Maurizio Falsone I rinvii legali ai contratti collettivi e il

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Maurizio Falsone
I rinvii legali ai contratti
collettivi e il jobs act: Problemi e
sfide della contrattazione
aziendale
Nota di Ricerca n. 3/2016
Maggio 2016
ISSN: 2239-415X
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I rinvii legali ai contratti collettivi e il jobs act: problemi e sfide della contrattazione aziendale MAURIZIO FALSONE [email protected] Dipartimento di Management Università Ca’ Foscari di Venezia (giugno, 2016) Abstract. L’autore affronta il tema dei rinvii alla contrattazione collettiva nel d.lgs. 81/2015 focalizzando l’attenzione sui suoi contenuti. Innanzitutto, egli sintetizza il dibattito in materia di rapporto fra legge e contratto collettivo, poi evidenzia le caratteristiche specifiche dei nuovi rinvii alla contrattazione collettiva aziendale e ne propone una classificazione. Infine, individua dei possibili problemi di funzionamento che possono depotenziare la portata innovativa del nuovo decreto e che rappresentano l’ennesima prova dell’urgenza, nell’interesse generale, di regolare il rapporto fra le fonti del diritto del lavoro. Keywords: certificazione del contratto di lavoro, jobs act, contratto di collaborazione coordinata e continuativa JEL Classification Numbers: K12, K31 Maurizio Falsone, Dipartimento di Management, Università Ca’ Foscari Venezia San Giobbe, Cannaregio 873 30121 Venezia, Italy E-­‐mail: [email protected] 1 I rinvii legali ai contratti collettivi e il jobs act: problemi e sfide della contrattazione aziendale di MAURIZIO FALSONE Sommario: 1. La posizione del tema e la sua rilevanza pratica. – 2. La tendenza espansiva delle tecniche
di rinvio legale alla contrattazione collettiva. – 3.1. Il rapporto fra disposizione legale delegante e
contratto collettivo delegato. – 3.2. Il rapporto fra contratto collettivo delegato e lex superveniens. –
4.1. Il rinvio alla contrattazione collettiva nel prisma dell’articolazione dei livelli negoziali. – 4.2. Il
rapporto fra contratti collettivi (delegati) di diverso livello secondo la giurisprudenza. - 5. Verso la
valorizzazione della disciplina, di origine intersindacale, sui livelli della contrattazione delegata?
1. La posizione del tema e la sua rilevanza pratica. L’entrata in vigore del d.lgs. 81/2015 ha aperto numerosi fronti di dibattito1 in tema di disciplina delle tipologie di rapporto di lavoro “non comuni”2, di confini fra subordinazione, parasubordinazione e autonomia3, e riguardo ai limiti del c.d. jus variandi. Un’ulteriore occasione di approfondimento è, poi, offerta anche dai rinvii del decreto alla contrattazione collettiva che, per la loro collocazione trasversale, riguardano tutti gli istituti innovati4 e, per la loro valenza sistemica, rappresentano un’interessante prospettiva di analisi dei nessi fra sistema statale e ordinamento intersindacale. Il tema dei rinvii legali alla contrattazione collettiva può essere osservato da due prospettive: quella, per così dire, soggettiva -­‐ che evoca la questione della selezione degli agenti e dei livelli negoziali e dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi delegati5 -­‐ e quella oggettiva -­‐ che guarda ai contenuti dei rinvii all’autonomia collettiva (di qualunque specie e livello) alla luce del rapporto giuridico fra le due fonti coinvolte. In questa sede ci concentreremo su questo secondo profilo senza ignorare il primo, poiché essi sono inestricabilmente collegati. I rinvii legali alla contrattazione collettiva rappresentano una tecnica di formazione della norma caratterizzata dall’intervento di fonti diverse per esplicita volontà di una di esse (la legge). La partecipazione di fonti diverse e quindi di volontà determinative della norma fra loro autonome, impone di precisare le regole che governano i rapporti fra le fonti per risolvere eventuali conflitti e/o concorsi nella formazione della norma stessa6. 1 Cfr. G. ZILIO GRANDI – M. BIASI (a cura di), Commentario breve alla riforma “Jobs act”, Cedam, 2016, M. TIRABOSCHI (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il jobs act, Giuffré, 2016, P. VARESI, A.
PANDOLFO, M. MAGNANI, I contratti di lavoro: commentario al d. lgs. 15 giugno 2015, n. 81, recante la
disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma
dell'art. 1, comma 7, della l. 10 dicembre 2014, n. 183, Giappichelli, 2016, 2 Ovvero a proposito di lavoro a orario ridotto e flessibile (capo II), lavoro a tempo determinato (capo III), somministrazione di lavoro (capo IV), apprendistato (capo V) e lavoro accessorio (capo VI). 3 Ovvero a proposito di collaborazioni coordinate e continuative, di titolari di partite IVA (art. 2, 52 e 54) e di associazione in partecipazione (art. 53). 4 P. TOMASSETTI, Riordino delle tipologie contrattuali e contrattazione collettiva, in M. TIRABOSCHI (a cura di), Le nuove regole del lavoro dopo il jobs act, cit., 342 ss. 5 E, dunque, richiama la ormai nota norma di “funzionamento” di cui all’art. 51 d.lgs. 81/2015 (cfr., ex plurimis, L. ZOPPOLI, Le fonti (dopo il jobs act): autonomia ed eteronomia a confronto, in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 284/2015). 6 In quest’ottica legge e contratto svolgono la stessa funzione ovvero quella di fissare delle norme, non a caso si è detto che in questo contesto la contrattazione collettiva è investita di funzioni para-­‐
legislative. La particolarità della tecnica sta nel fatto che la norma, dal punto di vista dei soggetti a cui si applica (rappresentanti/stipulanti e rappresentati) è il prodotto combinato di autonomia ed eteronomia. In generale però la differenza fra legge e contratto non va radicalizzata poiché 2 Il conflitto e/o il concorso possono risultare dal rapporto diretto fra legge delegante e contratto collettivo delegato (in questo caso parliamo solo di eventuale conflitto), o dal rapporto triangolare legge delegante/contratto collettivo di I livello/contratto collettivo di II livello (in questo caso può verificarsi sia il conflitto che il concorso)7. Innanzitutto, è opportuno verificare se il d.lgs. 81/2015 estenda o ridimensioni l’uso di tale tecnica normativa rispetto al precedente contesto legislativo (§ 2), successivamente potremo approfondire i problemi di funzionamento dei rinvii alla luce del rapporto fra le fonti (§ 3 e 4), ponendo attenzione al ruolo centrale assunto dalla contrattazione aziendale ai sensi dell’art. 51 d.lgs. 81/2015 (§ 5). 2. La tendenza espansiva delle tecniche di rinvio legale alla contrattazione collettiva Secondo la dottrina prevalente, il contratto collettivo “delegato” non rappresenta una tipologia negoziale autonoma, ma una manifestazione delle evoluzioni funzionali dell’istituto8, che mantiene la sua unitarietà sotto il profilo strutturale9. Le nuove funzioni svolte dal contratto collettivo sono state variamente enucleate10 e, per ognuna di esse, si può individuare un modello di “intersezione”11 o di “cooperazione”12 fra leggi e contratti collettivi, ovvero un particolare canale di comunicazione fra questi. entrambi gli istituti creano diritto e il negozio giuridico deve essere considerato non solo come fattispecie, ma altresì come fonte di norme giuridiche (G. GIUGNI, Sul riconoscimento giuridico delle commissioni interne, in DL, 1958, I, 181, G. NOVARA, Il contratto collettivo aziendale, Giuffrè, 1965, 47). 7 Siccome il tema dei rinvii legali si colloca pur sempre nell’ambito dell’ordinamento statale da cui promana la legge delegante, un caso di “conflitto” può verificarsi anche nel rapporto fra Costituzione/legge delegante/contratto collettivo delegato, ma questa ipotesi non sarà oggetto del presente studio. 8 M. C. CATAUDELLA, Contratto collettivo (nuove funzioni del), in EG, 2002. 9 G. VARDARO, Differenze di funzioni e di livelli fra contratti collettivi, in LD, 1987, 245, M. PERSIANI, Contratti collettivi normativi e contratti collettivi gestionali, in ADL, 1999, 4, M. NAPOLI, Autonomia individuale e autonomia collettiva nelle più recenti riforme, in DLRI, 2004, 581 secondo cui “la tendenza a costruire una tipologia di contratti collettivi in relazione al contenuto dei singoli rinvii è risalente nel tempo, ma ciò non impedisce di cogliere la sostanziale continuità del modello, nonostante le inevitabili novità di contenuto”. Per una distinzione tipologica dei contratti collettivi G. FERRARO, Fonti autonome e fonti eteronome nella legislazione della flessibilità, in DLRI, 1986, 667, M. D’ANTONA, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, in DLRI, 1998, 665, R. DE LUCA TAMAJO, L’evoluzione dei contenuti e delle tipologie della contrattazione collettiva, in RIDL, 1985, I, 16. 10 E. GHERA, Intervento in AA. VV., Il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, Atti delle Giornate di studio AIDLASS, Giuffré, 2002, 497, ad esempio, distingue la funzione gestionale, di contemperamento dei diritti degli utenti e del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, quella relativa alla disciplina dell’impiego pubblico privatizzato, di trasposizione delle direttive comunitarie, quella espressa negli accordi di concertazione sociale e la funzione del contratto delegato dalla legge; per altre classificazioni cfr. C. ZOLI, Contratto collettivo come fonte e contrattazione collettiva come sistema di produzione di regole, in Trattato di diritto del lavoro (diretto da F. CARINCI e M. PERSIANI), vol. 1, Le fonti del diritto del lavoro (a cura di M. PERSIANI), 2010, Cedam, 498-­‐499, P. LAMBERTUCCI, Tipologia, struttura e funzioni della contrattazione collettiva, in Trattato di diritto privato, diretto da M. BESSONE, Il lavoro subordinato a cura di F. CARINCI, Tomo I, Giappichelli, 2007, 209, B. CARUSO A. LO FARO, Contratto collettivo di lavoro (voce per un Dizionario), in WP C.S.D.L.E. “Massimo D'Antona” .IT – 97/2010. 11 cfr. G. FERRARO, Fonti autonome e fonti eteronome nella legislazione della flessibilità, cit., 688 che distingue la legislazione negoziata (in seguito alla concertazione), la legislazione recettizia (come quella della legge c.d. Vigorelli), la legislazione delegante e la legislazione vincolistica. 12 F. LISO, Autonomia collettiva e occupazione, in DLRI, 1998, 191 invece, distingue in ragione della “risorsa” economica, istituzionale o normativa messa a disposizione della contrattazione collettiva. 3 Alcuni di questi modelli vivono una fase recessiva o sono stati superati13, altri presentano una spiccata vitalità14. Il modello della c.d. contrattazione collettiva delegata, che svolge una funzione para-­‐legislativa, rientra senz’altro fra questi ultimi. Esso, in particolare, ha riscosso un successo sempre maggiore in materia di mercato del lavoro e nella disciplina dei contratti di lavoro atipici piuttosto che in altre discipline del settore, in virtù di una scelta politica del legislatore15. Tale dato è confermato dai decreti attuativi del jobs act che presentano più di 50 rinvii legali e dal d.lgs. 81/2015, che presenta poco meno di 40 “deleghe” alla contrattazione collettiva, ovvero un numero molto più alto di quello calcolabile negli altri sette decreti legislativi16. A prima vista, dalla catalogazione dei rinvii individuati nel d.lgs. 81/2015, risulta, per un verso, confermata la scelta del legislatore di assegnare alla contrattazione collettiva il compito di partecipare alla disciplina dei contratti di lavoro funzionali a sviluppare una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro, ma dall’altro, emerge la tendenza ad estendere l’utilizzo della tecnica in discorso anche nell’ambito della disciplina del lavoro subordinato tipico17. In particolare, a parte i casi di “delega” sostanzialmente identici a quelli delle discipline analoghe previgenti, nel d.lgs. 81/2015 riscontriamo a) nuovi rinvii alla contrattazione collettiva prima non previsti18, b) la modifica di alcune preesistenti norme legali suppletive (su cui infra), divenute ora più più aderenti ai bisogni di flessibilità delle imprese19, c) nuovi rinvii o rinvii con oggetto più ampio a tutela degli interessi dei lavoratori 20 , d) l’eliminazione di rinvii dovuta alla “liberalizzazione” di una disciplina o alla scelta di ridurre alcune tutele dei lavoratori21, e) l’utilizzo dei contratti collettivi come parametro di riferimento esterno per l’applicazione di una norma legale, ancora una volta in chiave di promozione della negoziazione ad opera delle parti sociali22. 13 Si pensi al modello della concertazione (T. NANNICINI, Due sfide da raccogliere, in Mondoperaio, 4/2015, 21) oppure alla legislazione che recepisce la contrattazione. 14 Come il modello della legislazione che incentiva la negoziazione collettiva attraverso risorse economiche. Cfr., da ultimo, la legge di stabilità per il 2016 e il d. m. 25 marzo 2016 che prevede la detassazione al 10% per i premi di produttività calcolati secondo i criteri stabiliti dai contratti collettivi. 15 L. CALCATERRA, Brevi riflessioni sulle tecniche normative nella legislazione della flessibilità, in ADL, 2014, 6, 1286 osserva, però, che la riforma Monti-­‐Fornero e il decreto Poletti rappresentano una battuta d’arresto nell’utilizzo crescente del modello. 16 Cfr. d.lgs. 80/2015 in materia di congedo parentale (ad esempio art. 7 che modifica l’art. 32 d.lgs.151/2001) e L. ZOPPOLI, Le fonti (dopo il jobs act), cit., 16. 17 L’utilizzo della tecnica del rinvio alla contrattazione collettiva non è, comunque, una novità assoluta nell’ambito del lavoro subordinato tipico: essa, infatti, è stata adoperata, ad esempio, in materia di orario di lavoro (cfr. d.lgs. 66/2003) e, prima, in materia di controlli a distanza e visite personali di controllo (artt. 4 e 6 st. lav.). 18 L’art. 3 che sostituisce l’art. 2103 c.c., l’art. 7 co. 2, sul lavoro part-­‐time e, infine, l’art. 23 co. 2 lett. a), in materia di contingentamento della clausola del termine. 19 I commi 1 e 2 dell’art. 6 in tema di lavoro supplementare nel contratto part-­‐time (che superano la previsione di cui all’art. 3 co. 3 del d.lgs. 61/2000); l’art. 19 co. 2 in tema di durata massima del lavoro a tempo determinato (che modifica quanto previsto dall’art. 5 co. 4 bis d.lgs. 368/2001 e, infine, il nuovo art. 2103 co. 7 c.c., in tema di assegnazione a mansioni superiori (che prevede un sistema di rinvio diverso rispetto a quello di cui al vecchio art. 2103 II periodo c.c. 20 L’art. 19 co. 5 e l’art. 23 co. 5 in materia di diritto/dovere di informazione nei confronti delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori a tempo determinato. 21 Cfr. l’abrogato art. 20 d.lgs. 276/2003 in tema di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato oppure l’art. 24 co. 2 d.lgs. 276/2003 in materia di diritto di riunione dei lavoratori somministrati dipendenti di una stessa agenzia. 22 Non si tratta, in questo caso, di rinvii in senso tecnico anche se la finalità del legislatore è analoga a quella del legislatore delegante. In particolare, nell’ambito della disciplina delle co.co.pro. si dava 4 Tuttavia, l’accertata espansione quantitativa della tecnica dei rinvii non è, per forza, direttamente proporzionale all’estensione sostanziale degli spazi regolativi concessi alla contrattazione collettiva 23 -­‐ la quale dipende anche da altre circostanze di natura qualitativa, come il contesto disciplinare in cui la delega opera. Ad esempio, sono aumentati i rinvii legali cui il legislatore affianca una disciplina legale suppletiva o un altro meccanismo di surrogazione della contrattazione collettiva24. La presenza o meno di un sistema suppletivo solo apparentemente induce tutte le parti sociali ad “approfittare” del rinvio legale per non perdere spazi regolativi. In realtà, nei casi in cui il contesto normativo specifico offre la possibilità di paragonare il contenuto della norma suppletiva con l’ipotetica norma frutto della negoziazione, ognuna delle parti sarà indotta a (tentare di) sottrarsi alla stipula dell’accordo delegato, per beneficiare della disciplina suppletiva ritenuta più confacente ai propri interessi25. Sotto questo profilo, dunque, l’espansione del rinvio alla contrattazione collettiva è bilanciata da un più inteso intervento dall’esterno sulla dinamica negoziale che non incentiva affatto una positiva conclusione delle trattative e una più diffusa integrazione fra le fonti26. Allo stesso modo, sotto il profilo funzionale, l’espansione individuata comporta senz’altro una maggiore apertura alla flessibilità intesa come procedura regolativa27, ma non necessariamente una (proporzionalmente) più ampia “modulazione” dell’utilizzo del fattore lavoro: questa, infatti, dipende, innanzitutto, dall’oggetto del rinvio, che di solito accede a norme finalizzate alla flessibilizzazione del mercato o dei rapporti ma non è escluso che acceda, come effettivamente succede, a norme di tutela dei lavoratori; inoltre dipende dagli esiti non prevedibili della contrattazione delegata, poi, ancora, dall’applicazione delle regole relative ai rapporti fra le fonti del diritto del lavoro che andremo subito ad analizzare, e infine, ancora una volta, dalla presenza o meno (e dalle caratteristiche) di sistemi suppletivi che entrino in scena in mancanza di una contrattazione collettiva delegata. Sotto quest’ultimo profilo, dobbiamo constatare che, come la presenza di un sistema legale suppletivo che permetta di prevedere le conseguenze del fallimento della trattativa negoziale non facilita affatto la stipula degli accordi delegati ma facoltà alla contrattazione collettiva di individuare i compiti meramente esecutivi e ripetitivi incompatibili con il requisito del progetto (art. 61 d.lgs. 276/2003). Oggi l’art. 2 co. 2 lett. a) esclude, nei casi di collaborazioni etero-­‐organizzate, l’applicazione del regime del lavoro subordinato a condizione che ad esse sia applicabile una disciplina negoziale collettiva riguardante il trattamento economico e normativo (su cui L. IMBERTI, L’eccezione è la regola?! Gli accordi collettivi in deroga alla disciplina delle collaborazioni organizzate dal committente, in DRI, 2/2016 di prossima pubblicazione). 23 P. TULLINI, Breve storia delle fonti nel mercato del lavoro, cit., 156. 24 Cfr. l’art. 6 co. 4, 5 e 6 in tema di clausole elastiche nel lavoro part-­‐time e l’art. 31 co. 1 in materia di contingentamento di somministrazione a tempo indeterminato. 25 E’ pacifico che il rinvio legale non costituisce un dovere di trattare e di contrarre, salvo l’obbligo, in capo ad entrambe le parti, di agire secondo buona fede e correttezza e il divieto, in capo a quella datoriale, di realizzare condotte anti-­‐sindacali. Obbligo e divieti la cui violazione va valutata caso per caso. Cfr. P. PASSALACQUA, Autonomia collettiva e mercato del lavoro: la contrattazione gestionale e di rinvio, Giappichelli, 2005, 133 ss. e, più recentemente, M. PEDRAZZOLI, Il regolamento unilaterale dei rapporti di lavoro: solo un reperto archeologico?, in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 149/2012, 7. Per un caso giurisprudenziale in cui è stata accertata la condotta antisindacale in conseguenza del diniego datoriale di negoziare a proposito di una materia delegata dalla legge, Trib. Pisa 2 maggio 2012 (est. E. TARQUINI), in banca dati De jure. 26 Anche a questo aspetto probabilmente si riferisce L. MARIUCCI, Il diritto del lavoro ai tempi del renzismo, in LD, 2015, 34 quando fa riferimento alle “funzioni residuali” che sarebbero state assegnate alla contrattazione collettiva con l’avvento del jobs act. 27 Cfr. G. FERRARO, Fonti autonome e fonti eteronome nella legislazione della flessibilità, cit., 673. 5 consente ad ognuna delle parti di valutare l’opportunità della stipula, così la sua assenza attribuisce alla parte sociale interessata il potere di ostacolare/boicottare il funzionamento della norma, rifiutandosi di sottoscrivere l’accordo, tutte le volte in cui la norma, senza l’integrazione dell’accordo collettivo, non risulti perfezionata nelle sue componenti essenziali. Ciò vuol dire che il significato politico dell’espansione dei rinvii accompagnati da un sistema di supplenza legale della contrattazione collettiva, dipende dalla funzione svolta dalla disposizione legislativa che contiene il rinvio. Siccome abbiamo visto che nella maggior parte dei casi la tecnica dei rinvii viene adoperata dal legislatore soprattutto in tema di flessibilità del rapporto e nel mercato del lavoro, il passaggio dal rinvio semplice al rinvio accompagnato da un sistema di supplenza, ha un significato politico pressoché univoco, perché sottrae ai sindacati la facoltà di “boicottare” la norma rifiutando l’accordo e riconosce alla parte datoriale la facoltà di (tentare di) sottrarsi all’accordo per favorire l’applicazione della norma legale suppletiva. In ogni caso, tirando le somme, si vuole dimostrare che, nonostante il disegno politico sotteso ai decreti attuativi della l. 183/2014 sia chiaro ed univoco nella direzione della flessibilità, la misura di quest’ultima, proprio grazie al sistema dei rinvii, non è mai definitivamente acquisita dal sistema, dipendendo anche dall’opera di rivendicazione dei sindacati e di negoziazione delle parti sociali. Per individuare, allora, gli eventuali nuovi spazi regolativi riconosciuti alle parti sociali e per stabilire in che misura la recente disciplina promuova effettivamente la flessibilità, è necessario approfondire i rinvii del d.lgs. 81/2015 distinguendoli in base a 1) la struttura della norma oggetto di integrazione fra le due fonti, ovvero in ragione delle sue componenti imprescindibili: la/le fattispecie e la/le regola/e (comando, divieto, autorizzazione etc.) ad essa/e applicabile/i28; 2) la funzione della norma, cioè in base al fatto che il legislatore, dal canto suo, abbia inteso promuovere, tramite la tecnica del rinvio, una norma (classica) di tutela dei lavoratori o una norma posta a tutela dell’interesse datoriale alla flessibilità nel rapporto o nel mercato del lavoro. Con questo metodo di classificazione abbiamo potuto riscontrare le seguenti tipologie di rinvio che elenchiamo qui in ordine crescente in relazione all’ampiezza dell’oggetto del rinvio alla contrattazione collettiva. Abbiamo così 1) il rinvio per estendere a fattispecie ulteriori l’applicazione di una regola legale di “svantaggio”, 2) il rinvio per completare la fattispecie a cui la legge applica una regola “sfavorevole”, 3) il rinvio per determinare la disciplina da applicare ad una fattispecie legale funzionale alla flessibilità, 4) il rinvio per determinare la disciplina da applicare ad una fattispecie legale di tutela del lavoratore o di limitazione della flessibilità29. 3.1. Il rapporto fra disposizione legale delegante e contratto collettivo delegato. 28 Non per proporre tassonomie di valenza generale, ma per svolgere un ragionamento il più ordinato possibile (sui rischi di un’operazione classificatoria P. TULLINI, Breve storia delle fonti nel mercato del lavoro, in ADL, 2005, 138). 29
Il riferimento ai concetti opposti di sfavore o svantaggio e di tutela dei lavoratori in relazione alla
norma lavoristica può indurre a valutare se tali categorie di giudizio siano ancora valide o, comunque, se
svolgano ancora oggi un ruolo discretivo nitido ed efficace (sulla difficoltà di ricondurre le norme
lavoristiche in una delle due categorie P. PASSALACQUA, Autonomia collettiva e mercato del lavoro, cit., p. 140). Non è questa la sede per approfondire il problema dunque si è scelto di utilizzare il termine
“sfavorevole” o di “svantaggio” nel senso ampio riferibile alla norma che produce flessibilità nel rapporto
di lavoro subordinato o nelle tipologie contrattuali, dando per scontato che, di regola, i sindacati dei
lavoratori possano avere interesse a limitarne gli effetti.
6 Abbiamo detto all’inizio del nostro discorso che sono configurabili tre tipi di possibili conflitti/concorsi nell’ambito del tema dei rinvii alla contrattazione collettiva. Il primo e più intuitivo è, ovviamente, quello che riguarda il rapporto fra disposizione legale delegante e contratto collettivo delegato. A questo riguardo, bisogna domandarsi se la contrattazione collettiva possa intervenire su una materia di rinvio legale in modo da contrastare la funzione o ratio della disposizione delegante30. Tentare di rispondere al quesito significa mettere in relazione la funzione specifica (para-­‐legislativa) della contrattazione collettiva delegata, con la funzione classica di tale istituto, per capire se la prima è in grado di condizionare la seconda. Il problema, come è scontato, si pone quando i rinvii legali sono formulati per integrare/completare una norma funzionale alla flessibilità, se è vero che solo in questo caso può sussistere l’interesse dei lavoratori a limitare o annullare gli effetti della norma. In prima istanza, allora, è opportuno concentrarsi sul primo tipo di rinvio individuato, che assegna alla contrattazione collettiva la mera facoltà di estendere a fattispecie ulteriori rispetto a quella descritta dalla legge l’applicazione di una regola legale che non svolge la funzione classica di tutelare il lavoratore, ma quella di soddisfare un interesse dell’impresa, concedendo maggiore flessibilità31-­‐32. Per dipanare tale questione è necessario considerare che, per un verso, secondo l’insegnamento classico, la legge è derogabile in favore del lavoratore, e che, d’altro canto, l’applicazione di tale principio stride con la ratio della disciplina delegante e con la funzione del rinvio in essa previsto. Questo, infatti, autorizzando l’estensione di una situazione giuridica favorevole alla flessibilità nel mercato e/o nel rapporto, sembra escludere implicitamente che si possa procedere nel senso opposto di una riduzione del campo di applicazione della norma. In proposito, recenti ricostruzioni sconfessano il principio della derogabilità in melius sostenendo tout court la sua insussistenza 33 , oppure la necessità di verificare, caso per caso, se il legislatore “ha voluto o meno imporre una disciplina imperativa, come tale sottratta alle determinazioni difformi dell’autonomia collettiva”34. La prima tesi viene argomentata con l’inesistenza di un appiglio positivo esplicito e generale 35 e con la diffusione di rinvii alla contrattazione collettiva che, 30 A. MARESCA, Modernizzazione del diritto del lavoro, tecniche normative e apporti dell’autonomia
collettiva, in Diritto del lavoro. I nuovi problemi. L’omaggio dell’Accademia a Mattia Persiani, Cedam,
2005, 479 a questo proposito, parla di clausole interdittive. 31 Tale tipo di rinvio non impedisce alla norma di trovare immediata applicazione, in quanto la fattispecie e la regola che la compongono sono complete; anche per questa sua caratteristica, il rinvio non svolge la funzione (politica) di assegnare alla contrattazione collettiva compiti il cui mancato assolvimento possa menomare gli obiettivi del legislatore, poiché esso concede alle parti collettive solo l’autorizzazione ad estendere gli effetti della regola ad altri casi 32 Nel d.lgs. 81/2015 i rinvii di questo tipo sono previsti all’art. 3, che sostituisce il succitato art. 2103 c.c. e all’art. 21 co. 4, che disciplina le ipotesi di esclusione della “conversione” del rapporto in caso di violazione della disciplina del c.d. stop & go. Non sono invece presenti rinvii finalizzati ad estendere ad altre fattispecie l’applicazione di norme lavoristiche “classiche”, ovvero di tutela dei lavoratori. 33 M. BIAGI (di), M. TIRABOSCHI (continuato da), Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffré, 2012, 42 relativamente alla legislazione successiva a quella degli anni ’70. 34 Così A. MARESCA, Modernizzazione del diritto del lavoro, tecniche normative e apporti dell’autonomia collettiva, cit., 482. 35 Tuttavia anche altra dottrina di segno opposto riconosce la mancanza di un riferimento giuridico esplicito, ma considera la derogabilità in melius “presunt[a] nell’ordinamento, che così consente di attribuire significato normativo cogente alla funzione della norma lavoristica” (O. MAZZOTTA, Destrutturazione delle regole del lavoro e principio di eguaglianza, in Le fonti del diritto, oggi. 7 autorizzando una disciplina negoziale unicamente migliorativa, assumono significato giuridico solo se si presuppone che il principio della derogabilità in melius non sia implicito nel sistema36; la seconda tesi, invece, restituisce rilievo alle intenzioni del legislatore e, dunque, alle funzioni concrete assegnate alla disposizione che opera il rinvio. Sotto quest’ultimo profilo si sostiene che se una norma lavoristica soddisfa un rilevante interesse pubblico perché attua un principio costituzionale apicale, essa può impedire deroghe anche in melius37. E’ il caso delle disposizioni che non tutelano i lavoratori, ma che tendono a favorire l’occupazione e i c.d. outsiders, tramite misure di flessibilità nel mercato ex art. 4 Cost. Seguendo questo ragionamento deduciamo, a contrario, che la derogabilità in melius caratterizzerebbe, quanto meno, le regole che incentivano la flessibilità all’interno del rapporto di lavoro, perché esse rappresentano un “mero” sostegno alle esigenze e agli interessi dell’impresa che, come noto, vanno contemperati con gli interessi della parte debole del rapporto anche ai sensi dell’art. 41 Cost. Secondo un’altra prospettiva, ancora recentemente sostenuta 38 , non si può affermare che la derogabilità in melius non abbia referenti normativi. Infatti, a parte le note disposizioni di rango ordinario che l’hanno più volte formalizzata in contesti specifici 39 , è possibile ancorare il principio non a quello generico e scricchiolante del favor40, ma all’art. 39 co. 1 Cost. In effetti, anche a chi scrive pare che la derogabilità in melius possa essere colta come il risvolto tecnico della competenza in materia di disciplina dei rapporti di lavoro che viene riconosciuta, innanzitutto, dalla succitata norma costituzionale alla contrattazione collettiva. Infatti, ragionando per assurdo, se il principio dell’inderogabilità non fosse stato declinato in senso unilaterale ma in senso assoluto, sarebbe stato sacrificato in primis lo spazio vitale/costituzionale della negoziazione collettiva, come i Giudici delle leggi hanno più volte affermato41. Ciò però non vuol dire che il legislatore non possa prevedere l’inderogabilità anche in melius della norma posta. Piuttosto, significa che quando sceglie di farlo, deve rispettare delle condizioni di contenuto -­‐ ad esempio l’eccezionalità e/o la transitorietà della disposizione -­‐ e di forma -­‐ esplicitando il carattere imperativo Giornate di studio in onore di Alessandro Pizzorusso, Plus, 2006, 222). A proposito di questa presunzione, comunque, si sostiene anche che l’inderogabilità unidirezionale “non è un dato metastorico, ma discende da precise scelte di politica del diritto” (Cfr. O. MAZZOTTA, Il diritto del lavoro e le sue fonti, in RIDL, 2001, I, 223). 36 Cfr. P. PASSALACQUA, Autonomia collettiva e mercato del lavoro, cit., 147. 37 P. PASSALACQUA, Autonomia collettiva e mercato del lavoro, cit., 142. 38 G. CENTAMORE, Legge e autonomia collettiva: una critica della dottrina dell’inderogabilità bilaterale, in LD, 2015, 491 ss. cui si rinvia. 39 A cominciare dall’art. 40 st. lav. 40 Il quale, secondo alcuni, costituisce “una indebita generalizzazione di una realtà storicamente contingente” (G. FERRARO, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Jovene, 1960). 41 Cfr. da ultimo Corte cost. 23 luglio 2015 n. 178 in DRI, 2015, 1120, nt. FERRANTE che qualifica la contrattazione collettiva come fonte “imprescindibile” e secondo cui essa “deve potersi esprimere nella sua pienezza su ogni aspetto riguardante la determinazione delle condizioni di lavoro, che attengono immancabilmente anche alla parte qualificante dei profili economici”. Con il recente intervento la Corte costituzionale richiama la sua giurisprudenza precedente secondo cui la libertà sindacale, tutelata dall’art. 39 Cost. I comma, “ha il suo necessario complemento nell’autonomia negoziale” (Corte cost. 23 giugno 1988 n. 697 in Mass. Giur. Lav., 1988, 445 e Corte cost. 27 febbraio 1985 n. 34 in Foro it., 1985, I, 975). Il tema è stato fatto oggetto di una rassegna di dottrina e giurisprudenza da P. PASSALACQUA, Gli interventi legislativi sull’autonomia contrattuale collettiva nel dialogo tra dottrina e giurisprudenza, in Quaderni della Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali, Convegno sul tema “il dialogo tra dottrina e giurisprudenza nel diritto del lavoro”, 7-­‐14-­‐
27 novembre 1997, Ed. Inail, 1997, 215. 8 della regola42 -­‐ tali da contenere il “sacrificio” sopportato dal principio di rilievo costituzionale. Inoltre, se l’inderogabilità solo unilaterale è un addentellato dell’art. 39 Cost., il legislatore che voglia modificarne il carattere, deve accertarsi che l’opzione politica perseguita risulti legittima anche sotto il profilo del bilanciamento con le altre disposizioni costituzionali rilevanti. Ad esempio, valorizzando effettivamente i riferimenti all’art. 4 Cost. (o alle altre disposizioni rilevanti, come l’art. 81 nel caso, diverso, della contrattazione nel pubblico impiego) da parte della norma delegante43. Accogliendo questa prospettiva, peraltro, si evita di mescolare le dinamiche dell’interesse generale con quelle dell’interesse collettivo e delle imprese, quando queste siano fra loro inconciliabili. Infatti, nel rispetto dei limiti succitati, il legislatore potrà restringere tout court gli spazi di competenza della contrattazione collettiva e superare lo spinoso problema interpretativo della funzionalizzazione di quest’ultima agli scopi della legge44, che si porrebbe, per forza, se l’inderogabilità in melius potesse essere desunta da elementi impliciti, quali la ratio della norma e l’intentio del legislatore. Possiamo ora rispondere al quesito che ci siamo posti supra, calando il ragionamento sul rinvio previsto nel nuovo art. 2103 c.c. Si può, infatti, concludere che le parti sociali, oltre a non prevedere altre ipotesi di demansionamento legittimo ai sensi del comma 4 della disposizione, possono restringere i confini della fattispecie legale della “modifica degli assetti organizzativi” 45 , fino ad escludere l’operatività della regola che autorizza, in tali casi, lo jus variandi in pejus. Secondo la stessa logica le parti sociali possono concordare che la mobilità debba considerarsi orizzontale solo fra mansioni equivalenti, come nella più favorevole versione della disposizione ora abrogata, e non anche in caso di riconducibilità delle stesse al medesimo livello contrattuale, come previsto dalla disposizione codicistica novellata46. Ciò è vero accogliendo sia la tesi del rilievo costituzionale della derogabilità in melius, sia gli orientamenti diversi che distinguono fra norme imperative o derogabili in ragione della loro funzione concreta. L’art. 2103 c.c., infatti, non interviene direttamente sul mercato del lavoro a tutela dei c.d. outsiders, dunque non può rappresentare un’attuazione dell’art. 4 Cost., ma svolge una funzione di 42 G. CENTAMORE, Legge e autonomia collettiva: una critica della dottrina dell’inderogabilità bilaterale, cit., 511 ss. che rilegge anche la giurisprudenza costituzionale in materia di “legislazione dei massimi” e che, sul punto, sembra condividere le conclusioni di R. DE LUCA TAMAJO, Il problema dell’inderogabilità delle regole a tutela del lavoro: passato e presente, in DLRI, 2013, 720-­‐722. 43 Come è stato affermato, in sostanza, è possibile limitare singole manifestazioni dell’autonomia collettiva purché ciò non comporti un sacrificio eccessivo della libertà e del potere sindacale e solo nella misura in cui ciò avvenga in virtù di valori di “intensità” massima come quelli di cui al Titolo I della Costituzione (G. FERRARO, Fonti autonome e fonti eteronome nella legislazione della flessibilità, cit., 705). 44 E’ stato detto, infatti, che l’interesse pubblico sotteso ad una disposizione di rinvio può rappresentare un condizionamento ab externo della contrattazione collettiva, (P. PASSALACQUA, Autonomia collettiva e mercato del lavoro, cit., 145). Analogamente, è stato affermato che “se le parti hanno voluto limitare il proprio intervento all’attuazione di uno specifico precetto legislativo, si può dubitare che esse abbiano dato luogo ad una manifestazione contrattuale frutto del libero esercizio dell’autonomia collettiva di cui sono titolari” (A. MARESCA, Modernizzazione del diritto del lavoro, cit., 489). 45 Sull’interesse datoriale a chiarire il significato della fattispecie legale U. GARGIULO, Lo jus variandi, nel “nuovo” art. 2103 cod. civ., in RGL, 3/2015, 637 ma anche G. FONTANA, Inderogabilità, derogabilità e crisi dell’uguaglianza, in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 276/2015, 30. 46 A proposito della centralità della contrattazione collettiva in questo ambito R. VOZA, Autonomia privata e norma inderogabile nella nuova disciplina del mutamento di mansioni, in E. GHERA, D. GAROFALO (a cura di), Contratti di lavoro, mansioni e misure per la conciliazione vita-­‐lavoro nel jobs act 2, Cacucci, 2015, 199. 9 flessibilizzazione del rapporto di lavoro, nell’interesse dell’impresa, da contemperare con quello del lavoratore insider. Applicando ancora il ragionamento suesposto al rinvio dell’art. 21 co. 2 d.lgs. 81/2015 che, in materia di lavoro a termine, autorizza a concordare ulteriori eccezioni al regime sanzionatorio della conversione in caso di violazione del c.d. stop & go, la conclusione è analoga a quella appena svolta47, salvo la precisazione – determinante secondo le altre ricostruzioni più sopra ricordate, ma non sufficiente per quella preferita da chi scrive – che, in questo caso, la disciplina potrebbe rientrare fra quelle “protette” dall’art. 4 Cost. Possiamo concludere allora che il rapporto fra la fonte legale delegante e quella contrattuale delegata assume i connotati classici della derogabilità in melius e che il legislatore, pur potendo, non ha impedito questa eventualità a tutela degli obiettivi politici del jobs act. Quindi si può affermare che la funzione speciale assolta dal contratto collettivo delegato non è, di per se stessa, in grado di incidere sulla funzione classica costituzionale del contratto collettivo se non tramite espliciti vincoli legislativi, poiché tali diverse funzioni si pongono su piani (ordinamentali) diversi ma perfettamente compatibili. Quindi, alla funzione assegnata dalla legge al contratto collettivo non corrisponde una funzionalizzazione del contratto collettivo ovvero una sostituzione di funzioni, come dimostra anche l’assenza di un obbligo a negoziare o a contrarre, ma solo un ruolo ambivalente del contratto collettivo che, quanto al suo oggetto, integra la norma in funzione para-­‐legislativa, quanto alla sua causa, svolge la funzione classica di composizione degli interessi contrapposti delle parti. Per concludere sul punto, si osservi che sotto un altro profilo, il legislatore del 2015 ha espressamente affinato la formulazione di alcuni rinvii legali preesistenti al fine di limitare le ipotesi di “sabotaggio” della disposizione delegante da parte della contrattazione collettiva. Ciò conferma, almeno indirettamente, la tesi esposta supra, secondo cui non è possibile limitare gli spazi della contrattazione collettiva surrettiziamente o implicitamente, perché è indispensabile una espressa previsione legale. Ci si riferisce in questo caso ad alcuni rinvii che assegnano alla contrattazione collettiva il compito/facoltà di disciplinare una fattispecie legale posta a tutela della flessibilità nell’organizzazione dell’impresa o nel mercato del lavoro In particolare, è opportuno considerare l’art. 6 commi 1 e 4 del d.lgs. 81/2015, anzitutto, perché le disposizioni analoghe previgenti non prevedevano una disciplina suppletiva – ci si riferisce alle clausole elastiche e flessibili di cui all’art. 3 del d.lgs. 61/2000 – oppure concedevano ai singoli lavoratori la libertà di rifiutare le richieste del datore di lavoro – ci si riferisce al lavoro supplementare di cui alla medesima disposizione oggi abrogata. In questi casi, il nuovo sistema legale di rinvio, in prima istanza, definisce e (ri)legittima gli istituti del lavoro supplementare e delle clausole elastiche (secondo la nuova definizione che comprende anche quelle prima chiamate clausole flessibili); in secondo luogo stabilisce che il loro utilizzo è autorizzato nel rispetto delle discipline negoziali; infine, prevede una disciplina suppletiva in mancanza di queste ultime. Ciò vuol dire che gli accordi che attuano la delega possono fissare una regolazione purchessia, cioè peggiorativa o migliorativa di quella legale suppletiva rispetto agli 47 La contrattazione può, dunque, prevedere che in caso di successione ravvicinata di contratti di lavoro a termine sia prevista la trasformazione del contratto a tempo indeterminato anche nelle attività stagionali. 10 interessi dei lavoratori alla stabilità e, in particolare, alla prevedibilità dell’orario di lavoro48, ma non possono ostacolare tout court il ricorso a tali istituti legali. Il legislatore, infatti, impone di applicare le regole suppletive non, come in altri casi accadeva in passato, “in assenza di contratti collettivi”49 ma, più precisamente, “nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro non disciplini [la fattispecie]”. Quindi l’accordo finalizzato a “disinnescare”, espressamente o meno, gli effetti dell’istituto legale, valido ex art. 39 co. 1 Cost., non costituisce una disciplina dell’istituto, ma un rifiuto a svolgere la funzione assegnata50, cui non può che seguire la prevalenza della disciplina legale suppletiva. 3.2. Il rapporto fra contratto collettivo delegato e lex superveniens Abbiamo fin qui valutato la “resistenza” che può essere espressa dalla contrattazione collettiva successiva all’entrata in vigore del d.lgs. 81/2015 rispetto ai suoi contenuti “non vantaggiosi” per i lavoratori. Ora è opportuno verificare il rapporto fra le nuove disposizioni legali di rinvio e la disciplina negoziale ad esse previgente. Si danno due opzioni: quella del rinvio sopravvenuto ad altri51 e quella del rinvio senza precedenti. Il secondo caso pone problemi di funzionamento solo quando il rinvio incida sulla disciplina di un istituto legale già regolato anche dalle parti sociali in virtù della propria competenza per materia. Ancora una volta è il caso di fare riferimento al nuovo art. 2103 c.c., perché la regolazione dello jus variandi presenta la peculiarità di essere stata formalizzata in numerosi contratti collettivi non tramite un rimando formale alla legge, ma attraverso una riproduzione materiale, magari con integrazioni, della disciplina legale oggi abrogata 52 . Bisogna chiedersi, allora, se quest’ultima possa sostanzialmente sopravvivere tramite le previgenti clausole negoziali che la ricalcano. Infatti la validità della contrattazione collettiva previgente non viene messa espressamente in discussione dallo jus superveniens e potrebbe ritenersi superata solo se fosse incompatibile con quest’ultima. Tale incompatibilità, in particolare, si verificherebbe se lo jus superveniens contenesse o una disciplina migliorativa o una disciplina strutturalmente e logicamente inconciliabile rispetto a quella negoziale previgente; ma nel caso che ci si è posto innanzi, la disciplina sopravvenuta è tendenzialmente peggiorativa e, dunque, quella negoziale previgente è destinata 48 Contra G. CENTAMORE, Legge e autonomia collettiva: una critica della dottrina dell’inderogabilità bilaterale, cit., 504, secondo cui l’art. 6 co. 4 d.lgs. 81/2015 è derogabile solo in melius, quindi rappresenterebbe un rinvio “improprio” con funzione di mero invito alle parti sociali ad intervenire sulla materia. A chi scrive, però, pare che gli unici rinvii impropri nel d.lgs. 81/2015 siano quello dell’art. 26 che promuove la formazione dei lavoratori a termine, quello dell’art. 15 co. 2 che sollecita una disciplina più favorevole in materia di informazione ai sindacati sull’utilizzo del lavoro intermittente e quello dell’art. 23 co. 2 lett. a) che sollecita una disciplina non omogenea anche a livello geografico. 49 cfr. art. 43 d.lgs. 276/2003 e le considerazioni di V. PINTO, Note in tema di lavoro subordinato a prestazioni ripartite (o job sharing), in DRI, 2004, 3, 547. 50 A scanso di equivoci si precisa che questa conclusione non è in contrasto con quanto asserito supra in punto di inderogabilità unilaterale della legge perché, in questo caso, a differenza, ad esempio, che nel caso del nuovo art. 2103 c.c., il legislatore ha previsto una regola suppletiva e l’ha formulata in modo da contrastare i tentativi di interdizione eventualmente previsti dalla contrattazione collettiva. 51 Cfr. l’art. 21 co. 2 sovrapponibile all’abrogato art. 5 co. 3 d.lgs. 368/2001. 52 Ci si riferisce, ad esempio, all’art. 101 del CCNL Commercio, peraltro rinnovato il 30 marzo 2015, ovvero quando gli schemi del futuro decreto 81/2015 erano già noti oppure all’art. 2 Titolo II del CCNL Industria rinnovato il 5 dicembre 2012 e all’art. 7 CCNL Trasporti e Logistica rinnovato il 26 maggio 2014. 11 ad essere preferita fino a che è in vigore, ancora un volta in virtù della regola della derogabilità in melius della legge a cui abbiamo fatto riferimento più sopra53. Per offrire una risposta più precisa al quesito è, però, necessario riprendere il tema delle tecniche di comparazione utili a stabilire quale fonte offra la disciplina favorevole. Fra queste, come è noto, distinguiamo il criterio del cumulo -­‐ ovvero del confronto clausola per clausola -­‐ e quello del conglobamento -­‐ ovvero del confronto tra trattamenti complessivi. Inoltre, sono stati elaborati altri criteri, per così dire, mediani, come quello secondo cui il confronto debba riguardare l’istituto di riferimento (e non la singola clausola o l’intero trattamento) oppure le sole clausole che “nel complesso realizzano una stessa funzione” 54 . E’ prevalente l’opinione per cui nel confronto fra legge e contratto collettivo debba preferirsi la teoria del cumulo55 a tutela della più ampia applicazione possibile del principio di inderogabilità. Solo essa, infatti, impedisce di derogare surrettiziamente in senso peggiorativo a “frammenti” di disciplina lavoristica attraverso i nessi che possono all’occorrenza esser fatti valere con altre clausole negoziali di contenuto migliorativo56. Applicando questo criterio, ne deriva che: a) la norma legale sulla mobilità orizzontale (art. 2103 co. 1 c.c.) risulta derogata in melius da numerosi CCNL attualmente vigenti (cfr. nota 52), mentre b) le nuove norme sul “demansionamento legittimo” (art. 2103 co. 2 e 4 c.c.) non sono tecnicamente paragonabili con altre clausole negoziali già vigenti, quindi non sono derogate in melius dalla contrattazione previgente e risultano applicabili57. In definitiva, quindi, anche sotto questo profilo, la portata riformatrice dell’art. 3 del d.lgs. 81/2015, come delle altre disposizioni legali che debbano confrontarsi con una contrattazione collettiva preesistente e migliorativa, può risultare “amputata” da quest’ultima almeno fino a che non interverranno dei rinnovi contrattuali che prendano atto e non oppongano resistenza al contenuto della nuova disciplina legale58. Possiamo ora considerare la prima delle due opzioni individuate più sopra ovvero quella della successione di rinvii legali e dunque del rapporto fra lex superveniens e contrattazione collettiva delegata dalla previgente legislazione59. Rispetto a questa situazione, non è previsto un regime transitorio 60 . Dunque l’applicabilità della disciplina negoziale precedente al d.lgs. 81/2015 non è 53
Non vale a superare questa conclusione l’argomento del criterio cronologico poiché esso non è
applicabile al rapporto fra fonti diverse rispetto alle quali non esistono regole di confronto esplicite.
54 M. PERSIANI, Diritto sindacale, Cedam, 2016, 128. 55 Cfr. R. DE LUCA TAMAJO, La norma inderogabile nel diritto del lavoro, Jovene, 1976, 197 e, più recentemente, C. ZOLI, Contratto collettivo come fonte e contrattazione collettiva come sistema di produzione di regole, cit., 503. 56 C. CESTER, La norma inderogabile: fondamento e problema del diritto del lavoro, in DLRI, 2008, 378 considera la teoria del cumulo corollario dell’inderogabilità. 57 Invece, se applicassimo il criterio mediano del confronto istituto per istituto, ne deriverebbe che l’intero 2103 c.c. nella sua nuova versione risulta essere derogato dalle previsioni negoziali previgenti complessivamente più favorevoli. 58 Cfr. P. TOMASSETTI, Riordino delle tipologie contrattuali e contrattazione collettiva, cit., 361, che approfondisce le conseguenze giuridiche della scelta datoriale di applicare il trattamento legale sopravvenuto ma meno favorevole al lavoratore. 59 Per un’autorevole analisi della problematica della successione di rinvii emersa con il d.lgs. 276/2003 cfr. A. MARESCA, Modernizzazione del diritto del lavoro, tecniche normative e apporti dell’autonomia collettiva, cit., 476 ss. 60 I rapporti intertemporali sono stati, invece, disciplinati con l’art. 86 co. 13 del d.lgs. 276/2003, con l’art. 11 co. 2 del d.lgs. 368/2001 e con l’art. 3 co. 2 e co. 4 del d.lgs. 61/2000 (nella versione in vigore fino al 2003), che disciplinavano il destino della contrattazione delegata, ad esempio, dalla l. 56/1987 sulla clausola del termine e dalla l. 196/1997 sulla somministrazione di lavoro. 12 scontata61 poiché ad essa potrebbe essere preferita, se prevista, l’applicazione della nuova disciplina legale suppletiva, almeno fino alla stipula di nuovi contratti collettivi. Per venire a capo della questione è d’uopo ricordare che il rinvio al contratto collettivo, in generale, può essere formale, cioè riferito alla fonte di produzione normativa, o materiale, cioè riferito ad uno specifico contratto collettivo62. La genericità dei rinvii e l’intenzione del legislatore di assegnare alle parti sociali una funzione para-­‐legislativa induce a ritenere che quelli del d.lgs. 81/2015 siano rinvii formali che recepiscono i contenuti della contrattazione collettiva nella loro evoluzione cronologica63. Ciò, però, vale senza dubbio per i contratti collettivi stipulati dopo l’entrata in vigore della disposizione di rinvio. Quanto alla negoziazione collettiva delegata da precedenti disposizioni legali ora superate da quelle nuove, è necessario cercare altri appigli, in mancanza di una disciplina che regoli gli intrecci normativi sotto il profilo diacronico. Si è proposto, ad esempio, di muovere dai “principi generali in materia di rapporti tra autonomia collettiva e legge”64, ma questi, come si sa, non rappresentano un approdo sicuro65. In realtà, l’unica strada percorribile sembra essere quella dell’applicazione dei criteri sull’interpretazione, rispettivamente, del contratto (collettivo) e della legge. In pratica, bisogna interpretare le due fonti per stabilire se il primo, a suo tempo, aveva inteso o meno disciplinare l’istituto oggetto del rinvio proprio in applicazione di quest’ultimo e se la seconda, dopo, ha inteso o meno superare il contenuto della legge delegante e del contratto delegato. Cominciando dall’interpretazione della legge, si può osservare, in primo luogo, che le discipline di delega previgenti sono state abrogate espressamente; in secondo luogo, che il d.lgs. 81/2015 ha una portata “organica”, come si legge anche nella intestazione del decreto; infine, che il legislatore del jobs act, all’art. 55 comma 3, ha fatto salvi solo i regolamenti previgenti, mentre ha taciuto sul destino dei contratti collettivi delegati già stipulati. Tali circostanze rafforzano la tesi dell’inapplicabilità dei precedenti prodotti della negoziazione collettiva delegata nel nuovo contesto legale. Riguardo all’interpretazione dei contratti colletti, si possono valutare sia il contesto negoziale in cui si colloca la disciplina collettiva, sia i riferimenti letterali alla legislazione delegante. Se la regola negoziale si colloca nell’ambito di una disciplina più ampia e se non fa espresso riferimento ad una legge delegante ovvero, pur facendolo, fa salve, in varia guisa, le sue evoluzioni normative, deve preferirsi la tesi della sua applicabilità al nuovo contesto legislativo; in caso contrario può prevalere quella del suo superamento. 61 Rispetto ad altri istituti è stato affermato che “nel silenzio del legislatore (…), non vi sono motivi perché si neghi valore giuridico alle pattuizioni collettive preesistenti. Salvo, evidentemente, il limite generale delle materie disciplinate da norme legali inderogabili” (così V. PINTO, ult. op. cit., 555). 62 La distinzione vale anche per il rinvio del contratto individuale a quello collettivo. 63 Questa conclusione, senza riferimento a leggi specifiche, è confermata da F. LUNARDON, Il contatto collettivo aziendale: soggetti ed efficacia, in DLRI, 2012, 45, ma si veda la diversa impostazione del problema offerta, meno recentemente, da G. VARDARO, Differenze di funzioni e di livelli fra contratti collettivi, cit., 256 ss. 64 Così A. MARESCA, Modernizzazione del diritto del lavoro, tecniche normative e apporti dell’autonomia collettiva, cit., 489. 65 Cfr. su una disciplina legale specifica U. CARABELLESE, V. LECCESE, Il sofferto rapporto tra legge e autonomia collettiva, in Studi in onore di Giorgio Ghezzi, Cedam, 2005,193 ss. e, più in generale, O. MAZZOTTA, Il diritto del lavoro e le sue fonti, in RIDL, 2001, I, spec. 234 ss. che dà conto della c.d. “flessibilizzazione” dei rapporti tra le fonti. 13 Come è normale quando si ripiega sul piano, inevitabilmente casistico, dell’interpretazione dei contratti, esiste il rischio che i dati raccolti sui fronti dell’esegesi della legge e dei contratti non siano univoci: in tal caso la soluzione del problema sarà decisamente ardua. Provando ad applicare il ragionamento al jobs act e ai contratti collettivi preesistenti, il rischio paventato si verifica in concreto. Ad esempio, per quanto riguarda l’interpretazione della legge, possiamo constatare che il d.lgs. 61/2000 sul lavoro a tempo parziale è stato abrogato tout court dall’art. 55 co. 1 lett. a) del d.lgs. 81/2015 e che la nuova disciplina del part-­‐time è interamente collocata nell’ambito della riforma organica del jobs act. Dunque, il legislatore ha voluto “voltare pagina”, anche sotto il piano formale66. Sul fronte dell’interpretazione del contratto collettivo le conclusioni variano in base a quello applicabile nell’impresa. Ad esempio, il CCNL Commercio, rinnovato il 30.03.2015, agli art. 71 e ss. disciplina il lavoro part-­‐time “ai sensi del d.lgs. 61/2000 e successive modificazioni”. L’art. 26 del CCNL Imprese radiotelevisive private del 16.02.2011 e l’art. 56 del CCNL Trasporti e Logistica, rinnovato il 26.05.2014, regolamentano il lavoro a tempo parziale senza fare riferimento alle leggi deleganti67 . Il CCNL Industria, rinnovato il 5.12.2012, non fa anch’esso riferimento esplicito alle norme di legge deleganti, ma presenta una clausola di salvaguardia -­‐ la cui efficacia normativa ai nostri fini non pare decisiva -­‐ secondo cui “laddove dovessero intervenire modifiche al quadro legislativo di riferimento del presente articolo, previa verifica delle compatibilità e coerenze con il dettato contrattuale, [le parti] procederanno ad una armonizzazione”. In tutti questi casi l’intenzione delle parti è quella di fare salve, ove possibile, le clausole negoziali, in caso di riforme legali. Dunque se il d.lgs. 81/2015 è interpretabile nel senso che lo stesso abbia inteso “superare” anche la disciplina negoziale previgente per incentivare una nuova negoziazione aggiornata, la contrattazione collettiva analizzata sembra essere stata formulata per “sopravvivere” anche alla tornata di riforme del c.d. jobs act. La soluzione al quesito, allora, non può essere definita in astratto, ma potrà essere offerta solo valutando le caratteristiche del caso concreto e interpretando, sistematicamente, tutte le norme legali e negoziali ad esso effettivamente applicabili. Certo è che nel caso in cui il nuovo rinvio legale presenti un sistema di supplenza alla contrattazione collettiva, ritenere superata la precedente contrattazione collettiva delegata significherà agevolare il funzionamento dell’impianto di riforma del jobs act, invece, in assenza di un tale sistema, l’asserita abrogazione implicita della precedente contrattazione collettiva delegata provocherà disfunzioni dell’impianto della riforma. In quest’ultimo caso, nel rispetto degli altri criteri ermeneutici, deve valere il principio di conservazione degli effetti 66 In un altro caso, peraltro, sembra sufficiente l’argomento dell’abrogazione della disciplina legale precedente per sostenere che la disciplina negoziale, ove prevista, non sia più applicabile. Nel caso del job sharing, infatti, le disposizioni del d.lgs. 276/2003 che ad essa rinviavano sono state abrogate per eliminare radicalmente il tipo contrattuale dal mercato del lavoro (contra A. MATTEI, Il lavoro ripartito tra abrogazione legislativa e sopravvivenza contrattuale, in. G. ZILIO GRANDI – M. BIASI (a cura di), Commentario breve, cit., 653; cfr. L. BELLARDI, Contratti di lavoro “flessibili”, contrattazione collettiva e relazioni industriali: a proposito di ri-­‐regolazione del mercato del lavoro, in Diritto e Libertà. Studi in memoria di Matteo Dell’Olio, Giappichelli, 2008, 87). 67 Eccetto che nel caso circoscritto dell’art. 26 lett. e) del CCNL imprese radiotelevisive, che attua il rinvio dell’abrogato art. 12 bis d.lgs. 61/2000. 14 delle norme, in ragione del quale è preferibile optare per l’applicabilità della contrattazione collettiva stipulata prima del jobs act. Questa conclusione, ad esempio, salva temporaneamente la funzionalità della disciplina dell’apprendistato, riguardo al quale è comunque opportuno che la contrattazione collettiva reintervenga, perché i nuovi rinvii elencano limiti e condizioni alla disciplina delegata non esattamente coincidenti con quelli previsti nel d.lgs. 167/2011. 4.1. Il rinvio alla contrattazione collettiva nel prisma dell’articolazione dei livelli negoziali. Veniamo ora al problema del rapporto potenzialmente “triangolare” che può instaurarsi, in un contesto intersindacale pluralista e di contrattazione articolata, fra legge delegante, contratto collettivo aziendale e contratto collettivo di altro livello. La questione non è nuova68. Si è posta e si pone tutte le volte in cui il legislatore delega la contrattazione collettiva senza selezionare il contratto collettivo in ragione del suo ambito di applicazione 69 oppure quando, pur facendolo, esso “apre” espressamente alla contrattazione collettiva di livelli diversi70. Con l’art. 51 d.lgs. 81/2015 il nodo da sciogliere assume un rilievo sistematico poiché tale disposizione, come oramai noto, non formula una tipica norma di rinvio, ma stabilisce una regola di funzionamento (di natura suppletiva) da applicare in combinato disposto con tutte le altre disposizioni -­‐ queste sì, di rinvio -­‐ presenti nel decreto legislativo 71 . Essa, infatti -­‐ oltre a selezionare gli agenti autorizzati ad esercitare la delega anche se solo dal lato dei lavoratori72 -­‐ stabilisce che i contratti collettivi cui si fa ripetutamente riferimento nel decreto devono intendersi, ove non diversamente previsto, come i “contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali”. Peraltro, come è stato osservato, l’art. 51 va assumendo un ruolo centrale anche al di là del decreto in cui è collocato. Infatti, il legislatore rinvia a tale disposizione di chiusura non solo negli artt. 21 e 41 del d.lgs. 148/2015, nell’art. 1 comma 187 della legge di stabilità per il 2016 e nell’art. 20 del DDL sul “lavoro agile”73, ma anche nell’art. 50 del nuovo codice degli appalti (d.lgs. 50/2016), ove si stabilisce che nelle gare relative a servizi labour intensive può essere prevista la clausola sociale della necessaria applicazione da parte dell’aggiudicatario dei contratti collettivi di cui all’art. 51 d.lgs. 81/201574. 68 V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, Cacucci, 2012, 129. 69 Cfr. i diversi casi rintracciabili nella disciplina previgente di cui al d.lgs. 276/2003 (artt 34 e 36 in materia di lavoro intermittente, artt. 41 e 43 in tema di job sharing, art. 61 comma 1 in tema di individuazione delle prestazioni ripetitive ed esecutive incompatibili con il requisiti del progetto a suo tempo previsto per i co.co.co.) o l’art. 1 comma 1 del d.lgs. 61/2000 sul lavoro part-­‐time. 70 Cfr., ad esempio, l’art. 20 comma 3 lett. i) d.lgs. 276/2003 a proposito dei casi in cui autorizzare la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, l’art. 1-­‐bis lett. b) e art. 5 commi 3 e 4-­‐bis d.lgs. 368/2001 in materia di contratto a tempo determinato nonché l’art. 1 comma 3 d.lgs. 61/2000 sul lavoro a tempo parziale. 71 Su cui L. ZOPPOLI, Le fonti (dopo il jobs act): cit., 17-­‐20, T. TREU, Nel jobs act parità di competenza fra i livelli contrattuali, in GL, 27/2015, 40. 72 Questione diversa su cui si intrattiene anche P. PASSALACQUA, dattiloscritto. Sulla scissione fra la questione del livello contrattuale delegato e dell’agente autorizzato e sulla polimorfia, a questo proposito, dei rinvii precedenti al 2005 cfr. P. PASSALACQUA, Autonomia collettiva, cit., 128. 73 Cfr. ancora P. PASSALACQUA, dattiloscritto. 74
Si presti attenzione al fatto che non sarebbe sufficiente l’applicazione di trattamenti non inferiori a
quelli previsti dai contratti collettivi (cfr. art. 36 st. lav.), perché la legge, a differenza che in passato,
prevede la loro applicazione tout court.
15 Ora, se la delega è esercitata solo da un contratto collettivo riconducibile ad uno dei diversi livelli selezionati dalla legge, non si pone un problema di concorrenza/conflitto fra discipline diverse. Tuttavia, in un sistema fortemente pluralista e anomico come il nostro, è possibile che siano concordate, nell’ambito di differenti livelli di contrattazione, discipline diverse astrattamente applicabili al singolo rapporto di lavoro e all’azienda75. Quando si verifica questa situazione è ben possibile che le due discipline negoziali siano fra loro compatibili, se non addirittura integrate. In questa ipotesi nulla quaestio; anzi in tale evenienza la contrattazione collettiva non fa altro che valersi nel modo più completo possibile degli spazi offerti oggi dal jobs act. Tuttavia può accadere che i contratti collettivi di diverso livello esercitino la delega del legislatore in modi reciprocamente incompatibili, di modo che il datore di lavoro o entrambe le parti del rapporto di lavoro si trovino costretti a selezionare e scegliere una delle discipline applicabili. E’ chiaro che ognuno degli interessati cercherà di far valere il contratto collettivo ad esso più favorevole (o meno sfavorevole, trattandosi spesso di contratti delegati per derogare anche in pejus), ma sulla base di quali argomenti giuridici potrà essere operata la scelta? Rispondere non è facile, perché, come abbiamo visto, l’art. 51 d.lgs. 81/215 pone i contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali sullo stesso piano. E’ necessario quindi accertare se questa equiordinazione abbia valenza generale o se sia possibile rintracciare in altre parti dell’ordinamento dei criteri di preferenza fra contratti collettivi di diverso livello che possano agevolare la soluzione del concorso/conflitto fra norme. A questo proposito è opportuno, innanzitutto, domandarsi se vi siano delle differenze strutturali o funzionali fra contratto collettivo aziendale e contratti collettivi stipulati ad altri livelli, tali da porre, in ogni caso, il primo in una posizione di subalternità rispetto agli altri. In passato, ad esempio, il contratto aziendale non era nemmeno considerato propriamente un contratto collettivo, ma un contratto plurimo/plurisoggettivo76. Anche recentemente, però, si è affermato che “l’interesse perseguito dalla fonte di livello aziendale non può che essere aziendale e non generale (…) o collettivo” 77. Queste tesi non sono convincenti perché, pur muovendo da una analisi assolutamente condivisibile circa le evidenti specificità e criticità della contrattazione aziendale 78 , finiscono per espungere la species dell’accordo 75 Meno diffuso ma ugualmente interessante è il caso della compresenza di più discipline delegate concorrenti/confliggenti contenute in contratti collettivi del medesimo livello. In tale ipotesi si pone il problema classico della contrattazione separata. In riferimento al d.lgs. 81/2015 esso è risolto ab origine dal criterio selettivo della rappresentatività comparata degli agenti stipulanti che, pur rappresentando un “modello non del tutto risolto” (P. PASSALACQUA, dattiloscritto), sembra quanto meno utilmente adoperabile proprio in una tale situazione (L. ZOPPOLI, Le fonti (dopo il jobs act):, cit., 19). 76 Cfr. G. ZANGARI, Legge, norme collettive e contratto aziendale, in Diritto dell’economia, 1958, 488. Si rinvia inoltre alla ricognizione storica dell’istituto di R. DEL PUNTA, Il contratto aziendale nella dottrina italiana, in RIDL, 1989, I, 248 e di F. LUNARDON, Il contatto collettivo aziendale, cit., 31 e in R. BORTONE, L’evoluzione della struttura della contrattazione collettiva. Il contratto aziendale, in R. BORTONE, P. CURZIO, Il contratto collettivo, Utet, 1984, 246-­‐263. 77 V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, cit., 31. 78 E’ vero, infatti, che il contratto aziendale rispetto ai contratti di più alto livello è più aderente alle ragioni dell’impresa rispetto a quelle dei lavoratori impiegati (V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, cit., p. 29 nota 72), così come è vero, inoltre che esso rischia di depotenziare la volontà contrattuale dei dipendenti per l’incombente ricatto occupazionale che può giungere dal datore di lavoro. Inoltre è corretto segnalare anche che, mentre il contratto collettivo super-­‐aziendale svolge una funzione anti-­‐concorrenziale sia dalla parte dei lavoratori sia da quella dei datori di lavoro, il contratto collettivo aziendale svolge la medesima funzione solo dalla parte dei dipendenti (V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, cit., 99-­‐100). 16 aziendale dal genus del contratto collettivo tout court, il quale ultimo si distingue dagli altri accordi di diritto privato proprio perché si invera attraverso la formazione dell’interesse collettivo, inteso come sintesi degli interessi individuali dei lavoratori e non come loro mera somma (come accade invece nei contratti plurisoggettivi, ad esempio, di natura sociale). In verità, l’accordo aziendale partecipa del fenomeno unitario della contrattazione collettiva e le numerose specificità individuabili non smentiscono questo assunto. Ciò sia dal punto di vista storico/sociologico che sotto quello giuridico/costituzionale. Sotto il primo profilo, innanzitutto, basta prendere atto che il contratto collettivo aziendale è addirittura il prototipo originale dell’istituto, nel senso che è nata prima la contrattazione collettiva aziendale e solo dopo si è sviluppata una negoziazione di livello superiore79. Inoltre, a parte il profilo genetico dell’istituto, la contrattazione aziendale ha assunto, nel volgere del tempo, un ruolo altalenante ma sempre osmotico rispetto ai contratti collettivi di livello diverso80. Sotto il profilo giuridico, inoltre, il livello aziendale e gli agenti che vi operano sono ben presenti anche nella nostra Carta costituzionale. Si pensi all’art. 2 Cost. che riconosce le formazioni sociali ove si svolge la personalità dei cittadini – fra le quali possiamo annoverare i luoghi di lavoro e i rapporti di colleganza che vi si svolgono. O ancora si consideri l’art. 43 Cost., che autorizza la legge a riservare o trasferire imprese anche a “comunità di lavoratori”, a fini di utilità generale e, infine, l’art. 46 Cost. che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende81. Ma soprattutto si deve segnalare l’art. 39 comma IV Cost. che riconosce proprio la competenza negoziale dei sindacati, anche se non fa un esplicito riferimento al livello aziendale della contrattazione. Non si vede, infatti, perché fra i sindacati autorizzati a stipulare, a determinate condizioni, contratti con efficacia erga omnes si debbano escludere quelli di livello aziendale82. Accertato che il contratto collettivo aziendale è una species del contratto collettivo genericamente inteso, possiamo affermare che, in astratto, esso si pone sullo stesso piano degli accordi collettivi sottoscritti ad altri livelli. Adesso, allora, dobbiamo verificare se, nell’ambito del fenomeno unitario della contrattazione collettiva, l’ordinamento statale e/o quello intersindacale hanno fissato dei criteri di preferenza dei contratti collettivi di un livello rispetto a quelli di un altro (sia in termini generali che, eventualmente, in riferimento alla contrattazione delegata). 79 Ma si veda V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, cit., 100 secondo cui “è difficile dire se sia nata prima la contrattazione aziendale e poi quella nazionale”, ma vedi G. NOVARA, Il contratto collettivo aziendale, cit., 6 e L. M. RIVA SAN SEVERINO, Il lavoro nell’impresa, in F. VASSALLI (diretto da), Trattato di diritto civile, Utet, 1960, 125. 80 Negli anni ’60 addirittura le discipline concordate a livello aziendale svolgevano un ruolo di influenza dei contenuti futuri della contrattazione nazionale (cfr. F. FARINA, La contrattazione collettiva in azienda, Ediesse, 2014, 106). 81 G. NOVARA, Il contratto collettivo aziendale, cit., 35-­‐40. 82 Non è questa la sede per approfondire la diatriba, si rinvia pertanto a F. LUNARDON, Il contatto collettivo aziendale, cit., 35, M. MAGNANI, L’art. 8 della legge n. 148/2011: la complessità di una norma sovrabbondante, in DRI, 2012, 7. V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, cit., 177 sostiene che l’art. 39 seconda parte Cost. si riferisca anche alla contrattazione aziendale, poiché il riferimento alla categoria ivi contenuto non è riferibile ad un ambito territoriale predefinito (conf. A. TURSI, L'articolo 8 della legge n. 148/2011 nel prisma dei rapporti tra legge e autonomia collettiva, in DRI, 4, 2013, 969 o F. CARINCI, Al capezzale del sistema contrattuale, il giudice, il sindacato, il legislatore, in Arg. Dir. Lav., 2011, n. 6, 45 e contra E. ALES, Relazioni industriali e risorse umane, Dal caso FIAT al “caso Italia”. Il diritto del lavoro “di prossimità”, le sue scaturigini e i suoi limiti costituzionali, in DRI, 4, 2011, 1087). 17 Come è noto, le leggi ordinarie non ci offrono indicazioni di valenza generale e, per quanto concerne la contrattazione delegata dalla legge, l’art. 51 d.lgs. 81/2015 è stato interpretato da alcuni come la conferma del fatto che contratto aziendale e contratto nazionale hanno la stessa natura e lo stesso status giuridico83, quindi anche la medesima efficacia. Ma ciò non giova alla soluzione del problema che ci siamo posti. In via di applicazione analogica, un aiuto potrebbe venire dall’art. 8 della l. 148/2011, che stabilisce la prevalenza del contratto collettivo di prossimità in deroga alla legge e ai contratti collettivi84. Tuttavia, è difficile arguire da questa discussa disposizione un criterio di preferenza generale idoneo ai nostri obiettivi, perché esso lascia preferire l’accordo aziendale (“di prossimità”) solo nel rispetto di alcuni limiti, procedure e condizioni relative alla finalità e alla materia oggetto di deroga. Peraltro, secondo alcuni, anche a prescindere da possibili questioni di costituzionalità, la portata applicativa di questa norma è stata ridimensionata dai successivi interventi del legislatore, compreso quello del jobs act85. D’altro canto, ad una applicazione analogica del principio della preferenza del contratto collettivo di prossimità ex art. 8 l. 148/2011, si potrebbe contrapporre quella dell’opposto criterio di disciplina dei livelli contrattuali applicabile nel peculiare ambito del pubblico impiego86. Il diritto positivo statale, dunque, non offre dati espliciti per una soluzione agevole del problema. E’ allora il caso di volgere lo sguardo al c.d. diritto vivente: la questione del concorso/conflitto fra contratti collettivi di diverso livello, infatti, ha un impatto pratico che la giurisprudenza ha dovuto affrontare nella maniera che ci apprestiamo ad analizzare. 4.2. Il rapporto fra contratti collettivi (delegati) di diverso livello secondo la giurisprudenza. 83 T. TREU, Nel jobs act parità di competenza fra i livelli contrattuali, cit., 41. 84 Sull’art. 8 la bibliografia è ovviamente molto ampia. Ci si limita quindi ad alcuni rinvii a F. CARINCI (a cura di), Contrattazione in deroga. Accordo interconfederale del 28 giugno 2011 e art. 8 del D.L. n.138/2011, Giuffrè, 2012; R. DE LUCA TAMAJO, Il problema dell’inderogabilità delle regole a tutela del lavoro: passato e presente, in DLRI, 2013, 726; A. LASSANDARI, Il contratto aziendale, in G. PROIA (a cura di), Organizzazione sindacale e contrattazione collettiva, in M. PERSIANI, F. CARINCI (diretto da), Trattato di diritto del lavoro, Cedam, 2014, 761; V. MAIO, Struttura ed articolazione della contrattazione collettiva, Cedam, 2013, 81; A. PERULLI, La contrattazione collettiva “di prossimità”: teoria, comparazione e prassi, in RIDL, I, 2013, 919 ss. 85 S. SCARPONI, Il rapporto tra legge e contrattazione collettiva a livello aziendale o territoriale, in RGL, 2015, I, 121 ss. parla di vera e propria abrogazione; P. PASSALACQUA, dattiloscritto, invece, di sostanziale “evaporazione contrattazione per assorbimento”. 86 La collettiva nel pubblico impiego è espressamente incaricata dalla legge di disciplinare “la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli e la durata dei contratti collettivi nazionali e integrativi” ai sensi dell’art. 40 comma 3 del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato, da ultimo, con il d.lgs. n. 150 del 2009. L’art. 40 comma 3-­‐quinquies del medesimo decreto, inoltre, prevede la sanzione della nullità e della sostituzione automatica delle clausole contrattuali ex artt. 1339 e 1419 comma 2 Cod. Civ. in caso di violazione dei vincoli e dei limiti da parte della contrattazione integrativa. Per una complessiva analisi del rapporto fra le fonti e, quindi, anche del rapporto fra contratti collettivi di diverso livello nel pubblico impiego contrattualizzato cfr. A. VISCOMI, Lost in transition: la contrattazione integrativa nelle pubbliche amministrazioni tra riforme incompiute e crisi emergenti, in LPA, 2, 2013, 249, C. ZOLI, La struttura della contrattazione collettiva nel settore pubblico in LPA, 6, 2011, 859, A. ALAIMO, La contrattazione collettiva nel settore pubblico tra vincoli, controlli e "blocchi": dalla "riforma Brunetta" alla "manovra finanziaria" 2010, in LPA, 2, 2010, 287, a quali si rinvia anche per gli ulteriori riferimenti. 18 Fra i possibili criteri di risoluzione dei conflitti fra discipline negoziali incompatibili87, in dottrina sono stati proposti: il criterio del favor88, quello della revoca del mandato89, quello di gerarchia90, quello che poggia sul limite dell’abuso di potere in caso di deroga peggiorativa da parte del contratto aziendale91, quello cronologico92, quello di specialità93 e quello di uniformità dei trattamenti94. Ben presto, però, la giurisprudenza ha preso atto, pressoché unanimemente, che la scelta di uno qualunque dei criteri di selezione sarebbe stata in ogni caso arbitraria, poiché il diritto positivo non offre alcun sostegno solido. I giudici, allora, rinunciando all’applicazione di un unico criterio generalmente
applicabile, hanno optato per l’analisi della effettiva volontà delle parti sociali,
ovvero per la valorizzazione dell’autonomia privata collettiva. Con questa
operazione esegetica, in sostanza, si è cercato di guardare all’ordinamento
intersindacale per risolvere il problema che stiamo cercando di sciogliere.
Questo orientamento giurisprudenziale dominante, tuttavia, non è compatto, ma
presenta tre varianti distinguibili in base alla tecnica interpretativa dei contratti collettivi
accolta dai giudici.
1) La prima variante dell’approccio tenuto dalla giurisprudenza prevalente in tema di
conflitto fra livelli contrattuali, consiste in una ricerca della volontà effettiva delle parti
di tipo statico, cioè tendente ad operare un’interpretazione “isolante” del documento
87 Per analoghe rassegne sui criteri di selezione P. BELLOCCHI, Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale, in G. AMOROSO, V. DI CERBO, A. MARESCA, La Costituzione, il Codice civile e le leggi speciali, Milano, 2013, 759 ss., ma anche A. LASSANDARI, Rapporti tra contratti collettivi, in Le fonti. Il diritto sindacale, in Diritto del lavoro. Commentario diretto da F. CARINCI, Torino, 2007, 354 e ss. 88 Cfr. per l’applicazione di questo criterio Cass. 5 maggio 1958, n. 1479, Pret. Brunico, 4 marzo 1982, in OGL, 1982, 833, Pret. Gallarate 18 agosto 1977, in OGL, 1977, 1022, Trib. Roma 21 febbraio 1990, in FI, 1990, I, col. 2961. Il principio del favor è, invece, senza dubbio applicabile in caso di confronto, oramai sempre meno ricorrente, fra contratto collettivo postcorporativo reso efficace erga omnes dalla l. n. 741 del 1959 e contratto collettivo di diritto comune. In tal caso, infatti, l’art. 7 dalla legge c.d. Vigorelli stabilisce che il secondo può derogare al primo solo in senso migliorativo (da ultimo Cass. 18 agosto 2004, n. 16191 in RIDL, 2005, II, 321). 89 Secondo cui il contratto che viola l’altro in sostanza provoca una revoca del mandato individuale conferito in occasione della stipula del contratto collettivo precedente. Cfr. Cass. 18 gennaio 1978 n. 2018, in NGL, 1978, 813. 90 Secondo cui è individuabile una ontologica prevalenza dei CCNL sugli altri contratti collettivi. Cfr. G. SUPPIEJ, Intervento, in AA. VV., Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, cit., 107 e ss. ma anche M. DELL’OLIO, Intervento, in AA. VV., Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, cit., 109 e G. PERA, Intervento, in AA. VV., Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello… cit., 79 e ss. 91 U. ROMAGNOLI, Il contratto collettivo di impresa, Milano, 1963, 136 e ss. in giurisprudenza si veda Pret. Ceglie Messapico 11 febbraio 1988, in Giur. Merito, 1988, I, 990. 92 Cfr. A. VALLEBONA, Intervento, in AA. VV., Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello… cit., 80, ID, Istituzioni di diritto del lavoro, I, Il diritto sindacale, Torino, 2015, 231 nota 3 G. FERRARO, Ordinamento, ruolo del sindacato, dinamica contrattuale di tutela, Padova, 1981, 380, M. TREMOLADA, Concorso e conflitto tra regolamenti collettivi di lavoro, Padova, 1994, Trib. Lucca, 29 agosto 2005, in NGL, 2005, 585, Cass. 11 luglio 2005 n. 14511, in OGL, 2005, 3, I, 517. 93 Trib. Roma 21 febbraio 1990 in FI, 1990, I, col. 2961 che limita l’applicazione del criterio alle ipotesi in cui i contratti collettivi in conflitto siano stipulati dai medesimi soggetti sindacali, Pret. Benevento 5 novembre 1991, in RIDL, 1992, II, 544 nt. LAMBERTUCCI, Trib. Venezia, 30 giugno 1984, in FI, 1984, I, 1547 e Cass. 31 gennaio 2012, n. 1415, in GL, 2012, 12, 70 che peraltro applica tale criterio in sede di individuazione della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost (conf. Cass. 26 marzo 1998, n. 3218 in GI, 1999, 956. In dottrina cfr. M. GRANDI, Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, in AA. VV., Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, cit., 7 e ss. Cfr. App. Potenza, 26 febbraio 2008 e App. Potenza 30 gennaio 2008 in www.leggiditalia.it. 94 Così Cass. 16 marzo 1981, n. 1516, in Foro it., 1982, I, col. 224 con nota di O. MAZZOTTA i cui argomenti sembrano parzialmente ripresi da App. Brescia, 10 luglio 2014, in NGL, 2014, 777, laddove si afferma che, nel caso di specie, “le previsioni del CCNL hanno incontestatamente la finalità di garantire l’applicazione di principi uniformi, in un determinato arco temporale e in un determinato momento storico, riguardo ad un istituto per il quale l’esigenza di una disciplina unitaria è particolarmente sentita”. 19 contrattuale applicato al rapporto e contestato in giudizio fino al limite di svalutare o
ignorare il contesto in cui esso si inscrive.
Questa prospettiva muove da un presupposto generalmente condiviso, ovvero che “la
libertà sindacale non è prerogativa di vertice” perché “l’autonomia collettiva come
gestione di interessi professionali (…) è originaria tanto a livello nazionale che a livelli
più ristretti” e perché “tali livelli non rappresentano una gerarchia di qualità e valore
dell’autonomia stessa ma solo individuano limiti di efficacia territoriale che ciascuna
manifestazione di autonomia si dà nel proprio ambito”95.
Tuttavia essa giunge poi a delle conclusioni meno scontate. Ad esempio, in alcune
sentenze accostabili a questo filone si legge che “non sussistono, nel campo
dell’autonomia negoziale, sfere di competenza esclusive o delegate, potendosi essa
autonomia (in sede nazionale o locale) esprimere senza limiti di sorta entro i settori
dalla legge ad essa autonomia riservati”96 oppure, più apertamente, si afferma che
“l’eventuale divieto, contenuto nel [contratto nazionale] e rivolto al [contratto
aziendale], di occuparsi di determinate materie, non può automaticamente comportare la
inefficacia di una diversa regolamentazione successivamente adottata dal contratto
collettivo incompetente, per essergli la materia stata sottratta in forza della previsione
contenuta nel contratto precedente”97.
In sostanza, così ragionando, si accoglie una prospettiva radicalmente “privatistica”
dell’autonomia collettiva in cui gli incontri delle volontà di qualunque livello in
ambito intersindacale vengono idealmente collocati sul medesimo piano, inducendo
l’interprete a preferire, sempre e comunque, l’applicazione della norma formatasi
per ultima, come accade normalmente quando si susseguono le leggi nel tempo. Il
risultato, allora, non è diverso da quello caldeggiato da chi propone l’applicazione del
criterio cronologico98.
Sotto il profilo più teorico le sentenze prese in considerazione sembrano
presupporre che l’autonomia collettiva, per sua stessa natura, non possa mai
vincolare se stessa e le successive sue manifestazioni contrattuali99. Per tale ragione
esse tendono a non dare rilievo al contesto di riferimento in cui viene applicata la norma
negoziale contestata. Non considerano, cioè, quali siano state le scaturigini “socioeconomiche” di un accordo sindacale e non si domandano se le parti dei contratti in
conflitto siano (o non) le stesse o se risultino, almeno, legate da vincoli di associazione.
2) In base alla seconda declinazione della ricerca della volontà delle parti sociali,
l’indagine sulla volontà effettiva delle parti deve svolgersi “attraverso il coordinamento
delle varie disposizioni della contrattazione collettiva”100.
Essa accoglie una concezione dell’autonomia negoziale meno statica e “isolante” perché
non esclude che alle parti sociali sia consentito, non solo di modificare in pejus
trattamenti pregressi, ma anche “di disporre in ordine alla prevalenza da attribuire (…)
95 App. Milano, 4 marzo 2003, in RIDL, II, 2003, 511 con nota di G. BOLEGO. 96 Cass. 19 marzo 1987, n. 4758, in RIDL, II, 1988, 107 con nota di D. GOTTARDI. 97 Cass. 18 giugno 2003, n. 9784 in RFI, 2003, voce: Lavoro (contratto), n. 35. 98 Cass. 19 marzo 1987, n. 4758, cit., App. Milano, 4 marzo 2003, cit. Cfr. A. VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro, I, Il diritto sindacale, Torino, 2015, 231. 99 Cass. 18 giugno 2003, n. 9784, cit., in realtà, in un altro punto della sentenza sembra “impuntarsi” con minor rigore sulla questione perché afferma che “solo ove fosse stata trascritta la disposizione del contratto nazionale (o, quanto meno, fosse stato riportato con precisione il suo contento), la Corte avrebbe potuto e dovuto verificare, mediante l’esame dei fascicoli dei precedenti gradi di giudizio, che la norma avesse effettivamente un contenuto tale da precludere alla contrattazione decentrata ogni intervento, di qualsiasi natura, su tutto ciò che attiene all’istituto [in questione]”. 100 Cfr. Cass. 15 settembre 2014, n. 19396, in LG, 2015, 1, 91 e, meno recentemente, Cass. 9 febbraio 1989, n. 813 in NGL, 1989, 105. Al coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione si fa riferimento, invero, anche nella succitata Cass. 19 marzo 1987, n. 4758, cit. ma, en passant, senza darvi seguito nell’iter argomentativo. 20 ad una clausola del contratto collettivo nazionale o del contratto aziendale o, più in
generale, territoriale, con possibile concorrenza delle due discipline”101.
Questa impostazione ammette che l’autonomia collettiva possa limitare le proprie
manifestazioni (future) nei diversi livelli negoziali; ma sembra condizionare questa
eventualità alla circostanza che siano riscontrabili disposizioni negoziali esplicite
funzionali a regolare eventuali conflitti normativi.
Ora, dallo svolgimento delle cause descritto nelle sentenze prese in considerazione102
non risulta che sia stata fatta valere alcuna disposizione sul governo dei livelli
contrattuali, né alcuna clausola limitativa dell’autonomia privata di altri livelli
contrattuali o di altri agenti negoziali. Risulta, invece, che il confronto fra le parti del
processo si sia orientato su altri elementi non formalizzati nei documenti negoziali.
Questi, peraltro, avevano assunto un ruolo decisivo nella diversa prospettiva dei giudici
del merito, ma erano risultati irrilevanti e insufficienti agli occhi di questa
giurisprudenza di legittimità, la quale, in astratto, ha ritenuto, sì, di poter e dover
coordinare l’interpretazione di clausole contrattuali di accordi anche diversi e
variamente connessi, ma che non ha affatto ammesso di spingersi fino a valutare altri
aspetti del contesto negoziale che non risultassero, per così dire, per tabulas.
3) La terza variante dell’orientamento giurisprudenziale che muove dall’analisi
dell’effettiva volontà delle parti afferma che il principio di autonomia impone anche di
indagare “il collegamento funzionale che le associazioni sindacali nell’esercizio della
loro autonomia, pongono mediante statuti od altri atti idonei di autolimitazione o anche
mediante la contrattazione medesima, fra i vari gradi o livelli della attività contrattuale e
della corrispondente struttura organizzativa”103.
Secondo questa prospettiva, cioè, è doveroso prendere in considerazione anche gli
elementi del contesto negoziale che non sono formalizzati in clausole contenute nei
contratti collettivi oggetto di contesa, ma che possono essere ricavati, in altra guisa,
dall’analisi soggettiva ed oggettiva degli specifici rapporti intersindacali. Così, al fine di
interpretare i contratti collettivi, si può giungere a valorizzare, se del caso, sia i rapporti
associativi che caratterizzano gli agenti contrattuali coinvolti, sia i collegamenti
negoziali che possono derivare da clausole applicabili al singolo istituto e allo specifico
caso (clausole di rinvio, di salvaguardia, di uscita etc.) o da più generali regole di
governo del sistema contrattuale – come i Protocolli del 1992-1993 o gli Accordi
interconfederali del 2011/2014).
L’approccio è, evidentemente, più avanzato sotto il profilo del dialogo
interordinamentale104 perché permette al giudice di rintracciare e valorizzare le
regole interne al sistema sindacale preso in considerazione105 e su cui la legge non è
101 Cfr. Cass. 18 maggio 2010, n. 12098, in MGC, 2010, 5, 771 ma anche Cass.15 settembre 2014, n. 19396, cit. 102 Cfr. Cass. 18 maggio 2010, n. 12098, cit., Cass. 15 settembre 2014, n. 19396, cit. la quale, in particolare, ha accertato la legittimità del contratto aziendale che, per salvaguardare il livello occupazionale, escludeva il diritto a percepire l’indennità di trasferta prevista dal CCNL, Cass. 18 settembre 2007, n. 19351 in NGL, 2008, 1, 1 che accerta la legittimità della disdetta datoriale di un contratto aziendale, il quale riconosceva ai lavoratori degli abbonamenti gratuiti e che giustifica la propria decisione anche alla luce del Protocollo del 1993. 103 Cfr. la nota Cass. 12 luglio 1986 n. 4517 in Foro it., 1987, I, col. 510 e, da ultimo, Cass. 13 gennaio 2016, n. 355 e n. 356 inedite a quanto consta e che, comunque, applicano questo argomento alla contrattazione collettiva nel pubblico impiego. 104 Cfr. Cass. 12 luglio 1986 n. 4517 cit. secondo cui “questa corte, ha finito per trovare un orientamento sufficientemente univoco, facendo ricorso ai principi generali civilistici sulla autonomia negoziale e a quelli di diritto sindacale circa l’organizzazione sindacale e i rapporti fra contratti collettivi di diverso livello”. 105 O ai sistemi sindacali presi a riferimento. La declinazione al plurale dell’ordinamento intersindacale è presente già in G. GIUGNI, Introduzione allo studio della autonomia collettiva, Milano, 1960, cfr. anche A. LASSANDARI, Rapporti tra contratti collettivi, cit., 358. 21 intervenuta espressamente a sancire il loro valore giuridico. In concreto e in
contrapposizione con la giurisprudenza analizzata supra, ne consegue che
l’indiscutibile rispetto per l’autonomia collettiva non esclude che questa possa
auto-limitarsi tramite previsioni contrattuali ugualmente applicabili al caso
oppure tramite altri elementi di connessione negoziale/funzionale valorizzabili in
sede giudiziale.
Però, questo orientamento, pur avendo natali non recenti, non ha ancora dato degli esiti
all’altezza delle sue potenziali ambizioni. Non tanto perché, in certi casi, “la sussistenza
di vincoli o limiti alla stipulazione o al contenuto degli accordi (provinciali) applicabili
non risulta accertata” 106 , quanto perché, in questo filone giurisprudenziale, non
risultano, per quel che consta, decisioni che abbiano prodotto l’effetto più dirompente e
innovativo che la massima da cui esse muovono pure ammetterebbe. Infatti risulta
davvero arduo individuare sentenze che, in virtù dei nessi funzionali suddetti, abbiano
accertato la disapplicazione/invalidità di discipline negoziali sopravvenute (magari
anche peggiorative) e in conflitto con precedenti previsioni contrattuali di diverso
livello: effetto che smentirebbe nel modo più lampante l’assunto tradizionale della loro
pari dignità e forza vincolante.
Piuttosto, nei casi più interessanti di applicazione di questa giurisprudenza, viene
accertata, tuttalpiù, la legittimità del contratto collettivo di più alto livello, in quanto
però quest’ultimo sia stato stipulato successivamente rispetto a quello di livello
inferiore, quasi in ossequio – ancora una volta – al più suggestivo criterio
cronologico107.
Che questo orientamento non abbia prodotto, in fin dei conti, effetti dirompenti non
sembra smentito da quelle decisioni della medesima “variante” giurisprudenziale
secondo cui “un contratto integrativo aziendale non può travalicare la delega
conferitagli dal contratto collettivo nazionale per la disciplina di dettaglio di un istituto
già stabilito nei suoi caratteri essenziali”108 in quanto, “esistendo una naturale forma di
sovraordinazione delle organizzazioni nazionali su quelle locali – si pone comunque una
esigenza di raccordo e di coesione dei diversi livelli di contrattazione sindacale, che
formano nell’insieme l’ordinamento sindacale”109.
Questi precedenti, relativi a casi in cui gli agenti negoziali erano fra loro associati,
sembrano segnare il punto di maggiore avanzamento verso il dialogo interordinamentale
e l’applicazione di regole di governo dei livelli negoziali interne al sistema
intersindacale, proprio perché ritengono illegittima l’applicazione di un contratto
integrativo aziendale peggiorativo e sopravvenuto al rispettivo CCNL110.
Tuttavia esse sono meno innovative di quanto possa sembrare leggendo le massime
diffuse nelle banche dati. Infatti, alla premessa in cui si assume la suddetta posizione
avanguardistica rispetto al contesto giurisprudenziale che abbiamo analizzato, segue, in
verità, una risoluzione delle controversie tramite l’applicazione di un principio
giurisprudenziale diverso: quello, pacifico e quindi più rassicurante, secondo cui “il
106 Cfr. Cass. 12 luglio 1986 n. 4517 cit. che lascia suppore una disponibilità del decidente, in linea di massima, a non legittimare l’applicazione di norme contrattuali incompatibili, nonché una mancanza riconducibile alle difese presentate dalle parti nei gradi di giudizio di merito. 107 Cfr. Cass. 12 novembre 2015 n. 23149 in MGC, 2015, Cass. 13 novembre 2015, n. 23262 inedita a quanto consta e Cass. 16 novembre 2015 n. 23370 anch’essa inedita. Si tratta di tre sentenze che interpretano disposizioni negoziali relative al pubblico impiego contrattualizzato e che, in parte in modo criticabile, invece di fare riferimento apertamente all’art. 40 d.lgs. n. 165 del 2001, adoperano gli argomenti e i precedenti applicabili alla contrattazione collettiva nel lavoro privato. 108 Cfr. Trib. Pordenone, 13 ottobre 2015, in DeJure in evidente contrasto con App. Milano 4 marzo 2003, cit. 109 Cfr. Cass. 17 novembre 2003, n. 17377 in RIDL, 2004, II, 489 con nota di R. RESTELLI. 110 Cfr. sul punto V. MAIO, Concorso e conflitto di diritti che discendono da contratti collettivi incompatibili, in ADL, 2004, 581. 22 contratto collettivo aziendale non può privare il lavoratore di un diritto già maturato per
effetto del contratto collettivo nazionale, vale a dire dei diritti acquisiti in base alla
contrattazione collettiva e per una prestazione già svolta”111.
Ora, premesso che non è questa la sede per affrontare funditus il tema dei diritti
quesiti 112 e stabilire se nei casi di specie di essi vi fosse traccia o meno, così
argomentando, il differente problema del rapporto fra contratti collettivi di diverso
livello passa in secondo piano e la presa di posizione a proposito di quest’ultimo
rimane, per così dire, sospesa. Non a caso, nelle sentenze analizzate, ad essa non segue,
come dovrebbe, una indagine specifica dei nessi funzionali e negoziali che giustifichino,
nelle fattispecie concrete, la prevalenza di un contratto collettivo di più alto livello
rispetto ad un contratto decentrato sopravvenuto113.
5. Verso la valorizzazione della disciplina, di origine intersindacale, sui livelli della
contrattazione delegata?
In definitiva, l’approdo ampiamente maggioritario della giurisprudenza che guarda all’autonomia collettiva per individuare i criteri esegetici risolutivi dei conflitti fra norme negoziali di diverso livello, non ha prodotto (ancora) risultati interessanti sotto il profilo sistematico, ma offre una prospettiva fruttuosa quanto meno rispetto ai contratti collettivi delegati, in particolare dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 81/2015. Vediamo quale e perché. Il limite dell’impostazione proposta dai giudici non consiste nella difficoltà, pure esistente, di rintracciare in sede istruttoria regole di funzionamento interne all’ordinamento intersindacale 114 , ma riguarda la loro, ben nota, efficacia meramente obbligatoria, tale, cioè, da non poter incidere sulla validità ed efficacia delle clausole negoziali lesive delle regole di funzionamento concordate a livello intersindacale115. Per questo motivo, la strada imboccata dalla giurisprudenza, soprattutto nella sua condivisibile terza variante più aperta al dialogo interordinamentale, si è rivelata, 111 I casi riguardavano un premio di produttività istituito dal CCNL anche in relazione ad annualità già trascorse e il cui ammontare doveva essere definito dalla contrattazione aziendale. Quest’ultima, in tutti i casi analizzati, aveva eseguito la delega condizionando però l’erogazione del premio al fatto che il rapporto di lavoro non fosse, nel mentre, cessato. Cfr. Trib. Pordenone, 13 ottobre 2015, cit., che rinvia espressamente alla precedente Cass. 17 novembre 2003, n. 17377, cit., la quale, a sua volta, cita Cass. 2 aprile 2001, n. 4839 in RIDL, 2002, II, 3 che, guarda caso, fa riferimento solo all’argomento dei diritti quesiti o non a quello relativo ad una supposta sovraordinazione del contratto collettivo di ambito più esteso rispetto a quello di livello più basso. Per altre considerazioni critiche sulla giurisprudenza in discorso ma nell’ambito di una rassegna giurisprudenziale in materia di premi di risultati si rinvia a E. VILLA, Orientamenti della giurisprudenza in materia di premi di risultato, in ADL, 2013, 2, 443. 112 Si segnala pertanto, anche per ulteriori riferimenti, P. BELLOCCHI, Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale, cit., 753 e ss., G. FERRARO, I diritti quesiti tra giurisdizione e legiferazione, in RIDL, 1995, I, 277, A. MARESCA, Diritti individuali del lavoratore e poteri del sindacato, in DLRI, 1985, 685. A proposito della giurisprudenza assolutamente uniforme che ammette la derogabilità in pejus dei trattamenti di fonte collettiva da parte di altri contratti collettivi con la sola salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori cfr. ex plurimis Cass. 15 settembre 2014, n. 19396, cit., Cass. 1 luglio 2014, n. 14944, in MGC, 2014, Cass. 17 marzo 1999, n. 2429, in NGL, 1999, 441. 113 Cfr. V. MAIO, Concorso e conflitto di diritti che discendono da contratti collettivi incompatibili, cit., 583 il quale critica giustamente il fatto che la prevalenza del contratto di ambito maggiore sia “indimostrata e immotivata” e che sembri quindi dipendere da un preconcetto infondato. 114 Come i collegamenti associativi e statutari fra agenti contrattuali, clausole di rinvio, di uscita o di analoga specie fra contratti collettivi diversi o, infine, veri e propri sistemi di “autogoverno”, come quelli di cui al recente Testo Unico del 10 gennaio 2014. 115 cfr. P. LAMBERTUCCI, Tipologia, struttura e funzioni della contrattazione collettiva, in Trattato di diritto privato, diretto da M. BESSONE, Il lavoro subordinato a cura di F. CARINCI, Tomo I, Torino, 2007, 225. 23 fino ad oggi, un cul-­‐de-­‐sac, nella misura in cui all’indagine sui nessi e le regole di funzionamento autonomamente stabilite, non è stato possibile far seguire una loro valorizzazione concreta nell’ambito dell’ordinamento statale. L’art. 51 d.lgs. 81/2015, però potrebbe offrire un appiglio nuovo per cercare di superare questo ostacolo. Come abbiamo visto, esso intende per contratti collettivi delegati dalla legge quelli “nazionali, territoriali o aziendali”. Questa previsione è stata interpretata, in prima istanza, come una apertura generalizzata alla contrattazione aziendale. Certamente questa lettura è condivisibile, ma lo è più che altro in termini di comparazione con le discipline previgenti. Se, però, ci si concentra sulla lettera della disposizione, dobbiamo constatare che il legislatore del 2015 ha scelto un atteggiamento neutrale, nel senso che non esprime una preferenza per (e quindi non promuove) uno dei livelli contrattuali autorizzati – come, invece, è accaduto con l’art. 8 l. 148/2011 in favore della contrattazione di prossimità116. A questo proposito, alcuni hanno osservato che quando “la legge devolve indifferentemente a entrambi i livelli la funzione normativa (…), il sistema contrattuale intersindacale funge da ordinatore del rapporto fra livelli”117 ma altri, pur condividendo che nel nuovo sistema si “lascia alle parti contraenti la scelta del livello più adatto a intervenire nelle diverse materie, a seconda delle circostanze e del tipo di delega da esercitare”118, hanno evidenziato che tali scelte “possono valere solo all’interno dell’ordinamento intersindacale, e la loro violazione non ha conseguenze (…) nell’ordinamento statale”119. Ora, queste considerazioni, condivisibili o meno, si riferiscono solo al rapporto fra la norma negoziale che esercita la delega di legge (norme sostanziali) e le altre norme negoziali che, senza porre regole integrative di queste ultime, disciplinano il rapporto fra i livelli della contrattazione collettiva (norme procedurali o di funzionamento). Non sono, invece, risolutive quando il confronto riguarda diverse norme negoziali (di natura sostanziale) delegate dalla legge a completare un istituto legale e concordate a differenti livelli della negoziazione fra le parti sociali. Infatti, in quest’ultimo caso -­‐ se non possono essere mai prese in considerazione le regole di funzionamento del sistema intersindacale fissate dalle parti sociali – come si può preferire il contratto collettivo di un livello ad un altro, considerata la patente equiparazione posta fra di essi dall’art. 51? Per tentare di risolvere la questione nel suo complesso, allora, sembra opportuno prendere nuovamente le mosse dall’assunto della neutralità del legislatore del jobs act rispetto ai livelli contrattuali perché, se il legislatore, con l’art. 51, riconosce alle parti sociali una facoltà di scelta e di preferenza, le regole di funzionamento formate da queste ultime per governare il rapporto fra i livelli della contrattazione collettiva delegata possono svolgere un ruolo importante in sede di interpretazione della negoziazione delegata e di risoluzione di conflitti fra norme collettive. 116
T. TREU, I rinvii alla contrattazione collettiva (art. 51, d.lgs. n. 81/2015), in P. VARESI, A. PANDOLFO,
M. MAGNANI, I contratti di lavoro: commentario al d. lgs. 15 giugno 2015, n. 81, cit., 249 afferma invece
che il nuovo art. 51 non attribuisce, come l’art. 8, competenza esclusiva e prioritaria alla contrattazione
decentrata ma “non è neppure neutrale”.
117 V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, cit., 117 che si è espresso in questi termini ben prima dell’entrata in vigore dell’art. 51. 118 T. TREU, Nel jobs act parità di competenza fra i livelli contrattuali, cit., 41. 119
T. TREU, I rinvii alla contrattazione collettiva (art. 51, d.lgs. n. 81/2015), cit., 249.
24 Innanzitutto, per valorizzare effettivamente le regole intersindacali di governo dei livelli negoziali, è necessario che i contratti collettivi concorrenti o confliggenti siano tutti applicabili alle parti del rapporto di lavoro individuale 120 e che rispettino le altre condizioni previste dall’art. 51 d.lgs. 81/2015 circa la rappresentatività dei soggetti stipulanti121. Verificata tale precondizione, è necessario accertare se siano applicabili solo una o più d’una disciplina collettiva sostanziale delegata dalla legge oltre alla norma procedurale di funzionamento delle relazioni sindacali. Nel caso in cui sia rilevata una sola disciplina delegata in conflitto con la regola di governo intersindacale, la prima potrà essere legittimamente applicata proprio in virtù della efficacia solo obbligatoria delle clausole procedurali di funzionamento. Nel secondo caso, ecco il punto, potrebbe indagarsi il contesto negoziale in cui si verifica il conflitto normativo, dando rilievo a tutti i nessi oggettivi e soggettivi che incidono sulle regole contrattuali in contrasto, proprio come ha fatto la giurisprudenza più recente ma, ora, con il sostegno di una disciplina legale adeguatamente interpretata122. In particolare, sotto il profilo soggettivo, si potrà considerare se gli agenti che hanno stipulato i contratti collettivi di diverso livello siano i medesimi, se siano, invece, solo legati da un rapporto associativo o se non presentino fra loro alcun legame. Ove essi appartengano ad una medesima organizzazione o a organizzazioni collegate, potranno essere valorizzati i vincoli dei loro statuti123. Ciò vale sia per la parte datoriale, sia per quella sindacale. In questo modo si potrà accertare se tutte le parti coinvolte ad ogni livello siano vincolate, anche sotto il profilo endoassociativo, al rispetto della regola negoziale violata, al fine di preferire un contratto ad un altro. Detto ciò, sotto il profilo oggettivo, possiamo prendere in considerazione le regole di disciplina dei livelli contrattuali previste nell’accordo interconfederale denominato Testo Unico del 10 gennaio 2014 (d’ora in avanti, TU 2014). Esso, in verità, riguarda solo il settore industriale, ma è stato recepito in forma pressoché identica anche in altri settori rilevanti124, quindi può ben essere preso a base dei nostri ragionamenti. Il TU 2014, innanzitutto, elimina qualunque riferimento al principio del ne bis in idem. Pertanto, in termini generali, non si esclude che il contratto aziendale possa 120 Questa condizione allude ovviamente al tema dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi che esula dai confini di questo contributo. Pertanto, si rinvia ex plurimis, a G. FERRARO, L’efficacia soggettiva del contratto collettivo, in RGL, 2011, I, 739, A. LASSANDARI, Problemi e ricadute della contrattazione “separata” in DLRI, 323 F. LUNARDON, Il contatto collettivo aziendale, cit., 31. 121 Su cui ampiamente P. PASSALACQUA, dattiloscritto. 122 Sul piano più generale del rapporto fra contratti collettivi di diverso livello, non delegati dalla legge, invece, non rimane che sottrarsi decisamente all’alternativa fra effetti reali ed effetti obbligatori delle clausole negoziali di funzionamento e porsi convintamente sul piano degli effetti di natura solo esegetica che i nessi funzionali/negoziali fra contratti collettivi di diverso livello possono (o meno) provocare sull’interpretazione di questi ultimi. Il tentativo più avanzato in questo senso sembra essere quello di V. MAIO, Concorso e conflitto di diritti che discendono da contratti collettivi incompatibili, cit., 578 e ss. che propone di fare leva su quei collegamenti negoziali (ad esempio i rinvii in funzione integrativa) che diano prova della volontà delle parti di perseguire un unico interesse collettivo attraverso una pluralità di contratti collettivi. Solo in questo caso, infatti, sarebbe possibile giustificare una considerazione unitaria di tale interesse collettivo attraverso una interpretazione degli accordi nelle diverse articolazioni territoriali. 123 Già S. SCIARRA, Contratto collettivo e contrattazione in azienda, Franco Angeli, 1985, 153 evidenziava “la marginalità [nell’analisi della giurisprudenza] dei riferimenti agli statuti delle associazioni sindacali, quali fonti essenziali a cui vincolare le associazioni locali”. 124 Cfr., fra gli altri, l’AI 28 luglio 2015 stipulato da Confcooperative, e l’AI 26 novembre 2015 per il settore del Commercio. 25 disciplinare materie già regolate dal contratto nazionale 125 . C’è dunque un elemento di sintonia, sul punto, con l’approccio del legislatore, perché viene espunto un principio di limitazione delle competenze negoziali a livello aziendale, in favore di una maggiore interscambiabilità/sovrapponibilità (e quindi di equiordinazione) dei livelli contrattuali. Inoltre, la parte III del TU 2014 afferma che “la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate e con le modalità previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge”. In generale, questa previsione è apparsa dirompente, perché autorizzerebbe la contrattazione aziendale ad esercitare una delega formulata da parte di entrambe le fonti del diritto, a prescindere dai limiti eventualmente posti dalla contrattazione nazionale126. In realtà, la sua formulazione è anodina perché, per essere puntigliosi, non si precisa espressamente la fattispecie di riferimento, ovvero “da chi” le materie oggetto di rinvio possono essere delegate al contratto aziendale, ma prevede solo che, nell’esercizio di tale delega (di fonte indeterminata), quest’ultimo debba rispettare le “modalità previste” dal CCNL o dalla legge. Quindi, la clausola fa riferimento esplicito alla legge non tanto a proposito dell’origine della delega, ma alle eventuali regole che potrebbero essere emanate nell’ambito dell’ordinamento statale, ad esempio a proposito dei requisiti di rappresentatività necessari quando si tratta di svolgere funzioni para-­‐legislative, proprio come è accaduto con l’art. 51. Se il TU 2014 può essere interpretato in questi termini, allora la contrattazione aziendale esercitata nel suo ambito di applicazione, può svolgersi nelle materie espressamente delegate dai CCNL. Veniamo, quindi, ora, ai contratti nazionali, i quali possono essere stipulati nell’ambito o al di fuori del sistema di cui al TU 2014. Ovviamente, in questa sede, non può essere condotta una analisi casistica, né ciò sarebbe proficuo ai nostri fini sistematici. In termini generali, possiamo dire che, nonostante un’evidente apertura alla contrattazione a livello aziendale, i contratti nazionali, nelle parti degli accordi relative alle relazioni industriali, continuano a prefigurare un rapporto di tipo piramidale/gerarchico rispetto ai contratti integrativi127. Ad esempio, Il CCNL Industrie Alimentari, rinnovato il 5 febbraio 2016, prevede che “la contrattazione aziendale potrà essere svolta solo per le materie per le quali nel presente contratto è prevista tale possibilità nei limiti e secondo le procedure specificamente indicate”. Il CCNL Autoferrotranvieri rinnovato il 28 novembre 2015, stabilisce, ancora, che “la contrattazione di secondo livello si esercita per le materie in tutto o in parte delegate dal CCNL o dalla legge e deve riguardare materie ed istituti diversi e non ripetitivi rispetto a quelli negoziati a livello nazionale o a livello interconfederale”128. Infine, a conferma della diffusione generalizzata di un principio di prevalenza del CCNL, il contratto aziendale applicabile presso Autogrill s.p.a. dal 3 luglio 2015 esercita direttamente la delega conferita dall’art. 23 del d.lgs. 81/2015, fissando un 125 Anche alcuni CCNL, sulla scia del TU 2014, hanno eliminato i riferimenti alla regola. Cfr. CCNL Industrie Alimentari 5 febbraio 2016 che riformula e ridimensiona il principio del ne bis in idem. 126 V. BAVARO, Azienda, contratto e sindacato, cit., 110 che si riferiva alla versione quasi identica del precedente AI 28 giugno 2011. 127 P. PASSALACQUA, dattiloscritto. 128 In questo caso è interessante osservare che, per un verso, si precisa esplicitamente quali fonti possono delegare il contratto aziendale, mentre, per un altro, si conferma il principio del ne bis in idem, superato a livello interconfederale. 26 limite quantitativo alla stipula di contratti a tempo determinato, ma precisa che “questa disciplina, da ritenersi pertanto transitoria, decadrà se sostituita da analoga normativa prevista dal CCNL”. Anche le discipline specifiche in materia di mercato del lavoro sembrano confermare la tendenziale prevalenza del CCNL sui contratti di II livello. Il CCNL Trasporto aereo – Sezione Handlers rinnovato l’11 dicembre 2015, ad esempio, fissa la soglia di contingentamento delle assunzioni a tempo determinato al 30%, ma fa salva la fissazione di soglie più alte “previe intese a livello aziendale con le competenti strutture delle OO.SS. stipulanti, per motivate esigenze tecnico, produttive ed organizzative”. Il CCNL Esercizi cinematografici, rinnovato il 9 marzo 2016 fissa la durata massima del rapporto a tempo determinato in 36 mesi e autorizza la contrattazione aziendale a concordare un periodo più ampio, mentre in sede di determinazione della soglia di contingentamento (pari in questo caso al 40%), autorizza deroghe peggiorative solo dopo un confronto ad un tavolo tecnico paritario. In definitiva, lo spaccato offerto dalla contrattazione collettiva di tutti i livelli non è nitido, ma segna una tendenza ancora evidente ad assegnare alla contrattazione nazionale il ruolo di disciplina quadro in un contesto di regolazione articolata in funzione delle esigenze delle imprese e delle particolarità del mercato del lavoro locale. Questo, in sostanza, è il dato che può essere tratto guardando all’ordinamento intersindacale e che potrebbe essere valorizzato anche nell’ambito dell’ordinamento statale e, quindi, anche in sede giurisprudenziale, attraverso l’interpretazione e la valorizzazione dell’art. 51, inteso come norma che pone lo Stato in una posizione di astensione rispetto alle scelte delle parti sociali, le quali possono essere valorizzate nei casi di conflitto normativo. Ciò, si ripete, solo in relazione alla contrattazione collettiva delegata e in costanza delle condizioni soggettive e oggettive viste supra. Per concludere, quindi, anche nell’ambito del concorso/conflitto fra contratti collettivi di diverso livello e non solo in quello del rapporto fra legge e contrattazione collettiva (cfr. § 3), i sindacati possono approfittare di spazi operativi per contrastare, nei limiti che abbiamo cercato di circoscrivere, alcune scelte del legislatore statale eventualmente non condivise nel contesto intersindacale129, come quella di estendere la misura della flessibilità nell’utilizzo della forza lavoro e quella di ampliare le potenzialità normative particolaristiche del livello aziendale130. Si tratta però di avere la forza e l’intenzione, anche politica, di agire in questa direzione, adoperando il potere negoziale riconosciuto dalla Costituzione, che nessuna legge ordinaria potrà mai mettere in discussione. 129
I sindacati a livello nazionale, ad esempio, volendo regolare l’intervento della contrattazione aziendale
potrebbero stipulare contratti nazionali per esercitare deleghe legali che non si ritiene opportuno lasciare
alla trattativa di più basso livello.
130 D'altronde, già dagli anni ’90 la storia della contrattazione aziendale (in materia di salario aziendale) è rimasta “sospesa” per l’esigenza imposta a livello interconfederale di promuovere piattaforme rivendicative coerenti con le politiche oggetto di concertazione con le istituzioni. Cfr. F. FARINA, La contrattazione collettiva in azienda. Una storia sospesa, Ediesse, 2014, passim, ed è ancora presto per saggiare gli effetti degli incentivi previsti dalla legge di stabilità per il 2016 e disciplinati con il D.M. 25 marzo 2016. 27 
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