro intellettuale (pianificazione, amministrazione, progettazione) e manuale divennero in tal modo caratteristiche specifiche della produzione di massa. Il _________________________________ - L’organizzazione ___________________ del lavoro 1 - ________________________________ 2 - ________________________________ 3 - ________________________________ - Teoria ____________________________ applicazione __________ al ___________ = + __________________________ + __________________________ Applicazione __________ alla __________ del __________________: _________________ _______________ = minor ______________________ sociale Conseguenze introduzione _____________________________________________ 1 - ______________________________________________________________________ 2 - ______________________________________________________________________ 3 - _______________________________________________________________________ 4 - _______________________________________________________________________ 5 - _______________________________________________________________________ 6 - _______________________________________________________________________ 2. 6 - _____________________________ L'insieme di queste innovazioni, tecniche e organizzative, generò non soltanto un balzo in avanti clamoroso della produttività del lavoro e del volume complessivo di prodotti industriali, ma anche la definizione di una nuova gerarchia internazionale tra i paesi industrializzati. Da un lato, emersero prepotentemente sulla scena due nuove potenze, la Germania e gli Stati Uniti; questi ultimi acquisirono già intorno al 1914 il primato mondiale della produzione industriale. Il vantaggio conquistato dall'industria americana e tedesca durante la "seconda rivoluzione industriale" sarebbe perdurato (insieme a quello di un paese sopraggiunto ancora più tardi tra le potenze industriali, il Giappone) per tutto il Novecento. POTENZE INDUSTRIALI I nuovi leader: ______________________ 13 Tra i fattori che permisero un tale primato è in primo luogo, come abbiamo già osservato, proprio il relativo ritardo con cui questi stati si erano avviati all'industrializzazione: meno vincolati alla tradizione, più disposti a innovazioni tecnologiche e gestionali, gli imprenditori americani e tedeschi poterono dedicare le proprie energie a settori e processi produttivi nuovi e attirare anzi finanziamenti dall'estero per le proprie attività. Di fronte all'aggressività industriale della Germania e degli Stati Uniti, le tradizionali potenze europee, Francia e Gran Bretagna, apparivano destinate a un relativo declino. Benché netto, il mutamento nei rapporti di forza economici internazionali verificatosi tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del nuovo secolo non fu tuttavia evidente alla coscienza dei contemporanei: ancora per molto tempo la Gran Bretagna fu percepita generalmente come la prima potenza mondiale e la Francia come potenza in posizione almeno paritaria rispetto agli Usa e alla rivale Germania. Lo svantaggio produttivo della Francia e della Gran Bretagna trovava un contrappeso, infatti, nella più grande estensione e ricchezza dei loro imperi coloniali, nella loro maggiore presenza complessiva sui mercati extraeuropei e soprattutto nella loro potenza finanziaria. Gli investimenti britannici negli altri paesi europei, che all'inizio della Grande depressione erano di oltre 61 milioni di sterline annui, attorno al 1910 risultavano più che triplicati. Complessivamente si produsse, all'inizio del nuovo secolo, una "divisione del lavoro" tra potenze industriali che esportavano capitali, la Gran Bretagna e la Francia, e altre che ne importavano, gli Stati Uniti, mentre la Germania era un paese sostanzialmente autosufficiente. Questa potenza finanziaria costituiva sì un fattore di riequilibrio rispetto ai divari che si stavano producendo in campo industriale, ma il flusso di capitali all'estero contribuì alla lunga anch’essa a indebolire ulteriormente l'industria francese e inglese, perché si preferì finanziare l'innovazione altrove piuttosto che in patria. Se la gerarchia dei paesi industrializzati risultò cambiata dalla crisi di fine Ottocento e dalle modificazione da essa causate, la ripresa che segnò l’inizio del Novecento consentì il definitivo decollo dell’industrializzazione in nuove aree come alcune regioni della Russia e dell’Italia, dove essa si concentrò soprattutto nel cosiddetto triangolo industriale costituito dall’area compresa tra Torino, Milano e Genova. Dagli ultimi anni dell'800 allo scoppio della prima guerra mondiale (1914) l'economia dei paesi industrializzati conobbe una fase di espansione intensa e prolungata, interrotta solo da una breve crisi nel 1907-8. In questo periodo l'indice della produzione industriale e quello del commercio mondiale risultarono più o meno raddoppiati. I prezzi, che erano stati sempre calanti a partire dal 1873, crebbero costantemente, anche se lentamente, dopo il 1896. Ma crebbe anche, e in misura più consistente, il livello medio dei salari e il reddito pro-capite dei paesi industrializzati aumentò nonostante il contemporaneo, cospicuo aumento della popolazione. La crescita dei redditi determinò a sua volta l'ampliamento del mercato. Le industrie produttrici di beni di consumo e di servizi si trovarono per la prima volta a dover soddisfare una domanda che sempre più assumeva dimensioni di massa. Beni la cui produzione era stata fino allora assicurata solo dal piccolo artigianato o dall'industria domestica - abiti e calzature, utensili e mobili cominciarono a essere prodotti in serie e venduti attraverso una rete commerciale sempre più estesa e ramificata: nelle città, ma anche nei piccoli centri, si moltiplicarono i negozi; i grandi magazzini crebbero in numero e in dimensioni; si aprirono nuovi canali di vendita a domicilio e per avvantaggiati dal ____________________ Le vecchie potenze: __________________ potenze ________________________ e _____________________________ la mancata __________________________ ___________________________________ I nuovi paesi industrializzati: _______________(triangolo industriale) __________________ 2. 7 - ___________________________ E LA NUOVA ______________________ _______________________ 1896 - _____________: la nuova fase di ___________________ La produzione di nuovi ________________ e il nuovo __________________________ 14 corrispondenza, con forme di pagamento rateale che rendevano gli acquisti più accessibili ai ceti meno abbienti; i muri dei palazzi e le pagine dei giornali si riempirono di annunci e cartelloni pubblicitari. Inserti pubblicitari apparsi sul n. 34 de “Il Saviglianese” del 1908 L’innovazione tecnologica e le trasformazioni organizzative dei processi produttivi (catena di montaggio), che costituiscono il fulcro della seconda rivoluzione industriale, generarono quella grande trasformazione sociale, caratteristica del Novecento, che è costituita dal mercato di massa. Il bene simbolo di questo mercato era già all’inizio del Novecento costituto dall’automobile che, come del resto lo stesso mercato di massa, si impose negli Stati Uniti fin dai primi anni del secolo con il lancio del primo modello di utilitaria3 da parte della Ford che fu anche, nel 1913, la prima a introdurre nelle sue officine la catena di montaggio. L’industria di Detroit, proprio perchè fu la prima a produrre automobili in grande serie, legò il suo nome alla una nuova filosofia imprenditoriale – identificata come il fordismo4 - basata sui consumi di massa, sui prezzi competitivi e sugli alti salari. Fino al primo dopoguerra gli Stati Uniti restarono l'unico paese dove la massificazione della società si era manifestata a pieno, mentre l'Europa si trovava in una fase intermedia nella quale l'economia di massa non aveva ancora comportato una significativa crescita dei consumi e soprattutto di quelli automobilistici, anche se non bisogna dimenticare che la Fiat lanciò la sua "utilitaria", la Zero, nel 1912. Questo scarto era dovuto principalmente al differente modello di sviluppo che in Europa era fondato più sul nesso tra la grande impresa e l'intervento dello stato Il bene simbolo:___________________ Modelli di sviluppo: americano: incremento _________________________ europeo: incremento _________________________ 3 Modello di vettura caratterizzato da un basso costo d'acquisto e dalla semplicità e affidabilità della costruzione che la distingue nettamente dalle automobili concepite come bene di lusso. Ai modelli di utilitaria si è legata, nel corso del XX secolo, la motorizzazione di massa. Come equivalenti del Modello T americano si possono ricordare vetture europee prodotte nel secondo dopoguerra in un elevatissimo numero di esemplari, come la Volkswagen in Germania e le Fiat Seicento e Cinquecento in Italia. 4 I termini fordismo e taylorismo fanno entrambi riferimento all’organizzazione scientifica del lavoro di cui abbiamo parlato in precedenza. 15 che su quello tra produzione e mercato. Un gran numero di grandi imprese europee erano infatti legate più alla spesa statale, fatta di navi, armamenti, ferrovie, che ai consumi dei cittadini. Ciò non toglie che anche in Europa alla fine dell'Ottocento la piccola borghesia, da un lato, e gli strati più agiati della classe operaia soprattutto urbana, dall'altro, riuscirono ad accedere all'universo dei beni prodotti in serie dall'industria moderna, rompendo una tradizione che li aveva legati per secoli a livelli di consumo bassissimi, in grado di garantire la semplice riproduzione "fisica" delle persone. Grazie a una nuova stagione di scoperte scientifiche nel campo della medicina e dell'igiene, della conservazione dei cibi e della coltivazione delle derrate agricole non solo alcune grandi malattie come il colera, la malaria o la tubercolosi poterono essere curate se non interamente debellate, ma gli standard alimentari della popolazione del mondo occidentale migliorarono notevolmente. La vita media cominciò ad allungarsi e la mortalità, soprattutto quella infantile, a scendere considerevolmente, con il risultato che fra il 1871 e il 1914 la popolazione europea aumentò da 300 a 450 milioni. La crescita della popolazione costituiva il segnale di un progressivo miglioramento delle condizioni di vita, in larga misura dipendente dall'industrializzazione, che era in grado da un lato di garantire a costi sempre più accessibili cure e medicine, prodotti alimentari e acqua potabile, dall'altro di permettere un aumento del tenore di vita delle classi lavoratrici5. I consumi di massa si inseriscono in questo processo di relativa diffusione del benessere che consentiva a quote crescenti della popolazione di disporre di risorse maggiori di quelle strettamente necessarie alla sopravvivenza che potevano essere orientate all'acquisto di una bicicletta, di un abito o più semplicemente di un biglietto per il cinematografo o per una partita di calcio. Questa nuova dinamica sociale fu resa possibile dall'azione convergente di due fenomeni: la riduzione dei prezzi dei beni di consumo, consentita a sua volta dalle L’allargamento del mercato a ___________ ___________________________________ ___________________________________ Gli effetti di + ____________________: + qualità della _________________ + _______________ della vita aumento _________________________ (vedi nota n. 5) Innovazione _____________________________________________________________ - ________________________ ALLARGAMENTO MERCATO + __________________ + ________________________ (terziario) ____________________________________________________________________________________ innovazione tecnologiche e organizzative e che rese possibile anche alle classi intermedie l'accesso a consumi prima riservati ai ceti più abbienti (proprietari fondiari, imprenditori e commercianti, professionisti), e l'elevazione dei redditi, 5 Questo vistoso aumento della popolazione - fondato su incrementi annui non particolarmente elevati, ma costanti e protratti nel tempo - fu tanto più notevole in quanto era dovuto essenzialmente alla caduta della mortalità ed era accompagnato da una progressiva riduzione della natalità. . La vita media dell'uomo europeo, che era di 30-35 anni prima della rivoluzione industriale e di circa 40 verso la metà dell'800, poté quindi salire a 50 anni alla fine del secolo. La tendenza al calo delle nascite, per effetto del controllo della fecondità e della diffusione di metodi contraccettivi, si era manifestata precocemente in Francia alla fine del XVIII secolo si diffuse in seguito in tutto l'Occidente. Questo comportamento demografico, proprio dei paesi economicamente più avanzati, esprimeva un nuovo atteggiamento nei confronti della vita dei figli: un atteggiamento svincolato da presunte «leggi naturali», meno soggetto al tradizionale controllo delle norme religiose, reso possibile dal fatto che il lavoro dei figli non era più necessario per integrare il reddito famigliare . Agli inizi dell'età industriale i principali paesi europei avevano un tasso di natalità medio che si aggirava intorno al 35 per mille- ossia 35 nati per anno su mille abitanti. Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, in Inghilterra, in Germania e negli Stati Uniti, il tasso scese sotto il 30 per mille. In Francia la natalità era inferiore al 30 per mille già nel decennio 183039. In Italia e in altri paesi mediterranei, ancora alla fine dell'800, il tasso si manteneva invece ben al di sopra del 35 per mille: sarebbe sceso sotto il 30 solo negli anni '20 del '900. 16 determinata dall'aumento degli stipendi e dei salari combinato con l'aumento delle occasioni di lavoro. Infatti, più le società occidentali si industrializzavano, più aumentavano i posti di lavoro, non solo nell'industria, ma soprattutto nel terziario. La diffusione dei consumi non era solo un fenomeno economico e commerciale. Sottintendeva una mutazione profonda delle aspettative e degli stili di vita delle persone, combinata con una complessa riorganizzazione del tempo quotidiano. Man mano che il "progresso" liberava gli uomini da una vita di stenti e di fatica, quale era stata la condizione umana per la maggioranza della popolazione europea per secoli, la percezione collettiva del futuro si modificò radicalmente rendendo il “benessere” un'aspirazione plausibile. Certo ci volle quasi tutta la prima metà del Novecento perché questa prospettiva diventasse effettivamente alla portata di tutta, o quasi tutta, la minoranza della popolazione terrestre che viveva nell'Occidente; ma già agli inizi del nuovo secolo la modernità appariva agli occhi di masse sempre più larghe col volto di una prosperità accessibile, garantita dalla scienza e dall'industria. Una prosperità che comportava il superamento di una morale pubblica fondata sulla rinuncia e sul risparmio, sull'accettazione delle ristrettezze e sulla procrastinazione della felicità nell'aldilà, sostituita da un'altra che poneva il miglioramento delle condizioni di vita come scopo principale dell'esistenza, fino al punto da ritenerlo un “diritto”. In questo quadro lo svago divenne una componente fondamentale del nuovo sistema di consumi. Se nel passato nei villaggi la popolazione rurale si divertiva durante il Carnevale o nel corso delle feste religiose, nelle città di fine Ottocento le tradizioni cambiarono. Le feste rituali vennero sostituite dagli spettacoli teatrali e poi cinematografici, dalle gite in bicicletta o in automobile, dal turismo e soprattutto dagli sport all'aria aperta, dove la competizione si univa alla cura del fisico e all'esaltazione patriottica e poi nazionalistica. La Gran Bretagna, primo paese industriale, fu anche il primo a sperimentare i divertimenti di massa, dal rugby al calcio: l'istituzione della coppa della Lega di calcio risale al 1871. La nazionale del Regno Unito fu costituita durante gli anni settanta; il primo match fra nazionali si tenne nel 1902 fra l'Austria e l'Ungheria; la Fifa (federazione internazionale del calcio) sorse nel 1904. Alla passione tutta inglese per il calcio, Francia e Italia opposero quella per il ciclismo. Il Tour de France è del 1903, il Giro d'Italia del 1909. Anche l'automobile fu al centro di nuove attività sportive motoristiche con le gare di durata e i “gran premi” nazionali. Ma un'idea precisa della funzione dolo sport nei paesi moderni è offerta dalla reinvenzione delle Olimpiadi, nel 1896, a opera di Pierre de Coubertin. Lo spirito dell'iniziativa era chiaro: dirottare il confronto e la competizione fra i paesi sul terreno simbolico dello sport. Lo spettacolo divenne show business, un'attività economica a cui bisognava applicare le regole del commercio moderno: costi accessibili, vendita del "prodotto" attraverso la pubblicità, superamento della concorrenza con numeri sempre più mirabolanti. Il business riguardava essenzialmente la capacità di occupare una dimensione del tutto nuova della vita, vale a dire il "tempo libero". Nelle società preindustriali non esisteva il tempo libero, perché per la quasi totalità della popolazione il lavoro occupava l'intero spazio dell'esistenza, salvo il tempo dedicato al sacro, mentre per la nobiltà, esentata dal lavoro, tutto il tempo era di fatto libero. La definizione di tempo libero presuppone invece una netta distinzione sociale tra il tempo dedicato al lavoro e un tempo privato, familiare, che ognuno decide di dedicare a una molteplicità di attività tra cui anche quella di manifestare la propria fede religiosa o il proprio credo politico. Il tempo libero trova la sua origine nella città industriale ed è soprattutto il risultato del lungo conflitto tra capitale e lavoro per l'accorciamento della giornata lavorativa. In questo quadro si iscrivono non soltanto la progressiva riduzione delle ore lavorate giornalmente, fino alla fatidica conquista delle "otto ore" quotidiane, ma anche la diffusione contrattuale delle ferie estive, cui seguirà dopo il primo dopoguerra e soprattutto per gli impiegati il sabato festivo. Questo tempo libero definì uno spazio di esistenza MERCATO DI ___________________ E OMOGENEIZZAZIONE DEI ________________ I nuovi _____________________________ A – il ______________________________ B – dalla festa ___________________allo ___________________ - lo _____________________ - lo _________________________ - il tempo _______________________ società preindustriale: tempo ______________ / ______________ società industriale: tempo ________________ / ____________ 17 dedicato prevalentemente allo svago, che modificò profondamente gli stili di vita della maggior parte dei ceti sociali. Organizzare il tempo libero divenne non solo un impegno delle famiglie e degli individui, ma soprattutto un nuovo campo di iniziative imprenditoriali e di investimenti che fecero nascere un'industria dello spettacolo e dello svago. La massima opportunità delle offerte si tradusse in un sistema livellatore che standardizzava il consumo di tempo libero come quello di tutti gli altri beni di consumo. Rapidamente si imposero modelli di consumo del tempo libero omogenei: gli sport di massa come il calcio e il ciclismo, o il rugby o il baseball, il cinematografo e il teatro popolare, il turismo. L’industria dello svago ebbe un solo vero concorrente: la politica. La comparsa delle masse sulla scena economica come consumatori si combinò con la loro irruzione sulla scena politica, facendole diventare referenti principali e base elettorale dei nascenti partiti politici. Erano nuovi soggetti che cominciavano a occupare uno spazio che era stato esclusivo appannaggio delle classi proprietarie, mettendo in campo nuove forme di partecipazione collettiva: oltre alle tradizionali forme di protesta sindacale, il comizio, la manifestazione di piazza, la riunione di partito, la campagna elettorale. Si trattava di iniziative che si svolgevano in larga misura nel tempo libero, senza il quale sarebbe stato impossibile concepire e attuare la mobilitazione di massa come elemento costitutivo della politica moderna. Gli esordi della società di massa, se da un lato tendevano a creare uniformità nei comportamenti e nei modelli culturali di una parte crescente della popolazione, dall'altro rendevano più mobile e più complessa la stratificazione sociale. Nella classe operaia si veniva accentuando la distinzione fra la manodopera generica e i lavoratori qualificati, fra il grosso del proletariato e le cosiddette «aristocrazie operaie», che partecipavano in misura maggiore ai vantaggi dello sviluppo capitalistico. Contemporaneamente, l'espansione del settore terziario e la crescita degli apparati burocratici facevano aumentare la consistenza di un ceto medio urbano che andava sempre più distinguendosi dagli strati superiori della borghesia. A ingrossare le file di questo ceto medio contribuivano sia il settore del lavoro autonomo sia quello del lavoro dipendente. La crescita dei lavoratori autonomi fu dovuta in parte alla moltiplicazione degli esercizi commerciali, in parte all'emergere di nuove attività - il fotografo, il, meccanico, il dattilografo - che compensava ampiamente il declino delle botteghe artigiane e la progressiva scomparsa di alcuni vecchi mestieri lo scrivano, il maniscalco, l'acquaiolo. La categoria dei dipendenti pubblici si allargava di pari passo con l'aumento delle competenze dello Stato e delle amministrazioni locali in materia di sanità, di istruzione, di trasporti e di altri servizi. Ancora più rapidamente cresceva la massa degli addetti al settore privato - tecnici, impiegati, commessi - che svolgevano mansioni non manuali quelli che più tardi sarebbero stati chiamati «colletti bianchi» - per sottolineare il contrasto con i “colletti blu” delle tute degli operai. In Germania, per esempio, in poco più di quaranta anni (tra 1883 e 1921 il numero dei colletti bianchi aumentò di circa cinque volte, mentre quello degli operai si limitò a raddoppiare). Già alla vigili della prima guerra mondiale, nei paesi più industrializzati e più toccati dai processi di modernizzazione produttiva, colletti bianchi e impiegati statali costituivano una massa abbastanza omogenea e numerosa anche se non paragonabile per consistenza (come sarebbe avvenuto in tempi più recenti) a quella dei lavoratori manuali. Nella scala dei redditi i ceti medi impiegatizi occupavano una posizione molto distante da quella dell'alta borghesia e tendenzialmente più vicina a quella degli strati «privilegiati» della classe operaia. Dal punto di vista della cultura, della mentalità, dei comportamenti sociali, la distinzione fra piccola borghesia e proletariato era però molto netta. I ceti medi rifiutavano ogni la lotta per __________________________ ___________________________________ L’impiego del ___________________: a - ________________________________ b - ________________________________ ___________________________________ A – classe _______________________ operai _______________________ e __________________ B – classe _____________________ composizione: a - ________________________________ b – ceti ___________________________ - dipendenti ________________________ - dipendenti _________________________ I ceti ____________________________: - _______________________________ 18 identificazione con le masse lavoratrici, erano per lo più refrattari a inquadrarsi nelle organizzazioni sindacali e puntavano sul merito - __________________________________ individuale per progredire nella scala sociale. Agli ideali tipici della tradizione operaia - la solidarietà, lo spirito di classe, l'internazionalismo contrapponevano i valori storici della borghesia: l'individualismo e la rispettabilità, la proprietà privata e il risparmio, il senso della gerarchia e il patriottismo. Anzi, si atteggiavano a difensori di questi valori in polemica con l'alta borghesia industriale e bancaria, che tendeva a diventare cosmopolita e ad assumere modelli di comportamento tipici delle classi aristocratiche (si pensi alla “belle epoque”). Nonostante fosse un ceto «di confine», privo di una originale identità culturale e di una propria autonoma rappresentanza politica, la piccola borghesia - __________________________________ impiegatizia era tuttavia destinata, man mano che cresceva in consistenza numerica, a svolgere un ruolo di primo piano: sia nel campo economico, in quanto principale destinataria. di una serie di beni di consumo prodotti dall'industria, sia in quello politico, come elettorato di massa, capace, a seconda delle sue oscillazioni, di far pendere la bilancia dalla parte delle forze conservatrici o di quelle progressiste. 19 2 - Tra XIX e XX secolo: dallo stato liberale allo stato liberal-democratico 1 La società di massa e le modalità della vita politica 2 Le ideologie politiche 3 Lo scontro tra conservatori e progressisti: l’affermazione dello stato liberaldemocratico 4 Il caso italiano 1 La società di massa e le modalità della vita politica 1.1 Il nuovo ruolo della comunità nazionale 1.2 I partiti e la partecipazione alla vita politica Il modo di vivere la politica del Novecento è stato profondamente segnato dal passaggio da una società elitaria, tipica dell’Ottocento, alla società di massa che ha caratterizzato invece il Novecento. Tale passaggio ha, tra il resto, comportato l’assunzione di un ruolo di primaria importanza della comunità nazionale nella vita degli individui 6. In una società non di massa l’orizzonte in cui si colloca l’individuo è determinato dalla comunità locale di appartenenza che media le sue relazioni sociali e regola i suoi comportamenti. In una società di massa l’orizzonte in cui si colloca l’individuo è sempre più mediato dalla comunità nazionale all’interno della quale agiscono lo stato, i grandi gruppi economici, le organizzazioni di massa quali i partiti, i sindacati e le associazioni. In questa maggior presenza della vita nazionale nella vita dell’individuo hanno un grosso ruolo i mezzi di comunicazione di massa che consentono di raggiungere le masse con messaggi emessi dal centro. Nella vita di un contadino o di un operaio ottocentesco la presenza dello stato si concretizzava esclusivamente nel momento in cui occorreva pagare le tasse o in relazione a motivi di ordine pubblico, quando veniva arrestato per ubriachezza, per liti o piccoli furti; dallo stato essi non aveva alcun tipo di servizio né di soccorso in caso di necessità, essendo questi ultimi assicurati dalle vecchie strutture socio-sanitarie, spesso ancora legate alla chiesa e gestite dalle comunità locale o dalle nuove società di mutuo soccorso, sorte proprio a questo scopo laddove si erano manifestate le prime forme di sviluppo industriale con il conseguente incremento della manodopera industriale. Tra fine Ottocento e inizio Novecento la presenza dello stato si è andata via via allargandosi, grazie al fatto che lo stato ha assunto un nuovo ruolo nella formazione degli individui (istruzione e addestramento militare) o nell’assistenza sociale, fornendo una serie di servizi che prima erano a carico della comunità locale. Le prime forme di assistenza (assicurazione obbligatorie per la vecchiaia, per gli infortuni e per la malattia), garantite all’inizio del Novecento a una fascia privilegiata di lavoratori, consentivano allo stato di assumere un importante ruolo di regolazione delle condizioni di vita delle classi subalterne e, contemporaneamente, di integrare una parte della classe lavoratrice indebolendone la forza eversiva. La formazione di un sistema di istruzione obbligatorio gratuito per tutti, insieme con il servizio militare obbligatorio, ha consentito allo stato di svolgere un ruolo importante nel processo di formazione dei cittadini, condizionando i modi di pensare e i comportamenti utilizzando a tal fine ideologie patriottiche, nei regimi democratici, e nazionaliste, nei regimi totalitari. LA SOCIETÀ DI MASSA E LE MODALITÀ DELLA VITA POLITICA Dalla società di ____________________ alla di ____________________________ Le nuove modalità della vita politica 1- IL NUOVO RUOLO _________________ __________________________________ dalla comunità ______________________ alla comunità _______________________ ruolo dei ___________________________ stato e ___________________________ nel ______________________________ Novecento: il ______________________ dello ________________ A – forme di ________________________ finalità: a - ________________________________ ___________________________________ b -_________________________________ ___________________________________ B - _______________________________ Finalità: ___________________________________ insieme con _________________________ 6 Sulla società di massa vedi anche la dispensa “La seconda rivoluzione industriale e la società di massa”. Per la definizione di società di massa pag. 1e 2. 20 La maggior presenza dello stato nella vita dell’individuo si attua anche attraverso una maggior ingerenza dello stato nella società. Infatti, mentre nell’Ottocento lo stato si limitava a garantire la libertà di mercato, nel corso del secolo scorso esso ha assunto sempre di più il ruolo di regolatore delle dinamiche economiche. Allo stesso modo per quel che riguarda i conflitti sociali, mentre nell’Ottocento lo stato interveniva per reprimere le manifestazioni dei lavoratori in quanto turbavano l’ordine pubblico, nel Novecento in relazione alla normalizzazione del conflitto sociale lo stato tende ad assumere il ruolo di mediatore dei conflitti sociali. C – maggior ingerenza ________________ ___________________________________ a – regolazione dinamiche _____________ b – regolazione dinamiche _____________ 2 – LA PARTECIPAZIONE ________________ ALLA VITA __________________________ Il fenomeno che più di ogni altro incise sulla forma stessa della politica e sull'assetto delle istituzioni si definisce, anche in questo campo, "massificazione": nel giro di pochi decenni la partecipazione di massa, cioè di gruppi sempre più estesi di popolazione, alla vita politica divenne un fatto permanente in Europa. E vero che, fin dalla rivoluzione francese le masse avevano fatto, in qualche modo, irruzione sulla scena della storia, ma il loro protagonismo era rimasto un fatto episodico, confinato alle grandi occasioni, alle "giornate rivoluzionarie" Dagli ultimi decenni dell'Ottocento, invece, con l'estensione del suffragio, con la nascita dei grandi partiti di massa e con la diffusione di ideologie di mobilitazione forti, il fenomeno divenne quotidiano e normale. Nel periodo che va dall'inizio della Grande depressione ai primi anni venti del Novecento, pressoché tutti i paesi europei giunsero alla "democrazia di massa" con la diffusione del suffragio universale maschile a scrutinio segreto: molti milioni di persone fino ad allora escluse dalla cittadinanza politica acquistarono il diritto di partecipare alla formazione e alla selezione della classe politica. Già alla vigilia del conflitto mondiale, almeno cinque paesi europei erano giunti al suffragio universale maschile a voto segreto e uguale (Francia, Danimarca, Norvegia, Svezia e Italia). Negli anni immediatamente successivi alla guerra, e comunque prima del 1920, altri tre se ne aggiunsero (Belgio, Germania, Austria). La questione divenne allora non più se far intervenire nel dibattito politico la totalità della popolazione (questione tipica del modello liberale ottocentesco), ma "come" farla partecipare (problema peculiare di una "democrazia di massa") e in quali forme "organizzare" l'espressione politica delle masse. Non si trattava più di optare pro o contro la democrazia, ma di stabilire per quale tipo di democrazia optare: quale forma di "rappresentanza" costruire. Quel processo di brusco ampliamento della cittadinanza politica finiva tuttavia per produrre profonde delusioni. Il modello di democrazia rappresentativa, che si affermava con il diritto di voto a tutti, solo in minima parte rispondeva, infatti, al progetto di concedere a tutti il diritto di "decidere" delle cose pubbliche e di partecipare alla vita delle nazioni. In primo luogo, esso faceva emergere piuttosto delle nuove élite (le "classi politiche" che nei diversi paesi trovavano nel voto di massa una legittimazione), spesso altrettanto esclusive e autoritarie delle precedenti aristocrazie. Infatti, la partecipazione di masse crescenti alla vita politica non poteva più avvenire secondo processi spontanei di partecipazione e neppure nell'ambito delle semplici e limitate norme organizzative che la politica aveva assunto nell'Ottocento (i club, le associazioni a base notabilare ecc.), ma presupponeva la costruzione di apparati capaci di inquadrare le masse, di capillari strutture organizzative capaci di convogliare e disciplinare l'espressione popolare: i partiti politici, su cui si scaricava in buona parte questa funzione di organizzazione della partecipazione massificata alla politica, si trasformarono ben presto in grandi macchine burocratiche destinate a favorire un vertice di funzionari e gruppi di potere permanenti, che finivano per concentrare in sé ampi poteri di decisione, esautorando dalla partecipazione __________________ alla _______________________________ LE MODALITÀ DELLA PARTECIPAZIONE A - _______________________________ La democrazia _____________________ = il diritto di ________________________ ___________________________________ da _________________________________ a __________________________________ B - ______________________ e la partecipazione alla vita politica la nuova ___________________________ la _______________________________ della vita politica 21 quelle stesse masse per dar voce alle quali l'organizzazione era nata. La trasformazione del modello democratico ottocentesco trovò espressione teorica nell'opera di Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto e Roberto Michels, fondatori della cosiddetta "teoria dell'élite"; che affermava l'impossibilità della democrazia integrale e l'inevitabile tendenza dei moderni sistemi politici verso 1’oligarchia; cioè verso la formazione di una minoranza di governo che avrebbe finito per dominare sulla maggioranza. Nella vita politica l'ampliamento della base elettorale e i limiti della democrazia indiretta trovarono espressione, sul piano ideologico, nella crescente antitesi tra parlamentarismo e antiparlamentarismo: nella contrapposizione cioè, nell'ambito degli schieramenti politici, a destra come a sinistra, di correnti che facevano dell'azione parlamentare il proprio scopo principale e di correnti che, al contrario, intendevano contrapporre alla "falsa democrazia" rappresentativa parlamentare forme più autentiche e radicali di partecipazione, a base nazionalista, corporativa o classista. I tradizionali partiti europei di tipo liberale, i cosiddetti "partiti di notabili"' espressione di ristretti gruppi di interesse, erano per la maggior parte nati in epoca di suffragio ristretto, rigorosamente basato sulla proprietà; essi erano poco inclini alle grandi contrapposizioni ideologiche e, privi di forme permanenti di organizzazione, in quanto sorti solitamente intorno a singoli personaggi di prestigio, e tendevano a fare del parlamento il luogo principale, se non l'unico della propria attività. La trasformazione del modello democratico impose con urgenza a questi partiti tradizionali, pena l'estinzione, la necessità di una organizzazione interna. Primo obiettivo fu la creazione di strutture solide, durature: era, infatti, indispensabile radicare l'organizzazione politica nelle realtà urbane, laddove non ci si poteva affidare a quella società tradizionale caratteristica delle aree rurali che era stata, nei decenni precedenti, la forza principale del ceto dei notabili. In secondo luogo, s'imponeva un altro grande mutamento, riguardante i rapporti con le classi sociali. Nati come partiti della proprietà, i movimenti politici tradizionali avevano bisogno per sopravvivere di estendere la loro influenza anche ai ceti non possidenti, che accedevano in quegli anni al diritto di voto, e di strappare quindi l'egemonia politica al movimento socialista attraverso una sorta di coalizione di interessi diversi. Solo pochi partiti tradizionali, in Europa riuscirono a compiere questa trasformazione e a mantenere così l'egemonia. Gli altri entrarono in crisi, creando profondi vuoti di potere e situazioni più o meno drammatiche di instabilità. All'opposto del partito di notabili era il modello di partito americano. Carattere peculiare del sistema politico statunitense era il fatto che nessuno dei due grandi partiti dominanti rappresentava un unico gruppo o strato sociale o un unico interesse economico, ma costituiva il punto d'incontro e di mediazione tra settori sociali differenti: così il Partito repubblicano era, insieme, il partito dei settori capitalistici avanzati e degli agricoltori del Midwest e dell'ovest e godette a lungo anche dell'appoggio di un settore considerevole della classe operaia. D'altra parte il Partito democratico, "partito degli esclusi" negli anni successivi alla guerra civile, raccoglieva sia i voti dei tradizionali ceti dominanti del sud, sia quelli della massa dei lavoratori immigrati, e aveva l'appoggio di un settore capitalistico che era rimasto legato al libero scambismo. Questo caratteristico rapporto tra organizzazione politica e società era favorito dal sistema bipartitico, che rendeva impossibile una rappresentanza politica separata per tutti gli interessi e i settori sociali significativi, e dal mancato sviluppo politico del movimento operaio. Si trattava di un modello di partito nato direttamente sul terreno del suffragio universale, capace di dare una valida risposta organizzativa ai problemi posti dalla democrazia di massa, ma nello stesso tempo troppo legato al sistema costituzionale americano, rigorosamente bipartitico, per poter costituire un esempio generalizzabile la teoria _________________________ Parlamentarismo e ___________________ __________________________________ I MODELLI DI ______________________ Le nuove caratteristiche _______________ a - ________________________________ ___________________________________ b - ________________________________ ___________________________________ 22 all'Europa. Forse il solo caso europeo che si avvicina, sia pur parzialmente, al modello americano è quello della Gran Bretagna, dove il bipartitismo ritardò a lungo la nascita di nuovi partiti e favorì l'assorbimento dei movimenti sociali e politici emergenti da parte delle organizzazioni tradizionali. Tanto i liberali whig (che si proponevano come partito aperto alle istanze popolari e riassorbivano nelle proprie idee le stesse tendenze che si erano raccolte nel cartismo) quanto il partito tory (che con il suo leader Benjamin Disraeli seppe crearsi un seguito non indifferente tra le masse popolari urbane), furono capaci, infatti, di uscire dalla dimensione "notabilare" e di competere efficacemente per il consenso di massa. Le vere alternative, tanto al partito di notabili quanto al partito di massa interclassista americano, furono i modelli di partito nati sul continente europeo dall'esperienza del movimento operaio. Erano stati, in ultima istanza, la nascita e i successi di quest'ultimo la causa principale dell'estensione della partecipazione politica e della sua massificazione. E inevitabile che fosse l'esperienza del movimento operaio quella da cui, soprattutto, emersero "nuovi" partiti. In particolare, a un primo modello di partito classista, a forte struttura burocratica, incarnato dalla socialdemocrazia tedesca, andò contrapponendosi un altro grande modello generato dal movimento socialista e rivoluzionario, il "partito di quadri" di tipo leninista (da Lenin, promotore del nucleo originario del Partito socialdemocratico russo): una macchina centralizzata diretta non a organizzare la massa, ma a formare i pochi ed efficientissimi "rivoluzionari di professione"; in possesso di una straordinaria capacità organizzativa. Sul fronte opposto, per altro verso, si sarebbero delineati due altri modelli antagonisti: i partiti di massa di ispirazione religiosa, che fondarono la propria capacità di attrazione interclassista sull'elemento identificante della fede e sulla struttura capillare del clero, e i movimenti reazionari di massa a base nazionalista e irrazionalista, destinati ad alimentare il fenomeno dei fascismi. I MODELLI DI ______________________ 1 __________________________________________: __________________________________________________________________ 2 __________________________________________: __________________________________________________________________ __________________________________________________________________ 3 - ______________________________________: __________________________________________________________________ 4 __________________________________________: __________________________________________________________________ 5 __________________________________________: __________________________________________________________________ C- I SINDACATI Un altro segno delle nuove dimensioni assunte dalla lotta politica e sociale - e un altro canale efficacissimo di «socializzazione» delle masse -fu costituito la diffusione dalla rapida crescita delle organizzazioni sindacali. Sino alla fine dell'800 il sindacalismo operaio era una realtà solida e consistente solo in Gran Bretagna, dove le Trade Unions, intorno al 1890, contavano già un milione e mezzo di iscritti. Negli ultimi anni dell'800, grazie all'impulso decisivo del movimento socialista, le organizzazioni dei lavoratori crebbero in numero e in consistenza in tutti i paesi europei, ma anche negli Stati Uniti, in Australia e il diritto _______________________ in America Latina: quasi ovunque riuscirono a far valere il proprio diritto all'esistenza contro le resistenze degli imprenditori e delle classi dirigenti conservatrici e contro i pregiudizi della dottrina liberista, che vedeva nei sindacati niente altro che un ostacolo al libero gioco della contrattazione. 23 Nati e sviluppatisi in forme diverse a seconda dei paesi, i sindacati si federarono, sull'esempio delle Trade Unions inglesi, in grandi organismi nazionali. I più importanti furono quelli di ispirazione socialista, come la Commissione centrale dei sindacati liberi tedeschi, fondata nel 1890, la francese Confederation generale du travail (Cgt), nata nel 1895, o 1a Confederazione generale del lavoro (Cgl), costituita in Italia nel 1906 Ma un notevole sviluppo ebbero anche le associazioni sindacali cattoliche e, in Germania e in Francia, non mancarono nemmeno le organizzazioni a guida liberale o conservatrice. Alla vigilia della prima guerra mondiale, i lavoratori iscritti ai sindacati erano 4 milioni in Gran Bretagna, quasi 3 milioni in Germania, oltre 2 milioni in Francia, poco più di 500.000 in Italia: si trattava del più vasto fenomeno di associazionismo popolare cui mai si fosse assistito nella storia d'Europa. 2. Le ideologie politiche 2.1 Socialdemocrazia, laburismo e sindacalismo 2.2 Il nazionalismo 2.3 I cattolici 3 Lo scontro tra conservatori e progressisti: l’affermazione dello stato liberaldemocratico 4 Il caso italiano Le novità ideologiche più importanti nei decenni a cavallo tra i due secoli riguardarono non tanto l’area liberaldemocratica quanto invece l’area socialista, la destra reazionaria e il mondo cattolico. Dopo la fine della I Internazionale l’orientamento socialista, nelle sue diverse correnti, rimase sicuramente prioritario all’interno dei partiti che si ripromettevano di organizzare il movimento operaio, anche se al suo interno ebbero un peso importanti altri orientamenti quali quelli espressi dal sindacalismo inglese, che all’inizio del Novecento diede vita al partito laburista, e dal sindacalismo rivoluzionario. Al di là delle diversità organizzative, delle divergenze ideologiche e delle inevitabili peculiarità nazionali, i partiti operai europei, compresi i laburisti inglesi, si muovevano, all'inizio del '900, su una piattaforma in larga parte comune: tutti si proponevano il superamento del sistema capitalistico e la gestione sociale dell'economia; tutti si ispiravano a ideali internazionalisti e pacifisti; tutti tendevano a crearsi una base di massa tra i lavoratori e a partecipare attivamente alla lotta politica nel proprio paese; tutti, infine, facevano capo a un'organizzazione socialista internazionale, erede di quella che si era dissolta all'inizio degli anni '70. La nascita della Seconda Internazionale risale al 1889, quando i rappresentanti di numerosi partiti europei, per lo più di ispirazione marxista, si riunirono a Parigi e approvarono alcune importanti deliberazioni, fra cui quella che fissava come obiettivo primario del movimento operaio la giornata lavorativa di otto ore e proclamava a tale scopo una giornata mondiale di lotta per il primo maggio di ogni anno. Nel 1891, inoltre, vennero esclusi dall'organizzazione gli anarchici e quanti rifiutavano pregiudizialmente la partecipazione all'attività politico-parlamentare. Diversamente dalla Prima Internazionale, che aveva avuto l'ambizione di costituire una specie di centro dirigente della classe lavoratrice di tutto il mondo, la Seconda Internazionale fu più che altro una federazione di partiti nazionali autonomi e sovrani. Essa svolse tuttavia un'importante funzione di coordinamento e i suoi congressi costituirono un fondamentale luogo di incontro e di discussione sui grandi problemi di interesse comune a tutti i partiti - lo sciopero generale, la lotta contro la guerra, la questione coloniale -, la sede naturale dei grandi dibattiti ideologici che La nascita delle ______________________ ___________________________________ sindacalismo ________________________ e sindacalismo _______________________ LE IDEOLOGIE POLITICHE 1 SOCIALDEMOCRAZIA, LABURISMO E SINDACALISMO Le componenti __ ___________________ ___________________________________ Obiettivi _________________________: a - ________________________________ ___________________________________ b - ________________________________ c .- ________________________________ ___________________________________ d -_________________________________ La ________________________________ La lotta per ________________________ e il ____________________________ l’espulsione ________________________ non _______________________________ _____________________(I Internazionale) ma ________________________________ ___________________________________ con funzioni di ______________________ ___________________________________ il prevalere del marxismo ______________ ___________________________________ (Engels e _________________________) 24 animarono il movimento operaio europeo all'inizio del '900. Dibattiti che confermarono il marxismo, nella versione che era stata elaborata e divulgata da Friedrich Engels e che aveva trovato i suoi interpreti più autorevoli nei leader della socialdemocrazia tedesca, in particolare, in Karl Kautsky, di fatto A come la dottrina ufficiale della Seconda Internazionale . Per tutti gli anni ottanta, i socialisti costituirono dappertutto delle piccole minoranze emarginate e spesso perseguitate, la cui azione era sorretta dalla prospettiva di un radicale sconvolgimento rivoluzionario. La situazione cambiò radicalmente con la fine dell’Ottocento, quando in tutti i paesi europei sorsero partiti nazionali che affiancavano – e gradualmente sostituivano – alla prospettiva rivoluzionaria un’azione legale all’interno delle istituzioni, che partecipavano alle elezioni per riuscire a mandare loro rappresentanti in parlamento. Furono proprio i partiti del movimento operaio a proporre per primi il modello di partito di massa che sarebbe poi diventata la forma di organizzazione politica più diffusa. All’interno dell’area socialista emersero, come abbiamo già visto, due tipologie di partito: il Partito socialdemocratico tedesco che fu, fino al 1914 il maggior partito operaio del mondo, sia per l’alto numero di iscritti e il peso politico esercitato in Germania, sia per l'influenza internazionale progressivamente acquisita. E che costituì a lungo il modello puro di partito classista di massa; radicalmente diverso era, invece, il ""partito di quadri" di stampo leninista, legato alle vicende dei movimenti populisti russi degli anni 1860-70. Esso divenne ben presto l'alternativa più importante all’interno del movimento operaio internazionale. L'esperienza socialista tedesca era stata dominata fin dalle origini, intorno al 1860, dalle figure di Karl Marx e di Ferdinand Lassalle. Quest'ultimo, un intellettuale socialista convinto del carattere decisamente secondario della lotta sindacale nel capitalismo, sosteneva la priorità della lotta per il potere politico. Complementare all'azione politica era per lui, semmai, un'intensa attività di propaganda, una vera e propria azione educativa nei confronti delle masse lavoratrici, la cui coscienza doveva essere conquistata al socialismo secondo modalità quasi religiose. Inoltre Lassalle e i lassalliani vedevano nella borghesia emergente il nemico principale, mentre consideravano le antiche classi dominanti, da cui Bismarck proveniva e di cui l'aristocrazia feudale prussiana era la massima espressione, come possibili alleati nella lotta anticapitalista. A questi principi essi avevano orientato l'organizzazione cui avevano dato vita, la "Lega generale degli operai tedeschi", che tra il 1864 e il 1875 era cresciuta fino a raggiungere il 3 per cento dei voti nelle elezioni nazionali. Karl Marx e Friedrich Engels, invece, decisamente ostili a molti aspetti del pensiero di Lassalle (in particolare la disponibilità all'alleanza con i ceti feudali, lo statalismo di ispirazione hegeliana e l'atteggiamento sprezzante e strumentale verso la lotta sindacale), avevano influenzato un altro partito, il Partito popolare, sorto nel 1866, che si proponeva di favorire lo sviluppo e l'azione dei sindacati e di battersi per la democrazia politica. Anche questo, tra il 1866 e il 1875, era cresciuto fino a raggiungere all'incirca la stessa quantità di voti del partito rivale. Nel 1875, con il congresso di Gotha, si giunse alla fusione dei due partiti: nacque così la moderna socialdemocrazia tedesca (la Spd, Sozialdemocratische Partei Deutschlands), che conservava parte di entrambe le impostazioni: in essa si attribuiva all'azione politica un ruolo nettamente prevalente su quella sindacale, ma si escludeva ogni ipotesi di alleanza con l'aristocrazia prussiana. Ne emerse un partito profondamente radicato nella società, in particolare nelle comunità degli operai qualificati, che ne costituivano la spina dorsale attraverso i sindacati e una miriade di leghe, cooperative, associazioni culturali, circoli di partito. Esso tendeva a organizzare in forma permanente amplissime masse di LA SOCIALDEMOCRAZIA Dalla prospettiva _____________________ all’ ________________________________ ___________________________________ I modelli di partito: a - ________________________________ (__________________________________) b - ________________________________ (______________________________) La nascita del _______________________ ___________________________________ Le due anime: a - ______________________________ priorità _____________________________ ___________________________________ b - _______________ - ________________ priorità _____________________________ Il Congresso di ___________________: la fondazione ________________________ LE CARATTERISTICHE __________________ ___________________________________ __________________________________ funzioni del partito: a – politica: _________________________ ___________________________________ b - ___________________: formazione e identità collettiva 25 proletariato e di ceto medio, costituendo per esse non solo il canale di comunicazione con le istituzioni, ma anche uno strumento di formazione culturale e di produzione d'identità collettiva. Proprio per la sua tendenza a organizzare direttamente le masse "fuori dello stato" e di negoziarne l'ingresso nell'area della cittadinanza, la socialdemocrazia tedesca venne definita "partito di integrazione di massa"; molti storici d'altronde parlano delle organizzazioni di massa socialdemocratiche come di istituzioni di "contro-società"; sulle quali la Spd fondava la propria opposizione al potere politico e su cui in seguito, dopo la presa del potere, contava di basare la nuova società. D'altra parte le particolarità del sistema elettorale tedesco (estremamente ampio, fino al suffragio universale maschile a voto segreto, ma irrilevante ai fini della gestione del potere politico, dati gli scarsissimi poteri attribuiti al parlamento) non facevano che accentuare l'immagine di "società alternativa" della Spd: un partito di maggioranza relativa totalmente escluso da ogni influenza sul governo. Se il radicamento nella società era la prima caratteristica di questo modello di partito, la seconda era la burocratizzazione. L'immensa struttura del partito e delle organizzazioni di massa a esso legate, se si basava soprattutto sul volontariato e sulla massiccia partecipazione popolare, era però inevitabilmente caratterizzata dalla formazione di un vasto strato di funzionari, politici e sindacali, senza dubbio di grande competenza, ma attenti soprattutto alle esigenze di buon funzionamento e continuità delle strutture organizzative piuttosto che alla mobilitazione popolare. Inizialmente la posizione di Engels e Kautsky - che non mettevano in discussione le finalità rivoluzionarie della lotta di classe, ma ponevano l'accento soprattutto sulle esigenze concrete e sulle battaglie quotidiane del movimento operaio in attesa che maturasse le condizioni per la rivoluzione - fu grosso modo fatta propria dalla maggioranza dei socialisti europei. Col passare del tempo, però, presero corpo due diverse e opposte tendenze: da un lato quella a prendere atto dei mutamenti intervenuti nella situazione politica e sociale per valorizzare l'aspetto democratico-riformistico dell'azione socialista; dall'altro il tentativo di bloccare le tentazioni legalitarie e parlamentaristiche recuperando l'originaria impostazione rivoluzionario del marxismo. Fin dall'ultimo decennio del secolo, infatti, venne a formarsi nel partito una destra (che ebbe come teorico Eduard Bernstein), secondo la quale occorreva rinunciare all'idea di una trasformazione radicale, di tipo rivoluzionario, dell'organizzazione sociale e piuttosto intraprendere la via dei mutamenti graduali e progressivi dei rapporti tra le classi e dell’organizzazione statale, seguendo la teoria di Marx e di Engels in modo meno "dogmatico"; di qui il termine "revisionista" applicato a Bernstein e ai suoi sostenitori. A essa si contrappose la corrente "ortodossa"; capeggiata da Karl Kautsky, che assumeva invece il marxismo come dottrina-chiave del partito e come strumento che si rivelò spesso straordinariamente efficace: attraverso di esso la Spd diffuse tra i suoi seguaci e tra i socialisti di tutto il mondo, che la riconobbero come teoria-guida nella seconda Internazionale, la convinzione dell'ineluttabilità di un rovesciamento del capitalismo e dell'affermarsi del socialismo. Il marxismo di Engels e Kautsky fu uno dei maggiori punti di forza della socialdemocrazia tedesca e incarnò un altro elemento tipico di questo modello di partito: il suo carattere fortemente ideologizzato7, la sua natura di a + b ___________________________ ____________(operai qualificati) La “______________________________” socialdemocratica: a - ________________________________ _________________________________ b- _________________________________ ___________________________________ volontari e __________________________ funzionari e prevalere _________________ ___________________________________ 7 Il termine venne introdotto nel Settecento e ripreso da Marx e Engels nell'opera L’ideologia tedesca alla metà dell'Ottocento in chiave critica, intendendo con tale termine ogni rappresentazione che ricopra la realtà con immagini false o illusorie. In seguito Marx ampliò il significato di ideologia, intendendo con tale termine l'insieme dei fenomeni "sovrastrutturali" (tutte le scienze umane, i programmi e le dichiarazioni dei differenti partiti politici, e, infine, le rappresentazioni, opinioni, relazioni psicologiche e aspirazioni di differenti classi sociali), contrapponendovi la vera scienza della società: il materialismo storico. Più recentemente l'ideologia è stata considerata dal punto di vista strumentale come quell'apparato 26 "corpo organizzato" dotato di una teoria identificante capace di offrire ai propri appartenenti una vera e propria "visione del mondo". Ciò non tolse che, sul piano sostanziale, la vittoria degli "ortodossi" nella controversia sul revisionismo sia rimasta sempre parziale: il riconoscimento generalizzato di Kautsky come massimo teorico del partito e dell'intero movimento socialista mondiale, assieme alla sconfitta di Bernstein, non impedì infatti agli esponenti più pragmatici della destra di continuare a dominare la condotta politica quotidiana della socialdemocrazia. Negli stessi anni in cui si sviluppava il dibattito sulle tesi di Bernstein, il movimento operaio vide emergere nelle sue file nuove correnti di estrema sinistra che contestavano la politica «centrista» dei dirigenti socialdemocratici tedeschi ed europei, accusati di mascherare, dietro un'apparente fedeltà agli ideali rivoluzionari, una pratica riformista e legalitaria. A questa pratiche riformiste ____________________ ___________ _____________________________ _____________________ ___________ ________________________________ LE CARATTERISTICHE DEL PARTITO SOCIALDEMOCRATICO TEDESCO 1 - _____________________________________________________________________________________ 2 - _____________________________________________________________________________________ 3 - _____________________________________________________________________________________ LE CORRENTI IDEOLOGICHE e legalitarie, fondate sul rifiuto della rivoluzione (Bernstein) o sull’idea che occorresse attendere che l’esplodere delle contraddizioni del capitalismo ne creasse le condizioni (ortodossi), la sinistra estrema opponeva una linea d’azione che rifiutava ogni compromesso con il sistema, perché intendeva lavorare per creare subito le condizioni per una rivoluzione destinata a dar vita al comunismo. In Germania un'agguerrita minoranza di sinistra si formò attorno a Karl Liebknecht e a Rosa Luxemburg. Gruppi analoghi, seppur variamente ispirati, si formarono in tutti i più importanti partiti europei, giungendo in qualche caso a minacciare l'egemonia delle correnti centriste. Una dissidenza tutta particolare fu quella che si sviluppò nella socialdemocrazia russa e che ebbe per protagonista Nikolaj Lenin. Il modello di organizzazione politica a cui s'ispirò Lenin, allorché costituì, nel 1898, il Partito operaio ______________________________ ________: il partito _______________ di idee che esprime, interpreta e giustifica i bisogni e le aspirazioni di un gruppo, ai fini di istituire o mantenere o modificare un certo sistema di rapporti (economici, sociali o politici). Norberto Bobbio, filosofo del diritto, ha qualificato le ideologie come un sistema di credenze o di valori utilizzato per fondare la legittimità del potere. 27 socialdemocratico russo, fu invece quello della componente terroristica del populismo russo8: rispetto all'azione di massa, assoluta priorità della distruzione del potere statale e dell'iniziativa volontaria di una minoranza attiva e capace di "disorganizzare" (era questo il termine applicato agli atti terroristici) l'avversario, formata da rivoluzionari di professione, che, abbandonata ogni altra attività, si dedicavano esclusivamente all'azione politica. Il modello politico-organizzativo del partito leninista (la più compiuta formulazione del quale rimane il testo di Lenin del 1902 “Che fare?”) si basava sull'idea che, da sola, la classe operaia non potesse elaborare un livello di coscienza superiore a quella meramente sindacale, fondata sul proposito di attenuare il proprio sfruttamento, non però sulla volontà o capacità di abolire l'intero sistema di sfruttamento capitalista e lo stato che lo sosteneva. Lenin riteneva che per passare da questo livello "primitivo" alla piena coscienza rivoluzionaria (alla consapevolezza cioè dell'universalità dello sfruttamento e della natura di classe dello stato, di "ogni" stato), fosse necessario l'intervento di un'avanguardia cosciente, formatasi alla scuola della teoria marxista e titolare della "scienza della rivoluzione" («La coscienza politica di classe, scrisse Lenin, può essere portata all'operaio solo dall'esterno, cioè dall'esterno della lotta economica, dall'esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni»). In questa visione, la sola vera azione rivoluzionaria doveva mirare all'abbattimento dello stato e alla presa del potere: ciò sarebbe servito a creare le premesse per il superamento definitivo non solo del capitalismo, ma di ogni organizzazione politica comportante il "dominio dell'uomo sull'uomo". Lo strumento principale dell'azione politica era il partito, che doveva avere i caratteri di un'organizzazione di combattimento, quindi rigidamente regolata e gerarchica ("centralismo democratico"), alla cui attività doveva partecipare una ristretta élite (i "quadri") capace di agire dal punto di vista di tutti gli sfruttati e non di singole categorie particolari. Un partito, dunque che, in contrapposizione al modello di partito di massa tipico della socialdemocrazia tedesca, non si proponeva affatto di inquadrare nelle proprie file la totalità e neppure la maggioranza del proletariato, ma solo un'avanguardia selezionata, il cui connotato di "professionalità" consisteva nel dedicarsi in maniera esclusiva, permanente e stabile all'attività politica rivoluzionaria. Lo scontro tra spinte alla rivoluzione e tendenze mediatrici segnò a lungo la storia dei partiti socialisti europee e le diverse componenti convissero, vedendo di volta in volta prevalere ora l’una ora l’altra, fino agli inizi degli anni venti, quando dopo la Rivoluzione russa finirono per dividersi definitivamente 9. dalla tradizione ______________________ a - priorità: _________________________ b - ________________________________ ___________________________________ Le caratteristiche del partito leninista: a – dalla coscienza __________________ alla coscienza ____________________: il ruolo delle _________________________ b – obiettivo dell’avanguardia cosciente: ___________________________________ e la _______________________________ c – il _____________ come organizzazione per abbattere ____________________: 1 - ________________________________ ___________________________________ 2 - ________________________________ ___________________________________ La ____________________________ delle correnti ideologiche fino ______________ Una delle caratteristiche dello sviluppo del movimento operaio in gran parte 8 Storicamente il termine popolo ha a lungo oscillato tra due significati diversi: da un lato la collettività dei cittadini, dall'altro quella parte degli abitanti di uno stato che non occupa posizioni dominanti né di potere, né di status. In realtà negli usi correnti i due significati hanno finito spesso con il sovrapporsi. L’ambiguità semantica del termine ha sempre condizionato i movimenti democratici che si proponevano, contemporaneamente, come i rappresentanti degli interessi di un'area specifica (sebbene maggioritaria) della società e come autentici rappresentanti della totalità della popolazione. La stessa ambiguità segna la storia dei movimenti detti populisti: i maggiori sono il movimento russo, che conobbe il massimo sviluppo negli anni settanta dell'Ottocento, e il movimento americano che raggiunse il culmine nell'ultimo decennio del secolo. I populisti erano i sostenitori di un'ascesa al potere delle classi oppresse in nome non del conflitto di classe, ma della piena affermazione dei valori collettivi dei quali il popolo, e in particolare i ceti rurali, costituirebbe l'incarnazione. Il concetto di popolo, pur nella sua vaghezza o forse proprio a causa di essa, è uno dei termini fondanti dei sistemi politici moderni. 9 A partire dagli anni venti si affermarono, infatti, i partiti comunisti che vedevano nell’esperienza sovietica la realizzazione della rivoluzione comunista, mentre all’interno della socialdemocrazia si affermarono definitivamente le tendenze riformiste che spinsero il partito, ad esempio, in Germania ad assumere un ruolo governativo e, infine, i partiti socialisti che rifiutavano la leadership del partito comunista sovietico e in cui continuarono sostanzialmente a convivere la prospettiva parlamentarelegalitaria e quella rivoluzionaria. 28 dei paesi dell'Europa continentale, in Germania come in Austria, in Russia, in Polonia o in Italia, e in generale in tutti i paesi a industrializzazione tardiva, è rappresentata dal fatto che la nascita dei partiti socialisti era stata contemporanea, o addirittura precedente, allo sviluppo dei movimenti sindacali e di resistenza. Le organizzazioni politiche furono così in grado, fin dalle origini, di condizionare il movimento sindacale e di influenzarne l'ideologia. Nei paesi anglosassoni, invece, le organizzazioni sindacali, di mutuo soccorso e di resistenza, che risalivano alla prima metà dell'Ottocento o addirittura agli ultimi decenni del Settecento, precedettero di gran lunga lo sviluppo internazionale e interno di movimenti politici socialisti e furono quindi in grado di condizionarne la crescita. Questo è uno dei motivi per cui nella storia internazionale del movimento operaio la Gran Bretagna e gli Stati Uniti costituiscono due casi particolari: l'uno caratterizzato da un sostanziale predominio dell'organizzazione sindacale sull'organizzazione politica; l'altro dal mancato sviluppo di un movimento socialista di massa. In Gran Bretagna, dopo il declino del movimento cartista10, il movimento sindacale rimase a lungo privo di diretta e autonoma espressione politica. Formati essenzialmente da operai qualificati e "di mestiere" (mentre la massa dei lavoratori dequalificati restava ai margini di ogni tipo di organizzazione), i sindacati cercavano la propria rappresentanza nei partiti dominanti. Furono i liberali ad attrarre la maggior parte dei sindacalisti e degli operai da loro egemonizzati. Né la situazione mutò nel 1868 con la nascita del Tue (Trade Union Congress, Consiglio dei sindacati), che costituiva per la prima volta un superamento della fase di totale autonomia delle diverse organizzazioni di mestiere e uno strumento di coordinamento e di centralizzazione. I rapporti tra movimento sindacale e sistema politico cominciarono a modificarsi davvero nell'ultimo decennio dell'Ottocento sotto la spinta delle trasformazioni delle organizzazioni sindacali e la nascita dei primi partiti e movimenti socialisti. I mutamenti dell'organizzazione produttiva introdotti (sia pure più lentamente che altrove) dalla Grande depressione, e in particolare lo sviluppo dei servizi pubblici, crearono una grande massa di operai dequalificati, sottopagati, diversi per cultura e mentalità dai tradizionali operai di mestiere. Nonostante incertezze e talvolta dure discriminazioni da parte dei vecchi sindacati di mestiere, anche questa nuova massa di lavoratori incominciò a organizzarsi, trasformando per molti versi natura e volto del movimento sindacale inglese: le grandi lotte dei lavoratori del gas e dei portuali, attorno al 1895, portarono alla nascita di sindacati di massa di tipo nuovo; una quindicina di anni dopo, un'altra ondata di lotta degli operai non di mestiere avrebbe determinato la formazione delle cosiddette "General Unions", giganteschi e potentissimi sindacati che univano insieme operai qualificati e dequalificati di diversi rami dell'industria. La trasformazione del movimento sindacale ebbe, fin dagli anni novanta, anche un effetto politico, in quanto gli scioperi di massa dei servizi pubblici incidevano profondamente su tutta la vita del paese. Le pressioni perché il movimento sindacale usasse la sua nuova forza per darsi un'organizzazione politica autonoma, in grado di trattare alla pari con il governo e di mirare al potere politico, cominciarono a farsi sentire da parte della base e di settori rilevanti della dirigenza sindacale. Nacque così, nel 1900, un Labour Representation Committee (Comitato di rappresentanza operaia). Esso segnò la fine dell'egemonia liberale sul movimento operaio. Prima nel parlamento, poi nella propaganda elettorale, il Lrc cominciò a proporsi come nucleo di un autonomo partito del lavoro, il Labour Party, destinato i a sostituire il Partito liberale nel ruolo di secondo grande partito britannico. B IL _____________________________ Europa continentale: ______________________________ ________________________________ Gran Bretagna: ______________________________ ________________________________ USA: ______________________________ ___________________________________ Gran Bretagna: a – Seconda metà Ottocento la guida politica del sindacato: dai ________________________________ ai ________________________________ sindacati : operai _________________ + ___________________________________ b – Fine Ottocento la nuova organizzazione produttiva: ______ ___________________________________ la nuova organizzazione sindacale: ______ ___________________________________ la guida politica dei sindacati: la nascita ___________________________________ 10 Vedi dispensa “G - Le origini della politica contemporanea 2 –L’Ottocento: l’affermazione dello stato liberale”, pag. 34 29 Accanto all'organizzazione politica partitica, spesso in forte concorrenza, talvolta in esplicito antagonismo con questa, si manifestarono sotto forma di "movimenti" ampie tendenze alla mobilitazione politica. Tra questi il più noto all'interno della classe operaia fu il cosiddetto "sindacalismo rivoluzionario", il quale appare, in effetti, come l'antitesi totale del modello organizzativo partitico di stampo socialista, poiché privilegiava rigorosamente l'azione sociale su quella politica, il movimento spontaneo proveniente dal basso sulla mediazione organizzata del partito. Con il termine "sindacalismo rivoluzionario" si definiscono sia gruppi contrari a qualunque azione politica, sostenitori della sola "azione diretta" sul terreno della fabbrica, sia gruppi semplicemente favorevoli al primato dell'azione sindacale sull'azione politica; gruppi di ispirazione anarchica e anche gruppi legati alla specifica teorizzazione di Georges Sorel. Tra sindacalisti rivoluzionari e anarchici vi furono spesso rapporti di cooperazione, che portarono a volte (come avvenne in Spagna) alla fusione organizzativa; ma non vi fu mai un'unità totale (come sembrava implicare l'etichetta spregiativa "anarcosindacalismo"; forgiata dai settori socialisti del movimento sindacale). Il carattere distintivo che unificò queste diverse tendenze fu comunque la profonda diffidenza verso l'azione politica, in particolare sul terreno parlamentare: considerata in primo luogo un cedimento allo stato borghese e alla sua pretesa di rappresentare tutta la società, indipendentemente dalle classi sociali, in secondo luogo uno strumento di egemonia sul proletariato da parte di un ceto politico di intellettuali. Nell'azione sindacale, viceversa, in quanto "azione diretta", non mediata da nessuna istanza partitica o parlamentare, i sindacalisti rivoluzionari vedevano uno strumento di irriducibile contrapposizione tra le classi e una possibilità di autonoma organizzazione e direzione della lotta da parte dei proletari stessi. Nato nell'ambito della fabbrica, il sindacato operaio rappresentava l'unico strumento per una radicale trasformazione dell'ordinamento sociale e dei rapporti economici. Il sindacato, secondo alcuni teorici di questo movimento, era infatti organo, oltre che di lotta, anche di autogoverno, nucleo della futura società dentro la società capitalista. Lo strumento principale invocato dai sindacalisti rivoluzionari era lo sciopero generale, il grande e definitivo scontro fra le classi che, dimostrando le capacità del proletariato di mettere in ginocchio (col semplice rifiuto organizzato del lavoro) lo stato capitalista, avrebbe aperto la via alla società socialista. Culla del sindacalismo rivoluzionario fu la Francia ed esso conobbe una notevole diffusione in Svezia, in Italia (dove nacque l'USI, Unione sindacale italiana), in Spagna, ma anche negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Negli anni tra il 1906 e il 1914 i sindacalisti rivoluzionari acquisirono comunque un ruolo notevolissimo nel movimento operaio europeo, in particolare nei paesi mediterranei. Tuttavia, i successi ottenuti non furono sufficienti a garantire l'assunzione di una linea chiara e univoca da parte dei sindacalisti rivoluzionari dei diversi paesi. Infatti, nel periodo del loro massimo successo gli esponenti del movimento si trovarono a oscillare a lungo fra la tendenza rivoluzionaria, che li portava a convergere con i settori più intransigenti del movimento socialista internazionale, e la tendenza ad aggregarsi con i settori antidemocratici dell'intellettualità, ai quali li accomunavano l'odio per il parlamento e la convinzione fondamentale che la storia fosse mossa da minoranze attive, capaci di mobilitare le masse. Questa contraddizione, nel giro di pochi anni, avrebbe portato i sindacalisti rivoluzionari a scindersi in un settore seguace delle idee di Lenin, il leader indiscusso della socialdemocrazia russa, e un settore ultrapatriottico e antidemocratico che finì per confluire nei movimenti nazionalisti di destra. C - IL _____________________________ Il rifiuto del modello __________________ e la priorità dell’azione ________________ Le ___________________ del sindacalismo il motivo _________________________: il rifiuto ____________________________ perché: a - ________________________________ ___________________________________ b - ________________________________ ___________________________________ Sindacato e azione sindacale come: A – strumento _______________________ B – strumento _______________________ ___________________________________ C- strumento _______________________ Lo sciopero generale come _____________ ________________________________ Ambiguità ____________________ del sindacalismo rivoluzionario tendenze _________________________ convergenza con ____________________ tendenze _________________________ convergenze con movimenti ____________ __________________ per: a - ________________________________ b -_________________________________ 30 Nel corso degli anni ottanta e novanta apparvero contemporaneamente in diversi paesi europei nuovi movimenti politici, poggianti su una base di massa, ma espressione di ideologie radicalmente diverse, e spesso contrapposte, a quelle del movimento operaio, questi movimenti erano radicati per lo più nelle diverse componenti della piccola borghesia (impiegati, commercianti) ma anche del sottoproletariato urbano, sebbene non fossero privi di appoggi tra gli stessi lavoratori dell'industria11. Ciò che univa l'insieme di questi movimenti e ne faceva un modello nuovo di organizzazione di massa era innanzitutto il nazionalismo esasperato (e generalmente fondato sul richiamo a un passato mitico, a carattere razziale). Nell'Europa di fine '800 la nazione, intesa come insieme di valori politici e culturali, costituiva ancora un fattore centrale, sia nei rapporti fra gli Stati, sia nelle vicende interne dei singoli paesi. Ma gli ideali nazionali venivano modificandosi profondamente, soprattutto in quei paesi che avevano già realizzato la loro unificazione statale. Fra il 1815 e il 1870 il nazionalismo si era collegato all'idea di sovranità popolare e si era alleato col liberalismo e con la democrazia. Le cose cambiarono già con l'unificazione tedesca, realizzata da Bismarck «col ferro e col sangue», dall’alto, e più ancora con l'imperialismo coloniale, che legava la grandezza nazionale alle guerre di conquista a danno di altri popoli ritenuti inferiori. Infine, la crescita dei movimenti socialisti, che si ispiravano a ideali internazionalisti e pacifisti, suscitò per reazione un ritorno di spiriti patriottici e guerrieri in seno alla borghesia conservatrice. La battaglia per i valori nazionali o per gli interessi del proprio paese finì spesso col legarsi alla lotta contro il socialismo, alla difesa dell'ordine sociale esistente, quando non al sogno di restaurazione di un ordine passato. In altri termini, il nazionalismo tendeva a spostarsi a destra, si sganciava dalle sue matrici illuministiche e democratiche per riscoprire quelle romantiche e tradizionaliste, si collegava spesso alle teorie razziste allora in voga, che pretendevano di stabilire una gerarchia fra «razze superiori» e «razze inferiori» e di affermare su questa base la superiorità di un popolo, o di un gruppo di popoli, su tutti gli altri. Infatti, a caratterizzare il nuovo nazionalismo vi era, in primo luogo, il carattere razziale che veniva attribuito all'identità nazionale. Carattere razziale che andava oltre i confini degli stati emersi dalle rivoluzioni nazionali dei decenni precedenti e che portava questi movimenti alla rivendicazione di un'unificazione totale dei gruppi etnici (così il nazionalismo tedesco diveniva "pangermanesimo" e il nazionalismo russo "panslavismo") e quindi tendeva a unire tra loro diverse nazionalità che si supponevano congiunte in un'unica stirpe. Infine, sempre di più in quegli stessi gruppi si sottolineava il peso di una comune identità europea, o bianca o (con termine razzista pseudoscientifico) caucasica, contro gli ebrei e i popoli asiatici e africani oggetto della colonizzazione. Sviluppo estremo del nazionalismo, questi movimenti sciovinisti ne segnavano in un certo senso anche la fine, in quanto indicavano come sbocco del movimento nazionale non più lo stato-nazione ottocentesco, ma una sorta di grande comunità di stirpe, unita più dall'odio per gli estranei alla stirpe stessa (gli ebrei nel suo seno, i popoli colonizzati all'esterno) che da una reale identità comune. In questa versione del nazionalismo la storia cessava di essere centro unificante della nazione e cedeva il posto al "sangue"; un'impalpabile unità biologica che poi, paradossalmente, coincideva sempre con il ceppo linguistico. Pangermanesimo e panslavismo trovavano d'altra parte la loro massima base propagandistica nel progressivo disfacimento dei due 2 IL NAZIONALISMO __________________________________ e movimenti politici di massa ___________ L’idea di _________________________ nell’Ottocento dalla concezione _____________________ (nazione = ________________________) alla concezione ____________________ ( nazione = ________________________) cause: a - ________________________________ b - ________________________________ c - ________________________________ ___________________________________ d - ________________________________ _________________________ (vedi oltre) LE CARATTERISTICHE DEL NAZIONALISMO 11 Sul ruolo politico del ceto medio vedi anche: “La seconda rivoluzione industriale - Le nuove forme dell'economia: Il mercato di massa e la nuova stratificazione sociale 31 grandi imperi che assoggettavano gran parte dell'Europa orientale, l'austroungarico e l'ottomano, e nella crisi politica ormai decennale dell'Impero russo. Accanto al nazionalismo, un altro importante tratto comune dei movimenti reazionari era l'autoritarismo e l'odio per le istituzioni democratiche. In una società dove il tradizionale sistema gerarchico stava franando, la richiesta di un'autorità forte, di un capo, si presentava come strumento per un ritorno a un passato perduto di ordine e di tranquillità, collocato nel Medioevo dai movimenti di ispirazione religiosa (come la destra cattolica francese) o addirittura nella mitica età dei Nibelunghi (come in Germania). Tutti i movimenti ultranazionalisti, del resto, si rifacevano all'autorità di uno stato forte, che era rappresentata dalla Russia zarista per i panslavisti e dalla Germania bismarckiana per i pangermanisti. Risvolto dell'autoritarismo e dell'odio antidemocratico era il rifiuto del conflitto sociale e politico teorizzato dai socialisti. Scopo della destra emergente era la restaurazione dello "spirito comunitario" nell'impresa come nella città e nel sistema politico, concepito come l’opposto del conflitto di classe. Questi movimenti si proclamavano come rappresentanti non di specifici interessi, ma dell’intera nazione, identificando gli interessi della nazione con quello dei grandi gruppi economici nazionali in grado di consentire alla nazione di ottenere, grazie allo sviluppo economico, un peso militare maggiore in grado, a su volta, di garantire una posizione dominante. Compito dell’azione politica era, dunque, innanzitutto quello di identificare i nemici interni, ovvero coloro che fomentavano le divisioni interne (socialisti e democratici) o che costituivano una minoranza etnica (ebrei), destinati a minacciare la purezza della razza. Probabilmente il più forte elemento unificante dei movimenti reazionari di massa nati tra fine Ottocento e primo Novecento fu, in effetti, l'odio antiebraico, in quel periodo ribattezzato con il termine di "antisemitismo" Le radici di questo atteggiamento sono da rintracciare nell'identificazione, da parte dei settori più retrivi dell'opinione pubblica, del processo di emancipazione ebraico successivo alla rivoluzione francese con la caduta dell'ordine precapitalista e l'affermazione del capitalismo; nell'importanza crescente del capitale finanziario, in cui la presenza ebraica era particolarmente forte per ragioni storiche (l'esclusione degli ebrei dalle regole che vietavano ai cristiani l'intermediazione monetaria), e nell'identificazione dell'ebreo con lo sradicamento, la mobilità, di contro ai valori tradizionali di stabilità; infine, nel risentimento, l'invidia sociale, il rancore da parte di quegli strati della media borghesia, insidiati dallo sviluppo della grande impresa e del capitale finanziario, che vedevano nell'ebreo il privilegiato, l'intellettuale, il "diverso" L'antisemitismo nasceva così in collegamento con una forma tutto sommato nostalgica di reazione anticapitalista, che cercava di attribuire a un gruppo specifico le responsabilità di mutamenti sociali vissuti come catastrofici. Una reazione all’antisemitismo, ma anche una manifestazioni fra le più caratteristiche di quel fenomeno di risveglio del nazionalismo che attraversò tutta l’Europa di fine '800, fu la nascita del sionismo, un movimento fondato nel 1896, che si proponeva di restituire un'identità nazionale alle popolazioni israelite sparse per il mondo e di promuovere la costituzione di uno Stato ebraico in Palestina, di qui il nome sionismo, dalla collina di Sion su cui sorge l'antica Gerusalemme. Movimento complesso e atipico, ai confini fra il politico, il religioso e il sociale - non senza una componente di stampo colonialistico -, il sionismo stentò all'inizio ad affermarsi, anche perché l'alta e media borghesia ebraica era prevalentemente «assimilazionista»: tendeva cioè, pur senza rinnegare le sue origini, a integrarsi, ove possibile, nelle società dei paesi d'appartenenza: All'inizio del '900, tuttavia, grazie all'attività instancabile dei suoi Le radici dell’_______________________ a - ________________________________ ___________________________________ b - ________________________________ ___________________________________ c - ________________________________ d _________________________________ Il _________________________________ 32 sostenitori, il movimento riuscì a imporsi all'attenzione dell'opinione pubblica e a trovare qualche autorevole appoggio nelle classi dirigenti dell'Europa occidentale. LE CARATTERISTICHE DEL NAZIONALISMO 1 _________________________________________________________ che si esprimeva come: a - _____________________________________________________________________________________ b - ______________________________________________________________________________________ 2 ___________________________________________________________ un capo per ____________________________________________________________________________________________________ 3 - ___________________________________________________________________________________________________________ 4 - ___________________________________________________________________________________________________________ costituita da: a - ________________________________________________________________________________________________ b - ________________________________________________________________________________________________ 3 I CATTOLICI Accanto ai lavoratori delle città, l'altra essenziale componente delle masse popolari europee restava la popolazione contadina. Benché fortemente intaccata, sul piano numerico, dal fenomeno dell'emigrazione, essa costituiva la grande maggioranza delle classi popolari in moltissimi paesi europei. Era sulle masse contadine che contavano i governanti europei per contrastare, con l'allargamento del suffragio, la preoccupante crescita del movimento socialista. La fiducia in un ruolo conservatore dei contadini si basava su diversi elementi, tra i quali la continuità, nelle campagne, dei secolari rapporti di deferenza nei confronti dei ceti possidenti, che permetteva a questi ultimi di divenire leader politici delle loro comunità; la maggior resistenza dei contadini, rispetto agli operai, alle idee nuove e il loro più forte e radicato attaccamento alla religione tradizionale; infine, lo spirito nazionalista caratteristico dei contadini divenuti proprietari della loro terra. L'accesso al voto dei contadini europei non comportò la nascita di specifici partiti agrari, cioè di organizzazioni che si dedicassero esclusivamente, o prevalentemente, alla rappresentanza dei loro interessi. Uno degli scopi dell'allargamento del suffragio era, infatti, convogliare le masse rurali verso i partiti tradizionali, conferendo una nuova forza elettorale ai notabili conservatori liberali, che vedevano la loro egemonia sul parlamento minacciata dalla superiore organizzazione e dalla base di massa dei partiti operai. Molti notabili che governavano i partiti tradizionali erano essi stessi legati ad ambienti rurali, in quanto possidenti o professionisti di provincia: si trattava dunque di allargare il seguito di questi notabili ai ceti che fino a poco prima erano stati loro soggetti in condizione servile o come clienti. Fino all'inizio del nuovo secolo il dominio dei notabili sul voto rurale fu quasi incontrastato in tutta Europa. A partire dalla fine dell'Ottocento alle masse contadine si rivolsero però con interesse anche le forze cattoliche. Tale linea cominciò a imporsi con il pontificato di Leone XIII (1878-1903), durante il quale fu messa in discussione l'intransigenza della Chiesa verso lo stato moderno e le sue istituzioni politiche: la crescente laicizzazione della società e soprattutto l'emergere di idee e visioni del mondo, che intendevano porsi come alternative a quelle fino allora fornite dalla religione (prima di tutto il marxismo), posero la Chiesa di fronte alla difficile scelta se continuare nella propria coerente lotta contro il mondo moderno, rischiando la sostanziale Le masse __________________________ ruolo conservatore per: 1 - ________________________________ ___________________________________ 2 - ________________________________ ___________________________________ 3 - ________________________________ ___________________________________ Masse contadine e ____________________ ___________________________________ Masse contadine e ____________________ Leone XIII e ________________________ ___________________________________ la Chiesa da _________________________ a ________________________________ 33 emarginazione, soprattutto dalle masse proletarie urbane, o favorire propri movimenti politici e sindacali, che portassero la parola della Chiesa nel mondo laicizzato, accettando di ridursi da organo di verità al di sopra delle parti a forza particolare, partito tra gli altri. Un primo passo verso la creazione di una forza politica cattolica fu l'avallo dato dalla Santa Sede alla nascita, nei tardi anni settanta, di partiti cattolici in Germania (Zentrum) e in Belgio: partiti a larga base rurale, che si schierarono su posizioni conservatrici. Nel 1891 l'uscita dell'enciclica "Sulla condizione degli operai"; più nota come "Rerum novarum", segnò un ulteriore passo verso la creazione di movimenti politici e sindacali cattolici. Emanata da Leone XIII nel maggio 1891, l'enciclica non conteneva novità rilevanti sul piano dottrinario: ribadiva la condanna del socialismo e riaffermava l'ideale della concordia fra le classi. Indicava anche, come condizione di questa concordia, il rispetto dei doveri spettanti alle parti sociali: e, se i doveri degli operai erano la laboriosità, la frugalità e il rispetto delle gerarchie, il dovere degli imprenditori stava nel retribuire i lavoratori con la «giusta mercede», nel rispettarne la dignità umana, nel non considerare la loro fatica alla stregua di una merce da pagare al minor prezzo possibile. La parte più interessante dell'enciclica, tuttavia, era quella che riguardava il movimento associativo fra i lavoratori. Veniva apertamente incoraggiata la creazione di società operaie e artigiane ispirate ai principi cristiani e tutti i cattolici erano invitati a impegnarsi su questo terreno. Neanche questa poteva considerarsi una novità assoluta, visto che l'associazionismo cattolico fra i lavoratori era già una realtà abbastanza diffusa e, in ogni caso, si muoveva all'interno di una concezione tradizionalista, venata di nostalgia per la società pre-industriale, e vedeva nelle associazioni cattoliche uno strumento di collaborazione fra le classi, qualcosa di simile alle antiche corporazioni di arti e mestieri. Nella pratica, però, questi ideali si rivelarono di difficile attuazione: i sindacati cattolici si svilupparono soprattutto su basi di classe - cioè raccogliendo solo i lavoratori dipendenti - e in seguito avrebbero adottato metodi di lotta non troppo diversi da quelli dei sindacati socialisti. Nel giro di pochi anni, comunque, movimenti sindacali di ispirazione cattolica sorsero in quasi tutti i paesi industrializzati dell'Europa centrale e meridionale, mentre sempre più ampia si faceva la spinta all'organizzazione di partiti cattolici a carattere democratico. In particolare in Italia e in Francia, emerse una nuova tendenza politica che fu definita democrazia cristiana e che mirava, infatti, a conciliare la dottrina cattolica non solo con l'impegno sociale, ma anche con la prassi e gli istituti della democrazia. In Italia, guidato da Romolo Murri un giovane sacerdote marchigiano, il movimento democratico-cristiano sviluppò un'ampia rete di Fasci e di Uffici del lavoro, che svolgevano un'attività capillare di organizzazione sociale. La posizione assunta dal movimento nel 1899 contro la politica repressiva attuata dal governo segnò una prima frattura con l'atteggiamento ufficiale della Chiesa, improntato a un assoluto "interclassismo". In seguito Murri accentuò la propria posizione favorevole alla lotta per le libertà fondamentali delle classi subalterne, sia appoggiando alcune battaglie dell'estrema sinistra, sia puntando alla costituzione di un partito politico autonomo. Al contrario, nei primi anni del Novecento il Vaticano andò assumendo posizioni sempre più caute nel campo della politica sociale: nel 1901 Murri, che nel frattempo aveva fondato la "Lega democratica nazionale", venne sospeso "a divinis", punizione inflitta ai sacerdoti indisciplinati. Nel 1909, dopo la sua elezione a deputato con l'appoggio radicale e socialista, Murri fu scomunicato. Gli spazi di tolleranza per la democrazia cristiana si chiusero definitivamente quando nel 1903 salì al soglio pontificio il nuovo papa Pio X, legato a una visione più tradizionale dei compiti della Chiesa e del laicato cattolico; venne allora vietata ogni possibilità di espressione ai movimenti critici. I democratico- i partiti cattolici in ____________________ e ___________________ La _______________________________ 1- Condanna socialismo _________________________________ ctr __________________________________ 2 - i doveri __________________________ e la _______________________________ 3 - ________________________________ la _________________________tra le classi la pratica:___________________________ ___________________________________ La _______________________________ _______________________________ e il movimento _________________________ la condanna Pio X: _____________________________ 34 cristiani vennero richiamati all'ordine e si videro proibita ogni azione politica indipendente dalle gerarchie ecclesiastiche. La crescita del Partito socialista indusse comunque le gerarchie ecclesiastiche a favorire, anche in Italia, il ritorno dei cattolici ad un ruolo politico attivo, dapprima, grazie ad un accordo dell'unione elettorale cattolica con i liberali di Giolitti (1913) e, infine, autorizzando i cattolici a costituire un loro partito politico, il Partito popolare italiano fondato da Don Sturzo nel 1919. Il fatto che la nuova forza politica volesse oggettivamente contrapporsi ai socialisti non significava che il PPI fosse destinato ad una politica conservatrice o reazionaria. Anzi, nelle intenzioni di don Sturzo la strategia del partito doveva orientarsi in una direzione sinceramente democratica, cioè preoccuparsi delle esigenze dei ceti deboli del paese, distinguendosi nettamente dai vari orientamenti del liberalismo. A differenza dei socialisti, però, gli obiettivi ultimi di una simile politica democratica non sarebbero mai stati l'abolizione della proprietà privata e la dittatura di una classe (il proletariato) sull'altra (la borghesia), bensì la pacifica composizione degli interessi delle varie classi sociali, nel rispetto dei diritti e della libertà di ognuno. Il PPI si proponeva in sintesi, almeno nelle intenzioni di don Sturzo, come partito ispirato a principi e ideali cristiani e interclassista; sinceramente rispettoso dell'ordinamento parlamentare chiedeva però (in polemica a un tempo con i liberali e con i socialisti) che lo stato fosse una sorta di motore che, ispirato da principi di giustizia sociale, promuovesse il bene comune, cioè l'ordinato e dignitoso sviluppo della società civile in tutte le sue componenti. L’appoggio del Vaticano al nuovo partito dei cattolici venne meno già nel 1923, quando Mussolini, da poco salito al potere, ottenne che Don Sturzo abbandonasse la direzione politica del partito, avviando quel processo di avvicinamento tra lo stato fascista e le istituzioni ecclesiastiche che porterà ai Patti del Laterano del 1929. 3 Lo scontro tra conservatori e progressisti: l’affermazione dello stato liberaldemocratico 3.0 Lo scontro tra progressisti e conservatori 3.1 Il caso tedesco 3.2 Il caso inglese 3.3 Il caso francese 4. Il caso italiano l’accordo elettorale con _______________ Anni ’20: la fondazione del _____________________ _________________ di _______________: democrazia + giustizia ( _______________ ______________________________) + __________________________________ Il Vaticano da _______________________ a ________________________________ LO SCONTRO TRA CONSERVATORI E PROGRESSISTI: L’AFFERMAZIONE DELLO STATO LIBERALDEMOCRATICO LO SCONTRO TRA PROGRESSISTI E CONSERVATORI Maggior partecipazione stato + _______ Negli ultimi decenni dell’Ottocento la vita politica dei paesi europei fu caratterizzata dal fatto che mentre andavano maturando le condizioni di una maggior partecipazione delle masse alla vita politica, attraverso l’estensione del suffragio, si andava contemporaneamente rafforzando l'autorità dello Stato. Quasi tutti gli Stati europei, infatti, accrebbero in questi anni il potere dei propri governi a discapito degli organi rappresentativi (la cui rappresentatività andava estendendosi), aumentarono l'efficienza dei propri organismi amministrativi, favorirono lo sviluppo di una polizia professionale, potenziarono i propri eserciti, si servirono delle accresciute possibilità di controllo per vigilare sulla vita politica, sociale e civile del Paese. In tal modo gli Stati europei intendevano garantire la stabilità politica interna, mantenere l'ordine pubblico, realizzare un efficace controllo del territorio. Tale tendenza si espresse in una politica decisamente autoritaria che fini per provocare, negli anni a cavallo dei due secoli, uno scontro tra forze conservatrici, che difendevano il vecchio modello di stato liberale e autoritario, e le forze progressiste, che spingevano verso la sostituzione del regime liberale con forme più avanzate di democrazia. _________________________________ le forme del rafforzamento _____________ 1 - + potere ___________________ - al ___________________________ 2 _________________________________ 3 _________________________________ 4 _________________________________ 5 _________________________________ ___________________________________ Lo scontro tra _______________________ __________________________________ 35 Gli anni che precedettero la prima guerra mondiale sarebbero stati ricordati come la «belle époque», l'epoca «bella» per eccellenza, paragonata non senza rimpianto alle tragedie della prima guerra mondiale e agli anni agitati del dopoguerra. Si trattava, anche in questo caso, di un'immagine eccessivamente semplificata. La belle époque fu in realtà un periodo di crescita complessiva della società europea, di forte ottimismo giustificato dal rinnovato slancio dell'economia e da un progresso materiale che mai come allora era parso alla portata di tutti, ma anche di forti contrasti politici e di grandi conflitti sociali. I miglioramenti - che indubbiamente vi furono - nella condizione di vita dei ceti popolari furono conquistati a prezzo di lotte aspre e prolungate. Anche le spinte alla democratizzazione incontrarono dappertutto la resistenza ostinata dei gruppi conservatori. Se in alcuni paesi, quali la Gran Bretagna, la Francia e l’Italia le tendenze liberaldemocratiche finirono col prevalere più o meno largamente, altrove furono duramente represse, come in Russia, o bloccate entro le vecchie strutture autoritarie, come in Germania e nell'Impero asburgico. Laddove lo scontro che caratterizzò la vita istituzionale degli stati europei vide il prevalere delle forze progressiste più moderate si impose il modello di stato liberaldemocratico caratterizzati dal suffragio universale, dal rafforzamento del regime parlamentare e al suo interno del ruolo dei partiti, nonché del ruolo dello stato nella società. I limiti dell’azione dello stato liberaldemocratico dei primi decenni del Novecento sono resi evidenti, ad esempio, dal fatto che se la durata del lavoro fu limitata per legge non si arrivò, però, mai al di sotto delle dieci ore giornaliere contro le richieste avanzate dal movimento operaio della riduzione a otto ore. Un altro limite fu costituito sicuramente dal fatto che praticamente in nessun paese venne adottata una politica fiscale che non colpisse le classi popolari privilegiando le imposte progressive sul reddito. La proposta, sconfitta, delle forze politiche più avanzate fu quella di aumentare il peso delle imposte dirette - ossia sul reddito o sul patrimonio di persone o società - a scapito di quelle indirette - cioè di quelle che colpiscono i consumi e, in genere, le attività economiche e che gravano soprattutto sui ceti popolari -, introducendo anche il principio della progressività del carico fiscale - ossia dell'aumento delle aliquote in relazione all'aumento del reddito. Si sarebbe così affermata l'idea che compito dello Stato fosse non solo quello di garantire i meccanismi di formazione della ricchezza, ma anche quello di assicurarne una più equa distribuzione all'interno della popolazione. La Belle ______________________ e tragedia ___________________________ ________________________________ e ___________________________________ Regimi ___________________________ (_________________________________) e regimi ____________________________ (__________________________________) Lo stato ___________________________ caratteristiche (1-2-3-4) I limiti dello ________________________ 1 _________________________________ 2 _________________________________ Imposte ___________________ su _____ _________ e _____________________ ___________________________________ Imposte ___________________ su ______ _______ + colpite _________________ IL CASO TEDESCO Lo Stato nel quale più evidente fu la svolta in senso autoritario del governo fu la Germania. Per quasi vent'anni – e più precisamente dal 11871 il 1890 - vera guida dell'Impero tedesco fu il cancelliere Otto Von Bismarck, artefice dell'unificazione tedesca e della nascita del Reich. La costituzione del Reich attribuiva infatti al cancelliere ampi poteri e una certa autonomia dal parlamento: nominato dal Kaiser e responsabile della propria attività di governo solo di fronte a lui, il cancelliere era titolare, insieme all'imperatore, del potere esecutivo. Il parlamento federale (il Reichstag), eletto a suffragio universale, aveva quindi scarsa possibilità di condizionare l’esecutivo e, inoltre, il suo potere legislativo era limitato dal fatto che poteva discutere esclusivamente le leggi proposte da un consiglio di nomina regia. Grazie alla relativa autonomia dal parlamento Bismarck riuscì a muoversi liberamente, senza piegare, se non quando lo ritenne necessario, le sue scelte politiche al consenso del parlamento. Proprio in Germania, però, si svilupparono, accanto ai partiti tradizionali liberali e conservatori -, forti movimenti politici di massa. Nel 1871 fu fondato il Partito del centro, di dichiarata ispirazione cattolica, che esprimeva le Lo stato autoritario: 1 - _____________________________ potere esecutivo: cancelliere nominata da ___________________ Parlamento: eletto a __________________ poteri: no __________________________ __________________ + discutere le leggi __________________________________ 36 esigenze autonomistiche degli Stati del Sud. Per questo motivo, fra il '72 e il '75, Bismarck emanò una serie di misure contro i cattolici (si parlò di Kulturkampf, ossia «battaglia per la civiltà»), volte non solo ad affermare il carattere laico dello Stato, ma anche a porre sotto sorveglianza l'attività del clero. Questa battaglia ebbe però l'effetto di stimolare l'orgoglio dei cattolici tedeschi che, nel giro di pochi anni, raddoppiarono la loro rappresentanza parlamentare. Le misure anticattoliche furono allora attenuate anche per fronteggiare la nuova minaccia che veniva da sinistra. Nel 1875, infatti, era nato il Partito socialdemocratico tedesco, verso il quale si orientò la classe operaia. Nei confronti dei socialdemocratici, Bismarck scatenò dapprima una dura repressione facendo varare, nel 1878, una serie di provvedimenti eccezionali che costrinsero la socialdemocrazia a una condizione di semiclandestinità. Successivamente (a partire dal 1883) fece emanare alcune importanti leggi di tutela delle classi lavoratrici - assicurazioni obbligatorie per gli infortuni sul lavoro, le malattie, la vecchiaia - molto avanzate per l'epoca. In realtà le leggi sociali bismarckiane si inquadravano nello stesso disegno autoritario che aveva partorito qualche anno prima le leggi eccezionali. Venendo incontro ad alcune delle esigenze più sentite della classe operaia e al tempo stesso rifiutando di riconoscere legittimità alla sua rappresentanza organizzata, Bismarck mirava a integrare le masse lavoratrici nello Stato in una posizione subalterna. Comunque, la crescita elettorale della socialdemocrazia fu continua e sancì il fallimento della politica di Bismarck nei confronti del movimento operaio. La fine del lunghissimo cancellierato di Bismarck, nel 1890, parve dover segnare una svolta anche nella politica interna tedesca. Erano stati infatti soprattutto motivi di politica interna a determinare la caduta del «cancelliere di ferro». Lo stesso imperatore Guglielmo II aveva annunciato di voler inaugurare un «nuovo-corso» (Neue Kurs) nella vita del paese e aveva apertamente criticato le leggi eccezionali contro i socialisti - che in effetti non furono più rinnovate dopo il 1890. Il «nuovo corso» di Guglielmo II non segnò, però, un effettivo mutamento di indirizzi: le speranze, di un'evoluzione liberale del sistema, suscitate da talune aperture iniziali dell'imperatore, andarono presto deluse, lasciando il posto alla tendenza del nuovo Kaiser all'esercizio personale e autoritario del potere. Anche i nuovi orientamenti di politica estera, affermatisi soprattutto a partire dagli ultimi anni dell'800 - quando la Germania imboccò la via della «Weltpolitik» (politica mondiale) e diede il via al riarmo navale - contribuirono a rinsaldare l'alleanza fra la casta agraria e militare degli junker e gli ambienti della grande industria. Un'industria che era sempre più dominata dai cartelli o dalle imprese giganti e che vantava ritmi di sviluppo tecnologico e di crescita produttiva paragonabili solo ai contemporanei progressi dell'industria statunitense. La coscienza di questa superiorità accentuò nella classe dirigente, ma anche nel popolo, le tendenze nazionaliste e imperialiste. Pur essendo un paese ricco di risorse naturali, la Germania, priva com'era di un grande impero coloniale, non aveva una disponibilità di materie prime paragonabile a quella dell'Impero britannico, degli Stati Uniti o dello stesso Impero russo. Di qui la volontà di modificare a proprio vantaggio la distribuzione mondiale delle risorse e gli equilibri sullo scacchiere planetario: un'ambizione che, essendo ormai compiuta la spartizione dei continenti extraeuropei, portava fatalmente la Germania ad assumere una posizione antagonistica rispetto alle altre potenze imperialiste. Questa politica finì con l'ottenere l'appoggio di tutte le forze politiche, socialdemocratici esclusi. A lungo andare però - nonostante la riaffermata fedeltà ai principi della dottrina marxista - anche la socialdemocrazia finì con l'ammorbidire i toni e le forme della sua opposizione e col venire tacitamente a patti con le ideologie nazional-imperialistiche cui nemmeno la classe operaia era del tutto insensibile 2 - ________________________________ a – i partiti cattolici b - ______________________________ dapprima: _________________________ 3 ________________________________ dopo il 1883: _______________________ __________________________________ scopo: _____________________________ ___________________________________ La fine del cancellierato di _____________ e il __________________________ __________________________________ __________________________________ La nuova ___________________________ il _____________________________ e le tendenze _______________________ e ___________________________________ 37 Negli ultimi anni dell'Ottocento e nei primi del Novecento , la Francia, con il duro scontro intorno al caso Dreyfus, l'Inghilterra, con lo scontro fra Lords e Camera dei Comuni, e anche l'Italia, con gli avvenimenti che portarono al governo Giolitti, furono teatro di una crisi politico-istituzionale che ebbe sviluppi diversi da quelli autoritari-costituzionali degli imperi del centro Europa (Germania, ma anche l’Impero austro-ungarico e la Russia in cui il carattere autoritario era ancora più marcato). Se diverso era nei vari casi il contesto politico-sociale e diverse furono le modalità del conflitto, uguale nella sostanza era la posta in gioco: l'evoluzione del regime liberale verso forme di più avanzata democrazia Durante il lungo regno della regina Vittoria (1837-1901) l'Inghilterra aveva visto rafforzarsi il sistema bipolare che opponeva tra loro conservatori (tories), fautori di una politica di prestigio e conquiste, ma cauti sulle riforme sociali, e liberali (whigs), piú attenti ai problemi della società inglese. Sotto i governi liberali, il cui leader era William Gladstone, vennero attuate importanti riforme sociali: il riconoscimento dei sindacati (1871), l'introduzione dell'istruzione elementare obbligatoria (1880), l'estensione del suffragio ai cittadini maschi intestatari di alloggi il cui canone d'affitto era superiore a dieci sterline (l'elettorato passò così da tre a cinque milioni di cittadini, comprendendo un ampio numero di lavoratori) (1884). I governi conservatori, guidati da Benjamin Disraeli, mirarono invece a rafforzare il prestigio internazionale dell'Inghilterra dando impulso alla politica imperialistica. Negli anni a cavallo fra i due secoli - gli anni dell'esaltazione imperialistica, della guerra contro i boeri e della fine dell'età vittoriana: la regina morì nel 1901, lasciando il trono al figlio, l'ormai sessantenne Edoardo VII - la Gran Bretagna fu governata dalla coalizione fra i conservatori e i liberali «unionisti» di Joseph Chamberlain (così detti perché contrari, come i conservatori, all’autonomia irlandese). Fra il 1897 e il 1905 furono varate leggi che stabilivano la responsabilità degli imprenditori in materia di infortuni sul lavoro, aumentavano i finanziamenti per le scuole elementari e medie, favorivano il collocamento dei lavoratori disoccupati. Chamberlain, sotto la pressione di una parte degli industriali, presentò inoltre un progetto che prevedeva di introdurre anche in Gran Bretagna il protezionismo doganale, sconvolgendo così una tradizione liberoscambista che durava ormai da più di mezzo secolo. Nelle elezioni del 1906, i liberali - che si erano opposti al progetto - conquistarono un'ampia maggioranza, mentre per la prima volta faceva il suo ingresso alla Camera un gruppo di trenta deputati laburisti, espressione del movimento operaio. L'emergere del Partito laburista, che ben presto divenne il terzo partito del Regno, finì per rompere il tradizionale equilibrio tra forze liberali e conservatrici Sensibili alle rivendicazioni del mondo operaio, cui non volevano però dare uno sbocco rivoluzionario, i laburisti - durante il regno di Edoardo VII (19011910) e Giorgio V (1910-1936) - sostennero le importanti iniziative dei liberali, tornati al governo nel 1906, tese a colpire i grandi patrimoni, porre a carico dello Stato le pensioni di vecchiaia, introdurre l'assicurazione sanitaria obbligatoria, garantire salari minimi e fissare a otto ore la giornata lavorativa per alcune categorie di lavoratori, come i minatori, allargare ulteriormente l'elettorato, limitare poteri e privilegi dei lords, concedere l'autonomia agli irlandesi. Ma l'aspetto più nuovo e coraggioso dell’azione dei governi liberali fu la proposta di introdurre una politica fiscale fortemente progressiva, mirante a colpire soprattutto i grandi patrimoni. Il tentativo si scontrò con la reazione della Camera dei Lords, roccaforte dell'aristocrazia, che respinse il bilancio preventivo presentato dal governo liberale. I liberali presentarono allora un «progetto di legge parlamentare» (Parliamentary Bill), che negava ai Lords il diritto di respingere leggi di bilancio. Nel 1911, dopo un braccio di ferro durato IL CASO INGLESE Gli stati ____________________________ Il sistema ___________________________ inglese: ___________________/_______________ i governi ___________________________ i governi ___________________________ il governo di coalizione ______________ ___________________________________ la proposta _________________________ elezioni _________: la vittoria dei ______________________ l’entrata in parlamento dei _____________ Le iniziative del governo ______________ con l’appoggio dei ___________________ Lo scontro sulla____________________ _________________________________ l’opposizione _______________________ la proposta di ________________________ ___________________________________ 38 due anni e dopo due successive elezioni anticipate vinte (sia pure di stretta misura) dai liberali, i Lords, grazie anche alle pressioni del nuovo re Giorgio V, si La limitazione _______________________ piegarono ad accettare la legge che limitava i loro privilegi e che rappresentava un'indiscutibile vittoria per le forze progressiste. __________ e la vittoria dei progressisti Nello stesso anno il governo presentò un nuovo progetto di Home Rule, che prevedeva un'Irlanda autonoma, con un proprio governo e un proprio parlamento, ma pur sempre legata alla corona britannica. Dopo un lungo e tormentato L’autonomia ________________________ dibattito, nonostante l'opposizione dei nazionalisti irlandesi che reclamavano il pieno autogoverno e della minoranza protestante dell'Ulster che chiedeva l'autonomia dai cattolici irlandesi, il progetto liberale fu approvato nel maggio 1914. Il sopraggiungere della guerra mondiale imporrà una sospensione della Home Rule, che entrerà in vigore solo nel 1918. Negli ultimi decenni dell'Ottocento la Francia aveva compiuto progressi sostanziali sulla strada della democrazia. Eppure le istituzioni repubblicane continuavano a essere oggetto di una insidiosa contestazione, che ora prendeva le forme di un esasperato nazionalismo, ora quelle della reazione clericale, ora quelle di un antisemitismo non privo di componenti demagogiche. Alla fine dell'800 queste correnti si coagularono, facendo blocco con una parte delle forze moderate e mettendo a serio repentaglio la vita stessa della Terza Repubblica. L'alleanza tra nazionalisti e clericali fu evidente in occasione di un clamoroso caso giudiziario: quello di Alfred Dreyfus, un ufficiale ebreo ingiustamente condannato ai lavori forzati nel 1894 sotto l'accusa di aver fornito documenti riservati all'ambasciata tedesca. Quando cominciarono a emergere i primi dubbi sulla colpevolezza del condannato, le alte sfere militari si rifiutarono di procedere a una revisione del processo. Socialisti, radicali e una parte dei repubblicani moderati si batterono perché venisse riconosciuta l'innocenza dell'ufficiale. Clericali, monarchici, nazionalisti di destra e non pochi repubblicani moderati insistettero sulla tesi della colpevolezza. Il contrasto travalicò ben presto i confini del caso giudiziario per trasformarsi in uno scontro politico che aveva per oggetto le stesse istituzioni repubblicane. Dreyfus fu infine graziato dal presidente della Repubblica e poi ufficialmente riabilitato nel 1906. I sostenitori di Dreyfus ebbero partita vinta anche sul terreno politico. L'esito delle elezioni del 1899, favorevole alle forze progressiste, consentì la formazione di un governo di coalizione repubblicana appoggiato anche dai socialisti - un esponente socialista entrò addirittura a far parte del ministero. Con questo e con i successivi governi a direzione radicale, la Francia laica e repubblicana si prese le sue rivincite su nazionalisti e clericali. Alcune associazioni di estrema destra vennero sciolte e i loro capi arrestati. Fu avviata un'epurazione negli alti gradi dell'esercito e, soprattutto, riprese con rinnovato vigore la battaglia contro le posizioni di potere ancora detenute dal clero cattolico. I governi che si succedettero fra il 1906 e il 1910, sotto la guida di Georges Clemenceau e poi di Aristide Briand, condussero in porto alcune importanti riforme sociali - limitazione dell'orario di lavoro, legge sul riposo settimanale, pensioni di vecchiaia -, ma non riuscirono a varare un progetto di imposta generale sul reddito e dovettero scontrarsi, anche duramente, con la protesta di una classe lavoratrice che aveva beneficiato solo marginalmente dei progressi economici compiuti dal paese. Lo spostamento a sinistra del movimento sindacale provocò la rottura dell'alleanza fra socialisti e radicali e, alla lunga, ridiede spazio alle correnti repubblicano-moderate che riuscirono a tornare al potere fra il 1912 e il 1914 portando alla guida del governo - e poi alla presidenza della Repubblica - il loro leader più prestigioso, Raymond Poincaré. In questi anni il dibattito politico, accantonati i temi delle riforme, si sarebbe concentrato sul problema delle spese militari e del rafforzamento IL CASO FRANCESE L’alleanza tra moderati, _______________ e clericali Il caso _______________________ L’alleanza tra _______________________ ___________________________________ Le elezioni del ________: la vittoria dei ____________________________ le _________________________________ Il fallimento del progetto ______________ ___________________________________ La rottura tra ________________________ ___________________________________ il ritorno al governo __________________ __________________________________ 39 dell'esercito. 4. Il caso italiano 4.1 L’involuzione conservatrice della Sinistra storica 4.2 La svolta autoritaria: i governi Crispi 4.3 La crisi di fine secolo 4.4 La svolta liberaldemocratica: i governi Giolitti Anche in Italia lo scontro tra conservatori e forze politiche progressiste si concluse con un'affermazione delle forze progressiste: un'affermazione non completa né definitiva, ma sufficiente a far evolvere la vita del paese, che conosceva allora una fase di intenso sviluppo industriale, secondo modelli più vicini a quelli delle democrazie liberali occidentali che non a quelli autoritariocostituzionali degli imperi del Centro Europa. Salita al potere all’inizio degli anni settanta (1871), la Sinistra esaurì ben presto la sua spinta innovativa, finendo per deludere le aspettative di quanti avevano visto nella vittoria elettorale della Sinistra «una rivoluzione parlamentare». La legge Coppino sull'istruzione (1877), che innalzava l'obbligo scolare sino ai nove anni e prevedeva un'ammenda per i genitori inadempienti, venne solo parzialmente applicata per la mancanza di fondi dei Comuni, cui era delegata l'attuazione della legge; la riforma elettorale (1882), che abbassava l'età e il censo (portati rispettivamente da 25 a 21 anni e da 40 a 20 lire) e riconosceva il diritto di voto a chi sapeva leggere e scrivere indipendentemente dal censo, produsse un modesto allargamento dell'elettorato che passò dal 2 al 6,9% della popolazione; l'imposta sul macinato venne abolita (1880), sostituita però da imposte, non meno impopolari, su altri generi di largo consumo; la riforma amministrativa venne accantonata, e nessun significativo provvedimento per attenuare l'accentramento e il potere dei prefetti venne approvato dalla Sinistra. Già indebolito dai risultati delle elezioni del 1880, il governo Depretis accentuò dal 1882 la sua involuzione conservatrice e trasformistica12, assecondando gli interessi dei ceti dominanti: proprietari agrari meridionali, industriali del Nord, forze militari, alto clero, aristocratici e dignitari di corte. Per difendere la produzione agricola e le prime forme di produzione industriale dalla crisi che dal 1873 investì tutta l'Europa e colpì con particolare durezza l'Italia, il governo della Sinistra abbandonò il tradizionale liberismo per una «svolta protezionistica». Nel 1887 il parlamento approvò una nuove tariffe doganali sui cereali, sullo zucchero, sui prodotti dell'industria meccanica, tessile e siderurgica al IL CASO ITALIANO L’INVOLUZIONE CONSERVATRICE DELLA SINISTRA STORICA Lo scontro tra _______________________ e ________________________ in Italia II governo _______________________ Le mezze riforme: 1 - ________________________________ __________________________________ 2 - ________________________________ ___________________________________ 3 - ________________________________ ___________________________________ l’accantonamento del _________________ l’involuzione _______________________ e _________________________________ vedi nota la politica __________________________ l’abbandono ________________________: 12 La politica trasformistica venne inaugurato con l’accordo elettorale tra le due correnti parlamentari che avevano fino ad allora dominato la scena politica, la Sinistra storica e la Destra storica, per far fronte a una temuta avanzata delle forze democratiche in seguito alla nuova legge elettorale. La sostanza del trasformismo stava nel venir meno delle tradizionali distinzioni ideologiche fra Destra e Sinistra e nella rinuncia, da parte di quest’ultima, a una precisa caratterizzazione programmatica. A un modello «bipartitico» di stampo inglese (destra contro sinistra, maggioranza contro opposizione, conservatori contro progressisti) se ne sostituiva un altro basato su un grande centro che tendeva a inglobare le opposizioni moderate e a emarginare le ali estreme (i conservatori più intransigenti da un lato, l'estrema sinistra dall'altro). La maggioranza non era più definita sulla base di precise discriminanti programmatiche, ma veniva «costruita» giorno per giorno a forza di compromessi e patteggiamenti: il che provocava un sostanziale immobilismo nel1’azione di governo, oltre che un netto scadimento nel tono della vita politica. All’esterno del grande centro svolsero un ruolo politico dapprima l'ala radicale della Sinistra (detta anche l'«Estrema») che sin dal 1877, guidata da Felice Cavallotti, cui il trasformismo di Depretis toglieva ogni speranza di vedere introdotto il suffragio universale e approvate leggi in difesa dei lavoratori, abbandonò la maggioranza di governo per presentarsi alle elezioni del 1882 con una lista autonoma e, in seguito, sempre più i partiti del movimento operaio. 40 fine di proteggere l'economia italiana dalla concorrenza dei prodotti esteri. Questi provvedimenti difendevano le produzioni tipiche dei latifondi meridionali e delle aziende settentrionali favorendo gli agrari del Sud e gli imprenditori del Nord, saldando i loro interessi in una sorta di «blocco agrario-industriale». Si assistette cosí da un lato al rafforzarsi dei legami, spesso basati su favori, tra membri del governo o parlamentari della maggioranza e le élite industriali e latifondiste, e dall'altro, al sacrificio delle classi popolari, in particolare del mondo contadino meridionale. Non solo, infatti, le nuove tariffe doganali non proteggevano tipiche colture del Mezzogiorno, come la vite, l'olio, gli agrumi, ma provocarono ritorsioni da parte di nazioni straniere come la Francia che, vedendo danneggiate le loro esportazioni verso l'Italia, reagirono ostacolando l'importazione dei prodotti italiani. I dazi sui cereali, introdotti dalle tariffe del 1887, provocarono inoltre il rincaro di generi di prima necessità come il pane e la pasta, gravando iniquamente sulle classi piú deboli. Anche la tanto attesa abolizione del corso forzoso della lira, introdotto nel 1883, non diede all'economia italiana i benefici sperati. La decisione di reintrodurre la convertibilità dei biglietti di banca in moneta metallica restituì fiducia nella lira e favorì l'afflusso di capitali stranieri; ma questi investimenti si concentrano nelle regioni settentrionali o si rivelarono pure speculazioni che non diedero reali profitti all'economia. E tuttavia nel corso degli anni ottanta, l'Italia conobbe le sue prime forme di industrializzazione, anche se esclusivamente concentrate nel Nord. Nei dintorni di Milano, Torino, Genova, infatti, grazie ai finanziamenti e alle commesse statali si sviluppano importanti industrie: Ansaldo e Orlando nel settore cantieristico, Breda e Fiat in quello meccanico, Pirelli in quello chimico, Colombo nel settore elettrico. Mentre in alcuni centri del triangolo industriale sorgevano fabbriche e imprese, nella gran parte delle regioni italiane la crisi agraria e la conseguente caduta dei prezzi dei prodotti agricoli generarono nuove difficoltà. Indice inequivocabile dell'impoverimento generale del Paese è il flusso migratorio di contadini che assunse dalla fine degli anni Settanta dimensioni imponenti, spingendo oltreoceano, migliaia di italiani in cerca di lavoro. la svolta ____________________________ Esponente di spicco della Sinistra parlamentare, Francesco Crispi divenne nel 1887 presidente del Consiglio, succedendo al governo di Agostino Depretis, del quale era stato ministro degli Interni. I governi Crispi rappresentarono sicuramente per l’Italia una svolta autoritaria. Crispi, nonostante il suo passato di mazziniano e garibaldino, godeva della stima dei conservatori per il suo apprezzamento nei confronti del sistema bismarckiano; infatti, come Bismarck, egli aspirava a rafforzare l'autorità dello Stato per difenderla dalle minacce che provenivano dal crescente malcontento popolare e dall'organizzarsi dei primi partiti di orientamento socialista, e a fare del suo Paese una grande potenza militare e coloniale. Capo del governo dal 1887 al 1891 e dal 1893 al 1896, Crispi si impegnò a rafforzare il potere esecutivo in modo da ridurne la dipendenza dal parlamento e aumentare il controllo del governo sulla vita civile e sull'ordine pubblico. A tal fine accentrò nella sua persona le cariche di presidente del Consiglio, di ministro degli Interni e di ministro degli Esteri. Per razionalizzare la legislazione e riordinare la pubblica amministrazione, Crispi sostenne importanti riforme che rivelano il suo contraddittorio progetto di democrazia autoritaria: il Codice penale Zanardelli (1890), riconosceva il diritto di sciopero e sopprimeva la pena di morte, ma la nuova legge sulla pubblica sicurezza (dell'anno precedente) limitava fortemente le garanzie di libertà dei cittadini, ampliando il potere discrezionale della polizia; la riforma degli enti locali del 1888 rendeva elettiva la carica di sindaco, ma aumentava il controllo dei prefetti sulle autorità e sulle attività comunali. L'autoritarismo di Crispi si manifesto in modo assai evidente durante la sua seconda presidenza del Consiglio, quando, dopo la breve parentesi dei governi di Crispi da __________________________ il blocco ___________________________ Effetti: 1 la crisi ___________________________ ___________________________________ 2 _________________________________ L’abolizione ________________________ 3 _________________________________ a - grazie a __________________________ b - la concentrazione nel _______________ _________________________ La crisi agraria e _____________________ LA SVOLTA AUTORITARIA: I GOVERNI CRISPI a _______________________________ _________________________________ e __________________________________ L’autoritarismo di Crispi: L’autoritarismo di Crispi: la democrazia _______________________ a – ________________________________ ___________________________________ b – _______________________________ ___________________________________ c - _______________________________ ___________________________________ d - ________________________________ ___________________________________ 41 Rudiní (1891-1892) e Giolitti (1892-1893), si trovò a dover far fronte alle rivolte popolari delle leghe di lavoratori (i cosiddetti Fasci) siciliani e della Lunigiana (1891-1894). Di fronte ai moti di protesta dei contadini e degli operai delle zolfatare siciliane e delle cave di marmo apuane e lunigiane, Crispi assume un atteggiamento fermo e intransigente: si oppose alle rivendicazioni dei lavoratori, che sollecitavano alcune modifiche dei pesanti patti agrari e la concessione di qualche miglioramento salariale, e proclamò lo stato d'assedio, facendo intervenire le forze militari. Preoccupato dell'ordine pubblico, nel 1894, Crispi faceva approvare in parlamento una serie di leggi - le cosiddette leggi “ anti-anarchiche” che restringevano la libertà di stampa, di riunione, di associazione, colpendo leghe, circoli, giornali. Nell'ottobre dello stesso anno sciolse d'autorità il Partito dei lavoratori, di ispirazione socialista, ritenuto a torto responsabile dei disordini. In realtà i dirigenti socialisti non avevano appoggiato il movimento dei Fasci - nel quale vedevano piú una «rivolta della fame» che una forma cosciente di lotta di classe - limitandosi a esprimere le loro solidarietà ai contadini durante la repressione governativa. Lo scioglimento del Partito dei lavoratori italiani non produsse gli effetti sperati da Crispi. Non solo infatti la rete organizzativa del partito non venne indebolita, ma anzi aumentarono le simpatie verso il socialismo da parte di molti intellettuali, come Giovanni Pascoli e Edmondo De Amicis, e si intensificarono i contatti tra socialisti e altri partiti di opposizione, come i radicali e i repubblicani. Saranno queste forze, insieme a una parte di quelle della maggioranza, in dissenso con la politica coloniale governativa, a favorire le dimissioni di Crispi, quando la sconfitta italiana di Adua (1896) gli alienerà anche la simpatia di gran parte dell'opinione pubblica e persino della Corona13. Le gravi difficoltà economiche che colpirono l'Italia acuirono il malessere sociale. Paese ancora prevalentemente agricolo, ma investito, in alcune aree, dalle prime forme di industrializzazione, l'Italia vide diffondersi, negli ultimi decenni del secolo, nuove forme di associazione dei lavoratori: società di mutuo soccorso per scopi di previdenza e di solidarietà, leghe di resistenza tra braccianti in lotta per il rinnovo dei contratti agrari, cooperative di lavoratori per l'appalto di opere pubbliche, federazioni di mestiere per la tutela delle diverse categorie, Camere del lavoro per I _______________________________ le leggi ____________________________ l’alleanza ___________________________ ___________________________________ la sconfitta di ______________________ e __________________________________ vedi nota LO SVILUPPO _________________________ ___________________________________ Società di _______________________, ________________________, __________ ______________,____________________ 13 È verso l'Africa orientale e successivamente verso la Libia e le isole greche che si orienta il colonialismo italiano. Il suo esordio risale al 1882, quando il governo, in seguito all'occupazione francese della Tunisia, dove risiedeva una numerosa comunità di emigrati italiani, decise di concludere la Triplice Alleanza con Germania e Austria e trattò l'acquisto della la baia di Assab, sul mar Rosso, prima base coloniale in Africa orientale, dalla compagnia di navigazione Rubattino; tre anni dopo, invocando a pretesto il massacro di una spedizione di italiani, ordinò l'occupazione del porto di Massaua. Pervenuta assai tardi all'unità territoriale e ancora gravata dai problemi politici ed economici conseguenti all'unificazione, l'Italia della Destra e dei primi anni di governo della Sinistra aveva seguito una politica estera assai prudente, evitando sia impegni diplomatici con altre potenze che avventure coloniali. Le prime iniziative coloniali dell'Italia furono fortemente contrastate da una parte dell'opinione pubblica che riteneva insufficienti le motivazioni portate a loro legittimazione: acquistare prestigio internazionale, civilizzare le popolazioni africane, offrire terre agli emigranti. Il coro di proteste e polemiche che seguì all'eccidio di una colonna di soldati italiani da parte di truppe etiopi, avvenuto a Dogali, indusse cosí il governo a interrompere, nel 1887, la campagna africana. Questa venne ripresa due anni dopo da Francesco Crispi che impose il protettorato italiano sulla Somalia orientale e meridionale e ottenne dal negus d'Etiopia Menelik il riconoscimento della colonia Eritrea (trattato di Uccialli del 1889). Richiamandosi a una clausola del trattato di Uccialli, che nel testo italiano implicava l'accettazione da parte di Menelik di un protettorato dell'Italia sull'Eritrea, l'esercito italiano, nel 1895, riprese la marcia verso l'Etiopia. Poiché tale clausola non era stata riportata nel testo aramaico sottoscritto da Menelik, gli etiopi si opposero alla spedizione italiana cui inflissero, nel marzo 1896, una pesante sconfitta nella conca di Adua. II contraccolpo sul piano politico fu immediato e Crispi, attaccato dall'opinione pubblica, fu costretto a dimettersi. Il trattato di Addis Abeba, stipulato dal negus e dal successore di Crispi, Antonio di Rudiní, riportò la pace tra le due nazioni riconoscendo all'Italia il possesso della sola Eritrea, mentre l’Etiopia verrà sottomessa a metà degli anni trenta da Mussolini, ma una ripresa della politica coloniale avvenne, già con Giolitti, nel 1911con l'occupazione della Libia . 42 il collocamento dei disoccupati e per la composizione delle liti tra proprietari di fabbrica e operai. Distribuite in modo irregolare sul territorio e spesso prive di un coordinamento nazionale, queste organizzazioni avevano diverse matrici ideologiche: alcune di Le matrici ideologiche: esse si ispiravano alla dottrina socialista e facevano propri i principi della lotta di classe e dello sciopero; altre, come le associazioni di mutuo soccorso, 1 ________________________________ rifiutavano gli ideali di classe e si rifacevano al solidarismo mazziniano o a quello del cattolicesimo liberale. Non meno temute dal governo e dalle forze sociali che vedevano in esse una minaccia all'ordine e alla stabilità erano le organizzazioni che si richiamavano all'internazionalismo anarchico e quelle che si rifacevano al cattolicesimo intransigente. Entrambe, ma per motivi e in modi diversi, rifiutavano e combattevano lo Stato italiano: le prime, assai diffuse tra il proletariato agricolo grazie all'opera di propaganda dello stesso Bakunin (1814-1876) e di agitatori come Enrico Malatesta (1854-1932), progettavano scioperi e moti contadini; le seconde, continuavano nel loro atteggiamento di rifiuto dello Stato «usurpatore», appoggiandosi alle parrocchie e alle diocesi per dare vita a Alla presenza del re, Umberto I, il 15 circoli e associazioni per la gioventú, gli orottobre 1899 a Savigliano nell’attuale piazza del Popolo si inaugura il fani, i lavoratori. L'esigenza di un coordinamento delle monumento al generale Arimondi Il generale Arimondi, “l’eroe di Adua” diverse forze già attive nella difesa e per la retorica ufficiale, era il nell'assistenza dei lavoratori condusse alla comandante dell’esercito italiano fondazione dei primi partiti di ispirazione pesantemente sconfitto nella battaglia socialista. Il primo di essi fu il Partito di Adua che frenò le ambizioni socialista rivoluzionario di Romagna, colonialistiche dell’Italia e portò alle nato nel 1881 per iniziativa di Andrea dimissioni del governo Crispi. Costa (1851-1910) che, critico nei confronti dello spontaneismo anarchico, lasciava i circoli bakuniniani per dare vita a un partito organizzato e impegnato nella preparazione della rivoluzione socialista. L'anno successivo, associazioni operaie di mestiere confluivano nel Partito operaio italiano, che all'affermazione politica anteponeva le lotte economiche e sociali. Solo nel 1892 nacque il Partito dei lavoratori italiani che nel 1895 assumerà la denominazione di Partito socialista italiano. Fondato a Genova durante un congresso dei rappresentanti di trecento società operaie, leghe contadine, circoli politici, il partito era guidato dall'avvocato milanese Filippo Turati (1857-1932), fondatore insieme alla sua compagna, l'esule russa Anna Kuliscioff (1857-1925), della Lega socialista milanese (1889) e della rivista «Critica sociale» (1891). Come fine dell'azione del Psi, Turati e la Kuliscioff ponevano la socializzazione dei mezzi di produzione, come strumento per realizzare questo fine, la lotta del proletariato. Negli anni successivi, Turati andrà precisando le sue posizioni, distaccandosi sempre piú nettamente dalla strategia antilegalitaria e violenta rivendicata dall'ala massimalista del socialismo. Il Psi sarà, infatti, a lungo travagliato dall'acceso confronto e scontro tra riformisti e massimalisti. I primi sono i sostenitori del programma minimo di riforme, che Turati si prefiggeva di realizzare mediante le battaglie parlamentari e non con una rivoluzione violenta. I secondi erano 2 ________________________________ 3 _________________________________ 4 _________________________________ 5 _________________________________ I primi partiti _____________________ La fondazione del ____________________ ___________________________________ (______________________) __________________________________e __________________________________ Lo scontro tra _______________________ ___________________________________ 43 sindacalisti rivoluzionari che rifiutavano ogni dialogo o collaborazione con le forze liberali conservatrici, puntando al programma massimo - il crollo del sistema economico sociale capitalista - con dure iniziative come lo sciopero e la rivoluzione. Nei successivi congressi (tenuti a Roma nel 1900, a Bologna nel 1904, a Reggio Emilia nel 1912) le diverse anime continuarono a scontrarsi prevalendo ora l'una ora l'altra, e indebolendo la forza del socialismo italiano, sino a quando, nel primo dopoguerra, la minoranza rivoluzionaria non si staccherà dal Psi per fondare il Partito comunista italiano (Congresso di Livorno, 1921). I CATTOLICI A partire dai primi del Novecento anche le forze cattoliche, incoraggiate dall'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891), accentuarono il loro impegno sociale Dalla _________________________ operando nelle parrocchie, nelle associazioni caritative e nei sindacati, a difesa dei lavoratori e degli strati piú deboli della popolazione. In questi cattolici, più all’accordo elettorale con ______________ aperti e attivi, si diffondeva il desiderio di partecipare anche alla vita politica dello Stato, sia per arginare il diffondersi degli ideali laici e socialisti, sia per contribuire al ___________________________________ rinnovamento della legislazione e delle istituzioni italiane anche se, come abbiamo già visto, le gerarchie andavano ormai favorendo un accordo con le forze più conservatrici. LA CRISI DI FINE SECOLO Negli ultimi anni del secolo, l'Italia attraversò una crisi politico-istituzionale che mise a nudo le debolezze dello Stato liberale. Più volte sull'orlo di un'involuzione autoritaria, lo Stato italiano riuscirà tuttavia a far fronte alle tentazioni illiberali di una parte della sua classe politica e, anzi, farà emergere dalla crisi nuove forze e prospettive di progresso. Già negli anni immediatamente precedenti, quando Crispi aveva opposto alle richieste di innovazioni democratiche e di riforme sociali la linea ferma e intransigente dello stato d'assedio e della soppressione delle libertà civili, il regime liberale italiano aveva dimostrato di avere fragili basi. Nuove prove di questa debolezza giunsero nel 1898, durante il governo del successore di Crispi, Antonio di Rudiní (1896-1898), quando alcune spontanee manifestazioni popolari contro l'aumento del prezzo del pane vennero represse con l'intervento della polizia e la dichiarazione dello stato d'assedio. A Milano, il generale Bava Beccaris ordinò addirittura alle sue truppe di puntare i cannoni sui dimostranti, provocando un centinaio di morti (e per questa sua iniziativa sarà di insignito un'alta onorificenza militare). Militanti socialisti, radicali, cattolici vennero arrestati e condannati a pene severissime; circoli, giornali e associazioni furono d'autorità chiusi e sciolti; le città poste in stato d'assedio. Mentre i liberali progressisti, i socialisti, i cattolici piú aperti, i radicali denunciavano l'involuzione illiberale del governo, l'ala piú conservatrice dell'opinione pubblica e del parlamento valutava positivamente la provocatoria proposta dell'ex ministro Sidney Sonnino. In un articolo del 1897 intitolato «Torniamo allo Statuto» Sonnino, infatti, proponeva di abbandonare il regime parlamentare, introdotto da Cavour, e di ripristinare quello costituzionale puro, previsto dallo Statuto Albertino; in tal modo il governo sarebbe tornato a rispondere del proprio operato non dinanzi al parlamento, ma al sovrano in persona. Come successore di Antonio di Rudiní venne designato un generale piemontese, legato agli ambienti di corte, Luigi Pelloux (1898-1900), che, per far fronte ai gravi problemi di ordine pubblico e ristabilire la pace sociale, presentò in parlamento un pacchetto di proposte di legge anticostituzionali, tese a limitare il diritto di sciopero, la libertà di stampa e di associazione. Compatta contro questi «provvedimenti liberticidi», l'opposizione parlamentare costituita da liberali, socialisti, radicali, repubblicani ricorse a espedienti ostruzionistici, prolungando le discussioni, moltiplicando gli interventi per impedire l'approvazione delle leggi illiberali. Lo scontro __________________________ ___________________________________ L’involuzione _______________________: - i governi ___________________ - il governo ___________________ La repressione _______________________ __________________________________ La proposta _________________________ Il governo _____________________ e i “provvedimenti _____________________” 44 Da “Il Saviglianese” n. 22 del 1898, in seguito ai moti per l’aumento del prezzo del pane si esegue lo scioglimento del Circolo socialista di Savigliano A dare forza all'opposizione giunse il risultato elettorale del giugno 1900 che indebolì i partiti di governo e rafforzò le opposizioni, in particolare i socialisti che ottennero 33 seggi. Dopo il breve governo di Saracco (1900-1901) che dovette far fronte all'assassinio del re Umberto I (1878-1900), a opera dell'anarchico L’uccisione di ____________________ Gaetano Bresci rientrato dagli Stati Uniti per Il governo _______________________ vendicare le vittime dell'eccidio di Milano del 1898 - il nuovo re Vittorio Emanuele III (19001946) affidò l'incarico di governo a politici della Sinistra liberale: Giuseppe Zanardelli che governerà dal 1901 al 1903 e Giovanni Giolitti che, con brevi interruzioni, ricoprirà la carica di presidente del Consiglio dal 1903 al 1914. LA SVOLTA LIBERALDEMOCRATICA: I GOVERNI GIOLITTI Ministro degli Interni nel governo Zanardelli, Giolitti (1903-1905; 1906-1909; 19111914) aveva dimostrato la sua convinta adesione ai principi liberaldemocratici in precedenti e significative occasioni: come presidente del Consiglio, nel 1892-1893, non aveva ostacolato il primo organizzarsi dei movimento operaio e del partito dei lavoratori, né aveva preso iniziative repressive nei confronti della protesta dei Fasci siciliani, allora appena sorti. Proprio per questa cautela le forze piú conservatrici, che volevano al governo un "uomo forte", avevano approfittato dello scandalo della Banca romana, nel quale Giolitti era coinvolto, per liberarsi di lui. Dimostrando, infatti, che il capo del governo era al corrente dei finanziamenti concessi dall'istituto di credito ad alcuni politici, tra cui lo stesso Giolitti, l'opposizione aveva ottenuto le sue dimissioni; al suo posto era poi stato chiamato Crispi che in questo scandalo non era meno coinvolto, avendo ricevuto anch'egli dalla Banca finanziamenti per la sua campagna elettorale. Una seconda occasione per dimostrare la sua fedeltà ai principi liberali si era offerta a Giolitti durante il dibattito parlamentare sui provvedimenti liberticidi di Pelloux (1899): per impedirne l'approvazione Giolitti si era posto alla testa dell'opposizione liberale, dando un significativo contributo all'ostruzionismo avviato dai socialisti. Nel febbraio del 1901, all'indomani di un grande sciopero tenutosi a Genova, Giolitti, in quel momento ministro degli Interni, riaffermava la sua apertura liberale nei confronti delle rivendicazioni dei lavoratori. In un celebre discorso parlamentare affermava la legittimità delle organizzazioni dei lavoratori, ricordando che lo Stato non doveva vedere in esse un nemico, né doveva schierarsi, nella dialettica tra datori di lavoro e operai da una parte dei contendenti. In quanto gli Giolitti e il riconoscimento _____________ ___________________________________ 1 – Primo governo Giolitti __________________________________ __________________________________ e ___________________________________ 2 - ________________________________ ___________________________________ 3 - lo sciopero ______________________ 45 competeva di pacificare e rappresentare tutte le forze sociali, lo Stato doveva tenersi fuori dai conflitti e doveva semmai lavorare in vista dell'eliminazione delle cause di ogni contesa. A fondamento della sua azione di governo, che con qualche interruzione si prolunga sino al 1914, Giolitti pose l'idea della funzione unificante dello Stato, della sua neutralità nelle lotte sociali. Se sino ad allora le forze di governo avevano messo la polizia dello Stato al servizio degli interessi padronali, ora l'intervento delle forze dell'ordine durante scioperi e manifestazioni popolari doveva limitarsi alle eventuali violazioni delle norme penali. L'ascesa delle classi lavoratrici e i miglioramenti salariali erano del resto legittimi e necessari allo sviluppo economico della nazione; impedirne il corso con la repressione degli scioperi, lo scioglimento dei partiti, il rifiuto di riconoscere le organizzazioni sindacali significava ostacolare il progresso economico e sociale della nazione. Grazie a queste sue aperture, Giolitti ottenne un decisivo sostegno dalle forze di sinistra, grazie al Giovanni Giolitti (18421928), qui in un ritratto di quale compensava la perdita dell'appoggio della inizio Novecento, era un Destra. Entrarono cosí nella maggioranza di liberale di sinistra, nato a governo i radicali - eredi della sinistra Mondovì e sempre rieletto risorgimentale - costituitisi in partito nel 1904, nel collegio elettorale di mentre restavano al di fuori della maggioranza i Dronero. socialisti, al cui leader, Filippo Turati, Giolitti aveva offerto un ministero. Il rifiuto di entrare nel governo era dipeso, in parte,dal timore che quest'ultimo si rivelasse piú cauto e moderato di quanto dichiarato nel programma di riforme e, in parte, dall'opposizione delle ali sindacaliste rivoluzionarie del partito. Ciò, tuttavia, non impedirà ai socialisti di seguire con fiducia le iniziative di Giolitti approvandone molte riforme sociali. Fedele a una linea liberale e riformista, Giolitti creò nel Paese un clima che attrasse i capitali stranieri in cerca di nuove aree e forme di investimento e stimolò gli industriali italiani, più aperti alle innovazioni e sensibili alle richieste del mercato, a innovare le loro produzioni, lanciandosi in settori dalle grandi potenzialità, come quelli dell'automobile, della chimica, dell'energia elettrica, della siderurgia, della cantieristica. Un sostegno e uno stimolo essenziali al decollo delle industrie italiane provenne da importanti innovazioni nel sistema creditizio, nelle infrastrutture e nella politica economica già avviate nei decenni precedenti. Nel 1894 erano state create due "banche miste" - il Credito italiano e la Banca commerciale - in grado di fare da cerniera tra redditi, risparmi e investimenti. Ugualmente indispensabile allo sviluppo industriale era la rete ferroviaria creata dai precedenti governi, quasi completata e nazionalizzata intorno al 1905. Nello stesso anno vennero nazionalizzati da Giolitti altri servizi pubblici, come quello telefonico, essenziale allo sviluppo industriale oltre che all'innalzamento del tenore di vita dei cittadini, mentre due anni prima erano stati municipalizzati (cioè affidati ai Comuni) i trasporti cittadini, l'elettricità, il gas. Un forte incentivo alle imprese italiane era venuto, infine, dalle misure protezionistiche adottate da tempo a sostegno della produzione siderurgica, saccarifera e tessile e dai finanziamenti e dalle forti commesse statali in settori come l'edilizia, la cantieristica, la meccanica. Grazie al concorso di questi fattori la produzione industriale italiana aumentò in modo netto e continuo, con tassi di incremento che in alcuni settori superarono il 300%. Nella ripartizione del prodotto lordo privato la quota dell'industria Le direttive dell’azione dei governi Giolitti: 1 – la neutralità _____________________ __________________________________ 2 - ________________________________ ___________________________________ L’appoggio della _____________________ Il rifiuto di ________________________ IL DECOLLO _________________________ condizioni che lo favoriscono: 1 - _______________________________ ___________________________________ 2 – innovazioni ______________________ ___________________________________ 3 – realizzazione e ___________________ _______________________________ 4 – adozione ________________________ ___________________________________ 5 - ________________________________ I dati 46 passò dal 19,4% al 25%; l'agricoltura restò prevalente, ma diminuì in termini percentuali rispetto all'industria e al terziario. Allo stesso modo il reddito nazionale aumentò di un terzo negli anni tra il 1897 e il 1914, e il reddito pro capite nello stesso periodo salì da 1.823 lire a 2258 lire. Questo forte incremento della produttività e della ricchezza nazionale non aveva tuttavia solide basi. Esso era infatti concentrato nelle regioni settentrionali, intorno ai grandi poli industriali di Milano, Torino e Genova. Il Mezzogiorno, invece, non era che marginalmente investito dallo sviluppo delle imprese tanto che lo stesso Giolitti, consapevole del crescente squilibrio tra Nord e Sud, varò provvedimenti straordinari (le «leggi speciali» per la Basilicata, Napoli, la Calabria e le isole) volti a incoraggiare lo sviluppo industriale meridionale. Queste soluzioni, parziali o temporanee, non intervennero sulle carenze strutturali del Meridione che permase arretrato economicamente e socialmente. L'industrializzazione italiana era, inoltre, fortemente dipendente dalle commesse statali. Infatti, a stimolare e ad assorbire la produzione era spesso lo Stato che teneva alti i livelli produttivi di settori come quello meccanico, siderurgico, edile, cantieristico con la sua domanda di locomotive, macchine motrici, cemento, navi ecc. La neutralità dello Stato nei confronti delle rivendicazioni dei lavoratori provocò poi un aumento degli scioperi delle manifestazioni operaie: le astensioni degli operai dal lavoro passarono da 40-50 all'anno nell'ultimo decennio dell'Ottocento a ben 1670 nel 1901; quelle dei braccianti, dei contadini nello stesso arco di tempo passarono da 20-30 a 629. Effetto positivo degli scioperi furono significativi miglioramenti salariali, che nei primi quindici anni del secolo aumentarono del 35% circa per i lavoratori dell'industria e del 50% per quelli agricoli. Un'importante serie di provvedimenti legislativi in materia sociale migliorò anche le condizioni di lavoro dei minori e delle donne e introdusse forme di tutela per i lavoratori infortunati. Lo sviluppo economico dell'Italia giolittiana si tradusse anche in un innalza mento della qualità della vita: si diffuse l'acqua corrente nelle case, vennero migliorate le reti fognarie, si svilupparono nelle città i servizi pubblici. Diminuì la mortalità infantile e arretrarono le malattie infettive, come il colera e il tifo, legate alla mancanza di igiene e alla povertà alimentare; anche l'analfabetismo scese al di sotto del 50% in tutte le regioni del Nord e l'uso della lingua italiana venne soppiantando, in molte città, i dialetti. Questi miglioramenti non colmarono tuttavia il divario tra le condizioni di vita degli italiani e quelle degli abitanti di altre nazioni come la Germania, la Francia, l'Inghilterra: il reddito pro capite degli italiani era assai piú basso che in quegli Stati, cosí come la percentuale di persone impiegate nell'industria; l'analfabetismo era piú diffuso, l'emigrazione più alta. Quest'ultima colpiva ora la popolazione meridionale le cui difficoltà aumentarono dopo la svolta protezionistica e la crisi dell'economia di sussistenza: circa mezzo milioni di italiani lasciava ogni anno la nazione alla volta dei Paesi d'oltreoceano, con la speranza di trovare un lavoro e sfuggire alla miseria. Il loro sacrificio offriva un momentaneo sollievo all'economia italiana: attenuava la disoccupazione e la tensione sociale, faceva affluire denaro, in forma di rimessa dei risparmi. Negli ultimi anni di governo, Giolitti si trovò a dover far fronte alle difficoltà finanziarie prodotte dalla fine della congiuntura economica favorevole. Per mantenere l'appoggio dei socialisti, rafforzatisi nelle elezioni del 1909, accentuò il carattere progressista della sua linea politica, sostenendo una riforma scolastica, che attribuiva allo Stato le spese per la scuola elementare (1911), l'istituzione del monopolio statale sulle assicurazioni sulla vita, i cui proventi erano destinati a un fondo per le pensioni di invalidità e vecchiaia (1912), la riforma elettorale che introduceva il suffragio universale maschile (1912). Pressioni ancora piú forti giunsero a Giolitti da un composito fronte sociale e politico favorevole alla ripresa della politica coloniale, abbandonata dopo la sconfitta di I _______________________________ economici 1 - _______________________________ 2 - ________________________________ ___________________________________ ___________________________________ ______________________ e miglioramenti ___________________________________ a – miglioramenti ____________________ b - ________________________________ Il miglioramento ____________________ _________________________________ _________________________ italiana _________________________________ vantaggi (1-2-3) Le elezioni del 1909 e il rafforzamento ________________________________: a – l’accentuazione della politica _______ ____________________ ( 1-2-3) b – la ripresa della ___________________ ___________________________________ 47 Adua (governo Crispi). A chiedere questo impegno erano, oltre che il mondo dell'industria e delle banche, che vedevano nell'impresa coloniale una fonte di investimenti e profitti, anche cattolici e socialisti che speravano di dare sbocco in questo modo alla crescente disoccupazione. Piú determinato e insistente nel chiedere la ripresa della politica coloniale era il movimento dei nazionalisti; in origine prevalentemente letterario e circoscritto a pochi intellettuali raccolti intorno alle riviste «Leonardo» e «Il Regno», questo movimento antisocialista e antidemocratico trovava crescente seguito in quanti erano scontenti della «mediocre» politica giolittiana e volevano un rilancio sul piano internazionale dell'Italia. Costituiti in Associazione nel 1910, grazie all'iniziativa di Enrico Corradini (18651931), i nazionalisti premevano ora per la conquista della Libia, cosí come sosterranno con forza nel 1914-1915 l'ingresso dell'Italia nella Prima guerra mondiale. Iniziata nel 1911 con la dichiarazione di guerra alla Turchia, che dominava sui territori libici, la guerra contro la Libia si rivelerà piú lunga, costosa in denaro e perdite umane del previsto. L'Italia ne uscirà tuttavia vincitrice e, con la pace di Losanna (1912 ), si vedrà riconosciuto dalla Turchia il possesso della Libia. La vittoria rafforzava i movimenti nazionalisti e antidemocratici, spingendo per reazione l'anima rivoluzionaria del partito socialista, guidata dal direttore dell'«Avanti» Benito Mussolini, a prevalere nel Congresso di Reggio Emilia del 1912 su quella riformista di Turati e su quella moderata di Bissolati e di Bonomi, entrambi espulsi dal partito. La crescita del Partito socialista e di quello nazionalista indebolì Giolitti, spingendolo verso nuove alleanze, come quella con i cattolici che si realizzava nel 1913 grazie all'accordo con il presidente dell'unione elettorale cattolica Gentiloni. Con questo accordo i cattolici dell'ala non intransigente, sempre piú convinti della necessità di partecipare alla vita politica per arginare la crescita delle forze socialiste, si disponevano a dare il proprio voto, nelle imminenti elezioni politiche, ai candidati liberali che si erano impegnati a salvaguardare gli interessi e i valori del cattolicesimo: la scuola privata, il matrimonio, le organizzazioni sindacali cattoliche. A favorire l'avvicinamento dei cattolici alla politica era, come abbiamo visto, l'apertura del pontefice Pio X, che nel 1904 aveva "attenuato" il divieto imposto dal “non expedit” (1874), rimettendosi in tema di elezioni alla coscienza dei cattolici italiani. Nelle elezioni del 1913, le prime a suffragio universale maschile, il voto dei cattolici consentì l'elezione di piú di duecento deputati liberali e di una ventina di cattolici, contenendo il successo dei socialisti che ottennero 79 seggi. La maggioranza parlamentare che sosteneva Giolitti era tuttavia sempre piú divisa e una parte dell'opinione pubblica si mostrava delusa dalla politica del governo, come dimostrava una dura campagna di stampa condotta, tra il 1913 e il 1914, sia dagli intellettuali meridionali che imputavano a Giolitti, definito da Salvemini «ministro della malavita», la corruzione radicata nelle amministrazioni del Sud e l'approfondirsi del dislivello economico e sociale con il Settentrione, sia dai giornali del Nord - con in testa il «Corriere della Sera» - che opponevano al clientelismo e alla linea del compromesso parlamentare perseguita da Giolitti il rigore morale e politico della vecchia Destra storica. A queste difficoltà si aggiunse il passaggio all'opposizione dei democratici radicali, che facevano cosí venire meno al governo la maggioranza, e l'approfondirsi della distanza tra governo e Partito socialista, nel quale prevaleva ora l'ala rivoluzionaria. L'insieme di questi processi accentuò la tendenza conservatrice giolittiana a rafforzare l'egemonia liberale sullo stato mediante la contrattazione con i grandi gruppi di potere della società civile: i trust industriali, in primo luogo, ma anche gli apparati sindacali (Cgil, cooperative ecc.) e politici. Ne risultò un modello politico incentrato sulla funzione burocraticoamministrativa dello stato e sull'accordo tra i gruppi di pressione, privo i ________________________________ La guerra contro _____________________ 1913: l’accordo elettorale con i _________ _________________________________ il patto _______________________ Le elezioni del ______________ l’ostilità _______________________: a - ______________________________ b - ________________________________ L’opposizione ____________________ e dei _____________________________ Giolitti e l’accordo diretto con __________ ___________________________________ 48 ormai di quella carica di democratizzazione che la partecipazione del movimento operaio e l'attivazione del parlamento gli avevano conferito in precedenza. Nella nuova congiuntura politica, infatti, l'esaltazione giolittiana dello stato finiva per identificarsi sempre più con il primato dell'esecutivo su qualsiasi altro potere: il governo tendeva cioè a gestire in prima persona, senza la mediazione parlamentare, i "patti" conclusi direttamente con i centri di potere economico e sociale. Ciò implicava la svalutazione del ruolo del parlamento, ridotto a pura sede di formazione della maggioranza (sovente legata a pratiche clientelari). Tale politica presupponeva anche il crescente uso politico della burocrazia e dei canali amministrativi, rappresentati soprattutto dai prefetti, come strumento privilegiato di rapporto tra governo e società civile, con la conseguente crescente interferenza politica nelle questioni amministrative come nei peggiori periodi del trasformismo. Di fronte a queste difficoltà Giolitti rassegnava, nel marzo 1914, le dimissioni, convinto che il successore da lui indicato, il conservatore Antonio Salandra, avesse poche possibilità di dare vita a un governo duraturo. Egli si attendeva, dopo questa breve parentesi conservatrice, di essere richiamato alla presidenza del Consiglio. Il sopraggiungere dello scoppio del conflitto mondiale e le polemiche sull'intervento o la neutralità dell'Italia non favorirono il realizzarsi della speranza di Giolitti, che alla direzione -del governo tornerà solo nel 1921, quando l'acuirsi delle tensioni sociali successive alla guerra indurrà a riesumare la linea del compromesso e della mediazione di Giolitti. a – svalutazione ______________________ b – uso politico ______________________ ___________________________________ 1914: le dimissioni di _________________ lo scoppio della _____________________ 49