LA RECENTE GIURISPRUDENZA DI MERITO, DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, NONCHE’ DELLA CORTE COSTITUZIONALE SULL’IMPOSTA COMUNALE SUGLI IMMOBILI (ICI) (ultime novità normative) INDICE CAPITOLO 1 Presupposto dell’imposta CAPITOLO 2 Gli immobili soggetti ad ICI 2.1 Fabbricati 2.1.1 Il particolare regime dei fabbricati in corso di costruzione - Momento impositivo 2.1.2 Fabbricati rurali - Le novità della legge 24 novembre 2006, n. 286 in materia di fabbricati rurali 2.1.3 Fabbricati rurali posseduti dalle cooperative agricole. Esenzione dal pagamento dell’Ici. Le più recenti pronunce della Corte di Cassazione 2.2 Aree fabbricabili 2.2.1 Aree non edificabili 2.3 Terreni agricoli Capitolo 3 I soggetti passivi dell’imposta 3.1 Immobili concessi in leasing 3.2 Diritto di superficie 3.3 Alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà dello Stato 3.4 Concessione su aree demaniali 3.5 Condominio Capitolo 4 Il soggetto attivo dell’imposta Capitolo 5 Base imponibile e aliquota d’imposta 5.1 Base imponibile per i fabbricati iscritti in catasto 5.2 Base imponibile per i fabbricati appartenenti al gruppo D non iscritti in catasto e posseduti interamente da imprese 5.3 Base imponibile per gli altri fabbricati non iscritti in catasto 5.3.1. La procedura DOC-FA 5.3.2 Notifica della rendita definitiva 5.3.3 La c.d. rendita presunta – Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 5.4 Base imponibile per le aree fabbricabili 5.4.1 Potestà regolamentare del Comune 5.4.2 Fabbricati in corso di costruzione: valore imponibile 5.4.3 Fabbricati ultimati in corso d’anno 5.5 Base imponibile per i fabbricati di interesse storico e artistico 5.6 Base imponibile per i terreni agricoli 5.6.1 Terreni condotti direttamente 5.7 Aliquota d’imposta - Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in materia di deliberazione delle aliquote Ici Capitolo 6 Gli adempimenti dei contribuenti: modalità di versamento e obblighi dichiarativi alla luce delle importanti modifiche normative introdotte dal D.L. n. 223/2006(conv. con mod. dalla L. 04/08/2006, n. 248) e dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) 6.1 Versamento dell’imposta. Termini e modalità 6.1.1 I termini di versamento 6.1.2 Le modalità di versamento 6.2 Obblighi dichiarativi 6.2.1. Modifica del termine per la presentazione della dichiarazione per gli immobili del fallimento e per il versamento dell’Ici 6.3. Ici e dichiarazione dei redditi. 6.3.1 Indicazione nella dichiarazione dei redditi dell’Ici dovuta per il 2006 (2007) 6.3.2 Indicazione nella dichiarazione dei redditi dei dati catastali degli immobili e dei versamenti Ici (dal 2008) Capitolo 7 Liquidazione e accertamento 7.1 Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in materia liquidazione 7.1.1 I Comuni collaborano nell’attività di controllo 7.1.2 Fabbricati sprovvisti di rendita 7.2 Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in materia di accertamento 7.2.1 Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in materia di motivazione degli avvisi di accertamento 7.2.2 Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in materia di notifica degli avvisi di accertamento Capitolo 8 Riscossione coattiva dell’imposta 8.1 Riscossione coattiva e concessionari Capitolo 9 Le Agevolazioni 9.1 Esclusioni 9.2 Esenzioni 9.3 Riduzioni e detrazioni 9.3.1 Riduzioni per i fabbricati inagibili o inabitabili 9.3.2 Agevolazioni per l’abitazione principale - Le novità della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) 9.4 Terreni agricoli condotti direttamente Capitolo 10 Rimborsi, sanzioni e interessi 10.1 Rimborsi d’imposta(Le novità della Legge 296/2006, Finanziaria 2007) 10.2 Interessi (Le novità della Legge 296/2006, Finanziaria 2007) 10.3 Sanzioni I. Premessa L’Imposta comunale sugli immobili (ICI) è stata oggetto, negli ultimi anni, di rilevanti pronunce della Corte di Cassazione anche a Sezioni Unite, della Corte Costituzionale, nonché di importanti interventi normativi. Scopo del presente testo è, quindi, quello di fornire al lettore una panoramica delle più rilevanti questioni affrontate e risolte dalla Corte Costituzionale, dalla Cassazione ed, altresì, dalla giurisprudenza di merito, nonché delle novità legislative introdotte dapprima dal D.L. n. 223/2006 (conv. L.n.248/2006), quindi, dalla Legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007), dalla legge 24/12/2007, n. 244 (Finanziaria 2008) e, da ultimo, dal Decreto Legge del 27 maggio 2008, n. 93. In evidenza: L’abolizione dell’Ici per l’abitazione principale Il Decreto Legge del 27 maggio 2008, n. 93, rubricato “Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie” (in Gazzetta Ufficiale n. 124 del 28 maggio 2008) in vigore dal 29 maggio, ha abolito l’Ici sulla prima casa. A partire da tutto il 2008 e, quindi, a decorrere dalla scadenza del 16 giugno prossimo, quindi, l’abitazione principale è esclusa dall’applicazione dell’Ici. Il Ministero dell’economia e delle finanze con la risoluzione n. 12 del 05/06/2008 ha fornito chiarimenti al riguardo. La nozione di abitazione principale è ricavata con rinvio al D.Lgs. 504/1992. Ai sensi dell’articolo 8, comma 2, del predetto decreto, si considera abitazione principale quella adibita a dimora abituale del soggetto passivo. A tale scopo è posta una presunzione legale secondo cui l’immobile ove si ha la residenza anagrafica coincide con l’abitazione principale, salvo prova contraria. Incombe, quindi, un onere sul contribuente che abbia interesse a dimostrare che la dimora abituale è costituita da una unità diversa da quella di residenza anagrafica. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, nel caso in cui la sede lavorativa fosse diversa da quella anagrafica o, ancora, laddove il trasferimento di fatto del domicilio non risulti ancora recepito nelle risultanze dell’anagrafe. Non tutte le abitazioni principali fruiranno dell’esenzione Ici. Il decreto fiscale esclude, infatti, le abitazioni classificate nelle categorie catastali A1(abitazioni signorili), A8 (ville) e A9 (castelli). Si tratta, peraltro, di una previsione che si pone in linea di continuità con la disciplina dell’ulteriore detrazione dell’1,33 per mille, approvata con la Finanziaria 2008 e mai effettivamente applicata. E’ necessario, al riguardo, sciogliere alcuni nodi interpretativi. Intanto, va valutato l’impatto dell’abrogazione, decisa dal decreto fiscale, della disposizione contenuta nell’articolo 6, comma 4, del decreto 504/1992, che faceva salva la possibilità dei comuni di deliberare aliquote ridotte per le abitazioni principali. Questa soppressione non dovrebbe far venire meno la validità delle aliquote già deliberate dai comuni né impedire anche per il futuro agli enti locali di adottare misure agevolate di imposta. Questo perché la disposizione era stata introdotta nell’articolo 6 nel 1996 e poteva già ritenersi superata dall’articolo 52 del decreto legislativo 446/1997, che ha dato ai comuni ampi poteri di determinare le aliquote, con la sola esclusione dell’aliquota massima, riservata al legislatore statale. Conseguentemente, malgrado l’abrogazione dell’articolo 6, comma 4, i proprietari degli immobili di lusso che costituiscono abitazione principale potranno continuare ad applicare l’aliquota ridotta. Un altro problema riguarda i fabbricati di interesse storico-artistico, molti dei quali sono catalogati nelle categorie catastali A1, A8, o A9. Il decreto legge n.16/1993, all’articolo 2, ha stabilito che per questi immobili la base imponibile è determinata assumendo la minore delle tariffe d’estimo prevista per le abitazioni site nella medesima zona censuaria. Questo non dovrebbe, però, bastare per considerare il fabbricato storico-artistico alla pari di un’abitazione non di lusso e, così, esentarlo dall’Ici. Ai fini dell’esenzione, infatti, non rilevano le modalità di quantificazione dell’imponibile, ma solo la classificazione catastale del bene. a) Le abitazioni assimilate a quella principale alle quali si estende l’esenzione Ici - Le assimilazioni legali Il decreto fiscale in commento estende espressamente l’esenzione Ici ad alcune ipotesi di assimilazione legale all’abitazione principale. Si tratta, in particolare: degli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa, assegnati a soci che li adibiscono ad abitazione principale; degli immobili degli “Istituti autonomi case popolari” regolarmente assegnati; della casa coniugale assegnata al coniuge separato o divorziato, in sede di separazione o divorzio. In questo caso, va ricordato che l’equiparazione a vantaggio del coniuge non assegnatario vale a condizione che questi non possieda l’abitazione principale nello stesso comune ove è ubicata l’ex casa coniugale. Il decreto fiscale non menziona la casa dei cittadini italiani all’estero, non locata. Dovrebbe trattarsi di una dimenticanza, alla quale rimediare in via interpretativa. - Le assimilazioni regolamentari Il decreto fiscale n. 93/2008, estende, altresì, l’esenzione Ici alle ipotesi di assimilazione all’abitazione principale disposte dai comuni con regolamenti vigenti alla data di entrata in vigore del decreto stesso (29 maggio 2008). La principale disposizione è quella contenuta nell’articolo 59, lettera e) , del D.Lgs n. 446/1997. In forza di questa norma, i comuni possono assimilare all’abitazione principale la casa concessa in uso gratuito a parenti, precisando nella delibera il grado di parentela. Non è raro, inoltre, che l’equiparazione venga decisa anche in caso di uso da parte di affini. L’assimilazione, inoltre, può essere completa, valida cioè sia ai fini dell’aliquota ridotta che della detrazione, oppure limitata all’aliquota ridotta. Il testo del decreto legge non chiarisce se, ai fini dell’applicazione dell’esenzione, sia indifferente il grado di assimilazione. La generica espressione utilizzata nel decreto induce a preferire la risposta positiva. Un’altra fattispecie è quella prevista nell’articolo 3, comma 56 della legge 662/1996. In base a tale norma, i comuni possono assimilare all’abitazione principale l’immobile non locato appartenete ad anziani e disabili residenti in istituti di ricovero. Nelle amministrazioni che si sono avvalse di tale facoltà, l’esenzione risulterà conseguentemente ampliata. Giova ribadire che il decreto legge n. 93/2008 richiama i regolamenti vigenti alla data della sua entrata in vigore. Ciò determina due conseguenze operative: se il comune ha sottoposto l’applicazione dell’assimilazione a condizioni procedurali, tali condizioni dovranno essere rispettate anche ai fini del riconoscimento dell’esonero; la delibera regolamentare è irreversibile. In sintesi Le abitazioni assimilate a quella principale alle quali si estende l’esenzione Ici Assimilati per legge: - gli immobili delle cooperative a proprietà indivisa usati come abitazioni principali da parte dei soci assegnatari; - gli immobili degli Iacp regolarmente assegnati; - la ex casa coniugale assegnata al coniuge separato o divorziato, in proprietà del coniuge non assegnatario che non possiede l’abitazione principale nello stesso comune; - l’immobile di cittadini italiani residenti all’estero non locato. Assimilati dai regolamenti comunali vigenti alla data del 29 maggio 2008: - l’abitazione assegnata in uso gratuito a parenti; - l’immobile di anziani o disabili che risiedono in case di cura e non locato. b) Le pertinenze Sebbene la novità legislativa tace del tutto sul trattamento delle pertinenze dell’abitazione principale, si può affermare con certezza che l’esenzione Ici dovrebbe automaticamente estendersi alle pertinenze. Sul punto, occorre ricordare che la giurisprudenza della Cassazione, da tempo, ha affermato che in ambito Ici la nozione di pertinenza deve essere desunta dagli articoli 817 e seguenti del Codice civile. Ai sensi del Codice civile, quindi, la pertinenza si distingue per l’oggettivo collegamento funzionale con il bene principale e per la volontà del proprietario di destinare la prima a ornamento o servizio del secondo. Nessuna rilevanza ha, quindi, l’autonomo classamento dell’unità pertinenziale, con attribuzione di distinta rendita catastale, poichè ciò che conta è la situazione di fatto. c) Abrogazioni Il decreto legge ha abrogato le disposizioni relative all’ulteriore detrazione dell’1,33 per mille, appena introdotte dalla legge 244/2007, poichè sono diventate inutili, nonché l’ultimo comma dell’articolo 6 del decreto legislativo 504/1992. d) I trasferimenti statali L’esenzione Ici è a carico del bilancio dello Stato che si impegna, quindi, a rifondere ai comuni la correlata perdita di gettito. Sul punto, il decreto abroga espressamente le regole dettate nella Finanziaria 2008 per il calcolo della minore entrata conseguente dalla ulteriore detrazione dell’1,33 per mille che facevano riferimento alle delibere 2007. L’abolizione dell’Ici per la prima casa in sintesi Per le abitazioni principali - L’esenzione dall’Ici ha effetto per l’immobile in cui il contribuente ha la residenza anagrafica; è fatta salva la possibilità di provare che sussiste la dimora abituale anche in assenza della residenza anagrafica. Partenza immediata - La soppressione è operativa da subito: i beneficiari non dovranno pagare l’Ici in scadenza il prossimo 16 giugno. Le esclusioni - Continuano a pagare l’Ici gli immobili accatastati in A1(abitazioni signorili), A8 (ville) e A9 (castelli). Le assimilazioni locali - L’esenzione si applica anche alle abitazioni assimilate a quella principale dai regolamenti comunali vigenti alla data del 29 maggio 2008(data di entrata in vigore del D.L. n.93/2008). Le pertinenze - Il taglio vale anche per le pertinenze dell’abitazione principale. Occorre, però, tener conto delle limitazioni eventualmente deliberate dal regolamento comunale. Paga l’Erario - L’esenzione è a carico del bilancio statale. I comuni potranno chiedere il rimborso del minor gettito, in base alle regole che saranno stabilite entro 60 giorni. CAPITOLO 1 Presupposto dell’imposta L’articolo 1, secondo comma, del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 individua il presupposto dell’imposta comunale sugli immobili nel possesso di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi i beni strumentali e quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa. Gli obblighi di assoggettamento all’imposta nascono, quindi, quando sono soddisfatti contemporaneamente i tre requisiti: a) soggettivo: dato dal possesso dei beni. Possessore è colui che può disporre di un bene anche se non ne è proprietario, ma si comporta come se lo fosse (articolo 1140 del C.c). Qualora, però, il soggetto risulti solo nudo proprietario, l’obbligo di dichiarazione e versamento dell’imposta ricade sul titolare di diritti reali; b) oggettivo: deve trattarsi di beni immobili di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge istitutiva del tributo; c) territoriale: gli immobili devono essere situati in territorio italiano. Giurisprudenza Il semplice possesso di un immobile costituisce il presupposto per il pagamento dell’Ici ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 18/08/2004, n. 16130). La Corte di Cassazione, in ossequio, alla disciplina civilistica del “possesso” contenuta nell’articolo 1140 e seguenti c.c., ha individuato nel semplice possesso di un immobile il presupposto per il pagamento dell’imposta. La Suprema Corte ha precisato, infatti, che l’obbligo del pagamento dell’Ici nasce dal momento dell’effettivo utilizzo dell’immobile, poco rilevando la data della stipula del rogito notarile. Il Giudice di legittimità, infatti, con la sentenza del 18/08/2004, n. 16130 ha ritenuto “errata in diritto l’affermazione del giudice a quo che fa coincidere la nascita dell’obbligazione di pagare l’imposta con la stipula del rogito notarile di trasferimento della proprietà”. In realtà, secondo la Cassazione, il giudice di merito aveva raggiunto la prova che il contribuente possedeva l’immobile, poiché l’atto di compravendita era stato preceduto dalla promessa di vendita e, nel frattempo, il costruttore aveva consentito al futuro acquirente di utilizzare l’alloggio. Il possesso dell’alloggio, quindi, obbligava l’acquirente a pagare l’Ici, prima ancora della stipula di trasferimento della proprietà. In senso contrario • Il semplice possesso di un immobile, in base ad un titolo diverso da quello rinveniente dal diritto di proprietà o da altro diritto reale individuato dall’articolo 3 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, non costituisce il presupposto per la soggettività passiva ai fini Ici. Pur se presupposto per il pagamento dell’Ici, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1 del DLgs 504/1992, è il possesso dell’immobile, il solo fatto di possedere non colloca il possessore tra i soggetti passivi dell’imposta di cui all’articolo 3 del medesimo decreto legislativo, il quale esige un possesso qualificato (ovvero la proprietà o la titolarità di diritti reali di godiemtno)) (Commissione tributaria regionale della Puglia, sentenza n. 9 del 02/03/2006; Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione XXV, sentenza n. 88 del 29/06/2006; Commissione tributaria provinciale di Genova, sez.13, sentenza 21/02/2007, n.27 ). I Giudici del merito, con una motivazione, ad avviso di chi scrive, pienamente condivisibile hanno affermato che la disposizione dell’articolo 1 del D. Lgs. n. 504/1992, che individua il presupposto dell’Ici nel possesso dei fabbricati, di aree edificabili e di terreni agricoli, deve essere necessariamente coordinata con quella dell’articolo 3, comma 1, che individua il soggetto passivo nel proprietario o nel titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, nonché, per effetto della integrazione di cui all’articolo 58, comma 1, del D.Lgs. 15/12/1997, n. 446, di enfiteusi e superficie. Deve, pertanto, trattarsi di un possesso a titolo di piena proprietà o in forza di un diritto reale di usufrutto, uso, abitazione o superficie sugli immobili(c.d. possesso qualificato). Il godimento di fatto del bene a titolo diverso da quello rinveniente dal diritto di proprietà o dal diritto reale individuato dal citato art. 3 non costituisce il presupposto per la soggettività passiva ai fini Ici; il semplice factum possessionis del promittente acquirente non integra, quindi, il presupposto dell’imposta. Se questi è immesso anticipatamente nel possesso dell’immobile senza un titolo giuridico, non può considerarsi soggetto passivo Ici. In questo caso, infatti, non ha alcun titolo a possedere il bene. CAPITOLO 2 Gli immobili soggetti ad ICI 2.1 Fabbricati: l’articolo 2 del D. Lgs. n. 504/1992 definisce fabbricato l’unità immobiliare iscritta, o che deve essere iscritta, nel catasto edilizio urbano cui sia attribuita o attribuibile un’autonoma rendita catastale. L’unità immobiliare è costituita da una porzione di fabbricato, o da un fabbricato, o da un insieme di fabbricati, ovvero da un’area, che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta potenzialità di autonomia funzionale e reddituale (articolo 2, c. 1, D.M. 2/01/1998, n. 289. Il fabbricato di nuova costruzione è soggetto all’Ici dalla data di ultimazione dei lavori, o dalla data di effettivo utilizzo. Devono considerarsi, inoltre, parte integrante del fabbricato l’area occupata dalla costruzione e quella che ne costituisce pertinenza. - Concetto di pertinenzialità L'articolo 2, primo comma, lett.a) del D.Lgs n.504/1992, con una formulazione non troppo felice, stabilisce che l'area costituente “pertinenza” di un fabbricato, va considerata “parte integrante” di quest'ultimo; se, quindi, il fabbricato è assoggettabile ad Ici, l'area pertinenziale ad esso è da considerarsi compresa nella tassazione della res principalis; se, per contro, il fabbricato è esente o comunque non tassabile, l'area ad esso asservita ne segue il regime fiscale: in altre parole, il contribuente non deve pagare l'Ici con riferimento al giardino in quanto è soggetta al tributo solo l'abitazione. La ragione di tale previsione risiede nel fatto che tale lotto pertinenziale di terreno risulta essere strutturalmente parte integrante del fabbricato e conseguentemente la correlata redditività non viene espressa tramite una rendita propria ma attraverso la rendita dell'immobile a cui risulta essere asservito. La controversia sorge con riferimento all'interpretazione attribuibile al concetto di terreno pertinente, in particolare circa il trattamento di quelle aree che di fatto vengono utilizzate quali pertinenze di fabbricati (giardini, orti ecc.), ma formalmente risultano essere unità immobiliari autonome iscritte al catasto dei terreni, con autonoma attribuzione di rendita. - Profilo civilistico Sulla questione si è già più volte espressa la Cassazione con una posizione che può senza dubbio considerarsi consolidata. Nella prima pronuncia che si consta sull'argomento (sentenza 19375/03) i giudici della Suprema corte hanno dimostrato di preferire un'accezione del concetto di pertinenza che si suole definire civilistica (“sono pertinenze - recita testualmente l’articolo 817 c.c.- le cose destinate in modo durevole al servizio o ad ornamento di altra cosa. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima”): un terreno destinato a giardino, quindi, a servizio ed ornamento di un fabbricato, deve considerarsi asservito al fabbricato medesimo – con conseguente esclusione della tassabilità Ici – anche se, per intervenuto frazionamento ovvero mancato accatastamento congiunto, risulti essere autonomamente censito al catasto e inquadrato dagli strumenti urbanistici dell'ente impositore tra le aree edificabili. Nella sentenza si legge come il Legislatore, nell'ambito della disciplina Ici, non può che adoperare il termine pertinenza in senso atecnico, secondo la definizione recata dall'articolo 817 del Codice civile, che “...inequivocabilmente fonda l'attribuzione della natura pertinenziale della cosa sulla sua condizione fattuale...” cioè sotto l'aspetto sostanziale sulla sua reale destinazione; non risulterebbero, pertanto, di alcun rilievo le circostanze formali quali, appunto, il separato censimento dell'area. Senza dilungarsi oltre sulla questione, ormai ben nota, si devono segnalare le sentenze 17035/04, 19161/04, 6501/05, 20033/05 e la sentenza 25 febbraio 2005 n.5755, tutte di tenore analogo. - Pertinenza in senso urbanistico Il pensiero della Cassazione è, quindi, chiaro ma non si deve dimenticare anche l'altro filone interpretativo che da sempre è stato sposato, tra gli altri, dall'Agenzia delle Entrate; in particolare, il riferimento è alla circolare n.38/E del 2005, nella quale l'Amministrazione finanziaria si è espressa per dare la propria interpretazione di “pertinenza” (seppure con riferimento all'applicazione delle agevolazioni per l'acquisto della prima casa, ma certo i ragionamenti sono generalizzabili). Nel paragrafo 7.2, in aperto contrasto con quanto affermato dalla Cassazione, è contenuta la posizione dell'Agenzia: “Un'ulteriore questione riguarda i terreni “non graffati” all'immobile agevolato, in quanto iscritti autonomamente nel catasto terreni e, in particolare, la possibilità che essi possano costituire pertinenza di un'abitazione che abbia fruito dell'agevolazione “prima casa” e, quindi, di avvalersi anch'essi dello stesso beneficio fiscale. Al riguardo, si osserva che per godere dell'agevolazione in esame le “aree scoperte” pertinenziali, così classificabili ai sensi dell'articolo 817 del codice civile devono risultare, altresì, censite al catasto urbano unitamente al bene principale. Ai fini dell'agevolazione fiscale in questione, un'area che sia autonomamente censita al catasto terreni non può considerarsi “pertinenza” di un fabbricato urbano, anche se durevolmente destinata al servizio dello stesso”. Tale posizione è conforme con quanto anche successivamente affermato nella risoluzione n.32/E del 2006 con riferimento alle “aree di enti urbani promiscui”: la posizione dell'Agenzia è quella per cui pertinenza si debba intendere l'area scoperta provvista del requisito della “graffatura” con il bene principale, così come la datata pronuncia (questa volta specificatamente in materia di Ici) contenuta nel paragrafo 5.17 della circolare n.77/E del 1993. Qest'ultima, a parere di chi scrive, reca la vera argomentazione che regge l'accezione urbanistica del concetto di pertinenza: “le rendite delle singole unità immobiliari formanti l'edificio comprendono anche la quota parte attribuibile al terreno pertinenziale”: se il terreno, pur asservito, non risulta congiuntamente accatastato al fabbricato, la rendita del fabbricato è espressione solo di quest'ultimo e non anche delle aree sostanzialmente ma non formalmente pertinenziali. - Prova del vincolo pertinenziale Tornando alle conclusioni della Cassazione, non si deve comunque pensare che il vincolo pertinenziale sia riconosciuto a tutti i terreni collocati nei pressi degli edifici; nella sentenza 5015/05 si legge, infatti, come il mantenimento di una separazione catastale tra fabbricato e area faccia sorgere in molti casi dubbi circa la reale esistenza dell'asservimento: “...vi è stata una successiva richiesta di accatastamento separato degli immobili in questione ad opera di un geometra incaricato dal contribuente, che costituisce la migliore prova della inesistenza del vincolo pertinenziale”. Pertanto, qualora si volesse sostenere una non imponibilità del terreno invocandone un presunto vincolo pertinenziale, si rende necessario dotarsi della documentazione idonea a provare l'esistenza del durevole asservimento necessario per escludere l'obbligo di corresponsione dell'Ici; proprio sul supporto probatorio si possono leggere considerazioni importanti nella sentenza della Corte di cassazione, sez. trib., del 13 luglio 2007, n. 15739. Posto che il vincolo pertinenziale deve essere verificato in concreto, il mezzo migliore pare senz'altro quello di fornire prove fotografiche nelle quali argomentare l'effettivo utilizzo del lotto. Nel caso che ha portato alla sentenza in commento, la CTR della Lombardia aveva respinto tale documentazione, che a rigor di logica parrebbe l'unica in grado di fornire testimonianza del reale uso fatto del lotto. D'altro canto- è lecito chiedersi- come può provarsi tale utilizzo senza poter utilizzare rilievi fotografici? Come fornire la materiale prova che il lotto di terreno non è suscettibile di autonoma valutazione rispetto al fabbricato che esso è destinato a servire?Si sarebbe trattato di una probatio diabolica pressoché impossibile da rendere. Sulla questione è fortunatamente intervenuta la Cassazione stabilendo la validità della prova fotografica, affermando piuttosto che la criticità della documentazione (su cui doveva soffermarsi l'attenzione dei giudici) risiedeva nell'idoneità del supporto fotografico a provare la durevolezza dell'asservimento. Tale rilievo è certamente quello maggiormente interessante, che deve far riflettere tutti coloro che non intendono versare l'Ici su terreni perchè ritengono esistente un vincolo pertinenziale: è necessario precostituirsi un idoneo supporto documentale in vista di futuri possibili contenziosi, attraverso un dettagliato rilievo fotografico costituito da una sequenza di foto scattate in tempi diversi. La pertinenzialità di un terreno deriva, infatti, dall'asservimento al fabbricato che, però, deve essere anche e soprattutto duraturo: foto scattate in un medesimo momento possono certo provare l'utilizzo, ma non possono in alcun modo garantire che esso si sia prolungato nel tempo. Pertanto tutti colo che si trovano sotto un potenziale rischio di verifica, devono far tesoro delle indicazioni della Suprema Corte: è bene preoccuparsi per tempo, attrezzandosi conservando un aggiornato dossier fotografico. Giurisprudenza • In tema di Ici, l’articolo 2 del D.Lgs n. 504/1992, che esclude l’autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, fonda la qualifica di “pertinenza” sul criterio fattuale, e cioè sulla destinazione effettiva e concreta della cosa al servizio od ornamento di un’altra cosa, ai sensi dell’articolo 817 c.c., senza che rilevi l’avvenuto frazionamento catastale dell’area, ovvero la mera distinta iscrizione in catasto della pertinenza e del fabbricato, e, tanto meno, la presenza o meno di segni grafici, inconsistenti sul piano probatorio (Corte di Cassazione, sentenza 16 marzo 2005, n. 5755). La Corte di Cassazione, con la sentenza 16 marzo 2005, n. 5755, in assoluta continuità con una consolidata giurisprudenza di legittimità, ha ribadito che la nozione di pertinenza che si considera ai fini Ici è quella recata dal codice civile, senza che rilevi, in alcun modo, l’avvenuto frazionamento catastale dell’area, ovvero la mera distinta iscrizione in catasto della pertinenza e del fabbricato. • L’articolo 59, comma 1, lett. d), del D. Lgs n. 446/1997 nello stabilire che i comuni con regolamento possono considerare parti integranti dell’abitazione principale le sue pertinenze, ancorché distintamente iscritte in catasto, deve interpretarsi nel senso che esso si limita a sottolineare che (in base alla legge) la distinta iscrizione in catasto della pertinenza non è di ostacolo alla considerazione unitaria di essa con l’abitazione principale (Corte di Cassazione, sentenza 16 aprile 2004, n. 17035). • In materia di imposta comunale sugli immobili, l'esclusione dall'autonoma tassabilità delle aree pertinenziali, disposta dall'articolo 2 del D.Lgs 30 dicembre 1992, n.504, fonda l'attribuzione del rapporto pertinenziale su un criterio fattuale, rappresentato dalla destinazione effettiva e concreta di una cosa al servizio e all'ornamento di un'altra, senza che assuma rilievo la distinta iscrizione in catasto della pertinenza e del fabbricato, né il regime di edificabilità che lo strumento urbanistico eventualmente attribuisca all'area pertinenziale, pertanto, non si può escludere l'esistenza di un rapporto pertinenziale fra un fabbricato industriale e l'area adiacente ad esso, desumibile da una documentazione fotografica prodotta per dimostrare la durevolezza del vincolo pertinenziale, non rilevando a contrariis la richiesta di utilizzazione di un'altra area adiacente per le stesse funzioni pertinenziali (Corte di Cassazione, sez.trib., 13 luglio 2007, sentenza n.15739). 2.1.1 Il particolare regime dei fabbricati in corso di costruzione - Momento impositivo Si potrebbe creare qualche incertezza circa il momento a partire dal quale un fabbricato di nuova costruzione deve essere assoggettato ad imposta. Il secondo periodo dell’articolo 2, lett. a) del D. Lgs n. 504/1992, infatti, prevede che “il fabbricato di nuova costruzione è soggetto all’imposta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato”. Il fabbricato di nuova costruzione è, quindi, soggetto ad Ici a partire dal momento in cui si verifica uno degli eventi sotto indicati: - ultimazione dei lavori di costruzione; - utilizzo del fabbricato. Giurisprudenza • L’accatastamento del fabbricato, da parte del contribuente, anteriormente al completamento dei lavori di costruzione, ne determina l’utilizzazione e, quindi, l’imponibilità dello stesso ai fini Ici (Corte di Cassazione, sentenza del 23/10/2006, n. 22808) La Corte di Cassazione con la sentenza del 23/10/2006, n. 22808, ha sottolineato che l’articolo 2 del D. Lgs n. 504/1992, prevede che l’Ici si applichi su un fabbricato di nuova costruzione a partire dalla data di ultimazione dei lavori ovvero dalla data in cui è stato comunque utilizzato e l’articolo 5, comma 6, del medesimo decreto dispone che in caso di utilizzazione edificatoria dell’area, la base imponibile sia costituita dal valore dell’area senza considerare il valore del fabbricato in corso d’opera fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ristrutturato è comunque utilizzato. Per i Giudici di legittimità, la nozione di fabbricato rispetto all’area su cui questo sorge è unitaria e, quindi, una volta utilizzata tale area edificabile, il valore della base imponibile si trasferisce dall’area alla costruzione realizzata. Ai fini dell’applicazione dell’Ici, infatti, la norma non fa alcun riferimento alla divisione del fabbricato in piani o porzioni ma individua due criteri, rappresentati dalla data di ultimazione dei lavori ovvero, se antecedente, dalla data di utilizzazione. Per la Cassazione, quindi, l’accatastamento del fabbricato ne determina l’ utilizzazione e, quindi, l’assoggettamento ad Ici, indipendentemente dal completamento delle rifiniture. • E’ dovuta l’Ici per i fabbricati di nuova costruzione che, pur essendo iscritti in catasto ed in possesso di rendita catastale, sono in realtà ancora privi dell’abitabilità (Corte di Cassazione, sentenza 22 febbraio 2005, n. 7905). 2.1.2 Fabbricati rurali - Le novità della legge 24 novembre 2006, n. 286 in materia di fabbricati rurali L’articolo 2, comma 36, del decreto legge 262 convertito in legge n. 286 del 2006, come sostituito dall’articolo 1, comma 339, lett. b) della legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (Finanziaria 2007), ha stabilito che i fabbricati rurali in possesso dei requisiti di ruralità di cui all’articolo 9c.3-6, del decreto legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, in legge 26 febbraio 1994, n. 133(come modificato dal D.P.R. 23/03/1998, n. 139) non sono assoggettabili all’Ici. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia del Territorio del 9 febbraio 2007(in G.U. n. 42 del 20/02/07) sono state, altresì, definite le modalità tecniche e operative per verificare i fabbricati rurali iscritti al Catasto terreni che hanno perso i requisiti della ruralità e che non hanno, quindi, più diritto a usufruire delle agevolazioni fiscali. In particolare, l’immobile deve essere posseduto dal soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno oppure dall’affittuario. Il terreno cui il fabbricato è asservito deve avere una superficie non inferiore a 10 mila metri quadrati e deve essere censito al catasto terreni con attribuzione di reddito agrario. Il volume d’affari derivante dalle attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve essere superiore alla metà del suo reddito complessivo, determinato senza far confluire in esso i trattamenti pensionistici corrisposti in seguito ad attività svolta in agricoltura. A questi va aggiunto l’ulteriore requisito previsto dall’articolo 2, comma 37 del decreto 262/06, che richiede che i soggetti conduttori del terreno abbiano la qualifica di imprenditori agricoli, iscritti nel registro delle imprese. In mancanza dei requisiti, dovranno essere iscritti al Catasto edilizio urbano. In caso contrario, l’Agenzia del Territorio applicherà una sanzione amministrativa e provvederà all’accatastamento d’ufficio, a spese degli interessati. Come indicato nel provvedimento, gli uffici provinciali dell’Agenzia faranno i controlli attraverso incroci con altre banche dati. Per svolgere queste attività saranno utilizzate le informazioni fornite dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), che disporrà verifiche amministrative, sopralluoghi sul terreno e così via. 2.1.3 Fabbricati rurali posseduti dalle cooperative agricole. Esenzione dal pagamento dell’Ici. Le più recenti pronunce della Corte di Cassazione in merito Giurisprudenza Pronunce favorevoli all’esenzione • Il regime dell’Ici e delle relative esenzioni non può essere ricavato dalla disciplina normativa regolante l’imposizione diretta (artt. 29, 24, 51 e 87, ora, rispettivamente, artt. 32, 27, 55 e 73 del T.U.I.R), bensì dalle disposizioni specificatamente inerenti alla stessa imposta, cioè gli articoli 7 del D. Lgs n. 504/1992 e 9, comma 3 e 3-bis, del D. L n. 557/1993 (convertito dalla legge n. 133/1994), che, con riferimento al periodo interessato, non distinguevano, ai fini dell’esenzione per gli immobili utilizzati nel settore agricolo, tra “imprenditore agricolo - persona fisica e “imprenditore agricolosocietà”. E’, quindi, sufficiente, per godere dell’esenzione, la sussistenza delle condizioni oggettive della strumentalità dei fabbricati e dell’insistenza del terreno in area montana o collinare esente (Corte di Cassazione, sentenza n. 13334 del 07 giugno 2006). • L’esenzione Ici per i fabbricati rurali spetta anche quando non c’è coincidenza tra il proprietario dei fabbricati (cooperative) e il proprietario dei terreni (soci della cooperativa). L’unica condizione richiesta, ai fini dell’esenzione dall’imposta comunale sugli immobili, è che l’immobile sia strumentale all’attività dell’impresa agricola (Corte di Cassazione, sentenza n. 6884 del 04 marzo 2005; Corte di Cassazione, sentenza n. 1330 del 21 gennaio 2005). In senso contrario • I fabbricati strumentali alle attività agricole, posseduti e utilizzati dalle cooperative agricole, pagano l’Ici se il fondo è condotto solo da uno dei soci (Corte di Cassazione, sentenza n. 18854 del 27 settembre 2005). 2.2 Aree fabbricabili: l’articolo 2 del D. Lgs. n. 504/1992 definisce area fabbricabile l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilità effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità. Sono considerati, tuttavia, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nel comma 1 dell’articolo 9, sui quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all’allevamento di animali. Quando un’area è considerata edificabile ai fini Ici L’articolo 2 cit. è stato oggetto, nel corso degli anni, di un vivace ed acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Il problema consisteva nel decidere a quali condizioni un terreno potesse considerarsi edificabile, affinché, ai fini Ici, la relativa base imponibile fosse sottratta alla determinazione del valore sulla base della rendita catastale, per essere desunta dal suo valore venale in comune commercio (previa eventuale indicazione in delibere comunali di valori medi di riferimento in ciascun anno); in particolare, le due questioni che si ponevano riguardavano la possibilità di considerare, come terreni edificabili, solo quelli così qualificati in base agli strumenti urbanistici generali, indipendentemente dall’adozione di piani attuativi ed, ancora, la possibilità di considerare, come terreni edificabili, quelli così qualificati dagli strumenti urbanistici prima che gli stessi avessero completato l’iter formativo (adozione da parte del Consiglio comunale, ed approvazione da parte della Provincia o Regione competente). Il piano regolatore generale è un atto a formazione progressiva che in una prima fase viene adottato dal consiglio comunale e successivamente approvato dalla regione. Il piano regolatore adottato ha una valenza limitata alle misure di salvaguardia più restrittive, mentre sono temporaneamente prive di effetto quelle più favorevoli. Il piano regolatore sarà, poi, attuato da parte del Comune tramite i piani particolareggiati di esecuzione. Secondo la tesi formale-legalistica, la tassabilità di un terreno presuppone la sua immediata utilizzabilità a scopo edificatorio e, quindi, richiede l’approvazione dello strumento attuativo. In base all’indirizzo sostanzialistico, invece, è sufficiente che un’area sia utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici non ancora perfezionati. L’iter del piano regolatore Il consiglio comunale adotta il Piano regolatore generale Il Piano regolatore generale viene approvato dalla regione Il Comune approva i piani esecutivi che attuano lo strumento generale Tesi-formale-legalistica Per essere tassato, il terreno deve essere Immediatamente utilizzabile per l’edificazione Possono essere tassati solo i terreni individuati anche dagli strumenti urbanistici esecutivi Tesi sostanzialista Può essere tassata qualsiasi area considerata edificabile dal Piano regolatore generale (anche soltanto adottato) Non rileva l’approvazione dei piani attuativi Sulla questione è, poi, intervenuto il Legislatore che, con una norma di interpretazione autentica (art.11-quaterdecies, co. 16, D. L. 30 settembre 2005, n. 203, introdotto dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248), ha precisato che un’area va considerata “edificabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi del medesimo”. L’articolo 36, co. 2, D.L. n. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, ha, poi, precisato che “ai fini delle imposte sui redditi, dell’Iva, dell’imposta di registro e dell’Ici, si intende per area edificabile quella che è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune indipendentemente dall’approvazione della Regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”. Nel frattempo, allo scopo di dirimere il contrasto giurisprudenziale formatosi sul punto, la questione è stata sottoposta all’attenzione della Suprema Corte. La Corte di Cassazione, con la sentenza 30 novembre 2006, n. 25506, ha definitivamente chiarito che l’articolo 2 del D. Lgs n. 504/1992 deve essere interpretato nel senso che ai fini Ici un’area è da ritenersi fabbricabile se utilizzata a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, a prescindere dall’approvazione delle regioni e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo. Per la Corte di Cassazione, quindi, la soluzione adottata dal Legislatore appare quella più aderente a un corretto e realistico approccio al problema in esame. Ed è una soluzione che impone di prescindere dallo stato di avanzamento degli strumenti urbanistici in itinere. E’, pertanto, sufficiente l’avvio della procedura per la formazione del piano regolatore generale perché possa escludersi la regola della determinazione automatica del valore. Per la Suprema Corte, appare maggiormente aderente al principio di capacità contributiva la seconda soluzione, poichè il piano regolatore adottato costituisce un’entità già fiscalmente valutabile: la destinazione edificatoria rappresenta una qualità recepita dalla generalità dei consociati come compiutamente definita e difficilmente reversibile, facendo venire meno, ai fini tributari, ogni possibilità di diversa valutazione. L’area qualificata edificabile in un piano adottato ha un proprio valore di mercato, differente dai terreni agricoli e tale valore cresce fino al completamento dell’iter amministrativo. Durissima è, però, la critica che il giudice di legittimità ha rivolto al Legislatore. La Cassazione, infatti, ha rilevato che “l’intervento interpretativo, da parte del legislatore, piuttosto che dare forza alla soluzione adottata, l’ha indebolita, in quanto può apparire inutilmente e dichiaratamente di parte. Infatti, il legislatore è intervenuto quando già le Sezioni unite erano state investite del contrasto e, quindi, era imminente la rimozione del contrasto da parte di un giudice terzo, nell’esercizio della specifica funzione istituzionale di garante dell’uniforme interpretazione della legge (artt. 65, comma 1, del r. d 30 gennaio 1941, n. 12 e 374, comma 2, del codice di procedura civile)….. Si aggiunga, poi, che, come è accaduto nel caso di specie, in materia fiscale gli interventi interpretativi sono sempre pro fisco, in quanto dettati da ragioni di cassa. Non sono ispirati, quindi, alla esigenza di realizzare la certezza del diritto, ma soltanto a garantire gli interessi delle parti in causa……L’intervento è, altresì, apparso inopportuno anche perché la Pubblica amministrazione, anche quando è parte in causa, ha sempre l’obbligo di essere e di apparire imparziale, in forza dell’art. 97 della Costituzione…”. La Suprema Corte, quindi, pur “bacchettando” il legislatore per l’intempestiva discesa in campo, ha ritenuto maggiormente aderente alla ratio del tributo comunale la tassazione alla stregua di area edificabile sin dall’inserimento nel piano regolatore generale. Da allora, la Suprema Corte non ha avuto tentennamenti, come dimostrano le successive sentenze (Corte di Cassazione, sez. trib. sentenza 28 gennaio 2008, n. 1861; Corte di Cassazione, sez. trib. sentenza 03 dicembre 2007, n. 25166; Corte di Cassazione,sez. trib. sentenza 27 luglio 2007, n. 16712). * L’intervento della Corte Costituzionale, l’ordinanza n.41 del 25 febbraio 2008 Nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 36, comma 2, del DL 223/06 (e la manifesta inammissibilità di quella relativa all’articolo 11quaterdecies della Finanziaria per il 2006), la Corte Costituzionale ha confermato quanto già statuito sul punto dalle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 25506/2006): l’edificabilità di un terreno in base al solo piano regolatore, anche se privo di strumenti attuativi, è sufficiente, di norma, a far lievitare il valore di mercato di detto terreno ed è, pertanto, ragionevole, che la normativa censurata consideri “edificabile”, ai fini della determinazione dell’imponibile, un’area che, invece, è considerata in concreto ancora non edificabile dalla normativa urbanistica. Non si possono dunque distinguere le aree edificabili in astratto, né si possono equiparare queste ultime alle altre aree agricole. E’ l’astratta edificabilità del suolo a giustificare di per sé la valutazione del terreno secondo il suo valore venale, e a differenziare questo tipo di suoli da quelli agricoli non edificabili. Consulta, ordinanza 41/08 • L’articolo 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs 504/1992 può essere interpretato nel senso che si considera fabbricabile anche l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, ancorché questo non sia stato approvato dalla regione o non siano stati adottati gli strumenti attuativi; • La potenzialità edificatoria dell’area, anche se prevista da strumenti urbanistici in itinere o ancora inattuali, costituisce un elemento oggettivo idoneo a influenzare il valore del terreno; • I giudici a quibus errano sia nel distinguere le aree edificabili in concreto da quelle edificabili in astratto, sia nell’equiparare queste ultime alle altre aree agricole, e ciò perché l’astratta edificabilità giustifica la valutazione del terreno secondo il valore venale e differenzia tale tipo di suoli da quelli agricoli non edificabili; • La disposizione denunciata, dotata della stessa forza della legge 212/00, è idonea ad abrogare implicitamente quest’ultima e a introdurre una valida norma di interpretazione autentica. I rinvii alla Corte Costituzionale La questione era stata sollevata dalle Commissioni tributarie del Lazio e di Piacenza: entrambe avevano impugnato le “Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria” varate nell’autunno 2005 (D.L. 203/2005, articolo 11-quaterdecies) e il D.L 223/2006, articolo 36, comma 2)”. Questo articolo 36, come detto, era già stato valorizzato dalla Cassazione, sia pure indispettita dall’abuso dell’interpretazione autentica in materia tributaria, sempre a favore del Fisco, e dalla violazione dell’articolo 111 della Costituzione che presuppone una parità delle parti nel processo, “posto che nella specie l’Amministrazione ha avuto il privilegio di rivestire il doppio ruolo di parte in causa e di legislatore”. L’illogicità della normativa in esame sarebbe, sempre secondo i giudici rimettenti, nell’equiparazione di un terreno sito in zona di strumento attuativo a un terreno sito in zona ritenuta solo edificabile dal piano regolatore generale. Ed ecco la definizione di terreno edificabile formulata dai giudici del merito: “è quel terreno sul quale è possibile, legittimamente, costruire un immobile, secondo i parametri di volume e superficie, stabiliti dallo strumento attuativo. A ben vedere, anzi, edificabile dovrebbe essere considerato solo il terreno per il quale sia stato rilasciato un permesso di costruire determinato. I rinvii alla Corte Costituzionale: Ici - Ctp Forlì, Sezione 2, 19 dicembre 2007, n. 102 Il legislatore, attribuendo all’articolo 2 del D.Lgs 504/1992 504/1992 significati differenti rispetto agli originari ha superato i limiti imposti dalla Corte Costituzionale. L’aver equiparato un terreno in zona munita di strumento attuativo a un sito in zona ritenuta edificabile dal solo Prg, significa violare i principi di logica, congruenza e non contraddizione. Ritenere che l’edificabilità si realizzi solo sulla base della previsione del Prg contraddice le misure di salvaguardia e l’efficacia degli strumenti attuativi. L’interpretazione retroattiva avallata dalla Cassazione lede il diritto del cittadino all’affidamento nella certezza certezza del diritto. Ici – Ctp Piacenza, 16 marzo 2007, n. 29 Il criterio di discriminazione tra le aree da reputarsi edificabili e quelle che non lo sono, come tracciato dal DL 203/05 e dal Dl 223/06, è ingiustificato e perciò contrario all’articolo 3 della Costituzione, tanto più in quanto viene sganciata la qualificazione come edificabile dell’area ai fini Ici dai criteri di qualificazione della stessa come edificabile ai fini dell’esproprio Ici – Ctr Roma, 30 agosto 2006 Equiparare, sotto il profilo dell’edificabilità, un terreno in zona solo ritenuta edificabile dal Prg significa violare i principi di logica e non contraddizione, oltre che di uguaglianza. E’ quindi contraddittorio e illogico ritenere, per interpretazione autentica, che l’edificabilità si realizzi solo sulla base delle Previsioni del Prg La soluzione della Consulta Orbene, la Corte Costituzionale a questa concezione ha contrapposto quella secondo la quale l’incremento di valore del suolo è quello percepibile già dal momento in cui astrattamente è possibile costruire, in quanto il mercato riconosce a tale aspettativa di edificabilità, con un progressivo aumento del valore del terreno man mano che l’iter amministrativo avanza (come, peraltro, già affermato dalla citata sentenza della Cassazione a S.U.). La Consulta ha, quindi, dichiarato infondata la questione di legittimità sollevata dalle Commissioni tributarie in quanto è del tutto ragionevole che il Legislatore attribuisca alla nozione di area edificabile significati diversi a seconda del settore normativo in cui detta nozione deve operare e, pertanto, distingua tra normativa fiscale, per la quale rileva la corretta determinazione del valore imponibile del suolo e normativa urbanistica, per la quale, invece, rileva l’effettiva possibilità di edificare. Per la Corte Costituzionale è, altresì, ragionevole che il Legislatore muova dal presupposto fattuale che un’area in relazione alla quale non è ancora ottenibile il permesso di costruire ma che, tuttavia, è qualificata come edificabile da uno strumento urbanistico generale non approvato o attuato, ha un valore venale tendenzialmente diverso da quello di un terreno agricolo privo di tale qualificazione e che, conseguentemente, distingua, ai fini della determinazione dell’Ici, le aree qualificate edificabili in base a strumenti urbanistici non approvati o non attuati, per le quali applica il criterio del valore venale, dalle aree agricole prive di detta qualificazione, per le quali applica il diverso criterio della valutazione basata sulle rendite catastali. Per la Consulta, poi, siffatta interpretazione era già compatibile con il testo della norma di riferimento (articolo 2 del D.lgs 504/1992), per cui l’applicazione retroattiva criticata dai giudici del merito non crea alcun problema. Secondo la Corte, del resto, lo Statuto del contribuente è mera legge ordinaria e, come tale, il principio in essa contenuto volto a richiedere che le norme tributarie a efficacia retroattiva si qualifichino come tali può ben essere (anche implicitamente) derogato da una disposizione successiva. E questo è sicuramente un punto molto delicato e per nulla condivisibile della pronuncia della Consulta, in netto contrasto, altresì con la costante giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, della Corte di Cassazione.. Per la Corte Costituzionale, infatti, le norme dello Statuto dei diritti del contribuente possono essere implicitamente abrogate da una successiva disposizione legislativa, avente uguale valore, come legge ordinaria, rispetto alla legge 212/2000. I diritti del contribuente sanciti dallo Statuto sono, quindi, “carta straccia”, posto che sono derogabili implicitamente da qualsiasi legge. Eppure, l’articolo 1 dello Statuto sancisce espressamente che: “Le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”. * Ma su Iva e registro la questione è ancora aperta Dove, però, la presunta natura interpretativa della presa di posizione del legislatore assume caratteri paradossali è nell’ambito delle imposte dirette e dell’Iva. In tali settori impositivi, infatti, non sussisteva praticamente dubbio che l’interpretazione letterale delle disposizioni in vigore fossero di segno contrario a quella che poi è stata la strada prescelta. La normativa sulle imposte sui redditi (Irpef) e sull’Iva richiedeva che fosse “vigente” lo strumento urbanistico che consentiva la edificabilità; la stessa Amministrazione finanziaria si era si era espressa più volte in tal senso (si vedano la circolare n.9/E del 2002 per le dirette e le risoluzioni 18 marzo 1982 n.350797 e 6 dicembre 1990 n.431291 per l’Iva), identificando, quindi, tale condizione con l’esaurimento del relativo iter amministrativo, cioè con la formale e definitiva “approvazione”, da parte della Giunta regionale o provinciale, del Piano Regolatore Generale Comunale o della Variante al P.R.G.C.. Ecco perché, per queste imposte è evidente la “stonatura” di voler imporre come interpretativa una soluzione che è pienamente contraddittoria non solo con il dato normativo previfente, ma anche con la sua pressoché unanime applicazione. 2.2.1 Aree non edificabili Nono sono da considerarsi edificabili: - le aree sottoposte a vincoli giuridici, di natura pubblica o privata, che escludono in via permanente la possibilità di costruire sull’area edifici classificabili in catasto nei gruppi “A, B, C e D”; dunque, se il vincolo è solo temporaneo non dovrebbe potersi escludere l’edificabilità (C.M. n. 20 dell’11/08/1992); - le aree sulle quali gravano vincoli di inedificabilità assoluta, per effetto di leggi dello Stato, delle Regioni, o comunque per effetto di strumenti urbanistici generali o particolareggiati; - i terreni posseduti e condotti direttamente da coltivatori diretti e da imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, sui quali vengono svolte le attività di coltivazione, di silvicoltura, di funghicultura e di allevamento di animali; - salvo diversa previsione nel Regolamento comunale, i c.d. “lastri solari”. Giurisprudenza • Non scontano l’Ici le aree vicine all’autostrada, poiché, non potendo essere considerate né edificabili né agricole, manca il presupposto per il versamento dell’imposta, ai sensi e per gli effetti degli artt.1 e 2 del D. Lgs n. 504/1992 (Commissione tributaria regionale della Puglia, sentenza n. 62 del 28 febbraio 2007). • Quando è destinato a parcheggio, attività ricreative e verde pubblico il terreno, sebbene inserito nel piano regolatore generale (PRG) non può essere considerato edificabile e non ha, quindi, alcun valore commerciale (Commissione tributaria regionale del Lazio, sentenza 122/21/06, deposita l’08 gennaio 2007). 2.3 Terreni agricoli: l’articolo 2 del D. Lgs. n. 504/1992 definisce terreno agricolo quello adibito all’esercizio delle attività indicate nell’articolo 2135 c.c, come modificato dal D. Lgs. 18/05/2001, n. 288 (coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento del bestiame ed attività connesse, cioè dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura). L’articolo 2 del D. Lgs. 228/2001 considera imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro consorzi nei casi stabiliti da detto decreto. A norma dell’articolo 1, L. 05/04/1985, n. 126 è considerata agricola a tutti gli effetti l’attività di coltivazione di funghi. Per l’acquacoltura si veda l’articolo 2, legge 05/02/1992, n. 102. Si tenga presente che l’articolo 32 D.P.R. 22/12/1986, n. 917 è stato modificato dall’articolo 2 c. 6, L. 350/2003. N.B. Si ricorda che ai sensi del comma 20, articolo 31, Legge finanziaria 2003, i Comuni, nel momento in cui effettuano il cambio di destinazione di un terreno, da agricolo ad area fabbricabile, devono dare comunicazione al proprietario di tale attribuzione. La comunicazione avviene tramite servizio postale, con modalità idonee a garantire l’effettiva conoscenza della modificazione da parte del contribuente interessato. In evidenza! I proprietari dei fondi rustici hanno tempo sino al 1 giugno per affrontare il problema delle rendite catastali attribuite dall’Agenzia del Territorio, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2, comma 34, del decreto legge 262/2006, convertito dalla legge 286/2006 e modificato, da ultimo, dalla legge 296/2006 (Finanziaria 2007); i redditi attribuiti, infatti, producono effetti fiscali dal 1 gennaio 2006 e, quindi, da Unico 2007 e dal prossimo versamento Ici. Il comunicato dell’Agenzia del Territorio, pubblicato sulla G.U. n. 77 del 02 aprile c. a., fa scattare il termine di 60 giorni per presentare i ricorsi alle Commissioni tributarie. I contribuenti che hanno subito le variazioni colturali dei terreni, dopo aver preso visione delle nuove rendite mediante richiesta della visura catastale, possono trovarsi in una di queste tre situazioni: a) le nuove rendite sono attribuite correttamente e, quindi, vengono accettate senza alcuna contestazione; b) le nuove rendite sono più elevate delle precedenti e sono frutto di errori compiuti dall’Agenzia del Territorio. In questo caso il contribuente può presentare istanza di autotutela utilizzando il modello reperibile nel sito Internet dell’Agenzia del Territorio; c) le nuove rendite sono più elevate delle precedenti e sono state determinate sulla base di valutazioni non condivisibili e in contrasto con le norme della legge catastale. In questo caso si può presentare ricorso entro il 1 giugno 2007. Se, poi, la pronuncia definitiva del giudice tributario sarà favorevole, i contribuenti avranno diritto al rimborso delle somme versate e dei relativi interessi dal momento del pagamento. Questo perché se il giudice tributario rettifica la rendita catastale, la sentenza ha effetto retroattivo e impone alle amministrazioni la restituzione delle imposte a partire da quando il contribuente ha versato più di quanto dovuto sulla base della “vecchia” rendita. In questo senso si è espressa anche l’Agenzia del Territorio, con la risoluzione n. 1 del 27 marzo 2007. Il Catasto, così facendo, si è allineato alle posizioni della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (si veda Cap. 5, punto 5.1). Capitolo 3 I soggetti passivi dell’imposta I soggetti passivi dell’Ici sono i proprietari degli immobili soggetti all’imposta e i titolari dei diritti reali di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi, anche se non residenti nel territorio dello Stato e anche se non vi hanno sede legale o amministrativa o non vi esercitano attività. In caso di contitolarità di qualunque diritto sul medesimo immobile ciascun contitolare è considerato soggetto passivo distinto, e, pertanto, dovrà espletare singolarmente tutti gli adempimenti previsti dalla legge. Non sono soggetti passivi, quindi, il nudo proprietario, il locatario(in forza di un contratto di locazione non finanziaria), il comodatario e l’affittuario. Giurisprudenza • Nell’ipotesi di assegnazione giudiziale della casa al coniuge separato o divorziato, soggetto passivo Ici è il coniuge proprietario o titolare di diritto reale sull’immobile (Corte di cassazione, sentenza n. 6192 del 16 marzo 2007). La Corte di cassazione con la sentenza n. 6192 del 16 marzo 2007 ha chiarito che il coniuge separato costretto a lasciare la casa di famiglia posseduta in regime di comproprietà con la ex moglie, alla quale il giudice abbia affidato i figli è obbligato a pagare la sua quota di Ici. Con la predetta pronuncia, la Suprema Corte ha rafforzato un filone inaugurato dalla Cassazione con la sentenza n. 18476/05; secondo il giudice di legittimità manca il presupposto dell’imposta quando non c’è sul bene un vero e proprio diritto reale di godimento (come la proprietà o l’usufrutto).. In sostanza, l’assegnatario, se possiede anche la metà della casa, pagherà il tributo sulla sua parte e non su quella di chi è fuori. Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale, infatti, costituisce a vantaggio del coniuge assegnatario un diritto di godimento del bene (a titolo gratuito per la parte di proprietà dell’altro coniuge) di natura personale e non reale. Pertanto, la soggettività passiva Ici resta a carico del proprietario. Il diritto riconosciuto al coniuge, attraverso il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale in sede di separazione (o di divorzio), riveste, infatti, natura di “atipico diritto personale di godimento” e non di diritto reale, essendo i modi di costituzione di questi ultimi tassativamente ed espressamente previsti dalla legge e non rientrando tra essi un provvedimento del genere. • In senso conforme, Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 19 settembre 2005, n. 18476. In evidenza! Con la pronuncia in commento sembra conclusa, definitivamente, l’annosa questione dell’individuazione della natura del diritto che sorge in capo al coniuge assegnatario della casa familiare in caso di separazione o divorzio. La discussione sulla natura del diritto di abitazione del coniuge assegnatario muove, innanzi tutto, dalla qualificazione dello stesso come diritto reale o come diritto personale di godimento. Per lungo tempo si sono alternati opposti orientamenti giurisprudenziali e interpretativi; la Corte di Cassazione, sez. civile, infatti, con le sentenze: 22 novembre 1993, n. 11508; 17 settembre 2001, n. 11630; 6 maggio 1999, n. 4529; 3 giugno 1994, n. 5374; 26 luglio 2002, n. 11096 e, a Sezioni unite, con la sentenza 8 aprile 2003, n. 5455 ha affermato che il diritto ad abitare la casa familiare, riconosciuto a uno dei coniugi separati o divorziati, costituisce un diritto personale di godimento e non un diritto reale. Parere opposto ha, invece, espresso la prevalente giurisprudenza di merito; in particolare, i Giudici campani, toscani e pugliesi hanno, in più occasioni, affermato che “pur essendo l’assegnazione della casa coniugale un atto di attribuzione di diritto personale, alla fattispecie va applicata la disposizione dell’articolo 218 c.c., il quale stabilisce che il coniuge che gode dei beni dell’altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell’usufruttuario. Tale norma, usando l’espressione gode ed equiparando l’obbligo di chi gode a quello dell’usufruttuario, comprende tutti quei casi in cui il godimento dei beni dell’altro coniuge non deriva da uno dei diritti reali sugli immobili disciplinati separatamente da distinti articoli del codice civile ma da altri titoli, tra cui va certamente incluso anche quello derivante da una sentenza che ha assegnato in godimento (abitazione)la casa coniugale. Pertanto, in virtù del combinato disposto dell’articolo 1008 c.c. che impone all’usufruttuario l’obbligo di pagare le imposte gravanti sull’immobile e dell’articolo 3 del D. Lgs. n. 504/1992, che include tra i soggetti passivi dell’imposta in vece del proprietario anche l’usufruttuario, il coniuge assegnatario della casa coniugale a seguito di sentenza che pronuncia la separazione giudiziale dei coniugi è tenuto al pagamento dell’Ici gravante sulla casa assegnata”(Ctp di Avellino, sentenza 8 luglio 2003, n.139; Ctr della Toscana, sentenza 3 novembre 2003, n. 59; Ctp di Bari, sentenza 170 1 giugno 2005). Con la predetta sentenza n. 6192 del 16 marzo 2007, la Corte di Cassazione sembra, però, aver risolto, definitivamente, la questione. Anche l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 18 maggio 2006, n. 17/E, concorda con la pronuncia del Giudice di legittimità. Il Ministero, infatti, nella predetta circolare, richiama, dichiarando di condividerlo, il pensiero della Corte di Cassazione, laddove statuisce che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale a uno dei coniugi in caso di separazione personale o di divorzio, non può costituire un diritto reale d’uso o di abitazione in capo all’assegnatario, ma solo un diritto di natura personale, essendo i modi di costituzione dei diritti reali tassativamente previsti dalla legge e non rientrando tra essi il provvedimento di assegnazione in questione. Con nota n. 4440 del 03 aprile 2007, il Dipartimento per le politiche fiscali ha chiarito che i Comuni possono estendere le agevolazioni Ici previste per l’abitazione principale anche agli immobili posseduti dai contribuenti che, a seguito di separazione giudiziale o divorzio, non siano assegnatari della casa coniugale. Per il Dipartimento, questa scelta consente “un’imposizione più equa” per un soggetto che non può usufruire delle agevolazioni non per un fatto dipendente dalla propria volontà, ma per effetto del provvedimento giudiziale. Giurisprudenza • La soggettività passiva Ici non può mai ricadere sull’affittuario (Commissione Tributaria regionale dell’Emilia Romagna, sentenza 10 aprile 2006, n. 33/17/06; Commissione Tributaria regionale del Lazio, sentenza 19/03/2005, n. 25). I Giudici del merito hanno, in più occasioni, sottolineato la mancanza di soggettività passiva, ai fini Ici, dell’affittuario e del locatario. In particolare, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna ha precisato che l’affittuario non è mai soggetto passivo Ici. Siffatto principio vale anche quando il contratto è corredato da pattuizioni derogatorie inter partes come, ad esempio, l’accollo da parte dell’affittuario del rischio di eventi straordinari in deroga all’articolo 1637 del Codice Civile . • Il locatario non è soggetto passivo ai fini Ici (Commissione tributaria regionale del Lazio, sentenza 19/03/2005, n. 25). La Commissione tributaria regionale del Lazio ha chiarito che nell’ipotesi di acquisto di immobile non disponibile perché locato, soggetto passivo ai fini Ici è il proprietario dell’immobile. 3.1 Immobili concessi in leasing: a seguito delle modifiche apportate all’articolo 3, c. 2, del D. Lgs. n. 504/1992 dall’articolo 58, c. 1, lett. a), D. Lgs. 446/1997, soggetto passivo è il soggetto conduttore del leasing e non il titolare del diritto di proprietà. Il contratto di locazione finanziaria è perfezionato (quindi la soggettività passiva Ici passa dal locatore al locatario) al momento della consegna dell’immobile (Ministero delle Finanze, circolare 18 maggio 1999, n. 109/E). In caso di leasing di fabbricati di tipo D, privi di rendita, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, il locatario diventa soggetto passivo dall’1.1 dell’anno successivo a quello di stipula del contratto. 3.2 Diritto di superficie: per effetto delle modifiche introdotte dall’articolo 58 , D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, a partire dall’1/01/1998, tra i soggetti passivi del tributo rientra il superficiario. La novità consiste nel fatto che, a partire dall’1/01/1998, il superficiario deve essere considerato soggetto passivo d’imposta per il periodo che va dalla costituzione del diritto alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, o, se precedente, fino a quella di utilizzo del fabbricato (nel periodo, cioè, di tassazione del suolo).Per i periodi precedenti il 1998 l’imposta (sul suolo) era pagata dal proprietario con diritto di rivalsa sul superficiario.La modifica ha comportato la soggettività all’Ici della cooperativa edilizia concessionaria del diritto di superficie su aree di proprietà comunale; in precedenza il soggetto passivo sarebbe stato il Comune con diritto di rivalsa sulla cooperativa concessionaria del diritto di superficie, ma non essendo il Comune soggetto passivo Ici, si verificava un’esclusione di fatto. Giurisprudenza • Con riguardo al terreno comunale concesso in superficie a cooperativa edilizia per la costruzione di alloggi economici e popolari, l’edificazione del fabbricato rende applicabile l’Ici a carico della cooperativa stessa o degli assegnatari in veste di proprietari del manufatto che insiste sul suolo o di parti di esso (Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza n.17730, del 04/08/2006). La Corte di Cassazione ha precisato che nell’ipotesi di terreno concesso in superficie a favore di un istituto o di una cooperativa edilizia, l’edificazione del fabbricato rende applicabile l’Ici a carico di detti Enti in veste di proprietari del manufatto insistente sul suolo. Questo in quanto il diritto di superficie è differente dalla proprietà superficiaria che sorge solo dopo la costruzione; su questi due beni, che danno luogo a due differenti diritti di proprietà, l’Ici graverà solo sul proprietario del fabbricato e non sul proprietario del suolo per la ragione che il suolo non può rientrare né nel concetto di area edificabile e né di terreno agricolo, i soli beni soggetti ad Ici. 3.3 Alloggi di edilizia residenziale pubblica di proprietà dello Stato: il Ministero delle finanze con la circolare n. 35 del 26/11/1993, ha affermato che il soggetto passivo è rappresentato dall’assegnatario, dal momento in cui è deliberata l’assegnazione. Giurisprudenza In senso contrario • L’assegnatario di alloggio di edilizia residenziale pubblica non è tenuto al pagamento dell’imposta Ici poichè non è né proprietario, né titolare di altro diritto reale di godimento di contenuto parzialmente analogo a quello di proprietà (Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 14/01/2005, n. 654). La Corte di Cassazione, in contrasto con quanto affermato dal Ministero delle finanze, ha, precisato che il possesso dell’alloggio popolare a titolo di locazione con patto di futura vendita non può in alcun modo essere assimilato ad un diritto reale. In siffatta ipotesi, infatti, l’assegnatario non solo non è proprietario, ma neppure usufruttuario, né usuario, né enfiteuta, né superficiario, né titolare del diritto di abitazione, né, in genere, di un qualsiasi diritto reale di godimento. Ne deriva, quindi, che il soggetto passivo d’imposta non è rappresentato dall’assegnatario, bensì, dal proprietario. • Gli Istituti autonomi case popolari (Iacp) hanno natura commerciale e, quindi, pagano l’Ici. La Commissione tributaria regionale della Puglia con la sentenza n.29/14/2007 del 15 giugno 2007 ha affermato che lo Iacp agisce come un vero e proprio proprietario immobiliare, pur dovendo rispettare determinati limiti: vende alloggi, ovvero li assegna dietro pagamento di un canone (anche se inferiore a quello di mercato) e in caso di mancato pagamento di questo, può anche adire vie legali per lo sgombro (Commissione tributaria regionale della Puglia, sentenza n.29/14/2007 del 15 giugno 2007). 3.4 Concessione su aree demaniali: a partire dall’anno d’imposta 2001, in caso di concessione su aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario, sia nel caso di concessioni riguardanti fabbricati già insistenti sull’area, sia nel caso in cui l’autorità pubblica regolamenti il rapporto con il privato attraverso una licenza; in tal senso dispone l’articolo 3, c. 2, del D. Lgs. n. 504/1992, così come modificato dall’articolo 18, c. 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria per il 2001). Giurisprudenza • L’articolo 3, c. 2, del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, così come modificato dall’articolo 18, c. 3, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria per il 2001) stabilisce, espressamente, che: “…nel caso di concessione su aree demaniali soggetto passivo è il concessionario”. La norma de qua ha effetto solo a partire dall’anno 2001, poiché trattasi di norma innovativa che amplia la sfera dei soggetti passivi d’imposta e non ha, quindi, natura di norma di interpretazione autentica (Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 26/04/2005, n. 8637). La Corte di Cassazione ha sottolineato che la norma che stabilisce che per le concessioni su aree demaniale soggetto passivo Ici è il concessionario può avere effetto solo dall’anno 2001. Il Giudice di legittimità, infatti, ha precisato che “l’articolo 18, comma 3, della Legge 23 dicembre 2000, n. 388, con modifica apportata all’articolo 3, comma 2, ultimo capoverso, del D. Lgs. n. 504/1992, ha previsto che nel caso di concessione su aree demaniali soggetto passivo è il concessionario. L’esegesi offerta in sede di merito rispetta appieno la regola posta dall’articolo 11 delle preleggi, secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire…, e non può, pertanto, applicarsi ai rapporti sorti nella vigenza delle norme preesistenti ed ancora in vita. Trattasi di regola generale, “valore di civiltà giuridica”, benché non elevato a dignità costituzionale, che opera nell’ordinamento in generale, alla quale il legislatore ordinario deve attenersi, salvo che in materia penale- art. 25 della Costituzione -in cui deve coniugarsi col principio del favor rei, e può essere derogata solo se risulti o l’espressa ed univoca dichiarazione del legislatore, ovvero se la nuova norma appaia emessa per precisare il significato di norme preesistenti ed imponga una variante che le risolva, con intervento chiarificatore del legislatore, un precedente contrasto interpretativo, fornendone interpretazione autentica, purché compatibile con il loro tenore letterale. Alla luce di tali canoni, deve rilevarsi, anzitutto, che, nella sua formulazione testuale, la disposizione sopravvenuta risulta introdotta espressamente in aggiunta alla norma previgente; neppure essa si propone in termini di rielaborazione di quella precedente, prospettandosi come norma di interpretazione autentica, ma la completa, ampliando la sfera dei soggetti passivi d’imposta, nella quale introduce una categoria dapprima ignorata. Di qui, allora, la sua palese efficacia solo per il tempo successivo alla sua emanazione”. 3.5 Condominio: le parti comuni del condominio sono, ad esempio, l’alloggio del portiere oppure la portineria. Per le parti comuni dell’edificio che possiedono un’autonoma rendita catastale: - obbligato alla presentazione della dichiarazione Ici è l’amministratore del condominio, che dovrà riportare nella parte del frontespizio dedicata al “dichiarante” i dati identificativi del condominio con il relativo codice fiscale(Circolare 10 giugno 1993, n. 7); - obbligati al versamento dell’Ici sono i condomini, ciascuno per la propria quota; è data, però, facoltà all’amministratore di effettuare il versamento dell’intera imposta per conto del condominio, salvo poi rivalersi sui singoli condomini. 3.6 Società per la cartolarizzazione dei beni immobili pubblici (SCIP): sono considerate soggetti passivi dell’Ici dal momento in cui entrano in possesso degli immobili e per tutta la durata della gestione. L’Ici deve essere versata nei limiti in cui era dovuta prima del trasferimento (se prima del trasferimento erano esenti lo sono anche per le Scip). 3.7 L’espropriazione e il sequestro giudiziario L’espropriazione è il procedimento con il quale la Pubblica amministrazione sottrae coattivamente un bene a un soggetto privato dietro pagamento di un apprezzabile indennizzo. In alcuni casi, prima dell’emissione del provvedimento finale (decreto di esproprio) la Pubblica amministrazione, al fine di realizzare un’opera di pubblica utilità, occupa d’urgenza il bene da espropriare. Durante il procedimento di esproprio, soggetto passivo rimane il proprietario espropriato fino a quando non viene emesso il provvedimento di esproprio. In tal senso si è pronunciata la più recente giurisprudenza della Cassazione, in particolare: • L’occupazione d’urgenza di un immobile oggetto di procedura di esproprio non fa venior meno la soggettività passiva in capo al proprietario, che permane sino alla emanazione del decreto di esproprio (Corte di cassazione, sez. trib. 12 ottobre 2007, n.21433). La Cassazione, con la pronuncia n. 19 del 03/01/2008, ha, altresì, chiarito che l’omessa presentazione della dichiarazione Ici relativa ad un immobile oggetto di procedura espropriativa non costituisce causa preclusiva della liquidazione dell’indennità di esproprio, ben potendo esplicarsi la funzione correttiva dell’indennità, ordinariamente attribuita alla dichiarazione tributaria, in sede di accertativa, in particolare, la Cassazione ha affermato che: a) L’evasore totale non perde il diritto all’indennizzo espropriativo ma è destinato a subire le sanzioni per la omessa dichiarazione e l’imposizione per l’Ici che cha ha tentato di evadere, potendo, l’erogazione dell’indennità di espropriazione intervenire solo dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore accertato ed a seguito della regolarizzazione della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell’imposta e delle sanzioni; b) l’evasore parziale rimane soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato, potendo, quindi, il Comune procedere ad accertamento del maggior valore del fondo agli effetti tributari e sulla base di questo commisurare conseguenzialmente, in via definitiva, l’indennità di esproprio e non già liquidarla in misura irrisoria, con ancoraggio alla dichiarazione infedele. Capitolo 4 Il soggetto attivo dell’imposta La potestà di imposizione, accertamento, liquidazione e riscossione dell’imposta spetta al Comune per i fabbricati, le aree fabbricabili e per i terreni agricoli la cui superficie insiste, interamente o prevalentemente sul territorio del Comune stesso, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. L’imposta non si applica per gli immobili di cui il Comune è proprietario ovvero titolare dei diritti indicati nell’articolo precedente quando la loro superficie insiste interamente o prevalentemente sul suo territorio. Capitolo 5 Base imponibile e aliquota dell’imposta La base imponibile dell’Ici è costituita dal valore del bene, valore che viene determinato secondo particolari modalità, in base alla tipologia dell’immobile. 5.1 Base imponibile per i fabbricati iscritti in catasto La base imponibile dei fabbricati iscritti in catasto è definita dall’articolo 5, comma 2, del D. Lgs. n. 504/1992. Essa è determinata dal prodotto tra i seguenti fattori: - la rendita catastale vigente alla data del 1 gennaio dell’anno d’imposizione, sulla quale è necessario operare una determinata rivalutazione; - un determinato coefficiente di capitalizzazione (diverso a seconda del gruppo catastale di appartenenza dell’immobile). La rendita catastale è il risultato del prodotto di due determinati valori, ovvero della tariffa unitaria (individuata in base alla categoria) dell’unità immobiliare per la relativa consistenza. La rendita catastale è un dato facilmente reperibile sia dai certificati catastali, sia dagli stessi atti di trasferimento della proprietà. - Revisione della rendita catastale per le unità site in immobili del gruppo E (si veda il Cap. 9, punto 9.2). - Coefficiente di rivalutazione Le rendite catastali, periodicamente, subiscono una rivalutazione, dettata dall’esigenza di aggiornamento delle stesse rispetto all’andamento del mercato immobiliare. In attesa di una revisione generale degli elementi costituenti le rendite catastali, l’articolo 3, comma 48, Legge 23 dicembre 1996, n. 662, ha previsto che: “fino alla data di entrata in vigore delle nuove tariffe d’estimo le vigenti rendite catastali urbane sono rivalutate del 5% ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale degli immobili e di ogni altra imposta”. Quindi, a partire dal 1997 e, dunque, anche per l’anno 2007, le rendite da considerare al fine della determinazione del valore dei fabbricati, sono solo quelle in vigore per l’anno 1996 aumentate del 5% (art. 3, comma 48, Legge 23 dicembre 1996, n. 662). - Moltiplicatore I moltiplicatori sono: - 100 per le unità immobiliari classificate nei gruppi catastali A, B e C, con esclusione delle categorie A/10 e C/1; - 50 per le unità immobiliari classificate nel gruppo catastale D e nella categoria A/10; - 34 per le unità immobiliari classificate nella categoria catastale C/1. Per gli immobili classificati nella categoria B, l’articolo 2, comma 45, D. L. n. 262/2006, conv. con legge 286/2006, con decorrenza 3 ottobre 2006, ha sostituito il previgente moltiplicatore pari a 100, con la nuova misura di 140. Giurisprudenza Numerose sono le pronunce della Corte di Cassazione in materia di rendita catastale. In particolare, le più recenti sentenze del Giudice di legittimità hanno chiarito che: • Per effetto dell’intervenuto passaggio in giudicato della decisione concernete la rendita catastale, ai fini di stabilire l’ammontare dell’Ici dovuta dal contribuente, deve tenersi conto esclusivamente della rendita irreversibilmente determinata dal Giudice tributario: solo tale rendita va considerata legittimamente risultante in catasto (cioè messa in atti) al 1 gennaio dell’anno di riferimento dell’imposta, a norma dell’art. 5, comma 2, del D.Lgs n. 504/1992 (Corte di Cassazione, sez .trib., sentenza 01/06/2006, n. 13069). La Corte di Cassazione ha, quindi, fissato il principio in base al quale la determinazione del giudice passata in giudicato costituisce l’unica rendita valida ed efficace a partire dall’attribuzione e, quindi, la sola sulla quale deve essere calcolata l’imposta effettiva. La rendita rettificata deve essere considerata come quella “messa in atti”sin dal momento di attribuzione da parte del Catasto. Il contribuente, quindi, ha una tutela ampia quando, in sede giudiziale, chiede ed ottiene la rettifica del provvedimento attributivo della rendita. Quando, infatti, il provvedimento catastale viene impugnato e la relativa controversia viene decisa con sentenza passata in giudicato, è precluso all’ente di procedere all’accertamento di una maggiore imposta per gli anni d’imposta pregressi sulla base della vecchia rendita e, se il contribuente ha versato più del dovuto, ha diritto al rimborso. In evidenza! L’Agenzia del Territorio, in linea con il predetto recente orientamento della Corte di Cassazione, con la risoluzione n. 1 del 27 marzo 2007 ha affermato che anche alle modificazioni della rendita catastale scaturenti dalle sentenze definitive emesse dai Giudici tributari può essere riconosciuta efficacia retroattiva, analogamente alle variazioni derivanti dall’esercizio della potestà di autotutela (fattispecie, quest’ultima, già affrontata dall’Agenzia del Territorio con Circolare n. 11 del 2005). • L’attribuzione di una rendita in un determinato anno non costituisce altro che il recepimento di variazioni denunciate dall’esecutore proprietario diversi anni prima, L’ufficio, infatti, deve solo qualificare una situazione esistente, senza nulla aggiungere. La sua attività, allora, non può che retroagire al momento in cui, con la richiesta di attribuzione della rendita, è stata comunicata l’esistenza di un presupposto di fatto (Corte di Cassazione, sentenza 09/03/2005, n. 5109). La Suprema Corte, ha , quindi, affermato che l’attribuzione o la variazione di rendita è applicabile dal momento materiale ed effettivo in cui si è verificata la richiesta da parte del contribuente, indipendentemente dal momento in cui, poi, sia avvenuta la formale “messa in atti” ad opera degli Uffici del territorio, con conseguente diritto, quindi, al rimborso della maggiore imposta eventualmente versata dal contribuente anche per gli anni d’imposta precedenti alla “messa in atti”. • L’Ente impositore, a fronte della relazione asseverata di un professionista abilitato, presentata ai fini dell’esecuzione di opere interne, e dalla denuncia di variazione e di destinazione dell’immobile, presentata ai fini Tarsu dal contribuente, legittimamente emette avviso di accertamento ai fini Ici, assumendo come rendita catastale di riferimento quella propria di immobili similari già accatastati, senza che incomba sul Comune l’onere di richiedere la variazione catastale, gravando il relativo obbligo sul contribuente (Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 08/09/2006, n. 19310; Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 06/09/2006, n. 19196). La Corte di cassazione con la pronuncia in oggetto precisa, quindi, che, se un immobile cambia la destinazione d’uso, il Comune può chiedere la maggiore Ici senza essere obbligato a chiedere la nuova rendita catastale all’Agenzia del Territorio. Secondo il Supremo Collegio, infatti, la legge consente al contribuente, in caso di cambio di destinazione d’uso del suo immobile, di determinare l’imponibile su una rendita presunta, ma gli impone, altresì, di provvedere al nuovo accatastamento con apposita richiesta all’ufficio competente. Non vi è, infatti, nessuna norma che pone a carico del Comune lo stesso obbligo di richiedere all’ufficio competente la modifica della rendita preesistente nell’ipotersi di negligenza del contribuente. Sul punto Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione si è pronunciata su una fattispecie contenziosa particolarmente complessa e che- a quanto risulta- non sembra essere stata precedentemente indagata da altra giurisprudenza di legittimità. Se, da una parte, la Suprema Corte, con la decisione de qua, sembrerebbe consentire all’ente impositore di sindacare la rispondenza di una rendita catastale alle effettive condizioni in cui l’immobile versa (facoltà che, invece, è di esclusiva competenza dell’Agenzia del Territorio), dall’altra, però, non possono non condividersi le argomentazioni della Cassazione che, nel rigettare la sentenza impugnata, precisa e sottolinea che “…con l’emissione dell’atto impugnato, il comune non si è affatto sostituito all’ufficio competente nel potere a questi spettante di attribuzione della nuova rendita all’immobile perché l’ente territoriale, constatata la rilevanza catastale dell’intervenuta modifica, si è mantenuto nell’esercizio dei suoi poteri di liquidazione e di accertamento dell’imposta, essendosi limitato a considerare la “vecchia” rendita catastale (corrispondente alla situazione anteriore alle modifiche) posta dal contribuente a base del calcolo dell’imposta, come un non condiviso valore “determinato” …ed a provvedere, di conseguenza, all’indicazione di una rendita di riferimento ritenuta più aderente alla nuova situazione“ . 5.2 Base imponibile per i fabbricati appartenenti al gruppo D non iscritti in catasto e posseduti interamente da imprese Per questa tipologia di fabbricati la base imponibile è costituita dal valore contabile dell’immobile, calcolato alla data del 1 gennaio di ogni anno o, se successiva, alla data di acquisizione, partendo dal costo di acquisto originario o dal costo complessivo per la costruzione, e stratificando anno per anno le spese incrementative sostenute (criterio di calcolo adoperato per l’ISI, in base al disposto dell’art. 7, comma 3, del D. L. 11 luglio 1993, n. 333, convertito dalla legge 08 agosto 1993, n. 359. Ciascun importo così evidenziato deve essere rivalutato con i coefficienti aggiornati annualmente con decreto ministeriale: i valori da moltiplicare per detti coefficienti sono rappresentati dal costo originario, dalle spese incrementative, dalle rivalutazioni economiche e monetarie (queste ultime disciplinate dalle leggi 2 dicembre 1975, n. 576, 19 marzo 1983, n. 72, 29 dicembre 1990, n. 408 e 30 dicembre 1991, n. 413). Agli effetti dell’applicazione dell’Ici per l’anno 2008, il coefficiente di aggiornamento è stabilito nella misura dell1,04 per cento. Lo prevede il decreto 10 marzo 2008 del ministero dell’Economia, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 65 del 17 marzo 2008: - per l’anno 2008: 1,04 - per l’anno 2007: 1,07 - per l’anno 2006: 1,10 - per l’anno 2005: 1,13 - per l’anno 2004: 1,20 - per l’anno 2003: 1,24 - per l’anno 2002: 1,28 - per l’anno 2001: 1,31 - per l’anno 2000: 1,36 - per l’anno 1999: 1,38 - per l’anno 1998: 1,40 - per l’anno 1997: 1,44 - per l’anno1996:1,48 - per l’anno1995:1,53 - per l’anno 1994:1,57 - per l’anno1993:1,61 - per l’anno1992:1,62 - per l’anno1991:1,65 - per l’anno1990:1,73 Per procedere con il suddetto metodo di calcolo è, quindi, necessario che il fabbricato sia interamente posseduto da un’impresa e, inoltre, sia distintamente contabilizzato. I valori da prendere in considerazione sono quelli risultanti dal registro dei cespiti ammortizzabili. Il Ministero delle finanze, con risoluzioni 09 aprile 1998, n. 27/E e 1 marzo 1999, n. 35/E, ha avuto occasione di precisare che il suddetto criterio di determinazione è vincolante e deve essere eseguito fino alla fine dell’anno di imposizione nel corso del quale viene attribuita la rendita catastale oppure viene annotata negli atti catastali la “rendita proposta”, con la procedura di cui al regolamento adottato con D.M. 19 aprile 1994, n. 701. Il Ministero ha, altresì, chiarito che la rendita annotata negli atti catastali non ha effetto retroattivo e, pertanto, eventuali divergenze tra valore catastale e valore contabile non danno diritto né a rimborsi d’imposta in favore dei contribuenti, né a richieste di versamenti integrativi da parte dei comuni. Quest’ultimo orientamento, in un primo momento confermato dalla Corte di Cassazione (Corte di Cassazione, sentenza del 30/12/2004, n. 24235), è stato, altresì, smentito dallo stesso Supremo Collegio con numerose e recentissime pronunce. In particolare, • In tema di Ici e con riferimento alla base imponibile dei fabbricati non iscritti in catasto, posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, la base imponibile è collegata, fino all’attribuzione della rendita catastale, alle iscrizioni contabili, ai sensi dell’articolo 5, comma terzo, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504; dal momento, però, della richiesta di attribuzione della rendita catastale, il possessore dell’immobile, pur seguitando ad applicare in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicché l’attribuzione della rendita può dare titolo a versare la differenza di tributo rispetto a quanto versato in via precaria, ma anche ad ottenere il rimborso delle somme in più versate per lo stesso periodo d’imposta (Corte di Cassazione, sezione trib., sentenza 19/10/2007; Corte di Cassazione, sezione trib., sentenza 16/03/2007, n. 6255; Corte di Cassazione, sezione trib., sentenza 17/06/2005, n. 13077; Corte di Cassazione, sezione trib., sentenza 09/03/2005, n. 5109). In senso contrario, con una pronuncia che sembra aver totalmente ignorato i più recenti interventi della Corte di Cassazione, si è pronunciata la Commissione tributaria provinciale di Udine: • Per i fabbricati del gruppo D se privi di rendita ed interamente posseduti da imprese, l’Ici è dovuta “a titolo definitivo” sulla base del valore contabile fino all’anno di accatastamento compreso (Commissione tributaria provinciale di Udine, sentenza n. 26/04/07 del 02/04/2007). Sul punto Con le recenti pronunce, la Corte di Cassazione ha opportunamente sottolineato che i metodi contabile e catastale per i fabbricati “D” sono, sì, autonomi e non reciprocamente influenzabili, ma dal momento in cui il possessore di tali immobili presenta domanda all’organo tecnico competente (ex UTE, oggi Agenzia del Territorio) per ottenere la rendita catastale, ebbene da quel momento (e non da quando la sua domanda viene recepita dall’Ufficio ricevente e formalizzata con la messa agli atti della rendita attribuita e con la sua comunicazione al possessore interessato), i versamenti di Ici effettuati a titolo precario in attesa della rendita diventano conguagliabili, per la differenza di importo con quello della rendita “ufficiale”, sia a favore del Comune che del possessore dell’immobile. In sostanza, il possessore dell’immobile di categoria “D”, con la presentazione della domanda di attribuzione della rendita catastale, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dalla adesione al sistema generale della rendita catastale, per cui il provvisorio versamento dell’Ici con il vecchio metodo contabile non può qualificarsi come versamento definitivo, non omologabile con quello della rendita, ma alla stessa stregua dei versamenti degli altri immobili in pendenza della richiesta attribuzione della rendita catastale. 5.3 Base imponibile per gli altri fabbricati non iscritti in catasto Un fabbricato può risultare non iscritto in catasto con attribuzione di rendita, poiché • è di nuova costruzione; • pur essendo già censito, non possiede ancora una propria rendita catastale. Nel caso in cui un fabbricato non possieda una propria rendita catastale il contribuente può: -richiedere l’attribuzione di una rendita all’ufficio del catasto competente; -proporre una rendita catastale tramite una particolare procedura denominata DOC-FA. 5.3.1. La procedura DOC-FA Il D.M. 19 aprile 1994, n. 701 ha previsto una particolare procedura informatica con la quale l’interessato propone, mediante ricorso ad un professionista, una rendita da utilizzare ai fini Ici fino al momento dell’attribuzione della rendita definitiva. Tale procedura costituisce, in particolare, l’iter da seguire per i nuovi accatastamenti. Al soggetto che avanza tale rendita viene rilasciata copia dell’attestazione dell’avvenuta presentazione. La notificazione della successiva rendita definitiva risulta necessaria solo nel caso in cui, nel termine di dodici mesi dalla presentazione della proposta, l’Ufficio modifichi la rendita dichiarata. Al riguardo, costituisce orientamento consolidato della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione il ritenere che: Giurisprudenza • Nei casi di rendita proposta dal contribuente mediante la procedura DOC-FA, il termine di 12 mesi, attribuito all’Amministrazione per operare il proprio intervento correttivo, ha natura meramente ordinatoria (Corte di Cassazione, sentenza n. 16824 del 21/07/2006) 5.3.2 Notifica della rendita definitiva La disciplina della comunicazione della rendita definitiva ha subito negli anni sostanziali variazioni. Dapprima, sino al 31 dicembre 1999, la comunicazione di avvenuto classamento degli immobili (ossia di attribuzione della rendita) avveniva attraverso affissione all’Albo Pretorio da parte del Comune, con comprensibili problemi conoscitivi da parte del soggetto interessato. Il comma 1, art. 74, Legge finanziaria n. 342/2000, stabilisce che, a far data dal 1 gennaio 2000, gli atti attributivi o modificativi della rendita catastale tanto per i fabbricati, quanto per i terreni, sono da ritenersi efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione ai soggetti intestatari della relativa partita. Al riguardo, costituisce orientamento consolidato della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione il ritenere che: Giurisprudenza • In tema di Ici, gli atti attributivi o modificativi della rendita catastale, emessi anteriormente alla data del 1 gennaio 2000- a partire dalla quale l’efficacia dei medesimi decorre dalla loro notificazione, ai sensi dell’art. 74, comma 1, della legge n.342/2000- sono dotati di immediata operatività anche in assenza di comunicazione o notificazione al contribuente, ferma restando la loro impugnabilità unitamente all’avviso di liquidazione dell’imposta (Corte di Cassazione, sentenza n. 26396 del 05/12/2006; Corte di Cassazione, sentenza n. 19066, del 29/09/2005; Corte di Cassazione, sentenza n. 4409 del 02/03/2005) 5.3.3 La c.d. rendita presunta – Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 L’art. 1, comma 173, lett .a) della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) ha abrogato il comma 4 dell’articolo 5 del D. Lgs n. 504/1992, il quale stabiliva che per i fabbricati non iscritti in catasto, nonché per quelli per i quali erano intervenute variazioni permanenti tali da influire sull’ammontare della rendita catastale, il valore andava determinato con riferimento alla rendita dei fabbricati già iscritti. Dal 1 gennaio 2007, quindi, l’istituto della c.d. rendita presunta è stato abolito. Giova, peraltro, sottolineare che i commi 336 e 337 dell’articolo 1 della legge n. 311/2004 (Finanziaria 2005), consentono ai comuni, per i fabbricati non iscritti in catasto, nonché per quelli per i quali sono intervenute variazioni permanenti tali da influire sull’ammontare della rendita catastale, di ottenere l’attribuzione della rendita (su azione del contribuente stesso o, in caso di sua inerzia, da parte dell’Agenzia del Territorio); tale rendita produce effetto fiscale solo dal 1 gennaio dell’anno successivo a quello in cui il possessore dell’immobile avrebbe dovuto presentare la denuncia catastale. 5.4 Base imponibile per le aree fabbricabili Per le aree fabbricabili la base imponibile è costituita dal valore venale in comune commercio al 1 gennaio dell’anno d’imposizione con riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche. 5.4.1 Potestà regolamentare del Comune L’art. 59, D.Lgs n. 446/1997, dispone, al comma 1, lett. g), che i Comuni possono, con regolamento “determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle areee fabbricabili, al fine della limitazione del potere di accertamento del comune qualora l’imposta sia stata versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato secondo i criteri improntati al perseguimento dello scopo di ridurre al massimo l’insorgenza del contenzioso”. Giurisprudenza La Corte di Cassazione, da ultimo con la sentenza del 27 luglio 2007, n. 16700 ha ribadito che l’articolo 59 del D.Lgs 15 dicembre 1997, n. 446, riconosce ai Comuni, in materia di Ici, la facoltà di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili; i relativi regolamenti (la cui competenza, già dei Consigli comunali, è stat rassegnata alle Giunte municipali dal D.Lgs 18 agosto 2000, n.267), pur essendo atti di carattere generale, assumono il valore di presunzione suscettibile di prova contraria, sostanzialmente assimilabili agli “studi di settore”, nel senso che si tratta di fonti di presunzioni dedotte da dati di comune esperienza idonei a costituire supporti razionali offerti dall’ente impositore ed al giudice, contrastabili con idonee prove contrarie da parte dei contribuenti interessati. 5.4.2 Fabbricati in corso di costruzione L’art. 5, comma 6, D. Lgs stabilisce che per l’immobile in corso di costruzione, ristrutturazione o demolizione, l’imposta comunale sugli immobili deve essere determinata sul valore dell’area edificabile, senza computare il valore del fabbricato in corso d’opera: • sino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione, ristrutturazione o demolizione ovvero, se antecedente, fino alla data in cui il fabbricato costruito, ristrutturato o ricostruito è comunque utilizzato. Dopo l’entrata in vigore delle nuove delle nuove norme relative ai termini per la presentazione delle dichiarazioni catastali per i fabbricati di nuova costruzione, dettate dall’articolo 34quinquies del D.L 10 gennaio 2006, n.4, convertito nella legge 9 marzo 2006 n.80, che hanno modificato i tempi per la presentazione delle denunce catastali, previsti dagli articoli 28 e 30 del Rdl 652/39, sulla materia sono sorte alcune perplessità applicative, non solo da parte dei contribuenti, ma anche dei professionisti tecnici e in special modo commercialisti, in quanto i nuovi termini incidono anche sulla decorrenza delle imposte, soprattutto dell’Ici. Infatti, poichè in virtù del predetto articolo 5, comma 6, del D.lgs n.504/1992, per i fabbricati di nuova costruzione l’imponibilità Ici decorre dalla data del loro completamento, mentre in precedenza tale termine coincideva con quella di presentazione della denuncia di ultimazione dei lavori ai Comuni, dal 12 marzo 2006 la debenza del tributo risale al momento in cui gli stabili si rendono effettivamente abitabili, previo allacciamento ai servizi urbani. * Casi particolari Nel caso di fabbricati venduti in condominio, tale data deve essere dichiarata dal costruttore tramite il tecnico professionista, incaricato di predisporre entro 30 giorni la stessa, le dichiarazioni al catasto dei fabbricati, finalizzate a rendere possibile la stipulazione dei rogiti di vendita, copia delle quali deve essere allegata alla denuncia di ultimazione dei lavori, ai sensi dell’articolo 23, comma 7, del D.Pr 380/22001. In sostanza, quindi, la decorrenza dell’obbligo fiscale per il fabbricato, non è più legata a quella incontestabile della denuncia di ultimazione lavori, ma viene delegata alla discrezionalità del soggetto obbligato alla presentazione delle dichiarazioni catastali il quale, in teoria, dovrebbe formularla sulla base di valutazioni oggettive, in merito allo stato di avanzamento finale della costruzione, che si può ritenere ultimata allorquando si rende idonea all’utilizzo, con la stipulazione dei contratti di fornitura dei servizi elettrici, idrici, telefonici e del gas, ai primi condomini. Ovviamente, però, fino alla presentazione delle denunce al catasto dei fabbricati, il costruttore è obbligato al pagamento dell’Ici sull’area edificabile, che gli compete a norma di legge. Può, altresì, accadere che alcune unità immobiliari vengano utilizzate anticipatamente per necessità, ancorché talune opere di finitura delle parti comuni (atrio, cortili, giardini e altro) , non siano ancora completate, circostanza, che non incide sulla regolarità delle procedure. Tuttavia, esistono casi in cui è stata realizzata l’intera struttura in cemento armato e il tetto, ma sono stati completati e occupati solo alcuni piani, restando incompiuti al rustico i restanti, nel qual caso non è possibile presentare la denuncia di ultimazione delle opere, se non viene realizzato l’intero progetto, mentre esiste l’obbligo di denuncia al Catasto, sia per le porzioni già utilizzate con regolare rendita proposta, sia per quelle ancora in corso di costruzione o definizione, classificabili nelle categorie virtuali F/3 e F/4, senza rendita, con i soli identificativi catastali (foglio, particella e subalterno). In particolare, l’identificazione di queste ultime unità prive di rendita, è necessaria per il caso che gli acquirenti stipulino mutui diretti con le banche, per l’acquisto delle porzioni di fabbricato che interessano. In tali circostanze, infatti, scatta l’imponibilità Ici e Irpef solo per le unità ultimate, a prescindere dall’incompletezza delle procedure urbanistiche (denuncia di fine lavori)che non rilevano ai fini fiscali, mentre da quel momento cessa l’obbligo tributario dovuto sull’area dal costruttore. Per quanto attiene al pagamento dell’imposta comunale, non è più necessaria la denuncia al Comune, il quale dopo le dichiarazioni presentate al catasto dal costruttore, riceverà per via telematica la copia del Docfa, completa di tutti i dati, per cui il contribuente dovrà calcolare direttamente l’imposta e fare il versamento nel seguente modo: se il rogito è stato stipulato entro il primo semestre dell’anno d’imposta, dovrà versare solo la quota d’acconto relativa ai mesi di competenza entro il 16 giugno o, in alternativa, potrà versare direttamente il saldo per l’intero anno, nel caso che il rogito sia stato stipulato dopo il 30 giugno, dovrà calcolare e versare la quota dovuta per i mesi di competenza, entro il 16 dicembre dello stesso anno. Invece, per quanto riguarda le imposte dirette, l’acquirente delle porzioni del nuovo fabbricato, dovrà inserire nel quadro B del modello unico o 730, compilata l’anno seguente, la rendita catastale proposta, aggiornata del 5% per i soli mesi di competenza. 5.4.3 Fabbricati ultimati in corso d’anno Nell’ipotesi in cui un fabbricato in corso di costruzione sia ultimato nel corso dell’anno, il contribuente dovrà determinare l’imposta dovuta, tenendo conto: • per il primo periodo, del valore venale in comune commercio alla data del 1 gennaio 2007 dell’area fabbricabile (senza tenere conto, quindi, dei costi di costruzione sostenuti); • per il secondo periodo, ovvero a partire dal momento di ultimazione dei lavori di costruzione o ristrutturazione, della rendita proposta del fabbricato. In altri termini, se il fabbricato viene ultimato nel corso dell’anno si devono considerare due periodi: • quello in cui sussiste la condizione di edificabilità; • quello in cui il fabbricato viene utilizzato, ovvero, se antecedente, la data a partire dalla quale l’immobile viene comunque utilizzato. 5.5 Base imponibile per i fabbricati di interesse storico e artistico Per gli immobili di interesse artistico e culturale, il valore è determinato in base alle disposizioni dell’art. 2, comma 5, D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, con. dalla legge 24 marzo 1993, n. 75. 5.6 Base imponibile per i terreni agricoli I terreni agricoli sono aree destinate ad attività: • prettamente agricole; • direttamente connesse, quali, ad esempio, la trasformazione e l’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura. Il valore dei terreni agricoli si ottiene moltiplicando il reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1 gennaio dell’anno di imposizione, preventivamente rivalutato del 25%, per un moltiplicatore pari a 75. 5.6.1 Terreni condotti direttamente La base imponibile è pari a 75 volte il reddito dominicale anche per le aree fabbricabili previste nel piano regolatore o in altro strumento urbanistico a condizione che: • siano posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli a titolo principale; • siano destinate ad attività agricola da parte dei soggetti proprietari. Pertanto, in presenza di terreni compresi in aree edificabili e concessi in affitto, il proprietario dovrà assolvere l’Ici in base al valore di mercato dell’area al 1 gennaio dell’anno di imposizione in quanto tassati come aree edificabili e non come terreni agricoli. 5.7 Aliquota d’imposta - Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in materia di deliberazione delle aliquote Ici Il comma 156 dell’articolo unico della Finanziaria 2007, modificando il comma 1 dell’art. 6 del D. Lgs. n. 504/1992, restituisce ai consigli comunali la competenza a stabilire le aliquote Ici. Nella sua formulazione originaria, l’art. 6 cit. individuava nella giunta comunale l’organo competente a deliberare le aliquote d’imposta. L’art. 3, comma 53, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Finanziaria 1997), modificò la norma, indicando genericamente che le aliquote sono stabilite dal Comune, ma senza individuare l’organo competente. E’, però, evidente che il legislatore dal 1996 intese innovare rispetto al passato e che, implicitamente, individuò nel consiglio comunale l’organo competente a stabilire le aliquote Ici. Ciò d’altronde appariva coerente alla ripartizione delle competenze delineata dall’allora vigente art. 32 della legge 08 giugno 1990, n. 142, che disciplinava l’ordinamento sulle autonomie locali. A seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico degli enti locali), si tornò però all’originaria competenza di giunta comunale, in quanto l’art. 42, comma 2, lett. f), del TUEL, assegna al consiglio comunale la competenza ad istituire e regolamentare i tributi comunali, ma non quella di stabilire le misure del prelievo fiscale (ad esclusione della determinazione delle relative aliquote). A decorrere dal 1 gennaio 2007, la competenza del consiglio comunale, per l’Ici, viene estesa anche alla determinazione delle aliquote dell’imposta. Anche se la disposizione in commento si pone in aperto contrasto con l’articolo 42, comma 2, lett. f), del TUEL, deve necessariamente convenirsi che, trattandosi di norme di uguale rango gerarchico, il comma 156 della Finanziaria 2007 va qualificato come norma speciale che deroga a quella generale. Sul punto Quanto all’opportunità o meno della modifica, va evidenziato che la giurisprudenza amministrativa ha stabilito che, a livello locale, il potere impositivo è esercitato dal consiglio comunale, che riceve direttamente dal popolo il suo potere rappresentativo dell’intero corpo elettorale. Ciò in base al principio, desunto dallo Statuto inglese del 1927, “no taxation without representation” che, trasferito nel diritto positivo vigente, implica che il compito di deliberare sugli atti fondamentali dell’ente locale spetta al consiglio comunale e non alla giunta, la quale non ha, eccezione fatta per il Sindaco, una diretta legittimazione democratica. Poiché tale principio è valido non solo per l’istituzione di nuovi tributi, ma anche per gli adeguamenti tariffari, che altro non sono che la determinazione ex novo del quantum debeatur, l’intervento del legislatore appare senz’altro condivisibile, in quanto ristabilire la competenza dell’organo consiliare vuol dire rispettare il precetto dell’art. 23 della Costituzione, secondo il quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta in base alla legge, ossia, in ambito locale, se non in base ad un atto dell’organo rappresentativo della volontà popolare. Capitolo 6 Gli adempimenti dei contribuenti: modalità di versamento e obblighi dichiarativi alla luce delle importanti modifiche normative introdotte dal D.L. n. 223/2006(conv. con mod. dalla L. 04/08/2006, n. 248) e dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) 6.1 Versamento dell’imposta. Termini e modalità 6.1.1 I termini di versamento: i termini e le modalità di versamento dell’Ici sono stati modificati ad opera del D. L. n. 223/2006 e dalla legge Finanziaria 2007. Il D.L. n. 223/2006, articolo 37, comma 13, apportando una modifica all’articolo 10, D. Lgs n. 504/1992, modifica i termini di versamento dell’Ici, prevedendo che dal 1 maggio 2007: - l’acconto venga versato entro il 18 giugno (il 16 cade di sabato); - il saldo venga versato entro il 16 dicembre. Nel rispetto delle condizioni richieste dalla normativa, è, comunque, sempre possibile corrispondere l’Ici anche in unica soluzione, nei termini previsti per il versamento dell’acconto e del saldo Ici, entro il 16 giugno 2007. Così appare, quindi, l’articolo 10, comma 2, D. Lgs n. 504/1992 a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 223/2006: “I soggetti…devono effettuare il versamento dell’imposta complessivamente dovuta al comune per l’anno in corso in due rate delle quali la prima, entro il 16 giugno, pari al 50 per cento dell’imposta dovuta calcolata sulla base dell’aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell’anno precedente. La seconda rata deve essere versata dal 1 al 16 dicembre, a saldo dell’imposta dovuta per l’intero anno, con eventuale conguaglio sulla prima rata versata…Resta in ogni caso nella facoltà del contribuente provvedere al versamento dell’imposta complessivamente dovuta in unica soluzione annuale, da corrispondere entro il 16 giugno”. 6.1.2 Le modalità di versamento: il D.L. n. 223/2006, art. 37, comma 55, ha sancito che l’Ici può essere versata mediante modello F24, indipendentemente dalla stipula dell’apposita convenzione tra Agenzia delle Entrate e Comuni: ciò è stato successivamente confermato dalla Nota 31 gennaio 2007, n. 1184, con la quale è stato chiarito che i Comuni sono tenuti a permettere l’utilizzo del modello F24 per il versamento dell’Ici. Fino al 2006, infatti, i versamenti potevano essere eseguiti con il modello F24 solo per gli immobili ubicati nel territorio dei comuni che avevano sottoscritto un’apposita convenzione con l’Agenzia delle Entrate. A decorrere dal 2007, invece, tale modalità di pagamento è divenuta una di quelle ordinariamente utilizzabili. La ragione per cui l’utilizzo del modello F24 incontrerà il favore dei contribuenti e dei professionisti, risiede nella possibilità di compensare i crediti di imposta verso l’erario emergenti dalla dichiarazione dei redditi del 2006 con il debito d’imposta per l’Ici dovuta per il corrente anno ai comuni: in tal modo, chi vanta un credito verso lo Stato può utilizzarlo, in tutto o in parte, per pagare l’Ici al comune, senza attendere i tempi del rimborso e senza anticipare ulteriori somme per il pagamento di un’altra imposta. Per consentire l’esecuzione delle compensazioni, i modelli di dichiarazione dei redditi di quest’anno sono stati modificati: in particolare, il modello 730/2007 prevede il nuovo quadro I, che deve essere compilato da chi vuole avvalersi di tale facoltà; il modello Unico, invece, nel quadro RX, consente di indicare la parte di credito, entro il limite massimo consentito di euro 516.456,90, che si intende compensare utilizzando il modello F24, senza, peraltro, specificare che, da quest’anno, è possibile compensare anche l’Ici. Nel modello 730 va, invece, precisato se si intende utilizzare il credito in tutto (barrando la casella 1 del quadro I) o in parte (compilando la casella 2 del quadro I) risultante dalla dichiarazione per il pagamento dell’Ici. Poiché per il 730 non è prevista l’autoliquidazione d’imposta da parte del contribuente, può accadere che tra il credito stimato e quello effettivo vi sia una differenza, di cui il contribuente viene a conoscenza solo dopo che il sostituto (entro il 15 giugno 2007), o il CAF, o il professionista abilitato (questi ultimi entro il 30 giugno 2007) gli consegnano copia della dichiarazione e, soprattutto, il prospetto di liquidazione Mod. 730-3. Pertanto, se il contribuente ha compilato la casella 2 del quadro I, indicando l’importo che intende utilizzare per compensare l’Ici dovuta nel 2007, si potrà verificare che dalla liquidazione della dichiarazione risulti un credito d’imposta superiore o inferiore all’ammontare indicato. Nel primo caso non è richiesto alcun adempimento, in quanto il credito eccedente verrà rimborsato dal sostituto d’imposta; nel secondo caso, invece, il contribuente, che abbia già utilizzato per il pagamento dell’Ici il Mod.F24 riportante l’importo indicato nella casella 2 del quadro I del Mod. 730 dovrà effettuare un versamento diretto integrativo, fino a concorrenza dell’imposta effettivamente dovuta. Se, invece, il contribuente ha barrato la casella 1 del quadro I, non riceverà alcun rimborso dal sostituto d’imposta, in quanto ha manifestato la volontà di utilizzare per intero il proprio credito d’imposta per compensare l’Ici dovuta per il 2007: se nel mod. F24 ha, poi, indicato un importo superiore all’imposta effettivamente dovuta, dovrà chiederne il rimborso al comune competente per territorio, entro il termine di decadenza di cinque anni stabilito dall’art. 1, comma 164, della legge 27 dicembre 2006, n. 296; viceversa, se il credito risultante dalla liquidazione della dichiarazione si rivela inferiore all’Ici dovuta, il contribuente dovrà procedere ad un versamento integrativo diretto. Va, altresì, precisato che il prospetto di liquidazione consegnato al contribuente dal soggetto che presta l’assistenza, oltre a contenere l’ammontare dei crediti, riporta anche le informazioni che devono essere utilizzate per la compilazione del Mod.F24. Con decreto del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, 26 aprile 2007, prot. n. 2007/71336 è stata data attuazione all’art. 37, comma 55, del D. L. 04/07/3006, n. 223, conv. con mod. dalla legge 04/08/2006, n. 248 e, pertanto, dal 1 maggio 2007 è stata resa effettiva la possibilità, per i contribuenti, di versare l’Ici con il Mod. F24, anche utilizzando i crediti ammessi in compensazione, con le modalità di cui all’art. 17 del D. Lgs 09/0/7/1997, n. 241. Non sono, però, ammessi in compensazione i crediti relativi ai tributi e alle altre entrate degli enti locali, ad eccezione di quelli derivanti dall’addizionale comunale all’Irpef. Il decreto prevede la possibilità, per i professionisti abilitati e per i CAF, purché aderenti alla convenzione sulle modalità di svolgimento del servizio di pagamento con modalità telematiche, di provvedere al versamento dell’imposta in nome e per conto dei contribuenti e dispone che i soggetti titolari di partita Iva, ai sensi dell’art. 37, comma 49, del D. L. n. 223/2006, devono effettuare i versamenti Ici con il Mod.F24 esclusivamente con modalità telematiche. Per i contribuenti, i vantaggi si sostanziano principalmente nella possibilità di compensare l’importo da versare ai fini Ici con i crediti vantati nei confronti dell’erario o di altri enti, nella gratuità del versamento effettuato tramite modello F24 e nella possibilità di effettuare i pagamenti anche on line, usufruendo dei servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate. Giova precisare che i contribuenti potranno, altresì, utilizzare il consueto canale del versamento al concessionario nazionale della riscossione, ai sensi dell’art. 10, comma 3, del D. Lgs 30 dicembre 1992, n. 504 ( pagando l’imposta direttamente agli sportelli del concessionario, oppure effettuando il versamento sul conto corrente postale intestato al medesimo, utilizzando, in entrambi i casi, gli appositi bollettini conformi al decreto ministeriale di approvazione) e, nei comuni che hanno adottato specifiche disposizioni regolamentari, tramite versamento diretto presso la tesoreria comunale o sul conto corrente alla stessa intestato. Al riguardo, giova precisare che con nota 31 gennaio 2007, n. 1184/DPF l’Ufficio federalismo fiscale del Ministero dell’Economia e delle Finanze ha espressamente affermato che “l’esercizio della potestà regolamentare dell’individuazione delle modalità di riscossione dell’Ici, non viene in alcun modo compromessa dall’abrogazione della lett. n) dell’art. 59 del D. Lgs n. 446/1997, che si presentava nel contesto dell’art. 59 come una norma di mera elencazione delle varie possibilità che il comune aveva ed ha tuttora - a disposizione per effettuare la riscossione dell’Ici”. Va in ogni caso precisato che la possibilità di pagare l’Ici con il mod.F24 è effettiva dal 1 maggio 2007 e che, a tal fine, si deve utilizzare il codice catastale del comune in cui sono siti gli immobili soggetti ad imposta. Oltre al codice catastale devono indicarsi i codici tributo 3901, 3902, 3903 e 3904 a seconda che il versamento d’imposta si riferisca, rispettivamente, all’abitazione principale, ai terreni agricoli, alle aree fabbricabili ed agli altri fabbricati. Qualora il modello F24 venga utilizzato dal contribuente che effettua il ravvedimento operoso devono, altresì, essere utilizzati i codici 3906 (interessi) e 3907 (sanzioni). Inoltre, con risoluzione 20 aprile 2007, n. 76/E è stato soppresso il codice tributo 3905-“imposta comunale sugli immobili (ICI): credito Ici”, che consentiva ai contribuenti di utilizzare crediti Ici in compensazione, con le modalità di cui all’art. 17 del D. Lgs 09/07/1997, n. 241, nei comuni che avevano sottoscritto l’apposita convenzione con l’Agenzia delle Entrate. - Dichiarazione congiunta I coniugi, nel casi di presentazione di dichiarazione congiunta, potranno scegliere autonomamente se e in quale misura utilizzare il credito risultante dalla liquidazione della propria dichiarazione per il pagamento dell’Ici dovuta da ciascuno di essi; tuttavia, non è consentito utilizzare il credito di un coniuge per il pagamento dell’Ici dovuta dall’altro coniuge. - Regole generali di versamento La Legge Finanziaria 2007 ha introdotto alcune regole di versamento con valenza generalizzata per tutti i tributi locali e, pertanto, anche per l’Ici. Di ausilio per l’applicazione pratica di tali previsioni sono le risposte fornite dall’ufficio federalismo del Ministero dell’Economia e delle Finanze con Nota n. 5707/2007/DPF/Uff. a) arrotondamento Fino a tutto il 2006, l’Ici è stata versata arrotondando gli importi da versare al centesimo di euro, secondo le note regole. Il comma 166, Legge Finanziaria 2007, dispone che, dal 2007, il versamento dei tributi locali (tra cui l’Ici) deve essere effettuato con arrotondamento all’unità di euro. La Nota n.5707/2007 ha, inoltre, chiarito che tale modalità va adottata indipendentemente dallo strumento utilizzato per il versamento (mod.F24 o bollettino). Tuttavia, la presenza di due strumenti di pagamento differenti (mod.F24 e bollettino) crea alcune problematiche in relazione all’esposizione dei dati. Nella citata Nota, l’Ufficio federalismo fiscale ha chiarito che se per il versamento viene utilizzato il: - modello F24, è necessario procedere all’arrotondamento degli importi indicati in ogni singolo rigo; - bollettino, deve essere arrotondato all’unità di euro solo l’importo del versamento “totale”; gli importi relativi alle singole fattispecie richiesti nel bollettino (terreni agricoli, aree fabbricabili, abitazione principale, altri fabbricati e detrazione per l’abitazione principale) devono essere esposti “al centesimo”. b) versamento minimo Fino al 2006, l’importo minimo di versamento Ici era pari, ai sensi dell’art. 6, comma 5, D. L 4 febbraio 1994, n. 90, ad € 2,07. Tuttavia, i Comuni potevano deliberare, tramite proprio regolamento, importi minimi di versamento superiori a tale limite: molti Comuni, ad esempio, avevano disposto che l’Ici non dovesse essere versata se di importo non superiore a € 10,33 (vecchio limite di versamento Ici). Il comma 168 della Legge Finanziaria 2007, ha disposto che i Comuni possono disciplinare gli importi minimi di versamento e rimborso dei tributi locali. In caso di inottemperanza, deve essere rispettata, la disciplina generale sancita dall’articolo 25, Legge n. 289/2002 (importo minimo di versamento o rimborso pari a 13 euro). c) Importo minimo inferiore a € 13,00 Molti dubbi sono sorti in merito alla possibilità, per il Comune, di deliberare importi minimi di versamento di ammontare inferiore a quello previsto dall’articolo 25, L. n. 289/2002 (€ 12,00). Infatti, nonostante il cit. art. 25 disponga che l’importo minimo di versamento non possa essere inferiore ad € 13,00, con sentenza 26 gennaio 2005, n. 30, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del cit. disposto normativo. Con Nota 20 aprile 2007, n. 6372/DPF, l’Ufficio federalismo fiscale del Ministero delle finanze ha confermato che i Comuni possono deliberare, con proprio Regolamento, un importo minimo di versamento inferiore al limite disposto dall’articolo 25, Legge n. 289/2002, pari ad € 13,00. Si legge, infatti, “Da quanto esposto consegue che i comuni, ove intendano esercitare la facoltà accordata dall’art. 1, comma 168, della legge n. 296/2006, devono specificare nel regolamento di ciascun tributo o nel regolamento generale delle entrate, adottati ai sensi dell’art. 52 del D. Lgs n. 446/1997, la misura minima al di sotto della quale i versamenti non sono dovuti e non sono effettuati i rimborsi”. Inoltre, la Nota ricorda come, anche nel rispetto dello Statuto del contribuente, l’importo minimo fissato per il versamento debba essere uguale a quello stabilito per il rimborso. d) Superamento dell’importo minimo a saldo Indipendentemente dalle problematiche inerenti la possibilità di deliberazione di importi minimi di versamento di ammontare inferiore al limite generale (€ 13,00), si ricorda che l’importo del versamento inferiore al minimo, non deve essere considerato come una “franchigia” in quanto, al superamento dello stesso, l’imposta è dovuta per l’intero importo. La Circolare n. 136/E del 28 maggio 1998 ha ribadito tale concetto affermando che: “Non si fa luogo al versamento se l’imposta da versare è uguale o inferiore a lire quattromila (euro 2,07). Se l’importo da versare supera le quattromila lire (euro 2,07), il versamento deve essere effettuato per l’intero ammontare dovuto”. 6.2 Obblighi dichiarativi L’articolo 37, co. 53 del D. L., n. 223/2006, conv. con mod. L. 04/08/2006, n. 248, ha soppresso, a decorrere dall’anno 2007, l’obbligo, facente capo al contribuente, di presentare la dichiarazione o denuncia di variazione di cui all’articolo 10, co. 4 del D. Lgs 31/12/1992, n. 504. Lo stesso art. 37 cit., come modificato dalla Finanziaria 2007 (art. 1, comma 174, legge n. 296/2006), prevede, però, la soppressione della dichiarazione Ici solo quando risulterà effettivamente operativo il sistema di circolazione e fruizione dei dati catastali, che dovrà essere accertato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia del territorio. L’articolo 1, comma 175, legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) ha abrogato la lett. l) dell’art. 59, D. Lgs n. 446/1997. Di conseguenza, a decorrere dal 1 gennaio 2007, non può più essere utilizzato il sistema della comunicazione Ici, anche per i Comuni che negli anni precedenti avevano sostituito con detto adempimento la disciplina ordinaria della dichiarazione Ici. Come rilevato dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 28/2006, la disposizione in commento, ha inteso “eliminare la duplicazione degli adempimenti posti a carico del contribuente in tema di dichiarazione dei dati relativi ai propri immobili” (ai fini dell’Ici e delle imposte dirette), consentendo, tramite la connessione dei Comuni alle banche dati catastali gestite dall’Agenzia del Territorio, che siano gli enti locali stessi ad acquisire i dati relativi alle variazioni oggettive e soggettive rilevanti ai fini dell’Ici. Atteso che la possibilità, per i Comuni, di reperire tempestivamente i dati relativi agli immobili prima contenuti nella dichiarazione Ici dipende ora dalla disponibilità degli stessi nelle basi catastali, e che queste ultime sono aggiornate, tra l’altro, anche tramite la procedura del c.d. “modello unico informatico”, l’art. 1 co. 174 della L. 296/2006, modificando, a tal fine, l’art. 37 co 53 cit., fa salvo l’obbligo di presentare la dichiarazione Ici nei casi in cui gli elementi rilevanti ai fini dell’imposta dipendono da atti per i quali non sono applicabili le procedure telematiche previste dall’art. 3.-bis del D.L. 18 dicembre 1997, n. 463, concernente la disciplina del modello unico informatico, mediante il quale i notai provvedono alle formalità ipotecarie e catastali per gli atti aventi ad oggetto diritti reali immobiliari. Va, inoltre, evidenziato che l’esonero da dichiarazione non scatta, oltre che nei casi in cui gli elementi rilevanti ai fini impositivi dipendono da atti per i quali non può utilizzarsi il modello unico informatico, anche nei casi in cui: - il contribuente deve far valere il diritto alla riduzione d’imposta del 50% previsto dall’art. 8, comma 1, del D. Lgs n. 504/1992 per i fabbricati inagibili, oppure il diritto all’aliquota (agevolata) del 4 per mille, eventualmente deliberata dal Comune per i fabbricati realizzati per la vendita e non venduti da imprese costruttrici; - il contribuente, coltivatore diretto o imprenditore agricolo, deve far valere il diritto alle riduzioni d’imposta previste dall’art. 9 del D. Lgs n. 504/1992 per i fondi agricoli utilizzati nella propria attività. A ciò si aggiunga che, per le aree edificabili, il criterio di determinazione della base imponibile è rimasto quello del valore venale in comune commercio (art. 5, comma 5, del D. Lgs n. 504/1992) al 1 gennaio di ciascun anno di imposizione, il che presuppone, necessariamente, che il valore utilizzato dal contribuente per il calcolo dell’imposta, non essendo più soggetto a dichiarazione, potrà essere dedotto, a posteriori, solo in sede di controllo della congruità del versamento. Lo stesso dicasi per gli immobili esenti da imposta ex art. 7 del D. Lgs n. 504/1992. In definitiva, appare chiaro che la soppressione dell’obbligo dichiarativo ai fini Ici introdotta dal D.L. Bersani ed integrata dalla Finanziaria 2007, non sarà totale, restando escluse le fattispecie testè esaminate. In evidenza! Il Ministero dell’Economia e delle Finanze con nota 13 marzo 2007, n. 5407/2007, ha risposto alla richiesta di chiarimenti formulata da un Comune al riguardo. Oggetto del dibattito era la possibilità di confermare per il 2007, l’utilizzo della comunicazione di variazione Ici, anche a seguito dell’abrogazione prevista, dal 1 gennaio 2007, dall’articolo 59, comma 1, lett. l), n), D. Lgs n. 446/1997. In particolare, la richiesta verteva sulla facoltà, in attesa della creazione della rete di dati catastali che dovrebbero portare alla soppressione dell’adempimento, di confermare l’utilizzo della comunicazione per il 2007, per i Comuni che negli anni precedenti avevano optato per la stessa in sostituzione del modello ministeriale. Il Ministero, tuttavia, ha concluso che “Al riguardo, si ritiene che a decorrere dal 1 gennaio 2007 non possa essere più utilizzato in via generale il sistema della comunicazione Ici, in quanto l’art. 1, comma 175, della Finanziaria 2007, ha espressamente abrogato l’art. 59, comma 1, lett. l), del D. Lgs n. 446/1997. Dalle considerazioni svolte emerge, quindi, che permane nella disciplina dell’Ici la sola dichiarazione prevista dall’art. 10, comma 4, del D. Lgs n. 504/1992. * Con provvedimento del direttore dell’Agenzia del Territorio del 18 dicembre 2007 è divenuta effettiva l’eliminazione dell’obbligo dichiarativo Ici. Con il provvedimento de quo trova attuazione l’esonero dall’obbligo dichiarativo previsto dal predetto art.37, co.53, del D.L 4/07/2006, n.223, conv. con mod., dalla legge 4/08/2006 n.248. Si prevede che i Comuni – a seguito di convenzione – potranno accedere alla banca dati catastale per verificare le variazioni intervenute sugli immobili del proprio territorio. Permane, comunque, notevole perplessità in relazione ai casi in cui la banca dati catastale non contiene io dati necessari per determinare la base imponibile; si pensi, ad esempio alle aree edificabili (per cui l’imposta risulta dovuta sulla base del valore venale, non registrato a Catasto), oppure ai fabbricati del gruppo D per cui l’imposta sia versata sui valori contabili ma soprattutto a tutti gli immobili non iscritti in catasto. 6.2.1. Modifica del termine per la presentazione della dichiarazione per gli immobili del fallimento e per il versamento dell’Ici Per effetto dell’art. 1 co. 173, lett. c) della L. 296/2006, che sostituisce , a tal fine, il co. 6 dell’art. 10 del D. Lgs 30/12/1992, n. 504, il curatore o il commissario liquidatore, entro novanta giorni dalla loro nomina, sono tenuti a presentare una dichiarazione attestante l’avvio della procedura al comune in cui risultano ubicati gli immobili compresi nel fallimento (liquidazione coatta amministrativa). Nella disciplina previgente la cennata modifica, rispetto agli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa, si prevedeva l’obbligo di presentare la dichiarazione Ici entro tre mesi dalla data di incasso del prezzo (a seguito di vendita all’incanto), Per effetto dell’art. 1, co. 173, lett. c) della L. 296/2006, che sostituisce , a tal fine, il co. 6 dell’art. 10 del D. Lgs n. 504/1992, il curatore o il commissario liquidatore sono tenuti a versare l’Ici dovuta, con riferimento all’intero periodo di durata della procedura, per gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa, entro tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili. Nella previgente disciplina la cennata modifica, il versamento dell’imposta riferito a tutte le annualità di possesso rientranti nel periodo di durata della procedura doveva avvenire entro tre mesi dalla data di incasso del prezzo (a seguito di vendita all’incanto). La Cassazione, al riguardo, con una interessante pronuncia (Corte di cassazione, sez.trib. 28 novembre 2007, n. 24670) ha affermato che l’Ici dovuta sugli immobili compresi in procedure fallimentari è dovuta sino alla data del decreto di trasferimento dell’immobile, e non sino alla data di incasso del prezzo di vendita, non potendosi, peraltro, attribuire alla novella di cui al comma 173, lettera c), legge n.296/2006, portata innovativa della disciplina previdente. Per la Cassazione, infatti, la predetta legge n.296/2006, (art.1, co.173, lett.c), rappresenta una disposizione normativa che,. almeno per quel che riguarda la determinazione del giorno iniziale del termine entro il quale il curatore deve versare l’Ici, non innova in alcun modo rispetto al regime precedente, limitandosi ad esplicitare una norma che era già implicita nella normazione antecedente e di cui il Supremo Collegio aveva giurisprudenzialmente evidenziato l’esistenza. La Cassazione ha, altresì, specificato che la base imponibile dell’Ici dovuta sugli immobili compresi in procedure fallimentari è sempre costituita dal valore catastale e non dal prezzo di vendita dello stesso, non essendo derogate le regole fondamentali del tributo. 6.3. Ici e dichiarazione dei redditi. 6.3.1 Indicazione nella dichiarazione dei redditi dell’Ici dovuta per il 2006 (2007) Giusta il disposto dell’art. 1 co. 104 della L. 296/2006, nelle dichiarazioni dei redditi presentate nell’anno 2007, nel quadro relativo ai fabbricati, occorre indicare l’importo dell’Ici dovuta per l’anno precedente (2006) con riferimento a ciascun fabbricato. Nelle istruzioni alla compilazione della dichiarazione dei redditi da presentare nel 2007 e, pertanto, relative all’anno 2006 (modello Unico 2007 e modello 730/2007) è previsto che nel quadro relativo ai redditi di fabbricati (quadro RB o quadro B), sia indicato l’importo dell’Ici dovuta per il 2006. In particolare, a) Modello Unico e indicazione Ici dovuta per il 2006 L’Ici dovuta per il 2006 deve essere indicata nei quadri RB dei seguenti modelli: - UNICO 2007 Persone fisiche; - UNICO 2007 Società di persone; - UNICO 2007 Enti non commerciali. Nel quadro RB del Modello UNICO 2007 rispetto allo scorso anno sono state aggiunte due nuove colonne dove andranno indicati i dati relativi: - al codice del comune in cui è ubicato ogni singolo immobile (colonna 9); - l’Ici dovuta nel 2006 relativa ad ogni fabbricato (colonna 10); b) Modello 730 e indicazione Ici dovuta per il 2006 Anche nel quadro B, del Modello 730/2007, sono state recepite le novità previste dal D.L. n. 223/2006. Nel quadro in oggetto sono state aggiunte, infatti, due nuove colonne dove andranno indicati i dati relativi: - al codice del comune in cui è ubicato ogni singolo immobile (colonna 8); - l’Ici dovuta nel 2006 relativa ad ogni fabbricato (colonna 9). 6.3.2 Indicazione nella dichiarazione dei redditi dei dati catastali degli immobili e dei versamenti Ici (dal 2008) L’articolo 1, co. 101-102 della Legge 296/2006 introduce l’obbligo di indicare, nella dichiarazione dei redditi, i dati identificativi di ciascun fabbricato (la disposizione fa espresso riferimento ai fabbricati, escludendo, in tal modo, i terreni dal nuovo obbligo dichiarativo) e l’importo dell’Ici versata l’anno precedente. La finalità del nuovo obbligo risponde alla esigenza di dotare gli uffici dell’Agenzia delle Entrate degli elementi cognitivi necessari per verificare la congruità dei versamenti dell’Ici operati l’anno precedente in relazione a ciascuna unità immobiliare urbana (si veda, al riguardo il cap. 7, p. 7.1). Ai sensi dell’art. 103, della L. 296/2006, infatti, - tale verifica deve essere operata in sede di controllo delle dichiarazioni ex art. 36-bis D.P.R. n. 600/1973, -gli esiti devono essere trasmessi ai comuni competenti. Persone fisiche A decorrere dal 2008, quindi, i soggetti diversi da società o enti pubblici e privati, ossia le persone fisiche, dovranno indicare nella propria dichiarazione dei redditi, per i soli fabbricati, l’indirizzo e l’identificativo degli immobili, costituito dal codice del Comune, dal foglio, dalla sezione, dalla particella e dal subalterno. L’obbligo dichiarativo andrà nuovamente assolto solo in caso di variazione relativa anche ad uno solo dei suddetti dati. Ai sensi dell’art. 1 co. 102 della L. 296/2006, la definizione degli elementi, dei termini e delle modalità per dare attuazione alla disposizione in esame avverrà con decreto del capo del Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il direttore dell’Agenzia delle Entrate, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Persone giuridiche Per le persone giuridiche di cui all’articolo 73, comma 1, lett. a) e ), del TUIR, il comma 102 introduce un analogo obbligo dichiarativo (dovranno essere indicati tutti i dati utili per il calcolo dell’Ici), sempre limitato ai soli fabbricati, in relazione ai periodi d’imposta in corso al 31 dicembre 2007. Anche per le persone giuridiche l’obbligo dichiarativo andrà nuovamente assolto solo in caso di variazioni dei dati, relativi ai fabbricati, già dichiarati. Ai sensi dell’art. 1 co. 102 della L. 296/2006, la definizione degli elementi, dei termini e delle modalità per dare attuazione alla disposizione in esame avverrà con decreto del capo del Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il direttore dell’Agenzia delle Entrate, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali. Capitolo 7 Liquidazione e accertamento 7.1 Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in materia liquidazione Con la lettera d) del comma 173 dell’articolo unico della Finanziaria 2007 sono state abrogate le norme che fino a tutto il 31 dicembre 2006 hanno disciplinato la liquidazione dell’Ici da parte dei Comuni, ossia: - abrogazione del co. 1 dell’articolo 11 (disciplina degli avvisi di liquidazione dell’imposta sulla base dei dati contenuti nella dichiarazione Ici). L’attività di liquidazione dell’Ici, dal 1 gennaio 2007 è regolamentata dal comma 103, legge finanziaria 2007, che recita quanto segue “In sede di controllo delle dichiarazioni effettuate ai sensi dell’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e successive modificazioni, si verifica il versamento dell’imposta comunale sugli immobili relativo a ciascun fabbricato, nell’anno precedente. L’esito del controllo è trasmesso ai Comuni. Il comma 103 dell’art. 1 cit. introduce, quindi, l’assoluta novità della verifica del versamento dell’Ici, per i soli fabbricati, che gli uffici dell’Agenzia delle Entrate saranno chiamati ad eseguire, in sede di controllo delle dichiarazioni, ai sensi dell’art.36-bis del D.P.R. n. 600/1973. L’esito del controllo, che, per effetto delle norme esaminate in precedenza, potrà avere inizio solo nel 2008, non genererà atti impositivi da parte dell’Agenzia delle Entrate ma dovrà essere trasmesso ai Comuni competenti. In particolare, l’Agenzia delle Entrate provvederà: - ad effettuare un controllo formale della dichiarazione presentata, comprensivo dell’Ici indicata nel quadro dedicato ai fabbricati; - a trasmettere l’esito di tali controlli ai Comuni competenti. I Comuni, in base ai dati ricevuti dall’Agenzia delle Entrate potranno, quindi, decidere di attivare la procedura di accertamento, al fine di recuperare le somme dovute dal contribuente. 7.1.1 I Comuni collaborano nell’attività di controllo I Comuni, in base a quanto disposto dall’articolo 11, comma 3, D. Lgs n. 504/1992 (ancora vigente, anche a seguito delle modifiche apportate dalla legge Finanziaria 2007) ai fini dell’attività di liquidazione e accertamento, possono: - invitare i contribuenti alla presentazione o trasmissione di atti e documenti; - inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico; -richiedere dati, notizie ed elementi rilevanti. Il comma 105, della Finanziaria 2007, dispone, inoltre, che i Comuni trasmettano annualmente all’Agenzia del territorio, per via telematica, i dati risultanti dai controlli Ici previsti dal D. Lgs n. 504/1992, se discordanti da quelli catastali in loro possesso. Tuttavia, per l’effettiva operatività di tale disposizione, grazie alla quale si verrebbe a creare una proficua collaborazione tra le varie Amministrazioni pubbliche, è necessario attendere un apposito decreto. 7.1.2 Fabbricati sprovvisti di rendita Una particolare problematica è quella legata all’abrogazione del comma 1, articolo 11, e del comma 4, articolo 5 del D. Lgs n. 504/1992, ossia la norma che stabiliva che sia per i fabbricati sprovvisti di rendita catastale, sia per quelli, già censiti, oggetto di variazioni permanenti, occorreva determinare la base imponibile con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già iscritti. In particolare, l’abrogazione del comma 4 apre un vuoto normativo relativamente a tali immobili, lasciando Comuni e contribuenti del tutto privi di un criterio alternativo per il corretto adempimento dell’obbligazione tributaria, che certo non viene meno per il fatto di possedere degli edifici sprovvisti di rendita catastale, dal momento che il presupposto impositivo, per l’Ici, consiste nel possesso di fabbricati, ancorché non censiti. Vero è che, essendo ormai obbligatoria la procedura DOCFA, all’atto dell’iscrizione in catasto si applica, ancorché provvisoriamente, la rendita proposta dal contribuente, ma è altrettanto vero che, tuttora, vi sono immobili accatastati prima che entrasse in vigore la procedura DOCFA, ancora sprovvisti di rendita catastale per inerzia dell’Agenzia del Territorio. In tali casi, ferma restando l’obbligazione tributaria, non essendo vigente al 1 gennaio dell’anno di imposizione alcuna rendita catastale, viene a mancare un criterio legale di determinazione dell’imponibile Ici, non potendosi determinare il valore degli edifici non censiti in base a quanto disposto, per fattispecie diverse, dagli altri commi dell’articolo 5 del D. Lgs n. 504/1992. Si ritiene, ad avviso di chi scrive, che i contribuenti che non abbiano ancora ricevuto il classamento, pur avendo provveduto, a suo tempo, a presentare la denuncia catastale, non potranno far altro che continuare ad utilizzare una rendita presunta. Va, poi, rammentato che le disposizioni contenute nel comma 336 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Finanziaria 2005) consentono ai Comuni di attivarsi per chiedere ai possessori di immobili non dichiarati in catasto, nonché di immobili oggetto di interventi strutturali tali da rendere non più attuali i classamenti riportati negli atti catastali, la presentazione dei necessari atti di aggiornamento catastale, e, una volta attribuita la rendita, di richiedere il pagamento dell’Ici a decorrere dal 1 gennaio dell’anno cui si riferisce la mancata presentazione della denuncia catastale. A ciò si aggiunga che l’articolo 34-quinquies del D. L. 10 gennaio 2006, n. 4 conv. con mod., dalla legge 09/03/2006, n. 80 stabilisce, con decorrenza dal 12 marzo 2006, l’obbligo di denunciare in catasto i fabbricati di nuova costruzione o che siano stati oggetto di interventi edilizi di variazione entro 30 giorni da quando sono divenuti agibili o siano comunque utilizzati, ovvero da quando sono state ultimate le variazioni. 7.2 Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in materia di accertamento Con la lettera d) del comma 173 dell’articolo unico della Finanziaria 2007 sono state, altresì, abrogate le norme che fino a tutto il 31 dicembre 2006 hanno disciplinato l’accertamento dell’Ici da parte dei Comuni, ossia: - abrogazione del co. 2 dell’articolo 11 (disciplina degli avvisi di accertamento per dichiarazione Ici infedele, incompleta o inesatta; disciplina degli avvisi di accertamento in caso di omessa dichiarazione Ici); - abrogazione del co.2-bis, dell’articolo 11 (obbligo di motivazione degli avvisi di liquidazione o di accertamento e di allegazione degli atti richiamati in motivazione) del D. Lgs n. 504/1992, nonché il comma 6 del medesimo articolo che prevedeva la possibilità, per il Ministero delle finanze, di effettuare verifiche sulla gestione dell’imposta presso i Comuni. In luogo delle norme abrogate, dispone ora il nuovo articolo 1 co. 161 della L. 296/2006, in base al quale il Comune rettifica le dichiarazioni incomplete o infedeli o parziali o i ritardati versamenti notificando al contribuente, anche a mezzo raccomandata a/r, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31/12 del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini, devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, sia in forma immediata (ex articolo 17 del D. Lgs 18/12/1997, n. 472), ossia congiuntamente all’accertamento del tributo evaso, sia separatamente, mediante specifico atto di contestazione (ex articolo 16 del medesimo decreto). I tratti sostanziali della nuova disciplina consistono nell’aver portato a cinque anni il termine di decadenza entro il quale gli enti locali possono contestare ogni genere di irregolarità fiscale, utilizzando esclusivamente lo schema procedurale e formale dell’avviso di accertamento, mentre l’avviso di liquidazione viene soppresso. Per espressa previsione normativa, quindi, per le fattispecie di dichiarazioni incomplete o infedeli e per i parziali o ritardati versamenti dovranno essere emessi accertamenti in rettifica, mentre per le omesse dichiarazioni o per gli omessi versamenti dovranno essere emessi accertamenti d’ufficio. In sostanza, mentre l’attività di liquidazione, dal 1 gennaio 2007, è stata “centralizzata” in capo all’Agenzia delle Entrate, l’attività di accertamento Ici permane a carico dei Comuni che possono notificare al contribuente, ritualmente a mezzo lettera raccomandata, due tipi di avvisi di accertamento: - avviso di accertamento in rettifica con liquidazione dell’imposta dovuta, nei casi di: a) infedeltà, incompletezza o inesattezza delle dichiarazioni/denunce; b) parziali o ritardati versamenti; - avviso di accertamento d’ufficio per omessa presentazione della dichiarazione ed omesso versamento di imposta. Il comma 161, Legge Finanziaria 2007, ripropone, quindi, senza modificazioni le opportunità di accertamento (in rettifica e d’ufficio) che i Comuni già avevano fino al 2006 in forza dell’ora abrogato articolo 11, comma 2, D. Lgs n. 504/1992. In evidenza! Il comma 171, dell’articolo 1 della predetta legge n. 296/2006 dispone che le nuove disposizioni relative alla gestione dei tributi locali, tra cui la nuova procedura di accertamento, si applichino anche ai rapporti di imposta pendenti al 1 gennaio 2007, data di entrata in vigore della Legge Finanziaria. Applicando tale regola, pertanto, si giunge alla conclusione che per le annualità pendenti, si ha un’implicita proroga dei termini entro cui i Comuni potranno notificare ai contribuenti avvisi di accertamento in rettifica. Sul punto Con nota n. 11159/Dpf del 19 marzo 2007, l’Ufficio federalismo fiscale del dipartimento per le politiche fiscali ha chiarito che il termine decadenziale di cinque anni per la notifica dell’avviso di accertamento (decorrente, a seconda dei casi dalla data del pagamento o da quella di presentazione della dichiarazione), va “applicato anche ai rapporti pendenti al momento della data di entrata in vigore della norma in discorso, vale a dire il 1 gennaio 2007, e cioè per i rapporti per i quali non è ancora spirato il termine decadenziale entro il quale il comune deve notificare l’accertamento”. Sulla scorta di tale precisazione si potrebbe, quindi, ritenere preclusa, ai comuni, la possibilità di procedere al recupero dei tributi relativi a quelle annualità il cui termine decadenziale per la notifica degli atti impositivi era fissato, dalle previgenti disposizioni, al 31 dicembre 2006. A ben vedere, però, il 31 dicembre 2006 cadeva di domenica. Orbene, atteso che il terzo comma dell’articolo 2963 del codice civile, avente ad oggetto il computo dei termini di prescrizione, dispone che “se il termine scade il giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo”, ne consegue che al 1 gennaio 2007 non era ancora spirato il termine per la notifica dell’avviso di accertamento in quanto, in virtù del richiamato art. 2963 codice civile, scadente il 2 gennaio 2007. E così per effetto di tale fortuita coincidenza, si può parlare di una vera e propria proroga in quanto essa consente, agli enti impositori, di recuperare tributi locali afferenti a un’annualità che diversamente avrebbe visto precludere il loro potere accertativi alla fine del 2006. La proroga contenuta nel predetto comma 171 si pone, in realtà in piena violazione con la legge 27/07/2000, n. 212 . Al riguardo, giova sottolineare che non è certo la prima volta, anche dopo che nel nostro ordinamento ha fatto ingresso lo Statuto dei diritti del contribuente, la proroga dell’attività di accertamento dei tributi e, in particolare, in materia di Ici. In tutti i precedenti interventi (articolo 27, comma 9, legge n. 448/2001, articolo 31, comma 16, legge n. 289/2002, articolo 2, comma 33, legge n. 350/2003, articolo 1, comma 67, legge n. 311/2004) però, il legislatore aveva operato un’esplicita e giuridicamente necessaria deroga ai principi statutari. Infatti, il comma 3 dell’articolo 3 della legge n. 212/2000 stabilisce che i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati. Tuttavia, il comma 1 dell’articolo 1 della medesima legge prevede che i principi generali in essa contenuti possono essere derogati o modificati solo “espressamente dallo stesso legislatore”. E così le precedenti disposizioni di deroga esordivano sempre con la locuzione “in deroga alla disposizione del comma 3 dell’art. 3 della legge n. 212/200, i termini per la liquidazione e l’accertamento dell’Ici, che scadono il…sono prorogati al…”. Poiché il comma 171 cit. è privo di tale specificazione, la proroga da esso disposta è da ritenersi, ad avviso di chi scrive, del tutto illegittima. 7.2.1 Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in materia di motivazione degli avvisi di accertamento Il comma 162 dell’articolo 1 della Finanziaria 2007 stabilisce che tutti gli atti di accertamento devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati e che ad essi devono essere allegati eventuali altri atti non conosciuti né ricevuti dal contribuente, salvo che non ne venga riprodotto il contenuto essenziale. Gli accertamenti in rettifica e d’ufficio devono, quindi, obbligatoriamente, a pena di nullità, contenere l’indicazione: - delle motivazioni relative ai presupposti di fatto ed alle altre ragioni giuridiche poste a loro fondamento; - dell’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato; - del responsabile del procedimento; - dell’organo o dell’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto, in sede di autotutela; - del termine e dell’organo giurisdizionale cui è possibile ricorrere; - del termine di sessanta giorni entro cui effettuare il pagamento delle somme richieste a titolo di imposta, sanzioni, interessi; - della sottoscrizione del funzionario designato dall’ente locale per la gestione del tributo. La legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) ha, quindi, eplicitato, per la prima volta in materia di tributi locali, ciò che il comma secondo dell’articolo 7 della legge 27/07/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) prevede fin dal 2000: vale a dire che gli atti impositivi devono contenere, anche, l’indicazione dell’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato, del responsabile del procedimento, dell’organo o dell’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela. Sul punto La legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) ha correttamente dato piena applicazione ai principi contenuti nella legge 27/07/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) in materia di motivazione e chiarezza degli atti emessi dall’Amministrazione finanziaria, dagli Enti locali nonché dai concessionari della riscossione. In particolare, l’articolo 7 della legge n. 212/2000 cit. rubricato: “Chiarezza e motivazione degli atti” costituisce attuazione dei principi costituzionali di chiarezza e motivazione degli atti, di buon andamento, trasparenza ed imparzialità della pubblica amministrazione sanciti dall’articolo 97 della Costituzione. La predetta norma, stabilisce espressamente, al primo comma, che: “gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall’art 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione…”. La norma de qua statuisce, inoltre, espressamente che:” se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama.” La doverosa nonché necessaria allegazione dell’atto richiamato o presupposto, infatti, ha lo scopo di consentire al contribuente di ricostruire l’iter logico attraverso il quale l’Amministrazione esercita la sua potestà impositiva, e di verificarne la correttezza. Lo Statuto, dunque, ha posto dei punti fermi in ordine alla motivazione per relationem degli atti tributari, tanto più necessari quanto più frequente risulta essere la pratica, adottata dagli Uffici impositori, come nel caso di specie, di notificare al contribuente avvisi di accertamento fondati e redatti esclusivamente sulla scorta degli elementi ricavati da verbali effettuati da altri organi, nei quali la motivazione è costituita da un mero richiamo ai predetti verbali . L’articolo 7 della Legge n. 212/2000, pertanto, ha inteso assecondare e fare propria una nozione di motivazione, comprendente non solo le ragioni di diritto, ma anche i presupposti di fatto, e soprattutto, i passaggi logici che conducono dalle acquisizioni istruttorie alla decisione finale dell’Amministrazione. L’onere della motivazione, dunque, non può essere soddisfatto con un semplice e generico richiamo ad altri atti dai quali l’avviso trae origine, peraltro non allegati. A ciò si aggiunga che la doverosa nonché necessaria allegazione dell’atto richiamato o presupposto ha lo scopo di consentire al contribuente di ricostruire l’iter logico attraverso il quale l’Amministrazione esercita la sua potestà impositiva, e di verificarne la correttezza. Al riguardo, la Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 6201 del 22/03/2005 ha ribadito la necessità, in conformità ai principi sanciti dallo Statuto del contribuente, che qualora nella motivazione dell’avviso di accertamento si faccia riferimento ad altri atti questi debbano necessariamente essere allegati all’avviso. Una particolare attenzione merita la Legge 27/07/2000, n.212, soprattutto alla luce delle recenti pronunce della Cassazione. Al riguardo, giova sottolineare che lo Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212 del 27/07/2000, in Gazzetta Ufficiale 31 luglio 2000, n. 177, in vigore dal 1 agosto 2000), detta i principi generali dell’ordinamento tributario, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione (articolo 1, primo comma). La Corte di cassazione, infatti, con la sentenza n. 17576 del 10/12/2002 ha precisato che il tratto comune dei principi generali dell’ordinamento tributario contenuti nella legge n. 212/2000 “… è costituito dalla superiorità assiologia dei principi espressi o desumibili dalle disposizioni dello Statuto e, quindi, dalla loro funzione di orientamento ermeneutico, vincolante per l’interprete; in atri termini, il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla legge n. 212/2000, deve essere risolto, dall’interprete, nel senso più conforme ai principi statutari”. La stessa Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 216 del 06/07/2004, ha ribadito che le disposizioni dello Statuto rappresentano criteri di interpretazione della legislazione tributaria e che, pertanto, i giudici tributari devono fare diretta applicazione della citata legge n. 212/2000, valutando sempre la possibilità di una interpretazione adeguatrice della norma censurata, in senso conforme ai principi espressi dallo Statuto. Con la successiva sentenza n. 7080 del 14/04/2004, la Corte di Cassazione ha, altresì, precisato che il valore ermeneutico dei principi statutari si fonda su un duplice rilievo. In primo luogo, su quello secondo cui l’interpretazione conforme a Statuto si risolve, in definitiva, nell’interpretazione conforme alle norme costituzionali richiamate, che lo Statuto stesso dichiara esplicitamente di attuare nell’ordinamento tributario. In secondo luogo e, conseguentemente, su quello secondo cui alcuni dei principi posti dalla legge n. 212/2000 - proprio in quanto esplicitazioni generali, nella materia tributaria, delle richiamate norme costituzionali –debbono ritenersi “immanenti” nell’ordinamento stesso già prima dell’entrata in vigore dello Statuto e, quindi, vincolanti l’interpretazione adeguatrice a Costituzione; cioè, del dovere dell’interprete di preferire, nel dubbio, il significato e la portata della disposizione interpretata conformi a Costituzione. Tra i principi “immanenti”, la Cassazione, con esemplificazione non certo tassativa, fa rientrare quelli espressi dall’ articolo 7, in materia di chiarezza e motivazione degli atti (del quale si è già detto) e dall’articolo 10 della predetta legge. L’articolo 10 cit., rubricato: “Tutela dell’affidamento e della buona fede. Errori del contribuente” si compone di tre commi. Il primo, identifica nella collaborazione e nella buona fede i principi regolatori del rapporto fisco/contribuente ed, in effetti, esso così recita: “I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”. Quanto al comma secondo, esso prevede che “ non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa”. Tale disposizione tutela, dunque, l’affidamento da parte del contribuente nei confronti delle indicazioni fornite dall’Ente impositore, con particolare riguardo alle aspettative generate dal rispetto di un precedente orientamento ricevuto dall’Amministrazione finanziaria. Segnatamente, la tutela consiste nella mancata irrogazione al contribuente di sanzioni e di interessi moratori quando: - egli si sia conformato ad indicazioni contenute in atti attribuibili all’Amministrazione finanziaria, anche se successivamente modificate da parte della stessa; - il suo comportamento sia riconducibile a ritardi, omissioni o errori dell’Amministrazione. Il terzo ed ultimo comma, aggiunge che “le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito d’imposta. Le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto; in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria”. La non punibilità per obiettiva incertezza, in realtà, non costituisce una vera novità statutaria poichè erano già presenti all’interno del nostro ordinamento tributario una norma processuale (articolo 8, D.Lgs 31/12/1992, n. 546) e una relativa alle sanzioni amministrative (articolo 6, D.Lgs 18/12/1997, n. 472) ma il distinguo della norma statutaria di cui all’articolo 10 e, indubbiamente, quello di rappresentare una disposizione di carattere generale in seno ad una legge, qual è lo Statuto dei diritti del contribuente, che riveste la natura di “supernorma”. Orbene, la Corte di Cassazione, proseguendo nella linea della propria giurisprudenza, con numerose e recentissime pronunce, ha inteso valorizzare il principio del legittimo affidamento del cittadino, quale principio cardine dell’intero ordinamento giuridico. In particolare, con la sentenza n. 21513 del 06/10/2006, la Corte di Cassazione affronta il caso di un contribuente che aveva raggiunto un accordo con il Comune per il pagamento della Tarsu in misura ridotta. In seguito, l’Ente impositore, tornato inopinatamente sulla propria decisione, aveva emanato un avviso di accertamento con il quale, violando il predetto accordo, aveva recuperato la minor imposta versata dal contribuente, con conseguente lesione del principio del legittimo affidamento. Dall’impugnazione di questo avviso ad opera del contribuente aveva tratto origine il processo giunto in Cassazione. Di fronte alla Corte il Comune ricorrente aveva sollevato una serie di eccezioni tese a escludere dalla fattispecie oggetto di causa l’applicazione dei principi dello Statuto: perché questi principi si applicherebbero nei confronti dei Comuni solo in quanto fatti propri nei rispettivi regolamenti; l’accordo in questione sarebbe stato raggiunto prima dell’emanazione dello Statuto e la tutela dell’affidamento comporterebbe l’esonero da sanzioni e interessi e non da una parte del tributo. La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, ha replicato a ciascuno di questi punti, traendone altrettanti spunti di valorizzazione dello Statuto, soprattutto, con riguardo alle norme espressione di principi generali immanenti nel diritto; il Giudice di legittimità ha sottolineato che, il principio del legittimo affidamento, trovando origine nella Costituzione e, precisamente negli articoli 3, 23, 53 e 97, espressamente richiamati dall’articolo 1 dello Statuto, è “immanente” in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l’attività legislativa e amministrativa. La Cassazione, infatti, ha affermato che “…a differenza di altre norme dello Statuto, che presentano un contenuto innovativo rispetto alla legislazione preesistente, la previsione dell’articolo 10 è, dunque, espressiva di principi generali anche di rango costituzionale, immanenti nel diritto e nell’ordinamento tributario anche prima della legge n. 212/2000, sicché essa vincola l’interprete, in forza del canone ermeneutico dell’interpretazione adeguatrice a Costituzione, risultando così applicabile sia ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, sia ai rapporti fra contribuente ed ente impositore diversi dall’amministrazione finanziaria dello Stato, sia ad elementi dell’imposizione diversi da sanzioni ed interessi, giacché (e qui l’interpretazione della Corte è particolarmente interessante) i casi di tutela indicati dall’articolo 10, attinenti all’area dell’irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi, riguardano situazioni meramente esemplificative, legate ad ipotesi maggiormente frequenti, ma non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti”. La Suprema Corte, quindi, sulla base delle predette argomentazioni, ha precisato che il principio del legittimo affidamento posto dal contribuente a seguito di un accordo con l’ente impositore, mette al riparo dall’avviso di accertamento comunque motivato, a nulla rilevando la circostanza che l’accordo fosse o meno formalizzato; tutela ampia, insomma, quella riconosciuta dalla Cassazione al legittimo affidamento del contribuente. Massima valorizzazione dei principi espressi dall’articolo 10 dello Statuto anche nella sentenza n. 1949 del 30 gennaio 2007. Con la predetta pronuncia la Cassazione ha risolto il caso di una contribuente milanese che, per aprire una nuova attività in Valle d’Aosta, aveva chiesto all’ufficio locale l’attribuzione di partita Iva. L’amministrazione, pur sapendo che il domicilio fiscale della donna era a Milano, l’aveva concessa. Aveva, inoltre, ricevuto le dichiarazioni Iva presentate, senza fare alcuna obiezione. Solo dopo l’amministrazione si era resa conto della sua incompetenza e aveva trasmesso le dichiarazioni a Milano. Dall’ufficio meneghino, però, era già partito un avviso di accertamento “per omessa presentazione”. Contro questi atti la contribuente ha fatto ricorso al giudice tributario lamentando che l’errore non era dipeso da lei ma dall’ufficio di Aosta. L’ultimo giudizio di merito si era, però, concluso con l’affermazione della validità dell’accertamento. La Corte di Cassazione, dopo un attento esame delle norme applicabili al caso in oggetto, fra cui lo Statuto del contribuente e i più alti principi costituzionali, ha affermato che “…è indubbio che non possa ritenersi omessa dal contribuente, perché pervenuta all’ufficio competente con ritardo di oltre 30 giorni, la dichiarazione Iva tempestivamente presentata dal contribuente ad ufficio territorialmente incompetente, da questo ricevuta senza obiezione di sorta, benchè si trattasse d’incompetenza riscontrabile già sulla base dei soli dati contenuti nelle dichiarazioni presentate, e, solo successivamente (oltre il termine utile per la presentazione della dichiarazione), trasmessa all’ufficio competente, in ossequio - tardivo e successivo al radicamento nel contribuente del ragionevole affidamento circa la tempestività del proprio operato e l’assoluzione da ogni decadenza - al dovere di rimessione”. La decisione dei giudici della sezione tributaria poggia, quindi, ancora una volta, sul principio di affidamento, buon fede e collaborazione che deve sempre caratterizzare i rapporti tra fisco e contribuente, quale principio cardine del nostro ordinamento, di rango costituzionale e, come tale, applicabile anche ai rapporti precedenti alla data di entrata in vigore dello Statuto. Al predetto principio si è ispirata, altresì, la Cassazione nella sentenza n. 5951 del 14 marzo 2007; nella pronuncia de qua il Supremo Collegio ha precisato che “…l’avviso di mora, notificato dalla società di riscossione e non preceduto da quello di accertamento, può essere contestato a un ufficio qualunque dell’amministrazione finanziaria locale. E se il contribuente sbaglia a citare in giudizio l’ufficio competente, non precisato nell’avviso di mora, quest’ultimo è obbligato a trasmetterlo a quello competente”. La Cassazione ha, ribadito che “la conclusione propugnata dall’amministrazione per errata evocazione dell’ufficio, ove accolta, finirebbe per contrastare con i più elementari criteri di affidamento del contribuente codificati dallo Statuto”. Merita, inoltre, menzione la pronuncia della Cassazione del 26/01/2007, n. 1710 nella quale la Corte, sebbene chiamata a pronunciarsi su una diversa questione (la fattispecie sottoposta all’esame del Giudice di legittimità riguardava la delicata e spinosa questione della sindacabilità o meno, in sede giudiziaria, del potere di autotutela degli uffici finanziari), ha, comunque, precisato che l’Amministrazione finanziaria, nelle ipotesi in cui il contribuente lamenta una duplicazione di imposta, deve sempre accertarsi e verificare la fondatezza e veridicità delle affermazioni del contribuente, in ossequio ai fondamentali principi statutari di affidamento e buona fede. 7.2.2 Le novità della legge 27 dicembre 2006, n. 296 in materia di notifica degli avvisi di accertamento Per la notifica degli avvisi di accertamento nonché per gli atti afferenti le procedure esecutive di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, nonché per gli atti di invito al pagamento delle entrate extratributrie, l’articolo 1, commi 158-160 della legge n. 296/2006 cit. prevede la facoltà per i comuni, ferme restando le disposizioni vigenti, di nominare, con provvedimento dirigenziale, uno o più messi notificatori, scelti tra: - i dipendenti dell’amministrazione comunale o provinciale; - i dipendenti dei soggetti ai quali l’ente ha affidato, anche disgiuntamente, la liquidazione, l’accertamento e la riscossione dei tributi e delle altre entrate ex art. 52, co. 5, lett. b) del D. Lgs 15/12/1997 n. 446, e successive modificazioni; - soggetti che, per qualifica professionale, esperienza, capacità ed affidabilità, forniscano idonea garanzia del corretto svolgimento delle funzioni assegnate. In ogni caso, prima della nomina, i soggetti prescelti devono partecipare ad apposito corso di formazione e qualificazione, organizzato a cura dell’ente locale, e superare un esame di idoneità. I messi notificatori dovranno esercitare le proprie funzioni esclusivamente nell’ambito territoriale di competenza dell’ente locale che li ha nominati e saranno diretti e coordinati dall’ente stesso, ovvero dai soggetti affidatari della gestione del servizio di liquidazione, accertamento e riscossione delle entrate locali. Capitolo 8 Riscossione coattiva dell’imposta L’articolo 12 del D.Lgs n. 504/1992, rubricato: “Riscossione coattiva” stabilisce espressamente che “Le somme liquidate dal comune, per imposta, sanzioni ed interessi, se non versate, con le modalità indicate nel comma 3 dell’articolo 10, entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione dell’avviso di liquidazione o dell’avviso di accertamento, sono riscosse, salvo che sia stato emesso provvedimento di sospensione, coattivamente mediante ruolo secondo le disposizioni di cui al D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, e successive modificazioni”. La norma de qua è stata oggetto di modifiche ad opera dell’articolo 1, comma 173, lett. e) della legge 27 dicembre n. 296 che, in primis, ha sostituito le parole “novanta giorni” con le parole “sessanta giorni”. Conseguentemente, a partire dal 1 gennaio 2007, decorso il predetto termine, il comune provvederà alla riscossione coattiva, a titolo definitivo, delle somme liquidate per imposta, sanzioni ed interessi. La riscossione coattiva avviene mediante la formazione di un ruolo che costituisce titolo esecutivo e che è portato a conoscenza del contribuente mediante la notifica di una cartella di pagamento ai sensi e per gli effetti dell’articolo 25 del D.P.R. 29/09/1973, n. 602. In evidenza! Con l’introduzione delle disposizioni del D.L., 04/07/2006, n. 223, conv.con mod. con L. 04/08/2006, n. 248 in materia di notifiche ed iscrizioni a ruolo, i concessionari della riscossione, per poter correttamente esercitare le loro funzioni di esazione, dovranno necessariamente utilizzare la nuova cartella di pagamento, il cui impiego è oramai scattato a partire dal 25 marzo 2007, secondo il modello predisposto con il provvedimento Agenzia delle Entrate 13 febbraio 2007 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 21 febbraio 2007, n. 43). Il Legislatore tributario si è proposto di mettere a disposizione del contribuente uno strumento di facile consultazione, in modo da prevenire qualsivoglia elemento di fraintendimento od indeterminatezza, in ordine all’entità ed alle modalità di versamento degli importi dovuti nonché alle conseguenze derivanti dall’omessa corresponsione delle somme richieste dai concessionari. Termini di formazione del ruolo: il medesimo art. 1, comma 173, lett. e) ha, inoltre, abrogato il secondo periodo dell’articolo 12 che prevedeva un termine biennale per l’esecutività dei ruoli di riscossione coattiva dell’Ici. Notifica del titolo esecutivo: di grande rilievo appare, comunque, la novità introdotta dal comma 163 dell’art. 1 della Finanziaria 2007 che ha stabilito che, a partire dal 1 gennaio 2007, nel caso di riscossione coattiva, il titolo esecutivo debba essere notificato al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello cui in cui l’accertamento è divenuto definitivo, il che può avvenire per mancata opposizione allo stesso, ovvero a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il contenzioso tributario insorto tra amministrazione e contribuente. La dizione “titolo esecutivo” sottende un chiaro riferimento sia alla cartella di pagamento di cui all’articolo 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, sia all’ingiunzione fiscale di cui all’articolo 2 del R.D. n. 639/1910, che taluni enti locali, avvalendosi della potestà regolamentare generale introdotta dall’articolo 52 del D. Lgs 15 dicembre 1997, n. 446, hanno scelto di adottare per l’attività di riscossione svolta in proprio o affidata a società miste, ad ex aziende speciali, a concessionari locali iscritti all’albo di cui al comma 3 dell’articolo 53 del medesimo decreto. Sul punto La previsione da parte del Legislatore, di un termine certo e definito, a pena di decadenza, per la notifica al contribuente del titolo esecutivo, rappresenta certamente una scelta corretta perché diretta a tutelare il diritto di difesa del contribuente che si vede, altrimenti, esposto, ingiustamente, per un tempo indeterminato, all’azione del Fisco. Al riguardo, giova sottolineare che la questione in oggetto è stata già affrontata, in materia di tributi erariali, dalla Corte Costituzionale. Il Giudice delle leggi, infatti, con la sentenza 15 luglio 2005, n. 280 ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell’articolo 25 del D.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lett. b), del D. Lgs. n. 193 del 27 aprile 2991, nella parte in cui non prevedeva un termine decadenziale per la notifica della cartella di pagamento delle imposte liquidate ex articolo 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n .600 per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione. Il Giudice delle leggi, infatti, ha sottolineato la necessità di un termine perentorio, a pena di nullità, entro il quale i concessionari devono provvedere alla notifica della cartella di pagamento così da non lasciare il contribuente soggetto indefinitamente all’azione esecutiva del Fisco. In ossequio alle indicazioni fornite dalla Consulta, poi, il Legislatore con l’articolo 1, comma 5 ter, del Decreto Legge n. 106 del 17 giugno 2005, convertito dalla Legge n. 156 del 31 luglio 2005 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 184 del 9 agosto 2005) ha, poi, modificato l’articolo 25 del D.P.R. n. 602/1973 (da ultimo mod. con l’art. 37, comma 40, del D.L. 04 luglio 2006, n. 223, convertito, dalla legge 04 agosto 2006, n. 248) che ora prevede termini precisi e certi, a pena di decadenza, per la notifica della cartella di pagamento. Capitolo 9 Le Agevolazioni 9.1 Esclusioni Si considerano escluse dall’ambito di applicazione dell’imposta comunale sugli immobili, tutte quelle fattispecie che il legislatore non ha voluto attrarre a imposizione, perché non concorrenti alla realizzazione del presupposto d’imposta di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. Uno dei casi di esclusione dal campo di applicazione dell’imposta previsto dalla legge (art. 4 del D. Lgs 30 dicembre 1992, n. 504) riguarda gli immobili posseduti dai comuni, quando la loro superficie insiste interamente o prevalentemente sul territorio del comune stesso. In caso di variazione delle circoscrizioni territoriali dei comuni, si fa riferimento alla situazione al 1 gennaio dell’anno di imposizione. Sono, altresì, esclusi dall’Ici i terreni incolti, diversi dalle aree fabbricabili, sui quali le attività agricole sono esercitate in forma non imprenditoriale (si pensi, ad es. ai c.d. orticelli, coltivati in modo occasionale senza strutture organizzative) e i manufatti precari privi di fondazione non stabilmente infissi al suolo. In evidenza! L’articolo 1-quinquies del decreto legge 31 marzo 2005, n. 44 convertito dalla legge 31 maggio 2005, n. 88 ha fornito una interpretazione autentica delle modalità di accatastamento delle centrali elettriche. In particolare è stato disposto che: “Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 4 del regio decretolegge 13 aprile 1939, n. 652, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249, limitatamente alle centrali elettriche, si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi dell’articolo 10 del citato regio decreto-legge, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo. Giurisprudenza • Le centrali elettriche devono scontare l’Ici anche sulle turbine. La norma di riferimento è rappresentata dall’articolo 1-quinquies, D.L. n. 44/2005 (aggiunto alla legge di conversione n. 88/2005), il quale dispone che per quanto riguarda le centrali elettriche concorrono alla determinazione della rendita gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale anche se non incorporati fisicamente al suolo (Corte di Cassazione, sentenza n. 13319 del 07/06/2006). • Le centrali elettriche non possono escludere le turbine dal computo della rendita catastale ai fini Ici (Corte di Cassazione, sentenza n. 24064 del 10 novembre 2006). • Ai fini Ici, nel calcolo della rendita catastale delle centrali idroelettriche concorrono anche gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell’attività industriale anche se fisicamente non incorporati al suolo (Commissione tributaria regionale della Lombardia, sentenza 27 dicembre 2005, n. 131). • La Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, con ordinanza n. 16/13/06, depositata il 13/07/06, ha rimesso alla Corte costituzionale il giudizio sull’articolo 1quinquies del D.L. n. 44 del 31/03/05, convertito nella legge n. 88 del 31/05/05(in relazione alla diatriba sulla rilevanza ai fini catastali e quindi Ici, delle turbine delle centrali elettriche). In particolare, il Giudice del merito ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale del predetto articolo 1-quinquies sotto i seguenti profili: - nella parte in cui avendo sostanzialmente efficacia retroattiva si pone al di fuori degli ordinari criteri di ragionevolezza, ed in violazione del diritto di difesa e delle attribuzioni del potere giudiziario (la norma censurata disponendo anche per il passato impone una scelta interpretativa che non si rinviene minimamente tra le “possibili varianti di senso del testo letterario”, vincolando un significato non ascrivibile alla norma anteriore); - nella parte in cui tratta in maniera disomogenea fattispecie sostanzialmente identiche senza alcun criterio apparente di ragionevolezza (tale disposizione tratta in maniera profondamente disomogenea fattispecie economicamente identiche nel limitare la sua efficacia interpretativa ai soli soggetti che esercitano centrali elettriche e non a tutti gli operatori industriali). 9.2 Esenzioni (articolo 7 del D.Lgs 30 dicembre 1992, n. 504) Sono esenti da Ici per il periodo dell’anno durante il quale si verificano le condizioni prescritte: 1) (art.7, primo comma, lett. a) gli immobili destinati esclusivamente all’uso istituzionale posseduti dallo Stato, dagli enti locali, dalle comunità montane, dai consorzi tra gli enti precedenti, dalle aziende sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome (art. 41 L. 23/12/1978, n. 833), dalle Camere di commercio. L’esenzione è relativa anche agli immobili, di proprietà di un Comune la cui superficie insiste interamente o prevalentemente sul territorio di un altro Comune. Il Comune può disporre l’esenzione anche per immobili degli enti sopra citati non destinati esclusivamente ai compiti istituzionali (art. 59, c .1, lett. b), D. Lgs 446/1997). L’esenzione degli immobili destinati ai compiti istituzionali posseduti dai consorzi tra enti territoriali si deve intendere applicabile anche ai consorzi tra enti territoriali ed altri enti che siano individualmente esenti ai sensi dello stesso art. 7 D. Lgs 504/1992 (art. 31, c. 18, L. 27/12/2002, n. 289). Giurisprudenza • L’articolo 7, comma 1, lett. a) del D.Lgs n. 504/1992 prevede l’esenzione dall’Ici per quegli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni, nonché dagli altri enti elencati nell’articolo steso, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali. Spetta a che richiede il beneficio provare tale condizione. La locuzione “compiti istituzionali” non deve, però, essere confusa con quella di “servizio pubblico” poichè, i primi costituiscono la ragion d’essere dell’ente locale e, pertanto, possono essere svolti solo da quest’ultimo. Il servizio pubblico, invece, può essere svolto anche da un privato. In considerazione di questo, la fornitura di energia elettrica comunale da parte di una spa non può godere dell’esenzione dall’Ici poichè, pur costituendo un servizio pubblico, non può essere ricompressa fra i compiti istituzionali (Corte di Cassazione,, sez. trib. sentenza 10 dicembre 2007, n. 25799; Corte di Cassazione, sez. trib. sentenza 15 novembre 2007, n. 23698). La Cassazione con le predette pronunce ha chiarito che per ottenere l’esenzione Ici di un immobile funzionale al servizio pubblico locale, occorre che il bene sia di un ente pubblico e che l’attività svolta sia destinata esclusivamente a fini istituzionali. La Cassazione ha giudicato in tal modo le pretese di una società che eccepiva il non assoggettamento al tributo in quanto gli immobili, essendo destinati alla produzione di energia elettrica, dovevano essere considerati funzionali al servizio pubblico locale. Nella sentenza si legge che l’esenzione non può essere accordata in funzione di quanto disposto dall’articolo 7, comma 1, lettera a) del D,.Lgs n.504/1992 che, per l’appunto, prevede l’esclusione dal versamento solo per gli immobili posseduti dallo Stato e da altri enti pubblici purchè destinati esclusivamente a compiti istituzionali. E sono proprio queste finalità al centro della decisione della Cassazione. Secondo la Corte, infatti, non è possibile assimilare il servizio pubblico quale la produzione di energia, che di fatto è destinata alla comunità, con i compiti istituzionali che hanno tutt’altra natura e di certo non possono essere effettuati da imprese private, finalizzate esclusivamente allo svolgimento di attività commerciali. • L’ente pubblico gode dell’esenzione Ici quando è proprietario di un bene che ha utilizzato per fini istituzionali suoi propri. Non ha diritto all’agevolazione, invece, quando i locali sono messi a disposizione di un altro ente pubblico per il suo fine istituzionale. Il fatto che l’uso del bene sia stato previsto in una legge non esenta dal tributo(Corte di Cassazione, sentenza n. 22157 del 16 ottobre 2006). Con la sentenza n. 22157 del 16 ottobre 2006, la Cassazione ha accolto il ricorso del comune di Teramo contro la provincia perché questa non aveva pagato il tributo su un immobile di sua proprietà ma che, per legge, aveva dovuto dare in uso al provveditorato agli studi per i suoi fini istituzionali. Dunque, l’articolo 7 del D.Lgs n. 504/1992 che contempla i casi di esenzione è stato applicato restrittivamente perché, a dire della Cassazione, si tratta di una norma eccezionale e, quindi, “preclude una interpretazione estensiva o analogica della disposizione in esame”. In particolare, il primo comma dichiara “esenti dall’imposta, tra gli altri, gli immobili posseduti dalle province, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali”. In sostanza, la norma di esenzione richiede, alla stregua del suo in equivoco tenore letterale, che “l’immobile sia adibito a un compito istituzionale dello stesso ente che lo possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale e non a compiti istituzionali di soggetti pubblici diversi, cui pure l’ente proprietario abbia in ipotesi l’obbligo, per disposizione di legge, di mettere a disposizione l’immobile, restando, però, del tutto estraneo alle funzioni ivi svolte”. • L’ente pubblico deve fornire la prova dell’utilizzo a fini esclusivamente istituzionali dell’immobile per cui è richiesta l’esenzione dall’imposta (Corte di Cassazione, sentenza 24 settembre 2003, n. 14146). 2) (art.7, primo comma, lett. b) i fabbricati del gruppo E (fabbricati a destinazione particolare) Novità del D.L. n. 262/06, convertito in legge 24 novembre 2006, n. 286 (collegato alla Finanziaria 2007) L’articolo 2, commi 40 e 41 del collegato alla Finanziaria 2007 ha disposto che “nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6, ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale. Gli accertamenti sui fabbricati di categoria E avranno effetti, a decorrere già dal 1 gennaio 2007, sul pagamento delle imposte erariali e dell’Ici. La norma in oggetto ha, altresì, disposto che le unità immobiliari con le caratteristiche dell’autonomia funzionale siano dichiarate in Catasto da parte degli interessati entro nove mesi dall’entrata in vigore del decreto e, dunque, entro il 03 luglio 2007. In caso contrario, saranno soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa, oltre che alle sanzioni per la violazione di norme tributarie. Con la circolare n. 4 del 13 aprile c.a., l’Agenzia del Territorio ha dato le prime indicazioni per far emergere gli immobili o le porzioni di immobili destinati a uso commerciale, industriale, a ufficio privato o ad altri usi, nel caso in cui questi presentino “autonomia funzionale o reddituale”. Giurisprudenza • In assenza di un autonomo criterio di determinazione dei limiti del territorio comunale, debbono valere in materia le stesse regole dettate in tema di demarcazione del territorio nazionale, atteso che non sussistono elementi che possano far ritenere il territorio comunale come entità diversa, dal punto di vista qualitativo, dal territorio nazionale; sulla base di tali principi, gli immobili realizzati su piattaforme costruite sul mare territoriale possono ritenersi assoggettabili all’imposta comunale sugli immobili (Corte di Cassazione, sentenza 27 giugno 2005, n. 13794). Sentenza pregevole e di grosso interesse dogmatico, ma da leggere ed interpretare con grande attenzione; sarebbe, infatti, erroneo dedurre dalla massima che precede la conclusione che le piattaforme petrolifere sono tout- court assoggettabili ad Ici; questa valutazione, infatti, è stata rinviata dalla Cassazione ad un nuovo vaglio dei Giudici del merito la quale sarà vincolata solo alla regola basilare che gli immobili realizzati su territorio demaniale non sono esclusi dall’ambito di applicazione dei tributi locali- e dell’Ici in particolare- in quanto nessuna norma di legge esclude i beni del demanio statale dai poteri spettanti sugli stessi beni da parte dei Comuni. Il principio base affermato dalla Corte di cassazione, infatti, è il seguente: il territorio nazionale non è un’entità diversa e avulsa dalle successive demarcazioni dello stesso territorio in regioni, province e comuni; anche per l’Ici, il concetto è ben chiarito dall’articolo 1 del D. Lgs 30 dicembre 1992, n. 504 “Presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato”. 3) (art.7, primo comma, lett. c) i fabbricati con destinazione a usi culturali esenti dall’Irpef e Irpeg (sedi aperte al pubblico di musei, biblioteche, archivi, ecc.) - art. bis, D.P.R. 601/1973. 4) (art.7, primo comma, lett. d) i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio di culti ammessi dallo Stato e loro pertinenze Giurisprudenza • Gli immobili appartenenti ad enti ecclesiastici e destinati prevalentemente e non occasionalmente ad attività commerciale (ad es. la casa di cura e il pensionato per donne anziane o studentesse), non sono esenti in quanto rientrano nella lettere b) dello stesso articolo 16 della legge n. 222 del 1995 e non nella lettera a). Ciò che rileva ai fini dell’esenzione, infatti, non è la natura dell’ente, bensì, l’attività in concreto esercitata, con conseguente applicazione dell’esenzione soltanto agli immobili utilizzati per lo svolgimento delle attività istituzionali (Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza n. 4645 dell’08/03/2004). 5) (art.7, primo comma, lett. e) i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli artt. 13, 14, 15 e 16 del Trattato Lateranense 11/02/1929. Con la L. 01/08/2003, n. 206 gli oratori e gli enti equiparati si considerano, ai fini Ici, opere di urbanizzazione secondaria al pari di pertinenze degli edifici di culto. 6) (art.7, primo comma, lett. f) i fabbricati di Stati esteri e di organizzazioni internazionali per i quali era prevista l’esenzione Ilor in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia. 7) (art.7, primo comma, lett. g) i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e recuperati per attività assistenziali di cui alla legge 05/02/1992, n. 104 per il periodo di impiego diretto per tali finalità. 8) (art.7, primo comma, lett. h) i terreni agricoli ricadenti nelle aree montane o di collina di cui all’articolo 15 L. 27/12/1977, n. 984; l’elenco dei Comuni sul cui territorio i terreni agricoli sono esenti da Ici è stato pubblicato in allegato alla C.M. 14/06/1993, n. 9/249 in S.O. n. 53 alla G.U. n. 141 del 18/06/1993. Per l’area fabbricabile posseduta ed effettivamente utilizzata per uso agricolo dal coltivatore diretto o imprenditore agricolo Giurisprudenza • Il regime dell’Ici e delle relative sanzioni non può essere ricavato dalla disciplina normativa regolante l’imposizione diretta (artt. 29, 24, 51 e 87, ora rispettivamente, artt. 32, 27, 55 e 73 del T.U.I.R.), bensì, dalle disposizioni specificatamente inerenti alla stessa imposta, cioè gli artt. 7 del D. Lgs n. 504/1992 e 9, commi 3 e 3-bis, del D. L n. 557/1993 (convertito con legge n. 133/1994), che, con riferimento al periodo interessato, non distinguevano, ai fini dell’esenzione per gli immobili utilizzati nel settore agricolo, tra “imprenditore agricolo - persona fisica” e “imprenditore agricolo società”. E’, quindi, sufficiente, per godere dell’esenzione, la sussistenza delle condizioni oggettive della strumentalità dei fabbricati e dell’insistenza del terreno in area montana o collina esente (Corte di Cassazione, sez .trib., sentenza 07 giugno 2006, n. 13334). La Corte di Cassazione, sez. trib., con la sentenza 07 giugno 2006, n. 13334, si è pronunciata, in modo estremamente chiaro e preciso, in merito ad una delicata problematica di natura soggettiva in materia di Ici. In particolare, la Cassazione ha affrontato la questione relativa ai fabbricati rurali che, in quanto ricadenti in area montana (o collinare), risultano esenti da Ici ex art. 7, primo comma, lett. h), del D.Lgs 30 dicembre 1992, n. 504. Al riguardo, il Giudice di legittimità ha precisato che i predetti fabbricati sono esenti dall’imposta, senza che, a tal fine, debba concorrere il requisito soggettivo afferente la forma personale, societaria o cooperativa dell’imprenditore agricolo, valutabile, invece, ai fini dell’imposizione diretta del redito agrario o dominicale; 9) (art.7, primo comma, lett. i) gli immobili di enti non commerciali, pubblici e privati, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive ovverosia attività che non hanno esclusiva natura commerciale. L’articolo 7, primo comma, lett. i) del D. Lgs n. 504/1992 statuisce l’esenzione dall’imposta, quindi, per: “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917(ora art. 73) e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222.” Le attività di cui all’articolo 16, lett. a), L. 222/1985 sono le attività di religione o di culto, quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana. In evidenza! Per anni si è dibattuto se la suddetta esenzione Ici, in relazione a determinate attività svolte da enti non profit, fosse applicabile o meno nel caso in cui le medesime attività avessero natura commerciale. L’articolo 7, c. 2-bis, del D. L 30/09/2005, n. 203, convertito con modifiche con legge 02/12/2005, n. 248 (Collegato fiscale alla Finanziaria 2006) autentica, aveva dipanato la questione, estendendo tale esenzione agli immobili in cui si svolgevano le attività di cui sopra ancorché le medesime avessero natura commerciale. In particolare, tale disposizione stabiliva che l’esenzione disciplinata dall’articolo 7, c. 1, lett. i), D. Lgs n. 504/1992 si intendeva applicabile alle attività indicate nelle medesima lettera, svolte a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse. * Diverse Commissioni tributarie stanno sostenendo che quella dettata dall’articolo 7, c. 2-bis, del D. L 30/09/2005, n. 203 costituisca l’interpretazione autentica di quanto il legislatore ha stabilito con l’articolo 7, primo comma, lett.i) del D.Lgs n.504/1992. Di diverso avviso è, invece, la Commissione tributaria regionale di Napoli che con la sentenza n. 266/9/07 ha negato l’efficacia retroattiva della predetta disposizione, in considerazione del fatto che la norma originaria è oggettivamente chiara nel delimitare l’esenzione ai soli casi di attività di pubblico interesse svolte senza fine di lucro. Orbene, l’articolo , c.2- bis cit. è stato da ultimo sostituito dall’articolo 39, D.L. 04/07/2006, n. 223, conv. con mod. in legge 04/08/2006, n. 248, nel senso che l’esenzione disposta dall’articolo 7, c. 1, lett. i), D. Lgs n. 504/1992 si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale. Giurisprudenza La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5485 del 29 febbraio 2008 ha precisato che l’esenzione Ici prevista dall’articolo 7, comma 1, lett.i) del D.Lgs n.504/1992 è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate dal legislatore ai fini dell’esenzione, e di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (di cui all’articolo 87-ora 73-comma 1, lett.c, del TUIR cui l’art.7 rinvia). La sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunta sulla sola base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo, invece, verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale. E’, peraltro, errato affermare- per escludere evidentemente il carattere commerciale, che l’attività svolta dall’ente non eccede i costi relativi alla produzione del servizio. Infatti, ha carattere imprenditoriale l’attività economica, organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi ed esercitata in via esclusiva o prevalente, che sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, che riguarda il movente soggettivo che induce l’imprenditore ad esercitare la sua attività. • L’esenzione Ici prevista dall’articolo 7, comma 1, lett. i), D.Lgs n.504/1992, opera se è presente un requisito oggettivo consistente nello svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o altre attività equiparate e un requisito soggettivo consistente nello svolgimento di tali attività da parte di ente pubblico o privato che non abbia come oggetto attività commerciali. La sussistenza del requisito oggettivo va vagliata verificando che l’attività, pur essendo esente, non sia svolta con modalità relative ad un’attività commerciale (Corte di Cassazione, sez.trib. sentenza 29 febbraio 2008, n.5485; Corte di Cassazione, sentenza n. 23703 del 15/11/2007). • Le società commerciali non godono dell’esenzione Ici neanche quando gli immobili di loro proprietà siano destinati a scopi socialmente utili (Corte di Cassazione, sentenza n. 18838 del 30 agosto 2006). La Corte di Cassazione con la sentenza n. 18838 del 30 agosto 2006 ha chiarito che l’articolo 7, primo comma, lett. i) del D. Lgs n. 504/1992 esige, ai fini dell’esenzione Ici, la duplice condizione dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari, che non siano produttive di reddito. Inoltre, la stessa norma preclude il godimento del beneficio alle società commerciali, anche se nelle loro finalità sociali rientrasse quella di adibire immobili a scopi socialmente utili. • L’esenzione Ici - prevista per gli enti non commerciali dall’articolo 7, lettera i) del D. Lgs n. 504/1992 - presuppone che l’ente, oltre che utilizzatore dell’immobile, ne sia anche possessore, pur in assenza di disposizioni specifiche del regolamento comunale (Corte Costituzionale, 19 dicembre 2006, ordinanza n. 429; Corte Costituzionale, 26/01/2007, n.19). In base all’articolo 7, lett. i) sono esenti da Ici gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali, destinati esclusivamente alle attività ivi indicate. L’articolo 59, lettera c) del decreto legislativo 446/1997 dispone che i Comuni possono con proprio regolamento stabilire che l’esenzione si applichi esclusivamente ai fabbricati e “a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale”. Secondo l’interpretazione più diffusa, suffragata anche dalle Finanze, la clausola regolamentare avrebbe la finalità di restringere l’esenzione degli enti non commerciali sotto due profili 1) limitandola ai soli fabbricati; 2) imponendo il possesso del bene da parte degli stessi enti, nel presupposto che per l’articolo 7 fosse sufficiente l’utilizzo. La Corte di Cassazione, con ordinanza del 30 maggio 2005. n. 11426, ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale del predetto art. 59, lettera c) cit. con riferimento agli articoli 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione. La Cassazione ha ritenuto che “… se il legislatore del D. Lgs n. 446/1997 ha stabilito che i Comuni possono disporre, in sede regolamentare, la fruibilità dell’esenzione dall’ Ici da parte degli enti non commerciali alla sola condizione che risultino, oltrechè utilizzatori, anche possessori degli immobili destinati alle varie attività consentite, significa che, in base alla norma statale non era richiesto il duplice requisito agli stessi fini….”; di qui, le conseguenti valutazioni sulla irragionevolezza della nuova disposizione sotto i vari profili di costituzionalità rilevati. La Corte Costituzionale, ha, però, dichiarato infondata la predetta questione. Secondo la Consulta, infatti, l’articolo 59 avrebbe lo scopo da un lato di limitare l’esenzione ai soli fabbricati, dall’altro di confermare il requisito secondo cui l’ente no profit deve anche possedere l’immobile. Il quadro che si delinea sembra, quindi, definitivo. A prescindere dai regolamenti comunali, in tutti i casi in cui un immobile è posseduto da un soggetto diverso da un ente non commerciale, l’esenzione dell’articolo 7, lett. i) non spetta mai e l’Ici va pagata. Giurisprudenza • L’arma dei carabinieri non può ritenersi compresa tra quei soggetti passivi dell’imposta di cui all’art. 87, comma 1, lett. c), ai quali l’art. 7, primo comma, lett .i) fa riferimento. Ne discende che gli immobili (nel caso di specie una caserma) ad essa concessi, a qualsiasi titolo, in uso, non possono rientrare, in via generale, nella previsione del predetto art. 7, primo comma, lett. i) (Corte di Cassazione, sentenza n. 21382 del 04/10/2006). • Gli alloggi di edilizia residenziale pubblica posseduti dall’ex Istituto Autonomo per le Case Popolari (IACP)non hanno diritto all’esenzione Ici prevista dall’articolo 7, primo comma, lett. i) D. Lgs n. 504/1992 (Corte di Cassazione, sentenza n. 8640 del 26 aprile 2005). In evidenza! La Corte Costituzionale ha, più volte, risolto la questione di legittimità costituzionale del D. Lgs n. 504/1992 nella parte in cui non prevede l’esenzione per gli alloggi degli IACP, nel senso della non illegittimità della predetta norma per mancanza di violazione degli articoli 2,3, 53 e 76 della Costituzione. • L’esenzione dall’Ici prevista dall’articolo 7, primo comma, lett. i) del D. Lgs n. 504/1992, è subordinata alla rilevazione presso gli immobili posseduti da enti non commerciali di una delle attività elencate in via tassativa da tale norma e con riferimento alla sola attività espletata di fatto (e non anche a quella prevista nello statuto dell’associazione proprietaria dell’immobile), dovendosi negare il riconoscimento del beneficio allorquando si rilevi che l’attività non sia esclusiva, per il divieto di interpretazioni analogiche o meramente estensive delle previsioni in materia di esenzioni tributarie (Corte di Cassazione, sentenza 20 maggio 2005, n. 10646). In evidenza! Con la sentenza del 24 febbraio 2006, n. 75, la Corte Costituzionale ha precisato che l’Ici, in quanto tributo erariale, è istituita da legge dello Stato e da questa disciplinata. Neppure le regioni a statuto speciale possono, quindi, intervenire nella disciplina di tale tributo. Sono, pertanto, incostituzionali quelle norme delle regioni (anche a statuto speciale) che introducano casi di esenzione dall’Ici non previsti da legge dello Stato. In evidenza! L’espropriazione non implica esenzione dall’Ici La Cassazione con la sentenza 19131 del 12 settembre 2007 ha affermato che l’Ici è dovuta su un’area edificabile, anche se sottoposta a vincolo urbanistico e destinata a esproprio. Per i giudici di legittimità, infatti, la normativa Ici “in nessun modo ricollega il presupposto dell’imposta all’idoneità del bene a produrre reddito o alla sua attitudine a incrementare il proprio valore o il reddito prodotto” (Corte di Cassazione, sez.trib. sentenza 12 settembre 2007, n.19131) 9.3 Riduzioni e detrazioni dall’imposta Il beneficio fiscale delle agevolazioni tributarie può anche riguardare ipotesi di una minore liquidazione dell’imposta netta da versare rispetto a quella ordinariamente dovuta o attraverso la previsione di una diretta riduzione dell’imposta dovuta ovvero attraverso l’applicazione di un’aliquota ridotta rispetto a quella normale. In materia di Ici il legislatore ha previsto diverse forme di riduzione dell’imposta, fissando una percentuale di riduzione in ragione: delle caratteristiche dei fabbricati, della destinazione degli stessi, delle condizioni economiche-sociali del proprietario o dei terreni posseduti e condotti da particolari soggetti. In particolare, l’articolo 8 dispone riduzioni d’imposta per: 9.3.1 Riduzioni per i fabbricati inagibili o inabitabili Per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatti non utilizzati, l’articolo 8 prevede una riduzione dell’imposta del 50%, limitatamente al periodo durante il quale sussistono le suddette condizioni. Per poter usufruire della riduzione occorre l’accertamento della situazione di inagibilità o di inabitabilità da parte dell’ufficio tecnico del comune, restando a carico del proprietario il costo della perizia e l’obbligo di allegare i documenti comprovanti la situazione medesima. In alternativa, il proprietario dell’immobile può presentare una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in cui attesta, sotto la propria responsabilità anche penale, la sussistenza delle condizioni per usufruire dei benefici della legge. L’inagibilità o inabitabilità deve consistere in un degrado fisico non superabile con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. Dal 1998, il Comune può disciplinare le caratteristiche della fatiscenza sopravvenuta ai fini della riduzione alla metà dell’imposta (art. 59, c. 1, lett. h), D. Lgs 446/1997). Giurisprudenza • Ai fini della riduzione prevista dall’articolo 8, primo comma, D. Lgs n. 504/1992 è necessario che via sia una dichiarazione di inagibilità o inabitabilità, cui consegua la non utilizzabilità in concreto e non in astratto dell’immobile; l’onere della predetta prova incombe sul contribuente (Corte di Cassazione, sentenza del 14/01/2005, n. 661). In senso conforme la giurisprudenza di merito • Per poter usufruire della riduzione prevista dall’articolo 8, primo comma, D. Lgs n. 504/1992 è necessario l’accertamento della situazione di inagibilità o di inabitabilità da parte dell’ufficio tecnico del comune, o, in alternativa, una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà (Commissione tributaria regionale della Liguria, sentenza n. 37 del 21/06/2006). 9.3.2 Agevolazioni per l’abitazione principale - Le novità della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Finanziaria 2007) – (per le novità introdotte dalla finanziaria 2008 si rinvia alle pagg.n.1 e seguenti) Sull’Ici dovuta per l’abitazione principale è prevista una detrazione di Euro 103,291, rapportata al periodo dell’anno nel quale si protrae tale destinazione. Il comma 173, lett. b), dell’articolo unico della Finanziaria 2007 integra il comma 2 dell’articolo 8 del D.Lgs n. 504/1992 con la specificazione che, salvo prova contraria, per abitazione principale si intende quella di residenza anagrafica. La norma de qua, con effetto dall’annualità d’imposta 2007, introduce una presunzione legale in base alla quale si considera abitazione principale, ai fini dell’Ici, quella di residenza anagrafica. Si tratta, a ben vedere, di una presunzione relativa, che, per espressa statuizione normativa, ammette prova contraria. In buona sostanza, la nuova presunzione non supera la nozione di abitazione principale, fondata sul criterio della dimora abituale, ma mira a garantire una più corretta applicazione, consentendo, comunque, al contribuente, nei casi di mancata coincidenza (o scollamento anche temporaneo) tra dimora abituale e residenza anagrafica, di riservare alla prima il trattamento destinato all’abitazione principale ai fini dell’Ici, fornendo la prova del suo utilizzo, appunto, quale dimora abituale. Pertinenze dell’abitazione principale La disciplina tributaria delle pertinenze dell’abitazione principale ha subito, nel tempo, numerose modifiche. Con la circolare n. 114/E del 25 maggio 1999, il Ministero delle Finanze, allo scopo di conformarsi al parere espresso, sulla questione, dal Consiglio di Stato (protocollo n. 1279 del novembre 1998) ha affermato il principio dell’identità di trattamento fiscale fra l’abitazione principale e le sue pertinenze. L’articolo 30, comma 12, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (Finanziaria per il 2000) ha, poi, stabilito che, fino all’anno d’imposta 1999 compreso, l’aliquota ridotta di cui all’articolo 4, comma 1, del D.L. 8/08/1996, n. 437, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 ottobre 1996, n. 556, si applica soltanto agli immobili adibiti ad abitazione principale, con esclusione di quelli qualificabili come pertinenze. A partire dal 01/01/2000, invece, il legislatore ha disposto che l’aliquota agevolata sulla prima casa è applicabile anche alle sue pertinenze (C.M. 11/02/2000, n. 23/E). Il comma 13 del medesimo articolo 30, ha, poi, precisato che la non applicabilità, per gli anni sino al 1999 (compreso), dell’aliquota ridotta alle pertinenze dell’abitazione principale non ha effetto per i Comuni che, in base a regolamento, hanno applicato l’aliquota ridotta anche alle pertinenze (facoltà concessa dall’articolo 59, comma 1, lett. d), D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446. L’articolo 18, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Finanziaria per il 2001) è, infine, intervenuto a dettare gli esatti termini entro i quali inquadrare il trattamento delle pertinenze fino al 2000. La norma de qua, infatti, ha esteso anche all’anno d’imposta 2000 l’inapplicabilità, alle pertinenze, dell’aliquota ridotta prevista per l’abitazione principale. In definitiva, dal 01 gennaio 2001, alle pertinenze deve essere riservato lo stesso trattamento fiscale dell’abitazione principale, indipendentemente dal fatto che il Comune abbia o meno deliberato l’estensione della riduzione di aliquota anche ad esse, così come puntualmente chiarito dallo stesso Ministero delle Finanze con la circolare 07/03/2001, n.3/FL. 9.4 Altre agevolazioni - Terreni agricoli condotti direttamente Una particolare agevolazione è riconosciuta agli imprenditori agricoli e coltivatori diretti che conducono il fondo ed esercitano l’attività agricola a titolo principale. Il beneficio consiste in un abbattimento della base imponibile, costituita, come si sa dal reddito dominicale del terreno moltiplicato per 75, pari ad € 25.822,84 e di una riduzione d’imposta in base a 3 scaglioni di imponibile. - Immobili di interesse storico ed artistico Ai fabbricati di interesse storico o artistico soggetti a vincolo monumentale, coma tali inquadrati dall’articolo 10, D.Lgs 22 gennaio 2004 n.42, va attribuita la tariffa d’estimo più bassa tra quelle stabilite per le abitazioni della zona censuaria ove risultano ubicati. 9.5 Immobili “merce” di imprese costruttrici Per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o prevalente la costruzione e la vendita di immobili, può essere deliberata dai Comuni l’aliquota al 4 per mille, per un periodo non superiore a tre anni, relativamente ai fabbricati realizzati per la vendita e non venduti. Capitolo 10 Rimborsi, interessi e sanzioni 10.1 Rimborsi d’imposta (Le novità della Legge 296/2006, Finanziaria 2007) Il comma 164 dell’articolo 1 della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 ha fissato un termine, unico per tutti i tributi locali, per la richiesta di rimborso della maggiore imposta versata e non dovuta. In base alla nuova disciplina, quindi: - il contribuente può richiedere il rimborso delle somme verste a titolo di Ici ma non dovute entro cinque anni (il previgente termine era di tre anni) dal giorno del versamento, ovvero da quello in cui è stato accertato il diritto alla restituzione; - il Comune è tenuto ad effettuare il rimborso entro 180 giorni dalla data di presentazione dell’istanza di rimborso. Coerentemente, l’articolo 1, comma 173, lett. f) della predetta Legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) ha abrogato l’articolo 13 del D. Lgs 30/12/1992, n. 504 (disciplina dei rimborsi Ici), incompatibile con la novella legislativa. Sul punto Anche se la novella nulla dice al riguardo, per consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità deve ritenersi che il termine quinquennale per il rimborso sia perentorio, e che, pertanto, l’istanza restitutoria presentata oltre tale termine non possa trovare accoglimento per intervenuta decadenza. Al contrario, il termine per l’esecuzione dei rimborsi riveste natura ordinatoria e non perentoria, fermo però restando, per il contribuente, il rimedio consistente nel ricorso alla Commissione tributaria provinciale avverso il rifiuto tacito alla restituzione che, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 21, comma 2, del D. Lgs 31 dicembre 1992, n. 546 può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla presentazione della domanda di restituzione e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto, ossia entro il termine di prescrizione ordinaria decennale. 10.2 Interessi (Le novità della Legge 296/2006, Finanziaria 2007) L’articolo 1, comma 165 della Finanziaria 2007, prevede che sulle somme indebitamente versate e richieste a rimborso maturano gli interessi nella misura annua determinata dal Comune nei limiti di tre punti percentuali di differenza rispetto al tasso di interesse legale; considerato che il tasso legale è attualmente fissato nella misura del 2,5% annuo, gli interessi possono essere fissati nella misura massima del 5,5 per cento. Gli interessi si calcolano pro rata temporis, giorno per giorno, a decorrere dalla data in cui il versamento è stato eseguito. Con nota (prot.6464/2007) del 20 aprile 2007 il Dipartimento per le Politiche fiscali del ministero dell’Economia (Ufficio federalismo fiscale) ha precisato che la misura del 2,5% annuo è il parametro di riferimento per determinare il tasso di interesse e rappresenta la misura applicabile ai tributi locali nel caso in cui l’ente non intenda disciplinare la materia, avvalendosi degli effetti disposti dall’articolo 52 del D. Lgs n. 446/1997, il quale stabilisce che “per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti”. Ai sensi dell’articolo 1, comma 168 della legge 296/2006, gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 25 della legge 27/12/2002 n. 289 (recante “pagamento e riscossione di somme di modesto ammontare”), possono stabilire l’importo fino a concorrenza del quale il rimborso non è effettuato. In caso di inottemperanza, si applica la disciplina di cui al medesimo articolo 25 della legge n. 289/2002. Sul punto Alla luce della nota del ministero dell’Economia e delle Finanze, si può sperare che sia presto corretta la misura (errata) del 6% annuo chiesta ai contribuenti che pagano a rate le somme dovute in base alle dichiarazioni annuali, modello 730, Unico, Iva e Irap. Trattasi di una “svista” che deve essere eliminata, tenendo conto del decreto del 27 giugno 2003. L’articolo 3 dispone che gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo (articolo 20 del D.P.R. 602/1973), sono dovuti annualmente nella misura del 2,75% a decorrere dal 1 luglio 2003. Questa misura sostituisce quella vecchia del 5%. A norma dell’articolo 20, comma 2, del D. Lgs 241/1997, chi paga a rate deve l’interesse pari al tasso previsto dall’articolo 9 del D.P.R. 602/1973, che era il 5% più un punto percentuale. Perciò, fino al 30 giugno 2003, 5% più 1% è uguale a 6, mentre dal 1 luglio 2003, 2,75% più 1% è uguale a 3,75%. La misura del 6% è, dunque, da considerare errata. L’errore è ancor più evidente per la ragione che, sempre dal 1 luglio 2003, le vecchie misure per dilazione di pagamento e per sospensione della riscossione, sono state abbassate, rispettivamente, dal 6% al 4% e dal 7% al 5%. Il Fisco, insomma, chiede il 6% sui pagamenti rateali in base alle dichiarazioni ma riconosce tassi inferiori in caso di rimborsi. 10.3 Sanzioni Le sanzioni applicabili alle violazioni in materia di Ici sono contenute nell’articolo 14 del D.Lgs n. 504/1992 e nell’articolo 13, comma 2, del D. Lgs 471/1997 (quest’ultimo per quanto attienine alla fattispecie di omesso o tardivo versamento dell’imposta). Le novità della Finanziaria 2008 in materia di Ici (Ovviamente deve tenersi presente che la detrazione in oggetto è ormai stata superata dall’esenzione disposta dal Decreto Legge del 27 maggio 2008, n. 93) a) Ulteriore detrazione per l’abitazione principale L’articolo 1, comma 5, della Finanziaria 2008, interviene sull’articolo 8 del D.Lgs 30 dicembre 1992, n.504, aggiungendovi i commi 2-bis e 2 –ter, con i quali viene introdotta un’ulteriore detrazione d’imposta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del contribuente. Conseguentemente, dall’Ici dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale diventa detraibile un ulteriore importo pari all’1,33 per mille del valore catastale imponibile nei termini di cui all’articolo 5 D.Lgs 504/1992. Ai fini della fruizione della predetta detrazione occorre considerare quanto segue: • Non può risultare superiore a € 200; • Può essere fruita fino a concorrenza del suo ammontare con l’Ici dovuta ed è rapportata al periodo dell’anno durante il quale si protrae la destinazione di abitazione principale. Condizione essenziale perché possano essere riconosciute entrambe le detrazioni è, quindi, che ci sia identità tra il soggetto passivo obbligato al pagamento dell’Ici e chi dimora abitualmente nell’immobile. Inoltre, al pari di quella ordinaria, anche l’ulteriore detrazione, nel caso in cui siano più di uno i contribuenti che dimorano nello stesso immobile, deve essere attribuita in parti uguali, prescindendo, quindi, dalle quote di possesso di ciascun soggetto passivo; • Non è applicabile alle abitazioni ricadenti nelle categorie catastali A1 (abitazioni di tipo signorile), A8 (ville) e A9 (castelli); • La nuova agevolazione è applicabile anche in favore degli italiani non residenti nel territorio dello Stato, in quanto, ai sensi dell’articolo 1, comma 4-ter, del D.L. 23 gennaio 1993, n.16, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1993, n.75, si considera direttamente adibita ad abitazione principale l’unità immobiliare posseduta in Italia a titolo di proprietà o di usufrutto, purchè non risulti locata. Siffatta interpretazione è stata confermata dalla risoluzione n.5/Dpf del 15/02/2008, con cui l’Ufficio federalismo fiscale del dipartimento per le politiche fiscali del ministero dell’economia ha chiarito l’applicazione dei commi 2-bis e 2-ter dell’articolo 8 del D.Lgs n.504/1992, introdotti dall’articolo 1 della legge n.244/2007. Alla base delle argomentazioni svolte a favore di un’interpretazione benevola della norma vi è la considerazione che la detrazione statale trova applicazione generalizzata alle unità immobiliari che risultano adibite direttamente ad abitazione principale dal soggetto passivo, ivi incluse, quindi, quelle che la stessa legge considera come tali, anche se, nel caso di specie, sono possedute dai cittadini italiani residenti all’estero a patto però che non risultino locate. A nulla vale, quindi, sostenere che essendo la norma in questione finalizzata all’applicazione del solo comma 2 dell’articolo 8 del D.Lgs n.504/1992, e, quindi, della sola detrazione di base, l’applicazione letterale della disposizione potrebbe rendere applicabile agli immobili posseduti dai cittadini non residenti il solo regime della detrazione pari ad € 103,29 o alla misura eventualmente elevata dal regolamento comunale, e non anche dell’ulteriore detrazione statale dell’1,33 per mille della base imponibile. Né tantomeno vale a scartare l’interpretazione più benevola per il contribuente la considerazione che il legislatore avrebbe inteso escludere espressamente l’applicabilità della detrazione statale al caso in esame, per il fatto che manca nelle norme della legge finanziaria per il 2008 un’esplicita integrazione della norma del 1993 con i riferimenti alla nuova ulteriore detrazione statale. Infatti, secondo i tecnici del ministero, ogni rinvio ai commi 2-bis e 2-ter in esame sarebbe stato, ad ogni modo, del tutto superfluo, essendo sufficiente il solo riferimento al concetto di abitazione principale. Infatti, l’esame delle norme coinvolte porta a ritenere che l’ulteriore detrazione statale trova un’applicazione generalizzata alle unità immobiliari che risultano adibite ad abitazione principale del soggetto passivo, tra le quali deve essere inclusa anche l’unità immobiliare posseduta dal cittadino italiano residente all’estero a condizione che non risulti locata, poichè è la stessa legge a equipararla espressamente all’abitazione principale. Per effetto di quanto disposto dal quarto comma dell’articolo 8 del D.Lgs n.504/1992, l’ulteriore detrazione di cui al comma 2-bis trova applicazione anche per le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale dai soci assegnatari, nonché agli alloggi di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari, purchè regolarmente assegnati in locazione. Va, altresì, rammentato che, ai sensi dell’articolo 3, comma 56, della legge 23 dicembre 1996, n.662, il comune può assimilare all’abitazione principale l’unità immobiliare posseduta, a titolo di proprietà o di usufrutto, da anziani o disabili che acquisiscano la residenza in istituti di ricovero o sanitari a seguito di ricovero permanente, a condizione che l’abitazione non venga locata a terzi. Inoltre, ai sensi dell’articolo 59, comma 1, lett.e), del D.Lgs 15 dicembre 1997, n.446, il comune può considerare abitazione principali quelle concesse in uso gratuito a parenti in linea retta o collaterale, stabilendo il grado di parentela, accordando o meno, oltre all’applicazione dell’aliquota ridotta, anche la detrazione d’imposta. In senso contrario si è, però, pronunciato il Dipartimento per le politiche fiscali del Mef con la risoluzione del 31 gennaio 2008, n.1/DPF; il ministero, infatti, con una interpretazione restrittiva della normativa, ha stabilito che la detrazione supplementare dell’1,33 per mille non si applica alle abitazioni “assimilate” a quelle principali in virtù della scelta dei Comuni di avvalersi della facoltà di cui all’articolo 3, comma 56 della legge 662/1996 o di quella di cui all’articolo 59, comma 1, lettera e) del D.Lgs n.446. Va, infine, soggiunto che il comune, ai sensi del comma 3 dell’articolo 8 del D.Lgs n.504/1992, nel rispetto dell’equilibrio di bilancio, con la deliberazione consiliare con cui vengono determinate le aliquote d’imposta, può stabilire una detrazione ordinaria superiore al minimo di 103,29 €, fino ad un massimo di 258,23 €. Tale facoltà può essere esercitata anche limitatamente a soggetti che versano in situazioni di particolare disagio economico-sociale, individuate anch’esse con deliberazione consiliare. Al riguardo, il Dipartimento per le politiche fiscali del Mef con la risoluzione del 31 gennaio 2008, n.1/DPF ha chiarito che la detrazione in oggetto si somma, non soltanto a quella in misura fissa, pari ad € 103, 29, ma anche a quella corrispondente all’importo più elevato eventualmente deliberato dal Comune in sostituzione ovvero in aggiunta a quella “base”, nell’esercizio delle potestà riconosciute al medesimo ente locale. Siffatta impostazione è stata, altresì, confermata con la risoluzione n.11 del 10/04/2008; i Comuni, infatti, nel regolamento Ici possono prevedere riduzioni d’imposta fino al 50% che si aggiungono alla detrazione classica di 103,29 €. In questi casi – si legge nella risoluzione – l’ulteriore detrazione va ad aggiungersi ai benefici che l’ente locale riconosce di fatto al contribuente. Inoltre, deve essere applicata solo dopo aver sottratto dall’ammontare dell’imposta lorda la detrazione 103,29 € e la riduzione al 50% dell’imposta prevista dal regolamento comunale. La predetta risoluzione, inoltre, chiarisce che nonostante la previsione dell’articolo 10, comma 2, del DLgs n.504/1992- secondo cui i contribuenti devono effettuare il versamento dell’imposta complessivamente dovuta al Comune per l’anno in corso in due rate, la prima delle quali pari al 50% dell’imposta dovuta calcolata sulla base dell’aliquota e delle detrazioni dei 12 mesi dell’anno precedente -gli effetti della nuova detrazione potranno dispiegarsi già in sede di determinazione dell’acconto da versare entro il prossimo 16 giugno. La posizione dell’Amministrazione poggia sulla disposizione contenuta sempre nella Finanziaria 2008 in base alla quale la minore imposta derivante dalla maggiore detrazione Ici sopra richiamata è previsto sia rimborsata ai singoli Comuni, con oneri a carico del bilancio dello Stato, in base a due distinti acconti, scadenti nei mesi di giugno e di dicembre – coincidenti, quindi, con le scadenze Ici per evitare sofferenze finanziarie agli Enti locali. Da ultimo, con la risoluzione n. 11 del 10 aprile 2008, la direzione per il federalismo fiscale del dipartimento delle finanze del ministero dell’economia fornisce ulteriori chiarimenti in relazione all’applicazione, ai fini Ici, della nuova detrazione statale varata dalla legge finanziaria. La risoluzione ribadisce che i limiti da osservare per la detrazione statale Ici sono due: quello annuale di € 200 complessivi e quello mensile di € 16,67. Il criterio di calcolo della detrazione statale da seguire è quello semplificato in base al quale nella determinazione della base imponibile dell’abitazione principale deve essere incluso anche il valore delle sue eventuali pertinenze. Il calcolo separato è, invece, indispensabile nel caso in cui il periodo di destinazione ad abitazione principale e/o il periodo di possesso degli immobili sono diversi. In particolare, la risoluzione n.11 del 10/04/08 precisa che: - la base imponibile: per determinare la somma su cui va calcolato l’1,33 per mille occorre fare riferimento solo al valore catastale di abitazione e pertinenze. Il Dipartimento ha precisato che, nonostante la norma faccia riferimento alla “base imponibile di cui all’articolo 5” del D.Lgs n. 504/1992, non è possibile estendere l’ulteriore detrazione ad altri immobili. Il contribuente non può utilizzare neppure l’eventuale eccedenza per il pagamento dell’imposta su altri immobili, né può chiedere il rimborso. Nel caso in cui l’importo complessivo delle agevolazioni sia superiore all’imposta dovuta, il contribuente non è tenuto a effettuare il versamento. Se, invece, l’importo delle detrazioni supera quello dell’imposta dovuta per l’abitazione principale, il residuo deve essere computato per le pertinenze. Nel caso di trasferimento della residenza durante l’anno, vanno presi a base i diversi immobili adibiti ad abitazione, rispettando il tetto massimo dell’ulteriore detrazione, fissato a 200 €. Il limite è 16,67 € per ogni mese di possesso. Il ministero ha precisato che le modalità di calcolo non cambiano se due - - immobili, utilizzati come abitazione nel corso dell’anno, sono ubicati sul territorio di Comuni diversi. le pertinenze: per il Dipartimento, delle pertinenze va tenuto conto per calcolare sia la vecchia detrazione sia l’ulteriore agevolazione della Finanziaria. Il Comune, con regolamento, può prevedere che l’agevolazione sia limitata a una sola pertinenza. gli ex coniugi: la risoluzione ribadisce quanto già chiarito a gennaio con la ris.n.1. In evidenza! Approvato il nuovo bollettino di conto corrente postale per il versamento dell’Ici, adeguato alla riduzione dell’1,33 per mille Il modello, in formato semplice e meccanizzato, è stato approvato con il decreto del ministero dell’Economia del 03 aprile 2008 – in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale – e deve essere utilizzato per il versamento al Comune, nel caso di riscossione diretta dell’imposta. Lo stesso modello va poi usato se il Comune si avvale dei servizi accessori al conto corrente postale o se l’Ici viene versata all’agente della riscossione provinciale o ad altro concessionario iscritto all’Albo istituito presso il ministero dell’Economia al quale l’ente abbia affidato la riscossione. Il restyling del bollettino era necessario per l’ulteriore detrazione del 1,33 per mille che la Finanziaria 2008 ha riconosciuto ai contribuenti per l’abitazione principale. Sono state, infatti, aggiunte alcune caselle al bollettino per consentire al contribuente di riportare l’importo dell’ulteriore detrazione, il cui onere è a totale carico del bilancio dello Stato. Nel modello trovano, infatti, spazio due voci distinte: in una va indicato l’importo dell’ulteriore detrazione e nell’altra va riportata la “vecchia” detrazione di 103,92 €, eventualmente maggiorata dal Comune. I contribuenti potranno conteggiare l’ulteriore detrazione Ici anche per i versamenti in acconto attesi entro il 16 giugno. Entro la stessa data potrebbero decidere di versare anche il saldo. L’ulteriore detrazione si somma a quella ordinaria prevista per legge o a quella maggiore deliberata dal Comune. Il beneficio vale per l’unità immobiliare e le pertinenze; secondo l’articolo 817 del codice civile, infatti, la pertinenza gode dello stesso trattamento della prima casa. Pertanto, il contribuente è chiamato quest’anno a compilare un nuovo campo denominato “detrazione statale per abitazione principale”, che va ad aggiungersi al campo preesistente denominato “detrazione comunale per abitazione principale” , rispetto al quale è stato soltanto precisato che trattasi della detrazione “comunale” riconosciuta cioè dal comune, per distinguerla dall’altra tipologia di detrazione. L’altra importante novità è rappresentata dalla veste grafica che è stato necessario modificare proprio al fine di rendere distinguibile il bollettino da utilizzare rispetto a quelli finora in uso. Il nuovo bollettino, infatti, non sarà più di colore rosso ma semplicemente bianco, grigio e nero e riporterà la dicitura Ici ripetuta per tre volte sul lato sinistro. Anche il testo del decreto presenta delle novità in quanto vengono specificati i soggetti a favore dei quali deve essere utilizzato il bollettino di conto corrente postale, vale a dire: a) il comune, nel caso di riscossione diretta del tributo ai sensi dell’articolo 52 del D.Lgs 15 dicembre 1997, n. 446. Lo stesso modello deve essere utilizzato nell’ipotesi in cui il comune si avvalga dei servizi accessori al conto corrente postale; b) l’agente della riscossione che provvede alla riscossione del tributo; c) il soggetto a cui l’ente locale, ai sensi dell’articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo n. 446 del 1997, ha affidato la riscossione del tributo. Viene, inoltre, ribadito che il conto corrente postale: d) nel caso di riscossione diretta deve essere intestato al comune, seguito dalla dicitura Ici; e) se la riscossione dell’imposta viene effettuata da altri soggetti il conto corrente postale deve essere intestato a questi ultimi, seguito dall’indicazione del comune di ubicazione dell’immobile e dalla dicitura “Ici”. Il modello di bollettino di conto corrente postale può essere utilizzato per effettuare il versamento dell’Ici, oltre che presso la società Poste italiane spa, presso le aziende di credito convenzionate con gli enti impositori o con gli affidatari del servizio di riscossione del tributo. b) Possibilità di deliberare un’aliquota inferiore al 4 per mille Il comma 6, lettera a) dell’articolo 1 della Finanziaria 2008, aggiunge all’articolo 6 del D.Lgs n.504/1992 un comma 2-bis, in virtù del quale i Comuni, a decorrere dall’anno d’imposta 2009, potranno deliberare un’aliquota d’imposta agevolata in favore dei contribuenti che adottino misure ambientali nei propri immobili. Nel dettaglio, è consentito ai Comuni di fissare un’aliquota agevolata dell’Ici inferiore al 4 per mille per i soggetti passivi che installino impianti a fonte rinnovabile per la produzione di energia elettrica o termica per uso domestico, limitatamente alle unità immobiliari oggetto di detti interventi e per la durata massima di tre anni per gli impianti termici solari e di cinque anni per tutte le altre tipologie di fonti rinnovabili. La norma rinvia ad apposito regolamento comunale, da adottarsi ai sensi dell’articolo 52 del D.Lgs n.446/1997, la disciplina locale di dettaglio per il riconoscimento dell’agevolazione. Essa va raccordata con il successivo comma 289 dell’articolo 1 della Finanziaria 2008, che, intervenendo sul Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, sostituisce il comma 1-bis dell’articolo 4 del D.P.R. 6 giungo 2001, n.380, stabilendo che, a far tempo dal 1 gennaio 2009, i regolamenti edilizi comunali dovranno vincolare il rilascio del permesso di costruire, per gli edifici di nuova costruzione, all’installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in modo tale da assicurare una produzione energetica non inferiore a 1 KW per ciascuna unità abitativa, compatibilmente con la realizzabilità tecnica dell’intervento, e non inferiore a 5 KW per i fabbricati industriali aventi superficie non inferiore a mq 100. E’ evidente l’intento del legislatore di favorire il ricorso a fonti di produzione energetica alternative a quelle tradizionali, sia per ridurre l’inquinamento atmosferico, sia per diminuire la dipendenza dall’estero del nostro paese per gli approvvigionamenti energetici. Sotto il profilo tributario, appare chiara la possibilità di deliberare un’aliquota Ici agevolata per tutte le unità immobiliari su cui vengono installati impianti alimentati da fonti rinnovabili, indipendentemente dall’uso a cui sono adibite, specie se si tratta di edifici già esistenti, posto che, per quelli di nuova costruzione, dal 2009 diverrà praticamente obbligatorio prevederne l’installazione fin dalla fase progettuale. c) Nuovo regime impositivo per gli ex coniugi (Ovviamente deve tenersi presente che la detrazione in oggetto è ormai stata superata dall’esenzione disposta dal Decreto Legge del 27 maggio 2008, n. 93) L’articolo 1, comma 6, lett.b) della Finanziaria 2008 introduce un nuovo comma 3-bis all’articolo 6 del D.Lgs n.504/1992, in virtù del quale viene prevista una specifica agevolazione in favore dei contribuenti che a seguito di provvedimento di separazione legale, annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, non risultino assegnatari della casa coniugale. In tali circostanze al coniuge non assegnatario è esteso il trattamento tributario previsto per l’abitazione principale, ivi comprese la detrazione ordinaria e quella ulteriore, di cui all’articolo 8, commi 2 e 2-bis del D.Lgs n. 504/1992, precisando, molto opportunamente, che le predette detrazioni devono calcolarsi in proporzione alla quota posseduta, non potendo, ovviamente, realizzarsi, nella fattispecie, la condizione prevista dalle disposizioni sopra citate per la fruibilità delle detrazioni, ossia l’identità tra soggetto obbligato al pagamento dell’imposta e soggetto dimorante abitualmente nell’unità adibita ad abitazione principale. In sostanza, il coniuge separato o divorziato non assegnatario della casa coniugale e non titolare di diritto reale su altra abitazione sita nel medesimo comune, dal 2008, avrà diritto a pagare l’Ici con l’aliquota deliberata dall’ente locale per l’abitazione principale, e, in deroga alla regola generale, a fruire delle detrazioni d’imposta in proporzione alla quota posseduta, anziché in funzione dell’utilizzo come dimora principale. Avv. Maria Suppa