Autrice: Nicoletta Ratto. E.G.I. Si ringrazia Davide Benza per la possibilità di inserire il materiale da lui raccolto in questi anni su sharenotes. ECONOMIA e GESTIONE delle IMPRESE Prof.ssa Lara Penco Indice Definizione di Impresa Beni e servizi Dimensioni d’impresa l’Impresa come sistema Cosa vuol dire governare il sistema impresa? Vantaggio Competitivo Strategie corporate e Strategie business Management strategico Analisi ambiente esterno (macro e micro) Schema di Porter Raggruppamenti strategici Ambiente interno Catena del Valore Produzione Capacità produttiva Fattori di competitività della funzione di produzione Matrice WOODWARDS Livelli di maturità del business Matrice mercato prodotto processo Strategie di Business Matrice di Ansoff Layout di produzione Logistica Finanza Marketing Pagina 2 3 3 4 5 7 8 9 10 12 16 19 22 27 30 31 32 35 35 36 38 39 42 46 47 1 Definizione di Impresa Impresa (da imprendere), sotto il profilo giuridico, è un'attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Ciò è quanto si desume dalla definizione di "imprenditore" di cui agli articoli 2082 e 2083 del Codice civile. Art. 2082 - E' im prenditore chi es ercita profes sionalm ente un'attività econom ica organizzata (articoli 2555, 2565) al fine della produzione o dello scam bio di beni o di servizi (articoli 2135, 2195). Art. 2083 - Sono piccoli im prenditori i c oltivatori diretti del fondo (articoli 1647, 2139), gli artigiani, i piccoli c omm ercianti e coloro c he esercitano un'attività professionale organizzata pr evalentem ente con il lavoro proprio e dei com ponenti della fa m iglia (articoli 2202, 2214, 2221). L'im presa è perciò car atter izzata da un determ inato oggetto (produzione o scam bio di beni o servizi) e da specific he m odalità di s volgimento (organizzazione, econom icità e professionalità). Sotto il profilo econom ico, va aggiunto che deve essere c ondotta con criteri che prevedano un’adeguata copertura dei costi con i ricavi, altrim enti si ha cons um o e non produzione di ricchezza (economic ità ). Nel m om ento in cui l’im presa produce beni e servizi essa produc e ricchezza, red dito per questo noi cons ideriam o l’im presa un istituto “sociale”. Le im prese si articolano in :Imprese che producono beni materiali Im prese agricole (producono beni sfruttando processi naturali legati alla terra) Im prese industriali (com piono trasform azion i tecnic he dei beni) Impres e che produc ono servizi Im prese Im prese Im prese Im prese Im prese Im prese (op era zi on e c he h a il f in e di t ras fo rmare l o s tat o del so gg ch e l o c on su ma .) di tr asporto e telecom unicazioni che distribuiscono energia elettrica, gas, acqua. di comm ercio di credito di assicurazione che forniscono servizi inform atici 2 Beni e servizi I beni e i servizi rappresentano entrambi il risultato di un'attività di produzione. I concetti di bene e servizio si differenziano tra loro in quanto: i beni possono essere conservati; i servizi sono inimagazzinabili; i servizi sono consumati nel corso dell'attività di produzione e terminano con essa; i beni possono essere trasformati in altri beni; nei servizi può essere il cliente ad essere trasformato/partecipare (basti pensare a servizi di formazione). Nonostante le differenze, i beni e i servizi richiedono per la loro produzione una gestione con molti punti in comune: possono essere prodotti in piccoli o grandi volumi, in serie o personalizzati; implicano l'acquisto di materiali, strumenti, servizi; possono essere forniti su richiesta o previsti in anticipo; richiedono una progettazione, sia del prodotto/servizio, che del processo per creare il prodotto o erogare il servizio; possono essere venduti per ricavare un profitto o elargiti in nome di una qualsiasi missione sociale; sono creati seguendo una strategia di produzione combinata con una strategia commerciale. Tipologie di beni o servizi I beni e i servizi posso essere classificati in: tangibile o intangibile (conoscenze o idee) o una combinazione di entrambi; intenzionale (fatto per essere offerto ai clienti) o non intenzionale (con effetti non voluti, come ad esempio gas o liquidi inquinanti). Dimensioni d’impresa Ai fini della concessione di aiuti alle IMPRESE PRODUTTRICI DI BENI è definita piccola e media l'impresa che soddisfa i tre requisiti seguenti: a. ha meno di 250 dipendenti; b. ha un fatturato annuo non superiore a 40 milioni di EURO oppure, in alternativa, un totale di bilancio annuo non superiore a 27 milioni di EURO; c. è in possesso del requisito d’indipendenza (come sotto definito). 3 Ove sia necessario distinguere, è definita piccola l'impresa che soddisfa i tre requisiti seguenti: a. ha meno di 50 dipendenti; b. ha un fatturato annuo non superiore a 7 milioni di EURO oppure, in alternativa, un totale di bilancio annuo non superiore a 5 milioni di EURO; c. è in possesso del requisito d’indipendenza. Ai fini della concessione di aiuti alle IMPRESE FORNITRICI DI SERVIZI è definita piccola e media l'impresa che soddisfa i tre requisiti seguenti: a. ha meno di 95 dipendenti; b. ha un fatturato annuo non superiore a 15 milioni di EURO oppure, in alternativa, un totale di bilancio annuo non superiore a 10,1 milioni di EURO; c. è in possesso del requisito di indipendenza. Ove sia necessario distinguere, è definita piccola l'impresa che soddisfa i tre requisiti seguenti: a. ha meno di 20 dipendenti; b. ha un fatturato annuo non superiore a 2,7 milioni di EURO oppure, in alternativa, un totale di bilancio annuo non superiore a 1,9 milioni di EURO; c. ed è in possesso del requisito di indipendenza. Requisito di indipendenza E’ considerata indipendente l'impresa il cui capitale o i diritti di voto non siano detenuti per il 25% o più da una sola impresa, oppure congiuntamente da più imprese, non conformi alle definizioni di piccola e media impresa o, secondo il caso, di piccola impresa; pertanto, al fine di effettuare la verifica del requisito di indipendenza, debbono essere sommate tutte le partecipazioni al capitale sociale o i diritti di voto detenuti da imprese di dimensioni superiori. l’Impresa come sistema l’impresa è un sistema, un sistema è un insieme di parti che sono tese verso un unico fine e che risultano tra loro programmate. L’impresa è una realtà complessa comprendente numerosi soggetti perciò va concepita come sistema: gli elementi sia materiali sia immateriali sono innumerevoli; esistono interrelazioni d diversa natura tra i vari elementi. Il valore dell’impresa come sistema è fra l’altro maggiore ala somma del valore delle sue singole parti, la differenza è detta “sinergia impresistica”. 1. sistema Complesso di elementi che svolgono funzioni diverse; 2. sistema Relazionale ed Aperto, intrattiene infatti relazioni con altri soggetti (vd. Fornitori, consumatori ecc..) e non solo al suo interno; 3. sistema di Trasformazione in quanto acquisisce input e li trasforma in differenti output rispettando i criteri di economicità, la sua efficienza operativa è misurata come “produttività”; 4. sistema dotato di Meccanismo di Retroazione (o di feedback) 5. sistema Cognitivo,ossia un processo il cui sistema si basa su un flusso di dati, di informazioni, di conoscenze e che è in grado poi di elaborarle e produrre nuove conoscenze, in genere la onte delle conoscenze è il capitale umano che le mette a disposizione o come “conoscenza tacita” oppure come “conoscenze codificate” come il frutto della ricerca e sviluppo; 6. sistema Teleologico, ossia un sistema che persegue un fine; 4 7. sistema Vitale in grado di sopravvivere in un determinato contesto. Cosa vuol dire governare il sistema impresa? Governare l’impresa vuol dire assumere delle decisioni, le decisioni aziendali possono assumere particolarità e caratteri diversi; si distingue infatti tra: Decisioni che devono essere prese immediatamente, quando si manifesta il problema; Decisioni abituali (si ripetono con frequenza e sempre con le stesse modalità); Decisioni che possono essere prese solo dopo lo svolgimento di indagini specifiche e approfondite Ogni volta che l’imprenditore è chiamato a prendere una determinata decisione è importante analizzare con cura gli effetti e le reazioni più probabili che dovrebbero manifestarsi con l’avvio delle azioni connesse alla decisione presa. A questo riguardo è cruciale seguire un metodo decisionale definito, in grado di supportare il processo decisionale. A questo riguardo, si individuano 3 fasi fondamentali: elencazione delle alternative, valutazione delle alternative effettivamente percorribili dall’impresa, scelta della migliore alternativa. SISTEMA DELLE DECISIONI (1) 1. Decisioni strategiche riguardano le scelte di dimensionamento delle strutture e comportano processi di cambiamento aziendale; 2. Decisioni organizzativo amministrative riguardano le scelte di dimensionamento delle strutture e comportano processi di cambiamento aziendale; 3. Decisioni operative riguardano le modalità di svolgimento di singole operazioni o compiti; esse concernono quindi la gestione di processi esecutivi. Nelle grandi imprese queste differenti tipologie di decisione sono di pertinenza di differenti organi decisionali e prendono in esame differenti orizzonti temporali Il processo decisionale si muove dall’alto verso il basso (gerarchia) e quelle successive devono essere coerenti con quelle di livello superiore e non in contraddizione. SISTEMA DELLE DECISIONI (2) • Nelle realtà minori, invece, spesso questa distinzione non si presenta. Tra l’altro, spesso le decisioni direzionali (es. acquisizione di una nuova commessa, introduzione di un nuovo prodotto nella gamma produttiva) comportano mutamenti nella struttura. • Le decisioni direzionali, nelle pmi, sembrano dunque riconducibili all’interno di due classi: decisioni amministrative eccezionali e decisioni amministrative coordinative (Mintzberg). • Le decisioni amministrative eccezionali riguardano le soluzioni da prendere per risolvere problemi non di routine; esse devono essere pertanto prese seguendo processi decisionali non strutturati. Tali decisioni hanno effetti sulla struttura economica dell’impresa, sia pure non comportino ri-orientamenti strategici ossia processi di cambiamento. Valutazione delle decisioni • • • • Le decisioni devono essere apprezzate, come minimo, sotto i seguenti profili: Profilo reddituale (occorre apprezzare le reali capacità della decisione di generare profitto nel medio periodo); Profilo finanziario; Profilo competitivo. 5 Esempio: CASO AZIENDA DI ZINCATURA • ATTIVITA’: zincatura a caldo di materiali ferrosi per conto terzi. • CLIENTI: aziende di piccole/medie dimensioni • PUNTO DI FORZA: continuità e tempestività delle lavorazioni. Le altre aziende in zona che possono offrire lo stesso servizio lo fanno saltuariamente per saturare la propria capacità produttiva. Decisione iniziale: acquisto vasca di zincatura più grande • Questo investimento avrebbe permesso un raddoppio della capacità produttiva e la possibilità di soddisfare una domanda in continua crescita. Da un punto di vista finanziario non c’erano problemi: l’azienda poteva in effetti finanziare completamente con mezzi propri l’investimento. • L’investimento partì. Sorsero dopo poco una serie di problemi di gestione in quanto non erano stati considerati una serie di aspetti di rilievo: Problemi sorti fu necessario aumentare l’organico; Si dovette procedere all’acquisto di un nuovo macchinario per poter spostare articoli di grandi dimensioni che adesso potevano essere zincati con la nuova vasca; Sorsero problemi di immagazzinamento; Aumentò il costo medio orario di zincatura: la nuova capacità produttiva non risultava in effetti sfruttata al massimo. DI CONSEGUENZA, DA UN PUNTO DI VISTA ECONOMICO LA SITUAZIONE PEGGIORO’ IN MISURA SIGNIFICATIVA. COSA FARE? • Per cercare di aumentare il grado di sfruttamento delle capacità produttiva l’azienda decise di iniziare a zincare anche prodotti casalinghi (politica di diversificazione produttiva). In questo modo l’azienda pensava di ritornare verso situazioni di economicità soddisfacente, sfruttando meglio i costi fissi (che erano aumentati in misura significativa, irrigidendo la propria struttura dei costi). Problemi sorti Aumentarono i problemi di spazio (tanti prodotti da movimentare in uno spazio limitato); Aumentarono i tempi medi di lavorazione (attrezzaggio macchinari); Ulteriore incremento dell’organico; Sorsero problemi nel rispetto dei piani di consegna e degli standard qualitativi concordati. COME INTERVENIRE PER RECUPERARE LA SITUAZIONE • Una possibile soluzione poteva essere quella di accettare la commessa di una grande impresa metal meccanica, che da sola poteva generare un volume di attività pari al 50% del totale. In caso di accettazione, con la struttura operativa attuale, l’azienda doveva rinunciare ad una parte consistente dei piccoli clienti attualmente serviti. • In azienda, tra i soci c’erano pareri discordanti. • Alla fine si scelse di accettare la commessa, non effettuando ulteriori investimenti nella struttura; pertanto, si persero parte dei piccoli clienti suddetti. THE END • L’azienda aveva accettato la commessa senza prima rimuovere i problemi organizzativi e di efficienza interna. • Ciò portò al non rispetto della clausole contrattuali definite con il nuovo importante cliente, con la conseguenza di mettere in serio pericolo la sopravvivenza dell’azienda. 6 • Allo stato attuale l’impresa committente è in trattativa per rilevare l’azienda. “La Strategia rappresenta lo schema o il modello decisionale atto a coordinare gli obiettivi, le linee comportamentali e la locazione delle risorse dell’impresa in una visione unitaria e coerente” Tutto ciò deve avvenire con coerenza nei confronti dell’ambiente sterno in cui l’impresa si muove ed è volto ad aumentare il vantaggio competitivo dell’impresa nei confronti del mercato di appartenenza. Vantaggio competitivo In via di prima approssimazione, il vantaggio competitivo di un'impresa può definirsi come ciò che costituisce la base delle performance superiori registrate dall'impresa, solitamente in termini di profittabilità, rispetto alla media dei suoi concorrenti diretti nel settore di riferimento, in un arco temporale di medio - lungo termine. Nel corso degli anni sono state tuttavia proposte diverse definizioni di vantaggio competitivo. Così, ad esempio, Robert Grant lo definisce come la "capacità dell’impresa di superare gli avversari nel raggiungimento del suo obiettivo primario: la redditività" (Grant, 1999, p.218); mentre, per Enrico Valdani, è "la capacità distintiva" (o competenza distintiva) "di un'impresa di presidiare, sviluppare e difendere nel tempo, con maggiore intensità dei rivali, una capacità market driving o una risorsa critica che possono divenire fattori critici di successo" (Valdani,2003). La creazione del vantaggio competitivo Rispetto al vantaggio competitivo la strategia deve identificare e risolvere le questioni connesse alla sua creazione ed al suo mantenimento. Il vantaggio competitivo è influenzato da cambiamenti endogeni, ovvero interni all'azienda, e dalla capacità dell'azienda di reagire e anticipare i cambiamenti esogeni, esterni alla stessa. Il vantaggio competitivo di Porter Porter identifica tre possibili strategie alternative e due diverse tipologie di vantaggio competitivo connesse ad esse. La strategia di leadership di costo (Impresa "product-driven") La strategia di leadership di costo, con il relativo vantaggio di costo, è la capacità dell'impresa di produrre prodotti simili o equivalenti a quelli offerti dai concorrenti ad un costo minore. Tale strategia è tipica di settori in cui i prodotti sono fortemente standardizzati e la concorrenza è soprattutto concorrenza sul prezzo. I rischi connessi a tale strategia derivano dai mutamenti tecnologici che possono annullare i vantaggi precedenti; i bassi costi di apprendimento per le 7 imprese esterne al settore; l'incapacità di innovare poiché ci si concentra solo sul contenimento dei costi; l'aumento generale dei costi. La strategia di differenziazione (Impresa "market-driven") La strategia di differenziazione, con il connesso vantaggio di differenziazione, è la capacità dell'impresa di imporre un price premium per i propri prodotti superiore ai costi sostenuti per differenziarli, cioè dotarli di caratteristiche uniche che abbiano un qualche valore per i propri clienti al di là della semplice offerta di un prezzo basso. I rischi connessi a tale strategia possono derivare dal fatto che il consumatore non riconosca il fattore differenziale o non sia disposto a pagarlo, la contraffazione o l'imitazione. • Strategie corporate e Strategie business La strategia corporate La strategia corporate quella elaborata dal top management e risponde alle seguenti domande: In quali business vogliamo competere? Quale orientamento dobbiamo dare alle strategie? Quali risorse è necessario allocare? Quale struttura organizzativa dare all’attività dell’impresa? La strategia business La SBU, o unità strategica d’affari, é la parte dell’organizzazione che ha una propria strategia, un proprio mercato, propri concorrenti e una mission distinta da quella delle altre parti dell’impresa. Problemi che si incontrano a questo livello: Come affermarsi in un particolare ambiente competitivo; Quali vantaggi costruire rispetto ai concorrenti; Come cogliere le opportunità individuate o create nei mercati; Quali prodotti o servizi sviluppare ed in quali mercati. 8 • …dall’intenzione strategica ….alla strategia realizzata Management strategico Il Marketing è una filosofia di gestione che si basa sul seguente assunto: Il conseguimento degli obiettivi di sviluppo e redditività dell’impresa dipende dalla capacità di creare Valore per il cliente sviluppando vantaggi sostenibili e duraturi nei confronti dei concorrenti. I cardini del market driven management sono un coordinamento interfunzionale fra Orientamento alla concorrenza e Orientamento al cliente. Il market driven management si realizza attraverso il marketing strategico ed operativo Due approcci di marketing strategico MARKETING STRATEGICO DI RISPOSTA • - Trovare e soddisfare bisogni non soddisfatti. • - Creare o sviluppare una domanda latente o esistente. • - Le innovazioni sono « tirate dal mercato ». MARKETING STRATEGICO DI CREAZIONE DELL’OFFERTA • - Trovare nuovi metodi per soddisfare bisogni esistenti. • - Creare nuovi mercati grazie alla potenza della tecnologia o della creatività. • - Le innovazioni sono « spinte dall’impresa ». Il ruolo del management strategico nell’economia è di organizzazione dello scambio come organizzazione materiale dello scambio, cioè dei flussi fisici di beni dal luogo di produzione a quello di consumo. e organizzazione della comunicazione, cioè di quei flussi di informazioni che devono precedere, accompagnare e seguire lo scambio, al fine di assicurare un incontro efficiente fra domanda ed offerta di beni e servizi. 9 Analisi ambiente esterno Nell’analisi strategica l’ambiente generale consiste di variabili di medio-lungo periodo che sfuggono al controllo del management, ma che possono incidere sulle decisioni e sul successo delle strategie. Perché un’impresa abbia successo, il management deve capire quali variabili dell’ambiente possono agire sul futuro dell’impresa; il cammino di tali variabili al fine di prevedere cercare di individuare minacce ed opportunità e adattare la strategia dell’impresa secondo le previsioni sul futuro delle variabili. Innanzitutto è necessario distinguere l’ambiente esterno in macroambiente e microambiente. Macroambiente costituito da variabili sulle quali il management non può agire. Sono variabili che non sempre influenzano l’attività dell’impresa, ma scolpiscono il quadro di lungo periodo in cui essa opera. Possiamo individuare differenti categorie: 1. Ambiente economico: insieme delle variabili che influenzano il sistema economico nazionale e internazionale 2. Ambiente demografico: le tendenze “strutturali” della popolazione, la composizione. 3. Ambiente politico-istituzionale:quadro normativo e iniziative politiche che influenzano i business (es. privatizzazioni) 4. Ambiente socio-culturale: tendenze e nuove abitudini della popolazioni (es.ecologismo) 5. Ambiente tecnologico di base: innovazioni tecnologiche utili a quasi tutte le imprese (es. biotecnologie) 6. Risorse dell’ ambiente naturale: possibilità e facilità di raggiungimento delle MP 7. Ambiente strutturale nazionale(sistema paese): tutte le variabili economiche, demografiche, naturali ecc.. e sono asseribili ad ogni paese. Microambiente (o ambiente competitivo) le variabili sono specifiche e riguardano l’attività che viene svolta in modo più diretto e più immediato; incidono infatti sul livello e l’intensità della concorrenza in ciascun ambito. Al fine di analizzare il microambiente introduciamo il concetto di “Area Strategica d’Affari” (ASA). L’ASA comprende le imprese che producono il mio stesso prodotto e possono essere ricondotte al mio medesimo raggruppamento strategico, 10 tenendo conto di tre elementi: la tecnologia, i bisogni e i clienti; questi ultimi due sono peraltro strettamente connessi. ( NB Bisogna altresì ricordare che il concetto di ASA non corrisponde perfettamente a quello di settore si tratta infatti di due diversi modi di vedere la realtà.) Esempio di ASA Pensiamo al caso della produzione di cappotti, se pensassimo utilizzando solo la nozione di settore, dovremmo considerare quanto accade nel settore produttivo dell’abbigliamento; se invece facciamo riferimento all’ASA, abbiamola possibilità d operare ulteriori distinzioni. Facciamo ora l’esempio della biancheria per la casa: esistendo all’interno di questo settore due tipi almeno di clienti (famiglie e comunità) e diversi tipi di bisogni (bagno, cucina, sonno, tessile) risulta evidente che il produttore di asciugamani non sarà concorrente del produttore di lenzuola. 11 B Potere dei fornitori: Schema di Porter i fattori che determinano il potere dei fornitori rispetto ai produttori sono analoghi a quelli che determinano il potere dei produttori rispetto agli acquirenti E Minaccia dei prodotti D Minaccia di nuove imprese nel settore: sostitutivi: A Rivalità tra i concorrenti esistenti: Economie di scala Vantaggi assoluti di costo Fabbisogno capitale Differenziazione prodotto Accesso ai canali di distribuzione Barriere istituzionali e legali Reazione da parte delle imprese già esistenti Concentrazione Differenziazione dei prodotti Capacità in eccesso e barriere all’uscita Condizioni di costo C Potere dei clienti: sensibilità di prezzo: costo del prodotto rispetto al costo totale, concorrenza tra gli acquirenti; potere contrattuale: dimensione e concentrazione acquirenti, costi sostituzione per l’acquirente,informazione degli acquirenti, capacità di integrazione a monte degli acquirenti. 12 Propensione degli acquirenti alla sostituzione Prezzi dei prodotti sostitutivi A Rivalità tra i concorrenti esistenti Concentrazione: numero e distribuzione delle imprese presenti nell’ASA. Maggiore è il livello della concentrazione, minore è la tendenza a ricorrere a strategie di prezzo,. Inoltre se la concentrazione è alta il settore è caratterizzato da un’elevata redditività delle imprese presenti, ma per le aziende esterne è poco attrattivo. FORME di MERCATO CONCENTRAZIONE CONCORRENZA e SCELTE di PREZZO Monopolio Massima Ampia discrezionalità nei prezzi Dipolio Alta *Pubblicità, promo del prodotto Oligopolio Alta Concorrenza perfetta Bassa * Rischio aperta collisione e parallelismi Difficoltà nel ordinamento dei prezzi (possibile avvio procedimento di riduzione) * rischio di trust e cartelli Per misurare la concentrazione si usano: quote di mercato; rapporto di concentrazione ecc.. Grado di differenziazione del prodotto: Per effetto delle strategie d’impresa, il prodotto di ciascun impresa può presentare delle caratteristiche esclusive nella percezione dei clienti (es. vedi il “Marchio” ) Eccesso di capacità produttiva: non si tratta di una condizione trascurabile, se per esempio ci trovassimo nella condizione di avere 100 posti disponibili su un aereo, ma la domanda è di soli 50 posti, l’impresa aerea sceglierà di diminuire il prezzo del biglietto al fine di avere nuovi acquirenti, con lo scopo di evitare di perderci troppo dato che i costi fissi sono molto elevati. Normalmente, se la domanda non cresce abbastanza da sostenere la capacità produttiva in eccesso, l’impresa dovrebbe scegliere di uscire dal mercato,sempre però nel caso in cui le barriere in uscita non siano troppo alte, sia a valenza sociale che economica. Barriere all’uscita – impianti specializzati – costi fissi di uscita – interdipendenze strategiche – ostacoli sociali – barriere emotive Condizioni di costo: parametro da considerare in quelle ASA in cui la struttura dei costi non è rigida, ma può essere variata (quindi bassi costi fissi). 13 B Potere dei fornitori: C Potere dei clienti: Punto fondamentale dei due è il potere contrattuale e i fattori che lo determinano. Analisi dei Clienti In questo tipo di analisi si fa riferimento ai principali clienti dell’azienda, quelli il cui peso contrattuale è in grado di indurre comportamenti tali da ridurre i margini di profitto (riduzione dei prezzi, miglioramenti della qualità o del servizio). Il potere contrattuale dei clienti è influenzato dai seguenti fattori: - Dimensioni degli acquisti: ovviamente se il volume di acquisti generato dallo stesso cliente è una parte notevole del fatturato totale, tanto maggiore è il potere contrattuale del cliente, specialmente quando può avere lo stesso prodotto da altri abbastanza facilmente. - Concentrazione della clientela: quanto più basso è il numero di clienti che l’azienda ha nel proprio portafoglio, tanto maggiore sarà il loro potere contrattuale. - Possibilità di integrazione verticale: questo punto fa riferimento alla possibilità che ha un cliente di scegliere se comprare un dato prodotto oppure se produrlo da se. Per esempio si pensi ad un commerciante di abbigliamento all’ingrosso che, invece di continuare a comprare i capi da altre imprese manifatturiere, decida di produrre con un proprio marchio attraverso propri stabilimenti oppure attraverso laboratori a facon (contoterzisti). Nel caso questo accada l’azienda avrebbe perso un cliente e guadagnato un concorrente. Questo è un caso di integrazione verticale: un distributore che sceglie di integrarsi a monte con il settore della produzione. Analisi dei fornitori Analogamente ai clienti, l’analisi dei fornitori mira a mettere in evidenza chi sono e come possono influire sulla capacità competitiva dell’azienda i principali fornitori. I fornitori possono influenzare l’intero ciclo di approvvigionamento attraverso il livello dei prezzi di acquisto, le modalità di pagamento (dilazionate o no), la qualità e la continuità delle forniture, il livello dell’assistenza tecnica se necessaria, la puntualità nelle consegne. la forza contrattuale del fornitore dipende dai seguenti elementi: - % di acquisti presso un unico fornitore: se esistesse un unico fornitore probabilmente avrebbe un potere elevatissimo, visto che senza di lui l’azienda chiuderebbe. - Esistenza di prodotti sostitutivi: se il bene che il fornitore procura ha delle caratteristiche esclusive, allora tanto maggiore sarà il potere contrattuale dello stesso. In questo caso l’azienda non può sostituire il fornitore almeno fino a quando non trova un altro che venda un prodotto con le stesse caratteristiche. - Costi di cambiamento del fornitore: quanto maggiori sono le spese (risoluzione di contratti prima del termine, ecc) in caso di interruzione dei rapporti con il fornitore e maggiore sarà il suo potere 14 contrattuale. Anche in assenza di clausole contrattuali onerose, ci possono essere delle consistenti diseconomie legate al fatto che il nuovo fornitore può non accordarci lo stesso sconto, o lo stesso livello di servizio del precedente. - Possibilità di integrazione verticale: come visto in precedenza nell’analisi della clientela, in questo caso un fornitore di filati può decidere di produrre magliette e capi d’abbigliamento, oppure può integrarsi con la distribuzione creando “a valle” un proprio canale distributivo. D Minaccia di nuove imprese nel settore: Potenziali entranti quindi minaccia di nuove entrate, il modo che hanno le imprese già esistenti di difendersi sono le barriere all’entrata, queste sono misurate dalla dimensione del vantaggio delle imprese affermate sulle nuove entranti BARRIERE ALL’ENTRATA Fabbisogni di capitale (fisso/circolante) Economie di scala Vantaggi assoluti di costo (che ano le imprese operanti nel business indipendentemente dalla scala produttiva) Acquisizione di materie prime a differenziazione di prodotto basso costo Marchio e lealtà dei consumatori (può essere così elevato da scoraggiare molte imprese) (fedeltà consumatore), identificazione di marca (es.: nutella…) Accesso ai canali di distribuzione (es.: scaffali supermarket) Barriere istituzionali e legali (autorizzazioni, licenze…) Ritorsione (prezzo di dissuasione…) I nuovi concorrenti sono attratti soprattutto quando i margini di profitto sono elevati e le barriere sono basse E Minaccia dei prodotti sostitutivi: Il prezzo che si è disposti a pagare dipende in parte dalla disponibilità di prodotti sostitutivi – elasticità della domanda del settore – Rapporto prezzo/prestazione (più è favorevole per il prodotto sostitutivo, maggiore è il vincolo di redditività del settore) – Propensione del consumatore a sostituire A+B+C+D+E Quando un business è attrattivo… A. La concorrenza nell’ASA è bassa B. Il potere contrattuale dei fornitori è basso C. Il potere contrattuale dei clienti è basso D. Ci sono elevate barriere all’entrata E. La minaccia dei prodotti sostitutivi è bassa 15 Raggruppamenti strategici Si identificano i concorrenti più diretti e le aree di mobilità, i possibili percorsi strategici e l’interdipendenza tra gruppi e dunque l’intensità della concorrenza Le variabili per effettuare i raggruppamenti sono generalmente quelle che esprimono barriere alla mobilità e richiedono diverse azioni strategiche NOTA: Si definiscono barriere alla mobilità quei vincoli che rendono difficile il passaggio da un raggruppamento strategico ad un altro E’ bene costruire diverse mappe in base a diverse variabili (non legate fra loro) Il Modello di Porter consente di valutare intensità competitiva, livello di redditività e grado di attrattività del settore, il perché alcune imprese hanno profitti più elevati e l’influenza delle strategie competitive. Un altro strumento è però la classificazione delle strategie delle imprese del settore in raggruppamenti strategici: • • Raggruppamento strategico: insieme di imprese che all’interno del settore perseguono strategie simili lungo dimensioni strategiche ben definite e rilevanti per il settore stesso – specializzazione – identificazione della marca – canali distributivi – qualità dei prodotti – ampiezza gamma – estensione geografica del mercato – integrazione verticale Mappe strategiche (diametro = quota di mercato cumulata) Il modello dei raggruppamenti strategici è utile per individuare i fattori critici di successo dal lato dell’offerta, la politica di prezzo, il livello di qualità dei prodotti o servizi, il grado di interazione verticale ecc… 16 MAPPA DEI GRUPPI STRATEGICI - LATTE 2001 I Gruppi strategici del settore Auto. 17 Analisi strategica dei concorrenti Le informazioni sulla concorrenza si trovano tramite l’analisi delle quote di mercato: BUSINESS DIMENSIONI ASA Biscotti 11’000 VAR.MEDIA (quantità domandata) 3,1 ASA Acqua 3’500 4,0 ASA Yogurt 5’500 6,5 QUOTE ASS. q.C/ q.leader q.2°/q.leader A30 B20 C15 D12 E10 R13 A20 B8 C15 D 25 E11 F10 R11 A15 C35 D30 E14 F6 C/A B/A C/D A/D C/D D/C Nel primo e nel secondo business la crescita di C è modesta mentre nel terzo potrà avere un aumento delle vendite importante. Si può vedere che è A leader nel business dei biscotti, però è 18 un business con attrattiva inferiore perché la domanda cresce poco, infatti al fine che la nostra impresa abbia un quadro preciso è necessario analizzare business su business così da capire le posizioni dei concorrenti nei diversi business e i loro punti di forza. (Le quote di mercato si riferiscono all’incidenza delle vendite di un concorrente su un settore/business). ANALISI POSIZIONAMENTO delle MARCHE E = nuovo prodotto C = prodotto di vecchia data, ma noto a tutti In questo caso sto già analizzando dei concorrenti chiave, analizzo infatti il loro posizionarsi rispetto alla domanda. Ambiente Interno La redditività di un’impresa è legata all’attrattività dell’ambiente strategico in cui l’impresa è inserita (vd. ASA), ma dipende anche dalla capacità dell’impresa di crearsi un vantaggio competitivo più o meno solido nei confronti dei suoi concorrenti, sfruttando risorse e competenze. 1. Le competenze distintive sono le caratteristiche intrinseche e salienti di un'impresa (attitudini, abilità, conoscenze commerciali e scientifiche), configurabili come qualità "speciali" che permettono alla stessa di essere più competitiva in un aspetto tecnico o organizzativo, e che di norma sono affidate ad un certo numero manager e specialisti. Esse non sono facilmente imitabili. In genere, le competenze distintive (chiamate anche "core competence") sono trasversali a un'attività o ad un settore, e possono riguardare la particolare attitudine a costruire, progettare, realizzare un prodotto o anche a organizzare, gestire, programmare. Non sono precisamente il Know-How, quanto piuttosto un saper fare trasferito nei prodotti e nei servizi, anche se per certi versi sono assimilabili ad esso. Diciamo che sono un sottoinsieme dell'esperienza dell'azienda, che in maniera orizzontale attraversa le funzioni e pervade l'organizzazione di un valore aggiunto che caratterizza e, appunto, "distingue" l'azienda dalle altre. 19 Le core competence sono considerate un fattore determinante nel sistema competitivo, in particolare nelle economie contemporanee, con lo sviluppo del terziario e la necessità di una qualità come fattore distintivo per tanti bene (economia)beni e servizi fungibili che si basano sulla lotta dei prezzi, causando una curva di domanda estremamente elastica. 2. Le risorse non sono esattamente un fattore produttivo, in quanto sono più disgregatore specifico. Sono risorse per esmpio i brevetti, il capitale finanziario ecc.. e sono risorse tangibili; sono risorse intangibili le conoscenze o Capitale Intellettuale. Il termine Capitale intellettuale indica l'insieme delle risorse a disposizione di una azienda rilevanti per la sua capacità competitiva ed il suo valore. Tale insieme comprende come sottoinsieme gli attributi che tradizionalmente concorrono nella formazione del bilancio d'esercizio e dello stato patrimoniale di un'impresa. Termini collegati e talvolta utilizzati come sinonimi sono intangibili (intangibles) e risorse della conoscenza (knowledge assets). Il valore di un’azienda è costituito da asset fisici, da varie forme di capitale finanziario e, infine, da asset “intangibili", ossia proprio il capitale intellettuale. L’intangibilità non si riferisce all’immaterialità del capitale intellettuale, bensì al fatto che esso non è facilmente traducibile in termini finanziari [1]. Tutti gli altri asset di un’impresa, come un edificio o dei titoli di credito, possono essere monetizzati, nel senso che esistono criteri standard per esprimerne il valore in termini di valuta corrente. Il capitale intellettuale, invece, è principalmente costituito da elementi (come la qualità del personale o la reputazione del marchio presso i consumatori) per i quali non sono dati metodi universalmente riconosciuti per la loro valutazione monetaria. Più precisamente, dunque, converrebbe parlare di asset "non-finanziari". Elementi del capitale intellettuale I modelli di rappresentazione del capitale intellettuale si differenziano talvolta per gli elementi costitutivi riconosciuti. Le impostazioni prevalenti sono comunque riconducibili alla seguente articolazione: Capitale relazionale (riconducibile alle relazioni esistenti con soggetti esterni, quali fornitori, clienti, centri di ricerca, ecc. e alla reputazione); Capitale umano (la parte di capitale intellettuale che dipende dalle conoscenze e dalle abilità possedute dal personale); Capitale organizzativo (il saper fare, eventualmente protetto da brevetti, e il saper fare assieme). Capitale relazionale (o delle relazioni esterne) Fattori primari per il successo di un’azienda sono la qualità del rapporto con i clienti, di quello con i fornitori, con i rivenditori, con i co-produttori e con altri partner d’affari; il valore dei marchi di prodotti o servizi; 20 il valore della reputazione nel mercato e di quella tra gli investitori; il valore delle licenze, degli accordi di franchising, delle joint venture con altre imprese Questo capitale di relazioni "esterne" (per tenerlo distinto dalla relazioni esistenti internamente all'azienda, e che concorrono a formare il capitale organizzativo: vide infra) è, di tutti i beni intangibili, quello più direttamente correlato con i risultati operativi (tangibili, finanziari) dell’impresa. Capitale umano Elementi intangibili sono insiti anche nel capitale umano di un’azienda: il livello di istruzione dei dipendenti, il loro saper fare, le loro qualificazioni professionali, le competenze, sono tutte grandezze che ancora non sappiamo misurare con criteri standard, né tantomeno trattare in termini monetari. Di esse tuttavia sappiamo che certamente influenzano i risultati di un’impresa. Capitale organizzativo Vi sono caratteristiche di un’azienda che, pur essendo intimamente connesse al modo di operare delle persone, trascendono il capitale umano, ed esprimono la qualità dell’organizzazione: è questo il capitale organizzativo. Valori aziendali, filosofia manageriale, cultura aziendale, processi gestionali, policies, modelli organizzativi, sistemi informativi, strategie: sono tutti attributi che esistono al di là e al di sopra del capitale umano e che distinguono un’azienda da un’altra. Per esempio, lo stesso gruppo di calciatori si comporta diversamente e dà luogo a risultati diversi se viene iscritto a due diverse società, con diversi stili, culture, comportamenti, preparatori, allenatore, schemi, e così via. Un altro importante elemento del Capitale organizzativo è la proprietà intellettuale: i brevetti, i diritti di copyright, le formule, gli schemi, i segreti industriali, i marchi registrati che sono possesso dell’azienda. (Sono questi gli asset intangibili ai quali, il più delle volte, ci si riferisce -sommandoli al capitale umano- per definire sommariamente il capitale intellettuale di un'impresa: ma si tratta di un'accezione assai limitativa). 21 La CATENA del VALORE Per catena del valore si intende un modello che permette di descrivere la struttura di una organizzazione come un insieme limitato di processi. Questo modello è stato teorizzato daMichael Porter nel 1985 nel suo best-seller Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance. Secondo questo modello, un'organizzazione è vista come un insieme di 9 processi, di cui 5 primari e 4 di supporto. I processi primari sono quelli che direttamente contribuiscono alla creazione dell'output (prodotti e servizi) di un'organizzazione e sono: Logistica in entrata: attività legate al ricevimento, immagazzinamento e distribuzione dei fattori produttivi. Ne fanno parte la gestione dei materiali, la gestione del magazzino, il controllo delle scorte, la programmazione dei vettori, i resi a fornitori; Attività operative: attività di produzione di beni e/o servizi: è la fase di trasformazione delle materie prime nel prodotto finale, raggruppa attività quali la lavorazione, il montaggio, il confezionamento, la manutenzione dei macchinari, il collaudo e la gestione degli impianti; Logistica in uscita: riguarda la raccolta, lo stoccaggio, il magazzinaggio dei prodotti finiti, la gestione dei vettori di consegna, elaborazione degli ordini e la programmazione delle spedizioni; Marketing e vendite: attività legate allo studio dei comportamenti d’acquisto della clientela, alla determinazione dell’offerta, alla determinazione degli attributi del prodotto (scelta del tipo di prodotto da offrire sul mercato e della sua funzione d’uso), alla determinazione dei prezzi, alla scelta dei canali di vendita (con punti vendita di proprietà dell’azienda, in franchising, servendosi di intermediari, servendosi di grossisti e dettaglianti, della grande distribuzione organizzata, via internet, ecc.), alla gestione dei canali di vendita, alla gestione della relazione con la clientela, alla pubblicità e comunicazione e alla determinazione di offerte promozionali. 22 Assistenza al cliente e servizi: attività legate al durante e post vendita, volte a migliorare la percezione di valore del prodotto acquistato, al customer care, all’installazione, alla fornitura di ricambi, alle riparazioni, al modo di trattare il cliente, ecc. (ad es. l'assistenza tecnica). I processi di supporto sono quelli che non contribuiscono direttamente alla creazione dell'output ma che sono necessari perché quest'ultimo sia prodotto e sono: Approvvigionamenti: è la funzione di acquisto dei fattori produttivi utilizzati nella catena del valore. Che siano materie prime, semilavorati, macchinari, servizi, trasferte, cancelleria, computers, sistemi software gestionali, ogni funzione aziendale, dalla logistica alla produzione al marketing a ciascuna delle attività di supporto stesse, consuma ed acquista input. La visione qui proposta è di tenerne traccia in modo integrato onde evitare sprechi ed inefficienze. Proprio a questo proposito si sottolinea quanto sia importante la scelta di una politica di acquisti chiara (acquisti centralizzati, partecipazione a gruppi d’acquisto, ecc.) dato che pratiche di acquisto migliori possono influenzare il prezzo del prodotto, specie quando il costo della materia prima è determinante nella definizione della posizione di costo. Gestione delle risorse umane: è l’insieme delle attività che hanno a che fare con la ricerca, l’assunzione, lo sviluppo, l’addestramento e la mobilità di tutti i tipi di personale, dall’operaio al quadro ai dirigenti. Il compito principale che questa attività ha è nel determinare la competenza e nel mantenere alta la motivazione dei dipendenti. Competenza e motivazione del personale sono due elementi essenziali per il vantaggio competitivo dell’azienda. Ha anche un grosso impatto sui costi per via dei costi di assunzione ed addestramento. (N.B. i costi del personale non possono essere imputati ad un’attività in particolare, ma ripartiti su tutte le attività). Sviluppo delle tecnologie: si tratta di ogni tipo di tecnologia, di know how, di procedure che forniscono apparecchiature di processo. In ogni azienda le tecnologie impiegate sono di vario tipo: per preparare documenti (sistemi di fatturazione), per trasportare le merci (nastri trasportatori), nel processo produttivo principale (particolare lavorazione della gomma o dell’alluminio grazie a macchinari o procedure innovativi), nel marketing e servizi (studio nuovi design, database dei rapporti con la clientela, sistemi di CRM). È un’attività spesso fondamentale per la competitività di qualsiasi azienda, grande o piccola. Queste attività vengono in genere identificate con il processo R&D (Research and Development). Attività infrastrutturali: l’infrastruttura di un’azienda si compone di attività fra cui la direzione generale, l’amministrazione, la finanza, il legale, i rapporti con gli enti pubblici e la gestione della qualità. Tutte queste attività operano a supporto dell’intera catena del valore e non di attività singole. Spesso sono considerate attività generatrici solo di costi fissi, non recuperabili, anche se in realtà possono essere anche fonti di vantaggio competitivo. Ad esempio una gestione corretta della finanza rende efficiente tutta la gestione aziendale, oppure avere o negoziare rapporti privilegiati con università o enti pubblici o con clienti/fornitori importanti può far acquisire vantaggi importanti. Queste attività possono collocarsi in maniera diversa a seconda che l’azienda sia suddivisa in unità di business o meno. Nel primo caso le attività 23 infrastrutturali saranno distribuite tra casa madre e singole unità di business, nel secondo invece saranno contenute nell’azienda stessa. Inoltre alcune attività infrastrutturali sono più attinenti la gestione operativa di ciascuna business unit, mentre altre meno. La gestione della qualità è per esempio fatta a livello di unità di business mentre il legale o la finanza è più facile trovarle a livello di casa madre (corporate). Per le Organizzazioni diverse da quella di produzione di beni è tuttavia possibile utilizzare il modello come un valido spunto per l'analisi dei processi. In tal caso occorre provvedere ad un adattamento del modello stesso all'organizzazione oggetto di studio. La catena del valore ci può far comprendere che tipologia di vantaggio competitivo utilizza l’azienda, infatti analizzando la catena del valore, l’impresa riesce a capire le sue variabili di costo e le sue variabili di valore, analisi utili non solo sotto il profilo descrittivo, ma anche strategico: un’impresa può rendersi conto che una delle sue attività produce costi superiori rispetto a quello che è il suo contributo nei ricavi ed agire di conseguenza. Con la catena del valore si individuano i punti di forza e di debolezza e non solo dal punto di vista interno, ma anche in modo comparativo con i suoi concorrenti migliori. Esempio. Ditta X 24 Ditta Y L’impresa X ha investito di meno in Ricerca e sviluppo, questo comporta che il suo sistema di produzione risulta più tradizionale, meno automatizzato e questo si ripercuote sulla formazione del margine. Lo strumento principale per comprendere a fondo la natura del vantaggio competitivo è la catena del valore. Il vantaggio competitivo può risiedere infatti in ciascuna delle attività che l’impresa svolge, dalla progettazione alla produzione, alla vendita, all’assistenza alla clientela. Questo vale quale che sia il tipo di vantaggio, sia di costo che di differenziazione o focalizzazione. La catena del valore disaggrega le attività strategicamente rilevanti per comprendere l’andamento dei costi e le fonti di differenziazione possibili. Il vantaggio competitivo si ottiene quando un’impresa svolge le attività strategicamente rilevanti in maniera più economica o più efficiente della concorrenza. La catena del valore della singola impresa infine è parte di un sistema più ampio, il sistema del valore, che si compone delle catene del valore di tutte le aziende coinvolte nella filiera produttiva (produttore, fornitori, distributori) nonché di quelle dei clienti stessi (vedi figura seguente). Il sistema del valore (Porter 1985) La capacità di comprendere la propria catena del valore è centrale per acquisire e mantenere il vantaggio competitivo. Le catene del valore sono assolutamente diverse da impresa ad impresa, perché ciascuna ne riflette la storia, le scelte organizzative, le strategie, le persone, le mentalità, le abitudini. La scelta di servire solo un determinato ambito geografico, di servire solo un dato segmento di mercato, sono esempi di scelte che influiscono sulla catena del valore. Lo schema sopra descritto si modifica in parte nel caso delle imprese che praticano la differenziazione. Questo tipo di imprese, infatti, sono di solito organizzate in Business Units o ASA (aree strategiche di affari), cioè unità organizzative più o meno indipendenti dal vertice aziendale (corporate), che si occupano di un particolare prodotto o linea di prodotti o servizi. Ci saranno in questi casi tante 25 catene del valore quante sono le business unit. Le varie business unit potranno svolgere attività che si posizionano allo stesso punto (ad es. produzione) del sistema del valore, come evidenziato dalla figura che segue: Nel caso raffigurato nello schema qui sopra l’impresa ha tre catene del valore diverse, una per ciascuna business unit, una per ciascun settore in cui ha deciso di operare. Esiste poi il caso di aziende che diversificano in attività che si posizionano su livelli diversi del sistema del valore, ovvero come fornitore di materie prime o come produttore e distributore, come illustrato nella figura che segue: 26 Produzione La produzione è l'insieme delle operazioni attraverso le quali i beni e tutte le ricchezze vengono creati, trasformati o modificati, con l'impiego di risorse materiali o immateriali (ad esempio energie umane), in modo tale da renderli utili o più utili, cioè idonei a soddisfare i bisogni. Tale definizione è applicabile pressoché a qualunque attività umana e non, in qualunque disciplina, anche non tecnica. A causa della generalità della sua definizione, il termine "produzione" assume sfumature diverse a seconda del tipo di risorse trattate, dei risultati ottenuti, e del contesto in cui è utilizzata. La produzione in senso economico comprende: la trasformazione materiale o fisico-tecnica di beni in altri beni (ad esempio: dal legno al mobile) e nella prestazione di servizi (ad esempio: il trasposto di beni); il trasferimento dei beni nello spazio; il trasferimento dei beni nel tempo attraverso lo stoccaggio o la conservazione per rendere i beni disponibili per il consumo nel momento più opportuno; l'adattamento quantitativo che consiste nel riunire piccole partite di beni o nel frazionare grandi quantitativi di prodotti per soddisfare le esigenze dei consumatori. Alcuni esempi pratici di produzione sono i seguenti: alle poste gli addetti allo smistamento svolgono la loro attività produttiva raccogliendo, ordinando, distribuendo la posta; il medico di famiglia svolge la sua attività produttiva visitando i pazienti in ambulatorio; l'insegnante svolge la sua attività produttiva quando in aula impartisce una lezione; il medico veterinario si occupa di salvaguardare la salubrità, l'igiene e la qualità dei prodotti di origine animale; l'operaio metalmeccanico svolge la sua attività produttiva quando tornisce un pezzo. La somma dei costi relativi ai fattori impiegati nella produzione di un bene ne determina il costo di produzione. I costi variabili sono quelli sostenuti per l'acquisizione dei fattori produttivi che vengono interamente utilizzati e trasformati nella produzione (energia). I costi fissi sono sostenuti per l'acquisizione dei fattori produttivi che danno la loro utilità per più processi produttivi, quindi che si deteriorano gradualmente (macchinari ed immobili). La locuzione di valore aggiunto associata alle attività di produzione sottolinea il fatto che il risultato della produzione ha maggior valore delle risorse utilizzate per produrlo, e sottintende che l'attività di produzione è (o dovrebbe essere) remunerativa. Il valore, naturalmente, è quello del momento, dettato sia dal mercato che dai costi delle risorse utilizzate. Si pensi ad un manufatto in legno. In un ambiente pieno di foreste o boschi la materia prima è lì, in quantità quasi illimitata, basta tagliarla e lavorarla; non costa nulla. 27 Diverso è quando si iniziano a produrre milioni di pezzi, e magari un incendio (naturale) ha causato una drammatica deforestazione o disboscamento). A quel punto sarà impossibile ottenere un valore aggiunto e bisognerà cambiare materia prima o ridurre drasticamente la produzione e orientarla verso prodotti destinati ad una clientela elitaria disposta a pagarli a peso d'oro. Il termine valore aggiunto si è diffuso ben al di là dell'ambito industriale ed oggi si utilizza molto anche nei servizi e in opere dell'intelletto, per indicare, ad esempio conoscenze o idee immesse in un servizio, che rendono il servizio stesso più remunerativo o più gradito al cliente. Non va dimenticato, peraltro, che il valore aggiunto è la base imponibile per la determinazione dell'IVA, ossia Imposta sul Valore Aggiunto. Scelte di produzione Ci sono tre tipi di scelte che si attuano e hanno un’importanza diversa nella rilevanza della strategia d’impresa: 1. scelte di natura infrastrutturale 2. scelte di gestione della produzione (b.p.) 3. scelta organizzativa (b.p.) Nel Breve Periodo il costo fisso si ripartisce su un volume di produzione e perciò il grafico risulta così. Se l’impianto è molto sfruttato subentrano diseconomie. 28 Nel Lungo Periodo tutti i costi sono modificabili poiché il costo dell’impianto varia in maniera quadratica, mentre il volume della produzione varia in maniera cubica, a questo fine l’impresa cercherà grandi dimensioni di impianto, così da avere una capacità produttiva più efficiente, che consente di operare a costi medi più bassi. OPPURE 29 Capacità produttiva Per capacità produttiva (productive capacity) nell'economia della produzione si intende generalmente il livello di output che permette all'unità produttiva (impresa, stabilimento,...) di utilizzare i fattori nel modo tecnicamente ed economicamente più efficiente, corrispondente quindi a quel volume di produzione per unità di tempo cui è associato il costo medio unitario minore, quando sia dato e costante l'impianto di produzione. Alcuni parlano in tal caso di dimensione minima efficiente, o capacità produttiva ottima, per distinguere questo dagli altri due significati con cui la locuzione è utilizzata in economia: capacità produttiva massima, la quantità massima teoricamente producibile dall'unità produttiva dati e costanti i fattori impiegati; capacità produttiva minima, la quantità di "attivazione" o punto di pareggio: l'output minimo che rende conveniente l'impiego di una certa tecnica di produzione rispetto a quelle alternative. La capacità produttiva è composta da diversi fattori tre dei più importanti sono: Domanda attuale e prospettica Concorrenza (qual è la dinamica) Efficienza deriva dalla scelta dell’impianto Economie di scala tecnico produttive: si intende la condizione che si ottiene quando si riduce il costo medio unitario all’aumentare delle dimensioni (o della scala) dell’impianto. L’impresa valuta l’impianto A, esso è caratterizzato da Ka=CFa, Va=CVa CMa. L’impresa nel lungo periodo sceglie la capacità produttiva più efficiente. L’impianto B è caratterizzato da CF e CV di cui CFb>CFa infatti essi variano in maniera meno che proporzionale mentre i CVb e CMb< di CVa e CMa. A questo proposito sappiamo perciò che passare da A a B è ottenere un economia di scala, il punto della Dom invece situato in corrispondenza della qE è il punto limite oltre quello non ci sono ulteriori economie di scala, se all’impresa servissero per esempio 2qE o 3qE sarebbe conveniente replicare l’impianto “x” volte per la quantità corrispondente di qE. Le economie di scala non sono però da ritenersi in senso stretto solo legate all’attività di produzione, ma è un concetto applicabile 30 a tutte le parti della catena del valore. Per avere una Dimensione Minima Ottimale per ogni parte della catena del valore l’impresa deve cercare di trovare l’equilibrio per ognuno (grandezze, n° lavoratori, finanziamenti ecc..) ESEMPIO: I costi di laboratorio legati alla ricerca di qualità di un prodotto. I costi fra qA e qB scendono bruscamente fino ad arrivare a qE, ma possono abbassarsi ulteriormente è perciò ovvio che l’impresa perseguirà contemporaneamente tutte le economie di scala delle varie parti della catena del valore ( anche creando più di un impianto di produzione) al fine di ottenere la miglior combinazione; arrivando così ad essere Multi-Plant ( o multi impianti) anche se bisogna ricordare che alcune parti della catena del valore (vd. Produzione) non possono essere variati nel breve periodo. Fattori di competitività della funzione di produzione - RIDUZIONE DEI COSTI: processi produttivi standardizzati ecc… FLESSIBILITA’ del sistema produttivo: un sistema è flessibile se è in grado di realizzare prodotti diversi in termini di colori, forme ecc.. ELASTICITA’ del sistema produttivo: è la capacità di variare la quantità prodotta a coti contenuti. QUALITA’ DEI PRODOTTI. Quando si governa un’impresa e si prendono decisioni sulla tipologia di impianto da adottare è necessario effettuare un analisi sulla tendenza della domanda, passata, presente e un ipotesi quindi su quella futura così da poter scegliere un impianto capace di soddisfare la variazioni del mercato. L’impresa deve estendere lanalisi della domanda e creare una capacità produttiva proiettata nel futuro. 31 ESEMPIO: L’impresa Y vuole capacità produttiva Xe ed esamina due diverse soluzioni tecnologiche: la soluzione A prevede minor CF, ma CV maggiori; mentre la soluzione B ha minor CV, ma maggior CF. Se l’impresa producesse meno di Xe l’impianto conveniente sarebbe A, ma se producesse oltre B sarebbe il più conveniente. PECULIARITA’ dei FATTORI delle IMPRESE di SERVIZI 1. Partecipazione del cliente ( non c’è attivazione del servizio se non c’è collaborazione da parte del cliente/ richiesta) 2. Un servizio non è stoccabile, non si possono infatti stoccare i clienti ( le richieste ) chesono un fattore produttivo. TIPO DI IMPRESA SPECIALIZZAZIONE VOLUMI SI PRODUZIONE STRUTTURA DEI COSTI (influenza) ELASTICITA’ FLESSIBILITA’ ARTIGIANALE Risorse Piccoli (anche uno solo per colta) ( + ) Manodopera ( + ) Costi MP ( - ) CF (alcune volte solo manodopera) Si Si (anche pezzi unici) INDUSTRIALE Impianti Grandi (vd. Econ. Scala) ( - ) Manodopera ( - ) Costi MP (grandi ordini) ( + ) CF (impianti) No No (però si realizzano pezzi intercambiabili) L’impresa sceglie i processi produttivi per: 1 efficienza (<CF politica di costo); 2 massimizzare il valore del prodotto finale ( politica di prezzo ). Matrice WOODWARDS Uno strumento concettuale d’ausilio per comprendere la peculiarità della produzione su progetto rispetto alle altre forme di produzione è la matrice di J. Woodward (1965) che si inserisce tra i cosiddetti modelli contingenti perché si assume che il sistema produttivo della singola azienda sia fortemente condizionato dalle caratteristiche dell’output. Woodward individua quattro tipologie di produzione: 1) su progetto (impianti industriali, edilizia, opere infrastrutturali); 2) su modello/commessa, (macchinari industriali, aeromobili, progetti di ricerca di base, ecc.); 3) su grandi lotti, (produzione manifatturiera in generale); 4) continua, (materie prime, beni commodities). 32 Queste diverse tipologie di produzione sono a oro volta classificate in base a due variabili: 1) differenziazione e numerosità dei prodotti della gamma; 2) standardizzazione dei prodotti e dei flussi di vendita. Dall’osservazione della matrice di J. Woodward, possiamo trarre diverse considerazioni: 1) la produzione su progetto ( o Job Shop)si caratterizza per: - unicità del prodotto: l’output della produzione su progetto è un bene unico che soddisfa specifiche esigenze e problematiche del committente, complesso e non soggetto a movimentazione una volta completato l’iter di trasformazione; - intermittenza del processo produttivo: bassa ripetitività delle operations e elevato grado di flessibilità ed elasticità; - specificità e transitorietà del sistema produttivo e organizzativo: la struttura organizzativa deve essere in grado di plasmarsi e configurarsi sulle specificità del progetto. - dimensioni contenute (pochi grandi clienti) del mercato servito. 2) la produzione su modello, coincidente sostanzialmente con la produzione “su commessa” si caratterizza per: - limitata numerosità dell’output: è già stato precisato che ciò che differenzia la produzione su commessa da quella su progetto è che nel secondo caso l’output è unico e non replicabile. - intermittenza del processo produttivo: la produzione su commessa (così come quella su progetto) è per definizione discontinua e soggetta alle fluttuazioni degli ordinativi; - flessibilità del sistema operativo e organizzativo: anche in questo caso è necessario che si realizzi un fit tra la struttura organizzativa e l’esigenza di personalizzazione del prodotto finito rispetto alle esigenze del cliente; - dimensioni contenute (pochi grandi clienti) del mercato servito. 3) la produzione per grandi lotti, si caratterizza invece per: - standardizzazione del prodotto finito: in quanto in questa tipologia di produzione le economie di scala assumono rilevanza e la competitività si misura anche in termini di riduzione del costo unitario; - intermittenza del processo produttivo: ci si discosta ancora dalla produzione a ciclo continuo dei beni commodities, anche se anche la produzione per lotti si caratterizza per elevate quantità di output; - sistema operativo e struttura organizzativa stabile e polivalente; la struttura organizzativa delle imprese che operano con questo paradigma produttivo è caratterizzata da un maggior grado di rigidità rispetto ai modelli su esposti malgrado presenti significativi gradi di flessibilità; - omogeneità della domanda: il mercato servito è di massa. 33 4) la produzione continua infine, i cui esempi più noti si ritrovano nell’industria di base (chimico, petrolchimico, metallurgico, ecc.), si caratterizza per: - standardizzazione del prodotto finito: la produzione continua è ancorata al concetto di economia di scala e massimo sfruttamento della capacità produttiva; condizione necessaria per operare in questi mercati è la capacità di produrre elevati volumi con costi il più possibile contenuti; - continuità del processo produttivo: il processo di trasformazione degli input in output si caratterizza per una forte ripetitività e standardizzazione delle operations; - struttura organizzativa stabile e polivalente: si evidenzia come nel caso precedente un maggior grado di rigidità, ripetitività e specificità della mansione; - omogeneità della domanda: il mercato servito è di massa. In sintesi, possiamo affermare che nel passaggio tra la produzione su progetto a quella continua si evidenziano differenze che investono: 1) il prodotto: si passa dall’unicità dell’output (produzione su progetto) a standardizzazione del prodotto destinato al mercato di massa (ciclo continuo); decresce la personalizzazione del prodotto, la competitività si basa principalmente sul prezzo e via via che il processo assume le caratteristiche di un flusso continuo le differenze qualitative tra marche concorrenti diventano meno significative; 2) il processo produttivo: il processo produttivo diventa più rigido e il ciclo è meglio definito e formalizzato; la fasi del processo sono sempre più strettamente interconnesse; aumentano i volumi e assume rilevanza lo sfruttamento di economie di scala e dell’efficienza produttiva; eventuali cambiamenti radicali nel modo di organizzare la produzione diventano molto onerosi a causa della rigidità che caratterizza questo paradigma di impresa; 3) le risorse umane: man mano che ci si muove lungo il continuum tra produzione su progetto e continua il “capitale umano”; sempre più spesso si assiste a una graduale sostituzione del lavoro con il capitale. Alle persone è richiesta sempre meno polivalenza e flessibilità operativa. Al crescere della ripetitività del ciclo produttivo assume rilevanza la specializzazione come leva per il maggior sfruttamento delle economie di scala attraverso la riduzione dei tempi e dei costi; 4) il mercato servito: si passa dalla produzione di beni unici per una domanda contenuta a beni standard per servire una domanda indifferenziata/in differenziabile. 34 Livelli di maturità del business Ad ogni settore corrisponde un ciclo di vita le imprese devono definire quello del business di cui fanno parte; ogni settore ( ma anche ogni prodotto) presenta infatti un andamento ciclico: nasce, si sviluppa e conosce un periodo di forte espansione, raggiunge una perfetta maturità ( N.B. esistono business la cui maturità persiste nel tempo) , prima di diminuire la propria diffusione. L’andamento di ogni settore così prospettato può essere disegnato con una curva che ha come parametro per esempio il livello delle vendite. Matrice mercato prodotto processo Quando un business raggiunge la sua maturità, si deve pensare a un processo produttivo intermittente a grandi lotti, per il quale il vantaggio competitivo deriva dalla riduzione dei costi; se il business mantiene a lungo il suo grado di maturità o declina, visto che non ci sono richieste varianti particolari dei prodotti realizzati, il processo ideale è quello continuo di produzione 35 standardizzata, che si trova i suoi fattori competitivi nell’efficienza dei costi. Esistono delle zone grigie: se il business è ancora in fase di inizio o di sviluppo, con una domanda ancora ridotta, non ha senso utilizzare la produzione di massa perché ci sarebbe uno spreco (risorse e invenduti); speculare è il caso in cui si sceglie un processo su piccola scala quando il business è maturo. Strategie di Business Le strategie di business vanno definite, implementate e mantenute relativamente a tre elementi che vanno tra loro collegati: l’impresa, i clienti, la concorrenza. 1. VANTAGGIO DI COSTO Avere una leadership di costo significa gestire dei processi e saper combinare risorse e attività in modo da produrre agli occhi del cliente un valore comparabile a quello offerto dai concorrenti ma sostenendo costi complessivamente inferiori, cosa che consente prezzi inferiori. Al fine di definire una strategia di leadership di costo occorre disaggregare l’impresa in attività stabilire l’importanza relativa delle attività in base ai costi confrontare i costi per ciascuna attività (capire le attività più o meno efficienti) identificare le determinanti di costo identificare i legami tra attività identificare le opportunità di riduzione dei costi Le principali determinanti del vantaggio di costo sono: economie di scala (specializzazione, divisione del lavoro) 36 economie di apprendimento (miglioramento coordinamento organizzativo, maggiore abilità) tecnologia di processo (automazione, uso efficiente dei materiali) progettazione del prodotto costo degli input (potere contrattuale, collaborazione con i fornitori, co-localizzazione) altro … identificabile Il vantaggio di costo consente: a. di resistere a una guerra dei prezzi b. di difendersi da aumenti imposti dai fornitori c. di avere richieste di ulteriori ribassi di prezzo da parte dei clienti d. di creare barriere all’entrata di nuovi concorrenti L’impresa che cerca una leadership di costo investe soprattutto in competenze tecniche, nel controllo dei processi produttivi e distributivi, nella standardizzazione produttiva. Sempre di più investe nei processi! 2. DIFFERENZIAZIONE Un vantaggio da differenziazione si ha quando l’impresa offre un prodotto/servizio percepito dai clienti di valore superiore a quello offerto dai concorrenti. In considerazione di tale valore superiore i clienti sono disposti a pagare un premium price. Il valore superiore deve essere effettivamente superiore ed essere percepito tale. Il premium price dipende sia dal valore reale che dal valore percepito ESEMPI: l’unicità di Federal Express è nell’affidabilità; l’unicità di Sony è l’innovazione Per perseguire un vantaggio di differenziazione occorre individuare nella catena del valore gli elementi relativi alle diverse attività e risorse ed alle interconnessioni con le catene del valore del cliente che possono effettivamente differenziare l’offerta. Occorre capire dove risiede e può risiedere l’unità e soprattutto come e perché il modo di combinare risorse e capacità genera unicità I fattori di unicità sono: caratteristiche e prestazioni del prodotto e tecnologie sottostanti servizi complementari qualità degli input capacità del personale collocazione geografica modalità di gestione dei rapporti di mercato (capacità di marketing) L’impresa che ricerca una strategia di differenziazione punta a competenze di marketing, di analisi del mercato, al coordinamento del rapporto tra marketing e R&S. La differenziazione consente: a. di ridurre la sostituibilità del prodotto b. di fronteggiare aumenti di prezzo dei fornitori c. di ottenere maggiore fedeltà dai clienti d. di difendersi da prodotti sostitutivi Il vantaggio competitivo è derivato da competenze distintive che non sono solo identificabili staticamente in risorse o attività d’impresa bensì soprattutto nel modo in cui tali risorse e attività vengono combinate. 37 Non è solo importante capire che cosa genera un vantaggio ma come e perché. Risorse e attività possono essere imitate più o meno rapidamente; E’ più difficile imitare i modi in cui tali risorse e attività vengono combinate. Ciò può essere “unico”. Le imprese devono costantemente monitorare le proprie risorse e le proprie capacità di generare e mantenere un vantaggio competitivo. Esse devono costantemente mettere in discussione dove risiedono le loro aree di eccellenza e distintività ponendosi domande come: o quali dei nostri prodotti/servizi sono i più distintivi? o quali dei nostri prodotti/servizi sono i più profittevoli? o quali dei nostri clienti sono i più soddisfatti? Perché? o quali dei nostri clienti/canali/fornitori sono i più profittevoli? o quali attività nella nostra catena del valore sono diverse da quelle della concorrenza e più efficaci? FOCALIZZAZIONE L’impresa si concentra su uno specifico segmento di mercato rispetto al quale cerca di promuovere una leadership di costo, una strategia di differenziazione o entrambe. Le nuove tecnologie oggi consentono di coniugare differenziazione e costi sostenibili. Tuttavia: E’ importante avere chiara consapevolezza che le fonti del vantaggio competitivo possono essere diverse a seconda del tipo di strategia. Le leve sono diverse. Occorre anche prestare attenzione a non creare “confusione” nel cliente. Matrice di Ansoff La matrice di Ansoff (chiamata anche matrice prodotto-mercato) è uno strumento di marketing creato da Igor Ansoff. La matrice permette di determinare quattro strade per incrementare il proprio business, attraverso i prodotti esistenti o di nuova concezione, in mercati esistenti o nuovi. Questo strumento aiuta le aziende a decidere che tipo di azioni intraprendere per ottenere i risultati previsti. La matrice consiste di quattro strategie: Market penetration (prodotto esistente, mercato esistente) Questa posizione, caratteristica della maggior parte delle imprese, vede la proposta di un prodotto esistente in un mercato esistente. 38 Esistono diversi modi per ottenere questo: il migliore è conquistare i clienti dei concorrenti, attraverso politiche di prezzo. Un altro modo, attuabile attraverso campagne pubblicitarie e di promozione, è quello di attirare nuovi clienti. Ovviamente non è possibile aumentare continuamente la propria quota di mercato e spesso le aziende nascono e muoiono in questo settore. Product development (nuovo prodotto, mercato esistente) Un'azienda che controlla già un mercato può decidere di inserirvi nuovi prodotti. Ad esempio, nonostante McDonald's sia leader del settore fast food, sovente introduce nuovi panini. Una volta che un prodotto è stato introdotto, è importante poi trovare clienti che lo acquistino; per consentire a un'azienda di rimanere competitiva, lo sviluppo di nuovi prodotti è di cruciale importanza. Market development (prodotto esistente, nuovo mercato) Un prodotto esistente in un mercato può essere esportato in un segmento diverso di consumatori, a livello geografico o di settore. Questa strategia è meno rischiosa della precedente. Diversification (nuovo mercato, nuovo prodotto) Questa strategia è caratterizzata da un alto rischio e da alti investimenti, ma in caso positivo garantisce i migliori risultati. Il concetto è quello di trovare un nuovo prodotto e di inserirlo in un nuovo mercato, tipo strategie "Blue Ocean" Layout di produzione La disposizione planimetrica fissa il percorso dei materiali in lavorazione, condiziona l’entità e l’efficienza della manodopera, influisce sulla capacità produttiva di un intero procedimento, condiziona l’utilizzazione dei macchinari e degli impianti, influisce sulla utilizzazione dei terreni e dei fabbricati, concorre a determinare alti costi di spese generali. E’ perciò evidente che la scelta e la disposizione planimetrica funzionale di tutti i mezzi, che concorrono alla realizzazione del “prodotto” è un fattore di particolare importanza nell’economia dell’azienda. I vantaggi che si possono ottenere con un nuovo layout sono enormi, basti pensare che normalmente i materiali sono sottoposti a reali operazioni di trasformazione solamente per il 30/40 % del tempo che intercorre tra il prelevamento da magazzino del materiale grezzo ed il versamento del prodotto finito a spedizione. Il 60/70 % dunque di questo tempo viene impiegato in trasporti ed in attese di vario genere i cui costi normalmente non vengono evidenziati da alcuna contabilità proprio perché non facilmente concretizzabili. Bisogna infatti osservare che, contrariamente alle comuni credenze, la maggior parte del costo del lavoro non si forma nella fase di lavoro vero e proprio della macchina, ma nella fase di spostamento del materiale sul posto di lavoro e da un posto di lavoro ad un altro. L’efficienza produttiva è influenzata anche dalla inadeguatezza dei mezzi predisposti per l’avanzamento del prodotto in lavorazione. L’obiettivo diventa quindi abbattere questi costi inutili che non contribuiscono ad incrementare il valore aggiunto del prodotto, con un più corretto coordinamento planimetrico degli impianti e delle postazioni di lavoro. Uno studio più accurato del layout porta come risultati: • aumento della produttività; • riduzione dei costi senza sacrificare fattori fondamentali come qualità, lead time; • diminuzione degli sprechi in genere ma soprattutto di tempo; 39 • riduzione delle immobilizzazioni di materiale impiegato. 1. LAYOUT PER LAVORAZIONI A SEQUENZA CONTINUA ( a catena) Il layout che realizza una operazione immediatamente vicino alla successiva è il layout a sequenza continua comunemente conosciuto come: layout in linea. L’opportunità di riunire in linea una successione di operazioni svolte da e su macchine con caratteristiche differenti ed eseguenti lavorazioni di tipo differente, risulta come conseguenza logica delle analisi svolte precedentemente. Infatti quando non si tralascia nulla per poter eliminare attese, trasporti, immagazzinamenti, si giunge inevitabilmente alla conclusione che il modo più economico per impostare la lavorazione è quello di disporre in sequenza le varie macchine che entrano nel ciclo operativo e collegare i vari posti di lavoro mediante nastri trasportatori, scivoli, convogliatori, trasportatori aerei, … Le aree di produzione studiate secondo questo tipo di layout risultano essere omogenee nel tipo di prodotto in virtù del fatto che sono specializzate nella produzione di un prodotto standard, ma sono eterogenee nel dettaglio per la varietà di macchine che contengono. Ogni area di produzione (reparto o centro di costo che sia) può essere considerata come un piccolo stabilimento per la produzione di un dato pezzo entro l’area del più grande stabilimento. Tale sistemazione planimetrica oltre a garantire minori trasporti ed attese quindi movimentazioni di materiali ed esecuzioni delle lavorazioni più celeri, cose tutte facilmente rilevabili, consente di gestiste piccole quantità di materiale in lavorazione con conseguente diminuzione delle immobilizzazioni finanziarie ed una conseguente cadenza parzialmente o completamente meccanica della produzione con maggior tempestività nell’introdurre modifiche del ciclo produttivo e minor periodo di addestramento da parte del lavoratore. Per contro la sequenza continua, oltre a richiedere un investimento maggiore in termini di capitali dedicati all’acquisto di macchinari, non consente di variare in modo economico il volume di produzione in un dato periodo di tempo, con il rischio che un guasto interrompa parzialmente o completamente il flusso di produzione. Investimenti di questo genere sono forzatamente frutto di oculate scelte strategiche che pianifichino nel lungo periodo (in genere decenni) l’attività aziendale. Generalmente si ritiene infatti conveniente impostare una lavorazione in linea quando: - bisogna costruire un gran numero di pezzi o prodotti; - si deve produrre quel pezzo o quel prodotto per un lungo periodo; - è possibile lo sfruttamento completo della macchina o dell’impianto molto costoso; - i materiali o i prodotti permettono lo spostamento o il trasporto continuo con mezzi meccanici; - si ha la possibilità, mediante un accurato studio di metodi e dei tempi, di cadenzare ed equilibrare le macchine ed il lavoro manuale in modo che il flusso del materiale risulti costante lungo tutto il processo produttivo. Ad esempio: in un layout di produzione a sequenza continua può essere conveniente tenere raggruppate quelle macchine con un ciclo produttivo molto rapido che non possono essere cadenzate con altre macchine a ciclo più lento. 40 2. LAYOUT PER PRODUZIONE A LOTTI (a reparto) Il layout per produzione a lotti, promosso da Henry Ford nei primi anni del 1900, ebbe il suo massimo impiego fino alla vigilia della seconda rivoluzione industriale con l’utilizzo delle linee di produzione. In questa disposizione planimetrica si segue il criterio di disporre le macchine o le lavorazioni omogenee in determinate aree adibite solo a quel tipo di macchine o quel genere di lavorazione (esempio: reparto fresatrici, reparto presse, reparto trapani, reparto fatturazione, ecc.). Ne consegue che sia l’operatore sia il prodotto si spostano da un gruppo di macchine all’altro. Come conseguenza finale si avrà che il materiale costituente il lotto o lo stock di produzione non lascia un dato reparto fino quando l’ultimo pezzo del lotto non ha subito quella data operazione, per cui tutto il materiale del lotto attende la ultimazione in un deposito temporaneo il più delle volte ubicato accanto al posto di lavoro stesso. Si avrà cioè una maggior quantità di materiale in lavorazione con conseguenti maggiori oneri di immobilizzazioni. È lampante come, data la mancanza di un cadenza mento tra una operazione e la successiva, vi sia una grande flessibilità nella variazione del volume di produzione e nella produzione di una gamma molta diversificata di prodotti. In questo tipo di layout gli investimenti in macchinari risultano molto ridotti. Risultano ridotte al minimo anche le interruzioni del flusso produttivo per eventuali rotture o per assenteismo in quanto la grande quantità di materiale funge da “volano” di produzione. 3. LAYOUT PER LAVORAZIONI SUL PEZZO Con questo tipo di layout il materiale ed i componenti di un prodotto convergono in una data area dove è sistemato il componente più importante o di maggiori dimensioni. In questa area operano sia uomini sia macchine. La caratteristica principale di questa disposizione planimetrica è che il materiale o il prodotto sta fermo mentre si spostano gli uomini o le macchine. I vantaggi di questo layout sono essenzialmente tre: • si riduce notevolmente il trasporto delle parti più ingombranti o più pesanti; • è chiaramente delimitata la responsabilità della qualità del prodotto eseguito, • presenta la massima flessibilità possibile in quanto si adatta sia alla variabilità del prodotto, sia al volume di produzione, sia infine a qualsiasi variazione del disegno o del progetto. Generalmente questo genere di layout viene usato nel montaggio di grossi macchinari, di grossi motori, di locomotive, ecc. dove il costo per trasportare la parte principale è molto elevato, la produzione è limitata a poche decine di unità e dove soprattutto ha molto importanza l’abilità dei componenti la squadra per garantire un’ottima qualità del prodotto finale. 41 Logistica Esistono diverse definizioni di logistica, ognuna delle quali differisce per l'ampiezza di visione con cui viene considerata questa materia. Secondo la definizione data dall'Associazione Italiana di Logistica (AILOG), essa è "l'insieme delle attività organizzative, gestionali e strategiche che governano nell'azienda i flussi di materiali e delle relative informazioni dalle origini presso i fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti e al servizio post-vendita". Il termine "logistica" deriva dal greco "lógos" (λόγος) che significa "parola" o "ordine" , per i greci infatti i due concetti erano strettamente collegati ed espressi con la stessa parola. Dalógos deriva anche "logica" cioè lo studio delle argomentazioni ed il modo in cui risultano corrette, tale termine come si vede, si rifà allo stesso concetto di "ordine". Negli anni cinquanta e sessanta l'accezione di logistica era limitata alla distribuzione del prodotto finito (la cosiddetta logistica di distribuzione). In questi anni il ruolo della logistica è rimasto confinato al presidio di specifiche attività di supporto, generalmente legate all'organizzazione dei magazzini e dei trasporti. Le prime timide forme di evoluzione verso la gestione di un insieme strutturato di attività si registrano nel corso degli anni settanta, allorché le aziende incominciano a ricercare miglioramenti nell'ambito della distribuzione fisica, dal magazzino di stabilimento al Cliente, attraverso opportuni interventi di razionalizzazione volti all'ottimizzazione dei diversi segmenti del ciclo distributivo. A partire dagli anni ottanta, in seguito all'introduzione nelle aziende in modo sufficientemente pervasivo di nuove logiche gestionali, quali il Materials Requirements Planning (MRP), o ilJust in time (JIT), l'attenzione si sposta repentinamente sulla gestione dei materiali: viene infatti coniata l'espressione "logistica dei materiali", o altri sinonimi come "gestione dei materiali" o "material management", per indicare il governo di tutte le attività volte ad assicurare la corretta acquisizione, 42 movimentazione e gestione dei materiali al fine di garantire il costante e tempestivo rifornimento alla produzione ed agli altri enti utilizzatori. La fase successiva del percorso evolutivo segna in realtà un radicale cambiamento perché comporta la trasformazione della logistica da insieme di attività operative a sistema interfunzionale che si pone come mezzo per il raggiungimento di più elevati livelli prestazionali. Emerge quindi il concetto di logistica integrata, sintetizzato in modo preciso nella definizione proposta dal Council of Logistics Management nel 1986, secondo cui essa rappresenta il processo per mezzo del quale pianificare, attuare e controllare il flusso delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti, e dei relativi flussi d informazioni, dal luogo di origine al luogo di consumo, in modo da renderlo il più possibile efficiente e conforme alle esigenze dei clienti. Le scorte: definizione Si definisce scorta il quantitativo di materiali presente all’interno del sistema produttivo in attesa di essere sottoposto ad un processo di trasformazione o di distribuzione. In particolare, le materie prime in giacenza aspettano di essere immesse per la prima volta nel 43 ciclo produttivo, a differenza di semilavorati e prodotti finiti che hanno già subito lavorazioni, parziali o complete, all’interno dell’impresa. La sintesi del problema nella gestione della scorta Gestire ottimamente le scorte di magazzino significa essere in grado di rispondere adeguatamente a due problematiche: quanta scorta ordinare e conservare in magazzino, considerando gli obiettivi di costo e livello di servizio, e quando emettere un ordine di approvvigionamento, per assicurare la puntuale alimentazione dei processi produttivi e distributivi ed eludere ogni rischio di insoddisfazione delle domanda interna o esterna. La scelta del “quanto ordinare” ha implicazioni strategiche e manageriali allo stesso tempo, e deve essere presa considerando anche le scelte e gli obiettivi delle funzioni aziendali. Trovare un’adeguata soluzione significa cercare di tenere sotto controllo e di minimizzare i costi relativi alla gestione delle scorte, in particolare: - i costi di approvvigionamento (o di emissione dell’ordine), - i costi di mantenimento, in cui rientrano i costi connessi al trattamento e al trasporto dei materiali, costi correlati all’esercizio del magazzino (affitti, manutenzioni, assicurazione, illuminazione, ecc…), costi legatiall’obsolescenza, al deterioramento, nonché sprechi, furti, incendi e, infine, i costi dei mezzi finanziari immobilizzati nelle scorte, costituiti da interessi figurativi sui mezzi propri o da quelli effettivi sui mezzi attinti dal credito bancario o di fornitura; - i costi di stock-out (sotto scorta), sono i costi legati alla mancanza di scorta in magazzino e la correlata impossibilità di fornire quanto richiesto dalla rete distributiva o produttiva, e quindi è da considerare non solo il danno economico. Una situazione di stock-out è in assoluto la più pericolosa da dover affrontare, non solo per gli effetti diretti generati (il mancato guadagno), ma anche per gli effetti indotti che ne derivano (perdita di immagine, fiducia e serietà dell’impresa). - i costi di over stock (sovra scorta), sono i costi legati all’eccesso di scorta detenuta in magazzino. Una volta individuati i costi interessati, procediamo al calcolo delle quantità da ordinare in condizioni di certezza. A tal fine, un utile strumento utilizzabile è il Modello di Wilson o del Lotto Economico di Acquisto (cosiddetto LEA oppure EOQ dall’inglese Economic Order Quantity). Secondo tale modello, il problema della gestione delle scorte è connesso alle componenti del costo di mantenimento e del costo di ordinazione. Più in particolare, il modello del lotto economico ipotizza i costi mantenimento direttamente proporzionali alla giacenza media di periodo: acquistando maggiori quantitativi, la consistenza media delle merci aumenta proporzionalmente, e risultano più elevati i costi di mantenimento. Ponendo sull’asse delle ascisse le quantità e sull’asse delle ordinate i costi, la curva del costo di mantenimento è espressa da una retta passante per l’origine con un andamento crescente. Dopo aver introdotto il problema del “quanto ordinare”, la problematica 44 sulla gestione delle scorte si complica introducendo la componente del “quando ordinare”, cioè in quale istante emettere un ordine di approvvigionamento per rendere efficiente sempre e comunque la gestione delle scorte, soddisfacendo i bisogni di alimentazione dei processi produttivi e distributivi. Bisogna individuare quella quantità di magazzino che una volta raggiunta genera una richiesta di approvvigionamento. Per le merci a domanda regolare e per i materiali a consumo uniforme nel tempo, l’andamento delle scorte può essere rappresentato attraverso l’ausilio del diagramma a denti di sega. In un certo periodo la scorta scende costantemente per effetto delle vendite o dei consumi sino a quando l’azienda ha la necessità di emettere un ordine a causa di una giacenza in via di esaurimento. Questa necessità si manifesta allorquando viene raggiunto un livello di scorta definito livello di riordino; esso coincide con la giacenza sufficiente a far fronte al consumo o alla vendita durante il periodo di approvvigionamento. 45 Finanza La finanza è la disciplina che studia processi con cui individui, imprese, enti, organizzazioni, e stati gestiscono i flussi monetari (raccolta, allocazione e usi) nel tempo. Essendo definita l'economia come "la scienza che studia le modalità di allocazione di risorse limitate tra usi alternativi, al fine di massimizzare la propria soddisfazione", la finanza, analogamente, è "quella scienza che studia le modalità di allocazione del denaro tra usi alternativi, al fine di massimizzare la propria soddisfazione"". La Finanza d'impresa o Finanza aziendale, in inglese Corporate Finance, è una specifica area della finanza che tratta delle specifiche decisioni di natura finanziaria che le società devono prendere e gli strumenti, le relative analisi e tecniche valutative usate per prendere tali decisioni. Deve quindi individuare il miglior equilibrio tra le fonti disponibili in azienda e gli impieghi su cui investire, al fine di raggiungere una perfetta gestione, sia efficiente (analisi costi/benefici) che efficace (analisi input/output). La disciplina ha il primario obiettivo di migliorare il valore dell'azienda assicurandosi che il rendimento del capitale sia superiore al costo del capitale senza esporsi a eccessivi rischi finanziari. Tale obiettivo si raggiunge investendo in progetti in cui le condizioni di mercato e la concorrenzialità dell'azienda portino ad avere un valore attuale netto positivo, il quale, in forza del principio di additività del VAN viene sommato al precedente valore aziendale. Dal lato dei finanziamenti l'obiettivo è quello di scegliere il giusto bilanciamento nella struttura finanziaria, ossia il livello di debito ed il livello di equity tale da massimizzare il valore aziendale tramite il beneficio fiscale del debito, il quale non è soggetto ad imposizione fiscale in quanto risulta un costo per l'azienda, ma ponendo allo stesso tempo attenzione all'aumento dell'incidenza dei costi del dissesto, i quali si presentano con l'aumento della probabilità di insolvenza o fallimento collegato incapacità dell'azienda di fare fronte alle passività aziendali in scadenza, aumentando di conseguenza il rischio di credito. Punto fondamentale è la coerenza tra obiettivi di fondo della gestione e il processo di impiego e di acquisizione del capitale. Infatti dopo aver chiarito quali sono gli obiettivi si possono definire i criteri con i quali giudicare la bontà di un investimento. La disciplina nel suo insieme può essere divisa in decisioni e tecniche di breve termine e lungo termine. Le decisioni di Finanza d'impresa di lungo periodo concernono gli investimenti di lungo periodo e le scelte di quali progetti portare avanti, come finanziare tali progetti (con capitale o debito finanziario: si tratta delle teorie della struttura del capitale), e come e quando tali progetti porteranno benefici all'azienda (come flussi di cassa, dividendi, etc.) e i suoi azionisti. 46 Le decisioni a breve termine sono chiamate anche gestione della tesoreria e si riferiscono alla gestione dell'equilibrio tra le attività correnti e le passività correnti gestendo la cassa, il magazzino, i termini di pagamento ai clienti e ai fornitori, l'esposizione bancaria a breve e le politiche di finanziamento a breve. La Finanza di impresa prende decisioni in merito a tre specifiche attività: Ricorrendo alla Finanza esterna: reperimento fonti di capitale azionario mediante l'emissione di azioni (da remunerare al costo del capitale proprio) reperimento fonti di finanziamento sotto forma di debito, mediante sia l'assunzione di debiti che l'emissione di titoli debitori (da remunerare al costo del debito) Ricorrendo alla Finanza interna: reinvestimento degli utili all'interno (da remunerare al Costo del capitale proprio) La finanza aziendale si occupa inoltre della gestione della liquidità, degli strumenti di copertura del rischio (assicurazioni, derivati ecc..), gestione del credito commerciale, valutazione dei rischi, prezzaggio di titoli. Marketing l marketing (termine inglese, spesso abbreviato in mkt o mktg) è un ramo dell'economia che si occupa dello studio descrittivo del mercato e dell'analisi dell'interazione del mercato e degli utilizzatori con l'impresa. Il termine prende origine dall'inglese market (mercato), cui viene aggiunta la desinenza del gerundio per indicare la partecipazione attiva, cioè l'azione sul mercato stesso. Non comune l'uso dei termini in italiano mercatistica o mercatologia[1][2]. Marketing significa letteralmente "piazzare sul mercato" e comprende quindi tutte le azioni aziendali riferibili al mercato destinate al piazzamento di prodotti, considerando come finalità il maggiore profitto e come causalità la possibilità di avere prodotti capaci di realizzare tale operazione. Ci sono due tipi di marketing: - marketing strategico : è un'attiità di pianificazione , tradotte in pratica da un'impresa, per ottenere, pur privilegiando il cliente, la fedeltà e la collaborazione da parte di tutti gli attori del mercato... - marketing operativo: attiene invece a tutte quelle scelte, che l'azienda pone in essere per raggiungere i suoi obiettivi strategici. Diverse sono le definizioni possibili del marketing, a seconda del ruolo che nell’impresa viene chiamato a ricoprire in rapporto al ruolo strategico, al posizionamento dell'impresa nel suo ambito competitivo. La definizione principale viene da Philip Kotler, riconosciuto all'unanimità quale padre dei più recenti sviluppi della materia per i lavori apparsi dal 1967 al 2009, con l'ultimo lavoro nato dall'ultima crisi: Chaotics. Ma le origini del concetto di marketing hanno radici ben lontane. Con l'economista italiano Giancarlo Pallavicini, già nel 1959, queste radici si accompagnano agli iniziali 47 approfondimenti delle ricerche di mercato, costituenti, di fatto, i primi strumenti di quello che divenne poi il marketing moderno, ripresi e sviluppati in un secondo tempo da Philip Kotler [3]. Giancarlo Pallavicini introduce infatti le seguenti definizioni: Il marketing viene definito come quel processo sociale e manageriale diretto a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotto e valori. È l' arte e la scienza di individuare, creare e fornire valore per soddisfare le esigenze di un mercato di riferimento, realizzando un profitto: delivery of satisfaction at a price. Il marketing management consiste invece nell'analizzare, programmare, realizzare e controllare progetti volti all'attuazione di scambi con mercati-obiettivo per realizzare obiettivi aziendali. Esso mira soprattutto ad adeguare l'offerta di prodotti o servizi ai bisogni e alle esigenze dei mercati obiettivo ed all'uso efficace delle tecniche di determinazione del prezzo, della comunicazione e della distribuzione per informare, motivare e servire il mercato. Sviluppi del marketing Philip Kotler distingue, nella storia economica recente, quattro strategie di approccio al mercato da parte dell'impresa: Orientamento alla produzione: in questo periodo, dalla Rivoluzione industriale fino alla metà del Novecento, il mercato è caratterizzato da un eccesso di offerta rispetto alla domanda. Unica preoccupazione dell'imprenditore è ridurre i costi di produzione, azione giustificata soprattutto nei mercati dove prevalgono beni commodity, e dove quindi si può vincere con la concorrenza di prodotto. Orientamento al prodotto: intorno agli anni '30 del Novecento l'impresa si concentra sulla tecnologia del prodotto, piuttosto che sul consumatore. Il rischio di questa strategia è la cosiddetta miopia di marketing (en:Marketing myopia), cioè non accorgersi che il fattore chiave di successo per un'azienda non è dal lato dell'offerta ma della domanda, cioè del bisogno o funzione che il cliente deve soddisfare (rendendo quindi vani gli sforzi per sostenere un prodotto se esistono tecnologie alternative più comode/economiche/efficaci). (MARKETING PASSIVO) Orientamento alle vendite: a partire dagli anni '50 e '60 del Novecento si cerca di vendere ciò che si produce. È una prospettiva di tipo inside-out, praticata soprattutto nel breve termine, e con prodotti/servizi a bassa visibilità (unsought goods), oppure in casi di sovrapproduzione, o ancora 48 quando un mercato è saturo (e quindi va conquistato con la forza vendita). Anche in questo caso il rischio è di capire poco cosa desidera il consumatore finale, insistendi invece sul voler far diventare il proprio prodottola domanda del cliente. (MARKETING OPERATIVO) Quando invece la domanda torna a essere stabile o torna a declinare, verso gli anni ’80 e parole come globalizzazione sono ormai padrone nasce il MARKETING STRATEGICO: consiste nella comprensione dei bisogni del cliente, per produrre i beni e quindi soddisfarli. È una prospettiva di tipo outside-in, o anche pull (capire il mercato) anziché push (spingere sul mercato). Nasce a partire dagli ultimi anni del Novecento ed è sempre in continuo sviluppo fino ai giorni nostri. Lo sviluppo della funzione del marketing nelle imprese è parte di una strategia di mercato che viene definita "proattiva", dove l'impresa ha un ruolo propositivo nei confronti dei bisogni del mercato. Ruolo del marketing Il marketing può rivolgersi ai consumatori, e in questo caso si parla di marketing B2C, (business to consumer, "dall'impresa al consumatore"), spesso definito semplicemente marketing; oppure, può rivolgersi al mercato delle imprese, e in questo caso prende il nome di marketing industriale o marketing B2B, (business to business, "da impresa a impresa"). Sono da citare anche il marketing dei servizi (compagnie aeree, catene alberghiere...) e il marketing istituzionale (fatto cioè da istituzioni). Di significato meno economico è il marketing politico, così come quello che le aziende riservano ai propri dipendenti e che viene comunemente definito, sebbene impropriamente, marketing B2E (business to employee, "da impresa a dipendente"). Questa attività pertanto può fungere da "interfaccia" tra l'impresa e il contesto esterno (insieme al settore vendite, import/export, pubbliche relazioni e altri), osservandone il comportamento e presidiando, almeno in parte, i flussi informativi uscenti dall'impresa (voluti o non voluti), e incamerando le conoscenze provenienti dall'esterno; tra queste sono compresi i deboli segnali che consentono di comprendere, possibilmente in tempo utile, le modifiche al mercato che si realizzeranno in un prossimo futuro. L'analisi della posizione competitiva dovrebbe essere diffusa nella direzione delle varie funzioni, ma spesso è lasciata al marketing, che utilizza modelli come le "5 forze di Porter" (teorizzate dal docente universitario statunitense Michael Porter), modelli analitici come la matrice del Boston Consulting Group o le 7S della McKinsey, le ricerche ed indagini di mercato e le segmentazioni del mercato. Il marketing è inoltre volto alla creazione del valore per il cliente, e uno dei suoi scopi è creare un posizionamento della marca (brand) nella mente del consumatore attraverso tecniche di brand management. Le ultime tendenze sono volte allo studio del marketing esperienziale, che abbraccia la visione del consumo come esperienza, in cui il processo di acquisto si fonde con gli stimoli percettivi, sensoriali ed emozionali. Piano di marketing Il piano di marketing è la pianificazione della strategia a livello corporate/aziendale, ed è caratterizzato dalla definizione della missione, che è formata da: i bisogni di mercato che devono essere serviti. gli elementi di distintività dell'impresa 49 identificazione dell' Area Strategica di Affari (dall'inglese Business Strategic Unit) nella quale si andrà a operare, cioè le varie attività dell'azienda vanno classificate nelle apposite matrici di analisi del portafoglio:la matrice Boston Consulting Group e la matrice General Electric. identificazione delle strategie di sviluppo per ciascuna attività, attraverso la matrice di Ansoff. Il piano di marketing è un documento scritto formato dai seguenti contenuti: – – – – – – – – – Sommario: è il sommario dell'intero piano di marketing; Obiettivi: sono i risultati desiderati che portano alle vendite e ai profitti. Devono essere dettagliati, realistici, quantificabili (definiti in termini economici di utile netto o fatturato) e posti in ordine gerarchico; Analisi dello scenario competitivo: analisi del mercato, della concorrenza, dei consumatori: marketing audit; Analisi SWOT: identificazione dei punti di forza e di debolezza dell'azienda (Strengths and Weaknesses), valutazione delle opportunità e dei rischi del mercato (Opportunities and Threats); Strategie: complesso di azioni per raggiungere gli obiettivi; Piano di azione: specifica cosa sarà fatto, chi lo farà, quando sarà fatto, e quanto costerà. È l'elaborazione delle strategie; Budget: documenti finanziari preventivi, tra cui le proiezioni dei costi/ricavi previsti; Controllo: indica le modalità di monitoraggio dell'attività; Piani di emergenza (contingency plans): alternative da attuare in caso di problemi; non sempre sono presenti nel piano. 50