PROGETTO
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SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
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DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA E PROGETTO
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teorie figure architetti del
MODERNOCONTEMPORANEO
a cura di
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Antonino Terranova ❘ Fabrizio Toppetti
TEORIE E CRITICA 4
teorie figure architetti del
MODERNOCONTEMPORANEO
a cura di Antonino Terranova | Fabrizio Toppetti
presentazione di Piero Ostilio Rossi
saggi introduttivi di Antonino Terranova | Orazio Carpenzano | Fabrizio Toppetti
GANGEMI EDITORE
Indice
8
PRESENTAZIONE
PROGETTARE UN EDIFICIO.
ELEMENTI DI ATTUALITÀ
DELLA SINTESI DIDATTICA DI LQ
di Piero Ostilio Rossi
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16
NOTA DEI CURATORI
di Antonino Terranova
e Fabrizio Toppetti
SAGGI INTRODUTTIVI
20
Il Modernocontemporaneo
come architesto
di Antonino Terranova
ANDO
52
Teorie del moderno
e pratiche del contemporaneo
di Orazio Carpenzano
EISENMAN
66
Geografia e storie
del Modernocontemporaneo
di Fabrizio Toppetti
EMBT
SCRITTI
84
Teoria
di Matteo Agnoletto
FOSTER
96
Monoliticità
di Maria Argenti
GEHRY
108
Quattro divorzi e un matrimonio,
ovvero: verso un linguaggio
dell’architettura (un pò più) condiviso
di Federico Bilò
206
PERRAULT
HADID
120
Pilastri in crisi
di Andrea Bruschi
218
HERZOG & DE MEURON
132
Frontiere e cornici.
Il rapporto interno | esterno
nell’architettura moderna e
contemporanea
di Alessandra Capuano
Il contenitore ibrido
di Alessandra Criconia
230
Forma-struttura form und gestalt
di Irene Del Monaco
242
170
LIBESKIND
182
254
266
NOUVEL
L’architetto moderno
e contemporaneo tra natura
e artificio
di Antonello Stella
TSCHUMI
MONEO
194
Dal muro cavo al volume cavo:
abitare lo spazio sottratto
di Gianpaola Spirito
SIZA
Serie e cataloghi. Tecnica e masse
di Alessandro Lanzetta
Architettura del corpo vivente
di Giovanni Longobardi
Stratificazione
di Guendalina Salimei
SANAA
KOOLHAAS
Equilibrismo strutturale a compressione
di Annarita Emili
Il grande segno tra utopia
e progetto del territorio
di Federica Morgia
PURINI
ITO
158
Perfezioni temporanee.
La dilatazione del canone
e un nuovo incontro di meravigliose
opposizioni: trasparenza, opacità
di Gianluigi Mondaini
PIANO
HOLL
146
Il ruolo dei materiali in architettura
dal Novecento a oggi
di Domizia Mandolesi
278
Libertà plastica
di Nicoletta Trasi
ZUMTHOR
Modernocontemporaneo
Modernocontemporaneo
Modernocontemporaneo 3
19. Le Corbusier,
Les 4 compositions (1929).
insomma un’immagine, una citazione. Allude ad un castello, o ad un antico monastero; nasconde i patii segreti; permette insoliti tagli di luce
laterali; permette una grande flessibilità degli spazi interni, anche ipogei: sale espositive, sale di lettura, biblioteca, auditorium.
La monoliticità non è dunque uno stile. È qualcosa di molto più ampio.
Qualcosa che è sempre esistito e sempre esisterà al di là del tempo e
dei linguaggi; contrariamente all’etimologia stessa della parola, al di là
anche dei materiali. I più diversi materiali infatti possono racchiudere
lo spazio architettonico nascondendolo tra gli interni segreti di volumi
compatti. Ma parlare oggi di monoliticità ci porta a spostare la nostra
riflessione più in là rispetto a molti stereotipi della produzione contemporanea, che ha trasformato alcune suggestioni innovative delle
avanguardie in banali ripetizioni di stilemi senza anima. Vuol dire recuperare il senso non di un abaco, ma di un principio; non di una regola
ma di un’estetica tanto essenziale quanto profonda, di un canone solo
apparentemente scarno, riduttivo, antico e moderno insieme, ripartendo da uno tra i modi di comporre che Le Corbusier elencò, nel primo volume dell’Opera Completa, illustrandolo con la Villa a Garches. Fra “le
quattro composizioni” corbuseriane (Les 4 compositions) – dimostrate
con la presentazione di quattro ville progettate tra il 1922 ed il 1929 –
è la seconda quella che allude al monolite, ed è insieme la più povera e
la più complessa. Quella dove – si potrebbe dire – è la sezione la generatrice dello spazio interno. Sintetizzato graficamente con un piccolo
parallelepipedo “muto” arricchito solo dalla propria ombra propria, il secondo modo di comporre rappresenta per Le Corbusier la sfida più grande, la più difficile, “très difficile”; ma anche quella che – unica – può dare, quando è vinta, la soddisfazione più alta: “satisfaction de l’esprit”.
104
GEHRY
Le Corbusier
Venturi
Site
CHEAPSCAPE
URBANO
ICONA POP
Casa a S. Monica, California 1979-87
Dancing House, Praga 1996
Uffici Chiat a Venice,
1985-91 California
Prima di tutto realizziamo un modello dell’intorno dell’edificio: il contesto. Realizziamo molte
foto. E passiamo molto tempo sul posto […]. Osserviamo tentando di immaginare realmente
quali sono i problemi e come risolverli e in che maniera inserire il nostro edificio. Quindi
costruiamo dei blocchi, dei volumi di legno che corrispondono alle richieste del programma,
gli attribuiamo un codice di diversi colori […]. A questo punto iniziamo a osservare questi
Nio Architect
Rural Studio
Un Studio
scritti
esponenti, gli Smithson, interpreta, sia i principi espressi da
Mondrian, sia i contenuti che ritroviamo nel motto less is more
di Mies Van der Rohe. A questi unisce poi una attenta e accurata ricerca sui concetti fondamentali che stanno alla base dell’architettura tradizionale giapponese.
Il risultato è la creazione di un movimento architettonico che
nei termini di essenzialità semplicità elementarità, ritmo, sobrietà, verità, cura del dettaglio trova i suoi più esaustivi argomenti di ricerca. Proprio in Giappone scopriamo alcuni diretti
sostenitori del Movimento come ad esempio Arata Isozaki, K.
Myekawa, H.Iwamoto, Y.Aschihara. Come avviene nell’edificio di
Radic, le opere dei giapponesi sono caratterizzate da una alternanza di elementi in cemento armato disposti secondo un ritmo e di parti strutturali che si contrappongono, rappresentando un risultato eloquente ed esaustivo di una indagine che
muove proprio dai riferimenti accennati. L’architettura diviene,
così, il frutto di circostanze scomposte in gesti e movimenti,
che si configurano come elementi generatori di uno spazio che
assume, in alcuni tratti, dei caratteri di drammaticità.
RITMO STRUTTURALE COME IDEA DEL NON FINITO
Nel colorificio a Novi Ligure come nell’Istituto Marchiondi a
Baggio di Vittoriano Viganò lo spazio, articolato attraverso uno
schema regolare e cadenzato dei diversi elementi strutturali
viene espresso mediante il principio del non finito. Termine che
rappresenta per Viganò piuttosto una scelta di vita, accennando ad una valenza aperta. Il ritmo generato attraverso parti incrociate tra loro rappresenta, per l’architetto, la libertà, la possibilità che lo spazio e la materia non siano compiuti poichè non
esiste il perfetto-compiuto. L’architettura intesa come forma175
11.-12. S. Radic, Ristorante
Mestizo, 2007, fronte principale e
spazio interno.
Modernocontemporaneo
zione costruttiva, come avventura architettonica non può considerarsi come opera compiuta , ma deve avere la prerogativa di
un superamento del principio di confine, rientrando nell’abito
dell’opera in divenire. Come nella matrice neobrutalista Viganò
adotta un linguaggio diretto e scarno interpretato con pienezza semantica, attraverso l’uso del cemento armato a vista.
Non sappiamo se la traduzione di questi enunciati viene consapevolmente assorbita da Garcìa Abril e da Radic. Sta di fatto che
entrambi gli architetti hanno sicuramente appreso che la tecnologia moderna, così come appare nella sua complessità
morfologica e nella sua fantasiosità strutturale e costruttiva,
non può più continuare a dare i suoi frutti.
L’architettura deve e può ancora costruire nuovi spazi, ma solo
all’interno di una rivisitazione totale di alcuni contenuti architettonici.
Come nelle opere di riferimento il progetto di Abril, ma anche il
ristorante di Smiljan Radic non lavora sulla cura del dettaglio
ma sul principio del dettaglio elementare. Lo scopo è la creazione di un segno contraddittorio nei confronti di una tecnologia di supporto alla nuova architettura di immagine. Riporta il
dato costruttivo all’essenza con la volontà di recuperare i suoi
valori etici e entròpici. Nell’Hemeroscopium house ritroviamo
la qualità primitiva del gesto rituale, attraverso impulsi percettivi e provocazioni nei confronti di una architettura High-tech
che si offre senza indugio al mercato, divenendone nuovo simulacro. Il cemento armato che si evidenzia nelle diverse soluzioni neobrutaliste, così come nel progetto di Abril, fa da cornice ad una accentuazione della brutalità strutturale. Il senso di
pesantezza che comunica l’edificio viene alleggerito da una serie di vetrate collocate al piano terra, con lo scopo di svilire, forse, ogni retorica linguistica. Le pesanti travi vengono, infatti,
sorrette da un insieme di pilastri di dimensioni visivamente ridotte, quasi a richiamare l’idea di una struttura puntellata in attesa di una definitiva configurazione statica
ELEMENTO STRUTTURALE-ELEMENTO NATURALE
13. P. Mondrian, Composizione
lineare, 1930.
14. Mies van der Rohe, Casa
Farnsworth, 1945, dettaglio.
Un altro fattore importante contraddistingue la ricerca di Radic.
Se osserviamo ancora una volta attentamente il Ristorante
Mestizo notiamo che traspare una indagine legata al binomio
natura-artificio. I forti aggetti dati da lunghe travi in cemento
armato dipinto di nero vengono attenuati da una serie di pilastri che sono dei veri e propri massi monolitici di peso, forma e
altezza variabili. Sopra la prima orditura strutturale di dispone
una seconda sequenza di travi collocate parallelamente tra lo176
scritti
ro. La presenza delle pietre, il cui peso può arrivare a 10 tonnellate, garantisce visivamente ed effettivamente una certa stabilità e sicurezza all’edificio, risolvendo il sostegno di carichi statici di compressione della struttura.
La tensione prodotta dalla contrapposizione dei diversi elementi di duplice natura rimanda a diatribe ancestrali tra uomo
e natura. La trasposizione di significati e di segni dal mondo naturale a quello artificiale espresse ad esempio nel passaggio albero-pilastro, pietra-sostegno, insieme di menhir-muro, sottintende una volontà di ristabilire un ordine gerarchico tra le parti, espresso attraverso un vero e proprio conflitto. Non rappresenta una nuova attitudine.
Tornando indietro nel tempo troviamo alcuni esempi molto significativi che lavorano con dinamiche che riportano la natura
all’interno del progetto d’architettura. Riscontriamo ad esempio alcuni accenni nel Padiglione della Finlandia di Alvar Aalto
presentato all’Expo di Parigi del 1936, dove un patio viene sostenuto da tronchi d’albero oppure i neobrutalisti che fanno di
questo conflitto un motivo di ricerca. Non a caso diversi elementi naturali, decontestualizzati dal loro mondo, trovano all’interno dell’architettura New Brutalist nuovi significati. Sono
ancora testimonianza di quanto affermato alcune soluzioni di
177
15.-16. A. Isozaki,
Biblioteca di Oita, 1967.
17. H. Iwamoto, Teatro Nazionale a
Chioda, 1965, soluzione d’angolo.
18. Y. Ashihara, Padiglione
Giapponese, all’Expo di Montreal,
1962, soluzione d’angolo.
Modernocontemporaneo
1. O. Niemeyer, Brasilia: Palazzo
Itamaraty (Ministero degli Affari
Esteri), 1962 (la scala).
2. O. Niemeyer, Brasilia: Palazzo
Itamaraty (Ministero degli Affari
Esteri), 1962 (l’esterno le colonne).
3. O. Niemeyer Constantine
(Algeria): Università Houari
Boumedienne, 1969.
movimento. Nei suoi progetti le linee-forza della materia si trasformano in energia, non in puri fatti decorativi mortificati al ruolo di semplici proiezioni sui muri o sulle pareti. La Hadid predilige il lavorare con
geometrie agili, intense, dinamiche; dichiara inconsistente ogni divisione disciplinare delle arti, sonda l’energia delle linee curve e la poetica
della vibrazione tramite la “piegatura” e l’“ondeggiamento”. Sia per l’uno che per l’altra, la libertà plastica diventa matrice delle forme.
Ma ancora più evidenti sono alcune derivazioni rispetto al Maestro brasiliano, di cui la Hadid stessa parla, come ad esempio quelle tensioni che
la Hadid afferma di trovare nella sensuale eleganza delle case di Oscar
Niemeyer e, in particolare, nella abitazione privata realizzata per se
stesso a Canoas, vicino Rio de Janeiro nel 1953.
Il cemento è elemento comune al loro progettare ma è anche elemento di differenza: una differenza senza dubbio dovuta all’evoluzione delle tecnologie legate al materiale stesso.
Ad esempio Zaha Hadid ha scelto un self-compacting concrete (SCC)
per ottenere le superfici coniche pericolosamente inclinate e i tagli netti, dagli spigoli affilati, delle bucature del suo Phaeno Science Centre:
senza bisogno di vibrazione e quindi senza i conseguenti microvuoti, il
cemento superfluido garantisce una densità inusitata a sagome dinamiche che appaiono ritagliate dal laser.
Oscar Niemeyer utilizzava – ed ancora utilizza – il cemento secondo
una logica brutalista: il processo di rivelazione dei metodi costruttivi
che si avvia nell’immediato dopoguerra prende forza proprio nel trattamento brutalista riservato al conglomerato.
Passando da Le Corbusier, a Niemeyer per l’appunto, fino a Kahn, a
Scarpa e, a tappe forzate e più recentemente, fino a Tadao Ando, progressivamente il cemento armato assume un nuovo ruolo trasformandosi da materiale per strutture a materiale per superfici.
Oscar Niemeyer nel suo libro A forma na arquitetura del 1978 scrive:
«nell’architettura la forma plastica ha potuto evolversi grazie alle
nuove tecniche e ai nuovi materiali che le danno aspetti differenti e
innovatori. Dapprima vi furono le forme massicce rese necessarie dalle costruzioni in pietra e mattone; poi sorsero le volte, gli archi e le
ogive, i vani immensi, le forme libere e inattese che il cemento ha reso possibili e che sollecitano sempre più verso temi moderni […] Non
riuscivo a capire, nell’epoca del cemento armato che offriva tutte le
possibilità, perché l’architettura di quel tempo usasse un vocabolario
tanto freddo e ripetitivo, incapace di esprimere in tutta la loro grandezza e pienezza quelle possibilità […] mi rivoltai completamente
contro il funzionalismo, desideroso di vederla realizzata con tutte le
nuove tecniche ed entrare nel campo della bellezza e della poesia.
Questa idea giunse a dominarmi, come una forza interiore insopprimibile, che nasceva a volta a volta da antichi ricordi, delle chiese di
280
scritti
Minas Gerais, delle donne belle e sensuali che si incontrano nella vita, delle montagne tronche, scultoree e indimenticabili del mio paese. “Oscar, tu hai le montagne di Rio negli occhi”, ecco cosa mi disse
un giorno Le Corbusier» (Niemeyer 1978).
Niemeyer critica con grande convinzione la cultura architettonica del
moderno che impone al cemento l’ortogonalità rigorosa, la riduzione
del vocabolario costruttivo a pilastri, travi, solette, quel sistema trilitico omogeneo, più adatto forse al ferro, in nome invece di un rifiuto del
telaio monolitico, della prigione cubica; per veleggiare verso sagome
curvilinee, forme morbide, geometrie complesse rese possibili dalla plasmabilità, peculiare proprietà di questa composita pietra artificiale resistente a flessione.
Ed ancora oggi Niemeyer afferma la grande potenzialità che offre questo materiale a condizione che se ne conoscano bene le regole, e pur
sempre restando nelle sue logiche costruttive: «penso che l’architetto
possa cercare la libertà plastica attraverso il cemento ma senza contraddire mai la logica della tecnica costruttiva […] io sono molto orgoglioso delle conoscenze acquisite sul cemento armato e mi piace molto speculare sulle sue possibilità tecniche» (Niemeyer 2007).
Altro punto in comune dei due architetti è il riferimento alla forma
astratta: «era la forma astratta che mi attraeva più frequentemente, pura e sottile, libera nello spazio alla ricerca dell’effetto architettonico. E ad
essa mi attenevo, ricercandola con ogni tecnica» (Niemeyer 1978).
Zaha Hadid lavora con geometrie agili, intense, dinamiche; ritorna ad
uno spazio fluido contrassegnato da punti, linee, superfici. E recupera non solo l’esperienza neoplastica di Mondrian e Van Doesburg ma
anche quella più fluida di Kandinsky; un ritorno alle fonti, alle origini
dell’astrattismo quando le due linee, la forma rigidamente geometrica dei neoplasticisti e quella intensamente emotiva dei russi, non si
erano ancora separate.
Libertà plastica implica anche uno stretto rapporto tra forme architettoniche e forme scultoree, caratteristica che sia Niemeyer che Hadid
affermano con le loro parole e con le loro opere: «La preoccupazione di
creare la bellezza è, senza dubbio, una delle caratteristiche più evidenti dell’essere umano, sempre in estasi davanti a questo affascinante universo in cui viviamo. E ciò lo ritroviamo nelle epoche più remote, con il
nostro preistorico predecessore che dipinge le pareti della sua caverna
ancor prima di costruire il suo rifugio. E la stessa cosa si ripete nei tempi seguenti, a partire delle piramidi d’Egitto. Architettura-scultura, forma libera e dominatrice sotto gli spazi infiniti [...]. La bellezza e la forma plastica nell’architettura, questo è il tema di cui voglio parlare […]
La mia intenzione era di mostrare come il problema plastico era laboriosamente pensato e come ci impegnavamo con cura in esso»
(Niemeyer 1978).
281
4. Z. Hadid , Cagliari, Museo del
Mediterraneo dell’arte nuragica e
contemporanea, 2007 (concorso).
5. O. Niemeyer, Rio e Janeiro, Casa
das Canoas, 1953.
6. Z. Hadid, Wolfsburg (Germania),
Phaeno Science Center, 2005.
Modernocontemporaneo
7. Z. Hadid, Londra, Malevich’s
Tektonik, 1977 (non realizzato).
8. Z. Hadid, Londra, Grands
buildings Trafalgar square, 1985
(masterplan-non realizzato).
Zaha Hadid in più occasioni ha affermato – sia attraverso scritti che
progetti – che se l’arte è pura sensibilità plastica, non ha più senso
parlare di pittura, scultura e architettura come attività distinte perché tutte contribuiscono a un solo fine: la costruzione di uno spazio
in cui cessa ogni differenza tra il figurativo e l’esistenziale, cioè in cui
vita e arte coincidono.
La libertà plastica attraverso l’utilizzo di forme curve e dinamiche negli edifici di Niemeyer, come anche nelle architetture di Hadid, porta lo
spettatore ad essere immerso in un senso di continuità spaziale tra
esterno ed interno, in un senso di fluidità: «La stessa curva, che tanto li
turbava, era da essi disegnata in modo fiacco e sfibrato, poiché sentivano l’architettura, come noi, strutturata e fatta di curve e rette. Non
riuscivano a comprendere neppure le colonne, che noi non accettavamo per i nostri edifici e che sostituivamo con forme libere e varie. Un
giorno, raccontai come le progettavo, come nel disegnarle mi vedevo
passeggiare tra esse e gli edifici, immaginando le forme che avrebbero
avuto, la possibilità di variare i punti di vista» (Niemeyer 1978).
Nel progetto per Trafalgar Square, la Hadid privilegia non l’oggetto, ma
la traiettoria, non la forma nella sua sinteticità, ma i componenti nelle
loro reciproche interrelazioni. Fine quindi dell’ossessione per le icone o
per le figure in sé e per sé concluse e apertura a una fenomenologia dello spazio mediante la quale l’osservatore, dapprima disorientato, riacquista il controllo del reale solo a condizione di riconcettualizzarlo attraverso il confronto di più punti di vista.
Il tema della forma nell’architettura è sicuramente un argomento assai
complesso e certo non si può esaurire in queste poche righe. Ma ciò che
mi preme sottolineare oggi, più che mai, e soprattutto nell’ottica pedagogica in cui si pone questo libro, è l’importanza delle ragioni profonde della forma architettonica.
Oggi è oggettivo il dato relativo alla particolare attenzione che gli architetti contemporanei pongono nella definizione della forma e, di conseguenza, dell’immagine dell’opera che però troppo spesso coincide con
la ricerca della spettacolarizzazione dell’oggetto architettonico. Ciò porta gli architetti a indagare oggi il tema della forma alla quale si piegano, dimenticando sempre più la logica della triade vitruviana.
Dall’analisi relativa seppure ad uno solo degli aspetti della filosofia progettuale di Niemeyer e della Hadid, cioè quello della libertà plastica,
emerge comunque e con forza che non vi è mai gratuità delle forme
progettate ma che esse nascono sempre da profonde ragioni e da
profonde radici che toccano i grandi temi dell’architettura come il legame con l’arte, con la tecnologia, l’unità, le proporzioni, il rapporto forma-funzione, ovvero toccano quei valori permanenti che sono alla base di ogni vera opera d’arte, e pertanto, sempre attuali e riconoscibili
dall’uomo di ogni epoca.
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