Incontro di studi Focus Liguria PARTECIPAZIONE, DEMOCRAZIA ECONOMICA, ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO* Ripensare l’economia Mai come in questo momento ci rendiamo conto che l’economia è tanto invadente quanto impotente di fronte alla gravità dei problemi che abbiamo sul tappeto. La logica del sempre di più delle stesse misure di politica economica va incontro a pericolosi effetti di rigetto. Nel giro di breve tempo siamo passati da una crisi finanziaria a una crisi economico produttiva che si è trasformata in crisi occupazionale. Questa è diventata crisi umana e sociale in grado di incidere pesantemente sui fondamenti stessi della vita civile. Charles Kupchan, docente alla Georgetown University e già collaboratore di Clinton, ha affermato in una intervista al Corriere della Sera: “La crisi del 2008 è stata essenzialmente economico finanziaria. Quella di oggi nasce dai problemi irrisolti di allora, ma è una crisi essenzialmente politica. Se non viene arginata rischia di mettere in pericolo la stabilità delle democrazie occidentali.” I tradizionali paradigmi della scienza economica - la ricerca del proprio tornaconto su orizzonti temporali sempre più brevi e una sorta di darwinismo sociale per cui i più forti vincono e prendono tutto- entrano in crisi tanto a livello interpretativo quanto normativo. Non sono in grado di spiegare ciò che sta succedendo e soprattutto non sono in grado di fornire ricette efficaci. Le grandi questioni dell’esclusione, della pace, dell’ambiente, delle generazioni future rivelano ampiamente sia l’insufficienza del mercato quale regolatore supremo sia dell’individualismo metodologico come norma comportamentale. La Caritas in Veritate è chiara al riguardo. “ L’esclusivo obiettivo del profitto rischia di distruggere ricchezza e di creare povertà. Lo sviluppo continua a essere gravato da distorsioni e drammatici problemi messi ancora più in evidenza dalla crisi attuale. Le forze, talvolta cieche della tecnica, gli squilibri planetari, gli effetti deleteri di una finanza speculativa, gli imponenti flussi migratori provocati ma non gestiti, lo sfruttamento delle risorse della terra ci dicono che è in gioco il destino stesso dell’uomo.” (CV, 21) Con altre parole il neoliberismo rischia di distruggere i fondamenti stessi del bene comune. Oggi ci se ne rende sempre più conto. L’economia ha finito per occupare tutti gli spazi della vita dell’uomo. Dall’economia di mercato si è passati alla società di mercato. Lo scambio mercantile si estende ad ambiti sempre più vasti quali la cultura, la salute, il tempo libero. L’individuo conta solo se è in grado di consumare e poco importa se per farlo si indebita ipotecando il proprio futuro. Il neoliberismo non è soltanto un modo di intendere e di gestire l’economia ma è anche e soprattutto una ideologia, una cultura, uno stile di vita, un pensiero che si vuole unico e che nell’ambito della scienza economica pretende di mettere a tacere i punti di vista diversi da quelli dominanti . In questa ottica vanno ridotti al minimo l’intervento pubblico e più in generale i “condizionamenti” sociali, ritenuti inefficienti per definizione. Di conseguenza: deregolamentazione, privatizzazione, flessibilità. * 1 Lorenzo Caselli, professore emerito dell’Università di Genova, docente di etica economica Incontro di studi Focus Liguria Ciò potrebbe comportare dei costi e dei sacrifici per taluno, purtuttavia i benefici creati dal modello neoliberista sarebbero di gran lunga maggiori e quindi in grado di compensare eventuali inconvenienti. L’inconsistenza di tali affermazioni è di piena evidenza. L’economia va ripensata. Va, per così dire, ri-legata alla persona e alla società a partire da alcune verità elementari. Il mercato non soddisfa il bisogno, bensì la domanda pagante ovvero fornita di adeguato potere di acquisto. Con la conseguenza che oggi cresce il superfluo, l’inutile nel mentre esigenze fondamentali di umanità restano inevase. “Si assiste oggi a una pesante contraddizione. Mentre per un verso si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l’altro verso, vi sono diritti fondamentali disconosciuti e violati nei confronti di tanta parte dell’umanità. Si è spesso notata una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio, nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e anche nelle periferie delle grandi metropoli”(CV,43). La dimensione finanziaria non coincide con la dimensione reale dell’economia (produzione di beni e di servizi), anzi la sua tossicità sta avvelenando la base materiale produttiva. La teoria insegna che i mercati finanziari dovrebbero riflettere i fondamentali economici. Non è più così: li determinano! Attraverso il gioco perverso della speculazione si assiste alla moltiplicazione artificiosa di una ricchezza che non cresce. La finanza si sta mangiando l’economia. “ Bisogna che la finanza in quanto tale, nelle necessariamente rinnovate strutture e modalità di funzionamento dopo il suo cattivo utilizzo che ha danneggiato l’economia reale, ritorni ad essere uno strumento finalizzato alla migliore produzione di ricchezza ed allo sviluppo…Gli operatori della finanza devono riscoprire il fondamento propriamente etico della loro attività per non abusare di quegli strumenti sofisticati che possono servire per tradire i risparmiatori. Retta intenzione,trasparenza e ricerca dei buoni risultati sono compatibili e non devono mai essere disgiunti” (CV, 65). L’impresa non “appartiene” soltanto agli azionisti bensì – come vedremo più avanti - a tutti gli stakeholder (lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, comunità). I loro apporti, su un piano di uguaglianza sostanziale, sono indispensabili per il bene dell’impresa e della collettività. “Le attuali dinamiche economiche internazionali, caratterizzate da gravi distorsioni e disfunzioni, richiedono profondi cambiamenti anche nel modo di intendere l’impresa. Vecchie modalità della vita imprenditoriale vengono meno, ma altre promettenti si profilano all’orizzonte.” (CV, 40). L’utilità collettiva, il bene comune non sono la somma dei tornaconti individuali e dei beni privati: dai vizi privati non discendono pubbliche virtù. A sua volta l’economico non coincide con il sociale. La razionalità del primo non può espropriare quella del secondo. Devono semmai armonizzarsi, integrarsi. Non è infatti pensabile uno sviluppo economico che non sia anche sociale, culturale, morale. Lo sviluppo umano non può che essere integrale, riguardare ogni uomo e tutto l’uomo. L’apertura alla vita, una vita piena e buona, è il fondamento del vero sviluppo. (CV, 28 e 71). La sfera dell’economia di mercato non è la biosfera. Non funzionano secondo la stessa logica. Questo fatto poteva essere ignorato quando la prima non minacciava l’esistenza della seconda. Ora non più. Lo sviluppo non può che essere sostenibile, fondato sull’alleanza tra uomo e ambiente. Tale alleanza presuppone “ un governo 2 Incontro di studi Focus Liguria responsabile sulla natura per custodirla, metterla a profitto e coltivarla anche in forme nuove e con tecnologie avanzate in modo che essa possa degnamente accogliere e nutrire la popolazione che la abita” (CV,50). Tra reddito e felicità il legame non è automatico. Molte ricerche dimostrano che una volta che il reddito procapite ha superato una data soglia (quella che consente di vivere in modo decente) viene meno la sua correlazione con la felicità. Anzi l’aumento del reddito può bruciare i fondamenti della felicità affettiva, famigliare, relazionale.. La questione degli stili di vita diventa fondamentale. La celebre definizione dell’economia come scienza che insegna a trovare il mezzo migliore per perseguire un fine determinato si rivela del tutto inadeguata rispetto all’odierna società postindustriale e globale. I problemi economici non dipendono tanto dalla mancanza di risorse quanto dal fatto che le istituzioni economiche, sociali e culturali non sono più in grado di interpretare le esigenze della attuale fase di sviluppo. La questione vera sta nella scelta tra fini diversi. Diventa pertanto essenziale il riferimento ai valori, all’etica. Come ha osservato A. Sen, occorre guardare non al benessere definito in termini utilitaristici, bensì al bene tout-court, entro il quale il benessere gioca un ruolo ovviamente importante ma parziale. Valorizzare le persone e le loro capacità, promuovere la partecipazione congiuntamente al perseguimento della conoscenza e all’esercizio della solidarietà rappresentano obiettivi che, oltre ad essere significativi in sé, disegnano un universo di valori decisivi per lo stesso successo economico. In economia più strade sono possibili. L’economia sociale di mercato In economia più strade sono possibili. I problemi non hanno una e una sola soluzione. Non esiste “il” capitalismo, non esiste “la” economia di mercato. Esistono più capitalismi, esistono più economie di mercato a seconda di come si declinano e si combinano i loro elementi costitutivi ( la proprietà dei mezzi di produzione, la governance, il rapporto con la società, ecc.). Si aprono dunque ampi spazi per la progettualità dei soggetti, una progettualità eticamente fondata. In questa ottica l’economia sociale di mercato non è un qualcosa di chiuso, di definitivamente consolidato. E’ piuttosto un grande progetto su cui impegnarsi, un progetto che non ha limiti predefiniti. In tale prospettiva l’esperienza tedesca e dei paesi nordici è di grande importanza, ma non può essere assunta a scatola chiusa, deve essere oggetto di attenta riflessione. A proposito dell’esperienza tedesca, negli anni 90, era stata coniata l’espressione di “capitalismo renano” i cui elementi distintivi erano così individuati: - Centralità dell’economia reale rispetto alla finanza; valorizzazione del risparmio delle famiglie; - Privilegiamento nella gestione dell’economia e delle imprese, del medio lungo termine rispetto al breve termine; - Ruolo promotore e regolatore dello Stato; - Perseguimento dell’equità fiscale onde impedire diseguaglianze eccessive; - Attenzione alla competitività e all’efficienza ma anche allo welfare e alla giustizia sociale; - Sindacato forte e partecipativo a difesa e sviluppo dell’occupazione; 3 Incontro di studi Focus Liguria - Impresa, alla cui governance il lavoro partecipa direttamente, intesa come istituzione responsabile verso la comunità. Al “capitalismo renano” si contrappone il modello del “capitalismo anglosassone” che poggia su presupposti in molti casi opposti. L’impresa non è una “community” ma una “commodity” che può essere comprata e venduta sul mercato finanziario borsistico; l’impresa appartiene agli azionisti e suo obiettivo è la massimizzazione del profitto o meglio del valore di borsa delle azioni nel breve termine; le interferenze di Stato e Sindacato vanno categoricamente evitate (deregulation); le istanze sociali costituiscono un vincolo che va minimizzato. La democrazia fa problema Non è in crisi soltanto l’economia, anche la democrazia fa problema. I due termini – popolo e potere – cui rimanda la parola democrazia fanno oggi problema. I pericoli di cortocircuito sono più che evidenti. Trenta secondi in una cabina elettorale non possono riscattare cinque anni di passività o di indifferenza! I rappresentanti al parlamento eletti dal popolo vengono percepiti come inadeguati, incapaci di affrontare e risolvere quei problemi reali che incidono pesantemente sulla vita della gente. Nel contempo alla sovranità dei cittadini si è sostituita la sovranità della finanza, dei creditori internazionali. L’euro, senza l’Europa, rischia di azzerare lo spazio della politica, occupato da oligarchie che prosperano nel privilegio e nell’illegalità, con effetti perversi sugli assetti democratici. Credo che Norberto Bobbio conservi ancora un po’ di attualità laddove afferma che se di uno sviluppo della democrazia si deve oggi parlare, esso consiste non solo nella sostituzione della democrazia diretta alla democrazia rappresentativa bensì nel passaggio dalla democrazia nelle sfera politica in cui l’individuo è preso in considerazione come cittadino, alla democrazia nella sfera sociale ed economica dove l’individuo viene preso in considerazione nella molteplicità dei suoi status (lavoratore, consumatore, risparmiatore, investitore, ecc.). In questa prospettiva di «passaggio» la democrazia è costretta a fare i conti con la irriducibile discriminante costituita dalla dicotomia tra «integrati» ed «esclusi», insita nei vari ambiti ai quali riferire la democrazia stessa. Non si costruirebbe nulla di duraturo se il progetto di convivenza democratica, fin dalle sue fasi iniziali, considerasse soltanto il «dentro» e ignorasse il «fuori». Ciò con riferimento, ad esempio, all’impresa, alla città, all' Europa. Riflettere sulla democrazia di partecipazione nell’impresa è anche prendere in considerazione le forme che le possono attribuire un significato per la «non impresa», per i lavoratori precari, i disoccupati, gli assistiti. Riflettere sulla democrazia nella città significa altresì prendere in carico la «non città» dei marginali, degli erranti, dei nuovi poveri. Riflettere sull'Europa come spazio di democrazia partecipativa è aprire questo spazio sulla «non Europa», sul sud del mondo, sul sottosviluppo. L’elenco potrebbe ulteriormente continuare e comprendere anche la possibilità di muoversi sulla rete ove oggi non tutti sono uguali. La democrazia non può che essere generalizzabile, altrimenti è destinata ad entrare in contraddizione con se stessa. La città è emblematicamente luogo di verifica di tutto ciò. Essa può essere la città di molti o di tutti. Valutare le diverse forme di democrazia significa prendere in considerazione specificatamente l’ampiezza dello 4 Incontro di studi Focus Liguria scarto tra molti e tutti, significa prendere in considerazione anche coloro che vengono scartati. Il rapporto tra democrazia e mercato. La democrazia economica Il tema del rapporto tra democrazia e mercato è cruciale al riguardo. E’ possibile una riconciliazione? Su quali elementi fare leva? Quali soggettività mettere in campo? La democrazia moderna poggia su tre principi riepilogativi. La libertà, l’uguaglianza, la partecipazione. Orbene, questi tre principi li ritroviamo anche nelle odierne forme di economia di mercato? La libertà certamente sì, almeno come dichiarazione di intenti. Ma l’uguaglianza e la partecipazione? Se queste sono intese in senso non formale, ma sostanziale ovvero con riferimento alla pari dignità di ogni uomo con il conseguente impegno solidaristico nei confronti dei più deboli, la risposta non è certamente positiva. La divaricazione tra democrazia e mercato è oggi più evidente rispetto al passato. Ciò per due motivi. Da un lato crescono le diseguaglianze e gli squilibri; dall’altro aumenta, a livello di società civile, la consapevolezza della non accettabilità dell’attuale stato di cose. Da qui l’impegno ad operare per una società più giusta, più partecipata. La democrazia economica si colloca dentro questo contesto e si pone come discriminante ineludibile della bontà e dell’efficacia dell’economia sociale di mercato. La democrazia economica si configura come un processo a molte dimensioni, a molti livelli, con molti soggetti. Un processo che oltre alla definizione di precise regole per il mercato (chiarezza e trasparenza delle regole del gioco, creazione di condizioni atte a favorire la libertà di iniziativa nelle sue varie forme e da parte dei diversi soggetti ivi compresi quelli meno favoriti) si propone sia il potenziamento delle pratiche concertative sia l’attivazione di processi partecipativi e anche di autorganizzazione sul versante della gestione e del controllo del sistema economico sia il consolidamento dello stato sociale facendo interagire dimensioni pubbliche, private, privato sociali. La partecipazione fattore di innesco della democrazia economica La partecipazione – a livello macro e a livello micro – è il fattore di innesco della democrazia economica e la democrazia economica, a sua volta, dà senso, qualifica la economia sociale di mercato. In altri termini, l’efficace legame tra democrazia economica e economia sociale di mercato presuppone un’ipotesi forte di partecipazione, un coinvolgimento di risorse individuali e collettive in vista del bene comune. Tutto ciò nel contempo è essenziale per il successo delle stesse iniziative economiche. Certamente, oggi, partecipazione e concertazione (ovvero dialogo sociale) non rappresentano più fatti meramente ideologici o sovrastrutturali. Esse rispondono, in larga misura, alla necessità di governare variabili economiche e sociali tra di loro collegate da rapporti di interdipendenza e processualità. I sistemi complessi per essere strutturati e gestiti richiedono diffusione di decisionalità, accesso interattivo alle informazioni, visione integrata dell’assieme, logiche cooperative, condivisione valoriale. Resta però uno snodo ineludibile. Esso sta nell’interpretazione e nell’uso del potenziale partecipativo insito nelle organizzazioni complesse e quindi nell’impresa. Agli interrogativi – chi partecipa? come? per conto di chi? in vista di quali obiettivi? con quali poteri? – possono essere date nei fatti risposte molto diverse. Queste potrebbero essere esclusivamente aziendalistiche, favorire soltanto talune fasce di 5 Incontro di studi Focus Liguria lavoratori e di professionalità, trascurare ciò che si trova al di fuori dell’impresa, potenziare comportamenti corporativi. Del pari la concertazione di sistema potrebbe esaurirsi nell’accordo bloccato tra interessi forti nonché coprire all’interno delle singole organizzazioni prassi gerarchiche e autoritarie. Vi è però un’altra possibilità alternativa. Quella di trasformare il potenziale partecipativo delle organizzazioni complesse in un valore politico e culturale da spendere in vista di trasformazioni generali sul terreno della democrazia industriale ed economica. Economia sociale di mercato, democrazia economica, partecipazione sono tra di loro strettamente connesse. Si potenziano reciprocamente, possono fare sinergia. Questa sinergia può aiutarci ad uscire dalla crisi, costituisce un antidoto salutare contro le degenerazioni di un capitalismo finanziario, speculativo, selvaggio. In cosa (istituti, processi, politiche) può concretizzarsi questa sinergia? Procedo a una rapida sintesi delle sue possibili manifestazioni A) Prima manifestazione: costruzione di un mercato plurale. Un mercato in cui accanto all’impresa capitalistica (for profit) possono esprimersi, radicarsi – a parità di condizioni – organizzazioni cooperative, mutualistiche, sociali (banche e fondi etici, microcredito, commercio equo e solidale, ecc.). Accanto al pluralismo “nelle” istituzioni deve esistere il pluralismo “delle” istituzioni. In questa ottica efficienza e innovazione da un lato, equità e solidarietà dall’altro possono combinarsi in un concetto più ampio di imprenditorialità. Il riferimento è all’imprenditorialità “plurivalente” di cui parla la Caritas in Veritate, nel senso che le diverse tipologie di impresa possono arricchirsi reciprocamente. La pluralità delle diverse forme di imprenditorialità e di impresa rende il mercato più civile, più innovativo, più competitivo. In questo quadro anche l’impresa capitalistica è stimolata a essere socialmente responsabile. B) Seconda manifestazione: il mercato è fatto di offerta ma anche di domanda. Noi siamo la domanda e nella misura in cui la domanda si organizza può dispiegare tutto il suo potere sul fronte del consumo e del risparmio, può condizionare la produzione e la finanza nella prospettiva del bene comune e della sostenibilità (Il voto con il portafoglio di cui parla Lorenzo Becchetti). C) Terza manifestazione: la questione dell’welfare. Si tratta da un lato di creare le condizioni affinché la domanda di welfare da potenziale diventi effettiva e dall’altro di promuovere e garantire la pluralità dei soggetti di offerta dei vari servizi evitando posizioni di monopolio e di rendita sia pubblica che privata. D) Quarta manifestazione: la gestione partecipata dei servizi pubblici e più in generale dei beni comuni. Le imprese, le organizzazioni che gestiscono servizi pubblici dovrebbero prevedere la presenza di rappresentanti dei lavoratori e degli utenti negli organi decisionali e più in generale il controllo e il coinvolgimento delle comunità territoriali. E) Quinta manifestazione: la partecipazione dei lavoratori nel governo delle grandi imprese capitalistiche (cogestione). Questo punto richiede un approfondimento specifico. La partecipazione del lavoro nell’economia e nell’impresa 6 Incontro di studi Focus Liguria Nell’orizzonte strategico del sindacato la partecipazione può giocare un ruolo di fondamentale importanza. Come noto, in rapporto al sistema delle imprese, esiste una versione leggera della partecipazione (informazione, consultazione, quote di salario legate ai risultati, ecc.) e una versione forte che può esprimersi tanto nella partecipazione dei lavoratori al governo, alle decisioni e al funzionamento organizzativo dell’impresa quanto nella partecipazione collettiva degli stessi al capitale con la presenza di propri rappresentanti negli organi societari. Orbene, questa versione forte può essere assunta come scelta qualificante del sindacato italiano, può trovare ambito di sperimentazione nella realtà del nostro Paese, così come da tempo avviene altrove? Il ragionamento merita un minimo di approfondimento. Come noto i dipendenti possono partecipare agli organi societari – e quindi concorrere alla definizione delle scelte strategiche dell’impresa - sia in quanto lavoratori e ciò nell’ottica del modello tedesco sostanzialmente recepito nello statuto della società per azioni europea sia in quanto azionisti attraverso l’azionariato dei lavoratori. Nell’uno e nell’altro caso la presenza negli organi societari (tipicamente il consiglio di sorveglianza) costituisce il punto di innesco ovvero il fulcro per discorsi più puntuali che, muovendo dagli assetti di “corporate governance”, investono la tematica della democrazia economica a livello di sistema. Qualora si assumano realisticamente le trasformazioni in atto ci sembra che la presenza dei rappresentanti dei lavoratori negli organi societari – congiuntamente o disgiuntamente dal possesso di quote azionarie - si caratterizzi per non pochi aspetti di grande positività che discendono dal fatto che tale presenza può costituire sia un “collante” rispetto alle altre forme e momenti partecipativi, sia un ponte capace di collegare aspetti micro e aspetti macro, interessi individuali e interessi collettivi. Per quanto riguarda specificatamente il possesso azionario dei lavoratori, questo per poter contare deve essere collettivamente gestito, attraverso associazioni che si configurano come investitori pronti a stabilire alleanze con alcuni e ad opporsi ad altri. Con riferimento a quanto sopra richiamo sinteticamente alcune potenzialità connesse al coinvolgimento del lavoro nella governance delle imprese, con l’avvertenza che tali potenzialità per dispiegare pienamente la loro efficacia richiedono alcune condizioni al contorno: aspettative di crescita, quadro normativo, istituzionale, contrattuale sostanzialmente omogeneo a livello europeo, misure giuridiche e fiscali incentivanti, investimenti formativi e informativi onde garantire affidabilità e trasparenza nei comportamenti dei diversi attori, ecc. Queste dunque le potenzialità: - La partecipazione del lavoro al capitale d’impresa e la sua presenza negli organi conferiscono, in qualche misura, stabilità e soprattutto radicamento all’impresa stessa evitando le degenerazioni di un capitalismo invisibile e imprendibile, totalmente svincolato dalle esigenze ma anche dagli apporti in termini di cultura, valori, professionalità, relazionalità che possono provenire dalle comunità territoriali di riferimento, produttrici di quel “capitale fisso sociale” che si rivela sempre più fattore di competitività e di successo; - I lavoratori direttamente coinvolti nello sviluppo dell’impresa, attenti alla qualità e quantità dell’occupazione, possono rappresentare un antidoto salutare contro la divaricazione tra dinamica reale e dinamica finanziaria, ponendo quest’ultima al servizio di un disegno di crescita che, nel mentre crea benessere per tutti gli stakeholder dell’impresa, concorre altresì alla valorizzazione del suo stesso capitale. Il destino delle 7 Incontro di studi Focus Liguria aziende, come istituzioni produttrici di ricchezza e di benessere non possono essere abbandonate agli esiti di giochi meramente finanziari espropriando i luoghi dell’intelligenza e della progettualità reale; - La partecipazione dei lavoratori concorre a creare un clima di consenso e di fiducia che, nel mentre può contribuire ad accrescere (nel medio periodo) la redditività dell’impresa, crea risorse addizionali, spendibili anche – secondo una circolarità virtuosa – nella tradizionale attività negoziale e contrattuale; - La presenza del lavoro nel capitale e negli organismi sociali si inserisce, a pieno titolo, nella prospettiva dell’economia sociale di mercato. Da un lato, tale presenza può essere garanzia di stabilità contro il rischio di pressioni speculative di breve termine che nulla hanno a che vedere con lo stato di salute dell’impresa; dall’altro lato non si esclude la contendibilità dell’impresa medesima nel senso che il management, non potendo contare più di tanto sul diaframma di incroci azionari, partecipazioni a cascata, ecc., deve pur sempre confrontarsi con la capacità di iniziativa dei rappresentanti dei lavoratori negli organi societari specie se i lavoratori sono anche azionisti. In definitiva, per quanto riguarda il nostro Paese, un ruolo attivo dei dipendenti nella governance e anche nel capitale dell’impresa può concorrere alla riforma e al consolidamento del capitalismo italiano in una prospettiva europea. Al riguardo appare necessario un massiccio investimento culturale da parte del sindacato e delle imprese. Lavoratori disinformati, disincentivati, non supportati tecnicamente e culturalmente rischiamo l’ininfluenza rispetto alle sorti dell’impresa e del lavoro stesso. È però vero il contrario. Occorre pertanto costruire una strategia forte per la partecipazione strategica e per l’azionariato dei lavoratori. La possibilità di una grande riconciliazione Attraverso la circolarità virtuosa tra partecipazione, democrazia economica, economia sociale di mercato passa la scommessa di una grande riconciliazione o ricomposizione tra: - socialità ed economicità superando l’impostazione per cui la prima è considerata esclusivamente come un costo o un vincolo da minimizzare e la seconda come unica espressione della razionalità imprenditoriale; - crescita della produttività e aumento dell’occupazione assumendo in termini contestuali lavoro e sviluppo, promuovendo altresì il finanziamento di attività di utilità sociale; - flessibilità per far fronte al cambiamento e tutela dei valori fondamentali della persona che non possono essere strumentalizzati e precarizzati; - uguaglianza fondamentale dei soggetti e valorizzazione delle professionalità personali in una prospettiva di reciproco arricchimento; - profitto e uso sociale delle risorse nel quadro delle più vaste esigenze della crescita nella solidarietà. Efficienza, giustizia, partecipazione non possono più essere separate e, in misura crescente, si pongono come condizioni per la sostenibilità dello sviluppo. Rispettare l’ambiente è alla lunga conveniente; il coinvolgimento dei lavoratori, dei consumatori, dei cittadini è essenziale per il successo delle stesse iniziative economiche; senza regole 8 Incontro di studi Focus Liguria del gioco trasparenti e affidabili anche la funzionalità del mercato viene meno; la solidarietà crea le premesse perché abbiano a dispiegarsi le potenzialità di ciascuna persona e di ciascun gruppo sociale, perché sia possibile l’accesso più largo ai beni e ai servizi di base nell’interesse del maggior numero di soggetti e nel rispetto delle generazioni future. 9