Percorsi modulari storia antica e medioevale

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PERCORSI TEMATICI
AGRICOLTURA
Il primo passo verso la scoperta dell’'agricoltura si ebbe già nel Paleolitico, quando le donne
raccoglievano bacche commestibili e frutti per il sostentamento. La «rivoluzione agricola» si colloca
invece nel Neolitico e si spiega con una serie di cause, tra le quali i mutamenti climatici seguiti alla
quarta glaciazione, l'intuizione dei cicli riproduttivi della vegetazione, la tendenza agli insediamenti
stanziali. L'introduzione della metallurgia perfezionò poi la qualità e l'efficienza degli utensili per il
lavoro agricolo.
La culla della rivoluzione agricola fu la Mesopotamia, zona che, grazie alla sapiente opera di
canalizzazione del Tigri e dell'Eufrate, risultava assai fertile, e che costituiva l'estremità orientale della
cosiddetta «Mezzaluna fertile»: il lavoro agricolo fu infatti un settore di grande rilievo delle economie
assirobabilonese, sumera ed egiziana; le colture più diffuse erano alcune piante alimentari: palma, grano,
orzo. In Egitto la fertilità del suolo era garantita dalle inondazioni del Nilo, al punto che, grazie al limo
lasciato dalle piene del fiume, non erano necessarie particolari attrezzature per la coltivazione.
Le civiltà dell'Egeo trovarono nella coltivazione dei cereali, della vite e dell'olivo la possibilità di una
sopravvivenza autarchica. I Cretesi e i Fenici produssero questi beni anche per l'esportazione.
Agricolopastorale si può definire la prima fase di sviluppo della civiltà greca dei «secoli bui»,
caratterizzata da un'economia di sopravvivenza che troviamo descritta nell'Iliade, nell'Odissea e dal poeta
Esiodo: questo regime economico contraddistinse anche i primi secoli di storia delle póleis greche. A
Sparta l'agricoltura fu la fonte principale per il sostentamento dei cittadini: le terre, assegnate agli
Spartiati, erano coltivate dagli Iloti. Ad Atene e nelle altre città greche, in epoca classica, l'economia si
fondò su un'integrazione tra attività agricola, commercio e, talvolta, «industria» della guerra. In età
ellenistica venne incrementato lo sfruttamento delle risorse agricole mediante opere idrauliche e
l'introduzione di nuove colture. Sempre a questo periodo risale la formazione del latifondo.
Agricola era l'economia della valle dell’'Indo. Per proteggere i campi dalle inondazioni furono costruiti
argini in muratura. Si coltivavano grano, orzo, piselli, ma non ancora il riso, introdotto in seguito dalla
popolazione degli Arii.
Nel Tavoliere delle Puglie, nel VI millennio a.C., l'attività prevalente era l'agricoltura, attività primaria
anche nella civiltà terramaricola, a partire dal 1600 a.C.: essa si affiancava alla caccia e all'allevamento ed
era basata sulla rotazione delle colture che consentiva di sfruttare meglio le terre.
Grande importanza rivestiva l'attività agricola anche nell'economia della civiltà nuragica e in quella
etrusca delle origini.
Agricolopastorale era l'economia del primitivo villaggio che, nei secoli X e IX a.C., costituì sul colle
Palatino il nucleo della città di Roma. In realtà il Lazio conobbe, in epoca arcaica, un'economia agricola
di pura sopravvivenza, affidata soprattutto a prodotti quali l'orzo e il farro. Una svolta si ebbe dopo le
guerre puniche, quando il commercio prese il sopravvento. Molte terre inaridirono poiché i contadini
erano stati chiamati alle armi per molti anni; la coltivazione intensiva dei cereali divenne poco redditizia
per i piccoli proprietari, che a poco a poco scomparvero per lasciare spazio alle grandi proprietà terriere
organizzate secondo il sistema della villa, in cui divenne conveniente abbandonare la coltivazione intensiva del grano a favore di prodotti più redditizi, come olio e vino.
Nel secolo II d.C. l'agricoltura decadde: per risanarla, gli imperatori obbligarono i senatori a comprare
terreni in Italia e vietarono l'impianto di vigneti in territori non italici. Ma furono provvedimenti insufficienti: l'agricoltura, affidata a mezzi arretrati ed esposta al rischio di calamità, non poteva sostenere
le spese di mantenimento delle città, che da essa dipendevano completamente. Inoltre l'avanzata del
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latifondo nuoceva alla produzione, visto che il surplus prodotto dalle grandi fattorie non veniva
reinvestito per migliorare il rendimento delle campagne. Le grandi tenute furono divise in piccoli lotti
affidati ai «coloni». Le campagne erano inoltre esposte al brigantaggio e all'arbitrio degli esattori delle
imposte: gli imperatori emisero leggi a tutela dell'agricoltura, ma dopo il secolo II d.C. le campagne
furono lasciate al loro destino. Traiano agevolò i prestiti ai piccoli proprietari terrieri indebitati e tutelò
l'agricoltura italica, ma, verso la metà del secolo II d.C., un'epidemia di peste colpi numerose campagne,
che non si risollevarono più.
Nel secolo III d.C., con le invasioni germaniche, vi fu una notevole diminuzione della produzione
agricola; il colonato si diffuse; le masse rurali lavoravano in una condizione di schiavitù di fatto, senza
mezzi per apportare migliorie e senza poter godere di strumenti agricoli adeguati. Nel frattempo venne
meno l'integrazione tra città e campagna.
Con l'avvento dei regni barbarici, i Germani presero per sé solo una parte delle terre, lasciando
all'aristocrazia romana la maggioranza delle proprietà.
Nell'Arabia preislamica l'agricoltura veniva praticata in corrispondenza delle oasi e lungo la fascia
costiera del mar Rosso. La diffusione dell'Islam ebbe un'importanza notevole per l'agricoltura della
Sicilia: vennero frazionati i latifondi, migliorati i sistemi di irrigazione e introdotte nuove coltivazioni,
tra cui il gelso, la canna da zucchero, alcuni agrumi e il cotone. Gli Arabi diffusero in Occidente alcune
colture quali l'arancio, l'albicocco, il limone, il carciofo, e alcune spezie precedentemente ignote: noce
moscata, cannella, zafferano, zenzero.
Nel periodo successivo al secolo X d.C., nell'Occidente europeo vi furono notevoli innovazioni che
permisero di aumentare la produttività delle campagne: si trattò di una ripresa rispetto alla contrazione
dell'economia registratasi in epoca carolingia, quando la povertà dei concimi e la rozzezza delle
attrezzature causarono una scarsa produttività delle terre. Carlo Magno fece assegnazioni di terre,
concesse in possesso temporaneo, che diedero vita al sistema feudale, nell'ambito del quale la
conduzione dei latifondi era affidata a coloni (i massari), che pagavano un tributo annuale in natura e
prestavano la loro opera per gestire anche la parte del latifondo di stretta proprietà del padrone.
Con l'affermazione della signoria di banno, intorno all'anno Mille, i signori investirono parte dei loro
proventi nel miglioramento delle tecniche di produzione agricola: mulini, frantoi e altre macchine
contribuirono alla cosiddetta rivoluzione agraria. I disboscamenti e le bonifiche resero più ampie le
superfici coltivabili. La riduzione della superficie delle foreste fu favorita, tra l'altro, da un mutamento
del clima europeo, che divenne più caldo e secco. I fenomeni più significativi di questa rivoluzione
furono un aumento quantitativo della produzione agricola e un aumento della produttività delle terre.
Nell'Europa settentrionale si diffuse l'aratro pesante, che consentiva un'aratura più profonda ed
efficace, e fu introdotto l'uso del cavallo da tiro al posto dei buoi; in molte aree prese piede la rotazione
triennale delle colture per estendere la superficie sfruttabile all'interno di un'area coltivabile. Venne
introdotta infine la pratica della semina differenziata, per sfruttare più razionalmente il suolo e per
consentire un'alimentazione più equilibrata. Questi miglioramenti e innovazioni continuarono per tutto
il Medioevo.
ANIMA E CULTO DEI MORTI
Il culto dei morti risale almeno all'uomo di Neanderthal che seppelliva i morti in caverne che adornava
con suppellettili. Pare che l'oltretomba non avesse un ruolo fondamentale nelle credenze dei Sumeri,
che peraltro praticavano riti magici per placare le anime dei defunti. La civiltà egiziana imperniò invece
gran parte della propria cultura e della propria religione sul culto dei morti. L'oltretomba egiziano era un
luogo di perfezionamento in cui le anime godevano per l'eternità di tutti i beni di cui avevano già
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goduto sulla Terra, diversamente dai morti mesopotamici, immaginati come inquieti e privi di ogni
gioia. Testimonianze del culto dei morti nella civiltà micenea sono il cerchio di tombe della città «ricca
d'oro» e la maschera funeraria detta «di Agamennone». La Bibbia testimonia alcune forme di esorcismo
contro gli spiriti dei defunti in uso presso l'antico popolo ebraico. Lo sciamanesimo prestava grande attenzione al culto dell'anima, al punto che si diventava sciamani per una sorta di chiamata degli spiriti; gli
sciamani erano inoltre ritenuti capaci di separare il proprio corpo dall'anima. I Persiani non seppellivano
né cremavano i defunti, per evitare che i cadaveri contaminassero gli elementi naturali: perciò li
abbandonavano in cima a torri altissime dette «torri del silenzio». Riguardo all'anima, essi ritenevano
che fosse contenuta e costretta all'interno della materia.
Secondo la concezione omerica l'anima (psyché) era una sorta di «doppio del corpo», che dopo la morte
continuava la sua esistenza infelice nell'Ade, tornando talvolta a visitare il mondo dei vivi e a
comunicare con essi attraverso i sogni. All'anima veniva data grande importanza anche dai seguaci
dell'orfismo: essi credevano che solo gli iniziati si sottraessero al ciclo di reincarnazioni, accedendo
direttamente al mondo dei beati. Platone formulò l'idea di un'anima immortale e preesistente rispetto al
corpo. Per Aristotele invece esistevano un'anima vegetativa, preposta alla generazione e alla crescita,
un'anima sensitiva, per l'attività percettiva e per il movimento, e un'anima intellettiva, per la conoscenza.
L'uomo di Neanderthal che abitava la penisola italica usava seppellire i propri morti. I resti del
cosiddetto uomo del Circeo hanno fatto pensare a pratiche di cannibalismo rituale. La civiltà
villanoviana non praticava l'inumazione, ma l'incinerazione dei defunti. I Romani conoscevano invece
entrambe le pratiche funerarie. La civiltà nuragica ha lasciato le celebri «tombe dei giganti», destinate a
sepolture collettive. Gran parte della religione etrusca è legata al culto dell'oltretomba: molte documentazioni etrusche sono infatti di natura funeraria. Le testimonianze più antiche di questa civiltà
rivelano una concezione ottimistica dell'oltretomba; le più recenti, invece, presentano una concezione
più cupa. Secondo la religione etrusca, l'anima era attesa nell'Ade da alcuni demoni ostili e da altri
amichevoli.
Lapidi funerarie provenienti dal Gargano mostrano che le popolazioni che abitavano quella zona prima
dell'arrivo dei Romani concepivano la vita dei defunti come una ripetizione della vita terrena, anche se
popolata a volte da mostri infernali. I Romani temevano i Lemures, le maligne anime dei defunti
impiccati, e le esorcizzavano appendendo piccole bambole di legno (oscilla) ai rami degli alberi. Gli
antenati defunti vivevano simbolicamente nelle case romane, effigiati in statuette di cera racchiuse in
armadi cui solo il paterfamilias aveva accesso. I funerali delle famiglie nobili erano spettacoli fastosi che
culminavano sempre in un discorso elogiativo delle imprese del defunto, il quale entrava a far parte
della schiera degli antenati, detti maiores.
Per la dottrina cristiana la vita e la morte sono doni di Dio, dei quali non si può disporre
arbitrariamente, mentre per lo stoicismo la morte era una scelta opportuna per il saggio che non poteva
più svolgere il proprio compito tra gli uomini.
In età imperiale si diffuse l'uso, in tutte le zone dell'impero, di incidere sulle pietre sepolcrali riferimenti
alla vita privata del defunto. Alcune volte potevano comparire anche imprecazioni, cosi come potevano
essere pronunciate orazioni funebri denigratorie: celebre quella dell'imperatore Commodo. Al culto
della dea Cibele si legava in epoca imperiale il mito di Attis, il giovane amico della dea rinato dopo una
morte violenta: le feste legate a questo mito segnavano la rinascita della natura in primavera e
simboleggiavano la rinascita dell'anima dopo la morte. Il cristianesimo predicò il rispetto di alcune
norme morali, che sarebbe stato ricompensato con una vita serena dopo la morte.
La riflessione medievale sull'anima fu condotta; in sede filosofica, da parte di pensatori di tradizione
aristotelica. Gli arabi Avicenna e Averroè discussero sull'immortalità personale delle anime; mentre
Tommaso d'Aquino cercò di conciliare la teoria aristotelica dell'anima come forma del corpo con l'idea
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platonica e cristiana dell'anima come sostanza. Nel Medioevo si affermò l'idea dell'sistenza del purgatorio, luogo di passaggio dove le anime subivano punizioni simili a quelle dell'inferno e funzionali al
raggiungimento dello stato di beatitudine del paradiso: il purgatorio, teorizzato come concetto dai
teologi cristiani del secolo Xn, prima ancora di essere descritto nella Commedia di Dante, si ritrova in
numerosi altri documenti letterari del primo Medioevo.
Un'attenzione particolare al tema dell'anima e della sua purificazione si ebbe ovunque nella cristianità
intorno all'anno Mille, quando in Europa si diffuse l'ansiosa attesa di una presunta imminente fine del
mondo.
ARMI E BATTAGLIE
L'Australopiteco usava, come armi di offesa e di difesa, oggetti disponibili in natura, quali pietre e
bastoni, che testimoniano l'esistenza di lotte per lo sfruttamento delle risorse naturali. Solo in uno
stadio successivo l'Homo habilis e l'Homo erectus usarono armi per la caccia. L'uomo di Neanderthal
impiegava utensili di pietra, quali raschiatoi, coltelli, punte di lancia. Al Mesolitico risale l'invenzione
dell'arco per la caccia di piccoli animali; al Neolitico quella della fionda: in questo periodo si combatteva
soprattutto contro i gruppi nomadi che insidiavano la sicurezza dei villaggi per compiere razzie. Con la
scoperta del rame si fabbricarono con questo materiale punte di freccia e asce, che vennero poi
perfezionate e modificate nell'età del bronzo e nell'età del ferro.
Nella storia della civiltà sumera le battaglie più famose furono quelle combattute da Sargon contro le
città di Uruk, di Ur e di Lagash intorno al III millennio a.C.
Gli Hittiti, popolo guerriero, utilizzarono spade e carri da combattimento trainati da cavalli: con questi
mezzi, intorno al 1500 a.C, conquistarono Babilonia. Essi affrontarono poi gli Egiziani: lo scontro più
importante fu quello di Qadesh nel 1274 a.C. Gli Egiziani «importarono» il carro da guerra dagli Hyksos
e lo impiegarono largamente nei loro eserciti. Presso la pacifica società cretese le spese militari non
furono mai particolarmente gravose: l'ascia bipenne (ossia a due tagli) fu soltanto un simbolo di potere.
Gli Assiri perfezionarono l'uso di archi, carri da combattimento, macchine d'assedio: con questi
strumenti combatterono numerose battaglie tra l'800 e il 650 a.C, sottomettendo il regno di Israele ed
espugnando Babilonia. Il loro re, Assurbanipal, nel 650 a.C. circa, conquistò Menfi e Tebe.
Le descrizioni di armi abbondano nell’Iliade e nell’Odissea, dato che la guerra, le razzie, le spoliazioni
erano fonti di sostentamento primarie per la Grecia omerica. Strettamente connessa allo sviluppo della
vita della pòlis fu l'introduzione della falange oplitica: un manipolo scelto di uomini dotati di armature di
bronzo e di lance, che combattevano a ranghi serrati. La tattica oplitica fu impiegata con successo da
Sparta nelle due guerre messemene del 740720 a.C. e del 660640 a.C. Durante le guerre persiane, questo
tipo di schieramento fu protagonista della vittoria ateniese nella battaglia di Maratona del 490 a.C.
Nella seconda spedizione persiana (480 a.C.) furono invece due gli scontri decisivi: uno alle Termopili,
dove il contingente spartano fu decimato; l'altro nelle acque di Salamina, dove l'ateniese Temistocle
distrusse la flotta spartana. Nel 479 a.C, con le battaglie di Platea e di Micale, i Greci sconfissero
definitivamente i Persiani. Nel 480 a.C. i Greci combatterono anche a Imera contro i Cartaginesi e nel
474 a.C. i Siracusani sconfissero gli Etruschi a Cuma, aprendo la strada al dominio greco nel
Mediterraneo. In seguito, nel 452 a.C, fu la flotta ateniese, accorsa in aiuto all'Egitto, a registrare una
sconfitta lungo le coste del mar Rosso.
Durante la prima fase della guerra del Peloponneso gli Ateniesi vinsero a Sfacteria nel 425 a.C, ma
furono battuti ad Anfipoli nel 422 a.C. La spedizione in Sicilia, iniziata nel 415 a.C, si concluse due anni
dopo con la distruzione della flotta ateniese. Fra le sconfitte registrate dai Greci in Occidente contro i
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Cartaginesi, particolarmente pesanti furono quelle che si conclusero con la distruzione di Imera,
Selinunte, Agrigento.
Intanto il regno persiano era dilaniato dai contrasti interni tra Ciro il Giovane e suo fratello Artaserse,
che risultò vittorioso nella battaglia di Cunassa del 401 a.C, cui partecipò anche un contingente greco.
Nel 394 a.C, nella battaglia di Cnido, la flotta persiana, guidata dall'ateniese Solone, sconfisse gli
Spartani. Questi dovettero soccombere anche nella guerra contro Tebe: nello scontro di Leuttra (371
a.C.) Epaminonda sperimentò una tecnica militare innovativa, basata sul rafforzamento dell'ala sinistra
dell'esercito.
L'ascesa della potenza macedone portò Filippo II ad annientare le forze ateniesi e tebane nel 338 a.C. a
Cheronea: il sovrano apportò una vera e propria rivoluzione al suo esercito, introducendo la falange.
Alessandro il Grande esordì distruggendo Tebe nel 335 a.C; nella spedizione contro la Persia riportò
grandi successi nella battaglia del Granico nel 334 a.C. e in quella di Isso del 333 a.C; battè poi i
Macedoni a Gaugamela nel 331 a.C. Spintosi a Oriente, combattè all'Idaspe nel 326 a.C, sconfiggendo il
re indiano Poro. Nel periodo delle lotte tra i diàdochi, le battaglie più importanti si svolsero a Ipso, nel
301 a.C, tra Babilonesi e Traci alleati contro i Frigi; e nel 281 a.C a Curupedio, dove ebbero fine le lotte
tra i diàdochi e si formarono i tre regni di Macedonia, Asia Minore ed Egitto.
Con l'età del bronzo, nel II millennio a.C, si diffusero anche in Italia le tecniche di fusione e di
lavorazione dei metalli: ciò portò al perfezionamento di alcune armi, di cui rimangono dei resti (punte
di lance, asce e falcetti). Durante la loro espansione, gli Etruschi lottarono contro i Romani, le
popolazioni dell'Appennino e le città greche di Cuma e Napoli. Nel 545 a.C sconfissero i Greci ad
Alalia, ma furono in seguito sconfitti da questi a Cuma nel 474 a.C. I Cartaginesi, nella loro espansione
verso l'Italia, si scontrarono nel 480 a.C. a Imera con i Greci. Le leggende sull'origine di Roma parlano
di una guerra tra Romani e Sabini, mentre è probabile che Latini e Sabini si siano fusi con i Romani per
organizzarsi militarmente e da un punto di vista religioso.
La storia militare dei primi secoli di Roma è segnata dalla difesa contro l'offensiva etrusca, dalle lotte
contro Equi, Volsci, Sabini, dalla guerra contro alcune città latine. Porsenna, condottiero degli Etruschi,
guidò la controffensiva dopo la cacciata dei Tarquini: dopo aver assediato Roma e aver dettato gravose
condizioni di pace, venne sconfitto nel 504 a.C. ad Ariccia. Uno scontro violento tra Roma e i Latini si
ebbe nel 496 a.C. al lago Regillo. Le guerre contro Equi e Volsci occuparono il periodo compreso tra il
490 e il 430 a.C; a esse si aggiunse la guerra contro Veio, conclusa nel 396 a.C.
Roma basava il proprio esercito sulle legioni, che inizialmente erano due e comprendevano ciascuna
4000 uomini. Le legioni aumentarono poi di numero. Le prime guerre furono combattute a ranghi serrati (secondo lo schema della falange), poi venne introdotto lo schieramento su quattro file. Le armi
erano un'asta pesante (hasta), e poi il giavellotto (pilum). La novità strategica romana fu l'ordinamento
manipolare: ogni manipolo era una piccola unità di centoventi soldati provvista di una sua autonomia e
schierata a scacchiera. A fianco delle legioni combattevano anche alcuni contingenti di cavalleria.
I Romani furono sconfitti dai Galli guidati da Brenno nel 390 a.C. presso il fiume Allia.
Nel 345 a.C. si scontrarono per la prima volta con il forte esercito sannita, fiancheggiato da un'efficiente
cavalleria e dotato di armi quali il giavellotto e lo scudo ovale (scutum) che in seguito adottarono anche i
Romani.
La seconda guerra sannitica durò circa vent'anni, dal 326 al 304 a.C, e si concluse con la cessione della
Campania a Roma. La terza guerra sannitica vide i Romani definitivamente vittoriosi nella battaglia di
Sentino del 295 a.C.
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Pirro guidò i Greci di Taranto contro Roma nella battaglia di Eraclea del 280 a.C, alla quale segui, nel
279 a.C, quella di Ascoli Satriano: in entrambi i casi i Greci riuscirono vittoriosi. Nel 275 a.C. tuttavia
furono i Romani a prevalere definitivamente a Benevento.
I Cartaginesi furono sconfitti da Romani, Greci e Italici una prima volta a Milazzo nel 260 a.C. Durante
questo episodio iniziale della prima guerra punica le navi romane impiegarono per la prima volta i
«corvi»: ponti mobili che, calati sulle navi nemiche, permettevano ai legionari un facile abbordaggio.
Attilio Regolo sconfisse poi la flotta cartaginese presso il Capo Ecnomo nel 256 a.C. L'esercito romano
fu però annientato a Tunisi l'anno seguente. Nel 222 a.C. a Casteggio i Romani sconfissero i Galli e con
questa vittoria si aprirono le porte al dominio nell'Italia settentrionale.
I primi scontri della seconda guerra punica avvennero nel 218 a.C. presso il fiume Trebbia e sulle rive
del Ticino, dove si registrarono vittorie cartaginesi. Nel 217 a.C. l'esercito romano venne sbaragliato
anche presso il lago Trasimeno e l'anno successivo subì la gravissima sconfitta di Canne. La battaglia
conclusiva fu però vinta dai Romani a Zama nel 202 a.C: in quell'occasione Scipione sbaragliò Annibale
e i suoi uomini.
Nel 197 a.C, spintisi alla conquista dell'Oriente, i Romani di Tito Quinzio Flaminino, affiancati dalle
forze della Lega etolica, sconfissero Filippo V di Macedonia. Nel 191 e nel 190 a.C. vinsero Antioco
III di Siria, rispettivamente alle Termopili e presso la città di Magnesia.
Nel 168 a.C. Lucio Emilio Paolo portò nuovamente i Romani al successo contro i Macedoni nella
battaglia di Pidna.
Nel 146 a.C, ancora a Pidna, Quinto Cecilio Metello costrinse le truppe macedoni e greche alla resa.
La terza guerra punica, iniziatasi nel 149 a.C, si concluse tre anni più tardi con la completa distruzione
di Cartagine.
Nel 112 a.C. Roma dichiarò guerra al re della Numidia Giugurta, e lo sconfisse nel 105 a.C.
Caio Mario sconfisse poi i Teutoni ad Aquae Sextiae nel 102 a.C, e i Cimbri ai Campi Raudii nel 101
a.C. Gli scontri più importanti della cosiddetta guerra sociale si ebbero nel 91 a.C. ad Ascoli Piceno,
dove Siila ebbe la meglio sui Marsi, i Sanniti e gli altri socii italici.
Nell'89 a.C. scoppiò poi la guerra tra Roma e Mitridate, re del Ponto, che provocò la lotta tra Mario e
Siila, e nell'82 a.C, nella battaglia di Porta Collina, gli Italici vennero definitivamente annientati da Siila.
Nel 107 a.C. Mario ristrutturò l'esercito, trasformandolo da esercito di leva a esercito prevalentemente
composto di volontari. I soldati vennero armati tutti allo stesso modo, cioè come fanteria pesante.
Una seconda guerra mitridatica fu combattuta con successo da Pompeo e si concluse nel 63 a.C Tra i
disordini civili che agitarono gli ultimi anni della repubblica spicca la congiura di Catilina, che si
concluse nel 62 a.C. con una battaglia presso Pistoia, dove Catilina e i suoi uomini furono sconfitti dalle
truppe consolari.
Un'aspra guerra venne condotta contro le popolazioni della Gallia: l'esercito guidato da Giulio Cesare
sconfisse nel 58 a.C. gli Elvezi a Bibracte, i Germani di Ariovisto presso il Reno, e nel 57 a.C. i Belgi.
Nel 52 a.C, in una successiva spedizione, Cesare sconfisse gli Arverni di Vercingetorige dopo l'assedio
di Alesia.
La lotta civile tra Cesare e Pompeo culminò nella battaglia di Far salo del 48 a.C, dopo la quale Pompeo
fuggi e venne ucciso. Nel 47 a.C. Cesare sedò una ribellione scoppiata in Asia Minore per iniziativa di
Farnace e, sempre nello stesso anno, a Tapso, sconfisse i pompeiani, affrontati vittoriosamente anche a
Munda nel 45 a.C.
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Dopo la morte di Cesare, nella lotta divampata per il controllo di Roma, Antonio e Ottaviano si
scontrarono nel 43 a.C. a Modena: il primo fu battuto e costretto alla fuga. In seguito Ottaviano e
Antonio sconfissero i cesaricidi Bruto e Cassio nella battaglia di Filippi del 42 a.C.
Il 36 a.C. fu un anno fitto di scontri militari: Sesto Pompeo venne vinto nella battaglia navale di
Nauloco da Agrippa, un generale di Ottaviano; Ottaviano dal canto suo condusse una infruttuosa
campagna contro i Parti.
Nel 33 a.C. Ottaviano dichiarò guerra all'Egitto della regina Cleopatra, il cui esercito era guidato da
Antonio, e riportò una vittoria decisiva nella battaglia navale di Azio nel 31 a.C.
In seguito, Ottaviano Augusto riformò l'esercito, riducendo da quaranta a venticinque il numero delle
legioni e creò un corpo di novemila uomini, detti pretoriani, a difesa della persona del principe.
Durante le guerre condotte da Augusto in Occidente, lo scontro più importante fu quello della selva di
Teutoburgo del 9 a.C, che segnò la sconfitta romana a opera dei Germani.
Tiberio invece sconfisse ripetutamente i Germani tra il 14 e il 16 d.C. Nerone tra il 58 e il 63 d.C.
riconquistò l'Armenia e ottenne un prestigioso successo contro i Parti. Sotto Vespasiano fu condotta
una guerra contro gli Ebrei, che si concluse con la conquista di Gerusalemme nel 70 d.C. Traiano guidò
una campagna contro i Daci (101 d.C), sottomettendo tutta la regione del Danubio. Con una serie di
spedizioni vittoriose, egli riuscì ad annettere la regione della Mesopotamia e prostrò i Parti.
I Parti furono sconfitti nuovamente nel 165 d.C. da Crasso e Vero, generali di Marco Aurelio. Nel
frattempo avanzavano da nord i Quadi e i Marcomanni, che furono fermati nel 166 d.C. ad Aquileia.
Tra le popolazioni che rappresentavano una seria minaccia per i confini dell'impero (nonostante le
sconfitte subite) vi erano i Parti: dotati di una cavalleria di «catafratti» (che combattevano in prima linea
protetti da una corazza impenetrabile e muniti di una lunga lancia), espugnarono Antiochia nel 256 d.C,
e catturarono in battaglia l'imperatore Valeriano nel 268 d.C.
Ulteriori battaglie con esito infelice per i Romani furono combattute negli anni successivi contro i Parti
e i Goti. A partire dall'impero di Gallieno, invece, i Romani riportarono vittorie su Sasanidi, Germani,
Goti, Vandali.
Dopo l'abdicazione di Diocleziano, si apri una contesa tra Costantino e Massenzio, conclusasi nella
battaglia di Ponte Milvio (312 d.C), con la vittoria di Costantino.
Giuliano, continuando la lotta contro le popolazioni barbare, sbaragliò gli Alemanni presso Strasburgo
intorno al 360 d.C, ma mori nella battaglia di Ctesifonte combattendo contro i Parti.
Catastrofica per l'impero fu, nel 378 d.C, la battaglia di Adrianopoli, dove i Goti annientarono l'esercito
romano. La politica religiosa antipagana di Teodosio e Graziano provocò una reazione armata, sfociata
nella battaglia sul fiume Frigido nel 394 d.C.
Anche Stilicone fronteggiò i Goti, battendoli a Pollenzo nel 402 d.C, e nel 406 d.C. a Fiesole. Nel 410
d.C. il re visigoto Alarico saccheggiò Roma, e nel 429 d.C. i Vandali conquistarono Cartagine. Fu quindi
la volta degli Unni: guidati da Attila vennero dapprima sconfitti nel 451 d.C. ai Campi Catalaunici, ma
nel 425 d.C. devastarono e raserò al suolo Aquileia. Nel 455 d.C. Roma venne assalita e saccheggiata
nuovamente dai Vandali.
Nel 488 d.C Teodorico, re degli Ostrogoti, vinse il germanico Odoacre e assunse il pieno potere in
Italia.
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Nel 535 d.C. il generale dei Bizantini Belisario sbarcò in Italia e cacciò i Goti da Roma; il suo successore
Narsete vinse nel 552 d.C. il capo dei Goti Totila a Gualdo Tadino e, in seguito, nel 353 d.C, Teia
presso Sorrento.
Dopo la fine della guerra gotica, si affacciò il pericolo dei Longobardi, che nel 572 d.C, assediarono e
occuparono Pavia e di li si spinsero verso il sud della penisola. Nel 734 d.C, con la calata dei Franchi di
Pipino, cominciò la guerra tra Franchi e Longobardi.
All'inizio del secolo VII d.C. i Persiani saccheggiarono Gerusalemme, ma furono colpiti a loro volta
dall'imperatore Eraclio, che espugnò la capitale persiana Ardashir. Nel 628 d.C. presso Ninive fu combattuta la battaglia decisiva, che vide prevalere Eraclio.
Nell'Arabia preislamica il comandante militare si chiamava rais e guidava le lotte che tra le varie tribù
sorgevano di continuo per il controllo di pascoli e sorgenti, per rancori e vendette private.
L'affermazione dell'Islam avvenne dopo otto anni di scontri armati tra la Mecca e Medina e terminò nel
630 d.C. con il trionfo di Maometto.
L'Islam propugnò l'idea di una politica espansionistica fondata sul concetto di «guerra santa» (gihàd)
contro gli infedeli: le prime guerre furono combattute contro l'impero persiano, contro quello
bizantino, contro Cartagine, l'Africa, l'Asia Minore.
L'imperatore di Bisanzio Eraclio mobilitò l'intera popolazione contro gli Arabi; in Cappadocia furono
costruite città sotterranee per ospitare rifugiati e provviste.
A partire dal 674 d.C. Costantinopoli fu assediata, ma sconfisse la flotta araba grazie al «fuoco greco»,
una specie di esplosivo che poteva incendiare le navi nemiche a distanza. Gli Arabi furono respinti da
Costantinopoli anche nel 717 d.C.
Nel 962 d.C. il generale bizantino Niceforo Foca strappò agli Arabi l'isola di Creta e la città di Antiochia. Basilio II, il suo successore, abbatté il potente regno bulgaro.
Durante il regno dei Franchi, Carlo Martello riportò una significativa vittoria sugli Arabi a Poitiers nel
732 d.C, ponendo fine alle loro razzie.
Suo figlio Carlo combatté contro il duca di Baviera, ribellatosi. Altra impresa rilevante fu la sua vittoria
sugli Avari, popolo mongolo che premeva a est.
Nel 774 d.C. la città di Pavia, dopo un lungo assedio, cadde in mano dei Franchi, accorsi in aiuto del
papa contro il re longobardo Desiderio.
All'inizio del secolo X d.C, l'Occidente subì un triplice attacco: a est dagli Ungari, a nord dagli
Scandinavi e a sud dai Musulmani o Saraceni.
Nel 982 d.C. Ottone II tentò un'azione militare contro i Saraceni, ma i veri difensori del sud dell'Italia
contro i Saraceni furono i Normanni. Gli Ungari, giunti in Europa nell'883 d.C, si insediarono nella
zona danubiana, compiendo razzie in tutto l'Occidente, finché Ottone I il Grande li sconfisse nel 955
d.C.
I Normanni estesero l'ambito delle loro incursioni, risalendo fiumi e canali navigabili: tra loro, i
Norvegesi giunsero in Islanda, in Groenlandia e nell'America del Nord; gli Svedesi si infiltrarono in
numerose aree slave e i Danesi, nel 911 d.C, finirono per prestare omaggio al re dei Franchi, costituendo alla lunga, come tutte le altre popolazioni normanne, degli Stati autonomi.
Una spedizione contro gli Arabi fu condotta felicemente in Sicilia da Ottone II, il quale nel 981 d.C.
tentò anche di riconquistare e unificare tutta l'Italia meridionale, ma non ebbe successo.
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Tra la fine del secolo IX e l'inizio del X d.C. si scatenarono lotte tra i grandi feudatari germanici e italici
per la conquista della corona regale. Il germanico Enrico III subì numerose sconfitte lungo i confini
meridionali del suo regno e in Italia meridionale.
Tra i Normanni, Guglielmo Braccio di Ferro combatté vittoriosamente per la contea di Melfi nel 1043;
Roberto il Guiscardo sconfisse le truppe pontificie, fece prigioniero il papa Leone IX, ma poi si alleò
con lui nel 1059 contro Enrico IV. Nel 1073 conquistò invece il ducato di Amalfi e nel 1076 il
principato longobardo di Salerno.
Quando Federico Barbarossa nel 1156 discese per la prima volta in Italia sconfisse i Comuni minori del
Piemonte e i ribelli del Comune di Roma, guidati da Arnaldo da Brescia; nel 1176, invece, l'imperatore
subì a Legnano una dura sconfitta da parte dei Comuni riuniti nella Lega lombarda.
Durante la reconquista spagnola, gli Stati cristiani patirono varie sconfitte, ma nel 1212 le forze militari
dei principi spagnoli riportarono una vittoria decisiva sugli Arabi a Las Navas de Tolosa.
All'origine delle spedizioni crociate sta un progressivo indebolimento dell'impero bizantino a opera dei
Turchi Selgiuchidi; che nel 1071 a Manzicert (in Asia Minore) avevano addirittura fatto prigioniero l'imperatore Romano Diogene e si erano poi spinti; attraverso la Siria, alla conquista di Gerusalemme,
avvenuta nel 1078.
Tra le crociate popolari vanno ricordate quella «dei pezzenti» che, dalla Francia, parti alla volta di
Bisanzio e venne annientata dai Turchi dopo il 1096; la crociata dei bambini, che si svolse nel 1212 ed
ebbe un esito altrettanto infelice; la crociata dei pastorelli, del 1251, che venne addirittura stroncata dai
soldati del re di Francia.
La prima spedizione ufficiale dell'esercito crociato parti tra il 1096 e il 1097 sotto il comando di
Goffredo di Buglione: il primo scontro avvenne a Dorileo e a esso segui la conquista cristiana di Nicea;
nel 1098 venne presa Antiochia e nel 1099 venne conquistata anche Gerusalemme. Furono creati
contingenti scelti di cavalieri cristiani (gli ordini cavallereschi) per la difesa delle terre conquistate.
Nel 1144 i musulmani presero Edessa, per la riconquista della quale venne organizzata la seconda
crociata (1147-1149), dall'esito infelice.
Nel 1187 il condottiero Salah el Din Yusuf sconfisse l'esercito crociato presso Hittin e poco dopo
conquistò Gerusalemme: la terza crociata, cui prese parte anche Federico Barbarossa; si sfaldò ancora
prima di raggiungere il suo obiettivo.
La quarta crociata (1202-1204), indetta da papa Innocenzo III, venne deviata contro Bisanzio;
rendendo cosi definitivo lo scisma tra Oriente e Occidente. Le ultime quattro spedizioni ebbero un movente essenzialmente economico. Nel 1291 la caduta di San Giovanni d'Acri, ultima roccaforte, segnò la
fine dell'età delle crociate.
Fatto saliente della conquista normanna della Sicilia fu la presa di Brindisi e Bari nel 1071 da parte di
Roberto il Guiscardo. Pisa, per imporsi come repubblica marinara, si alleò prima con i Genovesi per
sconfiggere gli Arabi a Bona, poi con i Normanni per piegare la flotta musulmana a Palermo nel 1062.
In seguito Pisa e Genova si affrontarono per il predominio sul Tirreno e il 6 agosto 1284 Genova
sconfisse la flotta pisana presso lo scoglio della Meloria, davanti a Livorno; nel 1298 Genova riusci a
sconfiggere anche Venezia, nelle acque dell'isola di Curzola.
Federico II rivesti la duplice posizione di imperatore eletto in Germania (1212) e sovrano ereditario del
Regno normanno di Sicilia, ruolo che i pontefici temevano maggiormente.
I Comuni furono irriducibili avversari di Federico II, che inizialmente ottenne un importante successo a
Cortenova, nel 1237. Gli scontri però continuarono negli anni successivi, e nel 1250, quando Federico
mori, la partita con i suoi avversari era ancora aperta. Manfredi, figlio naturale di Federico II si
impadroni del Regno di Sicilia nel 1258. Clemente IV chiamò in aiuto Carlo I d'Angiò che sconfisse
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Manfredi nel 1266 a Benevento; vinse anche nel 1268, a Tagliacozzo, Corradino nipote di Federico II e
ultimo degli Svevi.
Gli Angioini ereditarono l'apparato statale e amministrativo messo a punto dai Normanni e dagli Svevi,
ma durante il loro regno si rafforzò il potere del ceto baronale. Nel 1282 il dispotismo degli Angioini
provocò un sollevamento in Sicilia, i «Vespri Siciliani»; i rivoltosi ebbero l'appoggio di Pietro III
d'Aragona. Il nuovo dominio aragonese venne riconosciuto ufficialmente nel 1302.
La politica di accentramento operata dalla monarchia francese nel secolo Xn ottenne un grande
successo a Bouvines nel 1214 dove Filippo Augusto II sconfisse le forze alleate dei sovrani inglesi e
tedeschi.
In Inghilterra il duca normanno Guglielmo il Conquistatore sconfisse il re anglosassone Aroldo nella
battaglia di Hastings (1066) e si fece incoronare re d'Inghilterra.
Con Filippo il Bello (12851314) la Francia capetingia raggiunse il culmine della potenza e del prestigio.
Dopo la morte di Carlo IV (1328) ha termine la dinastia capetingia. Il legittimo sovrano sarebbe stato
Edoardo III d'Inghilterra, ma i signori francesi offrirono la corona a Filippo di Valois. Edoardo III
intervenne dunque in Francia dando inizio a quella che sarebbe stata la Guerra dei Cent'anni.
ARTE
Una forma di arte primitiva è costituita dalla decorazione delle grotte in epoca paleolitica. Nel Neolitico
si costruirono i primi flauti, ricavati dalle ossa di animali, e con essi si elaborarono le prime composizioni musicali.
Presso i Sumeri, l'arte trovò espressione soprattutto nell'architettura, come testimonia il tempio
[ziqqurat], simbolo della religione e dell'agricoltura. La piramide fu la forma architettonica più
caratteristica della civiltà egiziana: essa era il simbolo della potenza del faraone e il suo sepolcro.
Analoga importanza ebbe presso i Cretesi il palazzo; di notevole livello furono anche la lavorazione dei
vasi e la decorazione delle ceramiche nel cosiddetto «stile di Kamares», a fiori o cerchi e spirali bianchi e
rossi.
A Micene le testimonianze artistiche più alte ci vengono dall'architettura: notevoli sono soprattutto i
circoli di tombe a pozzo e le tombe regali.
Raffinati prodotti di arte orafa si devono invece agli Sciti.
Nel cosiddetto «Medioevo» ellenico si verificò un impoverimento dei manufatti, ma è di questo periodo
lo sviluppo dell'arte poetica degli aedi e dei rapsodi (cantori orali che peraltro agivano già in età micenea).
Nell'età greca arcaica ebbero grande sviluppo l'architettura, esemplificata dai templi dorici, ionici e
corinzi; la scultura, rappresentata soprattutto dalle statue di giovanetti (koùroi) e di fanciulle (kórai); la
pittura vascolare e, nel campo della poesia, la lirica corale.
Nell'età di Pericle, Atene ebbe una straordinaria fioritura artistica e monumentale: Pericle, tra l'altro,
promosse la ricostruzione dell'Acropoli, che i Persiani avevano distrutto.
Gli scultori più rappresentativi di questo periodo (Mirone, Policleto, Fidia) svelarono il ritmo delle
figure sia in riposo che in movimento.
Nel secolo IV a.C. l'arte greca scopri invece la raffigurazione della psicologia dei personaggi. Gli scultori
Prassitele, Scopas e Lisippo si cimentarono perlopiù nel ritratto, evidenziando le passioni e gli stati
d'animo dei loro soggetti.
A testimonianza dell'arte e del gusto macedoni rimane un grande sepolcro regale con decorazioni
corinzie e un ricco corredo funerario. In età alessandrina Rodi divenne un'importante capitale artistica,
cosi come Pergamo, città che vide nascere il cosiddetto «barocco ellenistico».
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Nel Tavoliere delle Puglie sono stati ritrovati oggetti in ceramica dell'VIII millennio a.C, le cui
decorazioni sono costituite da segni di unghie e di bastoncini di legno. I Camuni hanno lasciato
notevoli incisioni rupestri in vai Camonica: fino al 2200 a.C. incidevano sulla roccia figure astratte e
simboliche; tra il 2200 e il 1800 a.C. delinearono scene narrative; poi, fino al 1000 a.C, più realistiche
scene religiose; dall’età del ferro fino all'epoca romana realizzarono soprattutto dinamiche immagini di
vita quotidiana, che lasciarono posto più tardi a simbologie cristiane. La manifestazione artistica più
significativa della civiltà nuragica è rappresentata dai nuraghi, possenti strutture architettoniche in pietra
a forma di cono che risalgono al periodo compreso tra i secoli XI e VII a.C. e che avevano funzione
difensiva.
L'arte etrusca è strettamente connessa al culto dell'oltretomba: celebri sono le pitture tombali che
descrivono il destino delle anime dopo la morte. Gli affreschi etruschi, conservati perlopiù nella zona di
Tarquinia, mostrano anche scene di vita quotidiana: le figure, policrome con contorni rossi e neri, erano
delineate direttamente sull'intonaco; dal secolo VI a.C. si passò da un disegno piatto a un più marcato
realismo, grazie all'uso del chiaroscuro.
Al secolo VI a.C. risalgono numerose statue in terracotta e bassorilievi con scene di giochi o
raffigurazioni di animali, realizzate anche in grandi bronzi.
Resti di ceramica incisa e bronzetti, che possono essere datati tra i secoli VIII e V a.C, testimoniano la
presenza di popolazioni di stirpe italica in Sicilia.
A Siponto, in Puglia, sono state ritrovate lapidi funerarie della stessa epoca scolpite e dipinte con
raffigurazioni ricche e fantasiose. I Lucani furono invece gli autori delle tombe principesche di Melfi. A
Paestum (accanto alla famosa tomba greca detta «del tuffatore») sono stati riportati alla luce centinaia di
affreschi funerari lucani, il cui stile risente anche di influssi artistici esterni. Sul colle Palatino furono
trovate tracce di importazione di ceramica greca del secolo VIII a.C.
L'arte figurativa della Roma repubblicana risente in parte delle influenze greche, etrusche e italiche. Ma
in architettura vennero elaborate tecniche tipicamente romane: l'opus caementicium (blocchi di pietra legati
da calce e sabbia), l'opus latericium (mattoni cotti), l'uso dell'arco e della volta. Vennero costruite opere di
ingegneria civile, quali impianti idraulici e acquedotti. Dalle immagini di cera degli antenati conservate
nelle case discende una ritrattistica caratterizzata da lineamenti realistici. Alla fine dell'età repubblicana si
diffuse il gusto per l'arte greca, che alimentò un fiorente commercio d'arte e di antiquariato.
In epoca imperiale l'architettura romana si espresse soprattutto nella costruzione di palazzi con gradini
nei Fori imperiali, di porticati, di terme e di anfiteatri. Molto usate erano le volte a crociera, a botte, a
cupola. La ritrattistica, influenzata dall'arte ellenistica, mirò sempre più all'approfondimento psicologico.
Si diffusero i rilievi a soggetto storico, come quelli sull'Ara Pacis di Augusto e sulla Colonna Traiana.
Nella tarda età imperiale si ebbero notevoli realizzazioni di architettura militare: ad esempio le mura
rinforzate di Roma volute da Massenzio e Arcadio nel secolo IV d.C. L'arte figurativa tardoantica,
influenzata da una classe dirigente provinciale che non conosceva l'arte classica, si espresse con uno
stile nuovo: figure stilizzate, segni violenti, tratti incisivi e scavati.
Con la diffusione del cristianesimo, al realismo delle statue pagane degli dèi, subentrò l'astrattismo delle
figurazioni religiose cristiane su mosaico. Mosaici con scene quotidiane decoravano le pareti di alcune
grandi ville italiche. Alla fine del secolo in d.C. risale il palazzo di Diocleziano: una reggia-fortezza con
decorazioni che precorrono il gusto e lo stile romanico e bizantino.
Fastosi palazzi furono costruiti a Costantinopoli già all'epoca della sua fondazione: al centro della città
si trovava il sacro palazzo, cinto di mura e composto da centinaia di stanze decorate con mosaici e
sculture antiche di provenienza greca e orientale. Sempre a Costantinopoli si trovava la chiesa di Santa
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Sofia, destinata al patriarca della Chiesa d'Oriente: costruita con materiali preziosissimi, marmi e colonne tolti ai più famosi templi pagani, presentava una struttura a pianta centrale.
Gli scavi archeologici compiuti nello Yemen hanno portato alla luce i resti di costruzioni monumentali
che testimoniano l'alto grado di civiltà dell'Arabia preislamica. A partire dal secolo IX d.C. il califfato
abbaside fu caratterizzato da un grande splendore anche in campo artistico: a Cordova fu costruita una
grande moschea, a Granada lo splendido Palazzo dell’ Alhambra: una roccaforte al cui interno si
susseguono cortili, piscine, fontane, giochi d'acqua.
Ovunque trionfava il motivo decorativo dell'arabesco: elementi vegetali ripetuti, poiché l'islamismo
vieta la rappresentazione della figura umana. Forme artistiche tipiche della civiltà islamica furono anche
la miniatura e la calligrafia, che servirono, tra l'altro, alla diffusione della dottrina maomettana attraverso
la riproduzione del Corano.
L'arte carolingia è testimoniata dagli splendidi palazzi di Aquisgrana: la sede imperiale e la cattedrale.
I castelli dei secoli IX e X d.C. erano costruzioni massicce, ma sobrie all'interno.
L'arte medievale ebbe tra le sue figurazioni tipiche demoni ed esseri mostruosi, estranei all'arte classica,
come il drago, che simboleggia il male e il demonio. Questo immaginario impronta sculture e
bassorilievi delle basiliche romaniche," che offrono ai fedeli luoghi raccolti e adatti alla meditazione.
L'altro stile architettonico che caratterizzò l'arte medievale fu il gotico, con le sue cattedrali dal forte
sviluppo longitudinale che simboleggia la spinta mistica dell'epoca. La scultura gotica è caratterizzata da
un più accentuato naturalismo, che subentra alla ieraticità romanica. La pittura sceglie i suoi temi
all'interno del mondo cavalleresco e di corte.
ARTIGIANATO E INDUSTRIA
Nel Vicino Oriente, l'introduzione del lavoro artigianale appare connessa all'impiego dei metalli: una
vera e propria «industria» del ferro fu ad esempio quella degli Hittiti. L'artigianato egiziano fu quasi
completamente finalizzato alla produzione di oggetti ed elementi decorativi che dovevano corredare le
piramidi.
I Cretesi utilizzarono in larga misura le loro materie prime e produssero manufatti in metallo e
ceramica. Vasi con decorazioni artistiche, armi, scudi, statuette votive furono i prodotti principali
dell'artigianato greco, di forme e gusto diversi a seconda delle aree (dall'Attica al Peloponneso, dalla
Ionia alle colonie).
Nell'età di Pericle sorsero corporazioni di artigiani e, grazie alla disponibilità delle materie prime
(provenienti soprattutto dalle miniere di Taso e Laurio), si avviarono alcune attività industriali.
Nel III millennio a.C. si diffusero nel sud dell'Italia le tecniche di lavorazione del metallo e, di
conseguenza, nacque un artigianato specializzato.
Anche la civiltà villanoviana, intorno al 1000 a.C, produceva oggetti in bronzo e in ferro, e cosi quella
nuragica. I prodotti degli artigiani etruschi erano perlopiù destinati all'esportazione. Le genti italiche
preromane producevano ceramica incisa, bronzetti (ritrovati in Sicilia) e oggetti d'uso quotidiano,
spesso di fattura assai preziosa, come quelli dei Lucani. Con lo smembramento della Macedonia, le
miniere d'oro e d'argento divennero proprietà dei Romani.
Durante la seconda guerra punica si sviluppò una vera e propria industria della guerra, basata
sull'impiego degli schiavi, diventati come nel settore agricolo strumenti di produzione. Il ceto dei cavalieri intanto si era arricchito coi bottini di guerra e coi tributi imposti ai territori conquistati, e si era
dedicato all'industria. Il denaro, comunque, perlopiù non veniva reinvestito, ma speso per ragioni
voluttuarie. Cesare emanò nuove leggi che incentivavano l'artigianato: si organizzarono vere e proprie
aziende artigianali, che nel corso degli anni vennero soppiantate da industrie di Stato dette fabricae.
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Anche in epoca imperiale l'industria prevalente rimase quella bellica (nonostante l'esercito fosse
costituito da volontari e professionisti) e si segui la politica dei grandi lavori pubblici iniziata a suo
tempo da Giulio Cesare. Gli investimenti in opere di pubblica utilità continuarono nel secolo II d.C, ma
rispetto all'industria aveva ancora maggiore importanza l'artigianato cittadino.
La crisi economica che nel secolo III d.C. colpi l'agricoltura ebbe ripercussioni anche sull'artigianato: le
botteghe chiusero, vi fu un regresso delle tecniche di produzione e aumentò la disoccupazione nelle
città. Gli artigiani cominciarono a raccogliersi in corporazioni e furono costretti a consegnare i loro
prodotti allo Stato.
Le corporazioni divennero obbligatorie per un decreto di Diocleziano del 297 d.C. La crisi generale
dell'economia e quella particolare degli artigiani, gravati da tasse sempre più opprimenti, si acuì nel
secolo IV d.C., senza contare che sulla loro attività pesava anche la graduale restrizione dei mercati. Il
tracollo economico che investi irrimediabilmente l'industria e l'artigianato romani avvenne in
corrispondenza con le invasioni barbariche.
L'artigianato islamico produceva ed esportava verso l'Occidente tappeti pregiati, manufatti di lino e lana
finemente lavorati. Le botteghe artigiane si trovavano, all'interno delle città arabe, nei bazar, mercati la
cui forma fu ereditata dal mondo classico e orientale: essi hanno una struttura labirintica ripartita per
settori di attività. Limitato fu lo sviluppo dell'artigianato all'interno dell'economia feudale e relativo solo
ai fabbisogni locali, data la scarsa rilevanza dei mercati. La civiltà normanna non era solo guerriera, ma
al suo interno contava anche un certo numero di persone dedite ad attività artigianali, ad esempio fabbri
e carpentieri.
Intorno all'anno Mille si ebbe una rinascita delle città: al loro interno si svilupparono mercati, fiere e un
gran numero di botteghe artigianali, i cui prodotti venivano «esportati» nelle campagne. Gli artigiani
raggiunsero un notevole livello di specializzazione e si riunirono per gruppi di attività.
Alcuni ordini monacali divennero famosi per la produzione e la lavorazione di manufatti. Oggetto
prezioso dell'artigianato medievale fu il libro, realizzato perlopiù su pergamena e abbellito da miniature
a due o più colori.
All'interno dell'ordinamento comunale le associazioni che raggruppavano gli artigiani (arti o
corporazioni) divennero organi di pressione politica: esse riunivano maestri, soci e apprendisti e
stabilivano linee di condotta comuni riguardo ai salari, ai turni dei dipendenti, all'acquisto di materie
prime, alle tecniche di lavorazione, alla qualità dei prodotti.
Tra le diverse arti non tardarono a formarsi gerarchie: a Firenze, ad esempio, vi erano le arti maggiori
(all'interno delle quali spiccavano in particolare le arti di Calimala, della Lana e della Seta che
dominavano il settore tessile), le arti mediane e quelle minori. Nel Medioevo la produzione conservò un
carattere artigianale, si svolgeva in piccoli laboratori con un modesto numero di lavoratori.
L'organizzazione della produzione divenne però più sofisticata e complessa. La produzione di articoli
raffinati (ad esempio i tessuti di seta) era organizzata in modo capitalistico da grandi mercantiimprenditori.
CITTÀ
In seguito alla rivoluzione agricola del Neolitico si formarono i primi villaggi: agglomerati di capanne
costruite con legno e fango. Alla fine del Neolitico risale la «rivoluzione urbana»: gli insediamenti più
antichi sono stati reperiti a Gerico (Giordania) e Catal Hüyuk (Turchia).
La città si configurò allora come capitale economica, politica, religiosa. Le città sumere più importanti
(Uruk, Ur, Lagash) sorsero lungo il Tigri e l'Eufrate. Imponente era Babilonia, dotata di cinta muraria e
abitata da una popolazione numerosissima. Le principali città egiziane, Menfi e Tebe, furono costruite
sul Nilo.
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Gli agglomerati urbani cretesi di Festo, Haghia Triada, Cnosso e Mallia non ebbero mai mura e difese
militari.
I Micenei costruirono invece a Micene, Pilo e Tirinto città con palazzi fortificati; a loro si deve anche la
fondazione di colonie concepite come approdi commerciali in Sicilia, in Sardegna, nelle Eolie e a
Troia. Con la crisi della civiltà micenea si verificò un calo demografico, per cui le città si spopolarono,
riducendosi a piccoli villaggi.
La città sacra degli Ebrei si identifica con Gerusalemme, capitale del regno d'Israele, ma la loro più
antica città fu Gerico. I Fenici nella loro espansione commerciale fondarono numerose «colonie»:
Cartagine, Palermo, Mozia, Cagliari e numerose altre. Tra le città arabe, Petra fu quella di maggior
rilievo, mentre le capitali assire furono, in ordine di tempo, Assur e Ninive. Tre le capitali dell'impero
persiano: Susa, Ecbatana, Persepoli.
Nei poemi omerici si intende per pòlis la città alta, difesa dalle mura, ospitante il palazzo del re e il
tempio, distinta dalla città bassa, in cui si trovano le case del popolo. A partire dal secolo VIII a.C. con
il termine pòlis si indicò la cittàstato: il suo nucleo urbano e il territorio circostante.
Le città greche vicine tra loro si riunivano spesso in associazioni o anfizionie, con scopi dapprima
religiosi e poi politici.
Importanti furono le colonie greche in Italia meridionale e in Sicilia. Sparta arcaica era un insieme di
diversi villaggi isolati e non ebbe né mura né monumenti.
Atene conobbe il suo periodo di massimo splendore nel secolo V a.C, quando l'Acropoli fu ricostruita
dopo le guerre persiane, venne innalzato il Partenone e sorsero ovunque edifici monumentali. I sovrani
ellenistici fondarono numerose città di carattere cosmopolita, quali Alessandria, Antiochia, Pergamo:
Sparta e Atene in quel periodo apparivano impoverite e desolate, mentre fiori Rodi.
Le prime città della valle dell'Indo risalgono al in millennio a.C: avevano struttura urbanistica precisa e
articolata, sistemi di pozzi e canali. La civiltà urbana di quell'area scomparve con l'invasione dei popoli
ariani.
Abbiamo testimonianze circa l'esistenza in Italia, nel VI millennio a.C, di alcuni villaggi: Pienza, Grotta
delle Arene Candide, Fiorana. Sul finire del III millennio a.C. gli insediamenti più importanti al sud
erano San Mauro di Buccino e Gioia del Colle. Insediamenti primitivi furono anche quelli dei Liguri, dei
Sardi, degli Elimi, dei Falisci, dei Siculi, degli Enotri, dei Camuni.
Al nord vi furono, intorno al 1600 a.C, insediamenti palafitticoli su terra che diedero vita alla civiltà
terramaricola. Nella zona di Bologna ebbero sede gli stanziamenti della civiltà villanoviana. Nel 1000
circa a.C. stabilirono i propri insediamenti sul territorio italico anche i Veneti, i Greci, i Celti, gli Japigi.
Tra i centri più importanti della civiltà nuragica va ricordata la città di Nora. Le città etnische di Veio,
Tarquinia, Cere, Populonia, Chiusi, Perugia, Fiesole, Volterra, Arezzo, si organizzarono come cittàstato
e si riunirono in una confederazione. Altre città etrusche sorsero in Emilia, nel Lazio, in Campania tra i
secoli VIII e V a.C.
Già i Micenei avevano fondato in Italia alcune colonie, mentre nel secolo VIII a.C. i Greci collocarono
le loro basi in Puglia, lungo la costa ionica, in Sicilia e a Paestum: in quest'ultima città i templi e la cinta
muraria rivelano anche una più recente presenza romana. A prescindere dalla leggenda relativa
all'origine di Roma, che parla dell'antica città di Lavinio, i primi insediamenti sul Palatino risalgono
probabilmente ai secoli X e iX a.C. Roma sorse su un luogo favorevole allo sviluppo di un mercato,
poiché era situata alla confluenza di due fiumi, uno dei quali (il Tevere) navigabile.
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L'insediamento assunse i caratteri della città a partire dal secolo Vili a.C, quando il villaggio agricolopastorale del Palatino si fuse con i villaggi dei colli vicini e l'intero nucleo costruì una cinta muraria. Durante l'epoca monarchica vennero promosse importanti opere pubbliche: il primo ponte sul Tevere, il
tempio di Giove Capitolino, il Circo Massimo.
Nel secolo V a.C. i Galli fondarono sulle rovine di una città etrusca la città di Milano, chiamata
Mediolanum dai Romani. La grande nemica di Roma, Cartagine, era stata fondata nell'814 a.C. da alcuni
coloni fenici in un avamposto strategico, e presto si era organizzata dandosi l'assetto di città-stato.
Cartagine venne distrutta nel 146 a.C.
Il sistema scelto da Roma per gestire le città italiche da lei conquistate fu quello municipale. Cesare
promosse grandi opere pubbliche: la risistemazione del Foro, l'argine per il Tevere, la bonifica delle
paludi Pontine. Anche Augusto promosse una politica di lavori pubblici, che estese poi ad altre città
dell'impero.
Nel 64 d.C, durante il regno di Nerone, Roma venne semidistrutta da un violento incendio, del quale
l'imperatore accusò la comunità cristiana, ma che secondo alcune fonti egli stesso fece appiccare. Al
centro della città egli edificò la sua reggia fastosa, la Domus aurea. Vespasiano diede inizio alla
costruzione del Colosseo.
Nel 79 d.C. l'eruzione del Vesuvio seppellì le città di Ercolano e Pompei. Nel secolo II d.C. vennero
fondate nuove città all'interno dell'impero, e quelle esistenti furono abbellite con monumenti e opere
pubbliche: teatri, sale da concerto, ginnasi, palestre, terme, biblioteche, stadi, mercati.
L'imperatore Adriano favori la rinascita della capitale della cultura greca, Atene, e diede impulso
all'architettura monumentale di Roma; continuò inoltre il processo di urbanizzazione, di fondazione di
nuove città in vari punti dell'impero.
Un fenomeno costante lungo tutti i secoli del dominio imperiale fu l'eccessivo squilibrio tra città e
campagne: in effetti gli abitanti dei villaggi erano oggetto di sfruttamento da parte delle città. Nel 293
d.C. Diocleziano promosse una ristrutturazione dell'impero, stabilendo quattro nuove capitali: Treviri,
Milano, Sirmio e Nicomedia. Roma rimase la capitale morale, ma perse ogni importanza politica.
Nel 330 d.C. Costantino fondò una sua capitale e la chiamò «nuova Roma» (poi Costantinopoli). Alla
sua morte la capitale della parte occidentale fu trasferita a Milano. Roma fu saccheggiata nel 410 d.C.
dai Goti di Alarico e nel 455 d.C. dai Vandali. Treviri e Parigi furono le città che i Franchi scelsero
come sedi dei loro insediamenti.
Costantinopoli sopravvisse a lungo grazie all'attivo commercio con la Persia, l'India e la Cina. Nel
secolo VI d.C. Giustiniano promosse una serie di lavori per renderla la città più splendida del mondo. I
Bizantini fecero di Ravenna il centro del potere imperiale in Italia.
A partire dal secolo VI d.C. Pavia divenne la capitale del regno longobardo del re Alboino e dei suoi
successori. I capi longobardi minori costituirono ducati tendenzialmente autonomi dal potere centrale a
Trento, Tuscia, Spoleto e Benevento.
La Mecca era la città santa degli Arabi anche in epoca preislamica: si trattava di un piccolo centro nel
deserto che custodiva tutte le divinità in un recinto sacro, e che era ogni anno meta di pellegrinaggio,
ma anche di incontri economici e di scambi commerciali. Città fiorenti erano anche le capitali del regno
dei Sabei, dei Minei, dei Nabatei (la splendida Petra a sud del Mar Morto) e del regno di Palmira.
La città di Medina acquisì importanza a partire dal secolo Vii d.C. quando Maometto vi si trasferì con
tutti i suoi seguaci: essa combatté una lunga guerra contro la Mecca, alla cui conclusione, nel 630 d.C.
Maometto tornò trionfalmente in quest'ultima, consacrandola città santa della religione islamica.
L'espansione araba in Spagna diede grande impulso allo sviluppo della città di Cordova, ricchissima da
un punto di vista economico e culturale. In Sicilia la civiltà araba scelse Palermo come centro della
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propria irradiazione nel Mediterraneo meridionale. Altre splendide città arabe in area mediterranea e nel
Vicino Oriente furono: Baghdad, neU'Irak; Fez, in Marocco; Il Cairo, in Egitto; Damasco, in Siria.
Carlo Magno creò, come nuova capitale del suo regno, Aquisgrana, che abbellì di splendidi edifici, quali
il palazzo imperiale e la cattedrale, e che rese sede della Schola Palatina, centro culturale per scrittori e
insegnanti di ogni parte dell'impero. In Italia intanto fiorivano le città di Pavia, capitale del regno dei
Longobardi; Roma, sede papale; Venezia, sede privilegiata dei traffici con l'Oriente.
La rinascita dell'anno Mille, con la rivoluzione agraria e l'aumento demografico, favori lo sviluppo dei
centri urbani: il minore bisogno di manodopera nelle campagne, le prospettive di impiego nei settori
dell'artigianato e del commercio favorite da scambi mercantili sempre più intensi, spinsero grandi masse
nei centri urbani. Alcune città, di fondazione greca, romana o etrusca, si ampliarono, altre derivarono
dallo sviluppo di un castello o di un villaggio, altre ancora nacquero intorno a un emporio. Le aree più
urbanizzate dell'Occidente europeo furono l'Italia, la Francia, la Spagna, i Paesi Bassi, la Renania, e in
seguito l'Inghilterra e le coste baltiche. La città medievale era caratterizzata da una cinta muraria, da una
netta separazione rispetto al territorio della campagna, da una divisione in quartieri e dalla presenza di
porte.
Tra i secoli XI e XII nell'Italia settentrionale e centrale si svilupparono i Comuni, nati dalla libera
associazione dei cittadini (proprietari terrieri, giudici, commercianti, medici, artigiani e mercanti). Tra
questi Comuni grande importanza ebbero Milano, specialmente per il ruolo che ricopri nell'opporsi
all'imperatore Federico Barbarossa. Alcune città europee divennero celebri come centri universitari:
Parigi (per la Sorbona), Oxford, Salerno, Bologna, Montpellier, Salamanca, Padova, Lisbona,
Cambridge.
CLASSI E GRUPPI SOCIALI
È con l'Homo habilis che si può parlare per la prima volta nella storia di organizzazione in gruppi, ma fu
il Pitecantropo a creare le premesse per una reale convivenza civile.
Un'organizzazione sociale articolata, per quanto rudimentale, fu quella dell'Homo sapiens: l'«orda
selvaggia» o «primitiva», che obbediva a regolamenti condizionati dalla presenza di tabu. Nel Paleolitico
superiore l'ordinamento della collettività si basò sulla suddivisione in clan. Nel Neolitico il villaggio
diventò una vera e propria comunità, guidata dal consiglio degli anziani (cioè un'assemblea di tutti i
capofamiglia) al quale si affiancavano delle figure sacerdotali.
La divisione del lavoro e la specializzazione nelle varie attività diedero poi vita a una stratificazione
sociale che, di norma, comprendeva un re, l'aristocrazia, un ceto più o meno ristretto di guerrieri, uno di
sacerdoti, gli artigiani e gli schiavi. Presso i Babilonesi, ad esempio, il re guidava una casta di capi
militari e di funzionari civili, sotto i quali si trovavano i contadini semiliberi, i commercianti e gli
artigiani, e infine gli schiavi. Anche l'organizzazione degli Hittiti prevedeva un re, un'aristocrazia militare
e uno strato popolare, che si riuniva in un'assemblea incaricata di eleggere il re.
Presso gli Egiziani la struttura sociale si configurava come una piramide di caste: al vertice si trovava il
faraone, alle cui dipendenze c'era un visir (responsabile dell'apparato amministrativo; il nucleo centrale
dell'apparato burocratico era costituito dagli scribi; vi erano poi i sacerdoti, che detenevano il potere
religioso, ma influivano notevolmente anche su quello politico e culturale. La base della piramide era
costituita da militari e contadini.
A Creta le classi sociali rispecchiavano una precisa divisione del lavoro, sancita e controllata dal signore
del palazzo. Nei palazzi esisteva anche un potente ceto burocratico, che aiutava il signore nell'amministrazione delle ricchezze, come si desume dalla quantità e varietà di sigilli rinvenuti a Festo. Il vertice
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dell'organizzazione sociale micenea era rappresentato da un re (wànax), un gruppo di aristocratici preposti al potere militare e una casta sacerdotale; il popolo (contadini e artigiani) viveva nei villaggi.
Nella società fenicia esisteva una potente aristocrazia mercantile, guidata da un re; in alcune città, però,
il potere del re fu sostituito da quello di un gruppo di magistrati eletti annualmente (suffeti) e controllati
da un collegio di nobili.
La popolazione araba era suddivisa in clan con struttura tribale, a capo dei quali era una regina. Il
popolo persiano era guidato da un re, da un gruppo di satrapi (governatori) e da una guardia scelta di
diecimila cavalieri.
Nel cosiddetto «Medioevo» ellenico l'organizzazione della società fu assai meno complessa di quella
micenea, mentre nella Grecia dei secoli VII e VI a.C. il panorama sociale risultava molto più articolato:
al ceto degli aristocratici (riuniti in eterie) si opponeva sovente un tiranno che poteva essere portavoce di
interessi popolari. Autorevoli erano le associazioni (anfizionie) di città confinanti, a scopo di culto e di
difesa.
A Sparta vi furono quasi sempre tre gruppi sociali: gli Spartiati (cittadini a pieno titolo con uguaglianza
giuridica, dediti ad attività militari); gli Iloti (che coltivavano i terreni assegnati agli Spartiati e
probabilmente non discendevano dalla stirpe dei Dori, bensì dagli antichi indigeni della Laconia); i
Perieci (che abitavano intorno alla città ed erano vincolati agli Spartiati solo politicamente).
Ad Atene, nell'ambito delle fratrie (che ricalcavano un'organizzazione sociale di stampo tribale) si
distinguevano vari gruppi: il ghénos (cui appartenevano solo gli aristocratici), i tiasi (gruppi sociali cui appartenevano anche famiglie plebee), gli orgheónes (raggruppamenti di cittadini e meteci).
Le lotte sociali tra plebe e aristocrazia continuarono sia durante la fase monarchica sia durante la
tirannide, fino all'introduzione del regime democratico per opera di Clistene. Nel 580 a.C. questo
regime diede ampi poteri al popolo e alla sua assemblea (Ecclesia), permettendo la pratica dell'ostracismo
a salvaguardia della democrazia stessa.
Con Pericle, a partire dal 460 a.C, venne rafforzata la componente popolare all'interno dello Stato: in
base alle sue riforme la partecipazione alla vita civile fu un diritto-dovere per tutti i cittadini. Ad Atene
esistevano inoltre i meteci: stranieri residenti in città, dotati di diritti civili, ma non di diritti politici.
Alessandro il Grande lasciò una società molto frazionata, in cui la classe dirigente era costituita da
burocrati, quasi esclusivamente greci o macedoni.
L'organizzazione sociale delle popolazioni stanziate sul territorio italico dal II millennio a.C. era ancora
rudimentale. La civiltà nuragica, sviluppatasi in Sardegna, prevedeva la divisione della popolazione in
due classi: quella dei pastori e dei contadini, che vivevano nei villaggi e producevano le risorse
necessarie alla sopravvivenza, e quella dei guerrieri, che vivevano nei nuraghi e difendevano il gruppo.
Alle origini erano presenti in Roma due gruppi sociali e politici: la classe dei patrizi (i membri delle
gentes, il cui nome deriva dai patres, i padri o capi dei gruppi gentilizi che soli avevano il diritto di sedere
in Senato), e quella dei plebei (da plebs, la moltitudine). I due gruppi, entrambi formati da persone libere,
convivevano, ma il primo godeva di una posizione di preminenza poiché possedeva la terra. I patrizi
potevano diventare magistrati, senatori, partecipare ai comizi, si tramandavano le tecniche di guerra, la
cultura magico-religiosa, le norme della giustizia.
Non esisteva alcuna forma di mobilità sociale: i plebei e i patrizi dovevano sposarsi all'interno dei
rispettivi ordini, almeno fino alla emanazione del plebiscito Canuleio del 445 a.C. I plebei, non
possedendo terre proprie, coltivavano quelle altrui, pascolavano greggi altrui o svolgevano attività artigianali o commerciali. In epoca monarchica essi erano sostanzialmente degli stranieri che, in cambio
della protezione del capo di una gens, prestavano a costui servizi di vario tipo, basando il rapporto sulla
reciproca fiducia. Vi erano infine gli schiavi, che erano tali per nascita, o in seguito a prigionia o per
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insolvenza in caso di debiti. Sottomessi al paterfamilias, gli schiavi potevano essere «manomessi» e diventare liberti.
La storia della repubblica romana fu la storia del conflitto tra patrizi e plebei. I plebei richiedevano un
codice di leggi scritte che concedesse loro più diritti ed eliminasse gli arbitri giudiziari. Essi volevano
l'ammissione alle magistrature, l'abolizione della schiavitù per debiti, la ridistribuzione delle terre
conquistate in guerra. Nel secolo V a.C. essi si rifiutarono di arruolarsi e si ritirarono in massa sul monte
Aventino: in questa circostanza ottennero la creazione di due tribuni della plebe, da contrapporre ai
consoli patrizi; in seguito si formarono assemblee plebee (i comizi tributi) che potevano emanare
deliberazioni alle quali, col tempo, venne riconosciuto valore di legge (i plebisciti). Il decemvirato
nominato per la redazione delle XII Tavole fu composto da patrizi e plebei. Nel 409 a.C. fu nominato il
primo censore plebeo; inizialmente esistevano edili plebei ed edili patrizi, poi la carica venne unificata.
L'assemblea più antica del popolo romano furono i comizi centuriati, basati sulla divisione della popolazione in cinque classi di censo: al di fuori di queste c'erano i profetarti o capite censi che non possedevano
nulla.
Nel 366 a.C. le leggi Liciniae Sextiae consentirono ai plebei l'accesso al consolato. Nel frattempo sorse un
conflitto tra Romani e Latini: dopo uno scontro armato, nel 340 a.C. i Latini furono ridotti allo stato di
cittadini «senza suffragio»: mantenevano i loro territori ed eleggevano i loro magistrati, partecipavano
alla distribuzione delle terre conquistate, ma la loro politica estera era demandata totalmente a Roma. I
nemici che si erano volontariamente arresi ai Romani godevano di scarsa libertà: essi non potevano
accedere alla cittadinanza ed erano esclusi dal diritto ereditario.
Dopo le guerre puniche, si verificarono forti tensioni sociali in seguito agli squilibri economici creati
dalle guerre: i piccoli proprietari, avendo abbandonato le loro terre per anni, al loro ritorno le trovarono
inaridite e non poterono più reggere la concorrenza con le grandi proprietà aristocratiche: vendettero
così i loro fondi e continuarono a lavorare su di essi come salariati oppure si riversarono in città,
formando un esercito proletario perennemente alla ricerca di piccoli lavori saltuari. Le guerre
arricchirono invece i cavalieri (la prima classe dell'ordinamento centuriato) attraverso i bottini e le tasse
imposte ai territori conquistati. Anche l'aristocrazia senatoria si arricchì notevolmente grazie alla
conquista di nuove terre: ciò contribuì alla nascita del latifondo, lavorato da fattori di condizione servile
o da schiavi. Il numero degli schiavi aumentò al punto che, a partire dal secolo II a.C, le masse servili
organizzarono sollevazioni armate.
Nel 133 a.C. Tiberio Gracco, tribuno della plebe, propose una riforma agraria per risolvere il problema
della piccola proprietà, ma l'anno dopo fu ucciso. Nel 123 a.C. il fratello Caio Gracco ripropose un
disegno politico ancora più ampio per ridimensionare lo strapotere senatorio; organizzò persino una
rivolta armata, ma senza successo.
La storia del secolo 1 a.C. è caratterizzata dallo scontro sociale tra gli optimates (gli aristocratici) e i
populares (nelle cui file militavano i cavalieri, i plebei e gli Italici), che cercarono appoggio nei comandanti militari. Tra questi si distinse il console Caio Mario, che però perse l'appoggio dei ceti più popolari
e rimase inviso al Senato. Dopo due anni di guerra civile, nell'82 a.C. Silla, sconfitto il partito popolare,
si fece nominare dittatore e promulgò alcune riforme che colpirono prevalentemente il ceto dei
cavalieri.
Il ceto aristocratico non era comunque in grado di affrontare i problemi di politica estera e si rese allora
necessaria la presenza di un nuovo capo militare: Pompeo. In sua assenza, nel 73 a.C, scoppiò una
grave rivolta servile, che non riusci tuttavia a coinvolgere né i contadini né il proletariato urbano.
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Col sostegno dei populares, Pompeo modificò la Costituzione sillana in senso democratico, ma rimase
pur sempre un esponente dell'aristocrazia. Mentre egli si trovava impegnato nelle guerre in Oriente, si
riaccese lo scontro tra populares e optimates, che vedeva tra i suoi protagonisti Crasso da una parte e
Cicerone e Catone dall'altra. Su questo sfondo si verificarono numerosi episodi rivelatori della crisi sociale e istituzionale, quali la congiura di Catilina, la lotta tra il democratico Cesare e Pompeo, la dittatura
a vita di Cesare e la sua morte, voluta dal partito degli optimates, le vicende dei triumviri e la salita al
potere di Ottaviano.
Ottaviano Augusto diminuì il numero dei senatori rinforzando tuttavia i loro privilegi economici, e dalla
classe dei cavalieri trasse i quadri della burocrazia. Lo spirito di casta rimase vivo all'interno della classe
senatoria, che tuttavia si spaccò al suo interno in due gruppi: uno filoimperiale e un altro fieramente
ostile ai principi. Anche l'atteggiamento degli imperatori nei confronti dell'aristocrazia senatoria non fu
univoco: alcuni cercarono un accordo con essa, altri assunsero posizioni assolutistiche.
Nel corso del secolo I d.C. scomparvero definitivamente le antiche famiglie nobili di Roma. Il
proletariato urbano accettò la figura imperiale, che si preoccupava di accattivarsi il favore popolare con
elargizioni in denaro e cibo e con l'organizzazione dei giochi. Nella società imperiale andò crescendo
progressivamente il potere dei militari, alcuni dei quali (i pretoriani) costituivano una guardia del corpo
privata del principe.
Nel secolo II d.C. Adriano promulgò una legislazione sugli schiavi finalizzata a proteggerli contro gli
arbitri dei padroni. Alla fine del secolo II d.C. Commodo appoggiò la plebe romana, ma si alienò le
simpatie di senatori e militari, che organizzarono diverse congiure. La crisi economica del secolo III
d.C. ebbe gravi ripercussioni sociali: aumentò la disoccupazione cittadina, mentre nelle campagne la
maggioranza della popolazione versava in condizioni di schiavitù: era il preludio al tracollo dell'impero.
Il cristianesimo contribuì al miglioramento delle condizioni di vita delle classi inferiori, ma non
determinò mutamenti nelle strutture sociali. Fenomeno caratteristico dell'epoca tardoantica fu il regresso della vita cittadina. Figure eminenti della società cortigiana erano i funzionari, non necessariamente
nobili; i senatori, dal canto loro, si isolavano in una vita di lussi, distante dalle masse. La riforma di
Diocleziano impose l'ereditarietà nelle professioni, provocando una cristallizzazione della società,
rigidamente divisa in gruppi, e un crescente malcontento sociale. Fu sotto Costantino che venne
valorizzata la componente sociale del cristianesimo: i cristiani, ben organizzati, solidali, distribuiti in vari
strati della popolazione e potenti economicamente, occupavano posti di rilievo nei ceti urbani e
mercantili.
Durante i regni romanobarbarici i nuovi dominatori non modificarono profondamente le strutture
sociali preesistenti: molti contadini, legati alla terra, ebbero solo nuovi padroni, mentre gli aristocratici
continuarono a difendere i loro privilegi. Non sempre tuttavia la fusione della società latina con quella
germanica risultò indolore. La società longobarda comprendeva una classe di guerrieri liberi (arimanni)
con pieni diritti, una classe di artigiani e di liberi contadini, spesso italici (aldi), e la classe dei servi.
Nell'Arabia preislamica la struttura sociale della popolazione nomade aveva alla sua base la famiglia, il
clan, la tribù, uniti da vincoli di sangue. In questo tipo di società la vendetta di sangue e la solidarietà
tribale erano considerati obblighi imprescindibili. La società islamica fu invece organizzata in quattro
classi sociali: i musulmani di più antica conversione, che costituivano i ceti dominanti (latifondisti, ricchi
mercanti, funzionari di corte); i mawali (musulmani di recente conversione), in posizione leggermente
inferiore; i seguaci di altre religioni, soggetti al pagamento di un tributo in cambio della loro libertà
religiosa; gli schiavi, spesso facilmente riscattabili.
I rapporti vassallatico-beneficiali vigenti all'interno dell'impero carolingio prevedevano una forma di
commendatio: i signori affidavano ai sottoposti delle terre o delle rendite fondiarie fisse, con carattere
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prima di possesso temporaneo e poi definitivo, affinché questi provvedessero da soli al proprio
sostentamento. I vassalli diventavano tali mediante un rituale carico di valori simbolici e un giuramento
di fedeltà.
La società degli antichi norvegesi prevedeva tre ordini: i nobili (jarls), sottoposti al re secondo un
rapporto simile a quello feudale; i contadini liberi (karls), che erano schiavi liberati, ma ancora legati ai
loro antichi padroni; gli schiavi (thraells), prigionieri o debitori insolventi.
Intorno all'anno Mille, tra gli intellettuali europei si diffuse la teoria di una società strutturata in tre
ordini: gli oratores, coloro che pregano; i bellatores, coloro che combattono; e i laboratores, coloro che faticano. Al vertice sta sempre un re, il cui potere è sacro.
Nella società medievale alla fine del secolo X d.C. si affermò la figura del cavaliere: si trattava
generalmente del figlio cadetto di un aristocratico che, escluso dall'eredità paterna, cercava di procurarsi
da vivere con una attività di rapina. Fu la Chiesa a istituzionalizzare la figura del cavaliere, proponendo,
all'epoca delle crociate, l'ideale del miles Christi.
L'aumento demografico verificatosi intorno all'anno Mille ebbe come conseguenza anche il
trasferimento di numerosi servi della gleba in città: nei centri urbani vennero cosi a incontrarsi uomini
di diversa estrazione sociale ed economica quali proprietari terrieri, professionisti, intellettuali,
commercianti, artigiani.
Nel Basso Medioevo i nobili raramente riuscivano a tenere il passo con l'aumento dei prezzi e la
svalutazione della moneta, e con difficoltà mantenevano lo stile di vita confacente al loro rango. Per
uscire da questa situazione potevano mettersi al servizio del sovrano, perdendo la loro autonomia
politica, oppure aumentare la pressione sui contadini per ottenere più denaro. A causa dello sviluppo
dell'industria e dei commerci molti artigiani avevano perso la loro indipendenza a vantaggio dei
mercanti-imprenditori che organizzavano la produzione.
COMMERCIO
Le prime tracce di economia di scambio si possono già trovare nelle città preistoriche. Il commercio
ebbe un certo sviluppo presso i Sumeri che, spinti dall'esigenza di procurarsi materie prime (metalli,
legname, preziosi), entrarono in contatto con popolazioni nomadi. I Babilonesi intrapresero traffici
intensi e consolidarono l'uso del baratto, mentre gli Egiziani commerciarono fin dal sorgere della loro
civiltà: dapprima con le popolazioni nomadi africane, poi con la Mesopotamia e con le isole egee.
Il commercio fu l'attività prevalente nell'economia cretese, il surplus alimentare veniva smerciato
all'estero in cambio di metalli preziosi e di materie prime, che alimentavano poi l'artigianato dell'isola:
furono proprio gli scambi con la Siria e l'Egitto a favorire la nascita della potenza marittima di Creta.
I Micenei fondarono colonie per soddisfare il bisogno di materie prime. E in questo quadro geografico
che si collocano le principali vie commerciali dell'epoca: la via dell'ambra tra Mediterraneo ed Europa
settentrionale e la via dell'incenso tra Asia Minore, Egitto e Mesopotamia.
I Fenici, che esportavano perlopiù il legno dei cedri del Libano, fondarono alcune colonie, e in breve
detennero il monopolio del commercio marittimo nel Mediterraneo. Anche gli Arabi basarono la propria economia sull'attività mercantile, che assicurò loro il monopolio dell'oro e dell'incenso. Una
porzione rilevante dei mercati dell'antichità spettava inoltre agli Sciti, tribù nomadi localizzate nella
Russia meridionale.
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Nel mondo greco la colonizzazione comportò l'instaurarsi di stabili rapporti commerciali tra
madrepatria e colonie: a tale fenomeno sono legati l'introduzione del sistema monetario e lo sviluppo di
banche, specie presso i templi. All'aumento del volume di affari commerciali in età ellenistica
contribuirono l'ampia diffusione della moneta, la creazione di banche, la fondazione di città-emporio e
di centri mercantili, la crescita della produzione artigianale.
Alla fine del III millennio a.C. nell'Italia meridionale, grazie alla diffusione delle tecniche per la
lavorazione e la fusione del metallo, si avviarono scambi commerciali mirati all'acquisizione di materie
prime. Il mondo etrusco sviluppò una fiorente attività commerciale, sia marittima che terrestre,
scambiando metalli grezzi e lavorati (e forse anche prodotti agricoli) con stoffe, avori e cristalli fenici e
cartaginesi. I Micenei, che arrivarono a toccare le coste dell'Italia intorno al secolo XVI a.C, erano
attirati dalla possibilità di procurarsi metalli, pelli, forse schiavi, e un vetro di origine lavica proveniente
dalle Eolie, utile per foggiare strumenti pregiati. Altrettanto capillare fu la penetrazione commerciale dei
mercanti fenici in Italia.
Roma sorse al centro della pianura laziale alla confluenza del Tevere e dell'Aniene: in quel punto si
svolgevano commerci fin dall'età monarchica tra l'Etruria e la Campania, e Roma costituiva un passaggio obbligato del commercio tra il nord e il sud della penisola, nonché un importante luogo di
congiunzione tra la navigazione fluviale e quella marittima. All'epoca della monarchia i prodotti
dell'agricoltura erano tuttavia scarsi: non si formò un surplus alimentare destinato allo scambio e il Lazio
rimase al di fuori delle grandi rotte commerciali, eccezion fatta per il commercio del sale. La moneta
venne introdotta a Roma a metà del secolo IV a.C. circa, soppiantando l'uso del baratto. Le attività
commerciali venivano svolte perlopiù dai plebei, che non possedevano terre proprie da coltivare.
Dopo la conquista dell'Italia meridionale, Roma si proiettò in una dimensione mediterranea con
specifici interessi marittimi, scontrandosi quindi con Cartagine, la quale tentava di mantenere il
monopolio dei commerci, acquisito grazie a insediamenti in Spagna, in Sicilia e sulla costa africana.
Dopo l'annessione della Sicilia, Roma arricchì il proprio ceto commerciale, cui assicurò il controllo delle
tasse e dei commerci della nuova provincia. In seguito alla vittoria di Zama, Roma divenne padrona del
Mediterraneo occidentale, estendendo in tal modo il proprio volume di affari e diventando una potenza
anche economica.
Alla fine delle guerre puniche e di quelle macedoniche, Roma non era più uno Stato arcaico e contadino
e cominciò a popolarsi, tra l'altro, di avventurieri e mercanti senza scrupoli. Coloro che trassero
particolari vantaggi dalla mutata situazione, accumulando enormi capitali, furono i cavalieri: oltre che al
commercio su larghissima scala, questo ceto si diede all'industria e cominciò a farsi assegnare dallo Stato
una serie di appalti. Una lex Claudia del 218 a.C. vietò il commercio marittimo ai senatori. Guadagni
immensi derivavano in modo particolare dal commercio di merci preziose orientali (sete, profumi,
gioielli) che venivano rivendute a Roma a prezzi altissimi. Un altro mercato redditizio era quello degli
schiavi, alimentato anche dalla pirateria. I pirati rappresentavano però, nello stesso tempo, un pericolo
per l'economia mercantile romana: essi spadroneggiavano nel Mediterraneo orientale, depredando le
navi cariche di merci.
Cesare emanò numerose leggi per incentivare e favorire il commercio. L'ultimo periodo della repubblica
vide l'incremento del commercio degli oggetti d'arte e di antiquariato.
Augusto, durante il suo regno, si astenne da un intervento diretto in materia di commercio e affari:
queste attività vennero comunque favorite dalle condizioni di tranquillità politica, dalla costruzione di
una imponente rete stradale e dall'organizzazione di un efficiente sistema postale. Si introdusse un
doppio sistema di monetazione: l'imperatore batteva moneta d'oro e d'argento e il Senato manteneva il
diritto di battere moneta di rame.
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La rete stradale dell'impero venne migliorata, anche a beneficio dei traffici commerciali, durante il
secolo II d.C. Settimio Severo, per far fronte all'aumento delle spese, dimezzò la percentuale d'argento
presente nelle monete, per poterne emettere in maggiore quantità: la moneta perse la metà del suo
potere d'acquisto e l'inflazione crebbe.
La situazione peggiorò gradualmente finché si arrivò alla crisi gravissima dell'epoca di Diocleziano,
quando in molte parti dell'impero si tornò a un'economia premonetaria, così che gli scambi avvenivano
in natura. Tutta l'epoca tardoantica fu caratterizzata dal ristagno del commercio internazionale.
Diocleziano tentò un risanamento delle finanze, imponendo un calmiere su circa mille prodotti, per
arginare l'inflazione; ma provocò così la scomparsa dal mercato delle merci a prezzo politico e lo
sviluppo di un mercato di contrabbando con prezzi ancora più elevati.
Costantino gettò le basi di un nuovo sistema finanziario, coniando una nuova moneta d'oro (il solidus)
che rimase per secoli la base dei commerci internazionali. Questo non impedi tuttavia una progressiva
restrizione dei mercati: solo il commercio di beni di lusso provenienti dall'Oriente rimaneva florido, anche se aggravava il deficit dello Stato.
Alla fine del secolo V d.C. l'impero d'Oriente sopravviveva meglio di quello d'Occidente grazie ad attivi
traffici con la Cina, la Persia e l'India. In Occidente neanche il lungo regno di Teodorico segnò una
ripresa dal grave ristagno delle attività commerciali.
Nell'Arabia preislamica il commercio era praticato nei centri urbani che sorgevano nelle zone fertili
della regione. Ogni anno si organizzavano alla Mecca fiere e mercati e arrivavano mercanti da ogni parte
del paese, oltre che in pellegrinaggio, anche per dar vita a traffici commerciali. Più tardi Maometto si
prefisse, tra i suoi obiettivi, anche quello di spezzare il monopolio economico dei mercanti della Mecca.
Gli scambi «internazionali» avvenivano con l'Asia Minore, l'Africa, l'India. La conquista islamica, dopo
la morte di Maometto, fu motivata da un contenuto religioso, ma anche da interessi economici:
ovunque si spingessero (a nordest, verso l'impero bizantino, verso l'Africa settentrionale), i musulmani
cercarono di trarre profitti soprattutto dall'economia di scambio, controllata dai gruppi sociali di più
antica conversione. In Sicilia gli Arabi fecero di Palermo un centro importantissimo dei commerci nel
Mediterraneo.
I contrasti dottrinali col cristianesimo non impedirono agli Arabi lo sviluppo di buone relazioni con gli
altri popoli in tutti i mercati dell'Oriente e dell'Occidente. Grazie alle esportazioni arabe, si diffusero in
Occidente prodotti prima sconosciuti: ad esempio l'arancio, l'albicocco, il carciofo, il limone e alcune
spezie. Inoltre vennero smerciati tappeti di pregio e splendidi manufatti in lana, lino e cotone.
All'interno dell'economia curtense, generalmente chiusa e priva di mercati, si praticavano forme assai
rudimentali di scambio, quali il baratto. Esistevano tuttavia anche piccoli mercati locali nei pressi delle
principali vie di comunicazione: oggetto degli scambi erano i prodotti agricoli, gli attrezzi, alcuni
manufatti artigianali. Carlo Magno si interessò al commercio, agevolandolo con alcune riforme monetarie. Il commercio non era però facilitato dal sistema stradale: le strade romane esistevano ancora,
ma non erano soggette a un'accurata manutenzione; altrettanto disagiati erano i percorsi fluviali.
Una grave minaccia era poi costituita dalle incursioni piratesche dei Saraceni e delle popolazione slave,
bulgare e ungare, nonché dei Normanni.
La rinascita dell'Europa avvenne intorno all'anno Mille, e quindi con la rivoluzione agraria e il nuovo
sviluppo delle città e dell'economia mercantile: la più ricca produttività delle terre creò eccedenze che
poterono essere messe in commercio; la relativa tranquillità seguita alla fine delle ultime invasioni
facilitò gli scambi; i signori, sia laici che ecclesiastici, ebbero un crescente bisogno di oggetti di lusso per
dimostrare la loro potenza: si svilupparono cosi mercati e fiere locali e fiori il commercio internazionale.
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L'intensificarsi degli scambi favori la ripresa dell'economia monetaria: a partire dal secolo XIII, poi,
riprese la coniazione di moneta d'oro e si perfezionarono tecniche bancarie, commerciali, assicurative.
Il commercio fu un aspetto economico essenziale degli ordinamenti comunali, all'interno dei quali i
mercanti, riuniti in associazioni di categoria, parteciparono attivamente all'amministrazione della città.
Interessi eminentemente economici sollecitarono le crociate: la Terrasanta era infatti una zona di
eccezionale importanza strategica per il controllo del Mediterraneo orientale e del commercio, che in
buona parte transitava attraverso le vie carovaniere e i porti di quella regione. La repubblica marinara di
Venezia, che partecipò attivamente alla quarta crociata, ottenne il controllo delle basi marittime del
Levante, diventando in pratica padrona di quasi tutto l'Oriente.
Le altre città marinare furono Amalfi (che a partire dal secolo VI strinse contatti commerciali con gli
empori arabi delle regioni europee, con la Spagna e la Sicilia in particolare, ed estese la propria influenza
fino a Durazzo e a Marsiglia); Pisa (che subentrò ad Amalfi nel 1135, per quanto riguardava il controllo
economico del Tirreno, e lottò sempre contro lo strapotere musulmano); Genova (che sconfisse Pisa
nel secolo XIII, strappandole il primato sulla Sardegna, e in seguito superò anche Venezia, eliminando
la sua pericolosa concorrenza).
Grandissima importanza ebbe durante il Medioevo l'attività commerciale: i mercanti italiani erano
all'avanguardia, costituirono grandi compagnie che avevano filiali in Europa e nel Mediterraneo. Le città
delle Fiandre erano importantissimi centri industriali tessili; le città tedesche che si affacciavano sul
Baltico e sul mare del Nord si imposero come grandi centri commerciali.
DIRITTO
La complessa organizzazione sociale ed economica dei Sumeri era già regolata da norme di diritto, di
cui resta traccia nei contratti e negli editti siglati con appositi sigilli.
La prima codificazione di leggi di cui abbiamo conoscenza (relativa alla città di Ur) risale al 2250 a.C.
circa.
Alla civiltà babilonese va ricondotto il Codice di Hammurabi, che regolava tutti gli aspetti della vita
sociale ed economica.
Gli Egiziani diedero vita a una sorta di «diritto internazionale», per dare assetto con specifici trattati
soprattutto ai rapporti con gli Hittiti. Nella civiltà ebraica la Bibbia rappresentò sin dalle origini la fonte
del diritto sia civile sia penale: in particolare essa contiene il principio secondo il quale il patriarca ha un
potere assoluto su coloro che appartengono alla famiglia.
Nel mondo greco, le prime norme giuridiche sono documentate dalle tavolette micenee, che riportano
le regole amministrative e finanziarie del regno, il regime della terra e i doveri dei sudditi nei confronti
dell'autorità.
Le regole di comportamento del cosiddetto «Medioevo» ellenico emergono dai poemi omerici. In quei
secoli viene praticata la vendetta privata, intesa come un dovere sociale. Chi non si vendica perde il suo
«onore», ma può ricevere soddisfazione anche ricevendo un «compenso» in beni o in denaro.
Con la formazione delle póleis vengono stabiliti alcuni diritti-doveri fondamentali dei cittadini, tra cui
quello di parlare nell'assemblea (parrhesia). Il primo legislatore di Atene fu Draconte (secolo VII a.C),
autore di una legge che distingueva l'omicidio volontario da quello involontario. Nel secolo VI a.C,
sempre ad Atene, visse Solone, che legiferò sul matrimonio, sulla vita familiare e sui rapporti
interpersonali.
Gli organi costituzionali della pòlis ateniese erano rappresentati dai magistrati supremi (detti arconti), ai
quali si affiancarono successivamente altri magistrati; dal Consiglio degli anziani (in un primo momento
l'Areopago, e quindi la Boulé dei Cinquecento, istituita da Clistene); dall'assemblea popolare (Ecclesia). Il
sistema spartano era diverso da quello ateniese, in quanto si ispirava a una diversa concezione dei
rapporti tra l'individuo e lo Stato.
23
A Sparta (città dorica a differenza di Atene, ionica) lo Stato esercitava sui cittadini un potere fortissimo
sostituendosi alle famiglie nell'educazione dei giovani e vincolando anche gli adulti a forme di vita
comunitaria. La Costituzione spartana, attribuita a Licurgo, prevedeva l'esistenza di due re, di un
Consiglio degli anziani (Gerousia) e di un'assemblea popolare (Apélla). A Licurgo andrebbe ricondotta
anche l'introduzione dei magistrati detti efori, ai quali spettava il potere di proporre le leggi.
Nel secolo VII a.C. molte altre città greche si diedero delle leggi: tra di esse Mitilene, Reggio, Locri e
Catania. Tra le leggi delle città doriche va ricordata la famosa legge di Gortina, del secolo V a.C.
Il diritto etrusco ammetteva una forma di esecuzione capitale destinata ai traditori: essa, passata poi ai
Romani (lex horrendi carminis), consisteva in una fustigazione a colpi di verga, che provocava la morte del
condannato legato a un albero. Nel Lazio preromano i matrimoni erano celebrazioni con valore
istituzionale e pubblico.
Secondo la tradizione, Romolo sarebbe stato il fondatore delle istituzioni giuridiche: avrebbe creato il
matrimonio monogamico e punito l'adulterio, e avrebbe introdotto inoltre il regime della proprietà
privata delle terre, assegnando a ciascun capofamiglia due iugeri di terreno (heredium) trasmissibili agli
eredi. Tarquinio il Superbo avrebbe invece introdotto norme in materia penale, stabilendo nuove forme
di tortura. In epoca monarchica il re, oltre a punire chi commetteva dei crimini, era competente a
risolvere le controversie private (esercitando la giustizia nel processo per legis actiones); egli emanava
inoltre ordinanze vincolanti dette leges regiae.
Il diritto di famiglia romano si fondava su un rigido sistema patriarcale: il paterfamilias godeva di assoluta
autorità sulla moglie, sui figli, sulle mogli di questi e sugli schiavi.
Fin dall'epoca arcaica esistevano due cerimonie che suggellavano il matrimonio: la confarreatio e la
coemptio. La prima era una cerimonia religiosa, la seconda era un matrimonio laico, che avveniva
utilizzando le procedure della compravendita. A seguito del matrimonio la donna usciva dalla sua
famiglia ed entrava in quella del marito, in condizioni di sottoposta al potere di questi o (se questi era
soggetto alla potestà paterna) del suo paterfamilias. Qualora il matrimonio fosse stato celebrato in
forme diverse dalla confarreatio o dalla coemptio, la donna che conviveva maritalmente per un anno
entrava nella famiglia del marito, grazie all'uso chiamato usus (applicazione dell'usucapione, con cui si
acquistava la proprietà delle cose).
Secondo una legge di Romolo, il matrimonio poteva essere sciolto con il ripudio da parte del marito.
Il processo per legis actiones, caratterizzato da una scommessa-giuramento con cui le parti si
impegnavano a pagare una somma di denaro nel caso di sconfitta nella disputa, era caratterizzato da un
rigido formalismo e da aspetti sacrali.
Il primo testo scritto di leggi redatto a Roma risale al 451-450 a.C: opera di una commissione di dieci
esperti (in parte patrizi e in parte plebei) incaricati di trascrivere le antiche norme consuetudinarie, fu
chiamato codice delle XII Tavole. Esso regolamentò il processo privato delle legis actiones, limitò la
potestà del paterfamilias, stabili norme in materia ereditaria, e sanci tra l'altro la legittimità della legge
del taglione. Nel periodo che segui la prima codificazione, si stabili che ai pretori spettasse la
giurisdizione civile: l'attività pretoria diede vita a regole giuridiche nuove [ius honorarium) che
consentirono al diritto romano di adeguarsi alle trasformazioni storiche e sociali.
Molte importanti regole del diritto romano vennero introdotte dalle leggi comiziali (proposte dai
consoli, approvate dai comizi e ratificate dal Senato), dai senatusconsulta (pareri espressi dal Senato),
e dai plebiscito, (decisioni della plebe prese su richiesta di un tribuno, equiparate alle leggi in seguito a
una lex Hortensia del 287 a.C).
Riforme giuridiche importanti in senso filoaristocratico furono introdotte da Silla intorno all'80 a.C.: tra
queste una lex de tribunicia potestate che limitò il potere legislativo dei tribuni della plebe, e una
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riforma dell'amministrazione della giustizia criminale che prevedeva l'introduzione di sei tribunali con
competenza esclusiva per altrettanti specifici crimini.
Nel 23 a.C. Augusto attribuì al Senato il potere di emanare le norme e di eleggere i magistrati, nonché la
competenza a giudicare le questioni criminali. Tra il 18 e il 9 a.C. fece votare una serie di leggi volte a
incrementare il numero dei matrimoni e delle nascite e a punire come un crimine gli adultèri.
Nell'ambito del diritto di famiglia, alcune leggi limitarono il potere del marito sulla dote portata dalla
moglie e cambiarono altre regole sulla tutela. Da tempo, inoltre, l'iniziativa del divorzio spettava a
entrambi i coniugi.
A partire da Augusto le norme più importanti vennero stabilite dagli editti emanati dal principe: questi
avevano valore vincolante cosi come i suoi «mandati» (vale a dire istruzioni trasmesse ai suoi
funzionari), i «rescritti» (pareri su controversie) e i «decreti» (sentenze). I processi civili e penali
cominciarono a essere affidati a funzionari imperiali.
Nel secolo VI d.C l'imperatore Giustiniano promosse un riordinamento del sistema giuridico: una
commissione di giuristi compose una raccolta di tutte le norme giuridiche in vigore radunandole in
un'opera monumentale che rimase fondamento del successivo diritto europeo: il Corpus Iuris Civilis.
Il regno dei Longobardi trovò il proprio fondamento giuridico nell'editto di Rotari del secolo VII d.C,
che raccoglieva un corpo di regole basate su principi estranei al diritto romano. Esso rappresenta una
versione addolcita del primitivo diritto germanico: in materia penale ad esempio sancisce il passaggio
dalla vendetta personale (faida) al risarcimento in denaro (guidrigildo).
In generale, all'epoca delle invasioni barbariche si venne a creare un duplice sistema giuridico, data la
coesistenza del diritto romano e di quello barbarico. Vennero peraltro redatte compilazioni «barbariche»
che subivano però l'influsso del sistema romano: la lex Wisigothorum, la lex Romana Wisigothorum, la lex
Gundebada, l'Editto di Teodorico.
Nell'Arabia preislamica la vendetta di "sangue, unita alla solidarietà tribale (asabyya), era considerata tra
gli obblighi sociali fondamentali. Per regolare i rapporti con le locali tribù ebraiche che ostacolavano
l'Islam, fu emanata la Costituzione medinese, un prezioso testo storico e giuridico. Il diritto di famiglia
islamico prevede che l'autorità del marito sia indiscussa e totale. Le città erano centri amministrativi e
giudiziari: gli ulema controllavano che le norme del Corano venissero rispettate, i cadi esercitavano la
giustizia e si occupavano dei rapporti sociali, della famiglia, delle regole del commercio, della
successione. Le norme contenute nel Corano non riguardano solo la sfera teologica o morale, ma
regolano anche la vita quotidiana e i divorzi, i digiuni, l'alimentazione, la repressione del crimine.
I rapporti vassallatico-beneficiali prevedevano che il sovrano assegnasse terre o rendite fondiarie fisse
(designate come beneficium), che divennero presto ereditarie, come sancì il Capitolare di Quierzy dell'887
d.C. I capitolari erano le tipiche leggi dell'età carolingia, promulgate nel corso di un'assemblea generale
(di conti, marchesi, vescovi, abati). All'interno del sistema vassallatico-feudale esisteva la possibilità di
concedere delle immunità, di autorizzare l'esercito a far valere particolari diritti, quali l'imposizione di
tributi e l'amministrazione della giustizia per alcuni tipi di reati, senza ricorrere al re. L'esercizio della
giustizia era una fonte di reddito, perché comportava la riscossione di multe e ammende: alcuni delitti
prevedevano infatti il versamento di indennizzi in denaro, da pagare in parte a coloro che avevano
subito il danno, e in parte ai detentori del potere giudiziario.
Nel diritto romano-germanico, come appare chiaramente dall'Editto di Rotari, esistevano tabelle per la
stima della pena pecuniaria.
Nel sistema della «signoria bannale» il signore faceva valere un suo diritto di protezione sul territorio
circostante: era un servigio offerto dietro corresponsione di tasse in natura o in denaro. Il signore uti25
lizzava la funzione giudiziaria come strumento del potere bannale: le pene pecuniarie erano frequenti e
il monopolio della giustizia consentiva un passaggio continuo di denaro dai sottoposti al signore.
Una questione di diritto canonico fu quella relativa alla lotta per le investiture: nel 1075 infatti il papa
Gregorio VII aveva vietato ogni investitura di vescovi da parte di re o imperatori, provocando la
violenta reazione dell'imperatore Enrico IV; il conflitto tra il potere religioso e il potere temporale si
concluse con il concordato di Worms del 1122, che sancì che vescovi e abati venissero eletti secondo le
norme canoniche e che l'imperatore dovesse procedere poi all'investitura temporale.
Per il diritto ecclesiastico medievale, una testimonianza importante è costituita dal Dictatus papae, un
documento non ufficiale di Gregorio VII, contenente le norme che regolano il potere e l'autorità del
papa sia nel campo spirituale che in quello temporale. Nel mondo comunale furone importanti gli
statuti delle arti, che regolavano l'attività lavorativa delle diverse corporazioni, tutelavano gli iscritti e disciplinavano la vita privata, fornendo indicazioni su come celebrare le festività, come aiutare i colleghi
malati o disoccupati, come comportarsi secondo la morale cattolica.
Nel Medioevo si ebbe una rinascita del diritto romano, che veniva studiato nelle università ad opera dei
«glossatori», che lo liberarono da riferimenti a regole o istituti non più esistenti.
DIVERTIMENTI
Presso gli Egiziani uno dei passatempi preferiti dai ceti elevati era la lettura, specialmente di racconti
d'avventure. Nei palazzi cretesi si svolgevano probabilmente spettacoli e giochi acrobatici con i tori, per
assistere ai quali venivano costruite gradinate e tribune. Un aspetto fondamentale della vita delle póleis
greche erano i giochi sportivi panellenici, comprendenti gare che erano riservate ai cittadini maschi,
adulti, liberi, ed erano dedicate alle divinità. Momento fondamentale nella vita dei cittadini ateniesi era la
partecipazione agli spettacoli teatrali (tragedie e commedie) organizzati durante particolari festività. Uno
dei divertimenti più diffusi tra i sovrani di età ellenistica fu il gioco con macchine ingegnose, quali
fontane e dispositivi idraulici, progettati dagli inventori alessandrini senza uno scopo produttivo o
industriale.
Il gioco era molto importante anche per gli Etruschi. Erodoto racconta che, durante una terribile
carestia, essi dedicarono intere giornate al gioco per dimenticare di cibarsi. Durante i funerali, gli Etruschi usavano offrire al popolo spettacoli di combattimenti, che i Romani ereditarono trasformandoli nei
duelli tra gladiatori.
Dopo le guerre puniche si diffusero a Roma nuove forme di divertimento, tra le quali i giochi dei
gladiatori e le lotte con le belve. Nella stessa epoca si sviluppò il teatro, soprattutto per merito di Plauto,
del quale rimangono ventuno commedie che rielaborano in modo originale i modelli greci. Il poeta
Ovidio esaltò l'amore come gioco galante, svago di una società raffinata e frivola; ma Augusto, restauratore di una rigida morale, lo esiliò.
Attorno al solstizio d'inverno a Roma si celebravano i Saturnali. Antenati del nostro carnevale, queste
feste duravano una settimana e permettevano di fare tutto ciò che durante il resto dell'anno era proibito: gli schiavi erano liberi, si giocava d'azzardo, per le strade si tenevano spettacoli gratuiti di attori,
musicanti, lottatori, ballerini e pantomimi. Tacito descrive un grave episodio di guerriglia verificatosi nel
59 d.C. in uno stadio di Pompei, a dimostrazione del fatto che le manifestazioni del circo
coinvolgevano gran parte della plebe ed erano la valvola di sfogo della latente violenza della massa, che
viveva in condizioni economicamente e culturalmente disastrate.
Analoghi fenomeni di violenza si verificavano anche durante gli spettacoli teatrali: per questo
l'imperatore Tiberio dovette vietare la pantomima. All'interno degli anfiteatri si tenevano le lotte dei
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gladiatori, le cacce alle bestie feroci e le battaglie navali. I giochi del circo erano un mezzo usato dagli
imperatori per distogliere la plebe romana dalla attività politica.
Luogo di divertimento e socializzazione erano per i Romani anche gli stabilimenti termali, i più antichi
dei quali risalgono al secolo i a.C. A partire dall'epoca neroniana, in alcuni stadi, furono le persecuzioni
dei cristiani a essere oggetto di spettacolo.
Gli Arabi conobbero il gioco degli scacchi in Persia e ne diffusero la pratica in Europa.
Durante la vita quotidiana nei castelli i divertimenti nobili per eccellenza erano la caccia e i tornei: ci si
divertiva anche con gli spettacoli dei giullari.
DONNA
Fin dal momento in cui è possibile seguirne la storia, la condizione delle donne è legata alla loro
capacità di procreare,e quindi alla loro responsabilità di assicurare la perpetuazione del gruppo. Nel
periodo in cui l'umanità viveva allo stato nomade, esse erano totalmente sottomesse agli uomini. La
supremazia maschile era determinata dal fatto che la sopravvivenza dipendeva dalla capacità di uccidere
gli animali, da cui venivano ricavati sia il cibo sia il vestiario.
A partire dal Paleolitico le donne presero l'abitudine (dapprima sporadicamente, poi in modo sempre
più sistematico) di raccogliere bacche commestibili, radici e frutti, anche se la base dell'alimentazione
era ancora rappresentata dalla cacciagione. Circa 12000 anni prima di Cristo, però, venne introdotta
l'agricoltura, e la vita dell'umanità cambiò. Da tempo, infatti, osservando il ciclo della vegetazione, le
donne avevano intuito il rapporto tra seme e pianta, e avevano cominciato a interrare i semi vicino alle
loro capanne.
Secondo quanto si dice, dunque, esse «scoprirono» l'agricoltura, e a questo punto acquistarono un certo
potere; ma questo non significa, come alcuni sostengono, che la prima organizzazione sociale fu
«matriarcale». Per quanto indietro nella storia sia dato risalire, l'organizzazione sociale appare «patriarcale». Questo vale anche per le più antiche civiltà fiorite nel Mediterraneo, come la civiltà cretese, in
cui esisteva una divinità femminile onnipotente (Potnia).
Nel primo periodo di vita delle póleis greche, quando l'organizzazione cittadina non era ancora
pienamente consolidata, le ragazze delle classi più alte, prima del matrimonio e in preparazione di
questo, passavano un periodo di vita in comunità religiose e culturali femminili, dette tbiasoi, di cui il più
celebre è quello di cui era «maestra» Saffo nell'isola di Lesbo.
Nell'organizzazione delle póleis le donne erano considerate cittadine, ma non erano ammesse a esercitare
i diritti che derivavano da questo status. Esse erano totalmente escluse dalla partecipazione alla vita
pubblica, e in alcune città anche da quella sociale. Ad Atene, in particolare, esse vivevano in una parte
segregata della case, detta gineceo, e non ricevevano alcuna educazione. Erano inoltre discriminate
anche nel campo del diritto privato, e in particolare non avevano la capacità di ereditare il patrimonio
familiare. Se erano figlie uniche, quindi, erano costrette a sposare il parente più stretto in linea maschile,
cosi che il patrimonio trasmesso ai loro figli non finisse nelle mani di estranei.
Le donne spartane, invece, erano libere di darsi alle attività ricreative, artistiche e sportive. Il loro
compito era infatti quello di dare alla città figli sani e forti, e ciò richiedeva che anch'esse fossero tali.
Inoltre i figli venivano educati dallo Stato, e questo dava alle donne la possibilità di impiegare
liberamente il loro tempo. Per queste ragioni nell'antichità nacque la leggenda della loro disinvoltura
nella vita sessuale.
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In età ellenistica le donne ebbero una maggior libertà e, pur rimanendo escluse dalla partecipazione alla
vita politica, godettero di una serie non trascurabile di nuovi privilegi nel campo del diritto privato.
La presenza frequente del matronimico accanto al patronimico nel sistema onomastico etrusco
testimonia una condizione della donna migliore rispetto a quella riscontrabile nella società greca
(eccetto forse che a Sparta) e in quella romana. Secondo la testimonianza di Teopompo, le donne
etrusche godevano di grande libertà, partecipavano ai banchetti, allevavano i figli senza curarsi di chi ne
fosse il padre; si tratta però di notizie leggendarie, derivanti semplicemente dal fatto che le donne
etrusche erano più libere, più colte e più indipendenti delle altre donne dell’antichità.
Le leggende che ci sono state tramandate sulle origini di Roma sono ricche di figure femminili, come
Rea Silvia, madre di Romolo e Remo, o Tarpea, colpevole di aver fatto entrare a Roma i Sabini, ai quali
i Romani avevano in precedenza rapito le donne.
I tre nomi con cui ogni aristocratico romano veniva chiamato erano prerogativa esclusivamente
maschile: alle donne erano riservati solo il nome gentilizio e quello familiare. La mancanza del nome
proprio è indicativa del fatto che le donne erano considerate una componente passiva della famiglia,
nella quale infatti erano sottomesse per natura (se figlie) o per diritto (se mogli o nuore) al paterfamilias.
In origine l'uomo acquistava la moglie stipulando un vero e proprio atto di compravendita ed era il solo
a poter chiedere il divorzio (che coincideva di fatto con un ripudio).
Al nome di Lucrezia è legata una leggenda didattica relativa alla cacciata di Tarquinio il Superbo da
Roma: la nobildonna viene in essa dipinta come paradigma della virtù femminile su cui doveva poggiare
la solidità dello Stato romano. Non dissimile era il carattere della leggenda legata al nome di Virginia.
Clelia si sarebbe segnalata invece per il suo coraggio nel corso della guerra fra Romani ed Etruschi.
Nell'età augustea si affermò una nuova morale: nei confronti della moglie il marito fu portato a un
atteggiamento più rispettoso e più fedele. La condizione delle donne tra i secoli I a.C. e I d.C. migliorò,
grazie a una serie di leggi volte a proteggerle dagli abusi dei mariti o dei tutori; anche a loro era stata
inoltre concessa la possibilità di chiedere il divorzio. Tuttavia l'«emancipazione» fu un fenomeno che
interessò soltanto le donne appartenenti ai ceti elevati, alcune delle quali si dedicarono alla poesia, altre
alla medicina o alla retorica. Gli uomini reagirono cercando di propagandare le antiche virtù, additando
come esempi, accanto a quelle leggendarie, anche alcune donne contemporanee.
A cominciare dall'ultimo secolo della repubblica si manifestò un calo delle nascite che toccò la punta
massima nel secolo II d.C: alcuni storici antichi considerarono colpevoli di questa crisi le donne.
Durante l'epoca imperiale non mancarono figure femminili spregiudicate, capaci di manovrare i vertici
del potere: è il caso, ad esempio, di Agrippina, la quale fece di tutto perché Nerone fosse proclamato
imperatore. Un caso di donna culturalmente emancipata fu quello di Sulpicia, poetessa aristocratica
dell'età di Augusto. Per incontrare una donna-sovrano occorre invece guardare a Stati lontani, come ad
esempio Palmira, di cui fu regina Zenobia o l'Egitto, con l'intraprendente Cleopatra.
Nella fase più tarda dell'impero spicca la figura di Amalasunta, che, alla morte del padre Teodorico,
essendo divenuta tutrice di Atalarico, cercò senza successo di riprendere la politica paterna. Nel
frattempo, nell'impero d'Oriente, Teodora, moglie di Giustiniano e, secondo Procopio, donna di
costumi spregiudicati, affiancava il marito sul soglio imperiale.
Nell'Arabia preislamica la donna partecipava alla vita comunitaria in una posizione pressoché pari a
quella dell'uomo. Con l'affermarsi della religione islamica la condizione femminile subì un regresso:
l'autorità del marito sulla moglie divenne indiscussa e totale, la donna potè essere ripudiata e costretta a
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vivere in stanze separate dal resto della casa: il cosiddetto harem; fu inoltre il Corano a stabilire che le
donne dovessero coprirsi il viso.
Due donne parteciparono attivamente alla vita politica della dinastia di Sassonia: alla morte di Ottone
II, le due imperatrici Adelaide e Teofano, rispettivamente nonna e madre del giovanissimo erede,
influenzarono la sua educazione, specie per quanto riguardava i rapporti col papato.
La vita delle donne nei castelli doveva trascorrere piuttosto monotona: esse erano di solito occupate a
tessere, filare e ricamare.
ISTRUZIONE
Presso i Sumeri l'istruzione era affidata in parte ai padri e in parte agli scribi, che trasmettevano in
forma poetica la sapienza legata alle credenze religiose. Le scuole egiziane dipendevano dai templi: il
sapere era custodito e tramandato dalla casta sacerdotale.
In Grecia, nel cosiddetto «Medioevo» ellenico furono i poemi omerici a svolgere una funzione didattica,
sia per quanto concerneva la storia da tramandare, sia per quanto riguardava i valori, le regole di
comportamento, le tecniche artigianali da osservare.
A Sparta l'istruzione degli Spartiati iniziava all'età di sette anni e si protraeva, lontano dalla famiglia e in
un regime particolarmente rigido, fino a diciannove, sotto la guida di un educatore che addestrava i
giovani alla guerra.
Nella vita e nella formazione del cittadino ateniese era fondamentale il periodo dell’efebia, in cui il
giovane si preparava alla formazione militare e all'ingresso nella società adulta.
Le donne non ricevevano alcun tipo di educazione; anche per loro esistevano tuttavia cerimonie di
iniziazione, attraverso le quali potevano accedere al mondo delle donne adulte.
Nell'Atene del secolo V a.C. l'istruzione dei cittadini cominciò a differenziarsi e si diffuse l'insegnamento dei sofisti, finalizzato soprattutto al saper parlare e argomentare. Il modello greco
dell'istruzione divenne un punto di riferimento nella formazione delle classi dirigenti macedoni e
romane: esemplare a questo proposito l'educazione greca impartita da Aristotele al giovane Alessandro
il Grande.
L'educazione romana nel periodo delle origini avveniva all'interno della famiglia: per i primi sette anni
sotto la guida della madre e successivamente, fino ai sedici anni, sotto quella del padre. La nozione
fondamentale era il rispetto del costume degli antenati, il cosiddetto mos maiorum, un ideale morale
indiscusso che doveva essere sempre rispettato. Uno dei sistemi con cui i Romani trasmettevano
insegnamenti morali di generazione in generazione erano i racconti didattici.
Dopo le guerre puniche si verificò un processo di ellenizzazione della cultura romana: arrivarono a
Roma, dalla Grecia, numerosi insegnanti e filosofi che fecero scalpore per le loro dottrine, lontane dalla
tradizionale morale romana. L'arrivo dei filologi e dei grammatici diede vita alle prime scuole di
letteratura e di lingua greca.
A Roma esistevano vari livelli di istruzione: uno elementare per imparare a leggere e scrivere, uno
medio (sotto la guida in un grammaticus) e uno liceale, che, gestito da un rhetor, preparava alla vita pubblica insegnando l'arte dei discorsi. Durante l'ultimo periodo della repubblica la cultura greca diventò
patrimonio dell'aristocrazia romana: i giovani della buona società conoscevano il greco e andavano in
Grecia a studiare; i filosofi greci divennero maestri di vita per numerosi aristocratici, e le scuole di
retorica si moltiplicarono.
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Durante la prima età imperiale il fenomeno del bilinguismo si allargò e i giovani di buona famiglia
continuarono a recarsi in Grecia per approfondire i loro studi. L'imperatore Adriano promosse un miglioramento dell'educazione scolastica, alla quale poteva accedere una notevole parte della popolazione.
Avvertendo la necessità di misurarsi con la cultura greca, i cristiani iniziarono a frequentare le scuole
superiori, studiando anche autori pagani, e tentarono di operare una sintesi tra la loro religione e la
filosofia greca, risultato che venne raggiunto nel corso del secolo IV d.C.
Nella civiltà arabo-islamica si registrò una notevole vivacità culturale in campi disparati, quali la
matematica, la medicina, l'astronomia, la filosofia, la poesia, l'arte, che fiorirono grazie allo spirito di
tolleranza e alla curiosità intellettuale. L'istruzione morale, teologica e la precettistica utile alla vita
comune sono contenute nel libro sacro dei musulmani, il Corano.
Carlo Magno diede un forte impulso alla diffusione, in Europa, della cultura e all'istruzione: nella
capitale Aquisgrana migliorò e moltiplicò le scuole, mentre nel palazzo imperiale fondò la Schola
Palatina, dove giunsero maestri e scrittori da ogni parte dell'impero. Valore pedagogico ebbero
sicuramente anche i cantari epici.
Per tutto il Medioevo continuarono a svolgere la loro funzione educatrice le scuole gestite dalle
istituzioni ecclesiastiche. Lo strumento privilegiato della diffusione della cultura fu il libro in pergamena.
Con il secolo XII, in seguito allo sviluppo della civiltà urbana e comunale, la cultura subì un processo di
laicizzazione: nacquero le università, all'interno delle quali si svilupparono scienze relative all'amministrazione pubblica e ai rapporti commerciali (si pensi agli studi giuridici, ad esempio, particolarmente
fiorenti nell'antichissima sede universitaria di Bologna). Nelle università il contatto tra professori e
studenti era stretto, e in quel periodo si diffuse la figura del clericus vagans, lo studente che girava tra le
varie università europee, diffondendo in latino (ovunque conosciuto) le dottrine dei diversi professori.
Sedi universitarie importanti furono, oltre a Bologna, Parigi, Oxford, Salerno, Montpellier, Salamanca,
Padova, Lisbona e Cambridge.
LETTERATURA E COMUNICAZIONE
Già l'Australopiteco possedeva capacità di trasmissione orale delle informazioni, poi perfezionatesi con
l'uomo di Neanderthal e con l'Homo sapiens. Quest'ultimo riusciva probabilmente a organizzare e a
trasmettere le proprie conoscenze di generazione in generazione. In età paleolitica fu soprattutto il mito
a essere tramandato. Come tutte le società in cui la trasmissione del patrimonio culturale è affidata alla
parola, e non alla scrittura, le società paleolitiche vengono comunemente definite, oltre che tribali,
anche «preletterarie» oppure «orali».
Una prima forma di comunicazione scritta con valore letterario risale ai Sumeri, ai quali si deve (3000
a.C.) l'invenzione della scrittura cuneiforme, impiegata sia per la redazione di testi sacri che per la
trasmissione di testi scientifici. Poco più tardi vi fu la prima codificazione giuridica nella città di Ur.
Oralmente venne invece trasmesso il poema nazionale sumero, l'Epopea di Gilgamesh. La scrittura fu
largamente impiegata anche nella civiltà babilonese per regolare la vita civile ed economica.
Nella civiltà egiziana lo scriba, il cui compito era quello di registrare ogni aspetto della vita civile, era un
personaggio fondamentale dell'organizzazione statale. Gli Egiziani produssero, inoltre, una letteratura
scritta di alto livello, con opere a carattere religioso e politico, con testi di narrativa e di poesia, noti
attraverso i papiri e iscrizioni tombali.
Anche nella civiltà cretese la scrittura servi principalmente a scopi amministrativi: gli scribi del palazzo
usarono dapprima un alfabeto pittografico e poi il Lineare A per la registrazione di tutte le operazioni
economicofinanziarie. Il regno miceneo, invece, elaborò un altro sistema di scrittura, detta Lineare B,
con la quale sì redassero anche documenti relativi agli eventi politici della città.
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I testi letterari tradizionali dell'antica civiltà ebraica si trovano nella Bibbia; vi è tuttavia una componente
di oralità nelle comunità israelitiche, rappresentata dalla predicazione dei profeti. I Fenici elaborarono
una scrittura alfabetica finalizzata a snellire la registrazione commerciale e amministrativa. Civiltà
totalmente «orale» fu invece quella scita, nonostante l'elevato livello culturale raggiunto soprattutto dai
«sapienti». I Persiani conobbero la scrittura e nell’Avesta raccolsero tutti i testi fondamentali che
riguardavano la loro religione.
La scrittura scomparve nel cosiddetto «Medioevo» ellenico: la Grecia di quest'epoca è pertanto una
civiltà tipicamente orale, in cui le conoscenze venivano trasmesse dagli aedi e dai rapsodi. I loro canti
poetici, che vennero poi «ricuciti» e formarono l'Iliade e l'Odissea, avevano funzione sia ricreativa che
didattica e sono un documento indispensabile per conoscere la religione olimpica, l'organizzazione politica ed economica della Grecia arcaica. Nel mondo delle póleis nacque il genere lirico, che dava voce ai
sentimenti individuali, differenziandosi cosi dall'epica.
La società greca del secolo VI a.C. rimase una società in parte «orale»: significativo è a questo proposito
il caso di Solone, che fu contemporaneamente autore di leggi scritte e compositore di poesia lirica orale.
La scrittura diventò comunque una componente fondamentale nella trasmissione della cultura quando,
nelle colonie greche, si pose fine all'arbitrarietà del diritto più antico e si legiferò in forma scritta in
materia civile e penale. Sotto la tirannide di Pisistrato si diede grande importanza alle feste in cui si
svolgevano rappresentazioni teatrali: nel 534 a.C. il primo vincitore alle feste dionisie fu Tespi, il mitico
inventore della tragedia.
In epoca storica si ebbe in Grecia una straordinaria fioritura letteraria: nacque anche il genere
storiografico, con Erodoto, che fece un resoconto dei propri viaggi e descrisse lo scontro tra Greci e
Persiani, e con Tucidide, che narrò la guerra del Peloponneso con metodo rigoroso. Interamente
affidato alla parola era invece il sapere dei sofisti, ai quali ci si rivolgeva per apprendere appunto l'arte
del discorso o retorica. Tra i filosofi, Socrate non affidò il proprio pensiero alla parola scritta, ma alla
tradizione orale.
In età ellenistica si diffusero molte traduzioni, destinate ad agevolare l'integrazione di culture
profondamente diverse.
Grande impulso ebbero l'attività letteraria e la conservazione del patrimonio letterario greco nell'Egitto
dei Tolomei, grazie all'istituzione della Biblioteca di Alessandria. In generale, in età ellenistica, il libro
soppiantò le forme della comunicazione orale. Non tutti però erano in grado di leggere, sia per l'alto
tasso di analfabetismo, sia per l'elevato costo dei libri. Numerosi furono gli scritti dei filosofi ellenistici,
incentrati sulla riflessione morale e attenti alla problematica dell'individuo: l'epicureismo e lo stoicismo
furono le correnti filosofiche più importanti.
Le civiltà indiane del III millennio a.C. conoscevano la scrittura: possedevano un alfabeto pittografico
di quattrocento segni che non è stato ancora decifrato.
La lingua etrusca utilizzava una scrittura simile al greco, che oggi possiamo leggere. Di questa lingua
negli ultimi decenni sono state interpretate numerose parole. Un importante documento linguistico (che
conferma la presenza dei Fenici in Italia) è rappresentato da una serie di tavole d'oro bilingui (in etrusco
e in punico) ritrovate in Sardegna e nel Lazio. Un passaggio significativo dall'oralità alla scrittura
nell'ambito della cultura romana si ebbe con la redazione delle XII Tavole alla metà del secolo V a.C.
Forme di comunicazione importanti per Roma erano anche i trattati, il più antico dei quali, stipulato
con Cartagine, risale al secolo VI a.C.
Prima delle guerre puniche la memoria storica era affidata agli archivi dei magistrati, dei collegi
sacerdotali e delle famiglie nobili: notevoli erano soprattutto gli annales compilati dai pontefici. In
seguito, sempre con criterio annalistico, furono composte le prime opere di storia: gli autori che per
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primi si cimentarono con questo genere letterario furono Fabio Pittore e Cincio Alimento. Con
l'ellenizzazione della cultura romana seguita alle guerre con Cartagine e in Macedonia, si aprirono scuole
di lingua e letteratura greca, nonché circoli culturali, tra i quali spicca quello degli Scipioni: a esso
risultano in qualche modo legati lo storico Polibio e il commediografo Terenzio. La nascita della
letteratura romana è da ricollegarsi all'ellenismo: il primo autore della letteratura latina fu un greco,
Livio Andronico, che tradusse l’Odissea.
Alla cultura greca si rifecero anche Gneo Nevio, autore di tragedie e commedie (alcune però di
argomento romano), ed Ennio, autore di un lungo poema epico, gli Annales, sulla storia di Roma. Il
teatro romano fu rappresentato da Plauto, commediografo che compose perlopiù imitando i modelli
della commedia «nuova» del greco Menandro; e poi da Terenzio. Nella società romana, però, il poeta
non veniva considerato un sapiente e una figura di spicco, ma un cittadino di rango inferiore. Durante
gli ultimi anni delle guerre civili vi fu una notevole produzione poetica. Valerio Catullo, esponente di
primo piano del gruppo dei «neoteroi» e autore di un canzoniere di poesie amorose, espresse i
sentimenti dell'alta società romana. Lucrezio, autore del poema filosofico De rerum natura, divulgò a
Roma i principi dell'epicureismo.
Si diffondeva intanto, insieme alla filosofia, anche la retorica, materia studiata in apposite scuole dai
giovani romani che volevano dedicarsi all'attività politica. Il retore più importante e più famoso della
tarda età repubblicana fu Cicerone, autore di trattati e di numerose orazioni politiche e giudiziarie, per
secoli modelli incontrastati dello scrivere latino. Anche la storiografia di quest'epoca ebbe rappresentanti illustri: Sallustio scrisse la storia della congiura di Catilina e la storia della guerra giugurtina;
Giulio Cesare redasse due resoconti: uno relativo alla guerra contro i Galli e un altro sulla guerra civile
da lui combattuta contro gli eserciti pompeiani.
Durante il principato di Augusto la letteratura fiori, grazie anche alla protezione concessa ai letterati dal
principe e dal suo amico Mecenate. La poesia vide, tra i suoi più raffinati autori, Virgilio, che compose
una raccolta di carmi chiamata Bucoliche, un poema didattico sulla vita dei campi, le Georgiche, è il suo
capolavoro, Y Eneide, un poema epico sulla storia di Roma. Orazio, seguace dell'epicureismo, compose
Satire, Epodi ed Epistole in cui sono frequenti temi di carattere personale e filosofico, ma anche temi civili
e politici. Ovidio, autore di ispirazione più «leggera», compose varie opere, tra cui due raccolte di
poesie, YArs amatoria e gli Amores. Censurato dal regime moralizzatore di Augusto (anche se forse sulla
decisione pesarono questioni politiche), egli fu esiliato.
Altri autori di età augustea furono Tibullo e Properzio, che scrissero elegie a carattere sentimentale. Lo
storico di maggior spicco di quest'epoca fu Tito Livio, che compose una storia di Roma in 142 libri. La
storia successiva alla morte di Augusto venne invece raccontata da Tacito negli Annales e nelle Historiae,
che arrivano fino alla morte di Domiziano. Svetonio redasse Le vite dei Cesari, che coprono gli eventi
compresi tra Cesare e Domiziano.
Durante la tarda età imperiale si verificò una intensa romanizzazione della cultura, specie nella parte
occidentale dell'impero.
Intellettuali di rilievo dell'epoca neroniana furono il poeta Lucano, che scrisse un poema epico sulla
guerra civile (Bellum civile), lo scrittore satirico Petronio e il filosofo Seneca, autore di trattati a carattere
morale e di alcune tragedie. Alla diffusione del cristianesimo concorsero alcune lettere scritte
dall'apostolo Paolo alle prime comunità cristiane. La sostanziale unità della cultura grecolatina è ben
rappresentata dalle Vite parallele del greco Plutarco, che compose biografie di grandi personaggi del
passato greco e romano. Apuleio scrisse un romanzo con sottofondi misterici e religiosi, L'asino d'oro.
Luciano si distinse come scrittore e conferenziere. In campo scientifico va ricordata l'opera compendio
di tutte le scienze mediche dell'antichità di Galeno di Pergamo. L'imperatore Marco Aurelio lasciò
un'opera di carattere filosofico ispirata ai principi dello stoicismo, intitolata A se stesso.
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Alla fine del secolo II d.C. il cristianesimo tentò una sintesi tra la propria dottrina e la cultura greca: i
risultati più significativi di questo confronto si trovano nelle opere dei Padri della Chiesa, tra i quali
Origene e Clemente Alessandrino.
Agli inizi del secolo IV d.C. fu composta un'opera collettiva sulle vicende dell'impero chiamata Historia
Augusta. Tipico della cultura tardoantica è il tentativo di integrare forma classica e contenuto cristiano:
Prudenzio, nel secolo IV d.C, scrisse un ciclo di poesie in onore dei martiri cristiani, usando metro e
lingua oraziani; Nonno di Panopoli mise in versi il Vangelo di Giovanni impiegando il metro di Omero.
Sant'Agostino, con il suo diario intitolato Le confessioni, fondò il pensiero cristiano medievale, e con La
città di Dio gettò le basi della filosofia politica dei secoli successivi.
Goti, Franchi e Longobardi ebbero i loro storiografi: scrivevano in latino, ma narravano le imprese dei
loro popoli. Le prime opere storiografiche dei barbari sono brevi cronache anonime; quindi apparvero
storici di maggior livello, sia barbari, sia romani al servizio dei barbari. Nel secolo VI d.C. Giordane
scrisse la Historia Gothorum, nel secolo VII d.C. Paolo Diacono la Historia Longobardorum, Gregorio di
Tours quella dei Franchi.
Procopio di Cesarea è il principale storico dell'età di Giustiniano. Egli è autore dell'opera Sulle guerre
(sulle spedizioni militari bizantine del secolo VI d.C.) e Sugli edifici (sulle opere architettoniche fatte
costruire da Giustiniano a Bisanzio). Opera denigratoria delle figure di Giustiniano e della moglie
Teodora è invece il libello di Procopio pubblicato postumo, La storia segreta.
In ambito islamico, l'opera letteraria più importante relativa alla vita di Maometto e alla religione è il
Corano: esso è «il libro» per eccellenza, scritto in prosa poetica e strutturato in una serie di sezioni
chiamate sure. Gli Arabi diedero grande impulso alle lettere: i libri furono lo strumento privilegiato della
trasmissione della loro cultura: anche nei paesi in cui si diffuse la civiltà islamica crebbe l'interesse per
gli studi e per i libri. Nel periodo compreso tra il 750 e il 900 d.C. furono portate a termine numerose
traduzioni in lingua araba, specialmente di autori della letteratura greca.
Durante l'impero carolingio rifiorirono gli studi e, grazie alla copiatura manuale, numerose opere latine
di età classica e opere dei Padri della Chiesa vennero ampiamente diffuse; scrittori e maestri di ogni
parte d'Europa convennero alla Schola Palatina di Aquisgrana. Affidate ai monaci e ai chierici erano le
redazioni di memorie storiche; in parallelo si sviluppava una letteratura «popolare», trasmessa
oralmente: si trattava dei cantari epici, che impiegavano la lingua parlata e si svilupparono nei paesi di
antica tradizione romana. Le leggende, narrate da giullari nei castelli e nelle piazze, raccontavano le
gesta di eroi quali Parsifal, Artù, il Cid Campeador e Orlando. La prima biografia di Carlo Magno fu
redatta dal suo contemporaneo Eginardo, che sottolineò l'amore del sovrano per la cultura, lo studio
delle lingue straniere e per le «arti liberali».
I racconti dei miracoli dei santi riflettono, per molti aspetti, la complessità dell'immaginario medievale: i
santi, infatti, trionfano sempre su figure mitiche che simboleggiano il male, quali mostri, draghi e belve
demoniache. Le Storie in cinque libri del monaco cluniacense Rodolfo il Glabro rappresentano una
straordinaria testimonianza storica delle difficoltà dell'Europa intorno al Mille.
Il materiale scrittorio medievale più diffuso fu la pergamena, costosa ma assai resistente; essa fu
soppiantata in Occidente dalla carta solo nei secoli XII e XIII. Il libro, scritto materialmente dagli
amanuensi, era spesso abbellito da miniature a colori. A partire dal secolo XII si diffuse in tutta Europa
il genere letterario dei cosiddetti «bestiari», scritti nei vari volgari, a imitazione di un'opera orientale dei
secoli XIV d.C., il Fisiologo, che conteneva descrizioni di animali condotte secondo criteri allegorici di
ispirazione cristiana.
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Allo sviluppo della cultura universitaria si legò strettamente quello della letteratura. Il latino rimase la
lingua universale, ma si affermarono anche i volgari nazionali: in lingua d'oil furono composti i poemi
cavallereschi del ciclo bretone e del ciclo carolingio; in lingua d'oc i trovatori provenzali scrissero le loro
poesie d'amore. Dall'esempio dei poeti provenzali trassero ispirazione i primi poeti della letteratura
italiana: quelli della cosiddetta scuola siciliana (nata intorno al 1220 alla corte dell'imperatore Federico
II) e il gruppo degli stilnovisti, tra i quali Guinizzelli, Cavalcanti e Dante Alighieri. Le vicende legate alle
spedizioni dei crociati diedero origine a leggende e tradizioni, raccolte in canti e ballate.
PROPRIETÀ
Proprietà (dal latino proprius) è parola che, prima di indicare un concetto giuridico, indicava
l'appartenenza esclusiva, di fatto, di beni o cose a una persona o a un gruppo. Nel primo caso la
proprietà era individuale, nel secondo collettiva. Forse il concetto di proprietà individuale nacque nel
Neolitico, quando gli abitanti dei villaggi iniziarono a praticare l'allevamento stanziale: gli animali, a
differenza degli utensili per l'agricoltura, non vennero più considerati dei beni collettivi.
Nelle società orientali la proprietà della terra, di norma, spettava al sovrano. Questa era infatti la regola
presso i Babilonesi e presso gli Egiziani, ove, peraltro, accanto al faraone, possedevano la terra anche i
sacerdoti. Grazie a questo privilegio, con l'andar del tempo, la classe sacerdotale si trasformò in una
classe di latifondisti. Nel mondo miceneo solo il wànax e i sacerdoti potevano disporre illimitatamente
di un appezzamento di terra. Il suolo pubblico era concesso ai privati dietro corresponsione di servizi o
di prestazioni in natura.
A Sparta non esisteva la proprietà privata: ogni cittadino aveva però diritto a un appezzamento di
terreno (kléros), che lasciava in eredità al primogenito maschio. In quel regime di stampo «comunista» gli
Spartiati consumavano in comune i pasti.
La proprietà venne regolamentata ad Atene dall'opera legislativa di Solone, che sancì l'inalienabilità dei
beni immobili. Nel secolo V a.C. alla proprietà familiare si venne sostituendo quella individuale, anche
se erano previste pesanti limitazioni, prima tra tutte la possibilità di espropriazione da parte dello Stato
in caso di pubblica necessità. Erano esclusi dal diritto di proprietà gli stranieri, i cittadini condannati per
un crimine, i meteci e gli schiavi.
Per gli abitanti del Lazio primitivo, che poi formarono il nucleo dei primi cittadini romani, il pecus, ossia
il gregge e il peculium, cioè il possesso del bestiame, rappresentarono, insieme alle terre, la prima forma
di proprietà. Il regime giuridico della proprietà privata sarebbe stato introdotto, secondo la tradizione,
da Romolo, che assegnò al capo di ciascun gruppo familiare L’heredium, consistente in due iugeri di
terreno (circa cinquemila metri quadrati) trasmissibili agli eredi. Il possesso della terra garanti ai patrizi
una posizione di preminenza, soprattutto politica: erano i gruppi gentilizi (quelli che vantavano un
antenato comune) a essersi impadroniti delle poche terre sfruttabili al momento della nascita di Roma.
Proprietà del paterfamilias erano i mezzi di produzione e di coltivazione delle terre, nonché gli schiavi,
che venivano considerati cose (res). La proprietà del paterfamilias, alla, sua morte, era ereditata dai suoi
discendenti immediati (figli, o, nel caso che questi fossero già morti, dai figli dei figli), che diventavano
nuovi capofamiglia. Anche le terre conquistate in seguito a vittorie militari venivano inizialmente
distribuite solo all'interno del ceto patrizio, ma all'inizio dell'età repubblicana i plebei lottarono per
ottenere quote dell'ager publicus, e raggiunsero il loro scopo dopo la guerra contro Veio.
La proprietà fu il criterio in base al quale la popolazione venne divisa in centurie, ossia nelle classi
sociali su cui si strutturava l'assemblea popolare dei comizi centuriati: la prima classe raccoglieva i
possessori di almeno 100000 assi di bronzo, la seconda coloro che ne possedevano 75000, la terza
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coloro che ne possedevano 50000, la quarta coloro che ne possedevano 25000 e la quinta coloro che ne
possedevano 12500.
Al di fuori di queste classi vi erano i capite censi, che non possedevano nulla tranne la propria persona
fisica.
Dopo le guerre puniche, i piccoli proprietari terrieri, che avevano prestato servizio militare lontano da
casa per molti anni, trovarono, al loro ritorno, le terre inaridite. Inoltre la coltivazione intensiva dei
cereali non era più redditizia ed era impossibile reggere la concorrenza con le grandi proprietà terriere
in mano agli aristocratici: i piccoli proprietari vendettero perciò ai grandi possidenti, incrementando il
regime del latifondo. Il ceto dei cavalieri invece si era arricchito con le guerre e aveva creato un nuovo
tipo di ricchezza: quella rappresentata dai bottini di guerra e dai tributi imposti ai territori conquistati.
La riforma agraria proposta da Tiberio Gracco nel 133 a.C, che intendeva limitare il possesso privato
delle terre (nessuno avrebbe potuto avere più di 500 iugeri di terreno) e redistribuirle ai contadini, non
fu approvata, né ebbe successo dieci anni più tardi, quando fu riproposta dal fratello Caio. E anche sulla
questione delle terre e della loro distribuzione che si giocarono le lotte civili che portarono alla fine della
repubblica.
La riforma costituzionale di Augusto sanciva che uno dei requisiti per diventare senatori fosse il
possesso di un patrimonio di un milione di sesterzi. Immenso, a partire da Augusto, fu il patrimonio
personale del principe, con il quale generalmente veniva finanziata l'immagine pubblica del sovrano: si
facevano distribuzioni straordinarie in denaro all'esercito o alle corti pretoriane per assicurarsi la loro
fedeltà, e si offrivano giochi e spettacoli pubblici alla plebe. Augusto era il più grande proprietario
terriero, possedeva miniere, officine e una grande quantità di beni mobili. Dopo la sua morte, già a
partire dalla dinastia Giulio-Claudia, il patrimonio imperiale crebbe ulteriormente, inglobando talvolta le
proprietà di chi veniva condannato per lesa maestà, talvolta i donativi dei cittadini più ricchi, che,
morendo, usavano lasciare in eredità una parte dei loro beni direttamente all'imperatore.
A partire dal secolo II d.C. si verificò un inasprimento della crisi in cui da tempo versava la piccola
proprietà agricola: essa, malgrado i provvedimenti presi dagli imperatori per proteggerla, arretrava
inesorabilmente davanti all'avanzata del latifondo, mentre a Roma cresceva il numero dei proletari
nullatenenti. Fu anche questa grave situazione economica e sociale che, insieme alle invasioni barbariche, contribuì a provocare il tracollo dell'impero nel secolo V d.C.
Anche all'interno dei regni romano-barbarici i grandi proprietari terrieri continuarono a godere dei
privilegi che venivano loro dalle terre, in più erano validamente difesi dal potente esercito barbarico: il
latifondo continuò cosi, inarrestabilmente, la sua crescita.
La proprietà privata era riconosciuta nell'Arabia preislamica: i latifondisti sopravvissero anche
all'interno della società, islamica ed anzi rappresentarono in essa uno dei ceti dominanti.
L'impero carolingio si basò, tra l'altro, su immense ricchezze fondiarie, attraverso le quali venne
lentamente a configurarsi il sistema feudale: il re consegnava ai suoi vassalli delle terre in cambio di una
promessa di fedeltà: questi beneficia, che inizialmente erano solo concessioni temporanee, finirono con
l'acquisire carattere ereditario.
A partire dal secolo XI il termine «feudo» indicò i beni concessi in cambio di determinati servizi. Le
terre assegnate ai vassalli erano di solito sottratte alle istituzioni ecclesiastiche; il consolidamento della
ricchezza fondiaria ecclesiastica era d'altra parte garantito dalle numerose donazioni. Numerosi
patrimoni fondiari si costituirono anche per iniziativa dell'aristocrazia laica: piccoli proprietari, gravati
dal peso fiscale, donavano ai grandi possidenti i propri appezzamenti liberi da vincoli, per riceverli poi
nuovamente in uso, dietro corresponsione di un affitto; si formarono cosi i grandi latifondi. All'epoca
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delle invasioni saracene, ungare, vichinghe, i grandi proprietari costruirono fortezze e castelli per la
propria difesa: i sovrani si videro pertanto costretti a riconoscere formalmente il possesso di castelli e
mura a signori e vescovi che li avevano eretti di loro iniziativa; e i castelli entrarono a far parte, come
beni privati, del patrimonio dei signori. Le fortezze erano inoltre affidate a un custode scelto tra i
vassalli e remunerato di solito con un beneficio di natura fondiaria.
Anche all'interno dell'antica civiltà norvegese esisteva la proprietà privata, regolata secondo rapporti
molto simili a quelli feudali.
Intorno all'anno Mille i custodi dei castelli si svincolarono gradualmente da ogni dipendenza nei
confronti dei signori, e sommarono al loro potere economico anche quello politico, esercitandolo al di
là dei limiti della loro proprietà fondiaria, cioè su tutto il territorio che avevano la capacità di
controllare: questo tipo di signoria prese il nome di «signoria di hanno». Essa includeva anche terre
altrui, imponeva tasse e fissava ogni genere di obblighi.
RELIGIONE
Le comunità primitive praticavano forme di religione connesse alla magia. Nel Paleolitico l'uomo che
uccideva per mangiare placava poi il proprio senso di colpa dedicando le sue vittime a un dio; egli si
rivolgeva alle divinità per affidare a esse la cura dei morti, e celebrava i passaggi da un'età all'altra con
appositi riti di iniziazione. In epoca neolitica si diffuse tra i popoli del Mediterraneo il culto di alcune
divinità femminili della fertilità, tra le quali la più importante era la Grande Madre.
Religione e politica erano strettamente connesse nella civiltà sumera: il re era anche rappresentante di
dio sulla terra; per ogni città esisteva un dio protettore, affiancato da una trinità di dèi maggiori e da una
serie di astri divinizzati.
Presso i Babilonesi vigeva il culto del dio-protettore Marduk, mentre nella religione hittita era venerata
una famiglia di divinità.
Presso gli Egiziani era di fondamentale importanza il culto dei morti, che comportava una serena
visione dell'oltretomba.
Gli Egiziani, inoltre, veneravano alcuni animali sacri, che testimoniano l'esistenza di una religione
zoolatrica di natura totemica. Culti diffusissimi erano anche quelli di Ra (il Sole) e quello della famiglia
divina composta da Osiride, Iside e Horus.
La religione cretese era invece caratterizzata sia da aspetti feticisti (ad esempio il culto delle grotte e
degli alberi) che antropomorfici (importante il culto della Grande Madre, dea della vita vegetale e
animale). Famosi sono divenuti alcuni miti cretesi, specialmente quello del Minotauro.
La religione ebraica trovava il suo fondamento, anche normativo, nella Bibbia: si tratta di una religione
monoteista, al cui centro è il patto tra Dio (Jahvè) e Abramo.
La religione araba si basava sul culto naturalistico delle grandi distese desertiche e delle alture, e
venerava una dea lunare. Le figure di spicco della religione scita erano i sacerdotiguaritori, detti
«sciamani».
La religione degli Assiri era prevalentemente astrale e il dio nazionale era Assur. La religione persiana
passò dal culto delle divinitàforze naturali allo zoroastrismo, che divenne la religione ufficiale e il cui
libro sacro è l’Avesta.
La religione greca dell'epoca della pòlis, priva di una vera e propria casta sacerdotale, procedeva su due
binari: quello dei culti olimpici, con divinità protettrici e feste che riguardavano l'intera città; e quello dei
culti individuali o privati, con i quali si venerava Dioniso e si praticavano i misteri, come i misteri
eleusini legati a Demetra e l'orfismo. Uno dei luoghi di «pellegrinaggio» più importanti della storia greca
arcaica fu Delfi, dove sorgeva un tempio di Apollo, celebre per i responsi, anche di natura politica, che
vi si potevano ottenere. La fine della guerra del Peloponneso vide la diffusione di culti orientali, come
quello di Asclepio.
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Uno dei fenomeni più vistosi dell'ellenismo fu il sincretismo ossia la fusione dei culti, dovuto al
superamento dei regionalismi dell'epoca classica.
Poco o nulla sappiamo sulla religione dei popoli dell'Italia preromana, testimoniata soltanto da incisioni
rupestri di carattere sacro, come quelle dei Camuni. Ben noti sono invece i caratteri della religione
etrusca, che influì notevolmente su quella romana. Gli Etruschi ebbero una competenza particolare in
materia di pratiche divinatorie: a loro si deve infatti l'origine dell'aruspicina. La religione etrusca era una
religione rivelata: messaggero ne sarebbe stato, secondo la leggenda, un fanciullo divino, di nome Tages.
Il pàntheon etrusco comprendeva divinità antropomorfe, fra cui la triade composta da Tinia, Uni e Minerva. La religiosità di questo popolo fu legata al culto dell'oltretomba.
La religione dei Romani considerava importante soprattutto il rapporto concreto e spesso individuale
che gli uomini potevano instaurare con le divinità. A Roma dunque non si svilupparono né miti, né
riflessioni teologiche, ma la religione si manifestò esclusivamente attraverso la pratica cultuale. La
famiglia divina era composta da Giove, Giunone, Vesta (a cui erano consacrate dieci sacerdotesse),
Minerva, Diana, Marte. I Romani credevano inoltre in entità dotate di una forza che si manifestava essenzialmente attraverso oggetti o azioni: è il caso di Giano, dio della porta. Fondamentali erano, infine, i
Lari (protettori del focolare) e i Penati (protettori della famiglia).
La religione romana ebbe carattere essenzialmente politico: la vita religiosa era considerata un dovere
del cittadino e il sacerdozio una magistratura come le altre. I sacerdoti più importanti erano i pontefici,
presieduti dal pontefice massimo. Salii, àuguri, aruspici e feziali costituivano altrettanti gruppi
sacerdotali: essi furono introdotti, secondo la tradizione, da Numa Pompilio. Una maggior separazione
fra potere politico e potere religioso si ebbe in epoca repubblicana.
L'espansione territoriale portò i Romani a contatto con nuovi popoli e, quindi, con nuove religioni: tra
queste quella dei Cartaginesi, che veneravano due divinità principali e praticavano sacrifici umani (come
del resto, sia pur eccezionalmente, fecero anche i Romani). Tuttavia nuove forme religiose penetrarono
in Roma solo in seguito ai contatti con il Mediterraneo orientale: la diffusione dei riti dionisiaci fu però
guardata con sospetto e suscitò la repressione statale.
Soprattutto i primi due secoli dell'impero videro uno straordinario sviluppo dei movimenti mistici e
religiosi, come ad esempio i culti misterici, che offrivano all'individuo ciò che la religione ufficiale
ignorava, ossia un rapporto individuale con la divinità e la fede in una vita nell'aldilà.
Al bisogno di speranza di fronte al dolore dell'esistenza, avvertito soprattutto dalle classi popolari, diede
risposta il cristianesimo, che nel secolo II d.C. fu sostenuto anche da vari intellettuali: questi ne
diffusero il messaggio attraverso i loro scritti polemici verso i pagani, o attraverso opere che miravano a
una sintesi tra religione cristiana e filosofia greca.
Nel secolo III d.C. i Severi cercarono senza successo di diffondere a Roma il culto di divinità solari ed
Eliogabalo tentò di attuare una riforma religiosa.
Con la crisi della società imperiale si esasperarono le tendenze misticheggianti e il cristianesimo acquistò
maggiore importanza. Gli imperatori che inizialmente avevano nutrito nei confronti dei cristiani una
sospettosa tolleranza, in seguito promossero contro di loro accanite persecuzioni: ciò avvenne perché i
cristiani formavano una comunità separata, una sorta di Stato dentro lo Stato, non accettavano di
sacrificare davanti all'immagine dell'imperatore e rifiutavano di partecipare alla vita militare e politica
dell'impero. Essi erano sospettati di costituire una società segreta.
Solo nel secolo IV d.C. pagani e cristiani divennero cittadini dello stesso mondo; nel 313 d.C.
Costantino concesse ai cristiani libertà di culto e successivamente si converti al cristianesimo, legando
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cosi il destino dello Stato a quello di questa religione, che difese contro le eresie nel concilio di Nicea
(323 d.C).
Una ripresa del paganesimo si ebbe durante il regno di Giuliano l'Apostata, che cercò di emarginare i
cristiani dalla vita culturale e sociale. Tuttavia, con l'editto di Tessalonica (380 d.C), pubblicato
congiuntamente da Teodosio e Graziano, il cristianesimo divenne l'unica religione dell'impero e il
paganesimo fu proibito e perseguitato. La religione cristiana costituì, insieme alle tradizioni politiche
romane e alla cultura greca, uno dei pilastri della società bizantina medievale.
La Chiesa cristiana, con papa Gregorio Magno (590-604 d.C.) fini per colmare il vuoto di potere
lasciato in Italia dall'autorità imperiale; quando nel secolo VIII d.C. gli imperatori di Costantinopoli
favorirono la corrente iconoclasta, i papi si schierarono apertamente contro di essi, creando fra potere
politico e religioso un distacco che sarebbe in seguito divenuto incolmabile. Parallelamente, nacque il
monachesimo: nel secolo Vi d.C. Benedetto fondò una comunità monastica che praticava una vita
semplice e regolamentata, sul cui modello nacquero e si diffusero in Europa molte altre comunità.
Nell'Arabia preislamica ogni tribù aveva dèi e demoni che venerava sotto forma di pietre, alberi o
pianeti; diffuse erano anche le divinità lunari. Tutte le divinità erano custodite alla Mecca in un recinto
sacro, dove ogni anno gli Arabi si recavano in pellegrinaggio. In questo recinto sacro si trovava anche la
Kaàba, un edificio di forma cubica destinato a custodire la «pietra nera», portata sulla terra per volontà
divina.
Maometto fu il fondatore dell'islamismo, religione monoteista rivelatagli da Allah (il nome arabo di
Dio); egli si diede alla predicazione annunciando l'imminenza di un «Giudizio» e la Resurrezione oltre la
morte. Inizialmente Maometto e i suoi seguaci furono perseguitati e dovettero trasferirsi a Medina.
Dopo otto anni, nel 630 d.C, egli tornò trionfalmente alla Mecca; di qui cominciò a diffondersi la nuova
religione, che aveva valenze anche politiche, in quanto giustificava e prevedeva una espansione per
mezzo della guerra santa (la gihàd, ai cui caduti era assicurato il paradiso). La religione araba vieta di
raffigurare il proprio dio, impone regole relative ai divorzi, ai matrimoni, alle preghiere, ai digiuni,
all'alimentazione: l'insieme di queste norme è contenuto nel Corano.
Uno dei fenomeni che contrassegnarono il Medioevo fu l'affermazione del cristianesimo come religione
unitaria di tutta l'Europa: in quest'epoca la Chiesa saldò i suoi legami con l'impero, a partire dal regno di
Carlo Martello. Il pontefice di Roma acquisi poi un potere politico decisamente rilevante quando Carlo
Magno fece legittimare dal papa la restaurazione imperiale in Occidente. Durante il regno carolingio
buona parte della cultura fu strettamente connessa con la religione: ecclesiastiche erano infatti le scuole
alle quali si affidava la continuità della tradizione classica; religiosi erano molti intellettuali dell'epoca; e
nei monasteri e nelle abbazie si ricopiavano i maggiori testi della letteratura greca e latina.
Di fronte all'avanzata della religione musulmana, i cristiani dell'Occidente promossero una vera e
propria guerra, le cui fasi si articolarono nella cosiddetta reconquista.
La società vichinga non aveva un'organizzazione religiosa centralizzata: non esisteva infatti unità di
culti, né una rigida dottrina; nemmeno il cristianesimo diffuso dai missionari celtici, del resto, riuscì mai
a penetrare a fondo nella coscienza di quel popolo.
Nel Medioevo la religione cristiana si alimentava grazie al culto delle spoglie e delle reliquie di santi e
apostoli, custodite nei vari monasteri, luoghi di pellegrinaggio tra i quali celeberrimo era quello di
Santiago di Compostela in Spagna.
L'Occidente cristiano, dopo le ansie millenaristiche, fu protagonista di uno slancio di rinascita: si cercò
di rigenerare le strutture ecclesiastiche da tempo troppo coinvolte nelle vicende terrene, e per questo
sorsero nuovi ordini: quello cluniacense, che si rese addirittura indipendente dall'autorità dei vescovi;
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quelli dei camaldolesi, dei certosini, dei cistercensi, che proposero modelli di vita monacale comunitaria,
contemplativa o dedita al lavoro manuale. In questo periodo le istituzioni ecclesiastiche ufficiali,
compreso il papato, si macchiarono spesso del peccato di simonia, vendendo e acquistando cose sacre e
cariche; la Chiesa romana e quella bizantina si scontrarono, tra l'altro, sul terreno teologico, dando
luogo a uno scisma nel 1054; il papa e l'imperatore si affrontarono infine in modo diretto quando il
papa Gregorio VII vietò ogni investitura di vescovi da parte di re o imperatori.
Fu il Concordato di Worms nel 1122 a stabilire che vescovi e abati dovessero essere eletti secondo
norme canoniche, e che l'imperatore dovesse procedere all'investitura temporale prima della
consacrazione del vescovo in Germania, e dopo di essa in Italia e in Borgogna.
Nell'età comunale la vita religiosa fu caratterizzata da un desiderio di rinnovamento e di riforma, di
moralizzazione e di ritorno allo spirito evangelico: all'inizio del Duecento sorse il movimento
francescano e, quasi contemporaneamente, quello domenicano.
L'Occidente intraprese le crociate per liberare la città santa di Gerusalemme e il Santo Sepolcro dal
dominio musulmano; ma a tale motivazione religiosa si affiancavano anche interessi economici e politici. Già dopo la prima crociata, in Oriente si formarono alcuni Stati cristiani, che ebbero vita travagliata,
e alcuni ordini religioso-militari, cui era affidata la difesa del Santo Sepolcro: gli ospitalieri, i cavalieri
teutonici, i cavalieri di san Giovanni e i templari.
Nel secolo XII iniziò una serrata lotta contro gli eretici, soprattutto valdesi e albigesi; a partire dal
secolo XIII la Chiesa si avvalse anche del Tribunale dell'Inquisizione e della tortura.
RITUALI
I primi riti di carattere religioso si devono all'Homo necans che, in età paleolitica, inventò i sacrifici di
sangue: si trattava di riti che accompagnavano l'uccisione di animali, e che consistevano perlopiù nella
raccolta delle ossa e nella loro conservazione in un luogo sacro. Molti riti dell'epoca paleolitica erano
legati al totem, che vegliava sulla sopravvivenza dei clan. La vita delle società primitive prevedeva rituali e
pratiche magiche (per il matrimonio, la fertilità, la caccia, la sepoltura), ai quali erano talvolta preposti
individui esperti di formule e di incantesimi. Parte integrante di questi riti magici erano, come
testimoniano numerosi ritrovamenti, le scene raffigurate sulle pareti delle caverne. Esistevano inoltre
riti di iniziazione per segnare il passaggio di una persona da una classe di età a quella successiva.
Pratiche magiche erano diffuse anche presso i Sumeri, specie per difendersi dalle anime dei defunti
infelici. I Babilonesi celebravano riti propiziatori per l'agricoltura legati al dio Adone; presso di loro era
inoltre diffuso il rito del «re provvisorio», volto a purificare le colpe di un'intera città.
Presso gli Egiziani i riti più importanti erano collegati al culto dei morti: la mummificazione, ad
esempio, mirava a far sopravvivere l'anima nel corpo dei defunti; e la monumentalità delle piramidi,
come le immense ricchezze che in esse venivano collocate, dovevano assicurare ai faraoni un fastoso
soggiorno nel mondo dell'oltretomba. Vi erano poi rituali religiosi che erano legati ad alcune figure di
animale-totem e pratiche connesse al culto della famiglia divina Osiride-Iside-Horus. Molti riti erano
accompagnati dalla lettura di opere letterarie.
Nella religione cretese, che prevedeva pratiche feticistiche, con le quali si idolatravano alberi, grotte,
rocce, animali (soprattutto il toro), oppure oggetti costruiti dall'uomo che contenessero un'energia divina, i culti tendevano a essere individuali e non collettivi; era diffusa, come in tutta l'area mediterranea,
la venerazione di una dea femminile propiziatrice della fertilità agricola. Ritrovamenti di scheletri
nell'isola di Creta hanno fatto pensare a sacrifici umani praticati in un santuario, per scongiurare
catastrofi naturali. L'insieme dei riti della civiltà ebraica è connesso al culto rigidamente monoteista di
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Jahvè. Presso gli Sciti vi erano figure di guaritori e sacerdoti, detti «sciamani», che incarnavano l'ideale
della sapienza: tra i loro riti, descritti da Erodoto, erano compresi anche sacrifici umani, frequenti nelle
cerimonie funebri dei capitribù. I rituali del popolo persiano furono dapprima affidati alla casta
sacerdotale dei Magi, ma a partire dai secoli VII e VI a.C. l'insieme delle pratiche rituali venne riformato
in seguito all'introduzione dello zoroastrismo.
Tutti i rituali religiosi della civiltà omerica sono descritti nell'Iliade e nell'Odissea: particolare importanza
rivestivano i riti sacrificali per i defunti. Tra i culti a carattere privato diffusi nelle póleis greche, quello di
Dioniso contemplava rituali orgiastici (baccanali) contrassegnati da pratiche primitive e talvolta assai
cruente. Anche tra i culti misterici, quali l'orfismo e i misteri eleusini, vigevano rituali di iniziazione e
pratiche segrete, perlopiù di purificazione, riservate a cerchie ristrette di fedeli. L'oracolo di Apollo e
Delfi prescriveva rituali purificatori per allontanare ogni forma di contaminazione. Nelle città greche era
inoltre largamente diffuso un rituale di purificazione, consistente nell’allontanamento di un individuo
«maledetto», chiamato pharmakós. Sia a Sparta che ad Atene erano praticati dei riti di iniziazione all'età
adulta.
Il teschio ritrovato nella zona del Circeo, e risalente all'epoca dell'uomo di Neanderthal, potrebbe essere
testimonianza di un rito magico o di un cannibalismo rituale (il capo della tribù aveva forse mangiato il
cervello di un nemico). Tra i riti funebri degli antichi abitanti della penisola italica si distinguono
l'inumazione e l'incinerazione. Quest'ultima, forse, era legata alla credenza che il fuoco aiutasse l'anima a
liberarsi dal corpo, o a distruggere il potere malefico dei morti. I riti funerari degli Etruschi erano basati
sulla pronuncia di particolari formule. Importanti presso gli Etruschi furono anche i riti divinatori, con i
quali si cercava di prevedere il futuro interpretando la caduta dei fulmini, o indagando le viscere degli
animali.
Nel santuario dedicato a Minerva, e situato fuori dalla antica città di Lavinio, gli antichi abitanti del
Lazio celebravano i matrimoni, che si identificavano con i riti cittadini di passaggio dall'età impubere a
quella pubere. Il racconto leggendario relativo a Romolo (figlio di una vestale, abbandonato, cresciuto
lontano dalla famiglia e ritornato come fondatore) adombra un percorso iniziatico comune a molti riti e
al destino di molti altri «fondatori» quali Mose e Sargon. Allo stesso modo, il racconto del ratto delle Sabine allude probabilmente al rito col quale, durante il corteo matrimoniale, si fingeva di sottrarre la
sposa alla casa d'origine per costringerla a trasferirsi nella nuova casa.
La festa principale delle popolazioni latine antiche erano le «ferie latine», durante le quali sul monte
Albano si celebrava un grande banchetto, che serviva a rinnovare ogni anno l'appartenenza alla stessa
stirpe. Un altro rito era quello del «re del bosco»: il bosco di Nemi era custodito da un sacerdote
chiamato rex nemorensis; chiunque varcasse i limiti del bosco poteva sfidare a duello il re e in caso di
vittoria ne prendeva il posto.
I riti funebri delle famiglie patrizie romane prevedevano un corteo di carri, preceduti dalle insegne
relative alla dignità del defunto, e un elogio pubblico delle sue imprese. Una forma di rituale era la
scommessagiuramento cui erano tenute le parti in causa nell'antico processo per legis actiones. Rituale era
poi la danza di guerra celebrata dai sacerdoti salii: essi usavano accompagnarla con parole ritmate, di
valore magico.
La leggenda relativa a Clelia, uno degli episodi salienti della guerra tra Etruschi e Romani, potrebbe
essere la trasposizione mitica di un rito di passaggio: la fanciulla romana presa in ostaggio, che si salva
attraversando a nuoto il Tevere, è forse simbolo del passaggio dell'età impubere a quella adulta. Anche
la vicenda della guerriera Camilla raccontata nell’Eneide è forse la trasposizione mitica di un rito
purificatorio: lanciata al di là di un fiume legata a un giavellotto la giovane «passa» a una nuova fase
della sua vita.
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A Roma, e in tutto il mondo italico, era diffusa l'usanza della «primavera sacra», durante la quale,
anticamente, i bambini venivano immolati alla divinità per sciogliere un voto; successivamente, invece
di essere uccisi venivano allevati fino all'età adulta e venivano quindi espulsi dalla terra natale perché
andassero a fondare colonie. I Cartaginesi ricorrevano a riti sacrificali umani per placare l'ira dei loro
dèi.
Dopo le guerre puniche iniziarono a diffondersi a Roma i riti dionisiaci, che consistevano in danze e
celebrazioni orgiastiche in onore del dio Bacco: svolto in segreto e di notte da gruppi di iniziati, questo
culto suscitò lo scandalo dei benpensanti e fu represso dallo Stato.
Lo storico Tito Livio descrisse il rito chiamato devotio: in battaglia un soldato «devoto» si scagliava
contro l'esercito dei nemici, trasferendo su di loro la sua stessa morte; si trattava di un rito magico in
uso presso molte altre popolazioni, con tutte le caratteristiche del sacrificio umano.
Nel 46 a.C. Giulio Cesare, per riportare la disciplina nel suo esercito che si era ammutinato, fece
uccidere due soldati ribelli e fece affiggere le loro teste alla Regia: questa pena di morte straordinaria può
essere accostata a un rito che si celebrava ogni anno al Campo Marzio, quando la testa e la coda di un
cavallo sacrificato a Marte venivano tagliate e affisse alla parete di un edificio pubblico. L'esecuzione
ordinata da Cesare, oltre che come punizione esemplare, doveva pertanto valere anche come sacrificio
in onore del dio della guerra.
Durante i Saturnali si celebrava un rito cruento e primitivo, l'elezione del «re dei Saturnali»: un soldato
veniva scelto e proclamato «re», e alla fine dei festeggiamenti si suicidava come vittima sacrificale in
onore di Saturno. I riti legati ai culti misterici di Bacco, Mitra e Cibele si diffusero largamente in età
imperiale per il bisogno di credere in un destino di felicità: l'imperatore Eliogobalo e la sua famiglia,
seguaci dei culti orientali, li introdussero ufficialmente a Roma. Questo fatto suscitò il malcontento dei
pretoriani e del Senato, e il suo successore Alessandro Severo fu costretto a vietare nuovamente le
cerimonie misteriche.
Il battesimo, già in uso in età imperiale per accedere alla religione cristiana, è inscrivibile tra i riti
purificatori.
Nell'Arabia preislamica, tutte le popolazioni si recavano annualmente in pellegrinaggio rituale alla
Mecca, dove un recinto sacro raccoglieva tutti i loro dèi e dove era custodita una «pietra nera» mandata
sulla Terra per volontà divina.
La costituzione del rapporto tra signore e vassallo era segnata dal rituale dell’«omaggio», una cerimonia
che prevedeva gesti di forte valore simbolico: le mani giunte del vassallo racchiuse nelle mani giunte del
signore, il bacio sulla bocca quando i due contraenti erano di pari dignità, una breve formula con la
quale il suddito si riconosceva «uomo» del suo signore. In un secondo tempo si aggiunse un'altra
cerimonia, che prevedeva un giuramento di fedeltà con la mano stesa sul Vangelo o su oggetti sacri. La
«fede» era una promessa di fedeltà che poteva essere rinnovata più volte nei confronti di una stessa
persona, l'omaggio legava invece i contraenti con un vincolo perenne, che s'interrompeva solo con la
morte o il tradimento di uno di loro.
SCHIAVITÙ
Si può parlare di schiavitù solo a partire dalla comparsa di una gerarchia sociale ben definita, a cavallo
tra il Neolitico e l'età del bronzo: gli schiavi, che si trovavano in fondo a questa scala sociale, erano
perlopiù prigionieri di guerra addetti ai lavori umili (pastori, servi), oppure persone incapaci di far fronte
ai propri debiti di natura economica. Nella società babilonese gli schiavi (i prigionieri di guerra o
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debitori insolventi) erano addetti alla coltivazione delle proprietà terriere del sovrano. Presso gli
Egiziani essi erano di solito degli stranieri catturati in guerra e costretti a svolgere i lavori più duri.
Anche nella civiltà cretese sembra che esistesse la schiavitù: i signori dei palazzi, infatti, potevano
contare su una abbondante manodopera presumibilmente servile. Nel mondo miceneo non esistevano
schiavi in senso stretto, tuttavia gran parte della popolazione era in condizione semiservile, dato che
solo l'uomo effettivamente libero era esente da ogni forma di tributo.
Lo Stato-caserma assiro impiegava gran parte della popolazione nella cavalleria e nella fanteria: per i
lavori agricoli e i servizi era perciò necessario usare come schiavi i deportati. Gli schiavi non erano
soggetti bensì oggetti di diritto all'interno della pòlis greca in epoca arcaica, classica ed ellenistica. Privi di
diritti politici e civili, e costretti a vivere in condizioni durissime, erano anche gli Iloti spartani, che
coltivavano le terre dei cittadini a pieno titolo.
In età ellenistica, lo sfruttamento agricolo su scala sempre più ampia e il notevole incremento della
produzione artigianale provocarono una crescente richiesta di manodopera servile.
L'organizzazione sociale delle popolazioni dell'Italia preromana è poco nota: ad esempio, sappiamo che
la civiltà nuragica era costituita da una classe di guerrieri e da una di pastori e di agricoltori, ma ignoriamo se quest'ultima fosse schiava della prima o semplicemente ne fosse alle dipendenze.
Dagli affreschi degli Etruschi e dalle loro iscrizioni desumiamo la presenza di schiavi nella
organizzazione sociale di questo popolo. Abbiamo notizia dell'esistenza degli schiavi già nella Roma
delle origini: essi facevano parte del gruppo familiare. La schiavitù era una condizione perpetua e poteva
cessare solo per iniziativa del paterfamilias, grazie alla manumissio. Si poteva nascere schiavi oppure
diventarlo per debiti o perché prigionieri di guerra. La manodopera servile si rivelò la più conveniente
per il lavoro nei latifondi che si erano formati dopo le guerre puniche: le proprietà terriere erano
affidate a fattori di condizione servile, i quali dirigevano nel lavoro altri schiavi, chiamati vincti o soluti a
seconda del trattamento che ricevevano.
Sul finire del secolo II a.C, a seguito delle conquiste, il numero della popolazione servile crebbe e il
mercato degli schiavi trovò a Delo il suo centro nevralgico. A differenza di quanto avveniva in Grecia,
dove gli schiavi venivano impiegati soprattutto in città, a Roma essi vennero sfruttati principalmente in
campagna come veri e propri strumenti di produzione. Se una schiava partoriva, il figlio era considerato
proprietà del padrone. I più fortunati erano gli schiavi adibiti al servizio domestico e all'attività
pedagogica. La grande massa di schiavi e il trattamento crudele a cui non di rado erano sottoposti fini
per porre problemi di ordine pubblico. La rivolta servile più grave della storia romana, nota come
rivolta di Spartaco, scoppiò nel 73 a.C. e fu soffocata da Marco Licinio Crasso.
Tra la fine dell'epoca repubblicana e l'inizio dell'impero acquistarono importanza i liberti (schiavi affrancati), che non di rado occuparono posizioni culturalmente o economicamente elevate. Sulle epigrafi
sepolcrali compaiono numerose dediche a schiavi e soprattutto a liberti.
Con Adriano si ebbe una legislazione volta a proteggere gli schiavi dagli arbitri dei padroni, mentre i
cristiani sostennero l'uguaglianza di tutti gli uomini, anche se non si impegnarono per realizzare sul piano sociale la loro convinzione. Sotto il regno di Domiziano si verificò una vera e propria
«imbalsamazione» della società e il lavoro servile divenne ancora più costrittivo. La schiavitù
sopravvisse anche sotto i popoli germanici che occupavano l'impero: dove non esistevano regole germaniche, interveniva il diritto romano a regolare la condizione servile.
Anche nella società islamica esisteva la schiavitù: erano infatti privati della libertà i prigionieri di guerra,
che venivano peraltro trattati con una certa umanità e potevano inoltre essere facilmente riscattati.
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I rapporti vassallatico-beneficiali, la signoria di banno e, più in generale, il sistema feudale, ammettevano
una forma di schiavitù: quando i grandi vassalli assegnavano a loro volta dei feudi ai propri dipendenti
si formava una gerarchia sociale in fondo alla quale si trovavano i servi della gleba. Diventavano di fatto
servi della gleba coloro che si ponevano sotto la protezione personale di un proprietario terriero in
cambio di prestazioni di lavoro o in cambio della cessione di una piccola proprietà fondiaria.
Gli schiavi erano presenti anche nella società vichinga e costituivano il gradino più basso della scala
sociale: si trattava di prigionieri di guerra o di debitori insolventi; la loro sorte dipendeva interamente
dalla volontà del padrone, al punto che potevano anche essere sacrificati sulla sua tomba.
SCIENZA E TECNICA
Presso le comunità primitive non esisteva una vera e propria scienza, ma già esistevano delle tecniche,
volte a modificare una certa realtà materiale. Esse si intrecciavano tuttavia a pratiche magiche: un
evento fondamentale come la scoperta del fuoco, per esempio, venne inteso in chiave mitica e fu
accompagnato da varie forme di magia. Tappa fondamentale per lo sviluppo tecnologico fu
l'introduzione della metallurgia.
Al 3500 a.C. risale l'invenzione della ruota: dapprima usata per il lavoro dei tornitori e dei vasai, venne
poi impiegata per il trasporto. Importanti innovazioni tecniche connesse alla rivoluzione agricola
furono i vari sistemi di irrigazione. L'astronomia era disciplina non ben distinta dalla magia presso i
Sumeri.
Gli Egiziani migliorarono il rendimento della loro terra con canali e altri metodi irrigativi. Le loro
conoscenze tecniche e scientifiche raggiunsero un livello elevato, specialmente nei settori
dell'astronomia, della medicina, della matematica e della geometria.
I Micenei perfezionarono l'uso dell'ingegneria per scopi bellici: esemplare il sistema di condutture
idrauliche del muro di cinta di Micene. L'esigenza di commerciare spinse i Fenici all'esplorazione
geografica. «Scienziati» si possono definire i filosofi ionici che tra i secoli VII e VI a.C. indagarono la
natura del mondo, precorrendo gli sviluppi della fisica moderna.
Nel secolo V a.C. in Grecia ebbe notevole impulso la medicina, a opera di Ippocrate: con lui questa
scienza si staccò decisamente dalla magia. Nel periodo di crisi delle coscienze seguito alla guerra del
Peloponneso, si diffuse tuttavia una nuova forma di medicina, legata al culto di Asclepio e basata su
terapie irrazionali quali l'interpretazione di sogni.
In età ellenistica si sviluppò un tipo di scienza non finalizzata alla produzione, bensì al divertimento dei
sovrani: essa produsse soprattutto macchine a funzionamento idraulico, che trovarono l'inventore più
geniale in Erone.
All'epoca in cui nella penisola italica vennero introdotti i metalli, era il fabbro a detenere e a trasmettere
le tecniche di fusione. Il fuoco di cui egli si serviva, al momento della sua iniziale utilizzazione nel
campo della metallurgia, non fu peraltro inteso come semplice strumento di sviluppo tecnologico, ma
come strumento magico. Le tecniche metallurgiche furono sicuramente note anche agli Etruschi, i quali
ne fecero uso in centri come Arezzo e Populonia, celebri per la lavorazione del ferro.
Il progresso tecnologico e scientifico presso i Romani fu messo a frutto specialmente per l'industria
bellica (studi di statica e di dinamica permisero la messa a punto dei ponti mobili applicati alle navi con
cui i Romani sconfissero i Cartaginesi) e per l'ingegneria civile (costruzione di ponti, strade, acquedotti e
degli impianti idraulici delle terme). Le condizioni di vita particolarmente stressanti cui erano sottoposti
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i funzionari del principe in età imperiale indussero una crescente richiesta di cure mediche e un
approfondimento della ricerca in questo campo.
Nel secolo II d.C. si distinsero, nel campo delle scienze, due greci: il primo è il geografo, e astronomo
Claudio Tolomeo, che sulla base di calcoli matematici apparentemente irrefutabili elaborò la teoria
geocentrica secondo cui la Terra era al centro dell'universo e il Sole, insieme agli altri astri, le ruotava
attorno; il secondo è il medico Galeno di Pergamo che scrisse opere di medicina e farmacologia. Le sue
opere furono tradotte in arabo e in latino durante il Medioevo, e alcune sue dottrine rimasero indiscusse
fino all'epoca moderna. Il progresso degli studi di architettura strategica ebbe uno dei suoi esiti migliori
nella costruzione delle mura aureliane del secolo III d.C.
L'Arabia islamica favorì lo sviluppo degli studi scientifici, in particolare della matematica, della medicina
e dell'astronomia; medici e scienziati ricoprirono anche elevate cariche amministrative. Nel campo
medico si segnalò Avicenna (980-1036), con il Canone di medicina, che si ispirava a Ippocrate e Galeno e
che rimase un testo basilare fino al secolo XVI. In ambito matematico si approfondirono gli studi di
algebra, l'esame delle equazioni, la trigonometria; Al-Khuwarizmi (secolo IX d.C.) fu uno degli studiosi
più celebri e il suo nome latinizzato in "algoritmo" servi per indicare un tipo particolare di calcolo. In
Europa furono poi introdotti, grazie agli Arabi, il sistema numerico posizionale e l'uso dello zero. In
generale, gran parte del lessico scientifico e matematico europeo è debitore alla lingua araba. La
medicina araba parve per lungo tempo agli occidentali una scienza barbara, di bassissimo livello
culturale.
La Schola Palatina fondata da Carlo Magno ad Aquisgrana fu modello per tutte le scuole dell'epoca: in
essa lo scibile si articolava nelle arti del Trivio (le materie umanistiche) e del Quadrivio, cioè aritmetica,
geometria, astronomia, musica.
Nuovo impulso agli studi scientifici fu dato dalle università, che sorsero in tutta Europa a cavallo del
nuovo millennio: celebre fu ad esempio la scuola di medicina dell'università di Salerno.
Nel Medioevo si verificarono importanti progressi tecnici, soprattutto nella applicazione pratica delle
innovazioni in campo economico. Un altro settore di sviluppo fu quello delle fonti di energia. Il mulino
ad acqua e quello a vento divennero sempre più comuni.
SOVRANITÀ
In senso politico la sovranità è la forma di potere esercitata sulle persone e sul territorio di uno Stato,
una comunità o un paese, da parte di un singolo, oppure da parte di più persone o anche dal popolo
stesso (come nel caso della pòlis greca o della Costituzione italiana vigente). L'idea di sovranità nacque
con la formazione degli strati sociali: nei villaggi e nelle città, a partire dal Neolitico, vi fu un signore (o
un re) ai vertici della gerarchia sociale.
Il sovrano sumero (lugal o ensi) governava grazie a poteri divini, accentrando intorno al suo palazzo
l'intera vita sociale ed economica del suo popolo. Nel 2460 a.C. tutte le città sumere furono riunite
sotto un unico sovrano; emerse la figura del re Sargon, fondatore dello Stato accadico, che proponeva
un nuovo modello di sovranità, forte del sostegno militare: con lui si fece strada il concetto di
imperialismo. Presso i Babilonesi il re era il principale proprietario terriero.
Il sovrano egiziano (faraone) era considerato figlio del dio Osiride (Sole): sorse in tal modo il concetto
di teocrazia. Nella civiltà micenea la sovranità spettava a una monarchia militare. Presso gli Ebrei, alle
origini la sovranità apparteneva ai capi dei vari clan; quando venne superata la struttura tribale e si
arrivò al regno unitario, ci si pose il problema di legittimare la sovranità di un re sul popolo di Dio: si
proclamò allora il re come scelto dal volere divino. La monarchia assira, oltre a perseguire il progetto di
unificazione dell'Oriente in un impero universale, intese il proprio potere anche sotto l'aspetto del culto,
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dando vita a una forma di sincretismo. Il concetto persiano di sovranità non escludeva un profondo
rispetto nei confronti dei popoli sottomessi, benché il sovrano si considerasse re dei re.
Nel cosiddetto «Medioevo» ellenico la società era guidata da capi (basileis), che estendevano la loro sfera
di influenza anche all'ambito militare. All'interno della pòlis, intesa come città-stato, furono i cittadini ad
avere la sovranità: i maschi liberi, greci e adulti. Nelle póleis esistevano tuttavia dei magistrati, che
esercitavano la sovranità per delega del popolo. Tra i secoli VII e VI a.C. si affermarono numerose
tirannidi: nel corso di aspre lotte sociali un personaggio particolarmente abile si impadroniva
illegalmente del potere per curare gli interessi dei ceti meno abbienti.
A Sparta esistevano due re, affiancati da altre magistrature. Ad Atene, grazie a Pericle, la sovranità
popolare fu valorizzata con l'obbligo-diritto di partecipazione a tutte le attività della pòlis.
Nell'ordinamento dei Macedoni, che entrarono in contatto con i Greci nel secolo V a.C, la sovranità
spettava a un gruppo di nobili, guidati da un re primus inter pares. In epoca ellenistica, a partire da
Alessandro il Grande, si tornò alla monarchia assoluta con un solo re-sovrano.
In età arcaica le città-stato etrusche erano governate da un re elettivo con carica vitalizia, detto
«lucumone», che deteneva il potere giudiziario, comandava l'esercito ed era assistito da un Consiglio
degli anziani. Agli inizi del secolo VI a.C. alla monarchia subentrò una repubblica di tipo aristocratico,
in cui il potere risiedeva fondamentalmente nelle mani del Senato e di alcuni magistrati eletti
annualmente.
Nei primi secoli della sua storia, Roma fu una città-stato monarchica: il popolo (inizialmente composto
dai soli patrizi) era titolare del potere sovrano, il cui esercizio veniva delegato a un magistrato unico e
vitalizio, il re. Compiti fondamentali del re erano comandare le truppe e rappresentare la città davanti
agli dei in veste di sacerdote; inoltre egli aveva diritto di vita o di morte sui cittadini, esercitava la giustizia civile, amministrava il patrimonio della comunità e poteva emanare le ordinanze dette leges regiae. In
origine Roma aveva due assemblee: Senato e comizi curiati. Il Senato era chiamato a esprimersi sulle
questioni di politica interna ed estera e sulle decisioni dei comizi curiati. Questi ultimi costituivano
l'assemblea popolare, della quale facevano parte soltanto i membri delle gentes, mentre la plebe ne era
esclusa; contribuivano a formare l'esercito, eleggevano i senatori, dichiaravano guerra, ed esercitavano il
potere regale nei periodi di interregno.
Nel 509 a.C. si verificò, secondo le fonti, una violenta deposizione dei re, che segnò il passaggio del
potere nelle mani dell'aristocrazia patrizia; il re fu sostituito da due consoli, in carica per un anno e dotati di pieni poteri.
Nel corso del secolo V a.C. la protesta dei plebei, che desideravano essere integrati nello Stato romano,
portò alla nascita del tribunato della plebe. Ai consoli si affiancarono, nel corso del tempo, altri
magistrati, necessari per fare fronte alle crescenti esigenze della vita sociale. Gli ex-magistrati entravano
di diritto a far parte del Senato, che in età repubblicana dominò lo Stato attraverso l'esercizio della
funzione consultiva.
L'epoca repubblicana vide anche la nascita di comizi centuriati, concili tributi, comizi tributi, che si
affiancarono ai vecchi comizi curiati; in tal modo il popolo (del quale ora faceva parte anche la plebe)
partecipava attivamente alla vita della città. Il sistema elettorale era tuttavia regolato in modo che il voto
dei ricchi contasse più di quello dei poveri. Nel 366 a.C. con le leggi Liciniae Sextiae anche i plebei
poterono accedere al consolato.
Anche la prima grande nemica di Roma, ossia Cartagine, aveva due magistrati (i suffeti) eletti
annualmente come i consoli romani, un Senato e un'assemblea popolare, dotata però di poteri molto
limitati.
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Sul territorio italico Roma impose la propria sovranità adottando il sistema municipale, oppure
ricorrendo a quello della federazione; qualche privilegio era riservato alle città latine. A partire dalla
prima guerra punica, Roma introdusse anche l'organizzazione dei territori conquistati in province,
lasciandone intatta la struttura originaria, ma attribuendosene la sovranità. Le lotte fra optimates e
populares durante il secolo II a.C. fecero emergere homines novi come Mario e Siila, il quale si fece
nominare dittatore (82 a.C.) a tempo indeterminato, con l'intento di riformare in senso oligarchico lo
Stato romano.
Anche Cesare fu nominato dittatore a vita, ebbe l'inviolabilità tribunizia e assunse i titoli di imperator e di
padre della patria: le istituzioni repubblicane formalmente sopravvivevano, ma di fatto tutti i poteri
erano concentrati nelle mani di una sola persona.
Se il primo triumvirato (60 a.C.) fu un accordo privato, il secondo (43 a.C.) fu invece una vera
magistratura, il cui compito istituzionale era quello di dare allo Stato una nuova Costituzione; di qui alla
fine della repubblica il passo fu breve. Dopo una fase costituzionale ibrida, Augusto si fece conferire
poteri che gli garantivano il controllo sia della città che delle province: la natura giuridica del principato
è oggetto di discussione, in quanto alcuni ritengono che esso rientrasse nella forma della città-stato,
dato che non ne eliminò gli organi tipici (magistrature, assemblee popolari, Senato); altri lo equiparano
invece a una monarchia assoluta. Un'ipotesi intermedia lo considera una diarchia, ossia un governo nel
quale la sovranità era esercitata da due organi: il princeps e il Senato. Certo è che la Costituzione augustea
fu una novità. I primi successori di Augusto trasformarono questa forma di governo da personale a
istituzionale e assunsero spesso atteggiamenti autocratici, cioè da sovrani con poteri illimitati (Caligola,
Nerone, Domiziano).
Con il secolo II d.C. iniziò il periodo del principato adottivo: l'imperatore provvedeva alla successione
adottando una persona ritenuta adatta e meritevole. Il ritorno al sistema dinastico si ebbe con
Commodo, che successe al padre Marco Aurelio. Tuttavia il cambiamento più considerevole fu segnato
dal trionfo della volontà degli eserciti, sul cui appoggio gli imperatori contavano in misura crescente, a
scapito soprattutto del Senato che non riuscì più a imporre stabilmente i propri candidati e che si vide
progressivamente privato delle poche competenze rimastegli.
Il secolo III d.C. si può considerare in gran parte un periodo di anarchia militare: gli eserciti
imponevano come imperatore il comandante a loro più gradito. Diocleziano riusci a ripristinare l'ordine
nell'impero facendone una monarchia assoluta e trasformandosi cosi da princeps in dominus; per un più
efficace controllo, il territorio fu diviso in quattro parti e il governo divenne collegiale, prendendo il nome di tetrarchia.
Con la morte di Teodosio, avvenuta nel 395 d.C, il potere imperiale cessò, di fatto, di esistere. La
crescente potenza dei barbari portò nel 476 d.C. alla deposizione di Romolo Augustolo da parte di
Odoacre, capo delle milizie barbariche, il quale governò la parte occidentale dell'impero comportandosi
come un re indipendente.
La storia successiva coincise per l'Occidente con quella dei regni romano-barbarici, e per l'Oriente con
quella dell'impero bizantino, in cui l'imperatore era autorità politica e religiosa; quest'ultimo riconosceva
ai sovrani barbarici, con un compromesso giuridico, il titolo di re, ma non dei Romani, bensì di volta in
volta dei Goti, dei Vandali o dei Franchi. In sostanza, li considerava alla stregua di usurpatori.
Nel mondo arabo preislamico, somma autorità era lo sceicco, liberamente eletto all'interno dei gruppi e
sostituito in battaglia da un comandante militare detto rais. Nell'Arabia islamica l'autorità sovrana era
invece quella dei califfi, artefici dell'espansione imperialistica; a partire dal secolo VII d.C. il califfato da
elettivo divenne ereditario.
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Nel secolo VII d.C. emerse in Europa il potente regno dei Franchi, grazie alla sostituzione della dinastia
dei Merovingi con quella dei Pipinidi. I re franchi avevano un potere sacro, e contavano su legami
personali con i loro guerrieri; il potere dei Pipinidi era fondato su grandi ricchezze fondiarie e
sull'appoggio di numerosi «notabili». Il re affidava a un intendente di palazzo l'effettivo governo. A
partire dal 750 d.C. il papa Zaccaria sancì che i re franchi dovessero ricevere anche una unzione religiosa per poter ascendere al trono. Carlo Magno si assicurò il titolo di «re dei Romani» affermando cosi
la continuità della tradizione imperiale romana.
Sovranità di fatto fu quella esercitata, all'interno del sistema feudale, dai grandi feudatari nei confronti
dei vassalli, dato che essi esercitavano l'amministrazione di ampie porzioni di territorio e il potere
giudiziario.
Un grave contrasto relativo alla estensione della sovranità del papato fu la lotta per le investiture,
quando l'impero, già notevolmente rafforzatosi con pretese universalistiche sotto la dinastia di Sassonia,
si scontrò con il papa Gregorio VII, che nel 1075 vietò ogni investitura di vescovi o ecclesiastici da
parte di un re o di un imperatore.
Anche nell'antica società vichinga vi era il re, cui erano legati i nobili (jarls), secondo un criterio simile a
quello feudale.
All'interno dei Comuni si creò per la prima volta la possibilità di un esercizio della sovranità da parte del
popolo, riunito in associazioni «di categoria» che partecipavano direttamente alla gestione del potere
attraverso un parlamento detto arengo. Il peso politico dei Comuni si manifestò in particolar modo
nella lotta contro l'imperatore Federico Barbarossa, che era disceso in Italia presentandosi come
sovrano legittimo contro ogni pretesa autonomistica.
Nella repubblica marinara di Venezia la sovranità era esercitata dal doge. A Firenze, a partire dal secolo
XI, il potere fu esercitato da un gruppo aristocratico-consolare e poi da un governo podestarile, affidato
prima a un cittadino e quindi a un forestiero. Nella seconda metà del secolo XIII e nella prima metà del
XIV si ebbero importanti mutamenti: alla miriade di città-stato indipendenti dell'epoca comunale si sostituirono «Stati» regionali territorialmente abbastanza estesi: questi mutamenti politici e sociali
portarono alla crisi del Comune e alla presa del potere da parte di un signore o di oligarchie piuttosto
ristrette.
TRASPORTI
Nel Neolitico gli abitanti dei villaggi situati lungo i fiumi impararono a scavare i tronchi degli alberi e a
costruire piroghe: grazie a queste imbarcazioni poterono rendere più agevoli i propri spostamenti e
intensificare l'attività di pesca. Al 3500 a.C. risale l'invenzione della ruota, che facilitò l'opera dei
tornitori e dei vasai: solo in un secondo tempo essa venne applicata ai carri, che sostituirono
progressivamente le slitte. In seguito allo sviluppo dei commerci, i Sumeri costruirono grandi strade per
congiungere le città più importanti ad altre zone della pianura mesopotamica. Il Nilo, navigabile in
entrambe le direzioni, fu la principale via di comunicazione della civiltà egiziana.
I Cretesi, come risulta anche da numerose raffigurazioni artistiche, fondarono la loro potenza
mercantile sull'impiego delle navi a remi. Imponente fu la rete di comunicazioni che fu realizzata
all'interno dell'impero persiano. Durante le guerre persiane divenne centrale il problema dei trasporti.
Gli Ateniesi concepirono allora un nuovo tipo di nave, l'agile trireme.
Presso i Romani, i trasporti su terra avvenivano per mezzo di carri trainati da animali; per percorsi non
eccessivamente lunghi si impiegavano anche asini e muli in grado di portare carichi sul dorso. I trasporti
terrestri furono agevolati nel corso del tempo dalla costruzione di strade: le grandi strade romane
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avevano ampie carreggiate costeggiate da due marciapiedi, ed erano dotate di stazioni di posta per il
cambio dei cavalli e il riposo notturno dei viaggiatori. La prima delle vie consolari fu la Appia, iniziata
nel 312 a.C, che congiungeva la capitale a Capua, e in seguito grazie a prolungamenti anche a Benevento, Taranto e Brindisi. Altre strade che collegavano Roma al meridione della penisola erano la via
Domiziana (che raggiungeva Napoli) e la via Popilia (che terminava a Reggio Calabria). Le comunicazioni con la costa adriatica erano garantite dalla via Salaria, che attraverso Rieti e Ascoli Piceno giungeva
al mare, e dalla via Valeria, che attraverso i monti dell'Abruzzo arrivava all'Adriatico lungo il corso
dell'AternoPescara. La costa tirrenica settentrionale era percorsa dalla via Aurelia (che congiunse
inizialmente Roma a Pisa e poi alle Alpi, ai Pirenei e alla Spagna). La via Flaminia, iniziata nel 220 a.C,
attraversava l'Umbria arrivando a Rimini; la via Emilia, costruita a partire dal 187 a.C, portava da Rimini
a Piacenza, e la via Postumia (costruita nel 167 a.C.) collegava Piacenza ad Aquileia, attraverso
Cremona, Verona e Padova. Via terra si svolgeva anche il commercio con l'Oriente, mediante carovane
di cammelli. Le comunicazioni terrestri rimasero comunque difficoltose: per questo le vie preferite rimasero quelle fluviali e marittime.
Il Mediterraneo, specie dopo la fine delle guerre puniche e delle guerre macedoniche, fu disseminato di
porti. In seguito si aprirono rotte anche verso l'Oceano Atlantico, il mar Rosso e l'estremo Oriente. Le
grandi vie commerciali erano dotate di porti con depositi che consentivano il carico, lo scarico e la
conservazione delle merci. La navigazione sulle grandi rotte era a vela; per il piccolo cabotaggio invece
era spesso a remi.
Nel secolo II d.C la rete di strade che collegava tra loro le varie regioni dell'impero e trasportava flussi
di viaggiatori e mercanti, ma anche di turisti, era efficiente e discretamente sicura. Con l'avvento dei
regni barbarici si verificarono fenomeni quali lo spopolamento delle città e il ristagno dei commerci, che
segnarono profondamente anche lo stato e la manutenzione della rete viaria, soprattutto in Occidente.
I gruppi nomadi arabi si spostavano, fin dall'epoca preislamica, mediante carovane di cammelli, con le
quali affrontavano lunghi viaggi nel deserto. Nell'Europa carolingia erano frequenti gli spostamenti
dell'imperatore e dei re, che usavano controllare di persona, nelle varie località, l'effettivo esercizio del
potere. Anche i missi dominici, o agenti del re, erano in continuo movimento per operare controlli o
requisizioni. C'erano poi viaggiatori professionali: corrieri e messaggeri. La gente comune poteva
spostarsi alla ricerca di nuove terre o di nuovi mercati: percorreva le strade romane, la cui
manutenzione era però trascurata; oppure i corsi d'acqua, dotati di pochi ponti e di pochi servizi di
traghettamento. In genere i viaggi prevedevano percorsi misti: strade, traghetti, tratti a piedi, navigazioni
fluviali.
I Normanni, dirigendosi verso il cuore dell'Europa, preferivano le vie d'acqua, risalendo fiumi e canali;
lontano dalle rive si spostavano a cavallo e trasportavano via terra le proprie imbarcazioni. I viaggi
medievali più frequenti erano i pellegrinaggi: il più famoso portava alla cattedrale di Santiago di
Compostela nella penisola iberica; questo pellegrinaggio era chiamato «la Via lattea».
Con la diffusione delle università si moltiplicarono anche i viaggi di studio: tipica nell'Europa medievale
divenne la figura del clericus vagans, lo studente che visitava le sedi universitarie facendo conoscere a
livello internazionale le dottrine dei vari professori. Nel Medioevo i trasporti via terra erano lenti e
pericolosi: trasportare merci via terra era estremamente costoso. I trasporti via mare erano più
economici. Nella navigazione si ebbero grandi progressi, tanto che si è parlato di una «rivoluzione
nautica» che investi sia la costruzione delle navi sia le tecniche di navigazione.
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