Autrice: Nicoletta Ratto.
E.G.I.
Si ringrazia Davide Benza per la
possibilità di inserire il materiale da lui
raccolto in questi anni su sharenotes.
ECONOMIA e GESTIONE delle IMPRESE
Prof.ssa Lara Penco
Indice
Definizione di Impresa
Beni e servizi
 Dimensioni d’impresa
l’Impresa come sistema
Cosa vuol dire governare
il sistema impresa?
Vantaggio Competitivo
Strategie corporate e Strategie
business
Management strategico
Analisi ambiente esterno
(macro e micro)
Schema di Porter
Raggruppamenti strategici
Ambiente interno
Catena del Valore
Produzione
Capacità produttiva
Fattori di competitività della funzione
di produzione
Matrice WOODWARDS
Livelli di maturità del business
Matrice mercato prodotto processo
Strategie di Business
Matrice di Ansoff
Layout di produzione
Logistica
Finanza
Marketing
Pagina
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3
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35
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46
47
1
 Definizione di Impresa
Impresa (da imprendere), sotto il profilo giuridico, è un'attività economica
professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di
servizi. Ciò è quanto si desume dalla definizione di "imprenditore" di cui agli articoli
2082 e 2083 del Codice civile.
Art. 2082 - E' im prenditore chi es ercita profes sionalm ente un'attività econom ica
organizzata (articoli 2555, 2565) al fine della produzione o dello scam bio di beni o di
servizi (articoli 2135, 2195).
Art. 2083 - Sono piccoli im prenditori i c oltivatori diretti del fondo (articoli 1647, 2139), gli
artigiani, i piccoli c omm ercianti e coloro c he esercitano un'attività professionale
organizzata pr evalentem ente con il lavoro proprio e dei com ponenti della fa m iglia (articoli
2202, 2214, 2221).
L'im presa è perciò car atter izzata da un determ inato oggetto (produzione o scam bio di beni
o servizi) e da specific he m odalità di s volgimento (organizzazione, econom icità e
professionalità).
Sotto il profilo econom ico, va aggiunto che deve essere c ondotta con criteri che prevedano
un’adeguata copertura dei costi con i ricavi, altrim enti si ha cons um o e non produzione di
ricchezza (economic ità ).
Nel m om ento in cui l’im presa produce beni e servizi essa produc e ricchezza, red dito per
questo noi cons ideriam o l’im presa un istituto “sociale”.
Le im prese si articolano in :Imprese che producono beni materiali


Im prese agricole (producono beni sfruttando processi naturali legati alla terra)
Im prese industriali (com piono trasform azion i tecnic he dei beni)
Impres e che produc ono servizi






Im prese
Im prese
Im prese
Im prese
Im prese
Im prese
(op era zi on e c he h a il f in e di t ras fo rmare l o s tat o del so gg ch e l o c on su ma .)
di tr asporto e telecom unicazioni
che distribuiscono energia elettrica, gas, acqua.
di comm ercio
di credito
di assicurazione
che forniscono servizi inform atici
2
 Beni e servizi
I beni e i servizi rappresentano entrambi il risultato di un'attività di produzione.
I concetti di bene e servizio si differenziano tra loro in quanto:

i beni possono essere conservati;

i servizi sono inimagazzinabili;

i servizi sono consumati nel corso dell'attività di produzione e terminano con essa;

i beni possono essere trasformati in altri beni;

nei servizi può essere il cliente ad essere trasformato/partecipare (basti pensare a servizi
di formazione).
Nonostante le differenze, i beni e i servizi richiedono per la loro produzione una gestione con molti
punti in comune:

possono essere prodotti in piccoli o grandi volumi, in serie o personalizzati;

implicano l'acquisto di materiali, strumenti, servizi;

possono essere forniti su richiesta o previsti in anticipo;

richiedono una progettazione, sia del prodotto/servizio, che del processo per creare il prodotto
o erogare il servizio;

possono essere venduti per ricavare un profitto o elargiti in nome di una qualsiasi missione
sociale;

sono creati seguendo una strategia di produzione combinata con una strategia commerciale.
Tipologie di beni o servizi
I beni e i servizi posso essere classificati in:

tangibile o intangibile (conoscenze o idee) o una combinazione di entrambi;

intenzionale (fatto per essere offerto ai clienti) o non intenzionale (con effetti non voluti, come
ad esempio gas o liquidi inquinanti).
 Dimensioni d’impresa
Ai fini della concessione di aiuti alle IMPRESE PRODUTTRICI DI BENI è definita piccola e
media l'impresa che soddisfa i tre requisiti seguenti:
a. ha meno di 250 dipendenti;
b. ha un fatturato annuo non superiore a 40 milioni di EURO oppure, in alternativa, un totale di
bilancio annuo non superiore a 27 milioni di EURO;
c. è in possesso del requisito d’indipendenza (come sotto definito).
3
Ove sia necessario distinguere, è definita piccola l'impresa che soddisfa i tre requisiti seguenti:
a. ha meno di 50 dipendenti;
b. ha un fatturato annuo non superiore a 7 milioni di EURO oppure, in alternativa, un totale di bilancio
annuo non superiore a 5 milioni di EURO;
c. è in possesso del requisito d’indipendenza.
Ai fini della concessione di aiuti alle IMPRESE FORNITRICI DI SERVIZI è definita piccola e
media l'impresa che soddisfa i tre requisiti seguenti:
a. ha meno di 95 dipendenti;
b. ha un fatturato annuo non superiore a 15 milioni di EURO oppure, in alternativa, un totale di
bilancio annuo non superiore a 10,1 milioni di EURO;
c. è in possesso del requisito di indipendenza.
Ove sia necessario distinguere, è definita piccola l'impresa che soddisfa i tre requisiti seguenti:
a. ha meno di 20 dipendenti;
b. ha un fatturato annuo non superiore a 2,7 milioni di EURO oppure, in alternativa, un totale di
bilancio annuo non superiore a 1,9 milioni di EURO;
c. ed è in possesso del requisito di indipendenza.
Requisito di indipendenza
E’ considerata indipendente l'impresa il cui capitale o i diritti di voto non siano detenuti per il 25% o
più da una sola impresa, oppure congiuntamente da più imprese, non conformi alle definizioni di
piccola e media impresa o, secondo il caso, di piccola impresa; pertanto, al fine di effettuare la
verifica del requisito di indipendenza, debbono essere sommate tutte le partecipazioni al capitale
sociale o i diritti di voto detenuti da imprese di dimensioni superiori.
 l’Impresa come sistema
l’impresa è un sistema, un sistema è un insieme di parti che sono tese verso un unico fine e che
risultano tra loro programmate. L’impresa è una realtà complessa comprendente numerosi
soggetti perciò va concepita come sistema: gli elementi sia materiali sia immateriali sono
innumerevoli; esistono interrelazioni d diversa natura tra i vari elementi. Il valore dell’impresa
come sistema è fra l’altro maggiore ala somma del valore delle sue singole parti, la differenza è
detta “sinergia impresistica”.
1. sistema Complesso di elementi che svolgono funzioni diverse;
2. sistema Relazionale ed Aperto, intrattiene infatti relazioni con altri soggetti (vd. Fornitori,
consumatori ecc..) e non solo al suo interno;
3. sistema di Trasformazione in quanto acquisisce input e li trasforma in differenti output
rispettando i criteri di economicità, la sua efficienza operativa è misurata come
“produttività”;
4. sistema dotato di Meccanismo di Retroazione (o di feedback)
5. sistema Cognitivo,ossia un processo il cui sistema si basa su un flusso di dati, di
informazioni, di conoscenze e che è in grado poi di elaborarle e produrre nuove
conoscenze, in genere la onte delle conoscenze è il capitale umano che le mette a
disposizione o come “conoscenza tacita” oppure come “conoscenze codificate” come il
frutto della ricerca e sviluppo;
6. sistema Teleologico, ossia un sistema che persegue un fine;
4
7. sistema Vitale in grado di sopravvivere in un determinato contesto.

Cosa vuol dire governare il sistema impresa?
Governare l’impresa vuol dire assumere delle decisioni, le decisioni aziendali possono assumere
particolarità e caratteri diversi; si distingue infatti tra:
 Decisioni che devono essere prese immediatamente, quando si manifesta il problema;
 Decisioni abituali (si ripetono con frequenza e sempre con le stesse modalità);
 Decisioni che possono essere prese solo dopo lo svolgimento di indagini specifiche e
approfondite
Ogni volta che l’imprenditore è chiamato a prendere una determinata decisione è importante
analizzare con cura gli effetti e le reazioni più probabili che dovrebbero manifestarsi con l’avvio
delle azioni connesse alla decisione presa.
A questo riguardo è cruciale seguire un metodo decisionale definito, in grado di supportare il
processo decisionale. A questo riguardo, si individuano 3 fasi fondamentali: elencazione delle
alternative, valutazione delle alternative effettivamente percorribili dall’impresa, scelta della
migliore alternativa.
SISTEMA DELLE DECISIONI (1)
1. Decisioni strategiche riguardano le scelte di dimensionamento delle strutture e
comportano processi di cambiamento aziendale;
2. Decisioni organizzativo amministrative riguardano le scelte di dimensionamento delle
strutture e comportano processi di cambiamento aziendale;
3. Decisioni operative riguardano le modalità di svolgimento di singole operazioni o compiti;
esse concernono quindi la gestione di processi esecutivi.
Nelle grandi imprese queste differenti tipologie di decisione sono di pertinenza di differenti organi
decisionali e prendono in esame differenti orizzonti temporali
Il processo decisionale si muove dall’alto verso il basso (gerarchia) e quelle successive devono
essere coerenti con quelle di livello superiore e non in contraddizione.
SISTEMA DELLE DECISIONI (2)
• Nelle realtà minori, invece, spesso questa distinzione non si presenta. Tra l’altro, spesso le
decisioni direzionali (es. acquisizione di una nuova commessa, introduzione di un nuovo
prodotto nella gamma produttiva) comportano mutamenti nella struttura.
• Le decisioni direzionali, nelle pmi, sembrano dunque riconducibili all’interno di due classi:
decisioni amministrative eccezionali e decisioni amministrative coordinative (Mintzberg).
• Le decisioni amministrative eccezionali riguardano le soluzioni da prendere per risolvere
problemi non di routine; esse devono essere pertanto prese seguendo processi decisionali
non strutturati. Tali decisioni hanno effetti sulla struttura economica dell’impresa, sia pure
non comportino ri-orientamenti strategici ossia processi di cambiamento.
Valutazione delle decisioni
•
•
•
•
Le decisioni devono essere apprezzate, come minimo, sotto i seguenti profili:
Profilo reddituale (occorre apprezzare le reali capacità della decisione di generare profitto
nel medio periodo);
Profilo finanziario;
Profilo competitivo.
5
Esempio:
CASO AZIENDA DI ZINCATURA
• ATTIVITA’: zincatura a caldo di materiali ferrosi per conto terzi.
• CLIENTI: aziende di piccole/medie dimensioni
• PUNTO DI FORZA: continuità e tempestività delle lavorazioni. Le altre aziende in zona che
possono offrire lo stesso servizio lo fanno saltuariamente per saturare la propria capacità
produttiva.
Decisione iniziale: acquisto vasca di zincatura più grande
• Questo investimento avrebbe permesso un raddoppio della capacità produttiva e la
possibilità di soddisfare una domanda in continua crescita. Da un punto di vista finanziario
non c’erano problemi: l’azienda poteva in effetti finanziare completamente con mezzi propri
l’investimento.
• L’investimento partì. Sorsero dopo poco una serie di problemi di gestione in quanto non
erano stati considerati una serie di aspetti di rilievo:
Problemi sorti
 fu necessario aumentare l’organico;
 Si dovette procedere all’acquisto di un nuovo macchinario per poter spostare articoli di
grandi dimensioni che adesso potevano essere zincati con la nuova vasca;
 Sorsero problemi di immagazzinamento;
 Aumentò il costo medio orario di zincatura: la nuova capacità produttiva non risultava in
effetti sfruttata al massimo.
DI CONSEGUENZA, DA UN PUNTO DI VISTA ECONOMICO LA SITUAZIONE PEGGIORO’
IN MISURA SIGNIFICATIVA. COSA FARE?
• Per cercare di aumentare il grado di sfruttamento delle capacità produttiva l’azienda decise
di iniziare a zincare anche prodotti casalinghi (politica di diversificazione produttiva). In
questo modo l’azienda pensava di ritornare verso situazioni di economicità soddisfacente,
sfruttando meglio i costi fissi (che erano aumentati in misura significativa, irrigidendo la
propria struttura dei costi).
Problemi sorti
 Aumentarono i problemi di spazio (tanti prodotti da movimentare in uno spazio limitato);
 Aumentarono i tempi medi di lavorazione (attrezzaggio macchinari);
 Ulteriore incremento dell’organico;
 Sorsero problemi nel rispetto dei piani di consegna e degli standard qualitativi concordati.
COME INTERVENIRE PER RECUPERARE LA SITUAZIONE
• Una possibile soluzione poteva essere quella di accettare la commessa di una grande
impresa metal meccanica, che da sola poteva generare un volume di attività pari al 50%
del totale. In caso di accettazione, con la struttura operativa attuale, l’azienda doveva
rinunciare ad una parte consistente dei piccoli clienti attualmente serviti.
• In azienda, tra i soci c’erano pareri discordanti.
• Alla fine si scelse di accettare la commessa, non effettuando ulteriori investimenti nella
struttura; pertanto, si persero parte dei piccoli clienti suddetti.
THE END
• L’azienda aveva accettato la commessa senza prima rimuovere i problemi organizzativi e di
efficienza interna.
• Ciò portò al non rispetto della clausole contrattuali definite con il nuovo importante cliente,
con la conseguenza di mettere in serio pericolo la sopravvivenza dell’azienda.
6
•
Allo stato attuale l’impresa committente è in trattativa per rilevare l’azienda.
“La Strategia rappresenta lo schema o il modello decisionale atto a
coordinare gli obiettivi, le linee comportamentali e la locazione delle
risorse dell’impresa in una visione unitaria e coerente”
Tutto ciò deve avvenire con coerenza nei confronti dell’ambiente sterno in cui l’impresa si
muove ed è volto ad aumentare il vantaggio competitivo dell’impresa nei confronti del mercato
di appartenenza.

Vantaggio competitivo
In via di prima approssimazione, il vantaggio competitivo di un'impresa può definirsi come ciò
che costituisce la base delle performance superiori registrate dall'impresa, solitamente in
termini di profittabilità, rispetto alla media dei suoi concorrenti diretti nel settore di riferimento,
in un arco temporale di medio - lungo termine.
Nel corso degli anni sono state tuttavia proposte diverse definizioni di vantaggio competitivo.
Così, ad esempio, Robert Grant lo definisce come la "capacità dell’impresa di superare gli
avversari nel raggiungimento del suo obiettivo primario: la redditività" (Grant, 1999, p.218);
mentre, per Enrico Valdani, è "la capacità distintiva" (o competenza distintiva) "di un'impresa
di presidiare, sviluppare e difendere nel tempo, con maggiore intensità dei rivali, una
capacità market driving o una risorsa critica che possono divenire fattori critici di successo"
(Valdani,2003).
La creazione del vantaggio competitivo
Rispetto al vantaggio competitivo la strategia deve identificare e risolvere le questioni
connesse alla sua creazione ed al suo mantenimento. Il vantaggio competitivo è influenzato
da cambiamenti endogeni, ovvero interni all'azienda, e dalla capacità dell'azienda di reagire e
anticipare i cambiamenti esogeni, esterni alla stessa.
Il vantaggio competitivo di Porter
Porter identifica tre possibili strategie alternative e due diverse tipologie di vantaggio
competitivo connesse ad esse.
La strategia di leadership di costo (Impresa "product-driven")
La strategia di leadership di costo, con il relativo vantaggio di costo, è la capacità dell'impresa
di produrre prodotti simili o equivalenti a quelli offerti dai concorrenti ad un costo minore. Tale
strategia è tipica di settori in cui i prodotti sono fortemente standardizzati e la concorrenza è
soprattutto concorrenza sul prezzo. I rischi connessi a tale strategia derivano dai mutamenti
tecnologici che possono annullare i vantaggi precedenti; i bassi costi di apprendimento per le
7
imprese esterne al settore; l'incapacità di innovare poiché ci si concentra solo sul
contenimento dei costi; l'aumento generale dei costi.
La strategia di differenziazione (Impresa "market-driven")
La strategia di differenziazione, con il connesso vantaggio di differenziazione, è la capacità
dell'impresa di imporre un price premium per i propri prodotti superiore ai costi sostenuti per
differenziarli, cioè dotarli di caratteristiche uniche che abbiano un qualche valore per i propri
clienti al di là della semplice offerta di un prezzo basso. I rischi connessi a tale strategia
possono derivare dal fatto che il consumatore non riconosca il fattore differenziale o non sia
disposto a pagarlo, la contraffazione o l'imitazione.
• Strategie corporate e Strategie business
La strategia corporate
La strategia corporate quella elaborata dal top management e risponde alle seguenti
domande:
 In quali business vogliamo competere?
 Quale orientamento dobbiamo dare alle strategie?
 Quali risorse è necessario allocare?
 Quale struttura organizzativa dare all’attività dell’impresa?
La strategia business
La SBU, o unità strategica d’affari, é la parte dell’organizzazione che ha una propria strategia,
un proprio mercato, propri concorrenti e una mission distinta da quella delle altre parti
dell’impresa. Problemi che si incontrano a questo livello:
 Come affermarsi in un particolare ambiente competitivo;
 Quali vantaggi costruire rispetto ai concorrenti;
 Come cogliere le opportunità individuate o create nei mercati;
 Quali prodotti o servizi sviluppare ed in quali mercati.
8
• …dall’intenzione strategica ….alla strategia realizzata
 Management strategico
Il Marketing è una filosofia di gestione che si basa sul seguente assunto:
Il conseguimento degli obiettivi di sviluppo e redditività dell’impresa dipende dalla capacità di
creare Valore per il cliente sviluppando vantaggi sostenibili e duraturi nei confronti dei concorrenti.
I cardini del market driven management sono un coordinamento interfunzionale fra Orientamento
alla concorrenza e Orientamento al cliente. Il market driven management si realizza attraverso il
marketing strategico ed operativo
Due approcci di marketing strategico
MARKETING STRATEGICO DI RISPOSTA
• - Trovare e soddisfare bisogni non soddisfatti.
• - Creare o sviluppare una domanda latente o esistente.
• - Le innovazioni sono « tirate dal mercato ».
MARKETING STRATEGICO DI CREAZIONE DELL’OFFERTA
• - Trovare nuovi metodi per soddisfare bisogni esistenti.
• - Creare nuovi mercati grazie alla potenza della tecnologia o della creatività.
• - Le innovazioni sono « spinte dall’impresa ».
Il ruolo del management strategico nell’economia è di organizzazione dello scambio come
organizzazione materiale dello scambio, cioè dei flussi fisici di beni dal luogo di produzione a
quello di consumo. e organizzazione della comunicazione, cioè di quei flussi di informazioni
che devono precedere, accompagnare e seguire lo scambio, al fine di assicurare un incontro
efficiente fra domanda ed offerta di beni e servizi.
9
 Analisi ambiente esterno
Nell’analisi strategica l’ambiente generale consiste di variabili di medio-lungo periodo che sfuggono
al controllo del management, ma che possono incidere sulle decisioni e sul successo delle
strategie. Perché un’impresa abbia successo, il management deve capire quali variabili
dell’ambiente possono agire sul futuro dell’impresa; il cammino di tali variabili al fine di prevedere
cercare di individuare minacce ed opportunità e adattare la strategia dell’impresa secondo le
previsioni sul futuro delle variabili. Innanzitutto è necessario distinguere l’ambiente esterno in
macroambiente e microambiente.
Macroambiente costituito da variabili sulle quali il management non può agire. Sono variabili
che non sempre influenzano l’attività dell’impresa, ma scolpiscono il quadro di lungo periodo in cui
essa opera. Possiamo individuare differenti categorie:
1. Ambiente economico: insieme delle variabili che influenzano il sistema economico
nazionale e internazionale
2. Ambiente demografico: le tendenze “strutturali” della popolazione, la composizione.
3. Ambiente politico-istituzionale:quadro normativo e iniziative politiche che influenzano i
business (es. privatizzazioni)
4. Ambiente socio-culturale: tendenze e nuove abitudini della popolazioni (es.ecologismo)
5. Ambiente tecnologico di base: innovazioni tecnologiche utili a quasi tutte le imprese (es.
biotecnologie)
6. Risorse dell’ ambiente naturale: possibilità e facilità di raggiungimento delle MP
7. Ambiente strutturale nazionale(sistema paese): tutte le variabili economiche, demografiche,
naturali ecc.. e sono asseribili ad ogni paese.
Microambiente (o ambiente competitivo) le variabili sono specifiche e riguardano
l’attività che viene svolta in modo più
diretto e più immediato; incidono infatti sul
livello e l’intensità della concorrenza in
ciascun ambito. Al fine di analizzare il
microambiente introduciamo il concetto di
“Area Strategica d’Affari” (ASA).
L’ASA comprende le imprese che
producono il mio stesso prodotto e
possono essere ricondotte al mio
medesimo raggruppamento strategico,
10
tenendo conto di tre elementi: la tecnologia, i bisogni e i clienti; questi ultimi due sono peraltro
strettamente connessi. ( NB Bisogna altresì ricordare che il concetto di ASA non corrisponde
perfettamente a quello di settore si tratta infatti di due diversi modi di vedere la realtà.)
Esempio di ASA
Pensiamo al caso della produzione di cappotti, se pensassimo utilizzando solo la nozione di
settore, dovremmo considerare quanto accade nel settore produttivo dell’abbigliamento; se invece
facciamo riferimento all’ASA, abbiamola
possibilità d operare ulteriori distinzioni.
Facciamo ora l’esempio della biancheria
per la casa: esistendo all’interno di
questo settore due tipi almeno di clienti
(famiglie e comunità) e diversi tipi di
bisogni (bagno, cucina, sonno, tessile)
risulta evidente che il produttore di
asciugamani non sarà concorrente del
produttore di lenzuola.
11
B Potere dei fornitori:
Schema di Porter
i fattori che determinano il potere dei fornitori rispetto ai
produttori sono analoghi a quelli che determinano il
potere dei produttori rispetto agli acquirenti
E Minaccia dei prodotti
D Minaccia di nuove
imprese nel settore:







sostitutivi:
A Rivalità tra i concorrenti esistenti:
Economie di scala
Vantaggi assoluti di costo
Fabbisogno capitale
Differenziazione prodotto
Accesso ai canali di
distribuzione
Barriere istituzionali e
legali
Reazione da parte delle
imprese già esistenti




Concentrazione
Differenziazione dei prodotti
Capacità in eccesso e barriere
all’uscita
Condizioni di costo
C Potere dei clienti:


sensibilità di prezzo: costo del prodotto rispetto al costo totale,
concorrenza tra gli acquirenti;
potere contrattuale: dimensione e concentrazione acquirenti,
costi sostituzione per l’acquirente,informazione degli acquirenti,
capacità di integrazione a monte degli acquirenti.
12


Propensione degli
acquirenti alla
sostituzione
Prezzi dei prodotti
sostitutivi
A Rivalità tra i concorrenti esistenti

Concentrazione: numero e distribuzione delle imprese presenti nell’ASA.
Maggiore è il livello della concentrazione, minore è la tendenza a ricorrere a strategie di prezzo,.
Inoltre se la concentrazione è alta il settore è caratterizzato da un’elevata redditività delle imprese
presenti, ma per le aziende esterne è poco attrattivo.
FORME di MERCATO
CONCENTRAZIONE
CONCORRENZA e
SCELTE di PREZZO
Monopolio
Massima
Ampia discrezionalità nei prezzi
Dipolio
Alta
*Pubblicità, promo del prodotto
Oligopolio
Alta
Concorrenza perfetta
Bassa
* Rischio aperta collisione e
parallelismi
Difficoltà nel ordinamento dei
prezzi (possibile avvio
procedimento di riduzione)
* rischio di trust e cartelli
Per misurare la concentrazione si usano: quote di mercato; rapporto di concentrazione ecc..

Grado di differenziazione del prodotto: Per effetto delle strategie d’impresa, il prodotto di ciascun
impresa può presentare delle caratteristiche esclusive nella percezione dei clienti (es. vedi il
“Marchio” )

Eccesso di capacità produttiva: non si tratta di una condizione trascurabile, se per esempio ci
trovassimo nella condizione di avere 100 posti disponibili su un aereo, ma la domanda è di soli 50
posti, l’impresa aerea sceglierà di diminuire il prezzo del biglietto al fine di avere nuovi acquirenti,
con lo scopo di evitare di perderci troppo dato che i costi fissi sono molto elevati. Normalmente, se
la domanda non cresce abbastanza da sostenere la capacità produttiva in eccesso, l’impresa
dovrebbe scegliere di uscire dal mercato,sempre però nel caso in cui le barriere in uscita non siano
troppo alte, sia a valenza sociale che economica.
 Barriere all’uscita
– impianti specializzati
– costi fissi di uscita
– interdipendenze strategiche
– ostacoli sociali
– barriere emotive
Condizioni di costo: parametro da considerare in quelle ASA in cui la struttura dei costi non è
rigida, ma può essere variata (quindi bassi costi fissi).

13
B Potere dei fornitori:
C Potere dei clienti:
Punto fondamentale dei due è il potere contrattuale e i fattori che lo determinano.
Analisi dei Clienti
In questo tipo di analisi si fa riferimento ai principali clienti dell’azienda, quelli il cui peso
contrattuale è in grado di indurre comportamenti tali da ridurre i margini di profitto (riduzione dei
prezzi, miglioramenti della qualità o del servizio). Il potere contrattuale dei clienti è influenzato dai
seguenti fattori:
- Dimensioni degli acquisti: ovviamente se il volume di acquisti generato dallo stesso cliente è una
parte notevole del fatturato totale, tanto maggiore è il potere contrattuale del cliente, specialmente
quando può avere lo stesso prodotto da altri abbastanza facilmente.
- Concentrazione della clientela: quanto più basso è il numero di clienti che l’azienda ha nel proprio
portafoglio, tanto maggiore sarà il loro potere contrattuale.
- Possibilità di integrazione verticale: questo punto fa riferimento alla possibilità che ha un cliente di
scegliere se comprare un dato prodotto oppure se produrlo da se. Per esempio si pensi ad un
commerciante di abbigliamento all’ingrosso che, invece di continuare a comprare i capi da altre
imprese manifatturiere, decida di produrre con un proprio marchio attraverso propri stabilimenti
oppure attraverso laboratori a facon (contoterzisti). Nel caso questo accada l’azienda avrebbe
perso un cliente e guadagnato un concorrente. Questo è un caso di integrazione verticale: un
distributore che sceglie di integrarsi a monte con il settore della produzione.
Analisi dei fornitori
Analogamente ai clienti, l’analisi dei fornitori mira a mettere in evidenza chi sono e come possono
influire sulla capacità competitiva dell’azienda i principali fornitori. I fornitori possono influenzare
l’intero ciclo di approvvigionamento attraverso il livello dei prezzi di acquisto, le modalità di
pagamento (dilazionate o no), la qualità e la continuità delle forniture, il livello dell’assistenza
tecnica se necessaria, la puntualità nelle consegne. la forza contrattuale del fornitore dipende dai
seguenti elementi:
- % di acquisti presso un unico fornitore: se esistesse un unico fornitore probabilmente avrebbe un
potere elevatissimo, visto che senza di lui l’azienda chiuderebbe.
- Esistenza di prodotti sostitutivi: se il bene che il fornitore procura ha delle caratteristiche
esclusive, allora tanto maggiore sarà il potere contrattuale dello stesso. In questo caso l’azienda
non può sostituire il fornitore almeno fino a quando non trova un altro che venda un prodotto con le
stesse caratteristiche.
- Costi di cambiamento del fornitore: quanto maggiori sono le spese (risoluzione di contratti prima
del termine, ecc) in caso di interruzione dei rapporti con il fornitore e maggiore sarà il suo potere
14
contrattuale. Anche in assenza di clausole contrattuali onerose, ci possono essere delle consistenti
diseconomie legate al fatto che il nuovo fornitore può non accordarci lo stesso sconto, o lo stesso
livello di servizio del precedente.
- Possibilità di integrazione verticale: come visto in precedenza nell’analisi della clientela, in questo
caso un fornitore di filati può decidere di produrre magliette e capi d’abbigliamento, oppure può
integrarsi con la distribuzione creando “a valle” un proprio canale distributivo.
D Minaccia di nuove imprese nel settore:
Potenziali entranti quindi minaccia di nuove entrate, il modo che hanno le imprese già esistenti di
difendersi sono le barriere all’entrata, queste sono misurate dalla dimensione del vantaggio delle
imprese affermate sulle nuove entranti
BARRIERE ALL’ENTRATA
 Fabbisogni di capitale (fisso/circolante)
 Economie di scala
 Vantaggi assoluti di costo (che ano le imprese operanti nel business indipendentemente
dalla scala produttiva)
 Acquisizione di materie prime a differenziazione di prodotto basso costo
 Marchio e lealtà dei consumatori (può essere così elevato da scoraggiare molte imprese)
(fedeltà consumatore), identificazione di marca (es.: nutella…)
 Accesso ai canali di distribuzione (es.: scaffali supermarket)
 Barriere istituzionali e legali (autorizzazioni, licenze…)
 Ritorsione (prezzo di dissuasione…)
I nuovi concorrenti sono attratti soprattutto quando i margini di profitto sono elevati e le barriere
sono basse
E Minaccia dei prodotti sostitutivi:
Il prezzo che si è disposti a pagare dipende in parte dalla disponibilità di prodotti sostitutivi
–
elasticità della domanda del settore
–
Rapporto prezzo/prestazione (più è favorevole per il prodotto sostitutivo, maggiore è
il vincolo di redditività del settore)
–
Propensione del consumatore a sostituire
A+B+C+D+E Quando un business è attrattivo…
A. La concorrenza nell’ASA è bassa
B. Il potere contrattuale dei fornitori è basso
C. Il potere contrattuale dei clienti è basso
D. Ci sono elevate barriere all’entrata
E. La minaccia dei prodotti sostitutivi è bassa
15
 Raggruppamenti strategici
 Si identificano i concorrenti più diretti e le aree di mobilità, i possibili percorsi strategici e
l’interdipendenza tra gruppi e dunque l’intensità della concorrenza

Le variabili per effettuare i raggruppamenti sono generalmente quelle che esprimono
barriere alla mobilità e richiedono diverse azioni strategiche
NOTA: Si definiscono barriere alla mobilità quei vincoli che rendono difficile il passaggio da un
raggruppamento strategico ad un altro

E’ bene costruire diverse mappe in base a diverse variabili (non legate fra loro)
Il
Modello di Porter consente di valutare intensità competitiva, livello di redditività e grado di
attrattività del settore, il perché alcune imprese hanno profitti più elevati e l’influenza delle strategie
competitive.
Un altro strumento è però la classificazione delle strategie delle imprese del settore in
raggruppamenti strategici:
•
•
Raggruppamento strategico: insieme di imprese che all’interno del settore perseguono
strategie simili lungo dimensioni strategiche ben definite e rilevanti per il settore stesso
–
specializzazione
–
identificazione della marca
–
canali distributivi
–
qualità dei prodotti
–
ampiezza gamma
–
estensione geografica del mercato
–
integrazione verticale
Mappe strategiche (diametro = quota di mercato cumulata)
Il modello dei raggruppamenti strategici è utile per individuare i fattori critici di successo dal lato
dell’offerta, la politica di prezzo, il livello di qualità dei prodotti o servizi, il grado di interazione
verticale ecc…
16
MAPPA DEI GRUPPI STRATEGICI - LATTE 2001
I Gruppi strategici del settore Auto.
17
Analisi strategica dei concorrenti
Le informazioni sulla concorrenza si trovano tramite l’analisi delle quote di mercato:
BUSINESS
DIMENSIONI
ASA Biscotti
11’000
VAR.MEDIA
(quantità
domandata)
3,1
ASA Acqua
3’500
4,0
ASA Yogurt
5’500
6,5
QUOTE ASS.
q.C/ q.leader
q.2°/q.leader
A30 B20 C15
D12 E10 R13
A20 B8 C15 D
25 E11 F10
R11
A15 C35 D30
E14 F6
C/A
B/A
C/D
A/D
C/D
D/C
Nel primo e nel secondo business la crescita di C è modesta mentre nel terzo potrà avere un
aumento delle vendite importante. Si può vedere che è A leader nel business dei biscotti, però è
18
un business con attrattiva inferiore perché la domanda cresce poco, infatti al fine che la nostra
impresa abbia un quadro preciso è necessario analizzare business su business così da capire le
posizioni dei concorrenti nei diversi business e i loro punti di forza. (Le quote di mercato si
riferiscono all’incidenza delle vendite di un concorrente su un settore/business).
ANALISI POSIZIONAMENTO delle MARCHE
E = nuovo prodotto
C = prodotto di vecchia data, ma noto a
tutti
In questo caso sto già analizzando dei
concorrenti chiave, analizzo infatti il loro
posizionarsi rispetto alla domanda.
 Ambiente Interno
La redditività di un’impresa è legata all’attrattività dell’ambiente strategico in cui l’impresa è inserita
(vd. ASA), ma dipende anche dalla capacità dell’impresa di crearsi un vantaggio competitivo più o
meno solido nei confronti dei suoi concorrenti, sfruttando risorse e competenze.
1.
Le competenze distintive sono le caratteristiche intrinseche e salienti di
un'impresa (attitudini, abilità, conoscenze commerciali e scientifiche), configurabili come qualità
"speciali" che permettono alla stessa di essere più competitiva in un aspetto tecnico o
organizzativo, e che di norma sono affidate ad un certo numero manager e specialisti. Esse non
sono facilmente imitabili.
In genere, le competenze distintive (chiamate anche "core competence") sono trasversali a
un'attività o ad un settore, e possono riguardare la particolare attitudine a costruire, progettare,
realizzare un prodotto o anche a organizzare, gestire, programmare.
Non sono precisamente il Know-How, quanto piuttosto un saper fare trasferito nei prodotti e
nei servizi, anche se per certi versi sono assimilabili ad esso. Diciamo che sono un sottoinsieme
dell'esperienza dell'azienda, che in maniera orizzontale attraversa le funzioni e pervade
l'organizzazione di un valore aggiunto che caratterizza e, appunto, "distingue" l'azienda dalle altre.
19
Le core competence sono considerate un fattore determinante nel sistema competitivo, in
particolare nelle economie contemporanee, con lo sviluppo del terziario e la necessità di una
qualità come fattore distintivo per tanti bene (economia)beni e servizi fungibili che si basano sulla
lotta dei prezzi, causando una curva di domanda estremamente elastica.
2.
Le risorse non sono esattamente un fattore produttivo, in quanto sono più disgregatore
specifico. Sono risorse per esmpio i brevetti, il capitale finanziario ecc.. e sono risorse tangibili;
sono risorse intangibili le conoscenze o Capitale Intellettuale.
Il termine Capitale intellettuale indica l'insieme delle risorse a disposizione di una azienda rilevanti
per la sua capacità competitiva ed il suo valore. Tale insieme comprende come sottoinsieme gli
attributi che tradizionalmente concorrono nella formazione del bilancio d'esercizio e dello stato
patrimoniale di un'impresa.
Termini collegati e talvolta utilizzati come sinonimi sono intangibili (intangibles) e risorse della
conoscenza (knowledge assets).
Il valore di un’azienda è costituito da asset fisici, da varie forme di capitale finanziario e, infine, da
asset “intangibili", ossia proprio il capitale intellettuale.
L’intangibilità non si riferisce all’immaterialità del capitale intellettuale, bensì al fatto che esso non è
facilmente traducibile in termini finanziari [1]. Tutti gli altri asset di un’impresa, come un edificio o dei
titoli di credito, possono essere monetizzati, nel senso che esistono criteri standard per esprimerne
il valore in termini di valuta corrente. Il capitale intellettuale, invece, è principalmente costituito da
elementi (come la qualità del personale o la reputazione del marchio presso i consumatori) per i
quali non sono dati metodi universalmente riconosciuti per la loro valutazione monetaria.
Più precisamente, dunque, converrebbe parlare di asset "non-finanziari".
Elementi del capitale intellettuale
I modelli di rappresentazione del capitale intellettuale si differenziano talvolta per gli elementi
costitutivi riconosciuti. Le impostazioni prevalenti sono comunque riconducibili alla seguente
articolazione:

Capitale relazionale (riconducibile alle relazioni esistenti con soggetti esterni, quali fornitori,
clienti, centri di ricerca, ecc. e alla reputazione);

Capitale umano (la parte di capitale intellettuale che dipende dalle conoscenze e dalle abilità
possedute dal personale);

Capitale organizzativo (il saper fare, eventualmente protetto da brevetti, e il saper
fare assieme).
Capitale relazionale (o delle relazioni esterne)
Fattori primari per il successo di un’azienda sono

la qualità del rapporto con i clienti, di quello con i fornitori, con i rivenditori, con i co-produttori e
con altri partner d’affari;

il valore dei marchi di prodotti o servizi;
20

il valore della reputazione nel mercato e di quella tra gli investitori;

il valore delle licenze, degli accordi di franchising, delle joint venture con altre imprese
Questo capitale di relazioni "esterne" (per tenerlo distinto dalla relazioni esistenti internamente
all'azienda, e che concorrono a formare il capitale organizzativo: vide infra) è, di tutti i beni
intangibili, quello più direttamente correlato con i risultati operativi (tangibili, finanziari) dell’impresa.
Capitale umano
Elementi intangibili sono insiti anche nel capitale umano di un’azienda: il livello di istruzione dei
dipendenti, il loro saper fare, le loro qualificazioni professionali, le competenze, sono tutte
grandezze che ancora non sappiamo misurare con criteri standard, né tantomeno trattare in
termini monetari. Di esse tuttavia sappiamo che certamente influenzano i risultati di un’impresa.
Capitale organizzativo
Vi sono caratteristiche di un’azienda che, pur essendo intimamente connesse al modo di operare
delle persone, trascendono il capitale umano, ed esprimono la qualità dell’organizzazione: è
questo il capitale organizzativo.
Valori aziendali, filosofia manageriale, cultura aziendale, processi gestionali, policies, modelli
organizzativi, sistemi informativi, strategie: sono tutti attributi che esistono al di là e al di sopra del
capitale umano e che distinguono un’azienda da un’altra. Per esempio, lo stesso gruppo di
calciatori si comporta diversamente e dà luogo a risultati diversi se viene iscritto a due diverse
società, con diversi stili, culture, comportamenti, preparatori, allenatore, schemi, e così via.
Un altro importante elemento del Capitale organizzativo è la proprietà intellettuale: i brevetti, i diritti
di copyright, le formule, gli schemi, i segreti industriali, i marchi registrati che sono possesso
dell’azienda. (Sono questi gli asset intangibili ai quali, il più delle volte, ci si riferisce -sommandoli al
capitale umano- per definire sommariamente il capitale intellettuale di un'impresa: ma si tratta di
un'accezione assai limitativa).
21
La CATENA del VALORE
Per catena del valore si intende un modello che permette di descrivere la struttura di
una organizzazione come un insieme limitato di processi. Questo modello è stato teorizzato
daMichael Porter nel 1985 nel suo best-seller Competitive Advantage: Creating and Sustaining
Superior Performance. Secondo questo modello, un'organizzazione è vista come un insieme di 9
processi, di cui 5 primari e 4 di supporto.
I processi primari sono quelli che direttamente contribuiscono alla creazione dell'output (prodotti e
servizi) di un'organizzazione e sono:

Logistica in entrata: attività legate al ricevimento, immagazzinamento e distribuzione dei
fattori produttivi. Ne fanno parte la gestione dei materiali, la gestione del magazzino, il controllo
delle scorte, la programmazione dei vettori, i resi a fornitori;

Attività operative: attività di produzione di beni e/o servizi: è la fase di trasformazione delle
materie prime nel prodotto finale, raggruppa attività quali la lavorazione, il montaggio, il
confezionamento, la manutenzione dei macchinari, il collaudo e la gestione degli impianti;

Logistica in uscita: riguarda la raccolta, lo stoccaggio, il magazzinaggio dei prodotti finiti, la
gestione dei vettori di consegna, elaborazione degli ordini e la programmazione delle
spedizioni;

Marketing e vendite: attività legate allo studio dei comportamenti d’acquisto della clientela,
alla determinazione dell’offerta, alla determinazione degli attributi del prodotto (scelta del tipo di
prodotto da offrire sul mercato e della sua funzione d’uso), alla determinazione dei prezzi, alla
scelta dei canali di vendita (con punti vendita di proprietà dell’azienda, in franchising,
servendosi di intermediari, servendosi di grossisti e dettaglianti, della grande distribuzione
organizzata, via internet, ecc.), alla gestione dei canali di vendita, alla gestione della relazione
con la clientela, alla pubblicità e comunicazione e alla determinazione di offerte promozionali.
22

Assistenza al cliente e servizi: attività legate al durante e post vendita, volte a migliorare la
percezione di valore del prodotto acquistato, al customer care, all’installazione, alla fornitura di
ricambi, alle riparazioni, al modo di trattare il cliente, ecc. (ad es. l'assistenza tecnica).
I processi di supporto sono quelli che non contribuiscono direttamente alla creazione dell'output
ma che sono necessari perché quest'ultimo sia prodotto e sono:

Approvvigionamenti: è la funzione di acquisto dei fattori produttivi utilizzati nella catena del
valore. Che siano materie prime, semilavorati, macchinari, servizi, trasferte, cancelleria,
computers, sistemi software gestionali, ogni funzione aziendale, dalla logistica alla produzione
al marketing a ciascuna delle attività di supporto stesse, consuma ed acquista input. La visione
qui proposta è di tenerne traccia in modo integrato onde evitare sprechi ed inefficienze. Proprio
a questo proposito si sottolinea quanto sia importante la scelta di una politica di acquisti chiara
(acquisti centralizzati, partecipazione a gruppi d’acquisto, ecc.) dato che pratiche di acquisto
migliori possono influenzare il prezzo del prodotto, specie quando il costo della materia prima è
determinante nella definizione della posizione di costo.

Gestione delle risorse umane: è l’insieme delle attività che hanno a che fare con la ricerca,
l’assunzione, lo sviluppo, l’addestramento e la mobilità di tutti i tipi di personale, dall’operaio al
quadro ai dirigenti. Il compito principale che questa attività ha è nel determinare la competenza
e nel mantenere alta la motivazione dei dipendenti. Competenza e motivazione del personale
sono due elementi essenziali per il vantaggio competitivo dell’azienda. Ha anche un grosso
impatto sui costi per via dei costi di assunzione ed addestramento. (N.B. i costi del personale
non possono essere imputati ad un’attività in particolare, ma ripartiti su tutte le attività).

Sviluppo delle tecnologie: si tratta di ogni tipo di tecnologia, di know how, di procedure che
forniscono apparecchiature di processo. In ogni azienda le tecnologie impiegate sono di vario
tipo: per preparare documenti (sistemi di fatturazione), per trasportare le merci (nastri
trasportatori), nel processo produttivo principale (particolare lavorazione della gomma o
dell’alluminio grazie a macchinari o procedure innovativi), nel marketing e servizi (studio nuovi
design, database dei rapporti con la clientela, sistemi di CRM). È un’attività spesso
fondamentale per la competitività di qualsiasi azienda, grande o piccola. Queste attività
vengono in genere identificate con il processo R&D (Research and Development).

Attività infrastrutturali: l’infrastruttura di un’azienda si compone di attività fra cui la direzione
generale, l’amministrazione, la finanza, il legale, i rapporti con gli enti pubblici e la gestione
della qualità. Tutte queste attività operano a supporto dell’intera catena del valore e non di
attività singole. Spesso sono considerate attività generatrici solo di costi fissi, non recuperabili,
anche se in realtà possono essere anche fonti di vantaggio competitivo. Ad esempio una
gestione corretta della finanza rende efficiente tutta la gestione aziendale, oppure avere o
negoziare rapporti privilegiati con università o enti pubblici o con clienti/fornitori importanti può
far acquisire vantaggi importanti. Queste attività possono collocarsi in maniera diversa a
seconda che l’azienda sia suddivisa in unità di business o meno. Nel primo caso le attività
23
infrastrutturali saranno distribuite tra casa madre e singole unità di business, nel secondo
invece saranno contenute nell’azienda stessa. Inoltre alcune attività infrastrutturali sono più
attinenti la gestione operativa di ciascuna business unit, mentre altre meno. La gestione della
qualità è per esempio fatta a livello di unità di business mentre il legale o la finanza è più facile
trovarle a livello di casa madre (corporate). Per le Organizzazioni diverse da quella di
produzione di beni è tuttavia possibile utilizzare il modello come un valido spunto per l'analisi
dei processi. In tal caso occorre provvedere ad un adattamento del modello stesso
all'organizzazione oggetto di studio.
La catena del valore ci può far comprendere che tipologia di vantaggio competitivo utilizza
l’azienda, infatti analizzando la catena del valore, l’impresa riesce a capire le sue variabili di costo
e le sue variabili di valore, analisi utili non solo sotto il profilo descrittivo, ma anche strategico:
un’impresa può rendersi conto che una delle sue attività produce costi superiori rispetto a quello
che è il suo contributo nei ricavi ed agire di conseguenza. Con la catena del valore si individuano i
punti di forza e di debolezza e non solo dal punto di vista interno, ma anche in modo comparativo
con i suoi concorrenti migliori.
Esempio.
Ditta X
24
Ditta Y
L’impresa X ha investito di meno in Ricerca e sviluppo, questo comporta che il suo sistema di
produzione risulta più tradizionale, meno automatizzato e questo si ripercuote sulla formazione del
margine.
Lo strumento principale per comprendere a fondo la natura del vantaggio competitivo è la catena
del valore. Il vantaggio competitivo può risiedere infatti in ciascuna delle attività che l’impresa
svolge, dalla progettazione alla produzione, alla vendita, all’assistenza alla clientela. Questo vale
quale che sia il tipo di vantaggio, sia di costo che di differenziazione o focalizzazione. La catena
del valore disaggrega le attività strategicamente rilevanti per comprendere l’andamento dei costi e
le fonti di differenziazione possibili. Il vantaggio competitivo si ottiene quando un’impresa svolge le
attività strategicamente rilevanti in maniera più economica o più efficiente della concorrenza.
La catena del valore della singola impresa infine è parte di un sistema più ampio, il sistema del
valore, che si compone delle catene del valore di tutte le aziende coinvolte nella filiera produttiva
(produttore, fornitori, distributori) nonché di quelle dei clienti stessi (vedi figura seguente).
Il sistema del valore (Porter 1985)
La capacità di comprendere la propria catena del valore è centrale per acquisire e mantenere il
vantaggio competitivo. Le catene del valore sono assolutamente diverse da impresa ad impresa,
perché ciascuna ne riflette la storia, le scelte organizzative, le strategie, le persone, le mentalità, le
abitudini. La scelta di servire solo un determinato ambito geografico, di servire solo un dato
segmento di mercato, sono esempi di scelte che influiscono sulla catena del valore. Lo schema
sopra descritto si modifica in parte nel caso delle imprese che praticano la differenziazione. Questo
tipo di imprese, infatti, sono di solito organizzate in Business Units o ASA (aree strategiche di
affari), cioè unità organizzative più o meno indipendenti dal vertice aziendale (corporate), che si
occupano di un particolare prodotto o linea di prodotti o servizi. Ci saranno in questi casi tante
25
catene del valore quante sono le business unit. Le varie business unit potranno svolgere attività
che si posizionano allo stesso punto (ad es. produzione) del sistema del valore, come evidenziato
dalla figura che segue:
Nel caso raffigurato nello schema qui sopra l’impresa ha tre catene del valore diverse, una per
ciascuna business unit, una per ciascun settore in cui ha deciso di operare. Esiste poi il caso di
aziende che diversificano in attività che si posizionano su livelli diversi del sistema del valore,
ovvero come fornitore di materie prime o come produttore e distributore, come illustrato nella figura
che segue:
26
 Produzione
La produzione è l'insieme delle operazioni attraverso le quali i beni e tutte le ricchezze vengono
creati, trasformati o modificati, con l'impiego di risorse materiali o immateriali (ad esempio energie
umane), in modo tale da renderli utili o più utili, cioè idonei a soddisfare i bisogni.
Tale definizione è applicabile pressoché a qualunque attività umana e non, in qualunque disciplina,
anche non tecnica. A causa della generalità della sua definizione, il termine "produzione" assume
sfumature diverse a seconda del tipo di risorse trattate, dei risultati ottenuti, e del contesto in cui è
utilizzata.
La produzione in senso economico comprende:

la trasformazione materiale o fisico-tecnica di beni in altri beni (ad esempio: dal legno al
mobile) e nella prestazione di servizi (ad esempio: il trasposto di beni);

il trasferimento dei beni nello spazio;

il trasferimento dei beni nel tempo attraverso lo stoccaggio o la conservazione per rendere i
beni disponibili per il consumo nel momento più opportuno;

l'adattamento quantitativo che consiste nel riunire piccole partite di beni o nel frazionare grandi
quantitativi di prodotti per soddisfare le esigenze dei consumatori.
Alcuni esempi pratici di produzione sono i seguenti:

alle poste gli addetti allo smistamento svolgono la loro attività produttiva raccogliendo,
ordinando, distribuendo la posta;

il medico di famiglia svolge la sua attività produttiva visitando i pazienti in ambulatorio;

l'insegnante svolge la sua attività produttiva quando in aula impartisce una lezione;

il medico veterinario si occupa di salvaguardare la salubrità, l'igiene e la qualità dei prodotti di
origine animale;

l'operaio metalmeccanico svolge la sua attività produttiva quando tornisce un pezzo.
La somma dei costi relativi ai fattori impiegati nella produzione di un bene ne determina il costo
di produzione. I costi variabili sono quelli sostenuti per l'acquisizione dei fattori produttivi che
vengono interamente utilizzati e trasformati nella produzione (energia). I costi fissi sono
sostenuti per l'acquisizione dei fattori produttivi che danno la loro utilità per più processi
produttivi, quindi che si deteriorano gradualmente (macchinari ed immobili).
La locuzione di valore aggiunto associata alle attività di produzione sottolinea il fatto che il risultato
della produzione ha maggior valore delle risorse utilizzate per produrlo, e sottintende che l'attività
di produzione è (o dovrebbe essere) remunerativa. Il valore, naturalmente, è quello del momento,
dettato sia dal mercato che dai costi delle risorse utilizzate.
Si pensi ad un manufatto in legno. In un ambiente pieno di foreste o boschi la materia prima è lì, in
quantità quasi illimitata, basta tagliarla e lavorarla; non costa nulla.
27
Diverso è quando si iniziano a produrre milioni di pezzi, e magari un incendio (naturale) ha causato
una drammatica deforestazione o disboscamento). A quel punto sarà impossibile ottenere un
valore aggiunto e bisognerà cambiare materia prima o ridurre drasticamente la produzione e
orientarla verso prodotti destinati ad una clientela elitaria disposta a pagarli a peso d'oro.
Il termine valore aggiunto si è diffuso ben al di là dell'ambito industriale ed oggi si utilizza molto
anche nei servizi e in opere dell'intelletto, per indicare, ad esempio conoscenze o idee immesse in
un servizio, che rendono il servizio stesso più remunerativo o più gradito al cliente.
Non va dimenticato, peraltro, che il valore aggiunto è la base imponibile per la determinazione
dell'IVA, ossia Imposta sul Valore Aggiunto.
Scelte di produzione
Ci sono tre tipi di scelte che si attuano e hanno un’importanza diversa nella rilevanza della
strategia d’impresa:
1. scelte di natura infrastrutturale
2. scelte di gestione della produzione (b.p.)
3. scelta organizzativa (b.p.)
Nel Breve Periodo il costo fisso si ripartisce su un
volume di produzione e perciò il grafico risulta
così.
Se l’impianto è molto sfruttato
subentrano diseconomie.
28
Nel Lungo Periodo tutti i costi sono modificabili poiché il costo dell’impianto varia in maniera
quadratica, mentre il volume della produzione varia in maniera cubica, a questo fine l’impresa
cercherà grandi dimensioni di impianto, così da avere una capacità produttiva più efficiente, che
consente di operare a costi medi più bassi.
OPPURE
29
 Capacità produttiva
Per capacità produttiva (productive capacity) nell'economia della produzione si intende
generalmente il livello di output che permette all'unità produttiva (impresa, stabilimento,...)
di utilizzare i fattori nel modo tecnicamente ed economicamente più efficiente,
corrispondente quindi a quel volume di produzione per unità di tempo cui è associato
il costo medio unitario minore, quando sia dato e costante l'impianto di produzione.
Alcuni parlano in tal caso di dimensione minima efficiente, o capacità produttiva ottima, per
distinguere questo dagli altri due significati con cui la locuzione è utilizzata in economia:

capacità produttiva massima, la quantità massima teoricamente producibile dall'unità produttiva
dati e costanti i fattori impiegati;

capacità produttiva minima, la quantità di "attivazione" o punto di pareggio: l'output minimo che
rende conveniente l'impiego di una certa tecnica di produzione rispetto a quelle alternative.
La capacità produttiva è composta da diversi fattori tre dei più importanti sono:
Domanda attuale e prospettica
Concorrenza (qual è la dinamica)
Efficienza deriva dalla scelta dell’impianto
Economie di scala tecnico produttive: si intende la condizione che si ottiene quando si
riduce il costo medio unitario all’aumentare delle dimensioni (o della scala) dell’impianto.
L’impresa valuta
l’impianto A, esso è
caratterizzato da
Ka=CFa, Va=CVa
CMa.
L’impresa nel lungo
periodo sceglie la
capacità produttiva più
efficiente. L’impianto
B è caratterizzato da
CF e CV di cui
CFb>CFa infatti essi
variano in maniera
meno che
proporzionale mentre i
CVb e CMb< di CVa
e CMa. A questo
proposito sappiamo perciò che passare da A a B è ottenere un economia di scala, il punto della
Dom invece situato in corrispondenza della qE è il punto limite oltre quello non ci sono ulteriori
economie di scala, se all’impresa servissero per esempio 2qE o 3qE sarebbe conveniente
replicare l’impianto “x” volte per la quantità corrispondente di qE. Le economie di scala non sono
però da ritenersi in senso stretto solo legate all’attività di produzione, ma è un concetto applicabile
30
a tutte le parti della catena del valore. Per avere una Dimensione Minima Ottimale per ogni parte
della catena del valore l’impresa deve cercare di trovare l’equilibrio per ognuno (grandezze, n°
lavoratori, finanziamenti ecc..)
ESEMPIO:
I costi di laboratorio legati alla ricerca di qualità di un prodotto.
I costi fra qA e qB scendono
bruscamente fino ad arrivare a
qE, ma possono abbassarsi
ulteriormente è perciò ovvio
che l’impresa perseguirà
contemporaneamente tutte le
economie di scala delle varie
parti della catena del valore
( anche creando più di un
impianto di produzione) al fine
di ottenere la miglior
combinazione; arrivando così
ad essere Multi-Plant ( o multi
impianti) anche se bisogna ricordare che alcune parti della catena del valore (vd. Produzione) non
possono essere variati nel breve periodo.
 Fattori di competitività della funzione di produzione
-
RIDUZIONE DEI COSTI: processi produttivi standardizzati ecc…
FLESSIBILITA’ del sistema produttivo: un sistema è flessibile se è in grado di realizzare
prodotti diversi in termini di colori, forme ecc..
ELASTICITA’ del sistema produttivo: è la capacità di variare la quantità prodotta a coti
contenuti.
QUALITA’ DEI PRODOTTI.
Quando si governa un’impresa e si
prendono decisioni sulla tipologia di
impianto da adottare è necessario
effettuare un analisi sulla tendenza della
domanda, passata, presente e un ipotesi
quindi su quella futura così da poter
scegliere un impianto capace di soddisfare
la variazioni del mercato. L’impresa deve
estendere lanalisi della domanda e creare
una capacità produttiva proiettata nel
futuro.
31
ESEMPIO:
L’impresa Y vuole capacità produttiva Xe ed
esamina due diverse soluzioni tecnologiche:
la soluzione A prevede minor CF, ma CV
maggiori; mentre la soluzione B ha minor CV,
ma maggior CF. Se l’impresa producesse
meno di Xe l’impianto conveniente sarebbe A,
ma se producesse oltre B sarebbe il più
conveniente.
PECULIARITA’ dei FATTORI delle IMPRESE di SERVIZI
1. Partecipazione del cliente ( non c’è attivazione del servizio se non c’è collaborazione da parte
del cliente/ richiesta)
2. Un servizio non è stoccabile, non si possono infatti stoccare i clienti ( le richieste ) chesono un
fattore produttivo.
TIPO DI IMPRESA
SPECIALIZZAZIONE
VOLUMI SI
PRODUZIONE
STRUTTURA DEI COSTI
(influenza)
ELASTICITA’
FLESSIBILITA’
ARTIGIANALE
Risorse
Piccoli (anche uno solo per colta)
( + ) Manodopera
( + ) Costi MP
( - ) CF (alcune volte solo
manodopera)
Si
Si (anche pezzi unici)
INDUSTRIALE
Impianti
Grandi (vd. Econ. Scala)
( - ) Manodopera
( - ) Costi MP (grandi ordini)
( + ) CF (impianti)
No
No (però si realizzano pezzi
intercambiabili)
L’impresa sceglie i processi produttivi per: 1 efficienza (<CF politica di costo); 2 massimizzare il
valore del prodotto finale ( politica di prezzo ).
 Matrice WOODWARDS
Uno strumento concettuale d’ausilio per comprendere la peculiarità della
produzione su progetto rispetto alle altre forme di produzione è la matrice di J. Woodward (1965)
che si inserisce tra i cosiddetti modelli contingenti perché si assume che il sistema produttivo della
singola azienda sia fortemente condizionato dalle caratteristiche dell’output.
Woodward individua quattro tipologie di produzione:
1) su progetto (impianti industriali, edilizia, opere infrastrutturali);
2) su modello/commessa, (macchinari industriali, aeromobili, progetti
di ricerca di base, ecc.);
3) su grandi lotti, (produzione manifatturiera in generale);
4) continua, (materie prime, beni commodities).
32
Queste diverse tipologie di produzione sono
a oro volta classificate in base a due variabili:
1) differenziazione e numerosità dei prodotti
della gamma;
2) standardizzazione dei prodotti e dei flussi
di vendita.
Dall’osservazione della matrice di J.
Woodward, possiamo trarre diverse
considerazioni:
1) la produzione su progetto ( o Job Shop)si
caratterizza per:
- unicità del prodotto: l’output della
produzione su progetto è un bene unico che
soddisfa specifiche esigenze e problematiche del committente, complesso e non soggetto a
movimentazione una volta completato l’iter di trasformazione;
- intermittenza del processo produttivo: bassa ripetitività delle operations e elevato grado di
flessibilità ed elasticità;
- specificità e transitorietà del sistema produttivo e organizzativo: la struttura organizzativa deve
essere in grado di plasmarsi e configurarsi sulle specificità del progetto.
- dimensioni contenute (pochi grandi clienti) del mercato servito.
2) la produzione su modello, coincidente sostanzialmente con la produzione “su commessa” si
caratterizza per:
- limitata numerosità dell’output: è già stato precisato che ciò che differenzia la produzione su
commessa da quella su progetto è che nel secondo caso l’output è unico e non replicabile.
- intermittenza del processo produttivo: la produzione su commessa (così come quella su
progetto) è per definizione discontinua e soggetta alle fluttuazioni degli ordinativi;
- flessibilità del sistema operativo e organizzativo: anche in questo caso è necessario che si
realizzi un fit tra la struttura organizzativa e l’esigenza di personalizzazione del prodotto finito
rispetto alle esigenze del cliente;
- dimensioni contenute (pochi grandi clienti) del mercato servito.
3) la produzione per grandi lotti, si caratterizza invece per:
- standardizzazione del prodotto finito: in quanto in questa tipologia di produzione le economie di
scala assumono rilevanza e la competitività si misura anche in termini di riduzione del costo
unitario;
- intermittenza del processo produttivo: ci si discosta ancora dalla produzione a ciclo continuo dei
beni commodities, anche se anche la produzione per lotti si caratterizza per elevate quantità di
output;
- sistema operativo e struttura organizzativa stabile e polivalente; la struttura organizzativa delle
imprese che operano con questo paradigma produttivo è caratterizzata da un maggior grado di
rigidità rispetto ai modelli su esposti malgrado presenti significativi gradi di flessibilità;
- omogeneità della domanda: il mercato servito è di massa.
33
4) la produzione continua infine, i cui esempi più noti si ritrovano nell’industria di base (chimico,
petrolchimico, metallurgico, ecc.), si caratterizza per:
- standardizzazione del prodotto finito: la produzione continua è ancorata al concetto di economia
di scala e massimo sfruttamento della capacità produttiva; condizione necessaria per operare in
questi mercati è la capacità di produrre elevati volumi con costi il più possibile contenuti;
- continuità del processo produttivo: il processo di trasformazione degli input in output si
caratterizza per una forte ripetitività e standardizzazione delle operations;
- struttura organizzativa stabile e polivalente: si evidenzia come nel caso precedente un maggior
grado di rigidità, ripetitività e specificità della mansione;
- omogeneità della domanda: il mercato servito è di massa.
In sintesi, possiamo affermare che nel passaggio tra la produzione su progetto a quella continua si
evidenziano differenze che investono:
1) il prodotto: si passa dall’unicità dell’output (produzione su progetto) a standardizzazione del
prodotto destinato al mercato di massa (ciclo continuo); decresce la personalizzazione del
prodotto, la competitività si basa principalmente sul prezzo e via via che il processo assume le
caratteristiche di un flusso continuo le differenze qualitative tra marche concorrenti diventano meno
significative;
2) il processo produttivo: il processo produttivo diventa più rigido e il ciclo è meglio definito e
formalizzato; la fasi del processo sono sempre più strettamente interconnesse; aumentano i volumi
e assume rilevanza lo sfruttamento di economie di scala e dell’efficienza produttiva; eventuali
cambiamenti radicali nel modo di organizzare la produzione diventano molto onerosi a causa della
rigidità che caratterizza questo paradigma di impresa;
3) le risorse umane: man mano che ci si muove lungo il continuum tra produzione su progetto e
continua il “capitale umano”; sempre più spesso si assiste a una graduale sostituzione del lavoro
con il capitale. Alle persone è richiesta sempre meno polivalenza e flessibilità operativa. Al
crescere della ripetitività del ciclo produttivo assume rilevanza la specializzazione come leva per il
maggior sfruttamento delle economie di scala attraverso la riduzione dei tempi e dei costi;
4) il mercato servito: si passa dalla produzione di beni unici per una domanda contenuta a beni
standard per servire una domanda indifferenziata/in differenziabile.
34
 Livelli di maturità del business
Ad ogni settore corrisponde un ciclo di vita le imprese devono definire quello del business di cui
fanno parte; ogni settore ( ma anche ogni prodotto) presenta infatti un andamento ciclico: nasce, si
sviluppa e conosce un periodo di forte espansione, raggiunge una perfetta maturità ( N.B. esistono
business la cui maturità persiste nel tempo) , prima di diminuire la propria diffusione. L’andamento
di ogni settore così prospettato può essere disegnato con una curva che ha come parametro per
esempio il livello delle vendite.
 Matrice mercato prodotto processo
Quando un business raggiunge la sua maturità, si deve pensare a un processo produttivo
intermittente a grandi lotti, per il quale il vantaggio competitivo deriva dalla riduzione dei costi; se il
business mantiene a lungo il suo grado di maturità o declina, visto che non ci sono richieste
varianti particolari dei prodotti realizzati, il processo ideale è quello continuo di produzione
35
standardizzata, che si trova i suoi fattori competitivi nell’efficienza dei costi. Esistono delle zone
grigie: se il business è ancora in fase di inizio o di sviluppo, con una domanda ancora ridotta, non
ha senso utilizzare la produzione di massa perché ci sarebbe uno spreco (risorse e invenduti);
speculare è il caso in cui si sceglie un processo su piccola scala quando il business è maturo.
 Strategie di Business
Le strategie di business vanno definite, implementate e mantenute relativamente a tre elementi
che vanno tra loro collegati: l’impresa, i clienti, la concorrenza.
1. VANTAGGIO DI COSTO
Avere una leadership di costo significa gestire dei processi e saper combinare risorse e attività in
modo da produrre agli occhi del cliente un valore comparabile a quello offerto dai concorrenti ma
sostenendo costi complessivamente inferiori, cosa che consente prezzi inferiori.
Al fine di definire una strategia di leadership di costo occorre






disaggregare l’impresa in attività
stabilire l’importanza relativa delle attività in base ai costi
confrontare i costi per ciascuna attività (capire le attività più o meno efficienti)
identificare le determinanti di costo
identificare i legami tra attività
identificare le opportunità di riduzione dei costi
Le principali determinanti del vantaggio di costo sono:
 economie di scala (specializzazione, divisione del lavoro)
36
 economie di apprendimento (miglioramento coordinamento organizzativo, maggiore abilità)
 tecnologia di processo (automazione, uso efficiente dei materiali)
 progettazione del prodotto
 costo degli input (potere contrattuale, collaborazione con i fornitori, co-localizzazione)
 altro … identificabile
Il vantaggio di costo consente:
a. di resistere a una guerra dei prezzi
b. di difendersi da aumenti imposti dai fornitori
c. di avere richieste di ulteriori ribassi di prezzo da parte dei clienti
d. di creare barriere all’entrata di nuovi concorrenti
L’impresa che cerca una leadership di costo investe soprattutto in competenze tecniche, nel
controllo dei processi produttivi e distributivi, nella standardizzazione produttiva. Sempre di più
investe nei processi!
2. DIFFERENZIAZIONE
Un vantaggio da differenziazione si ha quando l’impresa offre un prodotto/servizio percepito dai
clienti di valore superiore a quello offerto dai concorrenti. In considerazione di tale valore superiore
i clienti sono disposti a pagare un premium price.
Il valore superiore deve essere effettivamente superiore ed essere percepito tale.
Il premium price dipende sia dal valore reale che dal valore percepito
ESEMPI: l’unicità di Federal Express è nell’affidabilità; l’unicità di Sony è l’innovazione
Per perseguire un vantaggio di differenziazione occorre individuare nella catena del valore gli
elementi relativi alle diverse attività e risorse ed alle interconnessioni con le catene del valore del
cliente che possono effettivamente differenziare l’offerta.
Occorre capire dove risiede e può risiedere l’unità e soprattutto come e perché il modo di
combinare risorse e capacità genera unicità
I fattori di unicità sono:
 caratteristiche e prestazioni del prodotto e tecnologie sottostanti
 servizi complementari
 qualità degli input
 capacità del personale
 collocazione geografica
 modalità di gestione dei rapporti di mercato (capacità di marketing)
L’impresa che ricerca una strategia di differenziazione punta a competenze di marketing, di analisi
del mercato, al coordinamento del rapporto tra marketing e R&S.
La differenziazione consente:
a. di ridurre la sostituibilità del prodotto
b. di fronteggiare aumenti di prezzo dei fornitori
c. di ottenere maggiore fedeltà dai clienti
d. di difendersi da prodotti sostitutivi
Il vantaggio competitivo è derivato da competenze distintive che non sono solo identificabili
staticamente in risorse o attività d’impresa bensì soprattutto nel modo in cui tali risorse e attività
vengono combinate.
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Non è solo importante capire che cosa genera un vantaggio ma come e perché.
Risorse e attività possono essere imitate più o meno rapidamente; E’ più difficile imitare i modi in
cui tali risorse e attività vengono combinate. Ciò può essere “unico”.
Le imprese devono costantemente monitorare le proprie risorse e le proprie capacità di generare e
mantenere un vantaggio competitivo. Esse devono costantemente mettere in discussione dove
risiedono le loro aree di eccellenza e distintività ponendosi domande come:
o quali dei nostri prodotti/servizi sono i più distintivi?
o quali dei nostri prodotti/servizi sono i più profittevoli?
o quali dei nostri clienti sono i più soddisfatti? Perché?
o quali dei nostri clienti/canali/fornitori sono i più profittevoli?
o quali attività nella nostra catena del valore sono diverse da quelle della concorrenza e più
efficaci?
FOCALIZZAZIONE
L’impresa si concentra su uno specifico segmento di mercato rispetto al quale cerca di promuovere
una leadership di costo, una strategia di differenziazione o entrambe.
Le nuove tecnologie oggi consentono di coniugare differenziazione e costi sostenibili. Tuttavia:
E’ importante avere chiara consapevolezza che le fonti del vantaggio competitivo possono essere
diverse a seconda del tipo di strategia. Le leve sono diverse.
Occorre anche prestare attenzione a non creare “confusione” nel cliente.
 Matrice di Ansoff
La matrice di Ansoff (chiamata anche matrice prodotto-mercato) è uno strumento
di marketing creato da Igor Ansoff. La matrice permette di determinare quattro strade per
incrementare il proprio business, attraverso i prodotti esistenti o di nuova concezione,
in mercati esistenti o nuovi. Questo strumento aiuta le aziende a decidere che tipo di azioni
intraprendere per ottenere i
risultati previsti.
La matrice consiste di
quattro strategie:

Market
penetration (prodotto
esistente, mercato
esistente) Questa
posizione, caratteristica
della maggior parte delle
imprese, vede la proposta
di un prodotto esistente in
un mercato esistente.
38
Esistono diversi modi per ottenere questo: il migliore è conquistare i clienti dei concorrenti,
attraverso politiche di prezzo. Un altro modo, attuabile attraverso campagne pubblicitarie e di
promozione, è quello di attirare nuovi clienti. Ovviamente non è possibile aumentare
continuamente la propria quota di mercato e spesso le aziende nascono e muoiono in questo
settore.

Product development (nuovo prodotto, mercato esistente) Un'azienda che controlla già un
mercato può decidere di inserirvi nuovi prodotti. Ad esempio, nonostante McDonald's sia leader
del settore fast food, sovente introduce nuovi panini. Una volta che un prodotto è stato
introdotto, è importante poi trovare clienti che lo acquistino; per consentire a un'azienda di
rimanere competitiva, lo sviluppo di nuovi prodotti è di cruciale importanza.

Market development (prodotto esistente, nuovo mercato) Un prodotto esistente in un mercato
può essere esportato in un segmento diverso di consumatori, a livello geografico o di settore.
Questa strategia è meno rischiosa della precedente.

Diversification (nuovo mercato, nuovo prodotto) Questa strategia è caratterizzata da un alto
rischio e da alti investimenti, ma in caso positivo garantisce i migliori risultati. Il concetto è
quello di trovare un nuovo prodotto e di inserirlo in un nuovo mercato, tipo strategie "Blue
Ocean"
 Layout di produzione
La disposizione planimetrica fissa il percorso dei materiali in lavorazione, condiziona l’entità e
l’efficienza della manodopera, influisce sulla capacità produttiva di un intero procedimento,
condiziona l’utilizzazione dei macchinari e degli impianti, influisce sulla utilizzazione dei terreni e
dei fabbricati, concorre a determinare alti costi di spese generali. E’ perciò evidente che la scelta e
la disposizione planimetrica funzionale di tutti i mezzi, che concorrono alla realizzazione del
“prodotto” è un fattore di particolare importanza nell’economia dell’azienda.
I vantaggi che si possono ottenere con un nuovo layout sono enormi, basti pensare che
normalmente i materiali sono sottoposti a reali operazioni di trasformazione solamente per il
30/40 % del tempo che intercorre tra il prelevamento da magazzino del materiale grezzo ed il
versamento del prodotto finito a spedizione. Il 60/70 % dunque di questo tempo viene impiegato
in trasporti ed in attese di vario genere i cui costi normalmente non vengono evidenziati da alcuna
contabilità proprio perché non facilmente concretizzabili. Bisogna infatti osservare che,
contrariamente alle comuni credenze, la maggior parte del costo del lavoro non si forma nella fase
di lavoro vero e proprio della macchina, ma nella fase di spostamento del materiale sul posto di
lavoro e da un posto di lavoro ad un altro. L’efficienza produttiva è influenzata anche dalla
inadeguatezza dei mezzi predisposti per l’avanzamento del prodotto in lavorazione.
L’obiettivo diventa quindi abbattere questi costi inutili che non contribuiscono ad incrementare il
valore aggiunto del prodotto, con un più corretto coordinamento planimetrico degli impianti e
delle postazioni di lavoro. Uno studio più accurato del layout porta come risultati:
• aumento della produttività;
• riduzione dei costi senza sacrificare fattori fondamentali come qualità, lead time;
• diminuzione degli sprechi in genere ma soprattutto di tempo;
39
• riduzione delle immobilizzazioni di materiale impiegato.
1. LAYOUT PER LAVORAZIONI A SEQUENZA CONTINUA ( a catena)
Il layout che realizza una operazione immediatamente vicino alla successiva è il layout a sequenza
continua comunemente conosciuto come: layout in linea. L’opportunità di riunire in linea una
successione di operazioni svolte da e su macchine con caratteristiche differenti ed eseguenti
lavorazioni di tipo differente, risulta come conseguenza logica delle analisi svolte
precedentemente.
Infatti quando non si tralascia nulla per poter eliminare attese, trasporti, immagazzinamenti, si
giunge inevitabilmente alla conclusione che il modo più economico per impostare la lavorazione è
quello di disporre in sequenza le varie macchine che entrano nel ciclo operativo e collegare i vari
posti di lavoro mediante nastri trasportatori, scivoli, convogliatori, trasportatori aerei, …
Le aree di produzione studiate secondo questo tipo di layout risultano essere omogenee nel tipo
di prodotto in virtù del fatto che sono specializzate nella produzione di un prodotto standard, ma
sono eterogenee nel dettaglio per la varietà di macchine che contengono. Ogni area di produzione
(reparto o centro di costo che sia) può essere considerata come un piccolo stabilimento per la
produzione di un dato pezzo entro l’area del più grande stabilimento.
Tale sistemazione planimetrica oltre a garantire minori trasporti ed attese quindi movimentazioni
di materiali ed esecuzioni delle lavorazioni più celeri, cose tutte facilmente rilevabili, consente di
gestiste piccole quantità di materiale in lavorazione con conseguente diminuzione delle
immobilizzazioni finanziarie ed una conseguente cadenza parzialmente o completamente
meccanica della produzione con maggior tempestività nell’introdurre modifiche del ciclo
produttivo e minor periodo di addestramento da parte del lavoratore.
Per contro la sequenza continua, oltre a richiedere un investimento maggiore in termini di capitali
dedicati all’acquisto di macchinari, non consente di variare in modo economico il volume di
produzione in un dato periodo di tempo, con il rischio che un guasto interrompa parzialmente o
completamente il flusso di produzione. Investimenti di questo genere sono forzatamente frutto di
oculate scelte strategiche che pianifichino nel lungo periodo (in genere decenni) l’attività
aziendale.
Generalmente si ritiene infatti conveniente impostare una lavorazione in linea quando:
- bisogna costruire un gran numero di pezzi o prodotti;
- si deve produrre quel pezzo o quel prodotto per un lungo periodo;
- è possibile lo sfruttamento completo della macchina o dell’impianto molto costoso;
- i materiali o i prodotti permettono lo spostamento o il trasporto continuo con mezzi meccanici;
- si ha la possibilità, mediante un accurato studio di metodi e dei tempi, di cadenzare ed
equilibrare le macchine ed il lavoro manuale in modo che il flusso del materiale risulti costante
lungo tutto il processo produttivo.
Ad esempio: in un layout di produzione a sequenza continua può essere conveniente tenere
raggruppate quelle macchine con un ciclo produttivo molto rapido che non possono essere
cadenzate con altre macchine a ciclo più lento.
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2. LAYOUT PER PRODUZIONE A LOTTI (a reparto)
Il layout per produzione a lotti, promosso da Henry Ford nei primi anni del 1900, ebbe il suo
massimo impiego fino alla vigilia della seconda rivoluzione industriale con l’utilizzo delle linee di
produzione.
In questa disposizione planimetrica si segue il criterio di disporre le macchine o le lavorazioni
omogenee in determinate aree adibite solo a quel tipo di macchine o quel genere di lavorazione
(esempio: reparto fresatrici, reparto presse, reparto trapani, reparto fatturazione, ecc.).
Ne consegue che sia l’operatore sia il prodotto si spostano da un gruppo di macchine all’altro.
Come conseguenza finale si avrà che il materiale costituente il lotto o lo stock di produzione non
lascia un dato reparto fino quando l’ultimo pezzo del lotto non ha subito quella data operazione,
per cui tutto il materiale del lotto attende la ultimazione in un deposito temporaneo il più delle
volte ubicato accanto al posto di lavoro stesso.
Si avrà cioè una maggior quantità di materiale in lavorazione con conseguenti maggiori oneri di
immobilizzazioni.
È lampante come, data la mancanza di un cadenza mento tra una operazione e la successiva, vi
sia una grande flessibilità nella variazione del volume di produzione e nella produzione di una
gamma molta diversificata di prodotti.
In questo tipo di layout gli investimenti in macchinari risultano molto ridotti.
Risultano ridotte al minimo anche le interruzioni del flusso produttivo per eventuali rotture o per
assenteismo in quanto la grande quantità di materiale funge da “volano” di produzione.
3. LAYOUT PER LAVORAZIONI SUL PEZZO
Con questo tipo di layout il materiale ed i componenti di un prodotto convergono in una data area
dove è sistemato il componente più importante o di maggiori dimensioni. In questa area operano
sia uomini sia macchine.
La caratteristica principale di questa disposizione planimetrica è che il materiale o il prodotto sta
fermo mentre si spostano gli uomini o le macchine.
I vantaggi di questo layout sono essenzialmente tre:
• si riduce notevolmente il trasporto delle parti più ingombranti o più pesanti;
• è chiaramente delimitata la responsabilità della qualità del prodotto eseguito,
• presenta la massima flessibilità possibile in quanto si adatta sia alla variabilità del prodotto,
sia al volume di produzione, sia infine a qualsiasi variazione del disegno o del progetto.
Generalmente questo genere di layout viene usato nel montaggio di grossi macchinari, di grossi
motori, di locomotive, ecc. dove il costo per trasportare la parte principale è molto elevato, la
produzione è limitata a poche decine di unità e dove soprattutto ha molto importanza l’abilità dei
componenti la squadra per garantire un’ottima qualità del prodotto finale.
41
 Logistica
Esistono diverse definizioni di logistica, ognuna delle quali differisce per l'ampiezza di visione con
cui viene considerata questa materia.
Secondo la definizione data dall'Associazione Italiana di Logistica (AILOG), essa è "l'insieme delle
attività organizzative, gestionali e strategiche che governano nell'azienda i flussi di materiali e delle
relative informazioni dalle origini presso i fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti e al
servizio post-vendita".
Il termine "logistica" deriva dal greco "lógos" (λόγος) che significa "parola" o "ordine" , per i greci
infatti i due concetti erano strettamente collegati ed espressi con la stessa parola. Dalógos deriva
anche "logica" cioè lo studio delle argomentazioni ed il modo in cui risultano corrette, tale termine
come si vede, si rifà allo stesso concetto di "ordine".
Negli anni cinquanta e sessanta l'accezione di logistica era limitata alla distribuzione del prodotto
finito (la cosiddetta logistica di distribuzione). In questi anni il ruolo della logistica è rimasto
confinato al presidio di specifiche attività di supporto, generalmente legate all'organizzazione dei
magazzini e dei trasporti.
Le prime timide forme di evoluzione verso la gestione di un insieme strutturato di attività si
registrano nel corso degli anni settanta, allorché le aziende incominciano a ricercare miglioramenti
nell'ambito della distribuzione fisica, dal magazzino di stabilimento al Cliente, attraverso opportuni
interventi di razionalizzazione volti all'ottimizzazione dei diversi segmenti del ciclo distributivo.
A partire dagli anni ottanta, in seguito all'introduzione nelle aziende in modo sufficientemente
pervasivo di nuove logiche gestionali, quali il Materials Requirements Planning (MRP), o ilJust in
time (JIT), l'attenzione si sposta repentinamente sulla gestione dei materiali: viene infatti coniata
l'espressione "logistica dei materiali", o altri sinonimi come "gestione dei materiali" o "material
management", per indicare il governo di tutte le attività volte ad assicurare la corretta acquisizione,
42
movimentazione e gestione dei materiali al fine di garantire il costante e tempestivo rifornimento
alla produzione ed agli altri enti utilizzatori.
La fase successiva del percorso evolutivo segna in realtà un radicale cambiamento perché
comporta la trasformazione della logistica da insieme di attività operative a sistema interfunzionale
che si pone come mezzo per il raggiungimento di più elevati livelli prestazionali. Emerge quindi il
concetto di logistica integrata, sintetizzato in modo preciso nella definizione proposta dal Council
of Logistics Management nel 1986, secondo cui essa rappresenta il processo per mezzo del quale
pianificare, attuare e controllare il flusso delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti, e
dei relativi flussi d informazioni, dal luogo di origine al luogo di consumo, in modo da renderlo il più
possibile efficiente e conforme alle esigenze dei clienti.
Le scorte: definizione
Si definisce scorta il quantitativo di materiali presente all’interno del sistema produttivo in attesa di
essere sottoposto ad un processo di trasformazione o di distribuzione.
In particolare, le materie prime in giacenza aspettano di essere immesse per la prima volta nel
43
ciclo produttivo, a differenza di semilavorati e prodotti finiti che hanno già subito lavorazioni,
parziali o complete, all’interno dell’impresa.
La sintesi del problema nella gestione della scorta
Gestire ottimamente le scorte di magazzino significa essere in grado di rispondere
adeguatamente a due problematiche: quanta scorta ordinare e conservare in magazzino,
considerando gli obiettivi di costo e livello di servizio, e quando emettere un ordine di
approvvigionamento, per assicurare la puntuale alimentazione dei processi produttivi e
distributivi ed eludere ogni rischio di insoddisfazione delle domanda interna o esterna.
La scelta del “quanto ordinare” ha implicazioni strategiche e manageriali allo stesso tempo, e deve
essere presa considerando anche le scelte e gli obiettivi delle funzioni aziendali.
Trovare un’adeguata soluzione significa cercare di tenere sotto controllo e di minimizzare i costi
relativi alla gestione delle scorte, in particolare:
- i costi di approvvigionamento (o di emissione dell’ordine),
- i costi di mantenimento, in cui rientrano i costi connessi al trattamento e al
trasporto dei materiali, costi correlati all’esercizio del magazzino (affitti,
manutenzioni, assicurazione, illuminazione, ecc…), costi legatiall’obsolescenza, al deterioramento,
nonché sprechi, furti, incendi e, infine, i costi dei mezzi finanziari immobilizzati nelle scorte,
costituiti da interessi figurativi sui mezzi propri o da quelli effettivi sui mezzi attinti dal credito
bancario o di fornitura;
- i costi di stock-out (sotto scorta), sono i costi legati alla mancanza di scorta in
magazzino e la correlata impossibilità di fornire quanto richiesto dalla rete
distributiva o produttiva, e quindi è da considerare non solo il danno economico. Una situazione di
stock-out è in assoluto la più pericolosa da dover affrontare, non solo per gli effetti diretti generati
(il mancato guadagno), ma anche per gli effetti indotti che ne derivano (perdita di immagine, fiducia
e serietà dell’impresa).
- i costi di over stock (sovra scorta), sono i costi legati all’eccesso di scorta detenuta in magazzino.
Una volta individuati i costi interessati, procediamo al calcolo delle quantità da ordinare in
condizioni di certezza. A tal fine, un utile strumento utilizzabile è il Modello di Wilson o del Lotto
Economico di Acquisto (cosiddetto LEA oppure EOQ dall’inglese Economic Order Quantity).
Secondo tale modello, il problema della gestione delle scorte è connesso alle componenti del
costo di mantenimento e del costo di ordinazione. Più in particolare, il modello del lotto economico
ipotizza i costi mantenimento direttamente proporzionali alla giacenza media di periodo:
acquistando maggiori quantitativi, la
consistenza media delle merci
aumenta proporzionalmente, e
risultano più elevati i costi di
mantenimento. Ponendo sull’asse
delle ascisse le quantità e sull’asse
delle ordinate i costi, la curva del
costo di mantenimento è espressa
da una retta passante per l’origine
con un andamento crescente. Dopo
aver introdotto il problema del
“quanto ordinare”, la problematica
44
sulla gestione delle scorte si complica introducendo la componente del “quando ordinare”, cioè in
quale istante emettere un ordine di approvvigionamento per rendere efficiente sempre e
comunque la gestione delle scorte,
soddisfacendo i bisogni di
alimentazione dei processi
produttivi e distributivi. Bisogna
individuare quella quantità di
magazzino che una volta raggiunta
genera una richiesta di
approvvigionamento. Per le merci a
domanda regolare e per i materiali a
consumo uniforme nel tempo,
l’andamento delle scorte può essere
rappresentato attraverso l’ausilio del
diagramma a denti di sega. In un
certo periodo la scorta scende costantemente per effetto delle vendite o dei consumi sino a
quando l’azienda ha la necessità di emettere un ordine a causa di una giacenza in via di
esaurimento. Questa necessità si manifesta allorquando viene
raggiunto un livello di scorta definito livello di riordino; esso coincide con la giacenza
sufficiente a far fronte al consumo o alla vendita durante il periodo di
approvvigionamento.
45
 Finanza
La finanza è la disciplina che studia processi con cui individui, imprese, enti, organizzazioni,
e stati gestiscono i flussi monetari (raccolta, allocazione e usi) nel tempo. Essendo definita
l'economia come "la scienza che studia le modalità di allocazione di risorse limitate tra usi
alternativi, al fine di massimizzare la propria soddisfazione", la finanza, analogamente, è "quella
scienza che studia le modalità di allocazione del denaro tra usi alternativi, al fine di massimizzare
la propria soddisfazione"".
La Finanza d'impresa o Finanza aziendale, in inglese Corporate Finance, è una specifica area
della finanza che tratta delle specifiche decisioni di natura finanziaria che le società devono
prendere e gli strumenti, le relative analisi e tecniche valutative usate per prendere tali decisioni.
Deve quindi individuare il miglior equilibrio tra le fonti disponibili in azienda e gli impieghi su cui
investire, al fine di raggiungere una perfetta gestione, sia efficiente (analisi costi/benefici) che
efficace (analisi input/output).
La disciplina ha il primario obiettivo di migliorare il valore dell'azienda assicurandosi che
il rendimento del capitale sia superiore al costo del capitale senza esporsi a
eccessivi rischi finanziari.
Tale obiettivo si raggiunge investendo in progetti in cui le condizioni di mercato e la
concorrenzialità dell'azienda portino ad avere un valore attuale netto positivo, il quale, in forza
del principio di additività del VAN viene sommato al precedente valore aziendale.
Dal lato dei finanziamenti l'obiettivo è quello di scegliere il giusto bilanciamento nella struttura
finanziaria, ossia il livello di debito ed il livello di equity tale da massimizzare il valore aziendale
tramite il beneficio fiscale del debito, il quale non è soggetto ad imposizione fiscale in quanto risulta
un costo per l'azienda, ma ponendo allo stesso tempo attenzione all'aumento dell'incidenza
dei costi del dissesto, i quali si presentano con l'aumento della probabilità
di insolvenza o fallimento collegato incapacità dell'azienda di fare fronte alle passività aziendali in
scadenza, aumentando di conseguenza il rischio di credito.
Punto fondamentale è la coerenza tra obiettivi di fondo della gestione e il processo di impiego e di
acquisizione del capitale. Infatti dopo aver chiarito quali sono gli obiettivi si possono definire i criteri
con i quali giudicare la bontà di un investimento.
La disciplina nel suo insieme può essere divisa in decisioni e tecniche di breve termine e lungo
termine.
Le decisioni di Finanza d'impresa di lungo periodo concernono gli investimenti di lungo periodo e le
scelte di quali progetti portare avanti, come finanziare tali progetti (con capitale o debito finanziario:
si tratta delle teorie della struttura del capitale), e come e quando tali progetti porteranno benefici
all'azienda (come flussi di cassa, dividendi, etc.) e i suoi azionisti.
46
Le decisioni a breve termine sono chiamate anche gestione della tesoreria e si riferiscono alla
gestione dell'equilibrio tra le attività correnti e le passività correnti gestendo la cassa, il magazzino,
i termini di pagamento ai clienti e ai fornitori, l'esposizione bancaria a breve e le politiche di
finanziamento a breve.
La Finanza di impresa prende decisioni in merito a tre specifiche attività: Ricorrendo alla Finanza
esterna:

reperimento fonti di capitale azionario mediante l'emissione di azioni (da remunerare al costo
del capitale proprio)

reperimento fonti di finanziamento sotto forma di debito, mediante sia l'assunzione di debiti che
l'emissione di titoli debitori (da remunerare al costo del debito)
Ricorrendo alla Finanza interna:

reinvestimento degli utili all'interno (da remunerare al Costo del capitale proprio)
La finanza aziendale si occupa inoltre della gestione della liquidità, degli strumenti di copertura del
rischio (assicurazioni, derivati ecc..), gestione del credito commerciale, valutazione dei rischi,
prezzaggio di titoli.
 Marketing
l marketing (termine inglese, spesso abbreviato in mkt o mktg) è un ramo dell'economia che si
occupa dello studio descrittivo del mercato e dell'analisi dell'interazione del mercato e degli
utilizzatori con l'impresa. Il termine prende origine dall'inglese market (mercato), cui viene aggiunta
la desinenza del gerundio per indicare la partecipazione attiva, cioè l'azione sul mercato stesso.
Non comune l'uso dei termini in italiano mercatistica o mercatologia[1][2].
Marketing significa letteralmente "piazzare sul mercato" e comprende quindi tutte le azioni
aziendali riferibili al mercato destinate al piazzamento di prodotti, considerando come finalità il
maggiore profitto e come causalità la possibilità di avere prodotti capaci di realizzare tale
operazione. Ci sono due tipi di marketing: - marketing strategico : è un'attiità di pianificazione ,
tradotte in pratica da un'impresa, per ottenere, pur privilegiando il cliente, la fedeltà e la
collaborazione da parte di tutti gli attori del mercato... - marketing operativo: attiene invece a tutte
quelle scelte, che l'azienda pone in essere per raggiungere i suoi obiettivi strategici.
Diverse sono le definizioni possibili del marketing, a seconda del ruolo che nell’impresa viene
chiamato a ricoprire in rapporto al ruolo strategico, al posizionamento dell'impresa nel suo ambito
competitivo. La definizione principale viene da Philip Kotler, riconosciuto all'unanimità quale padre
dei più recenti sviluppi della materia per i lavori apparsi dal 1967 al 2009, con l'ultimo lavoro nato
dall'ultima crisi: Chaotics. Ma le origini del concetto di marketing hanno radici ben lontane. Con
l'economista italiano Giancarlo Pallavicini, già nel 1959, queste radici si accompagnano agli iniziali
47
approfondimenti delle ricerche di mercato, costituenti, di fatto, i primi strumenti di quello che
divenne poi il marketing moderno, ripresi e sviluppati in un secondo tempo da Philip
Kotler [3]. Giancarlo Pallavicini introduce infatti le seguenti definizioni:

Il marketing viene definito come quel processo sociale e manageriale diretto a soddisfare
bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotto e valori. È l' arte e
la scienza di individuare, creare e fornire valore per soddisfare le esigenze di un mercato di
riferimento, realizzando un profitto: delivery of satisfaction at a price.

Il marketing management consiste invece nell'analizzare, programmare, realizzare e
controllare progetti volti all'attuazione di scambi con mercati-obiettivo per realizzare obiettivi
aziendali. Esso mira soprattutto ad adeguare l'offerta di prodotti o servizi ai bisogni e alle
esigenze dei mercati obiettivo ed all'uso efficace delle tecniche di determinazione del prezzo,
della comunicazione e della distribuzione per informare, motivare e servire il mercato.
Sviluppi del marketing
Philip Kotler distingue, nella storia economica recente, quattro strategie di approccio al mercato da
parte dell'impresa:
Orientamento alla produzione: in questo periodo, dalla Rivoluzione industriale fino alla metà del
Novecento, il mercato è caratterizzato da un eccesso di offerta rispetto alla domanda. Unica
preoccupazione dell'imprenditore è ridurre i costi di produzione, azione giustificata soprattutto nei
mercati dove prevalgono
beni commodity, e dove
quindi si può vincere con la
concorrenza di prodotto.
Orientamento al prodotto:
intorno agli anni '30 del
Novecento l'impresa si
concentra sulla tecnologia
del prodotto, piuttosto che
sul consumatore. Il rischio
di questa strategia è la
cosiddetta miopia di
marketing (en:Marketing
myopia), cioè non
accorgersi che il fattore
chiave di successo per
un'azienda non è dal lato
dell'offerta ma della domanda, cioè del bisogno o funzione che il cliente deve soddisfare (rendendo
quindi vani gli sforzi per sostenere un prodotto se esistono tecnologie alternative più
comode/economiche/efficaci). (MARKETING PASSIVO)
Orientamento alle vendite: a partire dagli anni '50 e '60 del Novecento si cerca di vendere ciò che
si produce. È una prospettiva di tipo inside-out, praticata soprattutto nel breve termine, e con
prodotti/servizi a bassa visibilità (unsought goods), oppure in casi di sovrapproduzione, o ancora
48
quando un mercato è saturo (e quindi va conquistato con la forza vendita). Anche in questo caso il
rischio è di capire poco cosa desidera il consumatore finale, insistendi invece sul voler far
diventare il proprio prodottola domanda del cliente. (MARKETING OPERATIVO)
Quando invece la domanda torna a essere stabile o torna a declinare, verso gli anni ’80 e parole
come globalizzazione sono ormai padrone nasce il MARKETING STRATEGICO: consiste nella
comprensione dei bisogni del cliente, per produrre i beni e quindi soddisfarli. È una prospettiva di
tipo outside-in, o anche pull (capire il mercato) anziché push (spingere sul mercato). Nasce a
partire dagli ultimi anni del Novecento ed è sempre in continuo sviluppo fino ai giorni nostri.
Lo sviluppo della funzione del marketing nelle imprese è parte di una strategia di mercato che
viene definita "proattiva", dove l'impresa ha un ruolo propositivo nei confronti dei bisogni del
mercato.
Ruolo del marketing
Il marketing può rivolgersi ai consumatori, e in questo caso si parla di marketing B2C, (business to
consumer, "dall'impresa al consumatore"), spesso definito semplicemente marketing; oppure, può
rivolgersi al mercato delle imprese, e in questo caso prende il nome di marketing industriale o
marketing B2B, (business to business, "da impresa a impresa").
Sono da citare anche il marketing dei servizi (compagnie aeree, catene alberghiere...) e il
marketing istituzionale (fatto cioè da istituzioni). Di significato meno economico è il marketing
politico, così come quello che le aziende riservano ai propri dipendenti e che viene comunemente
definito, sebbene impropriamente, marketing B2E (business to employee, "da impresa a
dipendente").
Questa attività pertanto può fungere da "interfaccia" tra l'impresa e il contesto esterno (insieme al
settore vendite, import/export, pubbliche relazioni e altri), osservandone il comportamento e
presidiando, almeno in parte, i flussi informativi uscenti dall'impresa (voluti o non voluti), e
incamerando le conoscenze provenienti dall'esterno; tra queste sono compresi i deboli segnali che
consentono di comprendere, possibilmente in tempo utile, le modifiche al mercato che si
realizzeranno in un prossimo futuro.
L'analisi della posizione competitiva dovrebbe essere diffusa nella direzione delle varie funzioni,
ma spesso è lasciata al marketing, che utilizza modelli come le "5 forze di Porter" (teorizzate dal
docente universitario statunitense Michael Porter), modelli analitici come la matrice del Boston
Consulting Group o le 7S della McKinsey, le ricerche ed indagini di mercato e le segmentazioni del
mercato.
Il marketing è inoltre volto alla creazione del valore per il cliente, e uno dei suoi scopi è creare un
posizionamento della marca (brand) nella mente del consumatore attraverso tecniche di brand
management. Le ultime tendenze sono volte allo studio del marketing esperienziale, che abbraccia
la visione del consumo come esperienza, in cui il processo di acquisto si fonde con gli stimoli
percettivi, sensoriali ed emozionali.
Piano di marketing
Il piano di marketing è la pianificazione della strategia a livello corporate/aziendale, ed è
caratterizzato dalla definizione della missione, che è formata da:
 i bisogni di mercato che devono essere serviti.
 gli elementi di distintività dell'impresa
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

identificazione dell' Area Strategica di Affari (dall'inglese Business Strategic Unit) nella
quale si andrà a operare, cioè le varie attività dell'azienda vanno classificate nelle apposite
matrici di analisi del portafoglio:la matrice Boston Consulting Group e la matrice General
Electric.
identificazione delle strategie di sviluppo per ciascuna attività, attraverso la matrice di
Ansoff.
Il piano di marketing è un documento scritto formato dai seguenti contenuti:
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Sommario: è il sommario dell'intero piano di marketing;
Obiettivi: sono i risultati desiderati che portano alle vendite e ai profitti. Devono essere
dettagliati, realistici, quantificabili (definiti in termini economici di utile netto o fatturato) e
posti in ordine gerarchico;
Analisi dello scenario competitivo: analisi del mercato, della concorrenza, dei consumatori:
marketing audit;
Analisi SWOT: identificazione dei punti di forza e di debolezza dell'azienda (Strengths and
Weaknesses), valutazione delle opportunità e dei rischi del mercato (Opportunities and
Threats);
Strategie: complesso di azioni per raggiungere gli obiettivi;
Piano di azione: specifica cosa sarà fatto, chi lo farà, quando sarà fatto, e quanto costerà.
È l'elaborazione delle strategie;
Budget: documenti finanziari preventivi, tra cui le proiezioni dei costi/ricavi previsti;
Controllo: indica le modalità di monitoraggio dell'attività;
Piani di emergenza (contingency plans): alternative da attuare in caso di problemi; non
sempre sono presenti nel piano.
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